N. 14 | Inserto archeologia Chieti

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TEATE
FORMA URBIS
La forma della città di Chieti nel tempo:
EVOLUZIONE DELLA PIANTA ANTICA
Chieti sorge, come frequentemente capita nel paesaggio medioadriatico, su un
sistema di colline prossimo alla costa,
alle estreme propaggini del grande terrazzo che si estende dalla Maiella al
mare. Il litorale che domina è privo di
insenature, l’unico approdo naturale è
costituto dal porto canale del Pescara,
che insieme al passaggio del tratturo
L’Aquila/Foggia e al percorso della
Claudia Valeria chiarisce l’importanza
strategica di Chieti nel territorio di cui è
stata egemone. La posizione emergente
e ben visibile deve aver giocato a favore
del sito che aveva come capisaldi a
monte, all’uscita dalle gole di Popoli, i siti
della futura Interpromium, e a valle,
l’insediamento circostante il porto canale del Pescara, la romana Ostia Aterni.
Il sistema collinare, su cui poi sorgerà la
città, fu abitato stabilmente dal quarto
millennio a.C. L’insediamento arcaico che
in età romana prese il nome di Teate
Marrucinorum, era forse costituito da più
nuclei sistemati su piccoli rilievi nel quale
trovavano posto anche le aree funerarie.
La lunga evoluzione urbanistica di Chieti
ha notevolmente trasformato con grandi
opere di livellamento il sito originario
ormai quasi irriconoscibile.
La continuità d’uso delle necropoli documenta l’ininterrotta vita del centro abitato
che possiamo immaginare, intorno al IV
secolo a.C., raccolto intorno al “santuario
del pozzo” (cd.Tempietti). La localizzazione delle aree di sepoltura e dei luoghi
di culto( al pozzo va aggiunto, almeno a
partire dal II sec. a.C., l’area sacra della
Civitella) suggerisce una organizzazione
dell’abitato piuttosto simile a quella che
sarà ripresa dall’impianto urbanistico
regolare nella prima età imperiale.
Dell’abitato di età repubblicana non conosciamo molto, tuttavia la presenza di due
grandi santuari, uno sull’acropoli ed un altro
al centro dell’insediamento, le cui vicende
costruttive sono strettamente connesse,
non lascia dubbi sull’esistenza di un sito
urbano già organizzato nel III-II sec.a.C.
Per il santuario della Civitella i dati
archeologici documentano l’esistenza di
tre templi grandi e di altri edifici minori
di cui conosciamo soprattutto la decorazione architettonica in terracotta.
Questa era l’acropoli di Chieti, su cui
svettavano, ben visibili per chi provenendo dalla direzione di Roma si avvicinava
alla città, i templi, ora scomparsi,
Pianta realizzata a mano da Raffaele Fraticelli, 1954
costruiti alle falde della collina.
Nel centro della città, conservate ed inglobate negli edifici della prima età imperiale, sono visibili le strutture superstiti, del
“santuario del pozzo” ben riconoscibili
perché realizzate in grandi blocchi di
opera quadrata di travertino.
Proprio all’inizio del I sec. d.C., furono
poste le basi urbanistiche della monumentalizzazione, che nel corso del secolo
cambiò completamente l’aspetto architettonico della città. Infatti in questo
momento la città gode dell’interesse politico di una delle sue gentes più nobili, gli
Asinii, che promuovono interventi strutturali fondamentali per l’urbanizzazione di
Teate Marrucinorum. Questa fase è ben
riconoscibile da una sorta di “cifra” che la
distingue dalle altre realizzazioni: l’opera
reticolata bicroma con ricorsi di spessi
laterizi evidenzia l’attuazione di un progetto unitario che coinvolse l’intera città
trasformandola in un grande cantiere
edile nel quale maestranze diverse operavano alla realizzazione delle principali
L’ACROPOLI
Gli scavi archeologici nell’area dell’Acropoli, hanno consentito di riconoscere nei resti, già
riportati nella bibliografia ottocentesca, le tracce di due edifici di diversa cronologia: in
particolare è stato possibile attribuire, le strutture fondali al più grande dei templi italici,
di cui è completamente scomparsa ogni altra testimonianza e la restante struttura di cui
è ancora visibile l’alzato, ad una porticus realizzata intorno alla metà del I sec. a.C. Questo
elemento architettonico, di chiara ispirazione ellenizzante, fungeva da quinta scenografica alla sistemazione urbanistica del pendio orientale dell’acropoli di cui, purtroppo, non
abbiamo altra traccia. La struttura superstite è caratterizzata da un doppio muro da inter-
II
opere pubbliche. Il Foro, il Teatro e
l’Anfiteatro e alcune delle infrastrutture
principali (acquedotto, sostruzioni del
lato orientale) rendono la città adeguata
al ruolo che Roma le assegna nel controllo del territorio marrucino.
La forma della città attuale rivela ancora le
tracce dell’organizzazione urbanistica di
quel momento, che si legge chiaramente
nelle carte catastali ottocentesche. Gli interventi di “sventramento” della fine del XIX
sec. e le opere del ventennio fascista iniziano il cambiamento radicale di Chieti culminato con la speculazione edilizia degli anni
sessanta che, con l’inserimento di edifici di
scarso pregio estetico e per di più di sconsiderata altezza, ha deturpato irrimediabilmente l’aspetto del centro storico.
La città romana occupava l’intera superficie di quella attuale compresa la collina
della Civitella e, probabilmente del
Seminario diocesano con l’esclusione dei
due ampliamenti angioini corrispondenti
ai rioni di Santa Maria e Sant’Angelo nei
quali sono assenti dati archeologici.
È subito evidente, nella maglia del
costruito storico, la preminenza dell’asse
di attraversamento urbano della viabilità
(via Claudia Valeria) proveniente da Roma
verso la foce del Pescara la cui persistenza è identificabile nel tracciato del Corso
Marrucino. Certamente l’inserimento
nell’Alto Medioevo della Cattedrale all’interno del vecchio tessuto edilizio, deve
avere provocato una profonda risistemazione urbanistica che il tempo ha cristallizzato nella situazione documentata
dalle carte ottocentesche. Il punto di uscita della Valeria da Chieti è da porre probabilmente in prossimità della via Arniense,
che collegava le due porte di S.Anna e del
palazzo Arcivescovile.
Il Teatro e l’Anfiteatro furono localizzati
nella fascia di Sud Ovest esterna all’abitato. Coordinati con l’attraversamento principale di Via Zecca (Via di Porta Napoli),
che ancora svolge questa funzione, una
serie di vicoli del quartiere Civitella evidenziano la continuità tra l’impianto antico e quello attuale.
pretare come intercapedine e muro portante del portico. Il progetto di ristrutturazione, di
cui l’edificio porticato era parte integrante, aveva lo scopo evidente di ampliare la superficie dell’area sacra nella quale avrebbe dovuto trovare posto il complesso sacro demolito
per la realizzazione della nuova opera. È probabile che la natura del suolo, assai instabile
in questa parte del pendio, come documentano i rinforzi in fondazione dell’edificio templare di età medio-repubblicana (II sec.a.C.), abbia condizionato il progetto iniziale che
non fu mai attuato interamente. È in questo momento che è possibile localizzare la traslazione dei culti dell’Acropoli nell’area forense, tra gli altri, l’unico di cui forse è rintracciabile una continuità nella trasformazione in devozione agli apostoli Pietro e Paolo, è
quello dei Dioscuri, documentato sull’Acropoli dalle raffigurazioni dei gemelli divini presenti su uno dei frontoni e da alcuni pinakes votivi i cui frammenti sono state rinvenuti
negli scarichi votivi della Civitella.
TEATE FORMA URBIS
LA CITTÀ ROMANA
IL FORO
AREA SACRA DEI TEMPLI ROMANI
Il complesso monumentale attualmente visibile è il risultato di diverse fasi costruttive antiche e degli interventi di restauro realizzati dopo lo scavo degli anni ‘30. Il primo impianto
templare si distingue per i grossi blocchi in opera quadrata, riconoscibili alla base delle
strutture, sui quali si sono appoggiate le murature di epoca successiva realizzate in opera
mista di reticolato e laterizio. La profonda trasformazione, che prevede la costruzione di un
alto podio sul quale trovano posto i templi gemelli, avviene tra la fine del I secolo a.c. e
l’inizio del secolo successivo a spese di Marco Vettio Marcello e sua moglie Elvidia Priscilla
come ricorda l’iscrizione dedicatoria: M(arcus) . VETTIUS . MARCELLUS . PROC(urator) .
AUGUSTORUM / ET . HELVIDIA . C(ai) . F(ilia) . PRISCILLA . MARCELLI . S(ua). P(ecunia).
F(ecerunt).
L’intervento definisce altresì la rotazione dell’intero comparto verso Sud Est e la costruzione di una scalinata che accomuna gli ingressi dei templi raccordandoli allo spazio aperto,
tangente la viabilità principale, che costituisce il foro. La sovrapposizione di strutture di
epoca romana a quelle precedenti indica una persistenza di culto legata con ogni probabilità alla presenza di un pozzo sacro ancora visibile all’interno dell’edificio. Come documenta la lesena in stucco, inglobata nell’accostamento del terzo edificio, i templi erano interamente rivestiti di intonaci modanati. In ambedue gli edifici il portico d’ingresso presentava
quattro colonne. Dell’alzato dei tempietti restano soprattutto le strutture di quello settentrionale, e parti di quello meridionale: del primo sono da notare le pareti in laterizio, le
ampie specchiature in reticolato bicromo che conservano all’interno brani di affreschi
medievali relativi alla fase della chiesa cristiana.
Tempietti Romani - Foto Mauro Vitale
IL TEMPIO SOTTO IL PALAZZO DELLE POSTE
Nella Piazza dei tempietti romani ed in parte sotto l’edificio delle Poste è visibile un’altra
costruzione relativa alla prima fase del santuario del pozzo e successivamente inglobata nel
cosiddetto Quarto Tempio. Si tratta di una struttura del I sec. d.C, identificabile con un tempio, a pianta rettangolare, che presenta quattro colonne dinanzi alla facciata e una stretta
scalinata di accesso, rivolto a Nord e coordinato con la situazione urbanistica del foro di età
romana.
LA GALLERIA ROMANA
Nella piazza dei Templi Romani è visibile un edificio in opera cementizia di età romana, formato da due corridoi lunghi e stretti che si congiungono ad angolo retto. L’interno è coperto da volte a botte, le pareti in calcestruzzo sono rinforzate da pilastri-lesena. La funzione
strutturale antica era quella di contenere il pendio collinare che fu spianato negli anni ’30
per realizzare la Biblioteca Provinciale. L’edificio antico, parzialmente ipogeo e privo di bocche di luce, doveva servire come impianto di immagazzinamento.
GLI SCAVI DI LARGO BARBELLA
Nel cuore del centro storico, in uno slargo adiacente il corso Marrucino, recenti lavori di
scavo hanno messo in luce interessanti aspetti dell’assetto urbanistico antico molto diversi da quelli attuali. L’area del foro romano, organizzata su terrazzamenti estesi su diversi
livelli, si estendeva sino all’attuale Largo Barbella. Il piano moderno sembra derivare dal rinterro dell’avval,lamento esistente tra il foro e l’area di San Giustino allora occupata dal Colle
del Gallo.
Pozzo dei Tempietti Romani - Foto Archivio Soprintendenza Archeologica D’Abruzzo
Vista dall’alto degli Scavi di Largo Barbella - Foto Mauro Vitale
Particolare interno dei Tempietti Romani - Foto Archivio Soprintendenza Archeologica D’Abruzzo
III
LA CITTÀ SOTTO LA CITTÀ
EDIFICIO IPOGEO SOTTO IL PALAZZO DELLA PROVINCIA
Grandiosa opera realizzata certamente dopo la metà del I sec. d.C. documenta l’uso pubblico
di un’area destinata probabilmente al mercato, i cui sotterranei servivano come magazzino per
derrate.
Si tratta di una ampia sala pilastrata a pianta rettangolare che si estende nei livelli interrati del
Palazzo della Provincia, della Banca d’Italia e del Teatro Marrucino. Al momento attuale l’unica
parte ispezionabile è quella sottostante il palazzo della Provincia, di circa 24 metri x 30. La sua
posizione centrale lungo l’asse di attraversamento principale, in un’ area nella quale sono stati
segnalati numerosi rinvenimenti di strade basolate potrebbe far pensare ad un complesso pubblico destinato allo stoccaggio e alla vendita di prodotti agroalimentari. La destinazione pubblica dell’area sembra confermata dai dati emersi durante le indagini svolte nell’autunno 2004
in piazza Valignani, conosciuta come largo del Pozzo, davanti all’ingresso del Teatro.
Nonostante l’esiguità dello spazio indagato, la ricerca ha accertato alcuni elementi utili alla
ricostruzione dell’assetto topografico e urbanistico di questa parte della città romana. Le operazioni di scavo hanno restituito i resti di un ambiente caratterizzato da un mosaico decorato
da quadrati e stelle di losanghe, datato alla prima metà del II sec. d.C. È particolare l’iscrizione
in cartiglio ovale che riporta le cifre C XX(V…) in tessere bianche su fondo nero.
LA VIA TECTA SOTTO PALAZZO DE MAYO
Nei livelli interrati del seicentesco palazzo De Mayo, è visibile un’interessante struttura sotterranea conservata interamente nella sua estensione e nell’alzato.
Si tratta di un collegamento viario coperto tra le terrazze urbane affacciate verso la Majella, che
attraversa, in senso ortogonale, l’antico tracciato della via Valeria oggi Corso Marrucino. Il passaggio sotterraneo aveva la funzione di controllo del flusso delle acque che infatti impegnano
ancora i livelli sottopavimentali dell’edificio. La struttura visibile consiste in un lungo corridoio
in forte pendenza coperto con serie di volte a botte obliqua. La tecnica costruttiva è in opera
mista di reticolato e laterizio di ottima fattura. Il reticolato è formato da cubilia organizzati su
file di diverso materiale, una di calcare/selce ed una di pietra pomice, con l’effetto di una alternanza cromatica, che non ha, come negli altri edifici di Chieti, funzione decorativa. Questo è il
settore urbano che in età romana era destinato all’edilizia privata. Servito da strade lastricate,
ben esposto, questo quartiere si presentava con un aspetto del tutto simile a quello che ebbe
la città sino agli inizi del novecento, quando la costruzione delle villette unifamiliari andò a confermare questa caratteristica residenziale nella fascia periferica del quartiere medievale di Teti,
senza alterarne l’aspetto caratterizzato da ampi spazi a giardino pensile.
Galleria sotto Palazzo De Mayo - Foto Archivio Soprintendenza Archeologica D’Abruzzo
LE CASE ROMANE
Alcuni nuovi elementi sulla storia dell’edilizia privata di Teate sono emersi dalla ristrutturazione di edifici che affacciano sul Corso Marrucino, dove sono stati rinvenuti resti di strutture in opera quasi reticolata e resti di pavimenti mosaicati dai caratteristici motivi a cancello, e con piccoli disegni su fondo scuro databili all’inizio del I sec. a.C., la cui disposizione planimetrica è coordinata con l’asse principale di attraversamento urbano. É possibile
vedere i resti dei mosaici che decoravano la Domus di Via Romanelli, rinvenuti durante più
fasi di lavori di ristrutturazione dei fabbricati, nei negozi che si aprono sul Corso, in corrispondenza della stessa via nei pressi di Piazza Trento e Trieste. Partendo dal Corso
Marrucino è leggibile una stanza, di circa m.6 x 5, che presenta un pavimento mosaicato in
tessere nere con disegno a crocette formate da quattro tessere bianche coerenti con
l’allineamento di quelle nere. Proseguendo si ricostruisce una progressione di ambienti di
cui il primo con pavimento musivo a fondo bianco e disegni geometrici entro riquadri evidenziati a fasce nere. Un secondo, di piccole dimensioni ridotte con un disegno geometrico a riquadri neri, potrebbe identificarsi con un ambiente di passaggio. Seguono due vani
accostati di cui quello occidentale presenta tracce di un muro e resti pavimentali mosaicati
a fondo bianco con doppia cornice di cui l’esterna a triangoli neri. Il vano orientale conserva un motivo decorativo a rombi con linee nere su fondo bianco e cornice in tessere nere.
L’ambiente che si colloca al limite dell’isolato, con dimensioni di m. 6 x 4, reca su ampia
superficie un pavimento a mosaico bianco con fascetta perimetrale nera. Nei livelli interrati degli edifici che affacciano sul vicolo si sono conservati interi tappeti musivi dai complicati motivi geometrici databili al periodo imperiale (I sec. d.C.).
Scavi di Piazza Valignani, 2004 - Foto Mauro Vitale
IV
Teatro romano - Foto Mauro Vitale
LO SPETTACOLO
TEATRO
Situato sulle pendici urbane occidentali il teatro è stato costruito, seguendo la tecnica
costruttiva più diffusa a Chieti, in opera mista di reticolato bicromo e laterizio. La cavea
rivolta, verso Nord-Ovest, è sorretta da un sistema strutturale in parte appoggiato al terreno ed in parte sostenuto artificialmente da un complesso di murature radiali ed archi ancora visibili.
La storia costruttiva si può riassumibile in tre fasi principali che vedono la costruzione di
una cavea di ridotte dimensioni, seguita dall’ampliamento della parte alta dell’edificio destinato a soddisfare la necessità di aumentare il numero dei posti degli spettatori. Tuttavia non
è ancora sufficiente tanto che di lì a poco si verifica un ulteriore allargamento verso la collina con l’innalzamento di un loggiato e la conseguente ristrutturazione di tutto il sistema
degli accessi negli ambienti sottostanti la zona settentrionale. Poco conosciamo dell’impianto scenico ma si può affermare che lo sfondo paesaggistico offerto dalla vallata del
Pescara e dai massicci appenninici doveva essere assolutamente suggestivo.
Teatro romano - Foto Mauro Vitale
L’ANFITEATRO
La costruzione dell’anfiteatro costituisce il completamento degli spazi di questo margine
del centro abitato, organizzato regolarmente, che si presta in modo ottimale sia per
l’impianto di grandi cantieri edili che per la facilità di raggiungimento e accesso da parte di
masse di spettatori. Inoltre l’ampio spazio aperto occupato solo in parte dal santuario vetusto dell’acropoli era solo minimamente stato utilizzato con la costruzione del portico realizzato dopo la demolizione dei vecchi templi. L’edificio per spettacoli viene realizzato nella
prima metà del I secolo d.C., nella piccola spianata naturale, alle pendici dell’Acropoli, in
diretta connessione con l’ingresso in città della via Valeria proveniente da Roma.
Il monumento è stato riportato alla luce tra il 1982 e il 1994, in particolare l’anello minore
che definiva l’arena, l’ingresso nord, l’elemento urbanistico di raccordo verso il centro città,
e tra il 1998 e il 2002 anche quello sud. Sulla base dei dati strutturali raccolti e delle analisi
architettoniche è stato possibile ricostruire l’aspetto originario del monumento che già nel
III-IV secolo era stato abbandonato e spogliato di tutti gli elementi lapidei.
La parte apicale degli ingressi e la terra sagomata che costituiva la cavea, sono state asportate dalle opere militari di livellamento dell’area avvenute sotto il comando del generale
Pianell alla metà del secolo scorso. La semplicità realizzativa del progetto che utilizzava al
meglio l’orografia originale, con un impiego minimale delle strutture costruite, rivela analogie con l’anfiteatro di Alba Fucens.
Durante il funzionamento della struttura l’ingresso nord e il suo prolungamento monumentale, che a guisa di piazza raccordava la viabilità urbana con l’area esterna all’edificio
pubblico, era organizzato su una serie di ambienti simmetrici che fiancheggiavano il corriAnfiteatro - Foto Mauro Vitale
V
doio centrale; questi erano vani di servizio come documentano quelli più prossimi all’arena
dove rimangono tracce evidenti delle gradinate di accesso alla cavea. Per gli altri due invece si può immaginare un uso come carceres. Le strutture murarie dell’ingresso, sono conservate per un’altezza massima leggermente inferiore ai 3 metri e realizzate in reticolato con
cubilia lapidei e di terracotta, con ricorsi di due file di spessi laterizi; il terreno naturale fu
foderato dalle murature che mostrano infatti un solo lato rifinito da cortina mentre in quello opposto verso terra è visibile che la gettata di calcestruzzo fu fatta direttamente in cavo
di terra.
La consuetudine a destinare agli eventi pubblici di massa questo spazio, vicino alla sommità
dell’acropoli, si può collegare alla funzione dei santuari e più specificamente ai temi rappresentati sui frontoni. In altri termini, non è difficile immaginare, che fu dedicata all’anfiteatro, un’area già da secoli destinata allo svolgimento di feste e avvenimenti “popolari”.
L’uso del sito era, sino alla scoperta dell’anfiteatro nel 1982, del tutto analogo poiché qui era
stato attrezzato, dopo la guerra, il Campo Sportivo. Ancora prima, la spianata realizzata per
costruire la Piazza d’Armi borbonica, una volta caduta in disuso, era stata utilizzata come
spazio aperto dedicato alle fiere e alle corse dei cavalli.
Scorcio dell’accesso all’Anfiteatro - Foto Mauro Vitale
Terme romane - Foto Mauro Vitale
LE TERME
Il complesso termale è ubicato in una fascia più bassa rispetto al centro abitato nel settore che
guarda verso la Majella favorevolmente esposto e ricco di acque. Una parte consistente delle
strutture relative all’importante edificio pubblico sono tuttora visibili a lato della strada proveniente dall’entroterra montano. La viabilità recente che copre parte della struttura è evidentemente diversa da quella antica. La disposizione planimetrica degli ambienti suggerisce che,
durante il funzionamento dell’impianto, il sistema di accesso all’area doveva essere analogo
all’attuale. Al di sopra degli ambienti, cui sono funzionalmente collegate, si trovano le cisterne, articolate in nove ambienti comunicanti. La struttura dei lati lunghi è caratterizzata da un
sistema ad archi multipli, utilizzato ancora oggi per le dighe, in grado di contenere tanto la
spinta di terra a monte, quanto quella dell’acqua.
Un ampio spazio aperto pavimentato con mattoni disposti a spina di pesce, opus spicatum,
sfruttava il terrazzo di copertura al di sopra delle cisterne. Durante il corso di alcuni lavori di
bonifica del monumento sono state rinvenute a livello del terrazzo alcune vere di pozzo in pietra poste in corrispondenza delle aperture relative alle sottostanti conserve. Ad alimentare la
cisterna per captazione di una sorgente naturale era, a nord-ovest, il cunicolo di Fonte Grande.
Una vena d’acqua, parzialmente incanalata e portata a valle degli edifici termali, assicurava
ulteriore fonte di alimentazione al complesso. Indagini recenti hanno accertato l’esistenza di
un ingresso sul lato meridionale ricavato lungo il bordo di un corso d’acqua sistemato adeguatamente e successivamente canalizzato.
Gli studi condotti sui materiali marmorei recuperati durante gli scavi, insieme a dati strutturali ed archeologici, sembrano far propendere per una datazione intorno alla metà del I secolo a.C. La tecnica edilizia di soli laterizi, che compare unicamente in questo complesso, potrebbe far pensare ad un nuovo committente da collegare con molta probabilità alla presenza attiva di personaggi discendenti dai ranghi equestri ascesi al potere in età giulio claudia: valgano
per tutti i casi di M. Vettio Marcello imparentatosi con gli Helvidii di Cluviae e di un rampollo
dei Vitorii che sposa una nobile fanciulla di origine frentana della famiglia degli Hosidii; attraverso un’abile politica di alleanze matrimoniali si prepara la fioritura politica dei Ninnii Hastae
e dei Pedii Hirruti discendenti dai cavalieri emersi sulla scena pubblica nella prima metà del I
sec. d.C., che costituiranno, esattamente nel periodo di costruzione delle Terme e nell’età successiva, la “bella società” di Teate.
L’impianto termale, abbandonato intorno al IV sec. d.C, subì nella “parte orientale” un crollo
di notevoli dimensioni dovuto allo scivolamento delle coltri colluviali dei fianchi della collina,
lubrificate da canalizzazioni di varie epoche.
Dal 1935 al 1997 varie campagne di scavo hanno riportato alla luce i resti delle strutture termali e altrettanti interventi di restauro hanno consolidato ed in alcuni casi anche ricostruito
VI
le parti mancanti. Oggi si presentano con assetto planimetrico per lo più rispondente all’impianto originario, anche se alcuni interventi ricostruttivi, operati in passato, non consentono
una lettura certa delle strutture antiche. Si accede all’impianto da una scalinata ricostruita nel
1959 insieme ai muri di contenimento del terrapieno antistante la cisterna. La scala conduce
a un corridoio mosaicato (vestibulum) con crocette nere su fondo bianco cui si accedeva sul
lato ovest ad un ambiente di servizio che dava anche accesso all’area retrostante dei praefurnia, e in cui sono visibili dei fori per mensole. Dal vestibolo attraverso due colonne, si accede ad una sala di forma rettangolare con mosaico geometrico a quadrati neri su fondo bianco al centro dei quali è un quadrifoglio nero. Un emblema centrale a motivi marini raffigura
un tridente sorretto da un delfino e due ippocampi contrapposti. Tra i due ippocampi e la
coda del delfino, era un pozzetto per il deflusso dell’acqua, poi rimosso durante i restauri
dello stesso anno.
Sul lato sud-ovest è stato rialzato, dopo la posa in opera del mosaico, un muro rivestito in
marmo a formare un ambiente filtro da cui si accedeva agli ambienti caldi. Le foto di scavo del
1941 testimoniano l’esistenza di una analoga situazione, oggi non più visibile sul lato nord-est
della sala. Continuando il percorso verso nord-ovest, attraverso la zona filtro si accede agli
ambienti caldi, tre sale rettangolari dotate di un sistema di riscaldamento ad aria che circolava nelle intercapedini murarie, realizzate con tubuli in terracotta, e sotto il pavimento sospeso
su pilastini in mattoni di cui restano solo alcune tracce. Nei due ambienti del calidarium, dove
la sospensura è conservata per intero, sono ben visibili sul massetto le impronte delle lastre di
marmo della pavimentazione. La ricomposizione dei frammenti marmorei ha restituito esempi di elementi architettonici e decorativi di straordinario pregio.
Nell’ultima sala del calidarium si trovano due vasche per abluzioni, una rettangolare di acqua
calda che presenta un taglio vivo a semicerchio nei mattoni della parete di fondo e fa supporre l’esistenza della testudo alvei (ampiamante descritta da Vitruvio 5.10.1.), nonchè
l’alloggiamento per il passaggio delle fistulae, e un’altra di forma semicircolare. Ottimale
l’orientamento a sud-ovest delle sale calde per sfruttare al meglio, fino al tramonto, le radiazioni solari. Sulle pareti sud-occidentali degli ambienti caldi si aprivano i praefurnia con imboccatura in blocchi di tufo, materiale più resistente al fuoco del laterizio.
Infine, dal calidarium si passa ad una aula ottagonale di grandi dimensioni con un pozzetto
centrale per la raccolta delle acque ed una vaschetta semicircolare nel lato nord-est. Purtroppo
la frana ha travolto più della metà della grande aula e gli ambienti a nord-est, senza lasciare
traccia per la loro identificazione. Risulta così difficile definire se l’edificio avesse due sezioni
separate (uomini-donne), dove fossero collocate le latrine, o se vi fossero spazi aperti destinati ad attività sportive.
Adele Campanelli
Fonte Grande - Foto Paolo Fraticelli
Fonte Cannelli - Foto Paolo Fraticelli
FONTANE DI CHIETI
Le tre fontane monumentali e gli otto fontanini installati sul colle di Chieti cominciarono ad erogare l’acqua captata dalla Majella
e condotta con il nuovo acquedotto della
città il 10 maggio 1891.
La realizzazione dell’opera, inaugurata
festosamente in concomitanza con le celebrazioni del patrono S.Giustino, segna progressivamente una svolta al problema dell’approvvigionamento idrico della popolazione. Non si percorrono più estesi e faticosi tragitti, con la conca sul capo o con
l’ausilio del trasporto di animali, per raggiungere le fontane situate lungo i fianchi
della collina, o quelle alimentate da pubbliche cisterne, né si sollevano più i secchi per
attingere il prezioso liquido raccolto nelle
cisterne private.
L’acquedotto ora fornisce puntualmente
l’acqua potabile nei quartieri, nelle abitazioni private, con la rete distributiva che si
amplia successivamente anche grazie ai fontanili realizzati nelle zone più periferiche.
Al tempo stesso le pubbliche fontane, luogo
di incontro, di scambio, di cultura, che per
secoli avevano svolto la funzione primaria,
ma che necessitavano altresì di onerosi e
costanti interventi di manutenzione, vengono via via abbandonate.
Le fonti si trovano laddove è presente la sorgente, tuttavia al fenomeno naturale l’uomo
ha associato il condotto artificiale che,
addentrandosi nelle viscere della collina,
raccoglie le acque di stillicidio e le conduce
all’esterno alla bocca della fontana. Il sistema così realizzato è noto fin da tempi remoti ed è stato descritto nel saggio “De fonti
Tirreni negli Abruzzi”di N. Durini del 1836.
A partire al periodo romano le pubbliche
fontane sono presenti in quasi tutte le zone
esterne della città di Chieti. Si evidenziano
in particolare quelle presenti nei quadranti
est e nord la cui dislocazione si è strutturata in funzione dell’assetto urbano.
Ad est della città si trova Fonte Grande.
Sita nell’area sovrastante il complesso
archeologico delle Terme romane, sul percorso che già anticamente proveniva dalla
chiesa di S. Francesco da Paola a sud, e
dalla chiesa di S.Maria Mater Domini a
nord, si presenta nella tipica tipologia di
fontana a parete.
La conformazione del sito è disegnata dalla
realizzazione nel Ventennio del muro di
sostegno di Viale Giovanni Amendola e dal
relativo nicchione arcuato in laterizio che
racchiude la vasca principale, inglobando
però un’altra vasca contigua oggi leggibile
dalla riscoperta, dell’originaria cortina in
pietra, rinvenuta in seguito ai lavori di recupero insieme alla pavimentazione in acciottolato riquadrato da laterizio, di epoca
moderna, rimessa in luce alla propria quota
originaria ed attestata su una porzione di
muro curvo che ha dettato la geometria
della piazzetta.
La sorgente è alimentata da un acquedotto
di epoca romana che riforniva la cisterna
delle Terme, immediatamente a valle della
fontana: il cunicolo è costruito in laterizio
coperto con elementi posti a contrasto
(c.d. volta a cappuccina) e si addentra per
una lunghezza di oltre 100 metri nella formazione sabbiosa, raccogliendo per stillicidio le acque della ricca falda sorretta dai
terreni argillosi impermeabili. Tale impianto è descritto e graficizzato nella ricognizione del 1867 dell’Ing. Tommasantonio
Mammarella.
La redazione architettonica della fontana,
che presenta un’ampia utilizzazione di elementi lapidei di reimpiego, indicherebbe un
ripetuto avvicendarsi di interventi volti al
mantenimento del servizio ad uso comune,
piuttosto che una volontà di monumentalizzazione: le due vasche contigue sono state
infatti utilizzate, almeno fino agli anni Trenta
del secolo scorso ed in mancanza di una rete
idrica a servizio delle case, per gli usi domestici e di abbeveraggio degli animali.
La costruzione della fontana nella forma
attuale è fatta risalire al mese di marzo dell’anno 1596, come si rileva dalla lapide collocata nella parte superiore del fronte; la
lapide inferiore ne riferisce invece un successivo restauro del 1663 per volere del
Barone D. Antonio Valignani, Camerario
della Città.
Nell’area delle terme romane, e fino alla
contrada S.Barbara, erano presenti diverse
fontane, per lo più oggi scomparse, Tra di
esse rimane quella denominata attualmente Fonte Ricciuto, da cui il nome della via,
collocata a ridosso del confine inferiore del
complesso termale e caratterizzata dal particolare fronte timpanato in pietra e laterizio, dal disegno databile alla fine del XVII al
quale di addossa la vasca di raccolta dell’acqua.
Uscendo a nord della città, sulla direttrice
per Pescara, sono ubicate diverse fontane
delle quali per alcune si hanno solo memoria storica o deboli tracce.
La più importante per grandezza e disposizione scenografica è Fonte Cannelli.
Costruita nel 1663,per volere del Camerario
Barone Antonio Valignani, si articola nella
disposizione di nove vasche addossate alla
parete in laterizio contro terra, ripartita da
lesene. Sul settore centrale, definito in sommità dal disegno triangolare, si colloca lo
stemma urbano raffigurante Achille a cavallo. Le tre garguglie a figurazione vegetale,
sono collocate sotto al foro d’ispezione del
cunicolo di raccolta, che si addentra
anch’esso nel masso arenoso in direzione
Porta Pescara e verso il complesso di cunicoli ipogei ivi presenti.
Le vasche sono specializzate per funzione
come indicato da cartelli in pietra e sono
state oggetto di recenti interventi di ristrutturazione.
Nella stessa zona, la probabile fontana
denominata Fonte Vecchia, che si pone sul
medesimo versante in posizione più alta
rispetto ad altri due fontanini e peschiere
privati, e alla Fonte delle Scopine, sita a valle
di via dei Peligni.
Nell’area a destra uscendo da Porta
Pescara, in prossimità di via Picena, sono
ubicate altre fontane documentate da fonti
storiche. Alcuni resti della Fonte Nuova.
costruita nel 1851 per committenza del
Barone Ferrante Frigery sono ubicati all’interno dell’Istituto religioso “Ancelle dell’Incoronazione”.
In analoghe condizioni sono presenti risorgenze d’acqua denominate fonte Canale,
fonte Fogliazza e fonte Pecorelli delle quali
esistono progetti di sistemazione datati alla
metà del XIX secolo e notizie dell’esistenza
riferibili al XVI secolo.
Sulla direttrice ad est verso Villamagna, a
valle del lato nord del cimitero, sono visibili
i esti di Fonte Cruciani, e della quale si indica la data di costruzione al 1795 per volontà
del Camerario Barone Francesco Farina e di
fonte “le pantine” - S.Rocco. Quest’ultima,
ricostruita nelle seconda metà del XIX secolo è ubicata in prossimità dall’area di insediamenti neolitici denominata Terrazzi
Zannini.
Ad ovest della città in prossimità della chiesa della Madonna degli Angieli è ubicata
fonte Saponari sita al termine dell’omonima
discesa e costruita nella seconda metà de
XIX secolo in un sito già conosciuto per la
copiosa risogenza d’ acqua.
Nel territorio comunale, in zone esterne, si
evidenziano Fonte degli Uccelli posta sul
tracciato della Strada Statale Tiburtina, in
località Brecciarola, ricostruita nel 1742 dal
Camerario Barone Marco Antonio Paini e
Fonte del Trocco in località Villa Obletter, già
Malino, citata in documenti degli inizi del
XIX secolo per le opere di intervento.
Paolo Fraticelli
dall’alto verso il basso:
Fonte Saponari, Fonte Vecchia, Fonte Riccuto
Terme Romane, Fonte Trocco
Foto Paolo Fraticelli
V II
TEATE FORMA URBIS
a cura di Jessika Romano
Testi di
Adele Campanelli, Paolo Fraticelli
Foto di
Mauro Vitale, Paolo Fraticelli
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