INTRODUZIONE ALLA TAVOLA PERIODICA Tra l’ottocento e il novecento i chimici avevano accumulato una grande quantità di dati sperimentali e avevano potuto osservare come molti elementi manifestassero caratteristiche e comportamenti assai simili, al punto da far nascere l’idea di raggrupparli in “famiglie” omogenee. Nel 1869 il chimico russo Dmitrij Ivanovic Mendeleev prima formulazione autografa della TP di Mendeleev Mendeleev in una foto del 1897 pubblicò la sua tavola periodica (ci avevano provato anche il tedesco Döbereiner e il londinese Newlands), disponendo gli elementi nella loro valenza massima e in ordine di massa atomica crescente. Il peso atomico veniva scelto come grandezza ordinatrice e messa in relazione con le proprietà chimiche degli elementi, sinteticamente espresse dalla loro valenza. Si individuavano in tal modo righe di elementi con massa atomica crescente e colonne di elementi con proprietà chimiche simili. Ne consegue la legge periodica di Mendeleev per cui: le proprietà degli elementi variano con cadenza periodica all’aumentare della loro rispettiva massa atomica. Si definiscono periodi le righe dove sono disposti gli elementi nella loro valenza massima, al crescere della massa atomica. Ad esempio, appartenevano al secondo periodo Li (litio), Be (berillio), B (boro), C (carbonio), N (azoto), O (ossigeno) e F (fluoro). Si definiscono gruppi le colonne dove sono disposti gli elementi che manifestano proprietà chimiche simili, che hanno cioè la stessa valenza massima. Per Mendeleev al primo gruppo appartenevano oltre a H (idrogeno), anche Li (litio), K(potassio) e così via. Per valenza si intende la capacità di un atomo di legarsi o sostituirsi a un certo numero di atomi di idrogeno (o di ossigeno). Si osservava così che la valenza degli atomi di diversi elementi cambiava seguendo un andamento regolare: Nell’ambito di un periodo la valenza nei confronti dell’idrogeno aumentava da 1 a 4 per poi diminuire di nuovo fino a 0. Ad esempio, le formule degli idruri degli elementi del secondo periodo sono: LiH BeH2 BH3 CH4 NH3 H2O HF e le corrispondenti valenze rispetto all’idrogeno sono: 1 2 3 4 3 2 1 La valenza massima nei confronti dell’ossigeno passava invece gradualmente da 1 a 7. Gli elementi del terzo periodo formano infatti ossidi con le seguenti formule: Na2O MgO Al2O3 SiO2 P2O5 SO3 Cl2O7 Per determinare la valenza nei confronti dell’ossigeno bisogna ricordare che quest’ultimo nell’acqua lega due atomi di idrogeno per cui la sua valenza è due. Ad esempio, due atomi di sodio legano un atomo di ossigeno e formano un composto di formula Na2O, dove ogni atomo di sodio ha valenza pari a ½ di quella dell’ossigeno (che è pari a 2) e diventa pari quindia uno; il Mg si lega ad un atomo di ossigeno nell’ossido che ha formula chimica MgO e la sua valenza è due al pari di quella dell’ossigeno; due atomi di alluminio legano invece tre atomi di ossigeno per cui è come se legassero sei atomi di idrogeno: il rapporto è 2/6 e la valenza dell’Al nei confronti dell’O è di 3. Anche il calcio Ca e il berillio Be hanno valenza 2 come il magnesio Mg: ecco perché Be, Mg e Ca si vengono a trovare tutti nella stessa colonna della tavola periodica. Infatti la valenza degli elementi di uno stesso gruppo generalmente non cambia: tutti gli elementi del gruppo I hanno valenza 1 (come il litio e il sodio); quelli del 2°gruppo hanno valenza 2; quelli del 3° hanno valenza 3 e così via. Nel grafico che segue viene mostrato l’andamento periodico della valenza massima nei confronti dell’idrogeno (colore rosso) e dell’ossigeno (colore blu) degli elementi che appartengono al 2° e al 3° periodo. 8 7 valenza 6 5 idrogeno 4 ossigeno 3 2 1 0 Li Be B C N O F Ne Na Mg idrogeno 1 2 3 4 3 2 1 0 1 ossigeno 1 2 3 4 5 6 7 0 1 Al Si P Si Cl Ar 2 3 4 3 2 1 0 2 3 4 5 6 7 0 La tavola periodica si rivelò subito uno degli strumenti teorici più importanti per la chimica: da un lato permetteva di raccogliere razionalmente le analogie tra le proprietà degli elementi, dall’altro apriva nuovi orizzonti di ricerca. Per rispettare l’andamento periodico Mendeleev aveva dovuto introdurre delle caselle vuote, che prefiguravano l’esistenza di elementi allora sconosciuti. E’ ad esempio il caso dello scandio Sc, scoperto nel 1879 e chiamato da Mendeleev ekaboro perché da lui collocato sotto al boro B e all’alluminio Al. Non solo, la tavola di Mendeleev faceva intuire l’esistenza di nuove proprietà della materia: per rispettare la legge periodica il tellurio Te, con massa atomica 128, avrebbe dovuto seguire e non precedere lo iodio I, con massa atomica 127. Il rispetto della legge periodica non era in questi casi garantito dalla progressione crescente delle masse atomiche per cui doveva esistere qualche altro principio ordinatore. Per rispondere ai quesiti lasciati aperti da Mendeleev, occorre descrivere brevemente come furono scoperte le particelle subatomiche e i diversi modelli proposti per descrivere la struttura dell’atomo. Le particelle subatomiche I fenomeni elettrici dovuti allo strofinio di alcuni materiali erano noti fin dall’antichità; per strofinio inoltre alcuni materiali si respingevano ed altri invece si attraevano: doveva esistere pertanto una nuova proprietà della materia, capace di attrarre o respingere altri corpi elettrizzati per strofinio. Nella figura a sinistra si osserva che una bacchetta di vetro elettrizzata positivamente attrae a sé piccoli pezzi di carta. La spiegazione viene illustrata nelle figure che seguono: esiste una forza, detta di Coulomb, proporzionale al prodotto delle cariche Q1e Q2 e inversamente proporzionale al quadrato della loro distanza. Ciò significa che la forza cambia al variare delle cariche, del loro segno e della loro distanza: maggiori sono le cariche e minore la distanza più grande è la forza, che è repulsiva se i segni delle cariche sono concordi, attrattiva se i segni delle cariche sono opposti. La costante k è un fattore moltiplicativo su cui non indagheremo. A Le forze elettriche dello stesso tipo (positive o negative) sono repulsive; B le forze elettriche di tipo contrario sono attrattive Esercizio 1) Completa la seguente tabella relativa alla legge di Coulomb Carica 1 Carica 2 Distanza tra le Q1 (C) Q1 (C) cariche d (m) 1 1 1 1 1/2 1 1 2 1 2 2 1 1 1 2 1 1 1/2 F k Q1 Q2 (N) d2 1 Già attorno al 1830, mentre studiava gli effetti del passaggio della corrente elettrica nelle soluzioni acquose, Michael Faraday (tra le cui invenzioni si conta anche il becco Bunsen, perfezionato successivamente da un assistente di Robert Wilhelm Bunsen) provava sperimentalmente che atomi e molecole dovessero contenere cariche elettriche. Nel 1897 Joseph John Thomson, uno scienziato inglese che studiava gli effetti del passaggio di scariche elettriche sui gas, scoprì la prima particella subatomica: l’elettrone. A pressione normale i gas non sono conduttori di elettricità tuttavia lo diventano a pressioni molto basse. A Schema di un tubo di Crookes. A pressioni di circa 10-6 atm gli elettroni emessi dal catodo urtano la parete opposta. B i raggi catodici tracciano una scia luminosa e sono deviati dall’attrazione esercitata dal magnete. Consideriamo un gas contenuto in un tubo, collegato ad una pompa a vuoto e munito di due placche metalliche alle estremità chiamate elettrodi, collegati a loro volta ad un generatore di corrente continua ad alto potenziale. Se la pressione viene abbassata a circa 50 mmHg, il gas si lascia attraversare da una corrente elettrica e dà luogo ad una scarica. Se la pressione viene abbassata ulteriormente (10 mmHg) il tubo si riempie di una luminosità diffusa il cui colore dipende dalla natura del gas utilizzato (ad esempio luce rossastra al neon usata per le insegne pubblicitarie). Quando la pressione viene ulteriormente ridotta (circa 0,5 mmHg), scompare la colonna luminosa e si manifesta una fluorescenza verde. A partire da esperimenti di questo tipo Thomson e altri dimostrarono che la fluorescenza era causata non da “raggi” luminosi provenienti dal catodo (elettrodo negativo) e detti perciò “raggi catodici”, ma da particelle aventi carica elettrica negativa, tutte uguali tra loro e di massa molto minore di quella del più piccolo atomo conosciuto, quello di idrogeno. Inserendo infatti lungo il cammino di questi “raggi” una ruota a pale di vetro, questi ne provocavano la rotazione, dimostrando la loro natura corpuscolare. I “raggi” venivano inoltre deviati (attratti) dal polo positivo di un magnete mostrando di possedere una carica negativa. Nel 1885 Eugene Goldstein, lavorando sempre con un tubo simile a quello di Thomson ma con un catodo forato, aveva osservato che, proprio dietro al catodo si sviluppavano dei raggi, inizialmente detti “raggi canale”. Determinò più tardi che si trattava di particelle cariche positivamente, dotate di massa dipendente dalla natura del gas presente nel tubo, ma sempre più grande di quella degli elettroni. Il fatto venne interpretato immaginando che i raggi catodici potessero colpire nel loro cammino le molecole di gas strappando loro uno o più elettroni. Ciò che restava delle molecole colpite erano particelle cariche positivamente che si mettevano in movimento verso il catodo, cioè in senso contrario agli elettroni. Le masse delle molecole erano tutte multipli interi della massa più piccola, ottenuta quando il gas utilizzato era idrogeno. Questa particella fondamentale venne chiamata protone: la sua massa è molto maggiore di quella dell’elettrone (1836 volte più grande) ma la sua carica risulta essere esattamente la stessa, anche se di segno contrario. Storicamente, la scoperta del protone non è legata ai risultati di un esperimento preciso, come è invece avvenuto per le altre particelle: infatti, intorno al 1920, si accertò che non esisteva alcun componente nucleare di carica positiva più leggero dell'atomo di idrogeno (ricordiamo che la massa degli elettroni è trascurabile rispetto a quella dei protoni) e si arrivò alla conclusione che il costituente fondamentale dei nuclei atomici fosse il nucleo di idrogeno, che fu chiamato protone (dal greco proton, che significa “primo”). Oggi sappiamo con esattezza che la materia risulta normalmente neutra perché gli atomi di cui è costituita sono formati da un numero uguale di protoni (con carica positiva) e di elettroni (con carica negativa). Nel 1909 un fisico statunitense, Robert Millikan, eseguì un esperimento attraverso il quale riuscì a misurare indirettamente la carica dell’elettrone. Utilizzò un’apparecchiatura simile a quella riportata in figura, in cui alcune goccioline di olio venivano spruzzate con un nebulizzatore all’interno di una camera e caricate negativamente mediante elettroni strappati con raggi X dalle molecole di azoto e ossigeno presenti nell’aria all’interno del dispositivo. Le goccioline tendevano a cadere, nella camera tenuta sotto vuoto, per azione della forza di gravità ma il campo elettrico tra le due piastre cariche veniva regolato in modo tale da annullare la forza gravitazionale sulle goccioline stesse. Millikan scoprì che non tutte le goccioline avevano la stessa carica, tuttavia i valori della carica erano tutti multipli di uno stesso valore molto piccolo: la carica del singolo elettrone pari a 1,7∙10-19 C. Come la massa anche la carica viene ad avere una struttura quantizzata per cui qualunque carica è multiplo intero della carica dell’elettrone. Nel 1932 James Chadwick affermò con sicurezza che negli atomi è presente anche un altro tipo di particella, con massa praticamente uguale a quella del protone ma neutra e per questo chiamata neutrone. Fu proprio la proprietà dei neutroni di essere privi di carica elettrica che ne ritardò la scoperta: queste particelle sono infatti molto penetranti e difficili da osservare direttamente a differenza delle particelle cariche (come i protoni, gli elettroni e le particelle alfa) che perdono energia quando passano attraverso la materia. Gli scienziati del XX secolo hanno scoperto che l’atomo è formato da molte altre particelle tra le quali il neutrino, il positrone e il quark sulle quali non indagheremo in questo corso base. Nella tabella che segue sono riportate le caratteristiche principali delle particelle subatomiche. Và ricordato che le particelle subatomiche sono perfettamente identiche qualunque sia il tipo di atomo al quale appartengono. Particella subatomica elettrone protone kg carica uma - 9,11∙10 -31 0,0005486 + 1,67∙10 -27 1,007 n 1,67∙10 -27 1,009 e p neutrone massa C scoperta (convenzionale) da nel 1,60∙10 -19 -1 Thomson 1897 1,60∙10 -19 +1 Goldstein 1885 0 Chadwick 1932 0 Esercizi 2) Una bacchetta di plastica, strofinata con un panno di lana, presenta una carica elettrica Q=-1,45∙10-10 C. Quanti elettroni sono stati trasferiti dal panno di lana alla bacchetta? ………………………………………………………………………………………………………………………. 3) Confrontando le proprietà dei protoni e degli elettroni, indica per ogni affermazione se è vera o falsa: a) gli elettroni sono uguali in tutti gli atomi mentre i protoni sono diversi V F b) la massa di un protone è molto più grande di quella di un elettrone V F c) la carica elettrica di un protone è di segno opposto a quella di un elettrone V F d) la carica elettrica di un elettrone è molto più piccola di quella di un protone e) la massa degli elettroni è sempre uguale, quella dei protoni può cambiare V F V F 4) Due bacchette elettrizzate per strofinio attirano entrambe una terza bacchetta elettrizzata. In base a questa informazione, che cosa prevedi che avvenga se si avvicinano le prime bacchette? a) si respingono d) si neutralizzano b) si attirano c) non si attirano e non si respingono e) nessuna previsione può essere fatta Come si può facilmente osservare dai dati riportati in tabella 1 uma corrisponde circa alla massa del protone e del neutrone, infatti vale l’equivalenza per cui: 1 uma = 1,6607∙10-27 kg= 1,6607∙10-24 g Se vogliamo determinare a quanti uma corrisponde un grammo si scopre che 1 g corrisponde a un Numero di Avogadro di uma (vedi figura sotto): una mole di atomi di H, della massa di 1 g circa, è costituita infatti da un Numero di Avogadro di atomi ciascuno dei quali contiene all’interno del suo nucleo, con alta probabilità come vedremo tra poco, un solo protone il cui peso è proprio di 1 uma (o 1 u). Già Thomson nelle sue ricerche sperimentali sul neon aveva ipotizzato l’esistenza di due diversi atomi di questo gas, completamente identici dal punto di vista chimico, ma diversi nella massa. Nel 1913 un chimico inglese, Henry Moseley, studiò i raggi X prodotti utilizzando tubi in cui l’anodo poteva essere costituito da metalli diversi, colpiti da un fascio di elettroni provenienti dal catodo. Scoprì che la lunghezza d’onda (la distanza tra due picchi successivi dell’onda) dei raggi X emessi poteva variare in relazione al metallo impiegato. La lunghezza d’onda è legata al numero di protoni presenti nel nucleo e, poiché un determinato elemento ha sempre la stessa lunghezza d’onda si scoprì in questo modo che tutti gli atomi di uno stesso elemento possiedono lo stesso numero di protoni. Il numero di protoni presenti nel nucleo di un elemento è chiamato numero atomico di quell’elemento e si rappresenta con il simbolo Z. Atomi dello stesso elemento aventi massa differente vengono chiamati isotopi. Gli isotopi del neon sono, ad esempio, il neon-20 (con 10 neutroni), il neon-21 (con 11 neutroni) e il neon-22 (con 12 neutroni). Si chiama invece numero di massa, indicato con la lettera A, la somma di protoni e neutroni presenti nel nucleo di un atomo. Misure molto accurate hanno dimostrato che la massa del nucleo calcolata come somma delle masse dei suoi nucleoni (protoni e neutroni) è minore della massa effettiva. Proprio da questo difetto di massa prende origine, in base all’equazione di Einstein E=mc2, l’enorme energia che serve per tenere vicini nel nucleo protoni e neutroni. Attorno al 1930 gli scienziati compresero che quando si fosse riusciti a rompere il nucleo si sarebbe liberata l’energia nucleare. Nelle reazioni nucleari gli atomi non si conservano e neppure la loro massa: viene infatti violata la legge di Lavoisier. Nelle reazioni chimiche invece il nucleo è protetto da una nube di elettroni e sono proprio questi che interagendo determinano i cambiamenti che caratterizzano le reazioni chimiche. Per indicare il numero atomico e il numero di massa degli isotopi viene occupato il lato sinistro del simbolo dell’elemento. numero di massa simbolo chimico numero atomico A X Z