n° 34 Novembre Marzo 2012 - Teatro Stabile di Genova

14-11-2011
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Moscheta
Franco Cardini
Gianfranco De Bosio
Moscheta
Marco Sciaccaluga
Lo Stabile in tournée
L’ultima notte
Vita di Gardini
Augias e Polchi
L’ultima notte
Andrea Liberovici
Citazioni
Macbeth
Massimo Mesciulam
Versioni cinematografiche
Hellzapoppin
Intorno al testo
Lettera degli spettatori
Ospitalità
23 spettacoli
alla Corte e al Duse
Alla Cor te Tullio Solenghi interpreta Ruzante; al D use Luciano Roman è Raul Gardini secondo Corrado Augias
DUE STORIE ITALIANE
Non è facile. Anzi, ad essere sincero,
mi è molto difficile parlare in questi
momenti di teatro, di Ruzante, di comicità. Di fronte a una città gravemente ferita, di fronte alla morte di
persone innocenti, ci si sente un po’
fuori luogo nel desiderio di presentare il lavoro fatto anche in questi giorni drammatici per andare in scena
puntualmente e al meglio, per dare
al nostro pubblico quanto promesso.
Ma se una città, ogni città, ha “un’anima”, e io credo che l’abbia, allora forse
anche il nostro lavoro torna utile a
ravvivare la forza di quest’anima che
Genova ha, da sempre, tenace e
determinata. E allora forse serve che i
teatri, i cinema, le biblioteche, oltre ai
negozi e alle officine, riaccendano al
più presto le loro luci, facciano sentire
che il cuore della città pulsa di nuovo,
serve che noi si faccia conoscere ai
giovani (che così grande dimostrazione di generosità hanno ancora
una volta dato) le radici della loro cultura anche in un grande autore europeo, Ruzante appunto, molto spesso
ignorato a scuola a motivo della difficoltà del suo dialetto-lingua. Serve
che noi si riproponga ai nostri anziani la possibilità vitale di passare
qualche pomeriggio in compagnia,
divertendosi in maniera intelligente,
che si proponga agli adulti, insegnanti, professionisti, impiegati, operai, la forza primitiva, violenta ma
autentica, di una storia raccontata
da un autore del primo Cinquecento,
Angelo Beolco detto Ruzante, che
Dario Fo, ricevendo il Nobel, definiva
così: “Disprezzato dai letterati del suo
tempo perché portava in scena il quotidiano, la gioia-disperazione della
gente comune, l’ipocrisia e la spocchia dei potenti, la costante ingiustizia”. E forse ha importanza che nell’altro nostro Teatro, il Duse, un testimone intelligente e amato del nostro
tempo, Corrado Augias (qui affiancato da Vladimiro Polchi) ci inviti a riflettere su un episodio degli anni più
recenti, la tragica morte di Raul Gardini, un episodio che con altri segnò
l’inizio di una stagione molto complessa che proprio in questi giorni sembra segnare una svolta importante.
Dunque, voglio augurarvi, assieme
alle nostre due, in questo caso piccole
compagnie, composte dai registi
Marco Sciaccaluga e Andrea Liberovici, da Tullio Solenghi (un ritorno
fra noi graditissimo), Luciano Roman, Maurizio Lastrico, Barbara Moselli, Enzo Paci, “buon ritorno a teatro”, a quel luogo dove una comunità
può riconoscere le sue radici e ritrovare la sua speranza.
Carlo Repetti
“MOSCHETA” IN SCENA SINO AL 7 DICEMBRE
“L’ULTIMA NOTTE” DAL 22 NOVEMBRE
Prodotto dalla Stabile genovese
L’ultima notte. Anatomia di un
suicidio è uno spettacolo riconducibile alla nobile tradizione
del teatro civile. Il suo tema centrale è infatti offerto dalla cronaca e dalla discussa personalità di
uno dei protagonisti della storia
italiana del secondo Novecento: Raul Gardini. Novità italiana
scritta da Corrado Augias e Vladimiro Polchi, il racconto si svolge tutto in una notte: molto simile a quella del 23 luglio 1993,
a Milano. Un uomo dialoga con
la propria Ombra e fa i conti con
se stesso. Il suo soliloquio è intervallato dalla proiezione di filmati delle Teche Rai (ricerche a
cura di Alessia Casaldi) che rievocano momenti della vita pri-
vata e pubblica (tra industria,
sport e politica) di Raul Gardini: presidente della Montedison,
travolto dalle inchieste di Mani
Pulite. Un’ascesa che per qualche anno è parsa inarrestabile,
la sua, ma soffocata dall’abbraccio brutale tra potere e capitale.
L’ultima notte racconta, prendendosi molte libertà, la storia di
questo equilibrio difficile, forse
impossibile. Nella consapevolezza che, come dice il personaggio
interpretato da Luciano Roman
(regia, video e scenografia acustica di Andrea Liberovici, scena
e costumi di Guido Fiorato, luci
di Sandro Sussi): «Non ci sono
più innocenti, i peccati sono collettivi». Novità italiana in scena
al Duse dal 22 al 27 novembre.
Tu l l i o S o l e n g h i i n u n m o m e nto d e l l o s p e t t a co l o ( Fo to M a rce l l o N o r b e r t h )
La Stagione di produzione dello Stabile alla Corte si
apre con un classico del teatro italiano del Cinquecento, interpretato da due protagonisti della comicità contemporanea, Tullio Solenghi e Maurizio
Lastrico, con Barbara Moselli ed Enzo Paci. Moscheta mette in scena con originalissima comicità
un mondo contadino rozzo e sensuale (dove si parla
il dialetto padano), ma comunque migliore di quello
affettato e ingannatore della città, nella quale trionfa la lingua “moscheta” che appartiene ai furbi e agli
imbroglioni. L’azione si svolge a Padova, dove An-
gelo Beolco, detto Ruzante, ambienta con meravigliosa evidenza comica le tribolazioni amorose e gli
inganni incrociati di tre uomini (Ruzante, Menato e
Tonin) che ruotano intorno alla bella Betìa. Moscheta è messa in scena da Marco Sciaccaluga (scena e costumi di Guido Fiorato, musica di Andrea Nicolini, luci di Sandro Sussi) e il testo è stato reso
fruibile anche agli spettatori odierni dal discreto
“adattamento” richiesto dallo Stabile genovese a
Gianfranco De Bosio, cui si deve sin dai primi anni
‘50 la riscoperta di Ruzante sui palcoscenici italiani.
Esercitazione con “Macbeth”
al Duse, dal 10 al 15 gennaio. Ingresso libero
La tradizionale Esercitazione con i classici,
proposta dagli allievi
del Secondo anno
del Corso di Qualifi cazione della Scuola
di Recitazione del
Teatro Stabile di Genova con la regia di Massimo Mesciulam, è dedicata quest’anno al Macbeth di William Shakespeare: una tragedia che, come sottolinea il critico statunitense Harold Bloom, ci costringe a
«viaggiare dentro al suo cuore scuro,
dove ritroveremo noi stessi in maniera
più autentica e bizzarra, come assassini
nello e dello spirito». La messa in scena
di Macbeth si presenta come l’occasione
per gli spettatori, come per i suoi giovani interpreti, di entrare dentro a un universo drammaturgico che ha la caratteristica di esserci sempre “contempora-
neo”. Un mondo in cui
la separazione tra la vita e il palcoscenico, tra
dire e recitare, tra sentire e interpretare le
proprie emozioni può
cessare completamente di esistere, trovando una nuova e autonoma identità nel
farsi teatro. Nate negli anni Novanta
come lavoro “aperto al pubblico” della
Scuola di Recitazione, le Esercitazioni
hanno progressivamente assunto un’esplicita valenza laboratoriale, sino a
diventare una componente significativa
del lavoro produttivo dello Stabile, concorrendo a mettere alla prova le future
leve attoriali e a evidenziare, anche sul
piano didattico, la complessità dei rapporti che in ogni allestimento si stabilisce tra il testo e gli attori e tra il testo e
la sua vita autonoma sul palcoscenico.
Luciano Roman durante le prove di L’ultima notte (Foto Alessandra Vinotto)
Spettacoli ospiti alla Corte e al Duse: grandi interpreti per autori classici e contemporanei
Ironia, divertimento e passione civile
Accanto ai dieci spettacoli di produzione, lo Stabile di Genova propone un cartellone d’ospitalità
che – in coerenza con lo slogan
della Stagione mediato da Oscar
Wilde: “Levatemi tutto... ma non
le emozioni” – vuole reagire nel
segno del comico e dell’ironia alla
svalutazione in atto della cultura.
Molte sono le occasioni di divertimento proposte dagli spettacoli in
programma. Si ride con i classici
(Molière, Goldoni, Boccaccio), ma
anche con i contemporanei (De
Filippo, Scarpetta, Franca Valeri e
Joe Orton). Ci si emoziona nel sentirsi parte di una comunità condividendo tensioni culturali, civili e
morali, in compagnia di autori e
attori che hanno saputo e sanno
raccontare l’uomo nella Storia. Si
coglie la “necessità” del teatro gra-
zie a spettacoli che ci parlano di
passione per il denaro (dal dickensiano Canto di Natale a L’uomo
prudente di Goldoni), della funzione emblematica e pedagogica
della Storia (La resistibile ascesa di Arturo Ui di Brecht con
Umberto Orsini o Kohlhaas di
von Kleist con Marco Baliani), del-
la scuola e dei giovani di fronte alle incertezze del futuro (The History Boys di Bennett), ma anche
di amore e di passione (Elektra
con la Pozzi, Signorina Giulia
con la Solarino, Tradimenti con
la Braschi, Romeo e Giulietta, Il
principe di Homburg o Sogno
d’amore del genovese Giampiero Rappa), di giustizia e civiltà
(L’arte del dubbio dal libro di
Gianrico Carofiglio e Malapolvere con Laura Curino). E tanto
altro ancora. Firmato da autori di
ogni tempo, interpretato dagli
attori più significativi della scena
italiana. Tanti spettacoli per tutti.
Un cartellone composto da quarantatré titoli che vanno dal classico al contemporaneo, per un
divertimento capace di alimentare “dal vivo” la mente e il cuore.
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2 l Moscheta
RUZANTE Cancaro, a ho la gran legreza.
MENATO E sí a ho lassà buò, vache, cavale,
BETÌA Desgraziò, furfante, tasi, tasi!
TONIN Öl saress pür el mester del soldat,
A ho tanta legreza che la camisa
piegore, puorçi e scrove, con tuto,
Che volívitu provare?
öl plu bel mester che foss, per du rasuni,
me sta tanto erta dal culo. A ho guadagnò
per vegnire... dove mo?
S’avesse vogiù far male, furfante,
se no’l foss du cosse: öl menar di mani,
tanti dinari, che a me comprerae mezo un buò.
Drio na fémena!
créditu che me foesse mancò l’occasion?
e l’esser obligat a far la guera!
IL GIOCO “RUZZANTE” DELL’EROS
Vita dei contadini nella pianura padana affamata e attraversata dalle guerre
Lo sanno tutti, o dovrebbero
quanto meno saperlo, che lo
“splendido Rinascimento” fu in
realtà un periodo storico durissimo, denso di difficoltà, popolato di affamati, di appestati, di
fuorilegge, di poveracci reduci
da guerre crudeli e segnati da
orribili ferite. Dalla calata nella
penisola di Carlo VIII di Francia
nel 1494 fino alla pace di Cambrai dell’agosto 1529 tra l’imperatore Carlo V e il re di Francia
Francesco I, la penisola fu attraversata da guerre continue: e
anche quando l’epicentro delle
guerre si spostò verso nord, la
penisola restò minacciata dal
vicino pericolo ottomano e dalle
incursioni corsare barbaresche.
Angelo Beolco era nato a Padova verso il 1496 (ma su tale
data ci sono molte incertezze) e
morì nel 1542. Contrariamente
a quel che molti credono date le
sue opere, egli non era affatto
un contadino. Figlio naturale di
un medico che lo lasciò orfano
solo nel 1524, quand’egli aveva
ormai quasi trent’anni, era vissuto in un colto ambiente borghese e si era assunto, con successo, una serie di còmpiti familiari e amministrativi. Collaborò
con l’illuminato aristocratico veneziano Alvise Cornaro, il quale
si era molto impegnato nello
studio e nella realizzazione di
dimore contadine e di opere
agricole in grado di migliorare le
condizioni di salute e di lavoro
delle genti delle campagne. Il
Beolco, ben presto famoso col
soprannome di “Ruzante” – si
polemizza ancora sull’origine di
tale pseudonimo: un’allusione al
“ruzzo”, al “gioco”, o alla “rozzezza” che le commedie ruzantiane al tempo stesso mostravano e denunziavano? –, creò e
perfezionò nelle sue commedie
la maschera istrionica del villano che lo avrebbe per sempre
caratterizzato. Animatore di una
compagnia di “nobili iuvenes”
ciascuno dei quali era titolare di
un personaggio teatrale, con
loro si dette a organizzare spettacoli a Padova e a Venezia tra il
1520 e il 1526 e a Ferrara tra il
1529 e il 1532, dove il Beolco
poté giovarsi della collaborazio-
Ruzante sulla scena
a Genova e in Italia
Genova fu una delle prime città italiane ad accogliere con calore di
pubblico la novità del linguaggio
della Moscheta di Angelo Beolco
detto il Ruzante dal personaggio
che interpretava: nell’inverno del
1951, sessant’anni or sono, nel teatrino di Piazza Tommaseo, il Teatro
dell’Università di Padova, che si
vantava di aver riscoperto nel linguaggio originale la commedia
capolavoro del Beolco, incontrò il
pubblico genovese.
Dopo l’ospitalità voluta da Paolo
Grassi al Piccolo di Milano, Moscheta venne subito a Genova e
una platea di appassionati ne
decretò il successo: applaudivano
Maurizio Lastrico, Barbara Moselli, Enzo Paci
ne di Ludovico Ariosto.
Autore e forse soprattutto attore, Ruzante – lo chiameremo col
nome del suo personaggio, che
peraltro non è un tipo fisso, una
“maschera” da Commedia dell’Arte, ma nemmeno un “carattere” – puntava a sottolineare
drammaticamente, paradossalmente, le contraddizioni della
“naturalità” contadina del suo
tempo e dell’area che egli ben
conosceva, il delta padano tra la
repubblica di San Marco e il
ducato di Ferrara: dal conflitto
tra una “naturalità” difficile a
cogliersi nei suoi tratti strutturali e una “diversità” condizionata da durissime situazioni
ambientali, dal conflittuale
incrociarsi di un’ottica “cittadina” e una “contadina”, scaturisce una poetica dura, complessa, desolata, nella quale perfino
il ridere è amaro e doloroso. Si
tratta del concetto (che si potrebbe tranquillamente definire una “poetica”) della “snaturalité”, tipicamente ru zantiano, che senza dubbio moltissimo deve a un “genere” arcaico, quello già tipicamente medievale della “satira del villano”,
che chiamava in causa anche la
cruda promiscuità sessuale,
vizio dei più forti e schiavitù dei
più deboli che Ruzante descrive
con implacabile “obiettività”,
nella quale si vorrebbe davvero
esser sicuri di poter discernere
la denunzia, specie nella “trilogia” composta tra 1528 e 1529, il
Parlamento, il Bilora e il
Menego o Dialogo facetissimo,
con i “leitmotives” ossessivi
della “roba”, dell’“onore” e dell’irrimediabile opposizione tra
città e campagna, tra ricchezza
e usura da una parte e miseria
dall’altra.
La Moscheta, 5 atti scritti nel
1529 all’indomani della “trilogia”
che segna si può dire la maturità
poetica del Beolco, riprende la
protagonista femminile e molta
parte della tematica della Betìa,
scritta quattro-cinque anni prima, nella quale si erano presentate complesse prove di bilinguismo italico-veneto ed era stato
affrontato un tema caratteristico fin dall’età giullaresca del
“conflitto di culture” tra corte e
città da una parte, campagna
dall’altro, rappresentato dalla
parodia delle discussioni filosofiche sull’amor platonico. Nella
Moscheta, commedia di villani
sensuali e urbanizzati, si ride
aspro e amaro fra tradimenti e
bastonate, in un “triangolo amoroso” che presto diventa un quadrato: rivelatore di quanto fragili e labili siano, nella campagna
Ruzante: Intermedio d’una comedia alla pavana
Orbéntena, el mondo è tutto voltò col cullo in su: femene e uomeni, negun va pì al naturale, e tutti vuol strafare a sgasafazo, volze ontiera el so’
puorpio, e tutti bonamen ha pì piasere del naturale de gi altri che del so’. A’ guardo sto om da ben che è stò chialò adesso a sprolegare: poeva favellare in la soa lengua, e sì l’ha vogiùa muare, e tuore la fiorentinesca, e sì dise ch’el no arae sonò bon a favellare in la soa. [...] A’ ve vuo’ dare un consiegio a tutti: tegnìve al naturale, e no cerché de strafare; a’ no ve digo solamen della lengua, ma an’ del favellare, ma an’ del resto: perché a’ vezo
ch’el non basta ch’a’ ve volzì la lengua a favellare fiorentinesco e moscheto, ma a’ ghe magné, e sì ve ghe fé le gonelle, ch’el n’è zà ben fatto! No
sarae miegio ch’attendissi cum’ a’ fazzon gnu a magnar de bon pan e de bon formaio salò, e bever de bon vin ch’abia el rocetto, ch’a magnare tanti
sauriti e de tanta fatta magnare? Che a’ no assé, cum’ aì, ficò tante ventositè e tante scorientie sempre in la panza e in lo magon, mo a’ sassé norì,
bianchi e russi come pumi: guardé cum’ a’ sen gnu dalle ville! [...] Co’ è pì bella cosa del naturale? Mo no canta miegio gi osiegi sui salgari che i no
fa in le gabie? Mo no è miegio e pì bello un pollaro de so’ pe’ ca un aotro fatto a man? A’ sarae an’ miegio s’el no fosse ferdo, che andessan tutti
com’ a’ sem nassù, nu per nu. Mo no cri’-vu ch’el fosse pì bello a veder una femena nu per nu ca cum tante gonelle e soragonelle? A’ cherzo ben de
sì. [...] E perzòntena, brigò, cazzonne tutti un drio l’altro a mantegnir el naturale, e cum’ a’ vi’ un che vaga fuora del naturale, s’el va da un lò andé
da l’aoltro cum’ a’ fago mi adesso. Ché quel’om da ben ha muò lengua, mo mi a’ no la vuo’ muare, che s’a’ volesse anca mi favellare fiorentinesco
e moschetto e dire «Io le sono» - ch’a’ no le vuogio dire - che, le no sonarae bon an? No’l sârae fare? No, arae mosche! Mo a’ no vuogio. Mo no è pì
bello a dire «mi» che «io»? No è pì bello a dire «una vacca» che «una giumenta»? Mo no è pì schietto a dire «un castron» ca «un carniero» cum’
dise i Spagnaruolli? Chi cancaro intenderae che un carniero fosse un castron e una giumenta una vacca? Cancaro ai carnieri e alle giumente!
Dasché ‘l sarà pì bel parlar del nostro? E perzòntena a’ vuogio andar drio, a’ so an’ ch’el ve piaserà pì el me’ favellare, che no farae quel de quel
om da ben. E da bel mo’ a’ ve vuo’ far zuse, e s’el ve piaserà pì el me’ naturale tegnìve a ello, e s’el ve piaserà pì andar fuora del naturale che
a’ vogié cambiar lengua, da bel mo’ in penitentia a’ son contento ch’a’ me togié tutti la mia, ch’a’ ve poissi muare de lengua quando ve piaserà.
novembre 2011 | marzo 2012
padane, come nel mondo dell’incipiente (e, in Italia, già fallita)
Riforma, le categorie morali e le
istituzioni familiari. Un’umanità giocosa e dolente, violenta
e paurosa, affamata e sboccata,
sensuale e amorale, nella quale
la forza della natura e la spinta
del bisogno s’impongono stabilendo norme e gerarchie in un
orizzonte piatto, sotto un cielo
plumbeo, eppur l’uno e gli altri
dominati dai lontani, aerei skylines della dot ta e raffinata
Padova, della gaudente e turrita
Ferrara. Una “commedia umana” spietata dalla quale, paradossalmente, affetti e speranze
sembrano spuntare con fatica
dal terriccio avaro della fatica e
del dolore di vivere. Si ride sullo
squadernamento spietato dei
vizi e delle debolezze comuni a
tutti gli esseri umani, vicino o
lontano dal maestoso corso del
Po. Ruzante insegna a guardar
con disincanto alla condizione
condivisa da tutti i nati di donna. E a riderne amaramente, e a
liberarsi dall’amarezza: in tristitia hilares, in hilaritate tristes. È
mai stato qualcosa di diverso, il
vero teatro?
Franco Cardini
(dal saggio pubblicato nel volume
edito da Il Melangolo che accompagna lo spettacolo)
Giannino Galloni, i critici teatrali
Bassano e Rietmann, e soprattutto
Lele Luzzati, che diventerà lo scenografo principe dei miei Ruzante
dagli anni Sessanta fino alla sua
morte terrena, caro indimenticabile
Lele. Gli attori del 1951 erano Cesco
Ferro, Ruzante, che poi concluse la
sua carriera a Genova, Mario Bardella, Menato, Giulio Bosetti, esemplare soldato bergamasco, Giuliana
Pinori, Betìa, e Otello Cazzola nel
cammeo del Prologo. Rilievo prevalente dobbiamo dare alla scelta linguistica: fino al 30 novembre del
1950, nessuno aveva osato rappresentare Ruzante nel testo originale. Furono le mie ricerche, con il
prezioso aiuto di Ludovico Zorzi,
che negli anni Sessanta pubblicherà da Einaudi tutto il teatro di
Ruzante e il sostegno del poeta
Diego Valeri, presidente del Teatro
dell’Università di Padova, a imporre
questa scelta, che subito si dimostrò necessaria, e felice. Fu proprio
la forza icastica del linguaggio originale a far superare il primo impat-
to di difficoltà di comprensione,
che sorprendeva e poi affascinava
gli spettatori. Così fu a Genova, e
poi a Roma, e negli anni successivi
e fino ad oggi in tutta Italia, e all’estero dalla Francia alla Russia, dalla
Germania ai Paesi nordici, dalla
Spagna al Sudamerica, e perfino in
Cina. Non mancarono le proteste
per la crudezza delle parole e delle
situazioni, ma le polemiche accentuarono il successo. Lo Stabile di
Torino, con la mia direzione dal
1957 al 1968 fu il luogo privilegiato
dei miei esperimenti ruzantiani,
con la presenza autorevole di
Franco Parenti, e dopo Torino fu
Paolo Grassi, da sempre amante del
teatro del Beolco, a ospitare al
Piccolo La Betìa in prima rappresentazione moderna, e Moscheta.
Anche il Teatro del Veneto, con la
direzione di Giulio Bosetti, diede
spazio al Ruzante. Il Teatro Stabile
di Genova non fu da meno. Negli
anni Settanta fui invitato da Ivo
Chiesa e Luigi Squarzina a mettere
in scena L’Anconitana, che ebbe
ragguardevole successo, fu rappresentata anche al Teatro Olimpico
di Vicenza, con una distribuzione
di qualità.
E ora, finalmente, Carlo Repetti e
Marco Sciaccaluga, al quale si debbono anche preziose incursioni
goldoniane, hanno deciso di affrontare il capolavoro tragicomico
del Ruzante. Ogni ripresa del
Ruzante, in Italia e all’estero, mi fa
piacere, ma questa con la regia di
Sciaccaluga è quella cui mi sento
più vicino.
Il riconoscimento della fondamentale importanza del linguaggio
pavano è per me la maggiore soddisfazione: in questi sessant’anni il
Ruzante è divenuto un autore universale, ma la forza, il colore cupo e
violento, la maniera aspra e avvincente della lingua padana, diciamo
pure la sua straordinaria teatralità,
conservata a secoli di distanza, ne
sono la componente essenziale.
Gianfranco De Bosio
(dal saggio pubblicato nel volume edito
da Il Melangolo,
che accompagna lo spettacolo)
Traduzione dell’Intermezzo di una commedia alla padana
Orbene, il mondo è tutto alla rovescia: donne e uomini, nessuno segue più il naturale, e tutti vogliono strafare a più non posso,
rigirano volentieri il proprio, e di certo hanno più piacere del naturale degli altri che del proprio. [...] Vi voglio dare un consiglio
a tutti: seguite il naturale, e non cercate di strafare; non dico solo per la lingua, ma anche per il parlare, ma anche per il resto:
perché vedo che non vi basta di stravolgere la lingua a parlare fiorentino e colto, ma ci mangiate, e in più vi ci fate fare gli abiti,
e non va bene! Non sarebbe meglio che badaste come facciamo noi a mangiare del buon pane e del buon formaggio saporito,
e bere del buon vino che abbia una vena di aspro, piuttosto che mangiare manicaretti e cibi di tanti tipi? Non avreste, come invece avete, tanti peti e tante scorregge sempre ficcate nella pancia e nello stomaco, ma sareste floridi, bianchi e rossi come mele:
guardate come siamo noi contadini! [...] Come si fa a trovare una cosa più bella del naturale? Ma non cantano meglio gli uccelli sui salici che nelle gabbie? Ma non è meglio e più bello un pioppo naturale di un altro artificiale? Sarebbe anche meglio se Angelo Beolco detto Ruzante
non fosse freddo, così da andar tutti in giro come siamo nati, completamente nudi. Ma non credete che sia più bello vedere una
donna tutta nuda piuttosto che in tante gonnelle e sopragonnelle? Credo proprio di sì. [...] E quindi, brigata, cacciamoci tutti uno dietro l’altro a mantenere il
naturale, e quando vedete uno che vada fuori del naturale, se va da un lato andate dall’altro come faccio io adesso. Perché quell’uomo dabbene ha cambiato lingua, ma io non la voglio cambiare, che se volessi anch’io parlare fiorentino e colto e dire «Io le sono» - che non lo voglio dire - che, non suonerebbero bene? Non
lo saprei fare? Figurati! Ma non voglio. Ma non è più bello dire «mi» che «io»? Non è più bello dire «una vacca» che «una giumenta»? Ma non è più schietto dire
«un castrone» piuttosto che «un carniero» come dicono gli Spagnoli? Chi canchero capirebbe che un carniero è un castrone e una giumenta è una vacca? Canchero
ai carnieri e alle giumente! Da quando in qua (lo spagnolo) sarà una lingua più bella della nostra? E quindi voglio continuare, so che vi piacerà più il mio parlare di quello di quell’uomo dabbene. E fin d’ora vi voglio far giudici, e se vi piacerà più il mio naturale seguite quello, e se invece vi piacerà di più andar fuori
dal naturale e volete cambiar lingua, seduta stante per penitenza sono contento che prendiate tutti la mia, così vi potrete cambiare di lingua quanto vi piacerà.
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Moscheta l 3
Conversazione con Marco Sciacc aluga, regista dello spettacolo in scena al Teatro della Cor te
Una commedia all’italiana
di cinquecento anni fa
Il titolo Moscheta è quanto
meno curioso perché pone
subito l’accento sul linguaggio
(parlar “moscheto” contrapposto all’uso “naturale” del dialetto) quasi a significare che lì
sta la prima chiave di lettura
della commedia.
Il dialetto pavano è per Ruzante
una lingua totalmente ispiratrice,
nella quale le emozioni umane si
definiscono con una forza pregnante che raramente è dato
riscontrare a teatro; ma, nello
stesso tempo, proprio quella lingua è stata a lungo un grande
ostacolo alla sua comprensione,
con il risultato che per secoli
Ruzante è stato bandito dal
repertorio teatrale nazionale,
sino a che i francesi negli anni a
cavallo tra l’Ottocento e il Novecento, traducendolo, si sono
resi conto della grandezza oggettiva di quel teatro e hanno indirettamente stimolato anche gli
italiani, con in prima fila Ludovico Zorzi e Gianfranco De Bosio,
ai quali va riconosciuto il merito
di aver riportato Ruzante sui palcoscenici nazionali sin dai primissimi anni Cinquanta.
Qual è l’attualità del teatro di
Ruzante?
In Ruzante, lo spettatore si trova
di fronte a dei personaggi arcaici,
che hanno più la genuinità dei
prototipi esistenziali e sociali,
che la funzione ripetitiva delle
maschere della seguente Commedia dell’Arte. Ruzante, Menato, Tonin e Betìa, cioè tutti i personaggi di Moscheta, ci pongono
davanti a un teatro insieme raffinato e primitivo che ricorda quello della Grecia classica, essendo
personaggi che sembrano provare per la prima volta al mondo
certe emozioni. In Moscheta, predominano le emozioni dell’amore,
della gelosia, del tradimento; ma
l’emozione in genere è il centro
e il motore di tutte le commedie
di Ruzante: si pensi, ad esempio,
alla sua importanza anche in Bilora o nel Parlamento.
Ruzante, Betìa e Menato, per altra via anche Tonin, sono contadini inurbati: questa dimensione storico-sociale trova una
risonanza nello spettacolo?
L’azione di Moscheta si svolge in
un borgo di Padova, che con Guido Fiorato abbiamo scelto d’in-
B a r b a r a M o s e l l i e E n z o Pa c i
Tu l l i o S o l e n g h i e M a u r i z i o L a s t r i c o
terpretare come una specie di
bidonville, simile a quelle in cui,
in ogni epoca socialmente e politicamente dinamica e di trasformazione, finiscono sempre con
l’andare ad abitare le classi subalterne. Per raccontare la storia di
tre uomini (Ruzante, Menato, Tonin) che ruotano intorno all’attrazione sessuale di una donna (Betìa), abbiamo quindi ambientata
l’azione in una specie di accampamento, che suggerisce l’idea di
persone che hanno abbandonato
il lavoro dei campi per andare in
cerca di lavoro in una situazione
d’instabilità. Questa immigrazione dalla campagna alla città, che
ha avuto nel Cinquecento una
sua prima manifestazione, si è
poi ripresentata molte volte nel
corso della storia d’Italia.
Il protagonista di Moscheta è
Ruzante le cui radici affondano nella tradizione plautina
del contadino sciocco e beffato.
Ruzante è come i personaggi di
Bertoldo, Bertoldino e Cacasenno: è il contadino stupido, ma
anche un ladro astuto, è ignorante ma furbo, è ritardato ma scaltro. È un personaggio fantastico,
perché quando sembra furbo è
stupido e viceversa. È veramente
sorprendente quanto i personaggi di Moscheta assomigliano agli
italiani, di ieri e di oggi.
Tutta l’azione ruota intorno a
Betìa, la quale sembra essere
contemporaneamente oggetto
di desiderio maschilista e soggetto che meglio degli altri sa
governare la storia.
Betìa è la donna secondo Ruzante. È un personaggio meraviglioso, insieme superficiale e
complesso, impudico e dolente.
La prima cosa che si nota leggendo il testo è che a lei, a differenza
dei personaggi maschili, è negato
il diritto di parola con il pubblico.
Perché? Nel meraviglioso teatro
arcaico chiamato in causa da
Moscheta, i personaggi hanno
continuamente bisogno di confrontarsi con il pubblico, per farsi
aiutare nella comprensione di sé
e del mondo. Da questo punto di
vista i monologhi di Ruzante e di
Menato sono emblematici. Ma lo
sono anche quelli di Tonin, il
quale si rivolge direttamente allo
spettatore per trarne consiglio o
conforto. Betìa mai; le è permesso parlare solo con i suoi interlocutori maschi. In un certo senso
Tu l l i o S o l e n g h i co n B a r b a r a M o s e l l i
è loro prigioniera. È un essere
umano considerato socialmente
inferiore: non a caso continuamente paragonato agli animali.
Qual è il tono con cui questa
storia viene raccontata?
Proprio come accadrà nel cinema
con la migliore “commedia all’italiana”, in Moscheta non si ha mai
la sensazione di trovarsi davanti a
un fatto di cronaca, a un “fait divers”, ma è chiarissimo che si sta
parlando di un comportamento
socialmente diffuso. Ruzante mette in commedia l’italianità del suo
tempo, e anticipa così Age e Scarpelli, Dino Risi e Mario Monicelli,
saldando una cesura di quasi
quattro secoli che, passata attraverso la grande esperienza goldoniana, ritroverà infine tutta la sua
freschezza e genuinità, anche la
sua salutare cattiveria.
Alla fine, chi vince è Menato?
Il progetto di Menato è terribile:
per riconquistare Betìa espone il
marito a fare una delle sue proverbiali figuracce, ma ottenuto lo
scopo restituisce la moglie a Ruzante, nella convinzione di poter
tornare quando vuole a fare il suo
comodo. Menato vince nella misura in cui riempie di botte i due
rivali, e si porta in casa la femmina. È la legge del più forte. Il finale di Moscheta è estremamente
violento: sia dal punto di vista
delle emozioni che provano i personaggi, sia per quello che accade sulla scena. Pur in un testo che
è esplicitamente attraversato dal
comico (e io non faccio nulla per
nasconderlo), il finale è alquanto
desolato e desolante: se questa
è l’interpretazione di Ru zante
dell’happy end caro alla commedia, si può ben dire che ci sono
modi più gioiosi per concludere
“e vissero tutti felici e contenti”.
In questo trionfo della legge del
più forte, c’è l’immagine di
un’umanità che anche nello
splendore del Rinascimento è
rimasta allo stato animale...
Ma come invitava a fare Montaigne, anche Ruzante continua a
“cercare l’uomo negli altri, in tutti gli altri anche quando sospetta
con buona ragione di vedersi
davanti solo dei grufolanti animali”. E questa ricerca si traduce in
un vitalismo che, nonostante
tutto, crea allegria.
a cura di Aldo Viganò
INTORNO A “MOSCHETA”
A L L’
UNIVERSITÀ
E NEL
FOYER
DELLA
CORTE
In occasione della messa in scena di Moscheta, il Teatro Stabile ha organizzato due
incontri finalizzati ad approfondire i caratteri specifici della sua lettura, parlando
con i protagonisti dello spettacolo. Il primo appuntamento è per giovedì 17
novembre all’Università, dalle ore 11 alle 13 (via Balbi 4, aula M), a cura della
Facoltà di Lettere e Filosofia e della Facoltà di Lingue e Letterature Straniere: per
iniziativa dei professori Alberto Beniscelli, Quinto Marino, Franco Vazzoler e
Manuela Manfredini, Marco Sciaccaluga e gli attori di Moscheta s’incontrano con gli
studenti. Il 23 novembre, poi, Tullio Solenghi, Maurizio Lastrico, Barbara Moselli ed
Enzo Paci converseranno con Umberto Basevi nel Foyer del Teatro della Corte (ore
17.30), nell’ambito delle Conversazioni con i protagonisti, programmate in collaborazione con l’Associazione per il Teatro Stabile di Genova e con I Buonavoglia.
P ER ENTRAMBI GLI INCONTRI , L’ INGRESSO È LIBERO E APERTO A TUTTI .
Lo Stabile in tournée
Misura per misura nella messa
in scena di Marco Sciaccaluga
(protagonista Eros Pagni, con
Roberto Alinghieri, Alice Arcuri, Marco Avogadro, Antonietta
Bello, Massimo Cagnina, Fabrizio Careddu, Gianluca Gobbi, Aldo Ottobrino, Nicola Pannelli, Roberto Serpi, Irene Villa e Antonio
Zavatteri) ha iniziato a Udine, Milano e
Padova la sua tournée che nelle prossime
settimana vedrà lo spettacolo anche a Napoli
(Teatro Mercadante, dal 16 al 27 novembre),
Trieste (Teatro Rossetti, dal 30 novembre al 4
dicembre) e Torino (Teatro Carignano, dal 6 al 18 dicembre).
Dal 29 novembre al 4 dicembre
L’ultima notte. Anatomia di
un suicidio, sarà a Trieste (Sala
Bartoli). All’inizio del 2012,
quindi prende il via anche la
tournée di Nora alla prova, lo
spettacolo che Luca Ronconi
ha tratto da Casa di bambola di
Ibsen, affidando a Mariangela
Melato il doppio ruolo di Nora
e Kristine. Nora alla prova –
interpretato anche da Luciano
Roman, Riccardo Bini, Giovanni Crippa, Orietta Notari, Barbara Moselli e Irene Villa – sarà sui palcoscenici di Bergamo (Teatro Donizetti, dal 17 al
22 gennaio), Cattolica (Teatro Della Regina,
24 e 25 gennaio), Cesena (Teatro Bonci, dal
26 al 29 gennaio), Mestre (Teatro Toniolo,
dal 31 gennaio al 5 febbraio), Padova (Teatro Verdi, dal 7 al 12 febbraio),
Milano (Teatro Strehler, dal 14
al 26 febbraio), Napoli (Teatro Mercadante, dal 29 febbraio all’11 marzo), Roma (Teatro Argentina, dal 13 marzo al
1° aprile) e Palermo (Teatro
Biondo, dall’11 al 22 aprile).
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4 l L’ultima notte
La vita di Raul Gardini nella novità italiana scritta da Corrado Augias e Vladimiro Polchi
L’AVVENTURA DEL “CORSARO”
Dalla Ferruzzi alla Enimont: la scalata di un grande sogno finisce nel naufragio
Terra e Mare. Contadino e
Corsaro. Intelligente e ambizioso, spregiudicato e guascone, impetuoso e ostinato, “giocatore d’azzardo” con il potere, con il denaro, e, forse, con
la vita. È l’uomo pubblico
Raul Gardini che, con la sua
forte personalità e con le sue
“spericolate” imprese, ebbe un
ruolo centrale nello scenario
economico-industriale e per
certi versi anche politico del
nostro Paese, per circa quindici anni: dal 1979, quando ereditò di fatto dal suocero Serafino Ferruzzi, morto in un
incidente aereo, le redini dell’omonimo gruppo, fino al 23
luglio 1993 quando fu trovato
nella sua stanza di palazzo Belgioso, a Milano, ucciso da un
colpo di pistola alla tempia.
Suicidio si decretò, anche se i
dubbi su quella morte, nel pieno della tempesta giudiziaria
di tangentopoli che travolse
anche il Corsaro, non si sono
mai dissolti del tutto.
Ma prima di diventare “corsaro”, di imprese finanziarie e
veliche, Gardini aveva conosciuto bene la terra: quella
che la famiglia di suo padre
(originaria di Ravenna) possedeva lungo il litorale romagnolo e veneto, e quella delle
enormi proprietà fondiarie
che il suocero aveva accumulato in Italia, Stati Uniti e Sud
America. Sui prodotti della
terra Serafino Ferruzzi aveva
fatto crescere anche il suo impero economico: dall’importazione dei cereali alla lavorazione della soia, fino all’acquisizione, nel 1979, del controllo dell’Eridania e di una
quota della Beghin Say, maggiore impresa saccarifera europea. Gardini, che nel 1985
diventa presidente della holding Ferruzzi Finanziaria e
con questa debutta in Borsa,
continua l’opera: conquista la
Beghin Say, assicurandosi cosi la leadership del settore in
Europa, e consolida il predominio del gruppo Ferruzzi in
Italia anche nella lavorazione
di olio di semi e farina di soia.
Ma alla coriacea riservatezza
del suocero, Gardini contrappone stile e comportamenti
molto diversi. Comunica attraverso i mass media, non
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Luciano Roman durante le prove dello spettacolo
UN UOMO E LA SUA ULTIMA NOTTE
Un uomo entra, passo celere, indaffarato, dinamico, bofonchiando tra sé, getta la borsa, si toglie con fastidio la
giacca, prende dalla tasca la pistola, la poggia al suo fianco, beve qualcosa, si butta su una poltrona, scomposto,
affaticato. Accende una sigaretta. Afferra il telefono, chiama: «Ciao, tutto bene, benissimo... Sciocchezze, ma che
vuoi che m’importi. Non possono fare niente. Non me ne può importare di meno... perché io sono così trasparente, così pulito nelle mie cose... che non c’è nulla che mi possa dare fastidio, capito? Io sono uno che non fa niente
che possa essere assunto come notizia di reato... quindi io sono assolutamente tranquillo, è chiaro? Quindi io... mi
mettono le spie dove vogliono... mi controllano le telefonate... non me ne fotte niente... io... tra qualche mese me
ne vado per i cazzi miei da un’altra parte e quindi... vado via da questo paese di merda... di cui sono nauseato,
punto e basta. Sai che cosa resta di me? Questo resta». Parte un filmato: belle barche, vele che schioccano, ragazze in costume, capelli al vento. Comincia così l’ultima notte del protagonista dello spettacolo che abbiamo scritto
ripensando alla vita di Raul Gardini. Nel corso di una nottata – simile a quella del 23 luglio 1993, a Milano – si compie la parabola di un uomo che dialoga con la propria Ombra, e che dall’ostentata sicurezza, arroganza dell’inizio,
cederà progressivamente, quasi svuotandosi. Il forte, teso, soliloquio dell’uomo ha il tono, la cadenza, di chi stia
finalmente facendo i conti con se stesso. Per compiacersi, o forse per trovare motivi di un coraggio che comincia a
mancare. Il suo monologo è intervallato da frequenti proiezioni di filmati (tratti dalle Teche Rai, che qui ringraziamo) che rievocano momenti della sua vita: un’ascesa che per qualche anno è parsa inarrestabile. Ma le immagini,
e le parole rievocano anche gli scontri e i pericoli della politica. Questo testo rappresenta per noi l’ennesima tappa
di un cammino comune cominciato nel 2005 a Parigi con lo spettacolo Aldo Moro. Una tragedia italiana e proseguito negli anni successivi con altri tre spettacoli: Processo a Giulio Cesare. Anatomia di un omicidio - Processo a
Nerone. Le confessioni di Agrippina - Processo a Tiberio. L’ombra del Calvario. Perché abbiamo pensato di portare in
scena una tragedia liberamente ispirata a Raul Gardini? Perché la storia di quest’uomo ci è sembrata esemplificare
bene l’abbraccio tra potere e capitale, tra esigenze politico-sociali e avventura. La storia di un equilibrio difficile,
forse impossibile, un abbraccio che può diventare mortale. A meno di non giocare fino in fondo. Dirà l’Ombra al
protagonista: «Volevi vincere davvero? Quando il gioco s’è fatto troppo duro, dovevi farla la politica, batterti ad
armi pari...». Enrico Mattei diceva dei partiti italiani: «Li uso come un taxi». Ma oggi – per mantenere il potere – non
basta chiedere un passaggio, quel taxi bisogna guidarlo. Il protagonista nello spettacolo afferma: «Che ci voleva,
tre mesi e trasformavo tutto in un partito. Si giocava alla pari, finalmente. Sai che ci vuole per comprarsi questo
paese? Poco: una banca, una squadra di calcio, un giornale. Si gioca a tre punte...». L’Ombra è pronta a replicare: «Ti
rendi conto di quanto costa la politica? Non dico finanziarla, dico farla! Non i giornaletti, i direttori che ti brucano
in mano, che tiri giù dal letto quando ti pare... I telegiornali, i varietà, i grandi rotocalchi. I comizi, i manifesti, fanno
ridere, soldi buttati. Devi creare il consenso, una visione del mondo, imporre il tuo copione alle signore che sfogliano i settimanali dal parrucchiere, devi far sognare i giovani, imbottirgli la testa, e che nessuno ti rubi mai la
scena. Ripeti una bugia mille volte e diventa la verità». Concludiamo queste poche righe con una precisazione: a
eccezione di quanto raccontato nei filmati tratti dalla Teche Rai, le vicende narrate in questo dramma sono frutto
della fantasia degli autori e intendono rispecchiare solo l’atmosfera generale del Paese.
Corrado Augias, Vladimiro Polchi
disdegna affatto le occasioni
pubbliche e si mette in evidenza anche per le sue passioni sportive: quella per la
barca a vela in primis, ma anche quella per la pallavolo,
visto che le due squadre del
gruppo Montedison, Messaggero Volley e Olimpia Teodora, danno ottime prove di sé.
La galassia del gruppo Ferruzzi è già molto articolata
(ne fanno parte anche i cementifici) e solida, quando
Gardini decide di tentare la
conquista di un altro importante settore industriale, che
poi si rivelerà “fatale” per la
sua vicenda umana: quello
della chimica. E, com’è nella
sua personalità, lo fa da temerario, inserendosi nello scontro in atto per il controllo di
Montedison fra il presidente
della società Mario Schimberni e il presidente di Mediobanca Enrico Cuccia. La temerarietà del Corsaro vince:
dopo aver conquistato il 40%
della Montedison, alla fine del
1987 ne diventa presidente e
annuncia di voler integrare le
attività agroalimentari del
gruppo Ferruzzi con quelle
chimiche. Il sogno, però, va a
cozzare con il pesante indebitamento dei due gruppi che
costringe Gardini a chiedere
prima l’aiuto di Cuccia per il
riassetto societario, e poi, nel
1988, gli fa osare una trattativa con Franco Reviglio, presidente di Eni, per dare vita ad
un unico colosso della chimica italiana. Nel 1989 nasce
quindi Enimont, che diventa
una delle prime dieci imprese
chimiche del mondo. Eni e
Montedison si dividono in
parti uguali l’80% del pacchetto e il restante 20 resta
sul mercato borsistico. È subito chiaro che per Gardini il
passo rischia di essere molto
più lungo della gamba, anche
perché, nonostante le “sufficienti garanzie” di maggioranza e opposizione, il decreto di
defiscalizzazione presentato
due volte dal Governo in Parlamento non viene convertito
in legge. Gardini tenta quindi
il colpo grosso: la scalata al
gruppo, rastrellando il più
possibile delle azioni sul mercato. Riesce a presentarsi in
una posizione di maggioranza, ma la sua audacia nel dire
«la chimica sono io» viene punita, perché gli umori del
mondo politico ed economico
sono cambiati. Il presidente
dell’Eni Gabriele Cagliari lo
osteggia e il giudice milanese
Diego Cutrò blocca i titoli di
Enimont sul mercato. La crisi
petrolifera peggiora la situazione e nel 1990 Gardini è costretto a vendere a Eni il suo
40% in Enimont, ma a un
prezzo troppo alto per non finire sotto la lente d’ingrandimento della magistratura. È
l’inizio dell’inchiesta del pool
milanese che porterà alla scoperta della “madre di tutte le
tangenti” dietro l’operazione
Enimont. Gardini reagisce
male al fallimento del suo
sogno: «Ne uscì molto provato nel fisico e nella mente.
Subì la sconfitta e la somatizzò duramente» racconterà
poi Sergio Cusani. La vicenda
darà inizio anche alla rottura
con la famiglia Ferruzzi: nel
1991 i cognati gli tolgono la
fiducia, Carlo Sama prende il
suo posto e, nello stesso anno, Gardini esce dal gruppo. Il
naufragio del suo sogno industriale precede di poco, però,
il periodo di massima popolarità che Gardini vive quando,
nel maggio del 1992, il Moro
di Venezia, la barca a vela
della Montedison, partecipa
alla finale dell’America’s Cup
a San Diego, in California. Le
immagini di Gardini sulla barca fanno il giro del mondo.
Intanto l’inchiesta della magistratura sull’operazione Enimont va avanti e coinvolge dirigenti del gruppo e delle due
società “fondatrici”. Nel luglio
del 1993 due fatti soprattutto
sconvolgono Gardini, che non
aveva ancora incontrato i magistrati di Mani Pulite: la notizia del suicidio in carcere di
Gabriele Cagliari e le indiscrezioni sulle accuse che gli
rivolge, davanti ai magistrati,
Giuseppe Garofano, subentratogli alla presidenza di
Montedison. Il 23 luglio l’avventura del Corsaro finisce
tragicamente, con un colpo di
pistola alla tempia: l’ultima
sconfitta, o l’ultima sfida...
Annamaria Coluccia
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L’ultima notte l 5
A n d r e a L i b e r o v i c i p a r l a d e l l o s p e t t a c o l o L’ u l t i m a n o t t e . A n a t o m i a d i u n s u i c i d i o , d u r a n t e l e p r o v e a l D u s e
L’ombra bianca della coscienza
per una storia in nero
Andrea Liberovici torna – dopo Sei
personaggi.com, Urfaust, Nel nome
di Gesù, Operetta in nero - a mettere in scena uno spettacolo prodotto
dal Teatro Stabile di Genova. Nel
corso degli anni Liberovici ha esplorato la relazione fra musica,
poesia, teatro e tecnologie con importanti artisti come Edoardo Sanguineti, Judith Malina, Peter Greenaway Vittorio Gassman, Claudia
Cardinale Ivry Gitlis, Regina Carter. Recentemente le sue “composizioni“ musicali/visive sono state
eseguite dal Nouvel Ensemble Moderne (Montreal), dalla Toscanini
Orchestra, dal Teatro Carlo Felice
Orchestra e molti altri. L’ultima notte. Anatomia di un suicidio è in scena al Duse dal 22 al 27 novembre.
Intervistato durante le prove, Liberovici ha spiegato le sue chiavi
di lettura del testo di Augias e Polchi fornendo alcune note di regia.
dovuto stare in scena nel ruolo di
Ombra, con un’ombra parlante vera
e propria ma… non un’ombra
nera… ma bianca. Il personaggio di
Ombra, nel testo si evince chiaramente, è un aspetto, o meglio, è la
voce interiore del personaggio
Gardini. Bianca per togliere, simbolicamente, ogni possible connotazione giudicante. Il nero, per noi
occidentali e soprattutto in questo
contesto, avrebbe significato
morte, quindi essendo l’ombra la
“coscienza“ di Gardini, farla nera
sarebbe stato implicitamente darle
una connotazione negativa. La bellezza di questo testo è che non giudica mai, tantomeno Gardini, ma
racconta dei fatti.
LA SCENOGRAFIA ACUSTICA
LO SPETTACOLO
E IL PRESENTE
L’ O m b r a b i a n c a ( s i m u l a z i o n e a l c o m p u t e r )
cronaca mediatica. Benché sia un
evento collocabile storicamente
vent’anni fa, la storia di Gardini ci
racconta, ed ora siamo in grado di
decifrarla con più chiarezza, la tragica storia non soltanto di un uomo,
ma del suicidio di un sistema di
valori deleterio che non può che
concludersi con questo epilogo.
Epilogo di cui noi, uomini del presente, cominciamo finalmente a
prendere consapevolezza ora, dopo
vent’anni, riempiendoci di conseguenza, di domande. La chiave per
capire il testo è tutta nel sottotitolo:
anatomia di un suicidio... ovvero, il
suicidio dell’occidente.
nostro presente. Un presente in cui
vivere con gli altri e ancor di più
vivere per gli altri, sono responsabilità molto severe che quasi nessuno,
oggi, si vuole più assumere. Illusi
dalla moltiplicazione delle illusioni
e dalla nostra presunta identità, cercata avidamente in ogni angolo di
specchio e in ogni simulacro del
potere, stiamo annegando nello stagno di Narciso. Craxi, Berlusconi,
Maddof, il Corsaro, sono stati
modelli, ma modelli tragici.
Interrogarsi e oggettivizzarli, anche
attraverso il teatro, credo sia utile
per uscire dal presente e cominciare a costruire il futuro.
UN PERSONAGGIO TRAGICO
GARDINI E L’OMBRA BIANCA
Ho deciso, registicamente, di seguire non la verosimiglianza di Gardini
(in teatro non ci sono i primi piani
ma la distanza e quindi cercare un
attore da truccare come Gardini,
così come immaginare una scenografia “realista“ mi sembravano
scelte rischiose e poco efficaci), ma
di provare a sondare e approfondire, appunto, il non detto. La persona Gardini diventa teatro, personaggio tragico all’interno di una tragedia che, come dicevo poco fa, è il
Nel testo, così com’è scritto, ci
sono due personaggi in scena:
Gardini e il suo “doppio“ chiamato
Ombra. Ho pensato, visto che da
alcuni anni ormai la mia ricerca è
tutta rivolta ad utilizzare quelle che
io chiamo le nuove macchine teatrali (spazializzazione del suono,
video, microfonazione degli attori
ecc.) per produrre drammaturgia
fuggendo dalla seduzione degli
“effetti speciali“, di sostituire l’attore in carne ed ossa, che avrebbe
INCONTRO CON GLI AUTORI DI “L’ULTIMA NOTTE”
Per iniziativa dell’Associazione “I Buonavoglia”, martedì 22 novembre (ore 17.30), Corrado Augias e Vladimiro Polchi s’incontreranno
con il pubblico nel Foyer del Teatro della Corte. L’ingresso è libero.
Stufo dei vecchi sistemi?
LE PAROLE E IL PERSONAGGIO
Frammenti di un testo tra cronaca e fantasia
A 47 anni ho preso in mano un gruppo che valeva 3 mila miliardi. Undici anni
dopo sai quanto valeva? Dillo, dì’ una cifra! Dai spara: 17 mila! Ravenna seconda solo
a Torino... e questi quattro stronzi! Venivano a brucarmi in mano e adesso... No! li
ributto nel fango dove li ho presi.
Ero il re degli affari, forte nello sport, un eroe che ha fatto sventolare il tricolore nei
mari del mondo. Il Corsaro, buon sangue di Romagna! Che ci voleva, tre mesi e trasformavo tutto in un partito. Si giocava alla pari, finalmente.
Per cacciarmi di casa hanno dovuto sborsare 500 miliardi, tanto vale un ‘contadino’,
come mi chiamavano. Pensavano di offendermi. A me! I contadini come me hanno
sempre una via d’uscita, ricordatelo. Pensi di averli stretti in un angolo e invece...
Sii serio, per favore. Non stiamo in Scandinavia, nemmeno a Zurigo, siamo sotto
le Alpi. Li conosci gli italiani. L’uomo che ordina la ragazza per la notte è un sogno
nel cassetto che hanno tutti. Di più: la vera forza di un politico è dare carne e sangue
ai sogni di milioni, farglieli toccare. C’è bellezza in questo. Salvezza: dal grigiore,
dalla noia, da una vita frustrata. A questo servono i sogni.
Non ti preoccupare, ma no... Guarda, secondo me era solo depressione... mesi in
gattabuia... trattato come un cane... una morte terribile... io semmai... ma no, sto
scherzando, dai... Prenota per stasera... quel ristorantino in fondo al molo... e domani barca grande, mangiamo a bordo, dillo al cuoco... oh, il vino quello dell’altra volta...
Va bene, mi fanno fuori, mi cacciano. E mi caccino! Io comunque in galera non ci
finisco. Non hanno nulla contro di me. Non sarò un cane nel loro canile con la catena al collo. Non troveranno nulla. Nulla! Dovevano trattare, non hanno voluto...Voglio vedere ora chi ci mettono al posto del Corsaro! Dove lo trovano un altro...
...e allora cambia!
www.amorchio.it
Io non amo la televisione e amo il
teatro. Nelle rare cose che guardo e
apprezzo all’interno dei famigerati
palinsesti televisivi ci sono le trasmissioni di Augias. Perché?
Perché la costruzione dei format di
Augias, fin dai titoli (vedi Enigma)
pone delle domande invece di dare
delle risposte. Porre domande è l’atto costitutivo del teatro, ed è per
questo che lo amo, per la sua essenza dinamica. Fornire risposte, invece è prerogativa della televisione
tesa a produrre l’effetto contrario,
ovvero una fruizione passiva. Ecco,
Augias è uno dei pochi autori televisivi che usa il mezzo televisivo in
modo teatrale. Perché questa premessa? Perché questo testo scritto
per il teatro da Augias e Polchi, questa premessa la ribalta. Questo
testo sembra pensato, drammaturgicamente, per la televisione, appare, ad una prima lettura, come lo
script di una docu-fiction. Costruito
con contributi video d’epoca che
vanno a interrompere e a narrare
l’azione di una persona, non di un
personaggio, realmente esistita.
Dov’è però, che diventa, a mio avviso, grande teatro questo testo? In
ciò che non è scritto, vale a dire
nella scelta del tempo. La vera intuizione geniale che hanno avuto gli
autori, infatti, è quella di decidere
di parlare di questo drammatico
event ora, in questo periodo altrettanto drammatico, e di parlarne con
la grammatica della nostra passività... ovvero con il linguaggio della
Io nasco e cresco, prima d’aver fatto la Scuola di Recitazione dello Stabile di Genova, come compositore e
violinista al Conservatorio di Venezia. Vengo da una famiglia di musicisti e il mio approccio alla scena
e all’immagine è sempre un approccio che parte dalla musica. Il suono
e la musica, per me, vengono prima
di ogni senso e di ogni immagine. La
musica è, come dire, la madre di
ogni immaginario e a quanto pare...
anche della tragedia. Nel 1996 con il
poeta e amico Edoardo Sanguineti
abbiamo fondato un gruppo di lavoro su questo presupposto, chiamato, non a caso Teatro del Suono.
Quindi sì, c’è sicuramente molto
suono e molta musica in questo
spettacolo, anche se a volte non si
sente. Intendo dire che ogni spettacolo, per me è musica perché lo
costruisco come una partitura a più
voci: suono, musica, testo, immagini, scena ecc. Nello specifico, nel
corso degli anni, ho lavorato a vari
progetti alla Maison de la Radio e
con il Groupe Recherche Musicale
di Parigi proprio sull’idea di creare,
col suono, quello che i francesi
chiamano cinema per le orecchie e
che io ho ribattezzato scenografia
acustica. Vale a dire la costruzione
di architetture invisibili attraverso
l’organizzazione delle fonti sonore e
della loro spazializzazione. Ma visto
che mi porti a parlare di musica... il
primo amore, mi piacerebbe chiudere questa chiaccherata con una
celebre battuta teatrale di Shakespeare che credo riassuma molti
argomenti fin qui toccati: “L’uomo
che non ha alcuna musica dentro di
sé... è nato per il tradimento, per gli
inganni, per le rapine”.
a cura di a.c.
Il nuovo modo
di fare informazione
Quotidiano
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e tempo libero
in Liguria
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6 l Macbeth
A l D u s e , “e s e r c i t a z i o n e ” s u S h a k e s p e a r e c o n l a S c u o l a d i R e c i t a z i o n e
Macbeth e l’idea del male
Un Macbeth universale, senza
passato, né presente, lontano
dall’attualità ma anche dalla storia. È quello che Massimo Mesciulam metterà in scena dal 10
al 15 gennaio 2012 al Duse, sotto
forma di Esercitazione, con gli
studenti del secondo anno del
Corso di Qualificazione della
Scuola di Recitazione del Teatro
Stabile di Genova.
«L’immagine a cui penso è quella
di un mondo lontano da noi ma
non legato ad alcun momento
della storia, perché si possa
cogliere meglio l’universalità del
testo di Shakespeare. Non ci
sono modernismi, ma universalismi». E l’universalità, in questo
caso, è soprattutto universalità
del male. «Ciò che mi colpisce –
osserva Mesciulam – è che Macbeth, a differenza di altri personaggi scespiriani, viene precipitato nel male da una profezia, quello che succede gli accade perché
gli è stato profetizzato. Jago e
Riccardo III sono “banditori” del
male, Macbeth, invece, vi viene
precipitato. È l’idea del male che
esiste anche senza l’uomo». Un’idea che, evidentemente, apre
interrogativi profondi su un’altra
questione fondamentale: quella
dei confini della responsabilità
dell’uomo rispetto al bene e al
male. «È un mistero non risolto:
come tutti i grandi testi, anche
Macbeth suscita domande piuttosto che dare risposte» commenta
Mesciulam, che non ha ancora
più alto che ci sia a livello poetico
fra i testi di Shakespeare e, quindi, sarà importante anche evidenziare questo aspetto». E per
Mesciulam non fa differenza che
a recitare siano gli studenti dell’ultimo anno della Scuola anziché attori professionisti. «Il mio
atteggiamento non cambia a
seconda della “categoria” di attori con i quali lavoro – spiega –
quello che conta sono le persone,
quello che ciascuno può dare».
Annamaria Coluccia
Ministero Beni e Attività Culturali
soci fondatori
Da sinistra a destra Bernardo Bruno, Gianluca Viola, Emmanuele Aita, Alexander Perotto,
Luca Cicolella, Lorenzo Terenzi, Giovanni Serratore, Damiel Escudier, Francesca
Agostini, Marisa Grimaldo, Angela Ciaburri con Massimo Mesciulam durante le prove
un’idea definita di come si articolerà la rappresentazione. «Si parte da un’immagine ma poi questa
può essere sviluppata e anche
modificata sul palcoscenico»
spiega. «Io non ho un’idea compiuta dello spettacolo prima di
metterlo in scena». E, visto che le
prove sono iniziate da pochi giorni, anche la costruzione dello
spettacolo è appena incominciata. Per Mesciulam poi, che è uno
dei docenti della Scuola dello
Stabile, questa è anche la prima
volta assoluta che si cimenta con
Macbeth. «Finora lo avevo pensato soprattutto come un testo
che mi sarebbe piaciuto affrontare da attore» racconta. «Poi me
lo hanno proposto per l’Esercitazione e, visto che risponde anche alle esigenze che abbiamo per
questo tipo di spettacoli, come
quella di dare spazio a tutti gli
studenti, ho accettato. L’atteggiamento che ho è quello di mettere
in scena una favola per vedere
come va a finire, anche se, ovviamente, conosco il finale». L’allestimento dello spettacolo conterà
su pochi elementi scenografici,
come s’addice per altro alle Esercitazioni. «Mi piacciono gli spazi
puliti, sobri» spiega il regista.
«Quello che voglio rappresentare
è un mondo nel quale bisogna
immaginare e ascoltare più che
vedere. Macbeth ha il linguaggio
COMUNE DI GENOVA
PROVINCIA DI GENOVA
REGIONE LIGURIA
sostenitore
sostenitore
partner della stagione
numero 34 • novembre 2011
Edizioni Teatro Stabile di Genova
piazza Borgo Pila, 42 | 16129 Genova
www. teatrostabilegenova.it
Presidente Prof. Eugenio Pallestrini
Direttore Carlo Repetti
Direttore artististico e organizzativo Carlo Repetti
Condirettore Marco Sciaccaluga
Direttore responsabile Aldo Viganò
Collaborazione Annamaria Coluccia
Segretaria di redazione Monica Speziotto
Autorizzazione Trib. Genova n. 34 del 17/11/2000
Progetto:
art: B.Arena, GE 18211
Stampa: Microart’s Genova
LA TRAGEDIA SUL GRANDE SCHERMO
Orson Welles nel 1948, Akira Kurosawa nel 1957 e Roman Polanski
nel 1971 sono i registi delle tre più
celebri edizioni cinematografiche
di Macbeth. Sulla scia di una sua
precedente messa in scena teatrale, Welles ambienta la tragedia del
“barone di Glamis” in uno spazio
barbaro e pietroso; Kurosawa cambia il titolo in Il trono di sangue e ne
trasferisce l’azione nel Giappone
dei samurai; mentre Polanski accentua in realistici toni horror la
sanguinaria degradazione del protagonista. Ma la tragedia scespiriana era già stata portata numerose
volte sul grande schermo, a cominciare dagli anonimi spezzoni del
1905, per giungere poi alla cinque
bobine, con fotogrammi colorati a
mano, firmate nel 1908 da J. Stuart
Blackton con William V. Ranous, e
l’anno seguente alla edizione italiana di Mario Caserini, con Dante
Cappelli protagonista. Altre edizioni
mute sono quelle con le regie del
francese André Calmettes (1909,
con Paul Mounet), degli statunitensi Will Barker (1911) e Roy Clements (1914), dei tedeschi Arthur
Bourchier (1913) e Heinz Schall
(1922), degli inglesi L.C. MacBean
(1916) e Henry Broughton Parkinson (1922); mentre nel dopoguerra Macbeth è tornato più volte al
cinema negli States (regie di Thomas A. Blair, 1946; George Schaefer, 1954; e William Reilly, 1991),
ma anche in Gran Bretagna (Ken
Hughes, 1955; John Gorrie, 1970;
Philip Casson, 1979), in Francia
(André Barsacq, 1952; Claude
d’Anna, 1987) e in Finlandia (Pauli
Pentti, 1987), sino al Carmelo Bene
di Macbeth Horror Suite (1996).
Datasiel al servizio del
Sistema Liguria
Soluzioni informatiche
innovative per il cittadino.
collegati al territorio
[Datasiel e Regione Liguria]
collegati al futuro
www.datasiel.net
novembre 2011 | marzo 2012
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I n c o n t r i n e l f o y e r, d i a l o g o c o n l e s c u o l e , m o s t r a d i c o l l a g e s , l a p a r o l a a g l i s p e t t a t o r i
Il foyer della Corte piazza aperta alla città
Il progetto di utilizzre il foyer del Teatro della Corte come
una “grande piazza aperta”, lanciato nel 2000 dalla nuova
direzione dello Stabile con il titolo Hellzapoppin. Arte e
artisti nel foyer, trova anche quest’anno una sua attuazione nel programma di una serie di incontri e di manifestazioni capaci di rispondere alle aspettative di un pubblico
molto differenziato per età, per interessi culturali, per
predilezioni artistiche. Ancora una volta, il progetto coinvolge alcuni partner con in primo piano gli amici
dell’Associazione per il Teatro Stabile di Genova e I Buonavoglia, che insieme curano le “Conversazioni con i protagonisti” condotte da Umberto Basevi; mentre per il
quinto anno consecutivo prosegue la collaborazione con
la Fondazione Mario Novaro che, insieme all’Università di
Genova, propone nel 2012 cinque incontri con la cultura
del Novecento, portando in primo piano alcuni autori
liguri che si sono mossi tra letteratura e giornalismo. Poi,
ci saranno anche presentazioni di libri, proiezioni, cerimonie di assegnazione di premi, “reading” collegati ad altre
manifestazioni cittadine (a novembre è il caso del “Festival dell’eccellenza femminile”) o all’appassionata vocazione dell’Associazione culturale “L’incantevole aprile”, che
quest’anno propone nel foyer della Corte tre pomeriggi
di letture dedicate alla corrispondenza amorosa di Antoine de Saint-Exupéry, di Natalia Ginzburg e di Francis
Scott Fitzgerald; ma anche esposizioni come quella
dedicata a I collages di Graziano Irrera, che sarà in mostra
nel foyer del Teatro della Corte sino al 16 novembre.
Graziano Irrera è l’artista genovese autore delle illustrazioni che nella brochure dello Stabile accompagnano quest’anno i singoli spettacoli proposti in cartellone. La Mostra allestita nel foyer comprende, oltre a tutti gli originali dei collages da lui realizzati per la Guida
agli spettacoli, anche altre opere intese a testimoniare
le tappe salienti del percorso artistico di Graziano
Irrera. L’ingresso è libero. Graziano Irrera nasce a
Genova nel 1948. Artista poliedrico e amante delle
ricerca si occupa di design, di arredo e di decorazione
d’interni. Negli anni Ottanta si è dedicato in modo
specifico al Teatro per ragazzi. In seguito, ha approfondito soprattutto la tecnica del collage, esponendo
alcuni suoi lavori anche a Barcellona e a Cadaques.
“Hellzapoppin” nel Foyer della Corte
venerdì 18 novembre, ore 17
“Se mi lasciassi l’eredità delle tue mani”
da “Fuochi” di Marguerite Yourcenar
con Orietta Notari
introduce Paolo Magris
in collaborazione con il Festival dell’eccellenza femminile
Mercoledì 1 febbraio, ore 17.30
Conversazioni con i protagonisti
incontro con Massimo Popolizio e Anna Della Rosa
a cura di Umberto Basevi
in collaborazione con l’Associazione per il Teatro Stabile di Genova
e I Buonavoglia
Mercoledì 23 novembre, ore 17.30
Conversazioni con i protagonisti
incontro con Tullio Solenghi e gli attori di “Moscheta”
a cura di Umberto Basevi
in collaborazione con l’Associazione per il Teatro Stabile di Genova
e I Buonavoglia
Giovedì 2 febbraio, ore 17
Tra letteratura e giornalismo: cinque liguri del Novecento
Flavia Steno
a cura di Ombretta Freschi e Carla Ida Salviati
in collaborazione con la Fondazione Mario Novaro
Mercoledì 14 dicembre ore 16.30
Consegna del Premio “Dante Alighieri”
a Elisabetta Pozzi
a cura della Società Dante Alighieri
Mercoledì 14 dicembre ore 17.30
Conversazioni con i protagonisti
incontro con Elisabetta Pozzi
a cura di Umberto Basevi
in collaborazione con l’Associazione per il Teatro Stabile di Genova
e I Buonavoglia
Mercoledì 11 gennaio ore 17.30
Conversazioni con i protagonisti
incontro con Nello Mascia e gli attori di
“Natale in casa Cupiello”
a cura di Umberto Basevi
in collaborazione con l’Associazione per il Teatro Stabile di Genova
e I Buonavoglia
Venerdì 13 gennaio, ore 17
Pagine messaggere d’amore
“Lettere a una sconosciuta” di A.de Saint-Exupéry
in collaborazione con l’Associazione “L’incantevole aprile”
Mercoledì 18 gennaio, ore 17.30
Conversazioni con i protagonisti
incontro con Valeria Solarino e Valter Malosti
a cura di Umberto Basevi
in collaborazione con l’Associazione per il Teatro Stabile di Genova
e I Buonavoglia
Giovedì 26 gennaio, ore 17.30
Conversazioni con i protagonisti
incontro con Nicoletta Braschi e gli attori di “Tradimenti”
a cura di Umberto Basevi
in collaborazione con l’Associazione per il Teatro Stabile di Genova
e I Buonavoglia
I N G R E S S O
Giovedì 9 febbraio, ore 17
Tra letteratura e giornalismo: cinque liguri del Novecento
Giovanni Boine
a cura di Veronica Pesce e Andrera Aveto
in collaborazione con la Fondazione Mario Novaro
Venerdì 10 febbraio, ore 17
Pagine messaggere d’amore
“Caro Michele” di Natalia Ginzburg: da madre a figlio
in collaborazione con l’Associazione “L’incantevole aprile”
INTORNO AL TESTO E OLTRE
Per il quarto anno consecutivo, il Teatro Stabile di
Genova propone alle scuole della Liguria (e non solo)
il progetto Intorno al testo e oltre, promosso da un
gruppo d’insegnanti coordinato dalla professoressa
Carla Olivari e finalizzato alla formazione di spettatori
consapevoli. Il progetto, che nelle tre stagioni scorse
ha coinvolto una ventina di classi e circa 450 studenti, si avvale della collaborazione della Provincia di
Genova, il cui Assessorato alla Cultura sta valutando la
possibilità di raccogliere in un Cd rom i lavori sinora
realizzati. Gli elaborati (letterari, grafici, multimediali; a
scelta libera) svolti dalle singole classi che aderiranno
all’iniziativa saranno valutati da un’apposita commissione. A supporto di questa iniziativa, lo Stabile di
Genova s’impegna a offrire agli insegnanti e alle classi che aderiranno il più ampio appoggio tecnico-culturale (testi a apparati critici, agevolazioni per assistere agli spettacoli, eventuali incontri con registi e attori). Questi i lavori premiati nelle stagioni precedenti:
2008-2009 - Gomorra - ASFOR Ravasco, classe III Marittimo (Prof.sse Perego e Bertolotti); Vita di Galileo Istituto Sandro Pertini, classe IV D (Prof.sse Badano e
Mori); Il settimo sigillo - Liceo D’Oria, classe V G (Prof.
Martin); Passaggio in India - Liceo Luther King, classe I
B (Prof.ssa Fenzi); Gomorra e Il misantropo - Liceo
Nicoloso da Recco, classi III C, IV B, V C (Prof.sse Antola,
Chicco, Gozzi). 2009-2010 - Non chiamarmi zingaro ASFOR Ravasco, classe III I (Prof.ri Boca, Capostagno,
Perego); La tempesta - Istituto Gastaldi-Abba, classe
IV Q geometri (Prof.ri Alice, Borelli, Tamone); La locandiera - Istituto Montale, classe IV linguistico (Prof.
Thellung); La tempesta - Liceo Beccaria, Mondovì,
classe II B (Prof.ri Casarino e Oreglia); Non chiamarmi
zingaro e Shylock - Liceo D’Oria, classe IV I (Prof.
Martin); Aspettando Godot - Liceo Nicoloso da Recco,
classi V B, V C, IV C (Prof.ssa Chicco). 2010-2011 Piazza d’Italia e La Repubblica di un solo giorno Istituto Gastaldi-Abba, classe V Q geometri (Prof.ssa
Tamone); Controtempo, Girotondo, Nemico di classe Istituto Montale, classe II B (Prof.ssa Gazzo), classe V
C (Prof.ssa Spinelli), classe III A linguistico (Prof.
Thellung); Edipo Re - Liceo Beccaria, Mondovì, classe
III A (Prof. Casarino); Edipo Re - Liceo Klee-Barabino,
classi II H, III sperimentale (Prof.ssa Boschieri).
Mercoledì 15 febbraio, ore 17.30
Conversazioni con i protagonisti
incontro con Umberto Orsini
in collaborazione con Coop Liguria
Giovedì 16 febbraio, ore 17
Tra letteratura e giornalismo: cinque liguri del Novecento
Ettore Cozzani
a cura di Elda Belsito e Marco Vimercati
in collaborazione con la Fondazione Mario Novaro
Mercoledì 22 febbraio, ore 17.30
Conversazioni con i protagonisti
incontro con Elio De Capitani e Ida Marinelli
a cura di Umberto Basevi
in collaborazione con l’Associazione per il Teatro Stabile di Genova
e I Buonavoglia
Giovedì 23 febbraio, ore 17
Tra letteratura e giornalismo: cinque liguri del Novecento
Alessandro Varaldo
a cura di Francesco De Nicola e Alessandro Ferraro
in collaborazione con la Fondazione Mario Novaro
Giovedì 1 marzo, ore 17
Tra letteratura e giornalismo: cinque liguri del Novecento
Giovanni Ansaldo
a cura di Anita Ginella e Diego Divano
in collaborazione con la Fondazione Mario Novaro
L I B E R O
D A L L A
P A R T E
D E G L I
S P E T T A T O R I
CON LA LETTERA RICEVUTA DAGLI STUDENTI DI DUE LICEI DI MONDOVÌ SU «ARLECCHINO SERVITORE DI DUE
PADRONI», “PALCOSCENICO E FOYER” INAUGURA UNO SPAZIO RISERVATO ALLE OPINIONI DEGLI SPETTATORI.
“Oh bella! Ghe ne tanti che cerca un padron, e mi ghe n’ho trovà ganizzazione degli insegnanti che ci hanno offerto nuovamente
do. Como diavol oia da far? Tutti do non li posso servir. No?
questa magnifica opportunità. Benché nell’abito a scacchi varioE perché no? Se uno me manda via, resto con quell’altro.”
pinti del protagonista non ci fosse il veterano Ferruccio Soleri ma
Atto I e già ci si sconquassa dalle risate!
il suo più che degno futuro erede Enrico Bonavera, ancora una
Ancora col sorriso sulle labbra, domenica 16 ottobre, noi, alun- volta lo spettacolo ha pienamente soddisfatto le aspettative
ni del Liceo Classico G.B.Beccaria con qualche amico del Liceo della sala con un divertimento intelligente e un’interpretazione
Scientifico G.B. Vasco, ci siamo allontanati dal Teatro Stabile di vivace e scoppiettante. Che dire? Un Arlecchino davvero moderGenova. Sebbene le ottime condizioni climatiche e i giovani no! Di certo salta all’occhio la bravura degli attori e dei musicisti
animi spensierati invitassero a trascorrere la sacrosanta domeni- fuori scena che hanno saputo ben interagire sia con i colleghi sul
ca pomeriggio magari bighellonando tra gli stand dell’Oktober palco sia con un pubblico reso frizzante dalle copiose risate. Tra
Fest di Genova o passeggiando sul lungomare, da alunni dili- un vecchio suggeritore strapazzato dai suoi attori e un pingue
genti quali siamo abbiamo affrontato, su (vincolante) suggeri- dottorino bolognese, tra una mascolina Beatrice nei panni del
mento dei nostri magistri Stefano Casarino e Giovanni Stefano fratello defunto e un innamoratissimo Florindo, il burlone
Lenta, la superlativa rappresentazione dell’Arlecchino servitore di Arlecchino cerca di districarsi con lazzi e bugie, desiderando soldue padroni di Carlo Goldoni, per la regia di Giorgio Strehler. Se tanto di ottenere almeno un pasto succulento dai due padroni
ci aspettavamo di passare tre intense ore tra uno sbadiglio e l’al- che serve. Forse non è stata poi una decisione tanto sbagliata
tro, maledicendo il giorno in cui avevamo ingenuamente con- quella di accrescere un po’ il nostro bagaglio culturale con una
fermato la nostra presenza, sicuramente sbagliavamo. Allora un buona dose di divertimento.
vivo ringraziamento deve andare al dirigente Paolo Riba e all’or- L’Oktober Fest può certamente aspettare un altro anno!
A GENOVa C’È UN NUOVO MONDO
DA SCOPRIRE. THE SPACE CINEMA.
novembre 2011 | marzo 2012
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spettacoli ospiti
Il portatore di baci
fuori programma
di Roberto Piumini
Duse, 28 novembre
Due voci (Roberto Piumini e Patrizia Ercole) e
un pianoforte (Andrea Basevi) per raccontare la storia di un bacio che la giovane moglie
di un cavaliere partito per la guerra affida a
un servo affinché lo porti fisicamente al
marito. Una favola sull’amore.
28 novembre 2011 > 11 marzo 2012
L’Elettra di Hofmannsthal assomiglia molto
più ad Amleto che alla sua omonima eroina
greca. È personaggio moderno, intento più a
ragionare che a fare. Anche Elettra vuole
uccidere ma non riesce a farlo. L’azione le è
negata. Regia di Carmelo Rifici.
L’uomo prudente
di Carlo Goldoni
Corte, 24 – 29 gennaio
Realismo, ritmo e una buona dose di comicità per raccontare le vicissitudini e le disavventure di quattro uomini e due donne alle
prese con i propri sentimenti. Un ritratto
vitale e iperrealistico della odierna generazione dei trentenni, divisi tra il desiderio di
vivere appieno i propri sentimenti e l’incertezza del futuro. Regia del genovese Rappa,
con i Gloriababbi.
di Stefano Massini da Savonarola
Corte, 20 – 22 dicembre
fuori abbonamento
di Luigi Maio
Duse, 5 – 8 dicembre
fuori programma
di Luisa Rigoli
Duse, 10 dicembre
Luisa Rigoli e suo figlio Federico Sirianni rendono omaggio all’arte di Gabriella Ferri, cantante protagonista di un percorso ricco di
grandi successi che vanno dagli stornelli
romani ai classici napoletani. Un recital
sospeso tra maliconia e gioia di cantare.
di Eduardo De Filippo
Corte, 10 – 15 gennaio
Tradimenti
Canto di Natale
da Charles Dickens
Duse, 20 – 23 dicembre
di maschere... e di teatro, si svolge quella che
è forse la più celebre storia d’amore di tutti i
tempi. Una storia di giovani e di passioni
intense, messa in scena da una compagnia di
giovani e diretta da Giuseppe Marini.
ITIS Galileo
di Francesco Niccolini e Marco Paolini
Corte, 7 – 12 febbraio
Una delle opere maggiori del premio Nobel
Ha
Eduardo definiva Natale in casa Cupiello «una
commedia affatata», cioè magica, perché
ogni volta che gli è capitato di riprenderla cosa che, in un arco di tempo di quasi cinquant’anni (dal 1931 al 1977), si è verificata
moltissime volte - il gradimento del pubblico è stato sempre altissimo. Una commedia
insieme comica e tragica, proposta da Nello
Mascia (regista e interprete).
di August Strindberg
Corte, 17 – 22 gennaio
Dialoghi stringati, ambigue emozioni che filtrano attraverso il fair play dei protagonisti,
ipocrisia dei loro rapporti personali e professionali. I ricordi di una coppia di ex amanti
per la massima cara al drammaturgo inglese: «Nulla mi sembra esistere di più concreto
e di più sfuggente di un essere umano». Con
Nicoletta Braschi.
Blackbird
di David Harrower
Corte, 31 gennaio – 5 febbraio
Uno dei testi che hanno concorso a fondare il
teatro moderno. Nella notte di San Giovanni
la contessina si degrada ai piani inferiori e il
servo sogna la scalata sociale. Sesso, violenza
e lotta di classe. Un classico interpretato daValeria Solarino e Valter Malosti (anche regista).
Interpretato da Marco Paolini, uno spettacolo dedicato al padre della scienza moderna,
che, tra molte divagazioni nel contemporaneo, viene rappresentato come un uomo che
ama la vita e una mente capace di rimanere
aperta al dubbio tutta la vita, fino alla vecchiaia, fino alla fine.
Al dutåur di mât
di Nanni Garella da Scarpetta
Duse, 18 – 22 gennaio
Elisabetta Pozzi torna nel teatro che ne ha
seguito la formazione e il debutto, interpretando un grande personaggio femminile.
Musica dal vivo, narrazione, teatro d’ombre.
Tratto dal celebre racconto di Charles
Dickens, uno spettacolo che si propone come
un modo allegro e divertente per trascorrere
insieme i giorni che precedono il Natale. Con
Carla Peirolero e la compagnia del Suq.
Remake
di Bertolt Brecht
Corte, 14 – 19 febbraio
di Myriam Tanant
Duse, 28 febbraio – 4 marzo
Buffa e mordace parabola sulla corruzione del potere. Ambientata nella coeva
Chicago la cronaca
nera della Berlino
degli anni Trenta. Il gangster Arturo Ui e
l’ombra sinistra di Adolf Hitler. Una farsa tragica e divertente, che invita lo spettatore a
riflettere sui fatti grotteschi rappresentati.
Con Umberto Orsini, regia di Claudio Longhi.
Atto d’amore per una
idea di teatro identificabile con il magistero di Giorgio Strehler,
la francese Myriam Tanant e Giulia Lazzarini intrecciano il tema della memoria teatrale con quello della trasmissione dell’arte sul
palcoscenico: in un tempo in cui fare teatro è,
soprattutto per i giovani, sempre più difficile.
Decamerone
L’arte del dubbio
di Stefano Massini da Carofiglio
Duse, 15 – 19 febbraio
di William Shakespeare
Duse, 31 gennaio – 12 febbraio
In una Verona immaginaria che ferve di vita,
di movimento, di banchetti, di feste, di balli,
di Ugo Chiti da Boccaccio
Duse, 6 – 11 marzo
Libera messa in scena di quattro novelle tratte dal capolavoro di Boccaccio. Uno spettacolo allegro e coinvolgente, nel quale il toscano
Ugo Chiti costruisce un gioco squisitamente
teatrale, fatto di amori e di sghignazzi, di
beffe e di travestimenti, di doppiezze divertite al limite dell’iconoclastia.
Sconsigliato ai minori, un testo sconvolgente
che affonda nei sentimenti di un pedofilo e
della sua vittima. Scritto con sapienza e
intelligenza, uno spettacolo che mette in
scena una realtà tragica, mostrando e non
giudicando. Regia di Lluís Pasqual, con
Massimo Popolizio e Anna Della Rosa.
Romeo e Giulietta
Una risata travolgente che nasce dal connubio tra realtà e finzione. Nanni Garella e due
L’avvelenamento da
amianto. Laura Curino racconta la tragedia diventata simbolo
dei tanti mali della
industrializzazione
contemporanea. Uno spettacolo civile, dedicato a coloro che sono morti lavorando in
nome del benessere delle proprie famiglie e
del riscatto sociale dalla povertà.
La resistibile ascesa
di Arturo Ui
Elektra
di Hugo von Hofmannsthal
Corte, 13 – 18 dicembre
Una commedia contemporanea che mette in
scena un gruppo di adolescenti all’ultimo
anno di college, impegnati con gli esami di
ammissione all’università. Uno spettacolo
sui giovani e per i giovani: i sogni generazionali e le speranze, la rabbia e i progetti per il
futuro. Giovani interpreti affiancati dagli
attori “storici” del Teatro dell’Elfo.
di Laura Curino da Mossano
Duse, 22 – 26 febbraio
di Harold Pinter
Duse, 25 – 29 gennaio
Signorina Giulia
Le infiammate prediche dell’eretico Girolamo
Savonarola, condannato al rogo sulla pubblica piazza fiorentina, prendono corpo e voce
in Don Andrea Gallo, il “prete anarchico”, da
sempre vicino agli ultimi e agli emarginati,
senza nessun timore di entrare in conflitto
con la dottrina della Chiesa, con la società o
con la cultura dominante.
di Alan Bennett
Corte, 21 – 26 febbraio
Malapolvere
Io non taccio
Commedia da camera
Canto... sinno’ me moro
Natale in casa Cupiello
Una storia di corna,
veleni e denaro ambientata in casa Pantalone. Un testo poco
noto di Goldoni che
non si limita a rinverdire la gloriosa tradizione della Commedia dell’Arte, ma anticipa con i toni del “giallo” molti elementi del teatro futuro.
Con Paolo Bonacelli, regia di Franco Però.
Come ha detto la sua autrice Agatha Christie:
«Trappola per topi è il tipo di commedia alla
quale si può portare chiunque e a cui tutti
possono assistere. Non è proprio un dramma, non è proprio uno spettacolo dell’orrore,
non è proprio una commedia brillante, ma
ha qualcosa di tutti tre questi generi e così
accontenta le persone dai gusti più disparati». Con gli Attori & Tecnici.
The History Boys
attori professionisti, Vito e Marina Pitta
(affiancati da una compagnia composta da
pazienti psichiatrici), adattano in bolognese
la commedia Il medico dei pazzi scritta nel
1908 dal napoletano Eduardo Scarpetta e
diventata un film cult con Totò.
di Giampiero Rappa
Duse, 14 – 18 dicembre
di Chloё Moss
Duse, 29 novembre – 4 dicembre
Una fantasia teatral-cameristica che parla di
Dante Alighieri e di Franz Liszt, mescolando
le citazioni nel dialogo tra il “musicattore”
Luigi Maio e il Trio Malebranche. Tra ironia e
omaggio artistico, uno spettacolo per il duecentesimo anniversario della nascita di Liszt.
di Agatha Christie
Corte, 27 dicembre – 1 gennaio
Sogno d’amore
Questa immensa notte
Quando Loredana e Mary escono di prigione,
il mondo esterno non le può aiutare, ma le soffoca e le intimorisce. Tutto quello che prima
evitavano - l’alcool, gli altri o la vita stessa - ora
esplode e le travolge. Rappresentato per la
prima volta a Londra nel 2008, il delicato ritratto di due donne che provano a ricominciare. Regia di Laura Sicignano, con Orietta
Notari e Raffaella Tagliabue.
Trappola per topi
Il dubbio come virtù incarnata nei magistrati inquirenti. Storie di tribunale raccontate
dal magistrato-scrittore Gianrico Carofiglio.
Interrogatori dall’esito imprevedibile e personaggi la cui “verità” emerge involontariamente dalle asprezze del contraddittorio.
Con Ottavia Piccolo e Vittorio Viviani.
a Palazzo Ducale
MOSTRE
Race. Alla conquista del Polo Sud
16 ottobre 2011 – 18 marzo 2012
Van Gogh e il viaggio di Gauguin
12 novembre 2011 – 15 aprile 2012
novembre 2011 | marzo 2012
INCONTRI
Mediterranea 011 - Voci tra le sponde novembre 2011 | maggio 2012
Lezioni di Storia. Noi e gli antichi dicembre 2011 | febbraio 2012
Come cambia la Terra gennaio | marzo 2012
Sopravvivere alla crisi. Cause ed effetti dello tsunami economico gennaio | marzo 2012
L’uomo e il suo cervello. Dai neuroni alla mente gennaio | marzo 2012
Città del noir. La letteratura racconta l’Italia marzo | maggio 2012
La Storia in Piazza. Popoli in movimento 29 marzo | 1 aprile 2012