14-11-2011 14:42 Pagina 1 Tariffa R.O.C.: Poste Italiane S.p.A. -Spedizione in Abbonamento Postale D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n°46) art.1 comma 1, DCB Genova TGE18211_Giornale33.qxp:300x420mm A N N O X I I | N U M E R O 34 | N O V E M B R E 2 0 11 | MA R ZO 2 0 12 2 3 4 5 6 7 8 Moscheta Franco Cardini Gianfranco De Bosio Moscheta Marco Sciaccaluga Lo Stabile in tournée L’ultima notte Vita di Gardini Augias e Polchi L’ultima notte Andrea Liberovici Citazioni Macbeth Massimo Mesciulam Versioni cinematografiche Hellzapoppin Intorno al testo Lettera degli spettatori Ospitalità 23 spettacoli alla Corte e al Duse Alla Cor te Tullio Solenghi interpreta Ruzante; al D use Luciano Roman è Raul Gardini secondo Corrado Augias DUE STORIE ITALIANE Non è facile. Anzi, ad essere sincero, mi è molto difficile parlare in questi momenti di teatro, di Ruzante, di comicità. Di fronte a una città gravemente ferita, di fronte alla morte di persone innocenti, ci si sente un po’ fuori luogo nel desiderio di presentare il lavoro fatto anche in questi giorni drammatici per andare in scena puntualmente e al meglio, per dare al nostro pubblico quanto promesso. Ma se una città, ogni città, ha “un’anima”, e io credo che l’abbia, allora forse anche il nostro lavoro torna utile a ravvivare la forza di quest’anima che Genova ha, da sempre, tenace e determinata. E allora forse serve che i teatri, i cinema, le biblioteche, oltre ai negozi e alle officine, riaccendano al più presto le loro luci, facciano sentire che il cuore della città pulsa di nuovo, serve che noi si faccia conoscere ai giovani (che così grande dimostrazione di generosità hanno ancora una volta dato) le radici della loro cultura anche in un grande autore europeo, Ruzante appunto, molto spesso ignorato a scuola a motivo della difficoltà del suo dialetto-lingua. Serve che noi si riproponga ai nostri anziani la possibilità vitale di passare qualche pomeriggio in compagnia, divertendosi in maniera intelligente, che si proponga agli adulti, insegnanti, professionisti, impiegati, operai, la forza primitiva, violenta ma autentica, di una storia raccontata da un autore del primo Cinquecento, Angelo Beolco detto Ruzante, che Dario Fo, ricevendo il Nobel, definiva così: “Disprezzato dai letterati del suo tempo perché portava in scena il quotidiano, la gioia-disperazione della gente comune, l’ipocrisia e la spocchia dei potenti, la costante ingiustizia”. E forse ha importanza che nell’altro nostro Teatro, il Duse, un testimone intelligente e amato del nostro tempo, Corrado Augias (qui affiancato da Vladimiro Polchi) ci inviti a riflettere su un episodio degli anni più recenti, la tragica morte di Raul Gardini, un episodio che con altri segnò l’inizio di una stagione molto complessa che proprio in questi giorni sembra segnare una svolta importante. Dunque, voglio augurarvi, assieme alle nostre due, in questo caso piccole compagnie, composte dai registi Marco Sciaccaluga e Andrea Liberovici, da Tullio Solenghi (un ritorno fra noi graditissimo), Luciano Roman, Maurizio Lastrico, Barbara Moselli, Enzo Paci, “buon ritorno a teatro”, a quel luogo dove una comunità può riconoscere le sue radici e ritrovare la sua speranza. Carlo Repetti “MOSCHETA” IN SCENA SINO AL 7 DICEMBRE “L’ULTIMA NOTTE” DAL 22 NOVEMBRE Prodotto dalla Stabile genovese L’ultima notte. Anatomia di un suicidio è uno spettacolo riconducibile alla nobile tradizione del teatro civile. Il suo tema centrale è infatti offerto dalla cronaca e dalla discussa personalità di uno dei protagonisti della storia italiana del secondo Novecento: Raul Gardini. Novità italiana scritta da Corrado Augias e Vladimiro Polchi, il racconto si svolge tutto in una notte: molto simile a quella del 23 luglio 1993, a Milano. Un uomo dialoga con la propria Ombra e fa i conti con se stesso. Il suo soliloquio è intervallato dalla proiezione di filmati delle Teche Rai (ricerche a cura di Alessia Casaldi) che rievocano momenti della vita pri- vata e pubblica (tra industria, sport e politica) di Raul Gardini: presidente della Montedison, travolto dalle inchieste di Mani Pulite. Un’ascesa che per qualche anno è parsa inarrestabile, la sua, ma soffocata dall’abbraccio brutale tra potere e capitale. L’ultima notte racconta, prendendosi molte libertà, la storia di questo equilibrio difficile, forse impossibile. Nella consapevolezza che, come dice il personaggio interpretato da Luciano Roman (regia, video e scenografia acustica di Andrea Liberovici, scena e costumi di Guido Fiorato, luci di Sandro Sussi): «Non ci sono più innocenti, i peccati sono collettivi». Novità italiana in scena al Duse dal 22 al 27 novembre. Tu l l i o S o l e n g h i i n u n m o m e nto d e l l o s p e t t a co l o ( Fo to M a rce l l o N o r b e r t h ) La Stagione di produzione dello Stabile alla Corte si apre con un classico del teatro italiano del Cinquecento, interpretato da due protagonisti della comicità contemporanea, Tullio Solenghi e Maurizio Lastrico, con Barbara Moselli ed Enzo Paci. Moscheta mette in scena con originalissima comicità un mondo contadino rozzo e sensuale (dove si parla il dialetto padano), ma comunque migliore di quello affettato e ingannatore della città, nella quale trionfa la lingua “moscheta” che appartiene ai furbi e agli imbroglioni. L’azione si svolge a Padova, dove An- gelo Beolco, detto Ruzante, ambienta con meravigliosa evidenza comica le tribolazioni amorose e gli inganni incrociati di tre uomini (Ruzante, Menato e Tonin) che ruotano intorno alla bella Betìa. Moscheta è messa in scena da Marco Sciaccaluga (scena e costumi di Guido Fiorato, musica di Andrea Nicolini, luci di Sandro Sussi) e il testo è stato reso fruibile anche agli spettatori odierni dal discreto “adattamento” richiesto dallo Stabile genovese a Gianfranco De Bosio, cui si deve sin dai primi anni ‘50 la riscoperta di Ruzante sui palcoscenici italiani. Esercitazione con “Macbeth” al Duse, dal 10 al 15 gennaio. Ingresso libero La tradizionale Esercitazione con i classici, proposta dagli allievi del Secondo anno del Corso di Qualifi cazione della Scuola di Recitazione del Teatro Stabile di Genova con la regia di Massimo Mesciulam, è dedicata quest’anno al Macbeth di William Shakespeare: una tragedia che, come sottolinea il critico statunitense Harold Bloom, ci costringe a «viaggiare dentro al suo cuore scuro, dove ritroveremo noi stessi in maniera più autentica e bizzarra, come assassini nello e dello spirito». La messa in scena di Macbeth si presenta come l’occasione per gli spettatori, come per i suoi giovani interpreti, di entrare dentro a un universo drammaturgico che ha la caratteristica di esserci sempre “contempora- neo”. Un mondo in cui la separazione tra la vita e il palcoscenico, tra dire e recitare, tra sentire e interpretare le proprie emozioni può cessare completamente di esistere, trovando una nuova e autonoma identità nel farsi teatro. Nate negli anni Novanta come lavoro “aperto al pubblico” della Scuola di Recitazione, le Esercitazioni hanno progressivamente assunto un’esplicita valenza laboratoriale, sino a diventare una componente significativa del lavoro produttivo dello Stabile, concorrendo a mettere alla prova le future leve attoriali e a evidenziare, anche sul piano didattico, la complessità dei rapporti che in ogni allestimento si stabilisce tra il testo e gli attori e tra il testo e la sua vita autonoma sul palcoscenico. Luciano Roman durante le prove di L’ultima notte (Foto Alessandra Vinotto) Spettacoli ospiti alla Corte e al Duse: grandi interpreti per autori classici e contemporanei Ironia, divertimento e passione civile Accanto ai dieci spettacoli di produzione, lo Stabile di Genova propone un cartellone d’ospitalità che – in coerenza con lo slogan della Stagione mediato da Oscar Wilde: “Levatemi tutto... ma non le emozioni” – vuole reagire nel segno del comico e dell’ironia alla svalutazione in atto della cultura. Molte sono le occasioni di divertimento proposte dagli spettacoli in programma. Si ride con i classici (Molière, Goldoni, Boccaccio), ma anche con i contemporanei (De Filippo, Scarpetta, Franca Valeri e Joe Orton). Ci si emoziona nel sentirsi parte di una comunità condividendo tensioni culturali, civili e morali, in compagnia di autori e attori che hanno saputo e sanno raccontare l’uomo nella Storia. Si coglie la “necessità” del teatro gra- zie a spettacoli che ci parlano di passione per il denaro (dal dickensiano Canto di Natale a L’uomo prudente di Goldoni), della funzione emblematica e pedagogica della Storia (La resistibile ascesa di Arturo Ui di Brecht con Umberto Orsini o Kohlhaas di von Kleist con Marco Baliani), del- la scuola e dei giovani di fronte alle incertezze del futuro (The History Boys di Bennett), ma anche di amore e di passione (Elektra con la Pozzi, Signorina Giulia con la Solarino, Tradimenti con la Braschi, Romeo e Giulietta, Il principe di Homburg o Sogno d’amore del genovese Giampiero Rappa), di giustizia e civiltà (L’arte del dubbio dal libro di Gianrico Carofiglio e Malapolvere con Laura Curino). E tanto altro ancora. Firmato da autori di ogni tempo, interpretato dagli attori più significativi della scena italiana. Tanti spettacoli per tutti. Un cartellone composto da quarantatré titoli che vanno dal classico al contemporaneo, per un divertimento capace di alimentare “dal vivo” la mente e il cuore. TGE18211_Giornale33.qxp:300x420mm 14-11-2011 14:42 Pagina 2 2 l Moscheta RUZANTE Cancaro, a ho la gran legreza. MENATO E sí a ho lassà buò, vache, cavale, BETÌA Desgraziò, furfante, tasi, tasi! TONIN Öl saress pür el mester del soldat, A ho tanta legreza che la camisa piegore, puorçi e scrove, con tuto, Che volívitu provare? öl plu bel mester che foss, per du rasuni, me sta tanto erta dal culo. A ho guadagnò per vegnire... dove mo? S’avesse vogiù far male, furfante, se no’l foss du cosse: öl menar di mani, tanti dinari, che a me comprerae mezo un buò. Drio na fémena! créditu che me foesse mancò l’occasion? e l’esser obligat a far la guera! IL GIOCO “RUZZANTE” DELL’EROS Vita dei contadini nella pianura padana affamata e attraversata dalle guerre Lo sanno tutti, o dovrebbero quanto meno saperlo, che lo “splendido Rinascimento” fu in realtà un periodo storico durissimo, denso di difficoltà, popolato di affamati, di appestati, di fuorilegge, di poveracci reduci da guerre crudeli e segnati da orribili ferite. Dalla calata nella penisola di Carlo VIII di Francia nel 1494 fino alla pace di Cambrai dell’agosto 1529 tra l’imperatore Carlo V e il re di Francia Francesco I, la penisola fu attraversata da guerre continue: e anche quando l’epicentro delle guerre si spostò verso nord, la penisola restò minacciata dal vicino pericolo ottomano e dalle incursioni corsare barbaresche. Angelo Beolco era nato a Padova verso il 1496 (ma su tale data ci sono molte incertezze) e morì nel 1542. Contrariamente a quel che molti credono date le sue opere, egli non era affatto un contadino. Figlio naturale di un medico che lo lasciò orfano solo nel 1524, quand’egli aveva ormai quasi trent’anni, era vissuto in un colto ambiente borghese e si era assunto, con successo, una serie di còmpiti familiari e amministrativi. Collaborò con l’illuminato aristocratico veneziano Alvise Cornaro, il quale si era molto impegnato nello studio e nella realizzazione di dimore contadine e di opere agricole in grado di migliorare le condizioni di salute e di lavoro delle genti delle campagne. Il Beolco, ben presto famoso col soprannome di “Ruzante” – si polemizza ancora sull’origine di tale pseudonimo: un’allusione al “ruzzo”, al “gioco”, o alla “rozzezza” che le commedie ruzantiane al tempo stesso mostravano e denunziavano? –, creò e perfezionò nelle sue commedie la maschera istrionica del villano che lo avrebbe per sempre caratterizzato. Animatore di una compagnia di “nobili iuvenes” ciascuno dei quali era titolare di un personaggio teatrale, con loro si dette a organizzare spettacoli a Padova e a Venezia tra il 1520 e il 1526 e a Ferrara tra il 1529 e il 1532, dove il Beolco poté giovarsi della collaborazio- Ruzante sulla scena a Genova e in Italia Genova fu una delle prime città italiane ad accogliere con calore di pubblico la novità del linguaggio della Moscheta di Angelo Beolco detto il Ruzante dal personaggio che interpretava: nell’inverno del 1951, sessant’anni or sono, nel teatrino di Piazza Tommaseo, il Teatro dell’Università di Padova, che si vantava di aver riscoperto nel linguaggio originale la commedia capolavoro del Beolco, incontrò il pubblico genovese. Dopo l’ospitalità voluta da Paolo Grassi al Piccolo di Milano, Moscheta venne subito a Genova e una platea di appassionati ne decretò il successo: applaudivano Maurizio Lastrico, Barbara Moselli, Enzo Paci ne di Ludovico Ariosto. Autore e forse soprattutto attore, Ruzante – lo chiameremo col nome del suo personaggio, che peraltro non è un tipo fisso, una “maschera” da Commedia dell’Arte, ma nemmeno un “carattere” – puntava a sottolineare drammaticamente, paradossalmente, le contraddizioni della “naturalità” contadina del suo tempo e dell’area che egli ben conosceva, il delta padano tra la repubblica di San Marco e il ducato di Ferrara: dal conflitto tra una “naturalità” difficile a cogliersi nei suoi tratti strutturali e una “diversità” condizionata da durissime situazioni ambientali, dal conflittuale incrociarsi di un’ottica “cittadina” e una “contadina”, scaturisce una poetica dura, complessa, desolata, nella quale perfino il ridere è amaro e doloroso. Si tratta del concetto (che si potrebbe tranquillamente definire una “poetica”) della “snaturalité”, tipicamente ru zantiano, che senza dubbio moltissimo deve a un “genere” arcaico, quello già tipicamente medievale della “satira del villano”, che chiamava in causa anche la cruda promiscuità sessuale, vizio dei più forti e schiavitù dei più deboli che Ruzante descrive con implacabile “obiettività”, nella quale si vorrebbe davvero esser sicuri di poter discernere la denunzia, specie nella “trilogia” composta tra 1528 e 1529, il Parlamento, il Bilora e il Menego o Dialogo facetissimo, con i “leitmotives” ossessivi della “roba”, dell’“onore” e dell’irrimediabile opposizione tra città e campagna, tra ricchezza e usura da una parte e miseria dall’altra. La Moscheta, 5 atti scritti nel 1529 all’indomani della “trilogia” che segna si può dire la maturità poetica del Beolco, riprende la protagonista femminile e molta parte della tematica della Betìa, scritta quattro-cinque anni prima, nella quale si erano presentate complesse prove di bilinguismo italico-veneto ed era stato affrontato un tema caratteristico fin dall’età giullaresca del “conflitto di culture” tra corte e città da una parte, campagna dall’altro, rappresentato dalla parodia delle discussioni filosofiche sull’amor platonico. Nella Moscheta, commedia di villani sensuali e urbanizzati, si ride aspro e amaro fra tradimenti e bastonate, in un “triangolo amoroso” che presto diventa un quadrato: rivelatore di quanto fragili e labili siano, nella campagna Ruzante: Intermedio d’una comedia alla pavana Orbéntena, el mondo è tutto voltò col cullo in su: femene e uomeni, negun va pì al naturale, e tutti vuol strafare a sgasafazo, volze ontiera el so’ puorpio, e tutti bonamen ha pì piasere del naturale de gi altri che del so’. A’ guardo sto om da ben che è stò chialò adesso a sprolegare: poeva favellare in la soa lengua, e sì l’ha vogiùa muare, e tuore la fiorentinesca, e sì dise ch’el no arae sonò bon a favellare in la soa. [...] A’ ve vuo’ dare un consiegio a tutti: tegnìve al naturale, e no cerché de strafare; a’ no ve digo solamen della lengua, ma an’ del favellare, ma an’ del resto: perché a’ vezo ch’el non basta ch’a’ ve volzì la lengua a favellare fiorentinesco e moscheto, ma a’ ghe magné, e sì ve ghe fé le gonelle, ch’el n’è zà ben fatto! No sarae miegio ch’attendissi cum’ a’ fazzon gnu a magnar de bon pan e de bon formaio salò, e bever de bon vin ch’abia el rocetto, ch’a magnare tanti sauriti e de tanta fatta magnare? Che a’ no assé, cum’ aì, ficò tante ventositè e tante scorientie sempre in la panza e in lo magon, mo a’ sassé norì, bianchi e russi come pumi: guardé cum’ a’ sen gnu dalle ville! [...] Co’ è pì bella cosa del naturale? Mo no canta miegio gi osiegi sui salgari che i no fa in le gabie? Mo no è miegio e pì bello un pollaro de so’ pe’ ca un aotro fatto a man? A’ sarae an’ miegio s’el no fosse ferdo, che andessan tutti com’ a’ sem nassù, nu per nu. Mo no cri’-vu ch’el fosse pì bello a veder una femena nu per nu ca cum tante gonelle e soragonelle? A’ cherzo ben de sì. [...] E perzòntena, brigò, cazzonne tutti un drio l’altro a mantegnir el naturale, e cum’ a’ vi’ un che vaga fuora del naturale, s’el va da un lò andé da l’aoltro cum’ a’ fago mi adesso. Ché quel’om da ben ha muò lengua, mo mi a’ no la vuo’ muare, che s’a’ volesse anca mi favellare fiorentinesco e moschetto e dire «Io le sono» - ch’a’ no le vuogio dire - che, le no sonarae bon an? No’l sârae fare? No, arae mosche! Mo a’ no vuogio. Mo no è pì bello a dire «mi» che «io»? No è pì bello a dire «una vacca» che «una giumenta»? Mo no è pì schietto a dire «un castron» ca «un carniero» cum’ dise i Spagnaruolli? Chi cancaro intenderae che un carniero fosse un castron e una giumenta una vacca? Cancaro ai carnieri e alle giumente! Dasché ‘l sarà pì bel parlar del nostro? E perzòntena a’ vuogio andar drio, a’ so an’ ch’el ve piaserà pì el me’ favellare, che no farae quel de quel om da ben. E da bel mo’ a’ ve vuo’ far zuse, e s’el ve piaserà pì el me’ naturale tegnìve a ello, e s’el ve piaserà pì andar fuora del naturale che a’ vogié cambiar lengua, da bel mo’ in penitentia a’ son contento ch’a’ me togié tutti la mia, ch’a’ ve poissi muare de lengua quando ve piaserà. novembre 2011 | marzo 2012 padane, come nel mondo dell’incipiente (e, in Italia, già fallita) Riforma, le categorie morali e le istituzioni familiari. Un’umanità giocosa e dolente, violenta e paurosa, affamata e sboccata, sensuale e amorale, nella quale la forza della natura e la spinta del bisogno s’impongono stabilendo norme e gerarchie in un orizzonte piatto, sotto un cielo plumbeo, eppur l’uno e gli altri dominati dai lontani, aerei skylines della dot ta e raffinata Padova, della gaudente e turrita Ferrara. Una “commedia umana” spietata dalla quale, paradossalmente, affetti e speranze sembrano spuntare con fatica dal terriccio avaro della fatica e del dolore di vivere. Si ride sullo squadernamento spietato dei vizi e delle debolezze comuni a tutti gli esseri umani, vicino o lontano dal maestoso corso del Po. Ruzante insegna a guardar con disincanto alla condizione condivisa da tutti i nati di donna. E a riderne amaramente, e a liberarsi dall’amarezza: in tristitia hilares, in hilaritate tristes. È mai stato qualcosa di diverso, il vero teatro? Franco Cardini (dal saggio pubblicato nel volume edito da Il Melangolo che accompagna lo spettacolo) Giannino Galloni, i critici teatrali Bassano e Rietmann, e soprattutto Lele Luzzati, che diventerà lo scenografo principe dei miei Ruzante dagli anni Sessanta fino alla sua morte terrena, caro indimenticabile Lele. Gli attori del 1951 erano Cesco Ferro, Ruzante, che poi concluse la sua carriera a Genova, Mario Bardella, Menato, Giulio Bosetti, esemplare soldato bergamasco, Giuliana Pinori, Betìa, e Otello Cazzola nel cammeo del Prologo. Rilievo prevalente dobbiamo dare alla scelta linguistica: fino al 30 novembre del 1950, nessuno aveva osato rappresentare Ruzante nel testo originale. Furono le mie ricerche, con il prezioso aiuto di Ludovico Zorzi, che negli anni Sessanta pubblicherà da Einaudi tutto il teatro di Ruzante e il sostegno del poeta Diego Valeri, presidente del Teatro dell’Università di Padova, a imporre questa scelta, che subito si dimostrò necessaria, e felice. Fu proprio la forza icastica del linguaggio originale a far superare il primo impat- to di difficoltà di comprensione, che sorprendeva e poi affascinava gli spettatori. Così fu a Genova, e poi a Roma, e negli anni successivi e fino ad oggi in tutta Italia, e all’estero dalla Francia alla Russia, dalla Germania ai Paesi nordici, dalla Spagna al Sudamerica, e perfino in Cina. Non mancarono le proteste per la crudezza delle parole e delle situazioni, ma le polemiche accentuarono il successo. Lo Stabile di Torino, con la mia direzione dal 1957 al 1968 fu il luogo privilegiato dei miei esperimenti ruzantiani, con la presenza autorevole di Franco Parenti, e dopo Torino fu Paolo Grassi, da sempre amante del teatro del Beolco, a ospitare al Piccolo La Betìa in prima rappresentazione moderna, e Moscheta. Anche il Teatro del Veneto, con la direzione di Giulio Bosetti, diede spazio al Ruzante. Il Teatro Stabile di Genova non fu da meno. Negli anni Settanta fui invitato da Ivo Chiesa e Luigi Squarzina a mettere in scena L’Anconitana, che ebbe ragguardevole successo, fu rappresentata anche al Teatro Olimpico di Vicenza, con una distribuzione di qualità. E ora, finalmente, Carlo Repetti e Marco Sciaccaluga, al quale si debbono anche preziose incursioni goldoniane, hanno deciso di affrontare il capolavoro tragicomico del Ruzante. Ogni ripresa del Ruzante, in Italia e all’estero, mi fa piacere, ma questa con la regia di Sciaccaluga è quella cui mi sento più vicino. Il riconoscimento della fondamentale importanza del linguaggio pavano è per me la maggiore soddisfazione: in questi sessant’anni il Ruzante è divenuto un autore universale, ma la forza, il colore cupo e violento, la maniera aspra e avvincente della lingua padana, diciamo pure la sua straordinaria teatralità, conservata a secoli di distanza, ne sono la componente essenziale. Gianfranco De Bosio (dal saggio pubblicato nel volume edito da Il Melangolo, che accompagna lo spettacolo) Traduzione dell’Intermezzo di una commedia alla padana Orbene, il mondo è tutto alla rovescia: donne e uomini, nessuno segue più il naturale, e tutti vogliono strafare a più non posso, rigirano volentieri il proprio, e di certo hanno più piacere del naturale degli altri che del proprio. [...] Vi voglio dare un consiglio a tutti: seguite il naturale, e non cercate di strafare; non dico solo per la lingua, ma anche per il parlare, ma anche per il resto: perché vedo che non vi basta di stravolgere la lingua a parlare fiorentino e colto, ma ci mangiate, e in più vi ci fate fare gli abiti, e non va bene! Non sarebbe meglio che badaste come facciamo noi a mangiare del buon pane e del buon formaggio saporito, e bere del buon vino che abbia una vena di aspro, piuttosto che mangiare manicaretti e cibi di tanti tipi? Non avreste, come invece avete, tanti peti e tante scorregge sempre ficcate nella pancia e nello stomaco, ma sareste floridi, bianchi e rossi come mele: guardate come siamo noi contadini! [...] Come si fa a trovare una cosa più bella del naturale? Ma non cantano meglio gli uccelli sui salici che nelle gabbie? Ma non è meglio e più bello un pioppo naturale di un altro artificiale? Sarebbe anche meglio se Angelo Beolco detto Ruzante non fosse freddo, così da andar tutti in giro come siamo nati, completamente nudi. Ma non credete che sia più bello vedere una donna tutta nuda piuttosto che in tante gonnelle e sopragonnelle? Credo proprio di sì. [...] E quindi, brigata, cacciamoci tutti uno dietro l’altro a mantenere il naturale, e quando vedete uno che vada fuori del naturale, se va da un lato andate dall’altro come faccio io adesso. Perché quell’uomo dabbene ha cambiato lingua, ma io non la voglio cambiare, che se volessi anch’io parlare fiorentino e colto e dire «Io le sono» - che non lo voglio dire - che, non suonerebbero bene? Non lo saprei fare? Figurati! Ma non voglio. Ma non è più bello dire «mi» che «io»? Non è più bello dire «una vacca» che «una giumenta»? Ma non è più schietto dire «un castrone» piuttosto che «un carniero» come dicono gli Spagnoli? Chi canchero capirebbe che un carniero è un castrone e una giumenta è una vacca? Canchero ai carnieri e alle giumente! Da quando in qua (lo spagnolo) sarà una lingua più bella della nostra? E quindi voglio continuare, so che vi piacerà più il mio parlare di quello di quell’uomo dabbene. E fin d’ora vi voglio far giudici, e se vi piacerà più il mio naturale seguite quello, e se invece vi piacerà di più andar fuori dal naturale e volete cambiar lingua, seduta stante per penitenza sono contento che prendiate tutti la mia, così vi potrete cambiare di lingua quanto vi piacerà. TGE18211_Giornale33.qxp:300x420mm 14-11-2011 14:42 Pagina 3 Moscheta l 3 Conversazione con Marco Sciacc aluga, regista dello spettacolo in scena al Teatro della Cor te Una commedia all’italiana di cinquecento anni fa Il titolo Moscheta è quanto meno curioso perché pone subito l’accento sul linguaggio (parlar “moscheto” contrapposto all’uso “naturale” del dialetto) quasi a significare che lì sta la prima chiave di lettura della commedia. Il dialetto pavano è per Ruzante una lingua totalmente ispiratrice, nella quale le emozioni umane si definiscono con una forza pregnante che raramente è dato riscontrare a teatro; ma, nello stesso tempo, proprio quella lingua è stata a lungo un grande ostacolo alla sua comprensione, con il risultato che per secoli Ruzante è stato bandito dal repertorio teatrale nazionale, sino a che i francesi negli anni a cavallo tra l’Ottocento e il Novecento, traducendolo, si sono resi conto della grandezza oggettiva di quel teatro e hanno indirettamente stimolato anche gli italiani, con in prima fila Ludovico Zorzi e Gianfranco De Bosio, ai quali va riconosciuto il merito di aver riportato Ruzante sui palcoscenici nazionali sin dai primissimi anni Cinquanta. Qual è l’attualità del teatro di Ruzante? In Ruzante, lo spettatore si trova di fronte a dei personaggi arcaici, che hanno più la genuinità dei prototipi esistenziali e sociali, che la funzione ripetitiva delle maschere della seguente Commedia dell’Arte. Ruzante, Menato, Tonin e Betìa, cioè tutti i personaggi di Moscheta, ci pongono davanti a un teatro insieme raffinato e primitivo che ricorda quello della Grecia classica, essendo personaggi che sembrano provare per la prima volta al mondo certe emozioni. In Moscheta, predominano le emozioni dell’amore, della gelosia, del tradimento; ma l’emozione in genere è il centro e il motore di tutte le commedie di Ruzante: si pensi, ad esempio, alla sua importanza anche in Bilora o nel Parlamento. Ruzante, Betìa e Menato, per altra via anche Tonin, sono contadini inurbati: questa dimensione storico-sociale trova una risonanza nello spettacolo? L’azione di Moscheta si svolge in un borgo di Padova, che con Guido Fiorato abbiamo scelto d’in- B a r b a r a M o s e l l i e E n z o Pa c i Tu l l i o S o l e n g h i e M a u r i z i o L a s t r i c o terpretare come una specie di bidonville, simile a quelle in cui, in ogni epoca socialmente e politicamente dinamica e di trasformazione, finiscono sempre con l’andare ad abitare le classi subalterne. Per raccontare la storia di tre uomini (Ruzante, Menato, Tonin) che ruotano intorno all’attrazione sessuale di una donna (Betìa), abbiamo quindi ambientata l’azione in una specie di accampamento, che suggerisce l’idea di persone che hanno abbandonato il lavoro dei campi per andare in cerca di lavoro in una situazione d’instabilità. Questa immigrazione dalla campagna alla città, che ha avuto nel Cinquecento una sua prima manifestazione, si è poi ripresentata molte volte nel corso della storia d’Italia. Il protagonista di Moscheta è Ruzante le cui radici affondano nella tradizione plautina del contadino sciocco e beffato. Ruzante è come i personaggi di Bertoldo, Bertoldino e Cacasenno: è il contadino stupido, ma anche un ladro astuto, è ignorante ma furbo, è ritardato ma scaltro. È un personaggio fantastico, perché quando sembra furbo è stupido e viceversa. È veramente sorprendente quanto i personaggi di Moscheta assomigliano agli italiani, di ieri e di oggi. Tutta l’azione ruota intorno a Betìa, la quale sembra essere contemporaneamente oggetto di desiderio maschilista e soggetto che meglio degli altri sa governare la storia. Betìa è la donna secondo Ruzante. È un personaggio meraviglioso, insieme superficiale e complesso, impudico e dolente. La prima cosa che si nota leggendo il testo è che a lei, a differenza dei personaggi maschili, è negato il diritto di parola con il pubblico. Perché? Nel meraviglioso teatro arcaico chiamato in causa da Moscheta, i personaggi hanno continuamente bisogno di confrontarsi con il pubblico, per farsi aiutare nella comprensione di sé e del mondo. Da questo punto di vista i monologhi di Ruzante e di Menato sono emblematici. Ma lo sono anche quelli di Tonin, il quale si rivolge direttamente allo spettatore per trarne consiglio o conforto. Betìa mai; le è permesso parlare solo con i suoi interlocutori maschi. In un certo senso Tu l l i o S o l e n g h i co n B a r b a r a M o s e l l i è loro prigioniera. È un essere umano considerato socialmente inferiore: non a caso continuamente paragonato agli animali. Qual è il tono con cui questa storia viene raccontata? Proprio come accadrà nel cinema con la migliore “commedia all’italiana”, in Moscheta non si ha mai la sensazione di trovarsi davanti a un fatto di cronaca, a un “fait divers”, ma è chiarissimo che si sta parlando di un comportamento socialmente diffuso. Ruzante mette in commedia l’italianità del suo tempo, e anticipa così Age e Scarpelli, Dino Risi e Mario Monicelli, saldando una cesura di quasi quattro secoli che, passata attraverso la grande esperienza goldoniana, ritroverà infine tutta la sua freschezza e genuinità, anche la sua salutare cattiveria. Alla fine, chi vince è Menato? Il progetto di Menato è terribile: per riconquistare Betìa espone il marito a fare una delle sue proverbiali figuracce, ma ottenuto lo scopo restituisce la moglie a Ruzante, nella convinzione di poter tornare quando vuole a fare il suo comodo. Menato vince nella misura in cui riempie di botte i due rivali, e si porta in casa la femmina. È la legge del più forte. Il finale di Moscheta è estremamente violento: sia dal punto di vista delle emozioni che provano i personaggi, sia per quello che accade sulla scena. Pur in un testo che è esplicitamente attraversato dal comico (e io non faccio nulla per nasconderlo), il finale è alquanto desolato e desolante: se questa è l’interpretazione di Ru zante dell’happy end caro alla commedia, si può ben dire che ci sono modi più gioiosi per concludere “e vissero tutti felici e contenti”. In questo trionfo della legge del più forte, c’è l’immagine di un’umanità che anche nello splendore del Rinascimento è rimasta allo stato animale... Ma come invitava a fare Montaigne, anche Ruzante continua a “cercare l’uomo negli altri, in tutti gli altri anche quando sospetta con buona ragione di vedersi davanti solo dei grufolanti animali”. E questa ricerca si traduce in un vitalismo che, nonostante tutto, crea allegria. a cura di Aldo Viganò INTORNO A “MOSCHETA” A L L’ UNIVERSITÀ E NEL FOYER DELLA CORTE In occasione della messa in scena di Moscheta, il Teatro Stabile ha organizzato due incontri finalizzati ad approfondire i caratteri specifici della sua lettura, parlando con i protagonisti dello spettacolo. Il primo appuntamento è per giovedì 17 novembre all’Università, dalle ore 11 alle 13 (via Balbi 4, aula M), a cura della Facoltà di Lettere e Filosofia e della Facoltà di Lingue e Letterature Straniere: per iniziativa dei professori Alberto Beniscelli, Quinto Marino, Franco Vazzoler e Manuela Manfredini, Marco Sciaccaluga e gli attori di Moscheta s’incontrano con gli studenti. Il 23 novembre, poi, Tullio Solenghi, Maurizio Lastrico, Barbara Moselli ed Enzo Paci converseranno con Umberto Basevi nel Foyer del Teatro della Corte (ore 17.30), nell’ambito delle Conversazioni con i protagonisti, programmate in collaborazione con l’Associazione per il Teatro Stabile di Genova e con I Buonavoglia. P ER ENTRAMBI GLI INCONTRI , L’ INGRESSO È LIBERO E APERTO A TUTTI . Lo Stabile in tournée Misura per misura nella messa in scena di Marco Sciaccaluga (protagonista Eros Pagni, con Roberto Alinghieri, Alice Arcuri, Marco Avogadro, Antonietta Bello, Massimo Cagnina, Fabrizio Careddu, Gianluca Gobbi, Aldo Ottobrino, Nicola Pannelli, Roberto Serpi, Irene Villa e Antonio Zavatteri) ha iniziato a Udine, Milano e Padova la sua tournée che nelle prossime settimana vedrà lo spettacolo anche a Napoli (Teatro Mercadante, dal 16 al 27 novembre), Trieste (Teatro Rossetti, dal 30 novembre al 4 dicembre) e Torino (Teatro Carignano, dal 6 al 18 dicembre). Dal 29 novembre al 4 dicembre L’ultima notte. Anatomia di un suicidio, sarà a Trieste (Sala Bartoli). All’inizio del 2012, quindi prende il via anche la tournée di Nora alla prova, lo spettacolo che Luca Ronconi ha tratto da Casa di bambola di Ibsen, affidando a Mariangela Melato il doppio ruolo di Nora e Kristine. Nora alla prova – interpretato anche da Luciano Roman, Riccardo Bini, Giovanni Crippa, Orietta Notari, Barbara Moselli e Irene Villa – sarà sui palcoscenici di Bergamo (Teatro Donizetti, dal 17 al 22 gennaio), Cattolica (Teatro Della Regina, 24 e 25 gennaio), Cesena (Teatro Bonci, dal 26 al 29 gennaio), Mestre (Teatro Toniolo, dal 31 gennaio al 5 febbraio), Padova (Teatro Verdi, dal 7 al 12 febbraio), Milano (Teatro Strehler, dal 14 al 26 febbraio), Napoli (Teatro Mercadante, dal 29 febbraio all’11 marzo), Roma (Teatro Argentina, dal 13 marzo al 1° aprile) e Palermo (Teatro Biondo, dall’11 al 22 aprile). novembre 2011 | marzo 2012 TGE18211_Giornale33.qxp:300x420mm 14-11-2011 14:42 Pagina 4 4 l L’ultima notte La vita di Raul Gardini nella novità italiana scritta da Corrado Augias e Vladimiro Polchi L’AVVENTURA DEL “CORSARO” Dalla Ferruzzi alla Enimont: la scalata di un grande sogno finisce nel naufragio Terra e Mare. Contadino e Corsaro. Intelligente e ambizioso, spregiudicato e guascone, impetuoso e ostinato, “giocatore d’azzardo” con il potere, con il denaro, e, forse, con la vita. È l’uomo pubblico Raul Gardini che, con la sua forte personalità e con le sue “spericolate” imprese, ebbe un ruolo centrale nello scenario economico-industriale e per certi versi anche politico del nostro Paese, per circa quindici anni: dal 1979, quando ereditò di fatto dal suocero Serafino Ferruzzi, morto in un incidente aereo, le redini dell’omonimo gruppo, fino al 23 luglio 1993 quando fu trovato nella sua stanza di palazzo Belgioso, a Milano, ucciso da un colpo di pistola alla tempia. Suicidio si decretò, anche se i dubbi su quella morte, nel pieno della tempesta giudiziaria di tangentopoli che travolse anche il Corsaro, non si sono mai dissolti del tutto. Ma prima di diventare “corsaro”, di imprese finanziarie e veliche, Gardini aveva conosciuto bene la terra: quella che la famiglia di suo padre (originaria di Ravenna) possedeva lungo il litorale romagnolo e veneto, e quella delle enormi proprietà fondiarie che il suocero aveva accumulato in Italia, Stati Uniti e Sud America. Sui prodotti della terra Serafino Ferruzzi aveva fatto crescere anche il suo impero economico: dall’importazione dei cereali alla lavorazione della soia, fino all’acquisizione, nel 1979, del controllo dell’Eridania e di una quota della Beghin Say, maggiore impresa saccarifera europea. Gardini, che nel 1985 diventa presidente della holding Ferruzzi Finanziaria e con questa debutta in Borsa, continua l’opera: conquista la Beghin Say, assicurandosi cosi la leadership del settore in Europa, e consolida il predominio del gruppo Ferruzzi in Italia anche nella lavorazione di olio di semi e farina di soia. Ma alla coriacea riservatezza del suocero, Gardini contrappone stile e comportamenti molto diversi. Comunica attraverso i mass media, non novembre 2011 | marzo 2012 Luciano Roman durante le prove dello spettacolo UN UOMO E LA SUA ULTIMA NOTTE Un uomo entra, passo celere, indaffarato, dinamico, bofonchiando tra sé, getta la borsa, si toglie con fastidio la giacca, prende dalla tasca la pistola, la poggia al suo fianco, beve qualcosa, si butta su una poltrona, scomposto, affaticato. Accende una sigaretta. Afferra il telefono, chiama: «Ciao, tutto bene, benissimo... Sciocchezze, ma che vuoi che m’importi. Non possono fare niente. Non me ne può importare di meno... perché io sono così trasparente, così pulito nelle mie cose... che non c’è nulla che mi possa dare fastidio, capito? Io sono uno che non fa niente che possa essere assunto come notizia di reato... quindi io sono assolutamente tranquillo, è chiaro? Quindi io... mi mettono le spie dove vogliono... mi controllano le telefonate... non me ne fotte niente... io... tra qualche mese me ne vado per i cazzi miei da un’altra parte e quindi... vado via da questo paese di merda... di cui sono nauseato, punto e basta. Sai che cosa resta di me? Questo resta». Parte un filmato: belle barche, vele che schioccano, ragazze in costume, capelli al vento. Comincia così l’ultima notte del protagonista dello spettacolo che abbiamo scritto ripensando alla vita di Raul Gardini. Nel corso di una nottata – simile a quella del 23 luglio 1993, a Milano – si compie la parabola di un uomo che dialoga con la propria Ombra, e che dall’ostentata sicurezza, arroganza dell’inizio, cederà progressivamente, quasi svuotandosi. Il forte, teso, soliloquio dell’uomo ha il tono, la cadenza, di chi stia finalmente facendo i conti con se stesso. Per compiacersi, o forse per trovare motivi di un coraggio che comincia a mancare. Il suo monologo è intervallato da frequenti proiezioni di filmati (tratti dalle Teche Rai, che qui ringraziamo) che rievocano momenti della sua vita: un’ascesa che per qualche anno è parsa inarrestabile. Ma le immagini, e le parole rievocano anche gli scontri e i pericoli della politica. Questo testo rappresenta per noi l’ennesima tappa di un cammino comune cominciato nel 2005 a Parigi con lo spettacolo Aldo Moro. Una tragedia italiana e proseguito negli anni successivi con altri tre spettacoli: Processo a Giulio Cesare. Anatomia di un omicidio - Processo a Nerone. Le confessioni di Agrippina - Processo a Tiberio. L’ombra del Calvario. Perché abbiamo pensato di portare in scena una tragedia liberamente ispirata a Raul Gardini? Perché la storia di quest’uomo ci è sembrata esemplificare bene l’abbraccio tra potere e capitale, tra esigenze politico-sociali e avventura. La storia di un equilibrio difficile, forse impossibile, un abbraccio che può diventare mortale. A meno di non giocare fino in fondo. Dirà l’Ombra al protagonista: «Volevi vincere davvero? Quando il gioco s’è fatto troppo duro, dovevi farla la politica, batterti ad armi pari...». Enrico Mattei diceva dei partiti italiani: «Li uso come un taxi». Ma oggi – per mantenere il potere – non basta chiedere un passaggio, quel taxi bisogna guidarlo. Il protagonista nello spettacolo afferma: «Che ci voleva, tre mesi e trasformavo tutto in un partito. Si giocava alla pari, finalmente. Sai che ci vuole per comprarsi questo paese? Poco: una banca, una squadra di calcio, un giornale. Si gioca a tre punte...». L’Ombra è pronta a replicare: «Ti rendi conto di quanto costa la politica? Non dico finanziarla, dico farla! Non i giornaletti, i direttori che ti brucano in mano, che tiri giù dal letto quando ti pare... I telegiornali, i varietà, i grandi rotocalchi. I comizi, i manifesti, fanno ridere, soldi buttati. Devi creare il consenso, una visione del mondo, imporre il tuo copione alle signore che sfogliano i settimanali dal parrucchiere, devi far sognare i giovani, imbottirgli la testa, e che nessuno ti rubi mai la scena. Ripeti una bugia mille volte e diventa la verità». Concludiamo queste poche righe con una precisazione: a eccezione di quanto raccontato nei filmati tratti dalla Teche Rai, le vicende narrate in questo dramma sono frutto della fantasia degli autori e intendono rispecchiare solo l’atmosfera generale del Paese. Corrado Augias, Vladimiro Polchi disdegna affatto le occasioni pubbliche e si mette in evidenza anche per le sue passioni sportive: quella per la barca a vela in primis, ma anche quella per la pallavolo, visto che le due squadre del gruppo Montedison, Messaggero Volley e Olimpia Teodora, danno ottime prove di sé. La galassia del gruppo Ferruzzi è già molto articolata (ne fanno parte anche i cementifici) e solida, quando Gardini decide di tentare la conquista di un altro importante settore industriale, che poi si rivelerà “fatale” per la sua vicenda umana: quello della chimica. E, com’è nella sua personalità, lo fa da temerario, inserendosi nello scontro in atto per il controllo di Montedison fra il presidente della società Mario Schimberni e il presidente di Mediobanca Enrico Cuccia. La temerarietà del Corsaro vince: dopo aver conquistato il 40% della Montedison, alla fine del 1987 ne diventa presidente e annuncia di voler integrare le attività agroalimentari del gruppo Ferruzzi con quelle chimiche. Il sogno, però, va a cozzare con il pesante indebitamento dei due gruppi che costringe Gardini a chiedere prima l’aiuto di Cuccia per il riassetto societario, e poi, nel 1988, gli fa osare una trattativa con Franco Reviglio, presidente di Eni, per dare vita ad un unico colosso della chimica italiana. Nel 1989 nasce quindi Enimont, che diventa una delle prime dieci imprese chimiche del mondo. Eni e Montedison si dividono in parti uguali l’80% del pacchetto e il restante 20 resta sul mercato borsistico. È subito chiaro che per Gardini il passo rischia di essere molto più lungo della gamba, anche perché, nonostante le “sufficienti garanzie” di maggioranza e opposizione, il decreto di defiscalizzazione presentato due volte dal Governo in Parlamento non viene convertito in legge. Gardini tenta quindi il colpo grosso: la scalata al gruppo, rastrellando il più possibile delle azioni sul mercato. Riesce a presentarsi in una posizione di maggioranza, ma la sua audacia nel dire «la chimica sono io» viene punita, perché gli umori del mondo politico ed economico sono cambiati. Il presidente dell’Eni Gabriele Cagliari lo osteggia e il giudice milanese Diego Cutrò blocca i titoli di Enimont sul mercato. La crisi petrolifera peggiora la situazione e nel 1990 Gardini è costretto a vendere a Eni il suo 40% in Enimont, ma a un prezzo troppo alto per non finire sotto la lente d’ingrandimento della magistratura. È l’inizio dell’inchiesta del pool milanese che porterà alla scoperta della “madre di tutte le tangenti” dietro l’operazione Enimont. Gardini reagisce male al fallimento del suo sogno: «Ne uscì molto provato nel fisico e nella mente. Subì la sconfitta e la somatizzò duramente» racconterà poi Sergio Cusani. La vicenda darà inizio anche alla rottura con la famiglia Ferruzzi: nel 1991 i cognati gli tolgono la fiducia, Carlo Sama prende il suo posto e, nello stesso anno, Gardini esce dal gruppo. Il naufragio del suo sogno industriale precede di poco, però, il periodo di massima popolarità che Gardini vive quando, nel maggio del 1992, il Moro di Venezia, la barca a vela della Montedison, partecipa alla finale dell’America’s Cup a San Diego, in California. Le immagini di Gardini sulla barca fanno il giro del mondo. Intanto l’inchiesta della magistratura sull’operazione Enimont va avanti e coinvolge dirigenti del gruppo e delle due società “fondatrici”. Nel luglio del 1993 due fatti soprattutto sconvolgono Gardini, che non aveva ancora incontrato i magistrati di Mani Pulite: la notizia del suicidio in carcere di Gabriele Cagliari e le indiscrezioni sulle accuse che gli rivolge, davanti ai magistrati, Giuseppe Garofano, subentratogli alla presidenza di Montedison. Il 23 luglio l’avventura del Corsaro finisce tragicamente, con un colpo di pistola alla tempia: l’ultima sconfitta, o l’ultima sfida... Annamaria Coluccia TGE18211_Giornale33.qxp:300x420mm 14-11-2011 14:42 Pagina 5 L’ultima notte l 5 A n d r e a L i b e r o v i c i p a r l a d e l l o s p e t t a c o l o L’ u l t i m a n o t t e . A n a t o m i a d i u n s u i c i d i o , d u r a n t e l e p r o v e a l D u s e L’ombra bianca della coscienza per una storia in nero Andrea Liberovici torna – dopo Sei personaggi.com, Urfaust, Nel nome di Gesù, Operetta in nero - a mettere in scena uno spettacolo prodotto dal Teatro Stabile di Genova. Nel corso degli anni Liberovici ha esplorato la relazione fra musica, poesia, teatro e tecnologie con importanti artisti come Edoardo Sanguineti, Judith Malina, Peter Greenaway Vittorio Gassman, Claudia Cardinale Ivry Gitlis, Regina Carter. Recentemente le sue “composizioni“ musicali/visive sono state eseguite dal Nouvel Ensemble Moderne (Montreal), dalla Toscanini Orchestra, dal Teatro Carlo Felice Orchestra e molti altri. L’ultima notte. Anatomia di un suicidio è in scena al Duse dal 22 al 27 novembre. Intervistato durante le prove, Liberovici ha spiegato le sue chiavi di lettura del testo di Augias e Polchi fornendo alcune note di regia. dovuto stare in scena nel ruolo di Ombra, con un’ombra parlante vera e propria ma… non un’ombra nera… ma bianca. Il personaggio di Ombra, nel testo si evince chiaramente, è un aspetto, o meglio, è la voce interiore del personaggio Gardini. Bianca per togliere, simbolicamente, ogni possible connotazione giudicante. Il nero, per noi occidentali e soprattutto in questo contesto, avrebbe significato morte, quindi essendo l’ombra la “coscienza“ di Gardini, farla nera sarebbe stato implicitamente darle una connotazione negativa. La bellezza di questo testo è che non giudica mai, tantomeno Gardini, ma racconta dei fatti. LA SCENOGRAFIA ACUSTICA LO SPETTACOLO E IL PRESENTE L’ O m b r a b i a n c a ( s i m u l a z i o n e a l c o m p u t e r ) cronaca mediatica. Benché sia un evento collocabile storicamente vent’anni fa, la storia di Gardini ci racconta, ed ora siamo in grado di decifrarla con più chiarezza, la tragica storia non soltanto di un uomo, ma del suicidio di un sistema di valori deleterio che non può che concludersi con questo epilogo. Epilogo di cui noi, uomini del presente, cominciamo finalmente a prendere consapevolezza ora, dopo vent’anni, riempiendoci di conseguenza, di domande. La chiave per capire il testo è tutta nel sottotitolo: anatomia di un suicidio... ovvero, il suicidio dell’occidente. nostro presente. Un presente in cui vivere con gli altri e ancor di più vivere per gli altri, sono responsabilità molto severe che quasi nessuno, oggi, si vuole più assumere. Illusi dalla moltiplicazione delle illusioni e dalla nostra presunta identità, cercata avidamente in ogni angolo di specchio e in ogni simulacro del potere, stiamo annegando nello stagno di Narciso. Craxi, Berlusconi, Maddof, il Corsaro, sono stati modelli, ma modelli tragici. Interrogarsi e oggettivizzarli, anche attraverso il teatro, credo sia utile per uscire dal presente e cominciare a costruire il futuro. UN PERSONAGGIO TRAGICO GARDINI E L’OMBRA BIANCA Ho deciso, registicamente, di seguire non la verosimiglianza di Gardini (in teatro non ci sono i primi piani ma la distanza e quindi cercare un attore da truccare come Gardini, così come immaginare una scenografia “realista“ mi sembravano scelte rischiose e poco efficaci), ma di provare a sondare e approfondire, appunto, il non detto. La persona Gardini diventa teatro, personaggio tragico all’interno di una tragedia che, come dicevo poco fa, è il Nel testo, così com’è scritto, ci sono due personaggi in scena: Gardini e il suo “doppio“ chiamato Ombra. Ho pensato, visto che da alcuni anni ormai la mia ricerca è tutta rivolta ad utilizzare quelle che io chiamo le nuove macchine teatrali (spazializzazione del suono, video, microfonazione degli attori ecc.) per produrre drammaturgia fuggendo dalla seduzione degli “effetti speciali“, di sostituire l’attore in carne ed ossa, che avrebbe INCONTRO CON GLI AUTORI DI “L’ULTIMA NOTTE” Per iniziativa dell’Associazione “I Buonavoglia”, martedì 22 novembre (ore 17.30), Corrado Augias e Vladimiro Polchi s’incontreranno con il pubblico nel Foyer del Teatro della Corte. L’ingresso è libero. Stufo dei vecchi sistemi? LE PAROLE E IL PERSONAGGIO Frammenti di un testo tra cronaca e fantasia A 47 anni ho preso in mano un gruppo che valeva 3 mila miliardi. Undici anni dopo sai quanto valeva? Dillo, dì’ una cifra! Dai spara: 17 mila! Ravenna seconda solo a Torino... e questi quattro stronzi! Venivano a brucarmi in mano e adesso... No! li ributto nel fango dove li ho presi. Ero il re degli affari, forte nello sport, un eroe che ha fatto sventolare il tricolore nei mari del mondo. Il Corsaro, buon sangue di Romagna! Che ci voleva, tre mesi e trasformavo tutto in un partito. Si giocava alla pari, finalmente. Per cacciarmi di casa hanno dovuto sborsare 500 miliardi, tanto vale un ‘contadino’, come mi chiamavano. Pensavano di offendermi. A me! I contadini come me hanno sempre una via d’uscita, ricordatelo. Pensi di averli stretti in un angolo e invece... Sii serio, per favore. Non stiamo in Scandinavia, nemmeno a Zurigo, siamo sotto le Alpi. Li conosci gli italiani. L’uomo che ordina la ragazza per la notte è un sogno nel cassetto che hanno tutti. Di più: la vera forza di un politico è dare carne e sangue ai sogni di milioni, farglieli toccare. C’è bellezza in questo. Salvezza: dal grigiore, dalla noia, da una vita frustrata. A questo servono i sogni. Non ti preoccupare, ma no... Guarda, secondo me era solo depressione... mesi in gattabuia... trattato come un cane... una morte terribile... io semmai... ma no, sto scherzando, dai... Prenota per stasera... quel ristorantino in fondo al molo... e domani barca grande, mangiamo a bordo, dillo al cuoco... oh, il vino quello dell’altra volta... Va bene, mi fanno fuori, mi cacciano. E mi caccino! Io comunque in galera non ci finisco. Non hanno nulla contro di me. Non sarò un cane nel loro canile con la catena al collo. Non troveranno nulla. Nulla! Dovevano trattare, non hanno voluto...Voglio vedere ora chi ci mettono al posto del Corsaro! Dove lo trovano un altro... ...e allora cambia! www.amorchio.it Io non amo la televisione e amo il teatro. Nelle rare cose che guardo e apprezzo all’interno dei famigerati palinsesti televisivi ci sono le trasmissioni di Augias. Perché? Perché la costruzione dei format di Augias, fin dai titoli (vedi Enigma) pone delle domande invece di dare delle risposte. Porre domande è l’atto costitutivo del teatro, ed è per questo che lo amo, per la sua essenza dinamica. Fornire risposte, invece è prerogativa della televisione tesa a produrre l’effetto contrario, ovvero una fruizione passiva. Ecco, Augias è uno dei pochi autori televisivi che usa il mezzo televisivo in modo teatrale. Perché questa premessa? Perché questo testo scritto per il teatro da Augias e Polchi, questa premessa la ribalta. Questo testo sembra pensato, drammaturgicamente, per la televisione, appare, ad una prima lettura, come lo script di una docu-fiction. Costruito con contributi video d’epoca che vanno a interrompere e a narrare l’azione di una persona, non di un personaggio, realmente esistita. Dov’è però, che diventa, a mio avviso, grande teatro questo testo? In ciò che non è scritto, vale a dire nella scelta del tempo. La vera intuizione geniale che hanno avuto gli autori, infatti, è quella di decidere di parlare di questo drammatico event ora, in questo periodo altrettanto drammatico, e di parlarne con la grammatica della nostra passività... ovvero con il linguaggio della Io nasco e cresco, prima d’aver fatto la Scuola di Recitazione dello Stabile di Genova, come compositore e violinista al Conservatorio di Venezia. Vengo da una famiglia di musicisti e il mio approccio alla scena e all’immagine è sempre un approccio che parte dalla musica. Il suono e la musica, per me, vengono prima di ogni senso e di ogni immagine. La musica è, come dire, la madre di ogni immaginario e a quanto pare... anche della tragedia. Nel 1996 con il poeta e amico Edoardo Sanguineti abbiamo fondato un gruppo di lavoro su questo presupposto, chiamato, non a caso Teatro del Suono. Quindi sì, c’è sicuramente molto suono e molta musica in questo spettacolo, anche se a volte non si sente. Intendo dire che ogni spettacolo, per me è musica perché lo costruisco come una partitura a più voci: suono, musica, testo, immagini, scena ecc. Nello specifico, nel corso degli anni, ho lavorato a vari progetti alla Maison de la Radio e con il Groupe Recherche Musicale di Parigi proprio sull’idea di creare, col suono, quello che i francesi chiamano cinema per le orecchie e che io ho ribattezzato scenografia acustica. Vale a dire la costruzione di architetture invisibili attraverso l’organizzazione delle fonti sonore e della loro spazializzazione. Ma visto che mi porti a parlare di musica... il primo amore, mi piacerebbe chiudere questa chiaccherata con una celebre battuta teatrale di Shakespeare che credo riassuma molti argomenti fin qui toccati: “L’uomo che non ha alcuna musica dentro di sé... è nato per il tradimento, per gli inganni, per le rapine”. a cura di a.c. Il nuovo modo di fare informazione Quotidiano ON-LINE di cultura e tempo libero in Liguria novembre 2011 | marzo 2012 TGE18211_Giornale33.qxp:300x420mm 14-11-2011 14:42 Pagina 6 6 l Macbeth A l D u s e , “e s e r c i t a z i o n e ” s u S h a k e s p e a r e c o n l a S c u o l a d i R e c i t a z i o n e Macbeth e l’idea del male Un Macbeth universale, senza passato, né presente, lontano dall’attualità ma anche dalla storia. È quello che Massimo Mesciulam metterà in scena dal 10 al 15 gennaio 2012 al Duse, sotto forma di Esercitazione, con gli studenti del secondo anno del Corso di Qualificazione della Scuola di Recitazione del Teatro Stabile di Genova. «L’immagine a cui penso è quella di un mondo lontano da noi ma non legato ad alcun momento della storia, perché si possa cogliere meglio l’universalità del testo di Shakespeare. Non ci sono modernismi, ma universalismi». E l’universalità, in questo caso, è soprattutto universalità del male. «Ciò che mi colpisce – osserva Mesciulam – è che Macbeth, a differenza di altri personaggi scespiriani, viene precipitato nel male da una profezia, quello che succede gli accade perché gli è stato profetizzato. Jago e Riccardo III sono “banditori” del male, Macbeth, invece, vi viene precipitato. È l’idea del male che esiste anche senza l’uomo». Un’idea che, evidentemente, apre interrogativi profondi su un’altra questione fondamentale: quella dei confini della responsabilità dell’uomo rispetto al bene e al male. «È un mistero non risolto: come tutti i grandi testi, anche Macbeth suscita domande piuttosto che dare risposte» commenta Mesciulam, che non ha ancora più alto che ci sia a livello poetico fra i testi di Shakespeare e, quindi, sarà importante anche evidenziare questo aspetto». E per Mesciulam non fa differenza che a recitare siano gli studenti dell’ultimo anno della Scuola anziché attori professionisti. «Il mio atteggiamento non cambia a seconda della “categoria” di attori con i quali lavoro – spiega – quello che conta sono le persone, quello che ciascuno può dare». Annamaria Coluccia Ministero Beni e Attività Culturali soci fondatori Da sinistra a destra Bernardo Bruno, Gianluca Viola, Emmanuele Aita, Alexander Perotto, Luca Cicolella, Lorenzo Terenzi, Giovanni Serratore, Damiel Escudier, Francesca Agostini, Marisa Grimaldo, Angela Ciaburri con Massimo Mesciulam durante le prove un’idea definita di come si articolerà la rappresentazione. «Si parte da un’immagine ma poi questa può essere sviluppata e anche modificata sul palcoscenico» spiega. «Io non ho un’idea compiuta dello spettacolo prima di metterlo in scena». E, visto che le prove sono iniziate da pochi giorni, anche la costruzione dello spettacolo è appena incominciata. Per Mesciulam poi, che è uno dei docenti della Scuola dello Stabile, questa è anche la prima volta assoluta che si cimenta con Macbeth. «Finora lo avevo pensato soprattutto come un testo che mi sarebbe piaciuto affrontare da attore» racconta. «Poi me lo hanno proposto per l’Esercitazione e, visto che risponde anche alle esigenze che abbiamo per questo tipo di spettacoli, come quella di dare spazio a tutti gli studenti, ho accettato. L’atteggiamento che ho è quello di mettere in scena una favola per vedere come va a finire, anche se, ovviamente, conosco il finale». L’allestimento dello spettacolo conterà su pochi elementi scenografici, come s’addice per altro alle Esercitazioni. «Mi piacciono gli spazi puliti, sobri» spiega il regista. «Quello che voglio rappresentare è un mondo nel quale bisogna immaginare e ascoltare più che vedere. Macbeth ha il linguaggio COMUNE DI GENOVA PROVINCIA DI GENOVA REGIONE LIGURIA sostenitore sostenitore partner della stagione numero 34 • novembre 2011 Edizioni Teatro Stabile di Genova piazza Borgo Pila, 42 | 16129 Genova www. teatrostabilegenova.it Presidente Prof. Eugenio Pallestrini Direttore Carlo Repetti Direttore artististico e organizzativo Carlo Repetti Condirettore Marco Sciaccaluga Direttore responsabile Aldo Viganò Collaborazione Annamaria Coluccia Segretaria di redazione Monica Speziotto Autorizzazione Trib. Genova n. 34 del 17/11/2000 Progetto: art: B.Arena, GE 18211 Stampa: Microart’s Genova LA TRAGEDIA SUL GRANDE SCHERMO Orson Welles nel 1948, Akira Kurosawa nel 1957 e Roman Polanski nel 1971 sono i registi delle tre più celebri edizioni cinematografiche di Macbeth. Sulla scia di una sua precedente messa in scena teatrale, Welles ambienta la tragedia del “barone di Glamis” in uno spazio barbaro e pietroso; Kurosawa cambia il titolo in Il trono di sangue e ne trasferisce l’azione nel Giappone dei samurai; mentre Polanski accentua in realistici toni horror la sanguinaria degradazione del protagonista. Ma la tragedia scespiriana era già stata portata numerose volte sul grande schermo, a cominciare dagli anonimi spezzoni del 1905, per giungere poi alla cinque bobine, con fotogrammi colorati a mano, firmate nel 1908 da J. Stuart Blackton con William V. Ranous, e l’anno seguente alla edizione italiana di Mario Caserini, con Dante Cappelli protagonista. Altre edizioni mute sono quelle con le regie del francese André Calmettes (1909, con Paul Mounet), degli statunitensi Will Barker (1911) e Roy Clements (1914), dei tedeschi Arthur Bourchier (1913) e Heinz Schall (1922), degli inglesi L.C. MacBean (1916) e Henry Broughton Parkinson (1922); mentre nel dopoguerra Macbeth è tornato più volte al cinema negli States (regie di Thomas A. Blair, 1946; George Schaefer, 1954; e William Reilly, 1991), ma anche in Gran Bretagna (Ken Hughes, 1955; John Gorrie, 1970; Philip Casson, 1979), in Francia (André Barsacq, 1952; Claude d’Anna, 1987) e in Finlandia (Pauli Pentti, 1987), sino al Carmelo Bene di Macbeth Horror Suite (1996). Datasiel al servizio del Sistema Liguria Soluzioni informatiche innovative per il cittadino. collegati al territorio [Datasiel e Regione Liguria] collegati al futuro www.datasiel.net novembre 2011 | marzo 2012 TGE18211_Giornale33.qxp:300x420mm 14-11-2011 14:42 Pagina 7 l 7 I n c o n t r i n e l f o y e r, d i a l o g o c o n l e s c u o l e , m o s t r a d i c o l l a g e s , l a p a r o l a a g l i s p e t t a t o r i Il foyer della Corte piazza aperta alla città Il progetto di utilizzre il foyer del Teatro della Corte come una “grande piazza aperta”, lanciato nel 2000 dalla nuova direzione dello Stabile con il titolo Hellzapoppin. Arte e artisti nel foyer, trova anche quest’anno una sua attuazione nel programma di una serie di incontri e di manifestazioni capaci di rispondere alle aspettative di un pubblico molto differenziato per età, per interessi culturali, per predilezioni artistiche. Ancora una volta, il progetto coinvolge alcuni partner con in primo piano gli amici dell’Associazione per il Teatro Stabile di Genova e I Buonavoglia, che insieme curano le “Conversazioni con i protagonisti” condotte da Umberto Basevi; mentre per il quinto anno consecutivo prosegue la collaborazione con la Fondazione Mario Novaro che, insieme all’Università di Genova, propone nel 2012 cinque incontri con la cultura del Novecento, portando in primo piano alcuni autori liguri che si sono mossi tra letteratura e giornalismo. Poi, ci saranno anche presentazioni di libri, proiezioni, cerimonie di assegnazione di premi, “reading” collegati ad altre manifestazioni cittadine (a novembre è il caso del “Festival dell’eccellenza femminile”) o all’appassionata vocazione dell’Associazione culturale “L’incantevole aprile”, che quest’anno propone nel foyer della Corte tre pomeriggi di letture dedicate alla corrispondenza amorosa di Antoine de Saint-Exupéry, di Natalia Ginzburg e di Francis Scott Fitzgerald; ma anche esposizioni come quella dedicata a I collages di Graziano Irrera, che sarà in mostra nel foyer del Teatro della Corte sino al 16 novembre. Graziano Irrera è l’artista genovese autore delle illustrazioni che nella brochure dello Stabile accompagnano quest’anno i singoli spettacoli proposti in cartellone. La Mostra allestita nel foyer comprende, oltre a tutti gli originali dei collages da lui realizzati per la Guida agli spettacoli, anche altre opere intese a testimoniare le tappe salienti del percorso artistico di Graziano Irrera. L’ingresso è libero. Graziano Irrera nasce a Genova nel 1948. Artista poliedrico e amante delle ricerca si occupa di design, di arredo e di decorazione d’interni. Negli anni Ottanta si è dedicato in modo specifico al Teatro per ragazzi. In seguito, ha approfondito soprattutto la tecnica del collage, esponendo alcuni suoi lavori anche a Barcellona e a Cadaques. “Hellzapoppin” nel Foyer della Corte venerdì 18 novembre, ore 17 “Se mi lasciassi l’eredità delle tue mani” da “Fuochi” di Marguerite Yourcenar con Orietta Notari introduce Paolo Magris in collaborazione con il Festival dell’eccellenza femminile Mercoledì 1 febbraio, ore 17.30 Conversazioni con i protagonisti incontro con Massimo Popolizio e Anna Della Rosa a cura di Umberto Basevi in collaborazione con l’Associazione per il Teatro Stabile di Genova e I Buonavoglia Mercoledì 23 novembre, ore 17.30 Conversazioni con i protagonisti incontro con Tullio Solenghi e gli attori di “Moscheta” a cura di Umberto Basevi in collaborazione con l’Associazione per il Teatro Stabile di Genova e I Buonavoglia Giovedì 2 febbraio, ore 17 Tra letteratura e giornalismo: cinque liguri del Novecento Flavia Steno a cura di Ombretta Freschi e Carla Ida Salviati in collaborazione con la Fondazione Mario Novaro Mercoledì 14 dicembre ore 16.30 Consegna del Premio “Dante Alighieri” a Elisabetta Pozzi a cura della Società Dante Alighieri Mercoledì 14 dicembre ore 17.30 Conversazioni con i protagonisti incontro con Elisabetta Pozzi a cura di Umberto Basevi in collaborazione con l’Associazione per il Teatro Stabile di Genova e I Buonavoglia Mercoledì 11 gennaio ore 17.30 Conversazioni con i protagonisti incontro con Nello Mascia e gli attori di “Natale in casa Cupiello” a cura di Umberto Basevi in collaborazione con l’Associazione per il Teatro Stabile di Genova e I Buonavoglia Venerdì 13 gennaio, ore 17 Pagine messaggere d’amore “Lettere a una sconosciuta” di A.de Saint-Exupéry in collaborazione con l’Associazione “L’incantevole aprile” Mercoledì 18 gennaio, ore 17.30 Conversazioni con i protagonisti incontro con Valeria Solarino e Valter Malosti a cura di Umberto Basevi in collaborazione con l’Associazione per il Teatro Stabile di Genova e I Buonavoglia Giovedì 26 gennaio, ore 17.30 Conversazioni con i protagonisti incontro con Nicoletta Braschi e gli attori di “Tradimenti” a cura di Umberto Basevi in collaborazione con l’Associazione per il Teatro Stabile di Genova e I Buonavoglia I N G R E S S O Giovedì 9 febbraio, ore 17 Tra letteratura e giornalismo: cinque liguri del Novecento Giovanni Boine a cura di Veronica Pesce e Andrera Aveto in collaborazione con la Fondazione Mario Novaro Venerdì 10 febbraio, ore 17 Pagine messaggere d’amore “Caro Michele” di Natalia Ginzburg: da madre a figlio in collaborazione con l’Associazione “L’incantevole aprile” INTORNO AL TESTO E OLTRE Per il quarto anno consecutivo, il Teatro Stabile di Genova propone alle scuole della Liguria (e non solo) il progetto Intorno al testo e oltre, promosso da un gruppo d’insegnanti coordinato dalla professoressa Carla Olivari e finalizzato alla formazione di spettatori consapevoli. Il progetto, che nelle tre stagioni scorse ha coinvolto una ventina di classi e circa 450 studenti, si avvale della collaborazione della Provincia di Genova, il cui Assessorato alla Cultura sta valutando la possibilità di raccogliere in un Cd rom i lavori sinora realizzati. Gli elaborati (letterari, grafici, multimediali; a scelta libera) svolti dalle singole classi che aderiranno all’iniziativa saranno valutati da un’apposita commissione. A supporto di questa iniziativa, lo Stabile di Genova s’impegna a offrire agli insegnanti e alle classi che aderiranno il più ampio appoggio tecnico-culturale (testi a apparati critici, agevolazioni per assistere agli spettacoli, eventuali incontri con registi e attori). Questi i lavori premiati nelle stagioni precedenti: 2008-2009 - Gomorra - ASFOR Ravasco, classe III Marittimo (Prof.sse Perego e Bertolotti); Vita di Galileo Istituto Sandro Pertini, classe IV D (Prof.sse Badano e Mori); Il settimo sigillo - Liceo D’Oria, classe V G (Prof. Martin); Passaggio in India - Liceo Luther King, classe I B (Prof.ssa Fenzi); Gomorra e Il misantropo - Liceo Nicoloso da Recco, classi III C, IV B, V C (Prof.sse Antola, Chicco, Gozzi). 2009-2010 - Non chiamarmi zingaro ASFOR Ravasco, classe III I (Prof.ri Boca, Capostagno, Perego); La tempesta - Istituto Gastaldi-Abba, classe IV Q geometri (Prof.ri Alice, Borelli, Tamone); La locandiera - Istituto Montale, classe IV linguistico (Prof. Thellung); La tempesta - Liceo Beccaria, Mondovì, classe II B (Prof.ri Casarino e Oreglia); Non chiamarmi zingaro e Shylock - Liceo D’Oria, classe IV I (Prof. Martin); Aspettando Godot - Liceo Nicoloso da Recco, classi V B, V C, IV C (Prof.ssa Chicco). 2010-2011 Piazza d’Italia e La Repubblica di un solo giorno Istituto Gastaldi-Abba, classe V Q geometri (Prof.ssa Tamone); Controtempo, Girotondo, Nemico di classe Istituto Montale, classe II B (Prof.ssa Gazzo), classe V C (Prof.ssa Spinelli), classe III A linguistico (Prof. Thellung); Edipo Re - Liceo Beccaria, Mondovì, classe III A (Prof. Casarino); Edipo Re - Liceo Klee-Barabino, classi II H, III sperimentale (Prof.ssa Boschieri). Mercoledì 15 febbraio, ore 17.30 Conversazioni con i protagonisti incontro con Umberto Orsini in collaborazione con Coop Liguria Giovedì 16 febbraio, ore 17 Tra letteratura e giornalismo: cinque liguri del Novecento Ettore Cozzani a cura di Elda Belsito e Marco Vimercati in collaborazione con la Fondazione Mario Novaro Mercoledì 22 febbraio, ore 17.30 Conversazioni con i protagonisti incontro con Elio De Capitani e Ida Marinelli a cura di Umberto Basevi in collaborazione con l’Associazione per il Teatro Stabile di Genova e I Buonavoglia Giovedì 23 febbraio, ore 17 Tra letteratura e giornalismo: cinque liguri del Novecento Alessandro Varaldo a cura di Francesco De Nicola e Alessandro Ferraro in collaborazione con la Fondazione Mario Novaro Giovedì 1 marzo, ore 17 Tra letteratura e giornalismo: cinque liguri del Novecento Giovanni Ansaldo a cura di Anita Ginella e Diego Divano in collaborazione con la Fondazione Mario Novaro L I B E R O D A L L A P A R T E D E G L I S P E T T A T O R I CON LA LETTERA RICEVUTA DAGLI STUDENTI DI DUE LICEI DI MONDOVÌ SU «ARLECCHINO SERVITORE DI DUE PADRONI», “PALCOSCENICO E FOYER” INAUGURA UNO SPAZIO RISERVATO ALLE OPINIONI DEGLI SPETTATORI. “Oh bella! Ghe ne tanti che cerca un padron, e mi ghe n’ho trovà ganizzazione degli insegnanti che ci hanno offerto nuovamente do. Como diavol oia da far? Tutti do non li posso servir. No? questa magnifica opportunità. Benché nell’abito a scacchi varioE perché no? Se uno me manda via, resto con quell’altro.” pinti del protagonista non ci fosse il veterano Ferruccio Soleri ma Atto I e già ci si sconquassa dalle risate! il suo più che degno futuro erede Enrico Bonavera, ancora una Ancora col sorriso sulle labbra, domenica 16 ottobre, noi, alun- volta lo spettacolo ha pienamente soddisfatto le aspettative ni del Liceo Classico G.B.Beccaria con qualche amico del Liceo della sala con un divertimento intelligente e un’interpretazione Scientifico G.B. Vasco, ci siamo allontanati dal Teatro Stabile di vivace e scoppiettante. Che dire? Un Arlecchino davvero moderGenova. Sebbene le ottime condizioni climatiche e i giovani no! Di certo salta all’occhio la bravura degli attori e dei musicisti animi spensierati invitassero a trascorrere la sacrosanta domeni- fuori scena che hanno saputo ben interagire sia con i colleghi sul ca pomeriggio magari bighellonando tra gli stand dell’Oktober palco sia con un pubblico reso frizzante dalle copiose risate. Tra Fest di Genova o passeggiando sul lungomare, da alunni dili- un vecchio suggeritore strapazzato dai suoi attori e un pingue genti quali siamo abbiamo affrontato, su (vincolante) suggeri- dottorino bolognese, tra una mascolina Beatrice nei panni del mento dei nostri magistri Stefano Casarino e Giovanni Stefano fratello defunto e un innamoratissimo Florindo, il burlone Lenta, la superlativa rappresentazione dell’Arlecchino servitore di Arlecchino cerca di districarsi con lazzi e bugie, desiderando soldue padroni di Carlo Goldoni, per la regia di Giorgio Strehler. Se tanto di ottenere almeno un pasto succulento dai due padroni ci aspettavamo di passare tre intense ore tra uno sbadiglio e l’al- che serve. Forse non è stata poi una decisione tanto sbagliata tro, maledicendo il giorno in cui avevamo ingenuamente con- quella di accrescere un po’ il nostro bagaglio culturale con una fermato la nostra presenza, sicuramente sbagliavamo. Allora un buona dose di divertimento. vivo ringraziamento deve andare al dirigente Paolo Riba e all’or- L’Oktober Fest può certamente aspettare un altro anno! A GENOVa C’È UN NUOVO MONDO DA SCOPRIRE. THE SPACE CINEMA. novembre 2011 | marzo 2012 TGE18211_Giornale33.qxp:300x420mm 14-11-2011 14:42 Pagina 8 8l spettacoli ospiti Il portatore di baci fuori programma di Roberto Piumini Duse, 28 novembre Due voci (Roberto Piumini e Patrizia Ercole) e un pianoforte (Andrea Basevi) per raccontare la storia di un bacio che la giovane moglie di un cavaliere partito per la guerra affida a un servo affinché lo porti fisicamente al marito. Una favola sull’amore. 28 novembre 2011 > 11 marzo 2012 L’Elettra di Hofmannsthal assomiglia molto più ad Amleto che alla sua omonima eroina greca. È personaggio moderno, intento più a ragionare che a fare. Anche Elettra vuole uccidere ma non riesce a farlo. L’azione le è negata. Regia di Carmelo Rifici. L’uomo prudente di Carlo Goldoni Corte, 24 – 29 gennaio Realismo, ritmo e una buona dose di comicità per raccontare le vicissitudini e le disavventure di quattro uomini e due donne alle prese con i propri sentimenti. Un ritratto vitale e iperrealistico della odierna generazione dei trentenni, divisi tra il desiderio di vivere appieno i propri sentimenti e l’incertezza del futuro. Regia del genovese Rappa, con i Gloriababbi. di Stefano Massini da Savonarola Corte, 20 – 22 dicembre fuori abbonamento di Luigi Maio Duse, 5 – 8 dicembre fuori programma di Luisa Rigoli Duse, 10 dicembre Luisa Rigoli e suo figlio Federico Sirianni rendono omaggio all’arte di Gabriella Ferri, cantante protagonista di un percorso ricco di grandi successi che vanno dagli stornelli romani ai classici napoletani. Un recital sospeso tra maliconia e gioia di cantare. di Eduardo De Filippo Corte, 10 – 15 gennaio Tradimenti Canto di Natale da Charles Dickens Duse, 20 – 23 dicembre di maschere... e di teatro, si svolge quella che è forse la più celebre storia d’amore di tutti i tempi. Una storia di giovani e di passioni intense, messa in scena da una compagnia di giovani e diretta da Giuseppe Marini. ITIS Galileo di Francesco Niccolini e Marco Paolini Corte, 7 – 12 febbraio Una delle opere maggiori del premio Nobel Ha Eduardo definiva Natale in casa Cupiello «una commedia affatata», cioè magica, perché ogni volta che gli è capitato di riprenderla cosa che, in un arco di tempo di quasi cinquant’anni (dal 1931 al 1977), si è verificata moltissime volte - il gradimento del pubblico è stato sempre altissimo. Una commedia insieme comica e tragica, proposta da Nello Mascia (regista e interprete). di August Strindberg Corte, 17 – 22 gennaio Dialoghi stringati, ambigue emozioni che filtrano attraverso il fair play dei protagonisti, ipocrisia dei loro rapporti personali e professionali. I ricordi di una coppia di ex amanti per la massima cara al drammaturgo inglese: «Nulla mi sembra esistere di più concreto e di più sfuggente di un essere umano». Con Nicoletta Braschi. Blackbird di David Harrower Corte, 31 gennaio – 5 febbraio Uno dei testi che hanno concorso a fondare il teatro moderno. Nella notte di San Giovanni la contessina si degrada ai piani inferiori e il servo sogna la scalata sociale. Sesso, violenza e lotta di classe. Un classico interpretato daValeria Solarino e Valter Malosti (anche regista). Interpretato da Marco Paolini, uno spettacolo dedicato al padre della scienza moderna, che, tra molte divagazioni nel contemporaneo, viene rappresentato come un uomo che ama la vita e una mente capace di rimanere aperta al dubbio tutta la vita, fino alla vecchiaia, fino alla fine. Al dutåur di mât di Nanni Garella da Scarpetta Duse, 18 – 22 gennaio Elisabetta Pozzi torna nel teatro che ne ha seguito la formazione e il debutto, interpretando un grande personaggio femminile. Musica dal vivo, narrazione, teatro d’ombre. Tratto dal celebre racconto di Charles Dickens, uno spettacolo che si propone come un modo allegro e divertente per trascorrere insieme i giorni che precedono il Natale. Con Carla Peirolero e la compagnia del Suq. Remake di Bertolt Brecht Corte, 14 – 19 febbraio di Myriam Tanant Duse, 28 febbraio – 4 marzo Buffa e mordace parabola sulla corruzione del potere. Ambientata nella coeva Chicago la cronaca nera della Berlino degli anni Trenta. Il gangster Arturo Ui e l’ombra sinistra di Adolf Hitler. Una farsa tragica e divertente, che invita lo spettatore a riflettere sui fatti grotteschi rappresentati. Con Umberto Orsini, regia di Claudio Longhi. Atto d’amore per una idea di teatro identificabile con il magistero di Giorgio Strehler, la francese Myriam Tanant e Giulia Lazzarini intrecciano il tema della memoria teatrale con quello della trasmissione dell’arte sul palcoscenico: in un tempo in cui fare teatro è, soprattutto per i giovani, sempre più difficile. Decamerone L’arte del dubbio di Stefano Massini da Carofiglio Duse, 15 – 19 febbraio di William Shakespeare Duse, 31 gennaio – 12 febbraio In una Verona immaginaria che ferve di vita, di movimento, di banchetti, di feste, di balli, di Ugo Chiti da Boccaccio Duse, 6 – 11 marzo Libera messa in scena di quattro novelle tratte dal capolavoro di Boccaccio. Uno spettacolo allegro e coinvolgente, nel quale il toscano Ugo Chiti costruisce un gioco squisitamente teatrale, fatto di amori e di sghignazzi, di beffe e di travestimenti, di doppiezze divertite al limite dell’iconoclastia. Sconsigliato ai minori, un testo sconvolgente che affonda nei sentimenti di un pedofilo e della sua vittima. Scritto con sapienza e intelligenza, uno spettacolo che mette in scena una realtà tragica, mostrando e non giudicando. Regia di Lluís Pasqual, con Massimo Popolizio e Anna Della Rosa. Romeo e Giulietta Una risata travolgente che nasce dal connubio tra realtà e finzione. Nanni Garella e due L’avvelenamento da amianto. Laura Curino racconta la tragedia diventata simbolo dei tanti mali della industrializzazione contemporanea. Uno spettacolo civile, dedicato a coloro che sono morti lavorando in nome del benessere delle proprie famiglie e del riscatto sociale dalla povertà. La resistibile ascesa di Arturo Ui Elektra di Hugo von Hofmannsthal Corte, 13 – 18 dicembre Una commedia contemporanea che mette in scena un gruppo di adolescenti all’ultimo anno di college, impegnati con gli esami di ammissione all’università. Uno spettacolo sui giovani e per i giovani: i sogni generazionali e le speranze, la rabbia e i progetti per il futuro. Giovani interpreti affiancati dagli attori “storici” del Teatro dell’Elfo. di Laura Curino da Mossano Duse, 22 – 26 febbraio di Harold Pinter Duse, 25 – 29 gennaio Signorina Giulia Le infiammate prediche dell’eretico Girolamo Savonarola, condannato al rogo sulla pubblica piazza fiorentina, prendono corpo e voce in Don Andrea Gallo, il “prete anarchico”, da sempre vicino agli ultimi e agli emarginati, senza nessun timore di entrare in conflitto con la dottrina della Chiesa, con la società o con la cultura dominante. di Alan Bennett Corte, 21 – 26 febbraio Malapolvere Io non taccio Commedia da camera Canto... sinno’ me moro Natale in casa Cupiello Una storia di corna, veleni e denaro ambientata in casa Pantalone. Un testo poco noto di Goldoni che non si limita a rinverdire la gloriosa tradizione della Commedia dell’Arte, ma anticipa con i toni del “giallo” molti elementi del teatro futuro. Con Paolo Bonacelli, regia di Franco Però. Come ha detto la sua autrice Agatha Christie: «Trappola per topi è il tipo di commedia alla quale si può portare chiunque e a cui tutti possono assistere. Non è proprio un dramma, non è proprio uno spettacolo dell’orrore, non è proprio una commedia brillante, ma ha qualcosa di tutti tre questi generi e così accontenta le persone dai gusti più disparati». Con gli Attori & Tecnici. The History Boys attori professionisti, Vito e Marina Pitta (affiancati da una compagnia composta da pazienti psichiatrici), adattano in bolognese la commedia Il medico dei pazzi scritta nel 1908 dal napoletano Eduardo Scarpetta e diventata un film cult con Totò. di Giampiero Rappa Duse, 14 – 18 dicembre di Chloё Moss Duse, 29 novembre – 4 dicembre Una fantasia teatral-cameristica che parla di Dante Alighieri e di Franz Liszt, mescolando le citazioni nel dialogo tra il “musicattore” Luigi Maio e il Trio Malebranche. Tra ironia e omaggio artistico, uno spettacolo per il duecentesimo anniversario della nascita di Liszt. di Agatha Christie Corte, 27 dicembre – 1 gennaio Sogno d’amore Questa immensa notte Quando Loredana e Mary escono di prigione, il mondo esterno non le può aiutare, ma le soffoca e le intimorisce. Tutto quello che prima evitavano - l’alcool, gli altri o la vita stessa - ora esplode e le travolge. Rappresentato per la prima volta a Londra nel 2008, il delicato ritratto di due donne che provano a ricominciare. Regia di Laura Sicignano, con Orietta Notari e Raffaella Tagliabue. Trappola per topi Il dubbio come virtù incarnata nei magistrati inquirenti. Storie di tribunale raccontate dal magistrato-scrittore Gianrico Carofiglio. Interrogatori dall’esito imprevedibile e personaggi la cui “verità” emerge involontariamente dalle asprezze del contraddittorio. Con Ottavia Piccolo e Vittorio Viviani. a Palazzo Ducale MOSTRE Race. Alla conquista del Polo Sud 16 ottobre 2011 – 18 marzo 2012 Van Gogh e il viaggio di Gauguin 12 novembre 2011 – 15 aprile 2012 novembre 2011 | marzo 2012 INCONTRI Mediterranea 011 - Voci tra le sponde novembre 2011 | maggio 2012 Lezioni di Storia. Noi e gli antichi dicembre 2011 | febbraio 2012 Come cambia la Terra gennaio | marzo 2012 Sopravvivere alla crisi. Cause ed effetti dello tsunami economico gennaio | marzo 2012 L’uomo e il suo cervello. Dai neuroni alla mente gennaio | marzo 2012 Città del noir. La letteratura racconta l’Italia marzo | maggio 2012 La Storia in Piazza. Popoli in movimento 29 marzo | 1 aprile 2012