La settimana scorsa ero a Torino, invitato assieme ad altri economisti dagli studenti di economia del Collegio Carlo Alberto per la bella iniziativa TESORO PARLIAMONE…è l’Europa che ce lo chiede!. Bravi gli organizzatori! Nella sessione a me assegnata abbiamo parlato di euro e, in sintesi, queste sono state le domande degli studenti e le cose che ho detto—e anche quelle che non ho detto per mancanza di tempo (c’è stato qualche problema ‘tecnico’ a causa del ritardo di un partecipante alla tavola rotonda). Ho iniziato da un’affermazione/premessa: L’austerità minaccia la prosperità globale! Conviene restare nell’euro? Sotto il profilo politico, la mia rsiposta è sì. Certo, sotto quello della convenienza economica e del modo in cui l’euro oggi funziona, dovrei dire di no. Ma se l’euro non funziona dipende dalla politica dell’euro. E la politica si può (e si DEVE) cambiare. E cambierà. L’euro nacque dalla coincidenza occasionale di due visioni: A favore della moneta unica erano quelli che vedevano l’euro come acceleratore dell’unità politica. E altrettanto a favore erano quelli che vedevano l’euro come una moneta ad elevata qualità che non avrebbe avuto bisogno degli stati e avrebbe anzi contribuito a renderli più snelli ed efficienti. Fatto l’euro, la seconda visione ha prevalso sulla prima. Si è inceppato il processo di unità politica e ci si è concentrati sul rispetto delle regole di stabilità, scordandosi della crescita, con l’aggravante che senza crescita anche la stabilità sarebbe sfuggita di mano. Questa seconda visione (ovvero la creazione di una moneta stabile che sostiene la crescita) è fondata su un concetto sbagliato della natura della moneta come soluzione di mercato al problema della minimizzazione dei costi dello scambio (ovvero, la nota storia del baratto che stimola l’invenzione della moneta). Per una critica di questa visione rimando a Goodhart 1998, lettura obbligatoria dei miei studenti da molti anni. In questo scenario, metter fine alla moneta unica, adesso, sarebbe drammatico: prima di tutto politicamente, perché segnerebbe un arretramento di 50 anni del processo di integrazione europea.La mia personale preferenza politica è che l’Europa assomigli sempre più a quella dei miei figli (che girano per l’Europa senza passaporto) piuttosto che a quella dei loro nonni (che scamparono al massacro degli anni della guerra). Sotto il profilo strettamente economico, un’uscita morbida è possibile, ma solo nell’ipotesi, politicamente bizzarra e molto difficile da giustificare, di un annuncio improvviso e inatteso, completamente a ciel sereno. Chi invece pensa al referendum non comprende che il solo annuncio del referendum (ammesso e non concesso che sia fattibile) porterebbe il paese fuori dalla moneta unica, rendendo il referendum addirittura superfluo: la domenica del voto saremmo già fuori. E poi, tornare al cambio fisso col marco non migliorerebbe affatto i gradi di libertà della nostra politica fiscale. Per questo, occorrerebbe lasciare fluttuare liberamente la nuova moneta, e anche in quel caso occorrerebbe un governo dell’economia che si fondi su principi diversi da quelli del pareggio di bilancio. Ma allora, se bisogna ripensare la politica economica, tanto vale farlo in Europa, tanto più che questo è nell’interesse dell’Europa intera e non solo di questo o quel paese, e che realizzare un vero mercato unico dell’euro non può che dare forza economica e geopolitica al vecchio continente. Unione bancaria: Si ha da fare? Certo. Non averla già è uno dei maggiori problemi odierni. Si è fatta la moneta unica delle banconote, ma non quella dei depositi bancari. La garanzia dei depositi è rimasta prerogativa dei singoli stati che hanno perduto la propria sovarnità monetaria. E così, nei momenti di crisi, i privati (di solito quelli con molto denaro) spostano soldi verso la Germania (o la Svizzera) aggravando così la crisi di liquidità delle banche. Solo la BCE può garantire i depositi bancari e, di conseguenza, è la BCE che deve assumersi l’onere del controllo e della supervisione bancaria. Può la BCE sgonfiare le bolle speculative? Intendiamoci: una bolla speculativa è semplicemente un aumento del credito privato che, come sappiamo, è fortemente pro-ciclico. In altre parole, appena le cose cominciano ad andare male, il credito si stringe. E a rimediare deve essere la politica fiscale. La politica monetaria può solo fornire liquidità al tasso obiettivo. Gli economisti, anche keynesiani, nutrono troppe illusioni su quel che la banca centrale può fare. In Giappone, si sta cercano da un decennio di creare inflazione con l’espansione monetaria e non ci si riesce. Non dicevano i monetaristi che basta stampare moneta per creare inflazione? Ma la politica monetaria ha poco potere espansivo. Quel che la banca centrale può fare si limita alla fissazione del tasso d’interesse. Tutte le altre operazioni sulle riserve (tipo quantitative easing) sono solo modifiche della scadenza degli attivi delle banche, con scarsissimo impatto sulle decisioni delle banche di fare credito. Molto più potente è la politca fiscale. Quando la spesa pubblica al netto delle imposte è positiva, i risparmi privati aumentano di pari passo. E quando superano il livello di risparmio che i privati desiderano, cresce la spesa, e quindi l’occupazione. L’austerità impedisce questo canale di creazione della ricchezza privata, ed anzi reprime perfino il funzionamento degli stabilizzatori automatici. Non c’è dubbio che le preoccupazioni per il debito pubblico non appartengono solo all’Europa. Ma l’eurozona è la regione dove sono più forti e vincolanti le politiche di austerità e non è una semplice coincidenza che sia anche la regione del mondo dove crescono più rapidamente disoccupazione e povertà. Lo European Stability Mechanism (ESM) funzionerà? A differenza di quanto affermato da Lucrezia Reichlin che sostiene che il problema dell’ESM è che è troppo piccolo, a me pare che la dimensione dell’ESM sia irrilevante. L’ESM può avere un ruolo importante per il riassetto dell’eurozona se e solo se i suoi titoli sono garantiti dalla BCE. L’euro ha sofferto e soffre di due crisi: la crisi di solvibilità degli stati e la disoccupazione. La prima è stata fermata dagli annunci della BCE la scorsa estate (chiamatelo il “Draghi put”). È curioso che la BCE continui a parlare di provvedimento temporaneo, ma un’altra strada non c’è. Se invece di vedere la moneta come soluzione al baratto la vediamo per quello che è (lo strumento che il settore pubblico usa per acquisire risorse e che impone ai privati come unico mezzo possibile per saldare i debiti con lo stato), non c’è altra strada che affidare alla banca centrale il compito di essere “market-maker” dei titoli di stato. L’ESM può giocare davvero un ruolo se ne facciamo una sorta di Tesoro federale, che emette eurobonds in corrispondenza di una politica fiscale dell’eurozona. Ad esempio, una riduzione concordata dell’IVA nell’eurozona potrebbe corrispondere a un’emissione di eurobonds e rilanciare molto rapidamente la crescita. Servirebbe svalutare l’euro? In assenza di politica fiscale, sì, ma entro limiti angusti. Intanto, non mi pare che la BCE accetti l’idea di fare dell’euro una moneta garantita dal dollaro. Dunque, difficlmente si metterebbe a fare una politica finalizzata al cambio, che sarebbe per di più in contrasto col suo mandato. Inoltre, gli effetti sulla domanda dipendono da condizioni di elasticità al tasso di cambio che potrebbero facilmente rivelarsi insufficienti per riassorbire la disoccupazione (19 milioni di persone è la stima cauta) nell’eurozona. Certo, si può sempre andare a crecare di sottrarre domanda agli altri e rifornirli dei prodotti del nostro capitale e del nostro lavoro. Ma non sarebbe meglio semplicemente garantire che chi produce sia in grado di comprarsi ciò che produce? Pe fare questo è sufficiente regolare che la domanda aggregata non sia strozzata da un eccesso di carico fiscale per il tipo di spesa pubblica che l’Europa decide di darsi.