Le bacchette all`ombra di Toscanini

Conservatorio di musica «B. Marcello» di Venezia
Diploma Accademico di 1° livello
Scuola di direzione d’orchestra
Le bacchette all’ombra di Toscanini
Candidato: Mauro Perissinotto (matr. n. 101256)
Relatore: prof. Michael Summers
Anno Accademico 2013-2014
Conservatorio di musica «B. Marcello» di Venezia
Diploma Accademico di 1° livello
Scuola di direzione d’orchestra
Le bacchette all’ombra di Toscanini
Candidato: Mauro Perissinotto (matr. n. 101256)
Relatore: prof. Michael Summers
Anno Accademico 2013-2014
Indice
Introduzione.......................................................................................... 5
Capitolo primo
Il maestro tra novità e tradizione .......................................................... 9
1.
Due curiose istantanee........................................................................ 9
1.1 Parma, quartiere Oltretorrente, 25 marzo 1867............................... 9
1.2 New York, 16 gennaio 1957 ........................................................... 11
2.
Le bacchette del Risorgimento .......................................................... 12
2.1 Direttori d’Oltralpe .......................................................................... 12
2.2 Direttori in Italia .............................................................................. 14
3.
Eredità o genesi? .............................................................................. 19
Capitolo secondo
La prima generazione ......................................................................... 21
1.
Il sinfonismo d’Oltralpe .................................................................... 22
2.
Italia, patria del belcanto ................................................................. 24
3.
Conclusioni per la prima generazione .............................................. 27
Capitolo terzo
La seconda generazione...................................................................... 29
1.
Longevità d’Oltralpe......................................................................... 29
2.
Il Bel Paese si pasce ancora di melodramma ................................... 35
3.
Conclusioni per la seconda generazione .......................................... 40
3
Capitolo quarto
La terza generazione ........................................................................... 41
1.
Una nuova didattica.......................................................................... 42
2.
La dittatura del direttore .................................................................. 42
3.
La filologia........................................................................................ 43
4.
L’organologia ................................................................................... 44
Conclusioni ......................................................................................... 45
Bibliografia ......................................................................................... 47
4
Introduzione
Se ad oggi la storiografia ha riservato timide energie nella
confezione di opere organiche sulla direzione d’orchestra1, si auspica
di poter presto disporre di strumenti scientifici che possano giovare in
particolare agli addetti ai lavori, ma anche più generalmente alla
musicologia e alle varie comunità interessate a tale dimensione
culturale. Si intende rimarcare come, non appena fossero riconosciute
delle plausibili ragioni per l’indifferenza anche editoriale nei confronti
di una professione, il cui recondito fascino è peraltro opinione
comunemente diffusa, sarebbe tempo che qualche tentativo venisse
1
Ci si riferisce al fatto che non vi sono ancora lavori nei quali venga
elaborata una linea interpretativa critica in termini di periodizzazioni,
categorie culturali o scuole di pensiero. Si riportano di seguito i principali
testi di carattere manualistico o tecnico, consultati per la confezione del
presente elaborato:
E. Nicotra, Introduzione alla tecnica della direzione d’orchestra secondo la
scuola di Ilya Musin + DVD, Milano, Curci, 2008.
N. Lebrecht, Il mito del Maestro. I grandi direttori d’orchestra e le loro
lotte per il potere, Milano, ed. Longanesi & C, 1992.
D. Bertotti, Il direttore d'orchestra da Wagner a Furtwängler. L'illustre
aberrazione, Palermo, L’epos, 2005.
Attardi F. & Pasero G., Leadership trasparente: direzione d’orchestra e
management d’azienda, Milano, Franco Angeli, 2004.
M. Danon , Il direttore d’orchestra: l’arte dell’essere, Milano, Garzanti,
1993.
Mehta Z. (2006), La partitura della mia vita, Excelsior 1881, Milano, 2007.
I. Cavallini, Il direttore d’orchestra, Venezia, Marsilio, 1998.
C. Abbado, Musica maestri! Il direttore d’orchestra tra mito e mestiere,
Milano, Feltrinelli, 1985.
A. Bassi, La musica e il gesto: la storia dell’orchestra e la figura del
direttore, Milano, Marinotti, 2000.
M. Zurletti, La direzione d'orchestra: grandi direttori di ieri e di oggi,
Milano, Ricordi, 1985.
5
approcciato almeno da parte di chi ne sperimenta professionalmente la
pratica. Ci si vuol riferire non tanto a lavori monografici, quanto
invece a una Summa che sia in grado di delineare non solo una
diacronia di personalità, ma soprattutto di comparare criticamente
orientamenti, scuole, tecniche, scelte culturali ed estetiche.
Quanto alle motivazioni per le quali è stato posto freno anche alle
penne più prolifiche, una prima ipotesi potrebbe identificarsi nella
particolare settorialità del tema e quindi nel difficile appeal editoriale,
soprattutto se raffrontato con la vastità della ricerca richiesta; una
seconda ragione potrebbe invece essere riconosciuta nella difficoltosa
definizione temporale delle origini della figura del direttore
d’orchestra; viceversa, coordinate temporali comunque strette (non più
larghe di due secoli) potrebbero rendere poco attendibile un giudizio
storico compiuto. Ciascuna di queste ipotesi da sola sembra essere
insufficiente per giustificare la miopia nei confronti del tema, se non
altro perché esistono aree storiografiche più elitarie, dai contorni
epocali meno definiti o assai angusti, che tuttavia godono di una
letteratura decisamente copiosa. Forse è proprio la miscela di queste
ed altre più arcane motivazioni ad aver incenerito anche le ambizioni
più virtuose.
Si tratta quindi di cominciare a pensare ad un lavoro storiografico
completo, cui certamente questo elaborato poco può contribuire;
ciononostante si ritiene che in tale prospettiva l’”era toscaniniana”
costituisca una periodizzazione quantomeno significativa, che in
termini generali può fare da punto medio tra la scuola ottocentesca e
quella del secondo dopoguerra. Secondo gli orientamenti odierni della
storiografia,
almeno da F. Braudel2 in poi, una periodizzazione
2
Ci si riferisce al rivoluzionario valore epistemologico per la storiografia
assunto dalla monumentale opera La Méditerranée et le Monde
Méditerranéen à l'Epoque de Philippe II (1949) di F. Braudel.
6
assume valore se veicola un processo di trasformazione3, ovvero se
almeno una delle sue fenomenologie caratterizzanti passa da uno stato
di cose ad uno differente. Ci si chiederà, quindi, nel presente lavoro
quale o quali dei tratti caratterizzanti il concertatore al tramonto
dell’Ottocento si siano evoluti in modo significativo un settantennio
più tardi.
E’ evidente che dal punto di vista epistemologico la scelta temporale
in questo caso esclude altre chiavi di analisi – certamente possibili,
anche se più vacue – quali la geografia culturale, la tecnica della
disciplina, le forme o i generi musicali del repertorio. Tuttavia da una
diacronia di fenomeni si possono comunque configurare viaggi
settoriali, purché dei fatti e/o delle persone si sviluppino componenti
variegate e non univoche.
Compito quindi del presente lavoro non è quello di tracciare
l’ennesima biografia di Toscanini, ma, invece, di chiedersi se una
parabola esistenziale così lunga possa essere ascritta ad un’epoca
significativa, non tanto per il linguaggio musicale e la sua evoluzione,
né per le vicende socio politiche che sono occorse, quanto piuttosto
per la storia della direzione d’orchestra.
Fig. 1 - Arturo Toscanini.
3
Per un approfondimento sulle periodizzazioni storiche determinate
da processi di trasformazione ci si è riferiti a : W. Panciera & A.
Zannini, Didattica della storia. Manuale per la formazione degli
insegnanti. Terza edizione aggiornata. Firenze, Mondadori Education
- Le Monnier università, 2013.
7
8
Capitolo primo
Il maestro tra novità e tradizione
1. Due curiose istantanee
1.1 Parma, quartiere Oltretorrente, 25 marzo 1867
Quando nel 1867 il povero quartiere Oltretorrente di Parma
diede i natali ad Arturo Toscanini, si può certo sostenere che la
fiaccola del Secolo dei Lumi non fosse del tutto sopita. E questo non
tanto perché l’aura risorgimentale si annichilisse dinanzi ai rimpianti
di dispotismi illuminati; o perché lo slancio del sinfonismo romantico
si volesse piegare alle lontane glorie del classicismo viennese.
Piuttosto, invece, è semplicemente curioso notare come all’epoca del
parto del grande maestro operassero ancora alcuni venerandi, i cui
certificati d’anagrafe s’erano sigillati al crepuscolo del Settecento. Il
vecchio Rossini4, infatti, soggiornava da tempo alle rive della Senna,
a Napoli imperava il genio di Mercadante5 e Lipsia era teatro degli
ultimi concerti di Moscheles6. Si aggiunga pure a questa fotografia
4
Gioachino Rossini nacque a Pesaro nel 1792. Trascorse buona parte
della sua vita matura a Parigi, dove morì nel 1868, un anno dopo la nascita di
Toscanini
5
Saverio Mercadante (1895 – 1970) fu compositore di circa 60 opere e di
varia musica strumentale. Per trent’anni diresse il Conservatorio di Napoli.
6 Ignaz Moscheles, compositore e pianista boemo, nacque a Praga nel
1794. Conobbe Beethoven e fu molto legato a F. Mendelssohn- Bartholdy.
Morì a Lipsia nel 1870.
9
storica che il novello Regno d’Italia7, con Firenze capitale8, da pochi
mesi aveva sottratto il Veneto all’Austria ed ancora attendeva di
dirimere la questione romana. Curioso notare, inoltre, come il decano
della letteratura italiana fosse Alessandro Manzoni; mentre il giovane
Carducci stava aprendo le porte di un colto realismo, gli Scapigliati
propagandavano uno stile antiaristocratico e bohemienne e Giovanni
Verga aveva iniziato a pubblicare le sue prime prose.
Circoscrivendo l’istantanea alla sola arte dei suoni nel mondo
occidentale, si potrà scorgere il conterraneo Verdi mentre rappresenta
il suo primo Don Carlos a Parigi; Ponchielli9 aveva già pubblicato
alcuni melodrammi e balletti; mentre Leoncavallo, Puccini, Franchetti,
Mascagni, Busoni, Cilea e Giordano10 – per citare in rigoroso ordine
cronologico solo alcune cime italiane di quella fortunata generazione
post-romantica – non avevano compiuto la prima decade, anzi,
l’ultimo di costoro nacque qualche mese più tardi. Per allargare lo
sguardo almeno all’Europa, dove aveva preso quota l’astro di Wagner
e si attendeva ancora la Prima Sinfonia di Brahms11, quel decennio
aveva celebrato i natali di Mahler, Debussy, R. Strauss e Sibelius.
7 E’ significativo ricordare come il padre del Maestro, Claudio Toscanini,
si fosse arruolato come volontario tra i Mille, subendo anche il carcere in
Aspromonte per tre anni. La vicenda condizionò di certo l’anticlericalismo e
l’antimonarchismo ideologico della giovinezza
8
Firenze fu capitale d’Italia dal 1865 al 1870
9
Amilcare Ponchielli (1834 – 1886) è oggi ricordato soprattutto per La
Gioconda, ma numerose furono le sue pregevoli composizioni vocali e
strumentali. Fu titolare della cattedra di composizione presso il
Conservatorio di Milano, dove tra gli allievi si annoverarono Puccini,
Mascagni, Bossi e Pozzoli. Per un generale quadro biografico dell’opera di
Ponchielli si può consultare AA.VV., Amilcare Ponchielli, Milano, Nuove
Edizioni, 1985.
10
Nacquero tutti tra il 1857 ed il 1867.
11
Nonostante i primi appunti della Sinfonia risalgano al 1862, la prima
esecuzione pubblica si poté ascoltare solo nel 1876.
10
1.2 New York, 16 gennaio 1957
Tutto questo potrebbe anche non avere grande rilevanza, se non lo
si correlasse ad un’istantanea del 1957, quando si celebrarono le
esequie del maestro: si potrà apprezzare non solo come il figlio d’un
sarto garibaldino fosse divenuto un’icona della musica e della società,
ma anche quanto il mondo in quegli anni si fosse trasformato e fosse
diventato altro da quel ridente borgo parmigiano del Risorgimento.
Dei compositori e colleghi suoi coetanei si celebravano solo le gesta
ed erano ormai tutti entrati nei manuali di storia. Dal suolo di quel
Regno garibaldino due volte s’erano alzate le polveri della guerra ed
al dispotismo della dittatura era già seguito l’agognato traguardo della
pace: dalle ceneri dell’esecrata monarchia s’era stagliato quel sogno
repubblicano, che tanto s’era plasmato negli sguardi fanciulleschi del
bambino prodigio. Il progresso avanzava come un rombo di tuono: la
radio consentiva già da tempo di diffondere informazione e musica; la
televisione a partire dagli anni Cinquanta iniziò ad entrare nelle
dimore dei borghesi e poco più tardi in quelle della maggior parte dei
cittadini del globo industrializzato. Quel popolo che nove decenni
prima mendicava per lo più analfabeta12 tra le campagne, ora
proletario si vantava di poter consegnare ogni mattina i propri figli
alla scuola del paese.
Il presente lavoro non consente di divagare oltre circa le dinamiche
della società e della cultura durante la vita di Arturo Toscanini; ma ciò
che si è detto vorrebbe essere funzionale a cogliere il binomio
essenziale che lega l’avvenirismo biografico dell’artista ai contesti
plastici nei quali si è sviluppato.
Per un generale quadro sull’evoluzione dell’analfabetismo in Italia dal
1861 al 2000 è consultabile: Roberto Sani, Maestri e istruzione popolare in
Italia tra Otto e Novecento, Milano,Vita e Pensiero, 2003, pagg. 81-84
12
11
2. Le bacchette del Risorgimento
Se l’obiettivo, come si sosteneva, è quello di verificare
l’attendibilità delle fonti a sostegno di un’epoca “toscaniniana”, il
primo passo doveroso è quello di individuare lo status della direzione
d’orchestra anteriormente agli anni Ottanta dell’Ottocento. Infatti la
carriera del Nostro può datare la sua pur occasionale genesi al 188613,
per dipanarsi poi trionfalmente durante il settantennio seguente.
La questione qui porta a dover almeno citare le personalità che
hanno segnato l’evoluzione di una disciplina, che certamente nel XIX
secolo si è smarcata dalle prassi settecentesche14 – assolte dal
clavicembalista o dal violino di spalla – per assumere tratti molto più
definiti. Ciò anche in nome dell’ampliamento degli organici e del
moltiplicarsi di richieste agogiche nelle partiture, tali da richiedere una
figura di riferimento super partes.
2.1 Direttori d’Oltralpe
In ambito germanico i primi a rivestire i nuovi panni del direttore
d’orchestra furono Carl Maria von Weber (1786 – 1826) e Louis
Spohr (1784 – 1859): quest’ultimo diresse stabilmente a Vienna,
Francoforte e per molti anni a Kassel e si narra abbia introdotto la
13
Pur dovendo rinunciare per le ragioni già addotte a disquisizioni
biografiche, pare giusto citare come la carriera di Toscanini sul podio sia
iniziata sostituendo un concertatore poco capace, che era stato aspramente
criticato dall’orchestra e dal pubblico sudamericano durante una tournee del
Teatro Regio di Parma. Il maestro diciannovenne era violoncellista della
compagine, ma aveva dimostrato durante la trasferta di conoscere a memoria
la partitura di Aida: si era infatti occupato di ripassare le parti al pianoforte a
vantaggio di molti coristi ed anche di alcuni protagonisti. Al trionfo di quella
e delle successive recite seguirono i primi decisivi ingaggi. Correva l’anno
1886.
14
Personalità idiosincratica ed avveniristica del pieno Settecento fu
certamente Johann Stamitz (1717 – 1757), che si distinse come compositore
e direttore stabile dell’Orchestra di Mannheim.
12
bacchetta, quale sostituto dell’archetto del violino nella concertazione.
La generazione tedesca successiva – e l’ultima precedente a quella di
Toscanini - fu quella di Felix Mendelsson- Bartholdy (1809 – 1847),
Franz Listz15 (1811 – 1886), Richard Wagner (1813 – 1883) e poco
più tardi Hans von Bülow (1830 – 1894) e Hans Richter (1843 –
1916)16.
Fig. 2 - Felix Mendelssohn - B.
Nell’area
francofona
Fig. 3 - Franz Listz.
l’antesignano
del
ruolo
può
essere
riconosciuto nel genio poliedrico di Hector Berlioz (1803 – 1969), il
Qui la figura del Listz direttore d’orchestra – certamente meno
significativa di quella del compositore o del pianista - viene inserita nell’area
germanica per le forti implicazioni anche affettive e relazionali che egli
intrattenne con i colleghi Wagner e von Bülow. E’ nota tuttavia la variopinta
biografia listziana e la difficile identificazione univoca della propria patria
artistica con una precisa area geografica dell’Europa.
16
Fu uno dei più sensibili esecutori del repertorio tedesco romantico, in
particolare Brahms e Wagner, di cui era fedele amico e di cui diresse la
prima dell’Anello del Nibelungo. Nell’ultima parte della sua carriera lasciò
Bayreuth per dirigere stabilmente al Covent Garden.
15
13
quale, oltre a dirigere proprie ed altrui composizioni, pubblicò uno dei
primi fondamentali trattati sulla tecnica direttoriale17.
2.2 Direttori in Italia
La penisola italica fin dagli anni Quaranta dell’Ottocento legò la
fama dei propri direttori in primis alle interpretazioni del repertorio
melodrammatico composto dai loro illustri contemporanei ed in
secondo luogo all’esecuzione dei prodotti della loro stessa penna. Tra
le personalità di maggior spicco v’è da ricordare Angelo Mariani18
(1821 – 1873), il quale per primo avversò la pratica invalsa nelle
orchestre liriche di assegnare il ruolo di concertatore sia al
clavicembalista che al violino di spalla. Questo gli causò aspre
critiche, presto però dimenticate grazie al talento con cui diresse molte
opere verdiane anche in prima assoluta (I due Foscari, Nabucco,
Aroldo, Don Carlos) e pagine oggi meno eseguite di Giovanni Pacini
(Sofocle ed Edipo re) e di Giacomo Meyerbeer (L’Africane). Il
rapporto con Verdi si incrinò19 nel 1869 e non venne ricucito
nemmeno dall’incarico di dirigere la prima dell’Aida a Il Cairo nel
187120. Negli ultimi due anni di vita, pur minato dal cancro, Mariani
H. Berlioz, Il direttore d’orchestra in A. Lualdi, L’arte di dirigere
l’orchestra, Milano, Hoepli, 1949
18
Per una biografia di Angelo Mariani si può consultare: V. Ramon
Bisogni, Angelo Mariani. Tra Verdi e la Stolz, Varese, Zecchini Editore,
2009.
19
La ragione della chiusura drastica dei rapporti tra i due fu ufficialmente
la scortesia che agli occhi di Verdi compì Mariani, allorquando scelse di
dirigere un concerto commemorativo a Pesaro ad un anno dalla scomparsa di
Rossini. Il Cigno di Busseto aveva nominato l’amico quale direttore di una
Messa da Requiem, che tredici compositori, suddividendosi le parti,
avrebbero dovuto scrivere in memoria del pesarese; teneva al fatto che
quello fosse l’unico grande tributo al geniale collega. In verità poche
settimane più tardi, dopo che Verdi già aveva abbozzato il Libera me,
Domine, il progetto svanì.
20
Angelo Mariani si era fidanzato con il soprano Teresa Stolz (1834 –
1902), interprete delle prime di Don Carlos, Aida, Messa da Requiem,
17
14
diresse a Bologna – forse provocatoriamente, ma con grande successo
– le prime italiane di Lohengrin e Tannhauser alla presenza dello
stesso Verdi.
Fig. 4 - Angelo Mariani
Fig. 5 - Carlo Pedrotti
La fama di Iacopo Foroni21 (1825 – 1858) rimase invece legata agli
spettacoli allestiti a Stoccolma, dove peraltro morì prematuramente.
Degna di nota fu l’attività del veronese Carlo Pedrotti22 (1817 –
1893), attivo prima ad Amsterdam, poi presso il Teatro Filarmonico di
Verona ed al Teatro Regio di Torino. La sua scarsissima autostima
nasceva
significativamente
dalla
consapevolezza
che
le
sue
composizioni poco avessero di geniale rispetto a quelle dei colleghi
contemporanei23. Egli era convinto che limitarsi a concertare le opere
altrui fosse una magra consolazione, se anteposta alla frustrazione che
Otello. Al dolore causato dalla rottura del rapporto nell’immediata vigilia
della prima di Aida, si aggiunsero le dicerie circa una relazione tra la stessa
Stolz e Verdi, sulla quale molto s’è scritto, ma poco s’è dimostrato.
21
Figlio del maestro di canto e compositore Domenico Foroni (1796 1853), di cui Carlo Pedrotti fu insigne allievo.
22
Scrisse anche sedici opere e varia musica da camera. A seguito di una
devastante depressione morì suicida, gettandosi nelle acque dell’Adige della
sua città.
23
Le confessioni di Pedrotti sono contenute negli scambi epistolari con
Arrigo Boito e sono consultabili nel sito www.eschaton.it.
15
si generava dagli insuccessi delle proprie. Ciò permette già di
anticipare il dibattito relativo alla differente vocazione cui si sentivano
chiamati i direttori d’orchestra nati nel primo quarto dell’Ottocento,
rispetto alla nuova prospettiva toscaniniana.
Celebre, forse non come la sua perizia in veste di contrabbassista e
di compositore, fu anche il contributo che venne offerto all’arte
direttoriale da Giovanni Bottesini (1821 – 1889): fu lui a dirigere la
prima di Aida nel 1871 e venne assai stimato da Arrigo Boito, oltre
che dallo stesso Verdi, il quale lo fece nominare direttore del
Conservatorio di Parma nell’anno della sua morte. Diresse molto
all’estero, soprattutto in America, ma anche in Inghilterra, Francia e
Russia.
Giovanni Gaetano Rossi24 (1828 – 1886), allievo del giovane
Verdi, si diplomò a Milano. Dagli anni Cinquanta lavorò a Parma
come concertatore e docente: tra gli allievi ebbe Cleofonte Campanini
ed Emilio Usiglio. Diresse la storica messinscena di Aida, curata
personalmente da Giuseppe Verdi nell'aprile 1872 (seconda in Italia
dopo quella della Scala). Alla morte di Angelo Mariani venne
chiamato a Genova alla testa dell'orchestra del Teatro Carlo Felice, di
cui divenne direttore principale per quattro anni, fino al 1879, quando
l'orchestra venne sciolta.
Della generazione successiva e quindi immediatamente precedente
a quella di Toscanini si citano in ordine cronologico Franco Faccio
(1840 – 1891), Emilio Usiglio (1841 – 1910) e i fratelli Marino (1842
– 1894) e Luigi (1848 – 1921) Mancinelli.
24
Alla sua morte la moglie volle che la salma fosse traslata al Cimitero
Monumentale di Milano. Un busto marmoreo è posto a suo ricordo nel
cortile monumentale del Conservatorio di Parma, accanto all'ingresso della
biblioteca.
16
Fig. 6 - Franco Faccio
Il primo studiò musica a Milano e, frequentando con Arrigo Boito
ed Emilio Praga il Salotto Maffei, ebbe modo di conoscere Giuseppe
Verdi. Compose un paio d’opere, che non lo resero di certo famoso
quanto invece la sua perizia nel concertare. Dal 1867, anno di nascita
di Toscanini, lavorò per la Società del Quartetto presso il
conservatorio di Milano, promuovendo nelle principali città del Bel
Paese
la musica sinfonica europea; dal 1871 iniziò la propria
collaborazione con l'orchestra del Teatro alla Scala, alla quale fece
spesso eseguire – anche in tournée all'estero - brani sinfonici di
giovani compositori italiani. Dopo la morte di Angelo Mariani, negli
anni Settanta e Ottanta, venne considerato dalla critica come il più
affidabile direttore d'orchestra in attività. Memorabile fu la
partecipazione della Società orchestrale del Teatro alla Scala
all'Esposizione di Torino del 1884, durante la quale Franco Faccio
diresse il complesso scaligero assieme alle neonate orchestre
sinfoniche di Roma, Napoli, Torino e Bologna. La rinascita della
musica strumentale in Italia vide dunque in lui uno dei principali
protagonisti. Stimato da Verdi e dal giovane Puccini, diresse la prima
rappresentazione italiana dell'Aida (1872), de La Gioconda (1876)
dell'Otello (1887), dell'Edgar (1889) e dei Maestri cantori di
Norimberga (1889). Tra i suoi incarichi vi fu anche quello di direttore
del Conservatorio di Parma.
17
Il parmigiano Emilio Usiglio si fece apprezzare giovanissimo come
compositore; riscosse apprezzamenti per le sue interpretazioni
verdiane, per una ripresa del Mefistofele di Boito rimaneggiato (1875)
e per la prima italiana di Carmen a Napoli.
Marino Mancinelli di Orvieto è ricordato per aver diretto a Bologna
la prima italiana de Il vascello fantasma (1877) e de Il duca d’Alba
(1882) di Donizetti. Fu attivo anche all’estero come promotore
musicale: fondò un’impresa teatrale in Brasile, al cui fallimento seguì
il suo suicidio.
Luigi Mancinelli, suo fratello minore, debuttò con Aida a Perugia,
prima di essere nominato direttore del Liceo Musicale di Bologna. Qui
diede impulso alla vita culturale della città, partecipando molto spesso
alle produzioni del Teatro Comunale e fondando la celeberrima
“Società del Quartetto”, alla quale si iscrissero molti dei fautori del
wagnerismo. Fu un concertatore molto stimato dal pubblico e dagli
artisti, dotato di un gesto semplice, ma efficace. Si distinse a Madrid,
Londra, New York e Buenos Aires, dove inaugurò la stagione
musicale nel 1908.
Fig. 7 - Marino Mancinelli.
Fig. 8 - Luigi Mancinelli.
18
3. Eredità o genesi?
Ebbene, secondo la prospettiva teorica espressa nell’introduzione,
per giustificare un’eventuale categoria storiografica nella parabola
toscaniniana, risulterebbe necessario per ora individuare i parametri di
un processo di trasformazione ex ante: in sostanza bisognerebbe
chiedersi cosa possa esprimere di tanto differente la scuola del primo
ottantennio nel Novecento dall’eventuale novità proposta dal giovane
astro nascente.
La prima generale considerazione consiste nel fatto che nella
maggioranza dei casi l’attività direttoriale costituiva in principio un
sostanziale corollario alla pratica compositiva, la quale assumeva
spesso i connotati della professione principale e trainante. A metà
Ottocento non si era ancora superata, quindi, la relazione biunivoca
tra la genesi di una partitura e la sua interpretazione.
Inoltre, se si scorrono le locandine dei teatri, si scopre come in questa
fase storica si prediligesse presentare titoli di nuova fattura o
comunque partiture che fossero state ultimate non più di cinquant’anni
prima. Risulta praticamente assente dalle attenzioni dei teatri la
riproposizione di repertori storici; tanto che la famigerata Bach
Reinassance, inaugurata da Mendelssohn nel 1829, venne letta come
un fatto straordinario e di portata quasi inenarrabile per gli usi
dell’epoca. Si sarà notato - e si troverà conferma anche in seguito come la scuola tedesca dell’Ottocento proponesse solide e acclamate
interpretazioni
di autori del romanticismo patrio; di contro, però,
non sapeva né voleva fissare lo sguardo oltre alla parabola dell’ultimo
Beethoven. Il classicismo viennese era sconosciuto e giaceva riposto
negli archivi. Analogamente i concertatori italiani si preoccupavano di
accaparrarsi le prime assolute delle opere dei beniamini del
melodramma, quando in cartellone non vi fosse addirittura una loro
stessa composizione. Ma se Rossini sopravvisse all’unificazione del
19
Regno e quindi dalla lontana Parigi poteva ancora stimolare
l’esecuzione di molti dei suoi capolavori del primo trentennio del
secolo, per Bellini e soprattutto per Donizetti – per non parlare di altri
loro meno fortunati e noti contemporanei - l’oblio scese in modo quasi
inspiegabile ed irriverente, quanto meno su molte delle loro pagine. E
sovente il buio pesto dominò fino alla metà del secolo scorso, quando
il desiderio di indagare anche criticamente questo repertorio venne
assecondato da strumenti di ricerca più scientifici di quelli di cento
anni prima. Ancor oggi le partiture che attendono d’essere studiate,
riviste, pubblicate ed eseguite assommano valori non trascurabili ed
impongono l’investimento di opportune risorse. Come Oltralpe,
quindi, anche in Italia non ci si curò delle gemme settecentesche della
danza o dell’intermezzo, per rincorrere invece il nuovo e l’inedito.
Si potrà quindi concludere che il recupero della tradizione del tardo
classicismo, di cui Toscanini ad inizio Novecento si fece interprete,
ma anche della stessa letteratura romantica25, fossero esperienze
ancora nuove per le sale da concerto dell’epoca.
25
Si narra del disappunto che alla Scala venne dimostrato dal pubblico
quando Toscanini nel 1902 propose di allestire Il trovatore: era un’opera
ormai cinquantenaria e quindi ritenuta vecchia rispetto al gusto liberty di
allora. H. Sachs, Toscanini, il maestro, (7 voll.) Mondadori, Milano, 2007,
Vol. 1, p. 7
20
Capitolo secondo
La prima generazione
Per suffragare con motivazioni più probanti la tesi della cogenza di
un’epoca toscaniniana, sarà ora opportuno cercare nella medesima
generazione del maestro altri elementi di frattura con il passato e di
continuità rispetto al proprio tempo. La prima fondamentale questione
è data dal fatto che la sua longevità complica in molti casi la
possibilità di sovrapporre in misura congrua le parabole artistiche dei
colleghi. Tuttavia si utilizzerà come generale criterio uniformante
l’anagrafe a partire dalla metà del Secolo XIX fino al 1870: non è
secondaria la precoce iniziazione del Nostro, che già nei primi anni
Novanta poteva considerarsi un protagonista indiscusso del panorama
musicale del suo tempo. Ne segue che i concertatori nati già un
decennio dopo, vadano considerati parte di una nuova generazione, in
quanto beneficiari della mitica aura conferita alla figura del direttore
d’orchestra dall’esempio di Toscanini.
Fig. 9 - Richard Strauss.
21
1. Il sinfonismo d’Oltralpe
Punto di riferimento essenziale dell’epoca fu senz’altro Richard
Strauss26 (1864 – 1949), il quale non fu solo uno straordinario
compositore e un finissimo orchestratore, ma venne anche
unanimemente stimato come abilissimo concertatore. Successore di
Hans von Bülow, fu attivo a Weimar, dove diresse l’integrale delle
opere di Gluck, Mozart e Wagner. A tal proposito si conviene con
quanto sostenuto nel precedente capitolo: il recupero del Settecento
non va considerato come una prassi dovuta e scontata a quell’epoca;
anzi, la proposta di programmi di sala siffatti va letta come una fase
innovativa nel processo di definizione della figura del direttore
d’orchestra, che si pone quale vincolante artefice nella definizione del
gusto e negli orientamenti estetico- culturali del pubblico. Strauss fu
in seguito attivo nella natia Monaco, per divenire più tardi direttore
principale dell’opera di Berlino (1898 – 1919) e poi di Vienna (1920 –
24). La sua collaborazione con il regime nazista gli procurò
provvedimenti punitivi piuttosto severi al termine della guerra, quando
ormai era ultraottantenne. Richard Strauss ha anche ridefinito il ruolo
del musicista nella società. Sebbene provenisse da una famiglia
benestante, egli si adoperò per tutelare gli interessi economici dei
compositori e non solo dei loro interpreti. Già nel 1889, consapevole
che ciò gli avrebbe procurato delle difficoltà da gestire con parte delle
fazioni sociali e anche con parte del mondo accademico, fondò una
società a tutela del diritto d’autore, grazie alla quale si crearono le
moderne basi del concetto di proprietà artistica.
Epigono straordinario ed imprescindibile durante la giovinezza di
Toscanini fu l’opera di Gustav Mahler27 (1860 – 1911), per il quale
26
Per un generale inquadramento della figura di R. Strauss: Cesare
Orselli, Richard Strauss, Palermo, L'epos, 2004.
27
Quali riferimenti bibliografici essenziali per questo lavoro si citano:
Quirino Principe, Mahler. La musica tra Eros e Thanatos, Milano, Tascabili
22
qualsiasi tentativo di sintetizzarne l’incomparabile contributo esteticoculturale risulterebbe poco efficace. Basti ricordare, per assecondare le
finalità del presente lavoro, non solo le sue interpretazioni straussiane,
ma soprattutto – analogamente a quanto osservato per lo stesso Strauss
- il recupero delle partiture di Gluck, Mozart e del Fidelio
beethoveniano. Anche questo va quindi letto nella mutua attenzione
che la generazione toscaniniana riservò alle novità del loro tempo e
alla suggestione delle perle del recente passato.
Fig. 10 - Gustav Mahler.
Altro paradigma della tradizione d’oltralpe fu Willem Mengelberg
(1871 – 1951), per un cinquantennio direttore principale della Royal
Concertgebouw Orchestra: contribuì in modo decisivo al trionfo della
musica di G. Mahler in Olanda, ma fu anche celebre per le sue
interpretazioni di J. S. Bach, Beethoven, Brahms e Strauss. Occupò il
podio della New York Philharmonic Orchestra mentre l’incarico era
stato affidato ad Arturo Toscanini, con il quale non mancarono screzi
ed incomprensioni. Venne allontanato dal podio dopo la Seconda
Bompiani, 1983; G. Fournier-Facio, Gustav Mahler. Il mio tempo verrà,
Milano, Il Saggiatore S.p.a, , 2010
23
Guerra Mondiale, in quanto accusato di collaborazionismo filonazista: egli non accettò mai questa triste condanna.
2. Italia, patria del belcanto
In Italia, mentre erano ancora attivi molti degli esponenti della
generazione precedente, le principali attenzioni vennero riservate al
panorama lirico. A favore del repertorio sinfonico si devono tuttavia
ricordare il già citato lavoro di Franco Faccio e l’attività infaticabile di
Giuseppe Martucci (1856 – 1909). Ottimo pianista e compositore
stimato dallo stesso Toscanini, si adoperò anche come didatta per il
rinnovamento della cultura musicale italiana; favorì le esecuzioni in
Italia delle opere di Ludwig van Beethoven, di Robert Schumann, di
Johannes Brahms, di Liszt, di Wagner, di César Franck, di Vincent
d'Indy, di Édouard Lalo e di molti altri musicisti europei, di cui fu lui
stesso interprete sul podio.
Fig. 11 - Giuseppe Martucci.
24
Antesignano della nuova scuola, Manlio Bavagnoli28 (1853 – 1931)
è spesso ricordato per essere stato il padre di Gaetano, più noto con lo
pseudonimo“Tanino” (1879 – 1933), di cui si parlerà diffusamente nel
prossimo capitolo. Fu anche stimato compositore e didatta: come
maestro di canto formò molte delle più affermate voci del primo
Novecento: tra i vari si citano Aureliano Pertile, Lina Pagliughi, Lina
Bruna Rasa e Toti dal Monte. La sua approfondita conoscenza della
vocalità e della strumentazione lo abilitò a farsi scritturare nei più
prestigiosi teatri italiani: diresse la prima esecuzione di Asral di A.
Franchetti.
Altro insigne coetaneo di Toscanini fu Cleofonte Campanini29
(1860 – 1919), che studiò da autodidatta, ma dimostrò fin da giovane
pregevoli
doti
nella
conduzione
delle
masse
orchestrali
e
nell’organizzazione delle sue attività. Diresse le prime di Adriana
Lecouvrer (1902) e Madama Butterfly (1904). Edificò un teatro a
Parma – il Politeama Reinach -, dove fece allestire a sue spese le
principali opere verdiane in occasione del centesimo anniversario
della nascita del Cigno di Busseto (1913). Visse gli ultimi anni negli
Stati Uniti, dove morì.
Fig. 12 – Cleofonte Campanini
Fig. 13 - Rodolfo Ferrari
28
Non è attestata una specifica bibliografia sulla figura, pur rilevante, di
Manlio Bavagnoli. Tuttavia si segnala M. Ferrarini, art. su Corriere
Emiliano, Parma, 3 gennaio 1931, citato in A. Orlandini, La bacchetta di
Puccini. La figura e l’arte di Gaetano Bavagnoli, Cento (Fe), Maurizio
Magri Editore, 2006, pp. 495 - 496
29
Per una biografia completa si può consultare: Gaspare Nello Vetro,
Cleofonte Campanini: l'altro direttore, Parma, Il cavaliere azzurro, 2001.
25
Artista dalle mille risorse fu Rodolfo Ferrari (1865 – 1919). Figlio
d’arte, come direttore d’orchestra si impose a New York, dove tra il
1901 e il 1908 si esibivano i più celebri cantanti dell’epoca (in
particolare Enrico Caruso). In Italia concertò le prime assolute de
L’amico Fritz (1891), Andrea Chenier (1896), Le maschere (1901) e
molte prime italiane di opere straniere, quali Werther, Manon, Thäis
Sanson et Dalila e Parsifal. Diresse circa 5000 spettacoli in 30 anni di
attività: svolse quindi un lavoro frenetico nei più affermati teatri del
suo tempo. Purtroppo della sua osannata carriera ora resta poco più
che qualche vaga citazione30 e manca di certo un lavoro organico che
renda ragione del suo riconosciuto talento e dello zelo che riservò alle
sue produzioni.
Altre bacchette celebri di questa generazione furono Franco Leoni
(1864 – 1949) e Pietro Mascagni (1863 – 1945). Il primo fu allievo di
Ponchielli e si distinse anche come compositore di opere, che vennero
rappresentate in vari teatri europei; operò a lungo a Londra, dove
morì. L’autore di Cavalleria rusticana fu anche direttore di
compagnie d’operetta e di bande musicali in Italia meridionale.
Diresse spesso le proprie opere ed anche i melodrammi dei suoi
contemporanei31 presso le più importanti istituzioni musicali32 del suo
tempo.
Un contributo biografico sintetico si può reperire nell’articolo: L.
Verdi, Rodolfo Ferrari direttore d'orchestra, in "Nuova Rivista Musicale
Italiana", XLV, XV nuova serie, 1, gennaio-marzo 2011, pp.83-134
31
Lo scrivente nel suo lavoro di ricerca per la pubblicazione del proprio
volume Vita musicale sandonatese nel secolo XX, San Donà di Piave,
Passart, 2002, ha rinvenuto una dedica autografa di Pietro Mascagni al
baritono meolese Ottavio Marini, nella quale il maestro si compiaceva per
l’ottima interpretazione del ruolo di Tonio in Pagliacci in occasione di una
recita che si tenne sotto la sua personale direzione presso il Castello
Sforzesco di Milano nel 1940.
32
Su Mascagni direttore d’orchestra mancano lavori che ne definiscano la
reale portata tecnica ed i contenuti espressivi raggiunti.
30
26
3. Conclusioni per la prima generazione
Dovendo stilare una sintesi dei tratti innovativi di questa
generazione rispetto alla precedente, si potrà ribadire il desiderio
crescente di giungere alle interpretazioni contemporanee dopo aver
studiato e riletto criticamente gli illustri esempi del passato. Si potrà
aggiungere anche la crescente attenzione nella predisposizione di un
apparato organizzativo sempre più complesso attorno alla figura del
direttore d’orchestra: egli comincia a diventare il perno attorno al
quale ruota l’intera macchina burocratica e logistica del teatro e non
più il semplice surrogato del clavicembalista o del violino di spalla,
come avveniva fino ad un cinquantennio prima.
Fig. 14 - Arturo Toscanini nella sua casa a Milano
27
28
Capitolo terzo
La seconda generazione
All’esordio del precedente capitolo si è sottolineato come il debutto
precocissimo del maestro sul podio dei grandi teatri induca ad
assegnare i direttori d’orchestra nati nell’ultimo quarto dell’Ottocento
a una nuova generazione. E’ evidente che in molti casi le carriere
hanno registrato convergenze, concomitanze, ma anche alterità
rispetto ai predecessori ed allo stesso Toscanini.
Ciò che si intende dimostrare di seguito consiste nel fatto che
quest’ultimo sia stato in fondo il vero collante, capace di assemblare le
differenti istanze incarnate dai colleghi di poco più giovani. Si noterà
che i loro paradigmi professionali sono stati declinati in genere sulla
scia nuova proposta al crepuscolo dell’Ottocento da colui che si potrà
considerare - forse un po’ arditamente, ma a ragion veduta - un homo
novus.
1. Longevità d’Oltralpe
Questa generazione fu curiosamente accomunata Oltralpe da una
generale longevità, che fece il paio con quella di Toscanini. Di certo
l’altisonanza dei nomi che di seguito sono citati ed il carattere
autoritario di molte delle loro personalità, potrebbe indurre a ritenere
complessa l’identificazione di una comune matrice estetica.
29
In verità il carattere cosmopolita delle loro carriere costituisce un
aspetto piuttosto innovativo, rispetto alle dimensioni europee di molti
dei percorsi dei loro predecessori. L’area germanica, peraltro, ha
costretto personalità pubbliche a dichiarare esplicitamente la loro
posizione rispetto al regime nazista: ciò si è tradotto per gli oppositori
in esili forzati tra gli anni Trenta e la fine del conflitto mondiale e per i
sostenitori in restrizioni e condanne durante l’immediato dopoguerra.
I trionfi d’oltreoceano sono stati la conseguenza più naturale sia del
drammatico quadro politico europeo sia dell’ascesa economica e della
sete di cultura degli Stati Uniti. In questa prospettiva l’aderenza con la
biografia di Toscanini sembra quanto mai evidente.
Si può aggiungere per la maggior parte dei direttori di questa epoca
la ricerca a partire dalla fine degli anni Venti delle incisioni
discografiche, quale strumento di divulgazione e soprattutto di
marketing industriale. Questa sarà la prerogativa assoluta della
generazione successiva, la terza dell’era toscaniniana.
Pur non potendo in questa sede fornire quadri biografici esaustivi,
si ritiene opportuno inserire un quadro sintetico e cronologico delle
principali figure coinvolte.
Il primo esponente della “seconda generazione toscaniniana” è
Bruno Walter (1876 – 1962), che nacque solo nove anni più tardi
rispetto al collega parmigiano. Formatosi come talentuoso pianista,
ancor fanciullo rimase colpito dall’imponenza della musica che
ascoltò in occasione dei concerti diretti a Bayreuth da Hans von
Bülow nel 1889 e nel 1891. Fu assistente di Mahler ad Amburgo e dal
1901 a Vienna, dove intraprese la direzione del grande repertorio
dell’Ottocento tedesco, francese e italiano e di alcune pagine a lui
contemporanee. Nel 1913 lasciò Vienna per diventare direttore
musicale dell'opera di Monaco di Baviera, dove rimase fino alla fine
del 1922. Nel 1923 viaggiò negli Stati Uniti per dirigere l'Orchestra
Sinfonica di New York e raggiunse il prestigioso podio dell'Orchestra
30
del Concertgebouw di Amsterdam. A Londra, Walter fu direttore
principale al Covent Garden dal 1924 al 1931. Dal 1929 al 1933 fu
direttore stabile dell'Orchestra del Gewandhaus di Lipsia. Provenendo
da una famiglia ebrea, visse il grave disagio delle leggi razziali a
partire dal 1933 e fu costretto a lasciare la Germania, per soggiornare
in Austria, a Vienna e Salisburgo. Qui si distinse negli anni Trenta
soprattutto
per
le
rivoluzionarie
interpretazioni
mozartiane.
Contemporaneamente accettò le richieste incessanti del pubblico
statunitense, che gli consentirono di rimanere lontano dalle minacce
europee: diresse con successo più di cento produzioni presso il
Metropolitan di New York. Ebbe vita lunga e diresse anche da
ottantenne con autorità, suscitando la stima e l’ammirazione di molti
giovani colleghi33.
Fig. 15 - Bruno Walter
Carlo Maria Giulini (1914 – 2005) testimoniò in una celebre intervista
televisiva del 1995 la grande ammirazione per Bruno Walter, che ebbe modo
di apprezzare a Roma da giovane violista dell’orchestra.
33
31
Thomas Beecham34 (1879 – 1961) si occupò della diffusione
dell’opera lirica e del balletto in Inghilterra. Fondò la London
Philharmonic Orchestra e la Royal Philharmonic Orchestra
Otto Klemperer (1885 – 1973) legò il proprio successo
all’interpretazione del repertorio classico e romantico tedesco e alle
sinfonie di Mahler, di cui fu amico, estimatore ed assistente
nell’ultimo anno di vita. Altri incarichi importanti furono quelli ad
Amburgo (1910 – 1912), all'Opera di Strasburgo (1914 – 1917),
all'Opera di Colonia (1917 – 1924) e poi a Berlino, dove si confrontò
con le composizioni a lui contemporanee. Nel 1933 a causa delle leggi
razziali di Hitler si trasferì negli Stati Uniti, dove, fino al 1939, fu
direttore stabile della Los Angeles Philharmonic Orchestra. Dopo la
Seconda Guerra Mondiale tornò in Europa, dove diresse all'Opera di
Budapest dal 1945 al 1950 e dal 1954 la Philharmonia Orchestra,
dalla quale fu chiamato per sostituire H. von Karajan: nel 1959 ne
venne nominato direttore a vita. Si occupò dell’incisione discografica
del repertorio a lui più caro. Nonostante una paralisi lo costringesse a
dirigere da seduto, si ritirò dalle scene ottantaseienne nel 1971.
Fig. 16 - Otto Klemperer
34
T. Beecham è stato inserito per convenienza di trattazione tra i direttori
tedeschi, pur essendo inglese ed avendo operato prevalentemente in Gran
Bretagna.
32
Wilhelm Furtwängler (1886 – 1954) si distinse come profondo
interprete del repertorio romantico tedesco. Fu direttore principale a
Lipsia, Bayreuth, Vienna e Berlino. Fu accusato di collaborazionismo
con il regime hitleriano e per questo di rifugiò in Svizzera. Fu ospite
spesso anche in Italia. Compose molta musica e lasciò parecchi testi
critici, poi pubblicati
Fig. 17 - Wilhelm Furtwängler.
Erich Kleiber (1890 – 1956), austriaco di nascita, debuttò
giovanissimo a Praga e, dopo aver diretto la prima Wozzeck di Alban
Berg nel 1925, lasciò l’incarico di direttore principale a Berlino a
causa del dissenso con il regime nazista. Si trasferì in Argentina, dove
stabilmente operò presso il Teatro Colon di Buenos Aires e dopo
qualche tempo prese la cittadinanza. Ritornò in Europa negli anni
Cinquanta ed in particolare fu acclamato a Londra; nuovamente rifiutò
la proposta berlinese nel 1954, questa volta per dissenso nei confronti
del comunismo. Fu stimato interprete del grande repertorio sinfonico e
lirico dell’Ottocento. Il figlio Carlos (1930 – 2004), nonostante le
avversioni paterne, intraprese la carriera direttoriale con straordinario
successo.
33
Dimitri Mitropoulos35 (1896 – 1960), allievo
a Berlino di
Ferruccio Busoni, dove tra il 1921 e il 1925 fu assistente di Erich
Kleiber. Nel 1930, durante un concerto con la Berlin Philharmonic
Orchestra, fu tra i primi a condurre l'orchestra e a suonare il
pianoforte contemporaneamente. Dopo il suo debutto alla Fenice, nel
1936 si trasferì negli Stati Uniti per dirigere la Boston Symphony
Orchestra e dal 1937 al 1949 l'Orchestra Sinfonica di Minneapolis in
molte prime assolute di Bloch, Hindemith e Copland. Dal 1949 al
1958 fu alla testa della New York Philharmonic Orchestra ed al
Metropolitan fu protagonista di più di 200 spettacoli con i più
affermati cantanti del suo tempo. Negli anni Cinquanta tornò spesso in
Europa, soprattutto a Milano, Vienna, Venezia, Firenze, Berlino, dove
interpretò il repertorio melodrammatico da Mozart a Berg con una
delle generazioni più fortunate di voci (solo per citarne alcune: Gobbi,
Simionato, Panerai, Corena, Siepi, Del Monaco, Tebaldi, Bastianini,
Cerquetti, Christoff, Tucker, Warren).
Fig. 18 – (da sinistra) Bruno Walter, Arturo Toscanini,
Erich Kleiber, Otto Klemperer e Wilhelm Furtwängler
35
Greco di nascita, Mitropoulos si formò musicalmente in Germania.
34
2. Il Bel Paese si pasce ancora di melodramma
Gli slanci verso il sinfonismo mitteleuropeo che avevano animato
le carriere di Faccio, Busoni e Martucci, si placarono almeno in Italia
a principio del nuovo secolo. Le ragioni sono presto dette: all’eco
verdiana s’erano aggiunti i trionfi veristi, le azioni drammaturgiche
tanto care al liberty, la canzone napoletana, la stessa romanza da
salotto, lo straripante “fenomeno Puccini” e le straordinarie voci
(Caruso in testa), che sapevano infiammare le platee e i loggioni. In
questa fase i riflettori vennero puntati non già sui concertatori, quanto
piuttosto
sui cantanti. In ragione di questo si misurò la distanza
siderale tra la fama di Toscanini (e dei colleghi d’oltralpe) e quella dei
pur valenti connazionali. Tra l’altro in alcuni casi le loro qualità
vennero osannate dagli interpreti e, oltre che dal pubblico, dagli stessi
compositori.
Tullio Serafin (1878 – 1968) seguì ad un decennio di distanza la
carriera di Toscanini, di cui peraltro fu assistente a Milano. Morì
anch’egli novantenne, dopo aver attraversato per un settantennio le
vicende più gloriose del melodramma italiano. Dopo il debutto
ferrarese nel 1898, diresse al Covent Garden di Londra, per divenire
dal 1909 al 1914 e dal 1917 al 1919 direttore principale del Teatro alla
Scala.
Al Metropolitan di New York dal 1924 al 1934 concertò le
prime rappresentazioni americane di molte opere italiane. Rientrato in
Italia nel 1934 venne nominato direttore del Teatro Reale di Roma
fino al 1943, allestendo diverse prime rappresentazioni di autori
contemporanei. Successivamente Serafin si vide assegnare la
medesima carica al Maggio Musicale Fiorentino, prima di tornare sul
podio della Scala nell’immediato dopoguerra. Fu prodigioso nella
scoperta di voci promettenti; moltissimi acclamati interpreti sono stati
istruiti ed avviati alla carriera da lui: tra i vari si citano Maria Callas,
Renata Tebaldi, Fedora Barbieri, Leyla Gencer, Giuseppe Di Stefano,
35
Beniamino Gigli, Mario Del Monaco, Tito Gobbi, Giulietta Simionato
e Luciano Pavarotti. Fu assai prolifico anche in campo discografico:
lasciò pregevoli incisioni dei più noti titoli del repertorio lirico.
Fig. 19 - Tullio Serafin con Maria Callas
Gaetano Bavagnoli36 (1879 – 1933), figlio d’arte di Manlio, era
noto con lo pseudonimo di “Tanino”. Fu profondamente stimato dal
pubblico, dalla critica, dagli artisti ed anche dallo stesso Puccini37, il
quale non ebbe remore a confessare più volte la predilezione38 per le
sue concertazioni. La sua carriera si dipanò inizialmente nel teatri
italiani; tra il 1912 ed il 1916 fu spesso presente negli Stati Uniti ed in
Sud America, per rientrare più stabilmente in Italia fino alla prematura
scomparsa. Non fu un fenomeno mediatico come altri colleghi, ma
certamente era dotato di talento non comune.
Fondamentale testo di riferimento per la figura di “Tanino”, ma anche
per l’intera epoca toscaniniana è il citato A. Orlandini, La bacchetta di
Puccini. La figura e l’arte di Gaetano Bavagnoli, Cento (Fe), Maurizio
Magri Editore, 2006,
37
Così ebbe a dire Puccini ad un giornalista: “Bavagnoli è uno degli
interpreti che meglio mi hanno capito e quasi nessuno sa come lui rendere il
mio pensiero musicale” in A. Orlandini, cit, Prefazione
38
Ibidem: “Con qualunque mia opera con Lei io sono in mani mansuete e
pure. Lo sa che io sono così contento e tranquillo quando mi dirige?”
36
36
Gino Marinuzzi 39(1882 – 1945) è ricordato come insigne interprete
wagneriano e straussiano, ma anche di Beethoven, Berlioz, Brahms;
colto e raffinato, godette della stima di Strauss. Intraprese la carriera
direttoriale nel 1901 con Rigoletto, sostituendo giovanissimo un
collega indisposto; da allora seguirono oltre quarant’anni di successi,
terminati con un acclamato Don Giovanni nel 1945, l’anno della sua
morte.
Fig. 20 - Gino Marinuzzi.
Piero Fabbroni (1882 – 1942), veronese, fu allievo a Venezia di E.
Wolf-Ferrari, di cui interpretò magistralmente tutte le opere già a
partire dal 1913. Risalgono a quel periodo gli incontri con Beniamino
Gigli e con il soprano Bianca Scacciati, con i quali successivamente
lavorò di frequente. Nella città natale fu spesso richiesto tanto al
Teatro Filarmonico quanto in Arena per
Aida
e Mefistofele; fu
accolto con ovazioni al Regio di Parma, al Comunale di Bologna soprattutto quando diresse i capolavori di Wolf-Ferrari - e al
Petruzzelli di Bari per i titoli pucciniani. La fama di cui Fabbroni
godeva, non solo per le qualità artistiche ma anche per le sue
indiscusse capacità organizzative, raggiunse le principali sedi
concertistiche italiane. Nell'autunno del 1931 egli fu invitato ad
entrare nella segreteria artistica della Scala e vi rimase per un
39
Molti riferimenti sono consultabili nel sito www.ginomarinuzzi.it
37
quinquennio, durante il quale continuò la sua attività direttoriale,
sostituendo Victor de Sabata nel 1933 in una Tosca scaligera.
Giuseppe Mulè (1885 – 1951), certamente più celebre come
compositore, fu cultore del linguaggio verista. Assunse ruoli di
prestigio durante il periodo fascista (deputato del Parlamento nel
1928), che gli valsero incarichi didattici rassicuranti, quali la direzione
del Conservatorio di Palermo prima e di Roma poi.
Victor De Sabata (1892 – 1967), dopo gli studi milanesi ed il
debutto, dal 1929 al 1957 occupò la carica di direttore dell'Orchestra
del Teatro alla Scala di Milano, del quale fu in seguito nominato
direttore artistico. Nel 1930 diresse la prima rappresentazione al
Covent Garden di Londra di Andrea Chénier e nel 1932 la prima a
Milano di Fedora. Venne considerato tra i migliori interpreti di tutti i
tempi e spesso venne affiancato per le qualità allo stesso Toscanini.
Ebbe modo di dirigere le voci più celebrate della storia e si cimentò in
diverse composizioni, realizzate nello stile tardo-romantico. Predilesse
la direzione di musiche di Richard Wagner (in particolare Tristano e
Isotta) e di Giuseppe Verdi. Monumentali i documenti discografici
che sono pervenuti.
Fig. 21 - Victor De Sabata
38
Antonino Votto (1896 – 1985) fu assistente di Toscanini alla Scala
e, dotato come il maestro di una prodigiosa memoria,
dal 1923
intraprese una brillante carriera, durante la quale salì sul podio dei più
celebrati teatri a livello internazionale. Venne stimato e cercato da
cantanti quali Maria Callas, Renata Tebaldi e Carlo Bergonzi. Venne
nominato titolare della cattedra di direzione d’orchestra del
Conservatorio di Milano, dalla cui classe usciranno talenti del calibro
di Guido Cantelli, Claudio Abbado e Riccardo Muti.
Fig. 22 - Antonino Votto con Maria Callas,
Elena Nicolai e Franco Corelli
39
3. Conclusioni per la seconda generazione
Si è potuto cogliere il tratto distintivo di quest’ultima categoria
rispetto alla precedente nella marcata differenziazione dei repertori
che hanno caratterizzato le carriere dei direttori d’Oltralpe e degli
italiani, rispettivamente legati al sinfonismo mitteleuropeo gli uni ed
al melodramma gli altri.
Si è poi notato il ruolo socio-politico svolto dal direttore
d’orchestra in fasi così delicate, quali quelle della crisi ideologica del
primo Novecento; anche grazie al potere mediatico della radio, del
cinema in alcuni casi e della discografia, le loro biografie sono state
spesso veicolate dalle posizioni assunte nei confronti dei poteri
costituiti.
In parte come conseguenza di tale status politico ed in altra misura
in nome dell’ascesa economica degli Stati Uniti, le frontiere culturali
si sono aperte e i direttori d’orchestra sono divenuti sempre più
espressioni “globalizzate” delle nazioni in cui si sono formati.
Visto dal baricentro dell’epopea toscaniniana, appare evidente,
come ci si era proposti di dimostrare all’inizio del presente capitolo,
che il maestro può costituire secondo questa prospettiva un autentico
collante: egli si cimentò parimenti nel sinfonismo tardoromantico, nel
recupero
del
classicismo
mozartiano
e
beethoveniano,
nell’approfondimento del linguaggio verdiano, nella diffusione del
nascente lessico pucciniano, nelle sfide proposte dalla modernità; si
avventurò nel nuovo universo della discografia e seppe mantenere
l’austerità e il dominio, anche dinanzi alle prevaricanti glorie dei
cantanti.
40
Capitolo quarto
La terza generazione
Se le prime due generazioni, descritte nei precedenti capitoli, hanno
condiviso il loro spazio biografico con la vicenda esistenziale di
Toscanini, la terza dinastia era
inesorabilmente destinata ad
oltrepassarne i confini temporali e quindi a proporre nuovi percorsi
estetici e di ricerca. E’ pur vero che lo stuolo di artisti nati nelle prime
due decadi del Novecento hanno comunque compiuto i loro studi ed
hanno intrapreso parte delle carriere quando era ancora imperante
l’aura toscaniniana. Ma è altrettanto inconfutabile il fatto che la
consapevolezza di doversi smarcare da una forma mentis diffusa e
consolidata, abbia generato in molti la ricerca di percorsi innovativi.
Più che proporre delle poco proficue biografie, in questo caso si
intende semplicemente sintetizzare quali elementi dell’epoca di
Toscanini siano rimasti nelle loro pratiche e quali invece abbiano
prodotto una nuova fase storica.
Se ben si ripone memoria, si era premesso all’inizio dell’elaborato
che la definizione di un’epoca nel suo incipit e nel suo declino si
giustifica solo se sussiste un processo di trasformazione. Quindi, se il
secondo capitolo aveva descritto l’evoluzione della scuola del primo
Ottocento verso la nuova aura respirata durante l’ultimo decennio del
secolo, ora si dovranno identificare all’alba del Novecento le prassi
del passato che assopiscono ed le nuove che si destano.
41
1. Una nuova didattica
L’approdo alla carriera direttoriale s’era visto che molto spesso a
fine Ottocento era legato in modo indissolubile all’esperienza
compositiva. In sostanza si concepiva la pratica della concertazione
quale strumento propedeutico e talora empirico per diffondere i
contenuti
musicali
delle personali
ricerche.
Durante l’epoca
toscaniniana si è assistito ad una progressiva specializzazione delle
mansioni ed una differenziazione delle stesse professionalità. Tanto
che la nuova generazione - la terza secondo questa prospettiva invertì propriamente il percorso e finì con il considerare la
composizione propedeutica alla direzione di complessi orchestrali.
Possiamo quindi sostenere che quest’ultima si sia con il tempo
attribuita canoni più scientifici e meno empirici. Ciò sottintende la
costituzione, pur lenta e controversa, di una didattica, di metodologie,
di percorsi e quindi di scuole ed accademie.
2. La dittatura del direttore
La parabola di Toscanini ha proiettato il direttore d’orchestra in una
prospettiva quasi olistica: da maestro al cembalo e violino di spalla era
divenuto l’artefice primo dello spettacolo, che doveva saper condurre
sia
dal
punto
di
vista
artistico
sia
attraverso
i
meandri
dell’organizzazione e della logistica.
Si è sottolineato già come, tuttavia, l’ascesa del divismo canoro
abbia obnubilato i bagliori di molte delle bacchette della seconda
generazione. A fare da contraltare allo strapotere del concertatore si è
posta nel pieno Novecento la figura del regista, riportando con il
tempo in equilibrio la dialettica tra le istanze musicali e quelle
drammaturgiche. E ciò soprattutto nel repertorio melodrammatico,
42
che, grazie anche al cinema e poi alla televisione, esercitò nei
cartelloni dei teatri la parte del leone.
3. La filologia
L’applicazione delle istanze scientifiche della filologia alla musica
è un processo piuttosto recente. In ogni caso l’esigenza di cercare
un’interpretazione quanto più vicina possibile al pensiero del
compositore, risultava una problematica quasi assurda per gran parte
dell’Ottocento. Infatti si è dimostrato come i repertori non fossero
quasi mai scelti nella tradizione lontana; la musica proposta era di
nuova commissione o comunque il suo processo creativo non si
allontanava mai più di qualche decennio dalla data di esecuzione.
Nell’era toscaniniana si è iniziato a recuperare parte del patrimonio
del classicismo viennese: la grande novità del pieno Novecento fu
proprio di scavare negli archivi e riesumare molti spartiti consunti e
talora mai eseguiti.
In quest’ottica il contributo della filologia era ed è volto a filtrare
criticamente i materiali: questa è divenuta una fase imprescindibile,
cui spesso l’apporto del direttore può fornire chiavi di lettura
alternative. Si sono però definite scuole di
pensiero molto
diversificate negli orientamenti estetici, che hanno prodotto la
costituzione di stili interpretativi e relativi dibattiti musicologici.
Lo sguardo frequentemente rivolto al passato ha anche determinato
l’intiepidirsi del fervore nei confronti della musica contemporanea e
soprattutto il diradarsi della sua esecuzione.
43
4. L’organologia
Il progresso tecnologico che ha attraversato a ritmo funambolico
l’intero Novecento, ha determinato un generale perfezionamento degli
strumenti musicali sia dal punto di vista meccanico, che anche per
quanto
concerne
l’intonazione
generale.
Parallelamente
ha
moltiplicato, grazie anche all’ingresso dell’elettronica nelle compagini
orchestrali, le possibilità timbriche dell’orchestra.
Si è quindi resa necessaria una specifica formazione organologica
per il direttore d’orchestra della terza generazione toscaniniana.
Fig. 23 - Arturo Toscanini.
44
Conclusioni
Scopo del presente lavoro è di dare legittimità ad una
periodizzazione, nella quale l’ascesa, l’apogeo ed il declino di Arturo
Toscanini si possa configurare come un’epoca significativa nella
storia della direzione d’orchestra. Ovvero si è voluto dimostrare che il
maestro ha raccolto effettivamente alcuni elementi della tradizione
ottocentesca, declinandoli però in maniera tanto originale da generare
un’immagine nuova e rivoluzionaria della stessa figura del direttore.
Per
giustificare
la
conclusione
dell’epoca
toscaniniana
con
l’abbandono delle scene da parte del protagonista stesso, si sono
dovute enumerare le nuove istanze che hanno trasformato da quel
momento in poi il ritratto tipico dello stesso concertatore.
Volendo sintetizzare ulteriormente i risultati dell’indagine ex ante,
si può sostenere come Toscanini :

abbia infittito le responsabilità, i doveri ed i poteri del direttore
rispetto alla tradizione ottocentesca;

abbia aperto il ventaglio dei repertori al passato, eleggendo le
suggestioni tanto sinfoniche quanto liriche;

abbia compreso e vissuto la dimensione sociale e politica della
nuova personalità, a dispetto dell’anonimato incarnato dai colleghi più
anziani;

abbia valorizzato le risorse offerte dalla nascente industria
discografica;

abbia sperimentato il cosmopolitismo culturale e le opportunità
che esso poteva veicolare.
Rovesciando la prospettiva e quindi analizzando ex post l’epilogo
della parabola, si è dimostrato come dopo Toscanini il direttore
d’orchestra:
45

abbia ricevuto nell’approccio alla disciplina un orientamento
metodologico e scientifico più oggettivo rispetto ai predecessori;

abbia spalmato le proprie responsabilità ed il proprio potere in
teatro secondo nuovi criteri e nuove dialettiche;

abbia
considerato
la
composizione
quale
strumento
propedeutico alla direzione musicale;

abbia adeguato la propria formazione accademica alle nuove
esigenze della concertazione;

abbia ampliato il proprio repertorio, considerando soprattutto il
recupero di molto materiale più o meno inedito o desueto;

abbia elaborato un proprio percorso estetico e stilistico sulla
base di nuovi input filologici.
Arturo Toscanini segnò quindi un’epoca: fu un homo novus,
fardello per i demoni persecutori, nube per i profeti indifferenti e luce
per angeli adulatori.
46
Bibliografia
AA.VV., Amilcare Ponchielli, Milano, Nuove Edizioni, 1985.
C. Abbado, Musica maestri! Il direttore d’orchestra tra mito e
mestiere, Milano, Feltrinelli, 1985.
F. Attardi & G. Pasero, Leadership trasparente: direzione d’orchestra e
management d’azienda, Milano, Franco Angeli, 2004.
A. Bassi, La musica e il gesto: la storia dell’orchestra e la figura del
direttore, Milano, Marinotti, 2000.
H. Berlioz, Il direttore d’orchestra in A. Lualdi, L’arte di dirigere
l’orchestra, Milano, Hoepli, 1949.
D. Bertotti, Il direttore d'orchestra da Wagner a Furtwängler.
L'illustre aberrazione, Palermo, L’epos, 2005.
F. Braudel, Civiltà e imperi del Mediterraneo nell’età di Filippo II,
Torino, Einaudi, 1976.
G. Fournier-Facio, Gustav Mahler. Il mio tempo verrà, Milano,
Il Saggiatore S.p.a, 2010
I. Cavallini, Il direttore d’orchestra, Venezia, Marsilio, 1998.
M. Danon, Il direttore d’orchestra: l’arte dell’essere,
Milano, Garzanti, 1993.
47
N. Lebrecht, Il mito del Maestro. I grandi direttori d’orchestra e le loro
lotte per il potere, Milano, ed. Longanesi & C, 1992.
Z. Mehta (2006), La partitura della mia vita, Milano, Excelsior 1881, 2007.
E. Nicotra, Introduzione alla tecnica della direzione d’orchestra secondo la
scuola di Ilya Musin + DVD, Milano, Curci, 2008.
A. Orlandini, La bacchetta di Puccini. La figura e l’arte di Gaetano
Bavagnoli, Cento (Fe), Maurizio Magri Editore, 2006,
A. Orlandini, La Favorita di Bologna, Cento (Fe),
Maurizio Magri Editore, 2007,
W. Panciera & A. Zannini, Didattica della storia. Manuale per la
formazione degli insegnanti. Terza
edizione aggiornata, Firenze, Mondadori
Education - Le Monnier università, 2013.
M. Perissinotto, Vita musicale sandonatese nel secolo XX,
San Donà di Piave, Passart, 2002.
Q. Principe, Mahler. La musica tra Eros e Thanatos, Milano, Tascabili
Bompiani, 1983.
V. Ramon Bisogni, Angelo Mariani. Tra Verdi e la Stolz,
Varese, Zecchini Editore, 2009.
H. Sachs, Toscanini, il maestro (7 voll.), Milano, Mondadori, 2007, Vol. 1
R. Sani, Maestri e istruzione popolare in Italia tra Otto e Novecento,
Milano, Vita e Pensiero, 2003, pp. 81-84
48
L. Verdi, Rodolfo Ferrari direttore d'orchestra, in "Nuova Rivista Musicale
Italiana", XLV, XV nuova serie, 1, gennaio-marzo 2011, pp.83-134
G. N. Vetro, Cleofonte Campanini: l'altro direttore,
Parma, Il cavaliere azzurro, 2001.
M. Zurletti, La direzione d'orchestra: grandi direttori di ieri e di
oggi, Milano, Ricordi, 1985.
Venezia, li 01 luglio 2014
49