Conoscere il dono di Dio

annuncio pubblicitario
editoriale*
Conoscere il dono di Dio
E chi avesse voluto conoscere Amore,
fare lo potea mirando
lo tremore de li occhi miei.
Dante
(Vita Nuova, II/53)
«Se tu conoscessi il dono di Dio...». Gesù
Conoscere: apprendere con l’intelletto l’essenza delle cose, acquistarne la
nozione, averne notizia dell’esistenza, riconoscere, raffigurare, discernere,
apprezzare, valutare, avere esperienza... Di tutte queste definizioni fornite
dai vari Vocabolari della Lingua italiana, sicuramente l’ultima, «avere esperienza», è quella a cui più si richiama il v. 10 del cap. 4 dell’evangelo di Giovanni.
Parlando di «conoscenza» si tende ad associare questo termine alle modalità
della sua trasmissione: storicamente, questa si snoda attraverso l’opposizione
«orale/scritto», la prima legata alla parola (una parola che in molte religioni è
peraltro consegnata ad un libro, un libro che «parla» e che dunque trasmette conoscenza), la seconda legata invece alla scrittura.
Ai tempi di Gesù, la conoscenza attraverso la parola, e cioè attraverso un
rapporto interpersonale, era prevalente, essendo basato sull’ascolto di un «maestro» che trasmetteva in modo prevalentemente orale i suoi «saperi». Nella modernità, invece, il termine «conoscere» riveste un significato più complesso,
essendo basato su un sapere cumulativo, sistematico, universale ed astratto.
Questo «sapere» è reso possibile grazie alla ricerca, di origine moderna appunto, di un «metodo» che trova particolarmente applicazione a livello scientifico e viene trasmesso a livello scolastico. Sono soprattutto la scienza, mediante vari strumenti epistemologici e psicologici, e la tecnica, con l’introduzione di mezzi sempre più sofisticati, a consentire oggi la trasmissione della conoscenza e quindi la comunicazione.
Queste precisazioni, apparentemente pedanti, sono però necessarie per si* Di Luigi Ghia, della Redazione di Famiglia Domani.
FAMIGLIA DOMANI 3/2008
3
tuare l’affermazione di Gesù in un contesto storico appropriato. La donna di Samaria non aveva certo bisogno di molte spiegazioni, o di supporti mediatici, né
di «navigare» in Internet, per comprendere che l’espressione di Gesù «Se tu
conoscessi» si riferiva ad una conoscenza interiorizzata, più profonda di quel
pozzo presso il quale avviene l’incontro, una conoscenza personale, non intellettuale ma vitale.
***
Il dono. Da raffinato cultore di scienze umane, Marcel Mauss – sociologo ed
etnologo francese del ventesimo secolo – affermava che uno studioso deve prima di tutto predisporre un catalogo, il più vasto possibile, di categorie, partendo da quelle di cui si sa che gli uomini si sono serviti: la conseguenza sarà la
percezione «che ci sono ancora molte lune morte, o pallide, o oscure nel firmamento della ragione».
La categoria del «dono» appartiene sicuramente al firmamento delle lune
pallide.
Gli studi di etnologia, sotto l’ispirazione delle ricerche di Mauss (nipote del
grande sociologo Emile Durkheim) collocano il dono in una visione «circolare». Come dice lo stesso termine, definire «circolare» un processo significa
ipotizzare un ritorno al punto di partenza. Pensiamo ad esempio ad una giostra: se ci sediamo in un qualsiasi «pezzo» di questa giostra sappiamo che dopo un «giro» di 360 gradi ritorneremo esattamente al punto dal quale eravamo
partiti, ed al quale ritorneremo ancora dopo un altro giro e così via. Secondo le
osservazioni sul campo condotte da Mauss, la dinamica del dono funziona sostanzialmente allo stesso modo. I doni «circolano», sì da indurre a chiederci –
insieme con lo studioso di Epinal – «quale forza vi sia nella cosa che si dona, tale che faccia sì che il donatore la renda».
Anche l’antropologo polacco B. Malinowski, dopo aver compiuto studi approfonditi di etnologia nelle Isole Trobriand, descrive il sistema intertribale
(cioè tra le differenti tribù) e intratribale (vale a dire all’interno di quella determinata tribù) di commerci. Questo sistema porta il nome di kula, un termine
praticamente intraducibile, e infatti Malinowski non lo traduce, ma esso significa certamente (in base alle osservazioni «sul campo») «circolo», tanto che
l’Autore lo associa al termine inglese «ring» (anello, cerchio). Kula ring, cioè
una ruota che gira, un po’ come nell’esempio della «giostra». «What goes
around comes around», ciò che va viene, ciò che esce rientra. E non si tratta solo di un fenomeno mercantile, ma di uno scambio a tutti i livelli, una «reciprocità» particolarmente riscontrabile, ad esempio, a partire dalle società più arcaiche fino a quelle più recenti, nelle reti familiari o di clan, e la cui applicabilità si estende a tutte le istituzioni (matrimonio, festa dei morti, riti iniziatici,
ecc.) presiedute dallo stesso principio di circolarità che in qualche modo unifi-
4
EDITORIALE
ca, fin dalla protostoria, i vari aspetti della vita (aspetti religiosi, giuridici, morali, politici e familiari).
L’osservazione di questo modello di «regole sociali» induce Mauss a proporre il concetto di «fenomeni sociali totali».1 Perché i fatti sociali sono «totali»? Perché in essi la dimensione fisio-psicologica, quella sociologica e quella
storica coincidono. È un po’ come se corpo, anima e società si mescolassero.
Ciò che è importante è stabilire «dove» si mescolano. Tutte queste dimensioni
trovano posto nell’individuo, nel soggetto. Scrive M. Mauss: «Ora, il dato, è costituito da Roma, da Atene, dal Francese medio, dal Melanesiano di questa o
quell’isola, e non dalla preghiera o dal diritto in sé. Dopo avere forzatamente
ecceduto nel suddividere e nell’astrarre, i sociologi devono adoperarsi per ricomporre il tutto».2 Che cosa significa questa affermazione, apparentemente
oscura, dell’etnologo? Significa che ideologicamente (l’ideologia rappresenta
il nostro atteggiamento nei confronti del reale) siamo spesso portati a considerare in modo astratto le visioni del mondo, quali potrebbero appunto essere
contenute nella preghiera o nel diritto, come se esse non fossero in realtà radicate nella cultura del soggetto. Esse sono espressioni individuali (il «Melanesiano») e, al contempo, sociali («Roma, Atene...»). Questo ci obbliga a ricomporre il tutto in unità e comporta almeno due conseguenze: la prima è che questa riscoperta dell’unità costringe le differenti scienze ad integrarsi in prospettiva unitaria (e sarebbe interessante ripensare anche la teologia in questo orizzonte!); la seconda: è nel soggetto che vanno ricercate le motivazioni ultime
delle azioni che compie. Il donare rientra in questa prospettiva.3
Claude Lévi-Strauss si spinge ancora oltre. I fatti sociali, afferma, non sono
né dati empirici né idee, ma strutture. Per l’antropologo francese la struttura è
il modo in cui, in una data società, si configura organicamente lo scambio
(scambio di donne nel sistema di parentela, scambio economico, scambio rituale...). La struttura sarebbe data cioè da rapporti di scambio. Commentando
l’opera di Lévi-Strauss Le strutture elementari della parentela, l’antropologo
Si veda, in questo stesso numero, l’articolo di Mariano Maggiotto «Il dono di Dio».
M. MAUSS, Saggio sul dono, in Teoria generale della magia, Einaudi, Torino 1991, p. 288.
3
Le considerazioni che precedono, che sembrano destinate a «specialisti», sono in realtà importanti per
comprendere come si formano, all’interno di ogni soggetto, gli «schemi inculturativi», il modello culturale cioè attraverso il quale reagiamo nei confronti della realtà. Nel caso specifico del nostro rapporto con «il
dono», il modello «circolare» sembrerebbe essere entrato, utilizzando una categoria junghiana, nel nostro
«inconscio collettivo». Per fare un esempio banale: a chi scrive comporta sempre un certo disagio quando,
offrendo un caffé ad una persona, si sente rispondere: «grazie, a buon rendere». In effetti un «dono», se è
tale, non dovrebbe implicare una «restituzione». Eppure l’antropologia, che tra i suoi meriti ascrive anche
quello di essere, come affermava il filosofo francese Paul Mercier, soucieuse de totalité, ci dice che questo
modello è profondamente radicato nei soggetti, quindi nella società, al punto che sembrerebbe trasformarsi in una «regola sociale», una di quelle regole che, come altre regole (prima fra tutte il divieto, il «tabù»,
dell’incesto), possiede in un certo senso un carattere «universale». Ma su questo punto occorre essere molto attenti, a nostro giudizio, a non accettare acriticamente modelli deterministici che non lascerebbero spazio alla fondamentale libertà umana.
1
2
FAMIGLIA DOMANI 3/2008
5
Paolo Caruso scrive: «Ogni regola sociale va intesa come una modalità particolare dello scambio fondamentale che collega tra loro i gruppi di una stessa società, scambio mediante il quale gli uomini sostituiscono ad un sistema di relazioni di consanguineità, d’ordine biologico, un sistema di relazioni matrimoniali, di carattere sociologico».4 Potrebbero davvero essere molte le implicazioni, molto concrete, ancorché non analizzabili in questa sede, di tutto questo.
Per quanto riguarda il tema specifico del dono, ciò che a noi interessa mettere qui in rilievo è che alla base di questo modello di scambio sta l’intima, a
volte inconscia, fiducia che le cose donate saranno un giorno restituite, anche
se non è affatto certo che lo siano. Sembra, ed è in realtà, molto consolante
pensare che attraverso una cosa data in dono si crei un vincolo bilaterale e irrevocabile, e che questo modello di relazione funzioni, in base all’osservazione degli etnologi, dalle isole del Pacifico al Nord-Ovest americano, dalla Scandinavia alla Cina. Se è così, è l’opposto di una concezione deterministica e
meccanicistica della società, che oggi sembrerebbe dominante, concepita esclusivamente come sistema di produzione. Scrive Jacques T. Godbout: «Mettendo
il dono nel cuore della società, s’introduce l’inatteso, la sorpresa come fenomeno essenziale dei legami sociali. S’introduce la grazia (...), la singolarità,
l’aleatorio, l’indeterminazione, l’incertezza».5
Ma Dio come si «comporta» (se così si può dire)?
***
Il dono di Dio. Dio, che non finisce mai di stupire, stravolge questo modello, comunque «va oltre», lo supera.
Perché Dio è ricerca di un legame intimo con ogni uomo e ogni donna. È comunicazione profonda, personale. L’antropologia ci dice che tutto è scambio.
La nostra fede e la nostra speranza ci dicono che tutto è comunicazione con
Dio. Se le scienze umane ci rivelano la parola penultima, Dio ci rivela personalmente la parola ultima: ci dice la sua fiducia incondizionata nei confronti di
ognuno di noi, la sua vicinanza, la sua simpatia (che dall’etimo del sostantivo
greco sympátheia – da syn «insieme» e páthos «sentimento» – significa che
Dio non solo vive con noi le nostre esperienze più profonde, siano esse positive o negative, le gioie e i drammi dell’esistere, ma le vive nel nostro intimo).
Per questo, più che di «dono di Dio» preferiamo parlare di «quel dono che è
Dio».
A differenza del dono terreno – che resta pur sempre un segno forte della vicinanza ontologica tra uomini e donne del pianeta – il «dono di Dio» non è vin-
4
P. CARUSO, Introduzione a C. Lévi-Strauss, «Razza e Storia e altri studi di antropologia», Einaudi, Torino 1967, pp. 24-25.
5
JACQUES T. GODBOUT, Il linguaggio del dono, Bollati Boringhieri, Torino 1998, pp. 82-83.
6
EDITORIALE
colato da uno scambio, non è cioè condizionato, non è dunque una struttura, ma
è un dono senza riserve e senza pretesa di reciprocità, che richiede solo di essere accolto (ed è certo il passaggio più difficile). È una conversazione senza fine non solo tra Dio e le sue creature, che proprio attraverso questo dono scoprono la loro creaturalità, ma tra Dio e tutto il creato, animato ed inanimato. Se
ne fossimo davvero consapevoli, sapremmo osservare con meraviglia il battito d’ali d’una farfalla e i colori di un fiore di campo; non contribuiremmo più
a rendere inabitabile il nostro habitat riempiendolo di rifiuti frutto spesso di
sprechi; soprattutto non saremmo più oppressori gli uni verso gli altri.
Il dono di Dio è un dono gratuito, perché è Dio stesso ad essere gratuità. È
un dono liberante, è anzi, nel senso più letterale della parola, la libertà. Come
scrive Jean Cardonnel, è un po’ come se Dio ci dicesse: «Io ti libererò dalle paludi dove tu marcisci, ti libererò da tutte le finzioni, ti libererò dalle apparenze
ingannatrici, ti libererò dai falsi incanti, ti libererò dalle manovre, dalla diplomazia, dai calcoli, ti libererò dai pensieri nascosti, ti libererò da tutte le menzogne mondane e dalle menzogne pie».6
Questo è il dono di Dio, l’acqua viva, la libertà, la vita eterna. È la «bella notizia» per ogni coppia ed ogni famiglia. In esse, un uomo e una donna, e i loro
figli, talvolta in modo irrituale, ma non per questo meno significativo, si sono
fatti dono l’uno per l’altro. Un dono fedele, spesso sofferto, ma pur sempre pallido segno di quell’amore totale che è Dio. Occorre entrare – ed è urgente –
nella logica di questo dono totale, far crescere dentro di noi quel desiderio inestinguibile, scoprirlo giorno dopo giorno in un dialogo costante e sempre nuovo tra noi e con il Dio-dono. È Lui – e il «cerchio si chiude» – che mette in
ognuno di noi il desiderio di conoscerlo.
Così, nel fiammeggiar del fulgor santo,
a ch’io mi volsi, conobbi la voglia
in lui di ragionarmi ancor alquanto
(Dante, Paradiso 18,26). ❑
JEAN CARDONNEL, La Samaritana, La Locusta, Vicenza 1972, p. 28.
N
O
VI
TÀ
6
GIOVANNI SCALERA
LE SEDUCENTI INTESE della RIVALITÀ
Breve viaggio nel mondo della competizione
Editrice Monti, Saronno (VA) 2008
FAMIGLIA DOMANI 3/2008
€ 10,00
7
Scarica