Teoria del drone. Principi filosofici del diritto di uccidere Gregoire

Teoria del drone. Principi filosofici del diritto di uccidere
Gregoire Chamayou
Ed. Derive e Approdi
€ 17,00
Il libro di Grégoire Chamayou, giovane filosofo classe 1976, ci apre una finestra
interessante e per certi versi inquietante sull’evoluzione della guerra e delle sue forme. I
droni, questi famosi sconosciuti, vengono nel testo presentati e soprattutto viene
raccontato in che modo stanno cambiando il modo di concepire e fare la guerra. Lo scopo
è quello di costruire, come suggerisce il titolo, una vera e propria teoria ed effettivamente
leggendo il testo l’obiettivo non sembra esagerato. La tecnologia permette infatti oggi
l’utilizzo massiccio di una nuova arma, il drone, capace di uccidere senza mettere in
pericolo chi la utilizza, capace di rendere la guerra un “lavoro a distanza”, un tele-lavoro
de localizzabile e gestibile a turni. Impressiona sentire il racconto della ordinaria giornata
di un addetto alla guerra dei droni, che copre il proprio turno, va in pausa pranzo, torna a
casa alla sera all’orario prestabilito. Se questa è la guerra nel tempo dei droni allora
davvero non è esagerato parlare di una nuova teoria della violenza e della guerra.
Quello di Chamayou non è un trattato morale sulla guerra, non vuole fare della morale,
giudicare la guerra, ma “dimostrare il meccanismo della violenza. Andare a vedere le armi
e mostrare le loro peculiarità”. Chamayou ci aiuta a capire che, come ogni forma assunta
dalla guerra nella Storia, anche la guerra dei droni per essere efficace richiede una
mentalità, una cultura, una politica che la legittimi, la normalizzi, la ritenga una forma di
progresso e ne accetti tutte le conseguenze militari innanzitutto, ma poi anche politiche e
sociali: “non importa tanto cogliere il funzionamento tecnico dello strumento in sé, ma
piuttosto di determinare, a partire dalle sue caratteristiche proprie, quali possano esserne
le conseguenze applicative per l’azione di cui si fa strumento”.
Il nemico, nella guerra dei droni, non lo vedo nella sua forma umana ma piuttosto come
traccia su uno schermo; la sua de-umanizzazione, il processo attraverso il quale da
sempre la guerra è resa possibile, è ancora più facile, veloce, semplice. La differenza tra
un’azione reale in Afghanistan e quella virtuale di un war game che compare su di un
video schermo si fa sottile, si scoglie. Come diceva Gandhi tra i mezzi e i fini c’è una
relazione imprescindibile: se cambiano i mezzi della guerra non possono non cambiare le
finalità, i confini di legittimazione della stessa. E non possono cambiare le menti e i cuori
delle persone che ne sono, a diversi livelli, coinvolte. Una mutazione antropologica del
militare, ma anche della sua famiglia, della sua comunità, della società … di noi tutti, prima
o poi. Chamayou infatti va oltre lo stretto ambito militare e ci fa capire come la teoria del
drone possa rappresentare una nuova teoria politica e di controllo sociale: il drone si
propone come strumento efficace di sorveglianza sociale a servizio di un mondo sempre
più ossessionato dallo spionaggio e dall’archiviazione ossessiva, in nome della sicurezza,
di tonnellate di dati.
In sintesi il drone non è solo uno strumento tecnologico per la guerra contemporanea, ma
piuttosto una più generale tecnica di guerra che può diventare un vero e proprio
dispositivo a servizio di un nuovo paradigma centrato sul controllo e sull’accentramento
tecnologico del potere.
Prima ce ne accorgiamo e forse meglio è.