Vi sono due sorgenti basilari della nostra conoscenza attuale del

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IL SUOLO
Il suolo è costituito dallo strato più superficiale della crosta terrestre in cui le radici trovano
nutrimento e appoggio. È formato per una parte da minuscole particelle, provenienti dal
disfacimento del substrato roccioso sottostante provocato da agenti climatici e da organismi,
soprattutto vegetali, attraverso interazioni fisiche, chimiche e biologiche. Per una metà è
formato da acqua e da aria, che ne rappresentano la componente inorganica, da sostanze
organiche in decomposizione e da organismi viventi, che ne rappresentano la componente
organica.
La sua stessa composizione è un'integrazione di diversi componenti e fattori, e di conseguenza
non è possibile delimitarne lo studio isolandolo dal contesto più vasto dei cicli fondamentali
della materia e dell'energia (tra i quali il ciclo dell'acqua, del carbonio, del fosforo e dell'azoto).
Il suo processo di formazione è estremamente lento, e comporta una serie di processi di
erosione, che si aggiungono a fenomeni chimici che modificano profondamente la struttura delle
rocce. Il contenuto organico del suolo viene acquisito lentamente tramite l'azione di organismi
pionieri (licheni, muschi, alghe). Le piante, al termine del loro ciclo vitale, muoiono, mentre altre
le sostituiscono, formando in tal modo un piccolo strato di sostanze organiche. Il terreno si
arricchisce sempre più di microrganismi e di piccoli animali fino a giungere ad un equilibrio
rispetto alla composizione del suolo e degli altri fattori che vi influiscono. Il ciclo di formazione
così si chiude: dalla roccia madre all'humus, ossia dalla roccia alla formazione dello strato
superficiale di terreno coltivabile. Si può quindi affermare che il suolo è vivo perché è in
continua evoluzione e perché è sede di numerosi processi e cicli biologici essenziali.
L'uomo è il principale agente modificatore del suolo e può essere considerato responsabile di
effetti disastrosi sugli equilibri biologici e idrogeologici mediante spostamenti di terreno,
bonifiche di zone umide, attività estrattive, disboscamenti, allevamento indiscriminato del
bestiame, monocolture, scarsa cura nell'evitare l'avanzamento del deserto tramite colture
arboree ecc…
Le interazioni tra l'uomo e il suolo sono probabilmente antiche quanto l'uomo stesso, però è
solo in tempi geologici recenti, con l'incremento contestuale della popolazione umana e delle
capacità tecniche che caratterizzano i tempi moderni, che queste interazioni sono diventate
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devastanti.
Per questo motivo oggi si cerca un'impostazione che parta da un'analisi dell'uso del suolo e
della pianificazione territoriale, perché si è capito quanto controproducente, anche da un punto
di vista economico, possa essere chiedere troppo alla natura, sfruttare il suolo in modo
altamente intensivo con la monocoltura e sciupare il paesaggio. Ingegneria, tecniche agrarie e
forestali devono procedere di pari passo nell'adottare una strategia vincente per valli e
montagne. Da un punto di vista qualitativo una moderna difesa della fertilità del suolo dovrebbe
mirare a preservare e ricostruire l'humus, sfruttando i rifiuti organici che vengono oggi distrutti in
enormi quantità, dovrebbe eliminare il più possibile i pesticidi e l'uso non scientificamente
controllato
di
sostanze
chimiche,
dovrebbe
migliorare
le
tecniche
di
irrigazione.
L'informazione generalizzata, l'educazione e un'impostazione ecologica degli interventi che
riguardano il suolo possono far sì che in pochi anni si riesca a recuperare ciò che la natura
impiegherebbe secoli a ricostruire.
Lo stesso consiglio d'Europa nell'ormai lontano 1972 ha predisposto un documento (che
riportiamo nel suo testo integrale), "La carta europea del suolo" che sottolinea l'importanza di
questa componente del nostro pianeta e suggerisce azioni che mirano alla sua protezione e
conservazione. Pur essendo stata scritta 20 anni prima del summit sull'ambiente tenutosi nel
1992 a Rio de Janeiro, in pratica questo documento introduce il concetto della sostenibilità
nell'uso della risorsa suolo. È un campanello d'allarme. Evidenzia in modo inequivocabile la
fragilità della risorsa nel suo punto 2 introducendo implicitamente il concetto di uso sostenibile
della stessa.
Secondo vari studi, nei paesi industrializzati bisognerebbe ridurre da quattro a dieci volte
l'intensità di uso di materia ed energia. Il suolo è l'essenza della vita: sostiene le piante, filtra
l'acqua, e ospita reazioni chimiche e organismi di importanza vitale. In passato il suolo è
sempre stato considerato dagli uomini una risorsa garantita, ma attualmente molti pericoli ne
minacciano l'integrità e, in alcuni casi, il suo equilibrio è già stato compromesso in modo
irreversibile.
La nuova sensibilità ambientale che nasce in questo periodo della storia umana, la maggiore
attenzione nei confronti di questo tema e sulla sostenibilità in generale devono rappresentare i
nostri punti di forza. Gli Indiani d'America dicevano: "Sotto la terra che calpestiamo ci sono gli
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occhi di sette generazioni che ci guardano, pronte a venire al mondo. Per questo i nostri passi
devono essere leggeri". Da quegli antichi indiani probabilmente abbiamo qualcosa da imparare.
Vi sono due sorgenti basilari della nostra conoscenza attuale del suolo: la prima è la pratica
raggiunta dai contadini nell'arco di secoli di esperienze e di errori, mentre la seconda è la
Scienza del Suolo che, iniziata nel XVII secolo, ha avuto il suo massimo impulso a partire dalla
seconda metà del XIX. Oltre un secolo di osservazioni e di ricerche hanno portato gli studiosi
alla conclusione che, al contrario dei minerali, dei vegetali e degli animali, i suoli non sono entità
nettamente distinte ed esattamente individuabili: essi, nell'ambito di una visione ecologica
globale, devono essere considerati come fenomeni di interfaccia della superficie terrestre
appartenenti alla pedosfera (dal greco pedon = suolo), cioè all'ambiente in cui litosfera,
atmosfera, idrosfera e biosfera si sovrappongono ed interagiscono.
Finché non vi fu vita sulle terre emerse, non vi fu suolo nel senso proprio della parola; le rocce
erano direttamente esposte agli agenti dell'alterazione chimica e fisica, nonché all'erosione, in
un ambiente scarso di ossigeno e privo di organismi viventi. Solo verso la metà dell'era
Paleozoica l'ossigeno libero divenne relativamente abbondante in seguito alla comparsa dei
processi di fotosintesi ed al riciclo biogeochimico dei suoi prodotti. Con la colonizzazione delle
terre emerse da parte della biomassa, differenti tipi di alterazione delle rocce e importanti
prodotti residuali, tra cui i suoli, sono andati lentamente evolvendosi secondo la diversa
influenza della flora e della fauna. Fattori endogeni, come il vulcanesimo, ed esogeni, come le
glaciazioni, l'erosione e la sedimentazione, hanno interferito con la genesi e l'evoluzione dei
suoli modificando le superfici, i materiali minerali e le condizioni bioclimatiche con cui si trovano
in equilibrio.
Pochi suoli relitti conservano caratteristiche legate a condizioni bioclimatiche molto antiche: la
maggior parte dei suoli attualmente osservabili si è formata durante il Quaternario, negli ultimi 2
milioni di anni: un tempo assai breve se confrontato con gli oltre 4,5 miliardi di anni di età della
Terra. Sembra pertanto opportuno aver presente la storia geologica, climatologica e botanica di
questo periodo: i cambiamenti climatici e vegetazionali, i cicli di erosione e rideposizione eolica
e fluvioglaciale, il livello dei mari e gli agenti geotettonici che perdurano fin dal Pleistocene sono
alla base delle profonde variazioni del substrato su cui il suolo si è evoluto e/o si evolve, nonché
responsabili in certi casi dell'interruzione della pedogenesi per seppellimento di suoli già formati
che risultano essere pertanto dei paleosuoli. L'origine del suolo, le sue proprietà, la sua
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descrizione e classificazione sono oggetto della pedologia: essa considera il suolo come un
corpo naturale da studiare anatomicamente ed ecologicamente, cioè nelle sue componenti e
nel suo ambiente, senza prendere in considerazione le relazioni suolo-pianta in termini di
quantità, qualità e soprattutto intensità.
Le manifestazioni delle varie proprietà del suolo, le loro reciproche relazioni e quelle con la
nutrizione e la crescita vegetale sono invece oggetto dell'edafologia (dal greco edaphos =
nutrimento): sotto questo punto di vista si considerano soprattutto le ragioni della variabilità
morfologica ed attitudinale del suolo e la possibilità di conservazione od incremento della sua
produttività. I due aspetti - pedologico ed edafico - sono tuttavia interdipendenti: infatti la
funzionalità e la produttività di un suolo sono legate al sito in cui esso si trova e pertanto, per
caratterizzarle, il suolo deve essere rilevato, studiato e tipizzato, e nessun laboratorio o nessun
modello potranno correggere scelte sbagliate dovute ad una non corretta descrizione o indagine
di campagna. D'altro canto solo attraverso i dati analitici della microbiologia, della mineralogia,
della fisica e della chimica del suolo, si possono avere le conoscenze di base indispensabili per
capire le proprietà intrinseche di questo comparto ambientale là dove esso si propone come
risorsa. Nei contributi che seguiranno il punto di vista sarà nel contempo edafico e pedologico:
questo metodo di presentazione non è contradditorio e si basa su una definizione univoca di
suolo: il suolo è il prodotto della trasformazione di sostanze minerali ed organiche sulla
superficie della terra sotto l'azione dei fattori ambientali che hanno operato e operano per tempi
generalmente lunghi.
Occorre tuttavia ricordare che il termine suolo può avere, a seconda di chi lo usa, diverse altre
possibili definizioni oltre a quella citata e, dal punto di vista puramente stratigrafico, sono
possibili letture assai differenti. Nella nostra accezione possiamo sostanzialmente pensarlo
come un corpo naturale che consiste di strati, od orizzonti, di spessore variabile e costituiti da
materiali minerali e/o organici che, per proprietà morfologiche, chimiche, fisiche, mineralogiche
e biochimiche, sono diversi da quelli da cui hanno avuto origine, cioè dalla cosiddetta roccia
madre e dai residui della biomassa. Alcune di queste proprietà si sviluppano nel corso della
pedogenesi, mentre altre sono ereditate, e gli orizzonti possono essere più o meno consolidati a
seconda soprattutto del contenuto di sostanza organica, silicati, carbonati o ossidi di ferro e di
alluminio. Al variare delle condizioni ambientali, i tipi e le intensità dei processi pedogenetici
cambiano e danno origine a suoli diversi, talora unici. Da questa semplice constatazione si può
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dedurre che la complessità, più che la semplicità, è un carattere comune a tutti i suoli: un suolo
semplice può evolvere solo sotto l'influenza di un unico fattore pedogenetico e ciò è molto raro,
in quanto il suolo è per sua natura condizionato da situazioni ambientali multivariate.
L'osservazione anche casuale del suolo in spaccati naturali, lungo strade o in scarpate,
consente infatti di verificare che, in questo ricoprimento continuo della superficie terrestre,
esiste grande variabilità anche solo nel colore, nella nella consistenza, nell'umidità ecc.
La moderna Scienza del Suolo, pur riconoscendo questa variabilità non solo esteriore, ma
anche interna, è riuscita ad individuare la presenza di proprietà e caratteristiche comuni in suoli
di stazioni anche molto lontane e in ambienti diversi: è stato possibile pertanto razionalizzare lo
studio del suolo e indicarne il valore come risorsa irriproducibile. Il suolo, come risorsa, è stato
quindi riconosciuto come qualcosa di più di un semplice mezzo di crescita dei vegetali: esso,
malgrado la grande mutevolezza, è di per sé, comunque e dovunque, un sistema dinamico
aperto, formidabile trasformatore di energia, in cui compiono il loro ciclo biologico miriadi di
organismi, che serve come discarica naturale dei residui animali e vegetali o come filtro di
sostanze tossiche ed è infine il magazzino fondamentale degli elementi nutritivi. Non si deve
dimenticare che l'uomo dipende dal suolo e, in un certo senso, oggi più che mai il suolo dipende
dall'uomo: essendo un corpo naturale su cui si insediano i vegetali o che, al contrario, soggiace
alle fondamenta di edifici e strade o assorbe scarichi agricoli, industriali e urbani, può andare
incontro a processi distruttivi. Questi sono accentuati dalla mancata conoscenza della genesi,
della funzionalità, degli equilibri e delle attitudini di questo ecosistema.
Il suolo rappresenta il terzo elemento, insieme a acqua e aria, che rende possibile la vita, anche
se forse risulta il più maltrattato perché è sempre stata sottovalutata la sua importanza. Troppo
spesso dimentichiamo che esso non è solo il nostro supporto, ma che da esso traiamo gli
alimenti e che su di esso ancoriamo tutte le nostre opere.
L'uso/abuso ha fatto dimenticare che il suolo è un sistema complesso, dove avvengono alcune
tra le più importanti reazioni biochimiche, che permettono la trasformazione dei minerali in
elementi vivi. Si può quindi affermare che il suolo è vivo, nel senso che permette lo sviluppo
della vita.
L'utilizzo del territorio per ricavarne materie prime, da trasformare successivamente nei cicli
produttivi in beni di consumo, comporta lo stravolgimento e lo sfruttamento di aree immense (si
pensi ad esempio alle miniere a cielo aperto presenti nei diversi continenti, o alla deforestazione
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delle aree amazzoniche). La produzione di scarti da tali attività è elevatissima ed essi
concorrono a trasformare i paesaggi tanto quanto ne siano responsabili frane e alluvioni. Gli
inquinamenti poi, cioè l'introduzione sul e nel suolo di elementi diversi in quantità tali da
provocare la perdita delle possibilità di supportare al meglio le trasformazioni biochimiche, uniti
ai processi di desertificazione, sono la minaccia più grave per il suolo. Ma una delle fonti
principali di inquinamento del suolo è svolto dalla gestione dei rifiuti prodotti dalla nostra
società. Lo sviluppo economico e sociale di una qualunque società ha dovuto da sempre
confrontarsi con la questione della gestione dei rifiuti, cioè degli scarti originati dai processi
produttivi e dalla vita dei propri cittadini. La carenza di materie prime da trasformare, sia in
termini quantitativi sia per i costi eccessivi di approvvigionamento, e la ridotta disponibilità di
beni alimentari ha permesso alle diverse comunità storiche di massimizzare il reimpiego dei
rifiuti nella vita di ogni giorno.
L'aumentare del tenore di vita e la modifica dello stesso ha comportato un aumento del volume
di rifiuti prodotti: dalle case, dalle fabbriche, dai negozi: ogni giorno un flusso incessante di beni
non più utilizzati deve essere altrimenti collocato e finisce, per la maggior parte, depositato sul
suolo o, addirittura nel sottosuolo, creando problemi di inquinamento ambientale e quindi
potenziali danni per la salute. Il suolo, quasi dovunque, non è più in grado di trasformare i rifiuti
negli elementi minerali fondamentali e restituirli al ciclo naturale sia per gli ingenti quantitativi
prodotti, sia perché non è più possibile tenere impegnati ampi spazi di territorio per lungo
tempo. I rifiuti non sono poi composti solo da materiali biodegradabili, cioè che possono essere
scomposti dai microrganismi del suolo negli elementi minerali costituenti e ritrasformati in modo
da essere reimmessi nel ciclo: i nostri rifiuti contengono anche componenti che li rendono
indistruttibili. Il suolo, infatti, possiede a livello microscopico una flora batterica in grado di
distruggere quanto viene immesso in esso, operando la degradazione dei composti molecolari
complessi nei componenti più semplici ed elementari, quali quelli carbonici e azotati, dai quali
altre colonie batteriche possono ripartire per costruire la vita. Quando però i quantitativi
diventano rilevanti, o gli oggetti sono costituiti da componenti che non possono essere
degradate, o addirittura si introducono elementi che avvelenano la flora batterica, il processo
non può avere luogo.
Ecco quindi svilupparsi le diverse strategie per gestire i quantitativi di rifiuti che ogni giorno
produce la nostra società, differenziate a seconda delle caratteristiche del livello di sviluppo
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raggiunto. Il punto fondamentale è il riconoscimento che è più facile intervenire per ridurre il
quantitativo di rifiuti che viene prodotto, piuttosto che dover smaltire quantità notevoli di
materiali: conviene quindi favorire i comportamenti virtuosi (perché tendenti a ridurre i
quantitativi
di
rifiuti)
con
politiche
di
riduzione
dei
costi
di
smaltimento.
Componenti della microflora tellurica
Andando ad analizzare più da vicino le componenti della biomassa del suolo, possiamo
distinguere: microflora tellurica (batteri, funghi, alghe, virus); microfauna tellurica (protozoi);
mesofauna tellurica (nematodi, gasteropodi, oligocheti, acari, collemboli, insetti e miriapodi, cioè
tutti quei piccoli animali che genericamente chiamiamo vermi, lumache, millepiedi, e
genericamente insetti). La microflora rappresenta la parte più rilevante della biomassa ed è
quella che maggiormente influisce sulle proprietà biologiche del suolo, regolando i processi
biochimici che ne determinano le proprietà nutrizionali.
Per quanto concerne i batteri del suolo, è possibile raggrupparli per gruppi funzionali e per
esigenze nutritive. La classificazione nutrizionale prende come parametro la fonte di energia
utilizzata e in funzione di questo prevede due gruppi fondamentali: batteri eterotrofi (che
utilizzano come fonte di energia la sostanza organica) e autotrofi (che utilizzano come fonte di
energia molecole inorganiche semplici). Questi ultimi si possono ancora suddividere in
fotoautotrofi (utilizzano l'energia luminosa) e chemioautotrofi (traggono l'energia dai processi di
ossidazione di sostanze inorganiche).
La seconda tipologia di classificazione raggruppa i batteri del suolo da un punto di vista
funzionale ed ecologico, utilizzando come parametro di classificazione le sostanze utilizzate e le
reazioni che essi determinano influendo direttamente sui cicli degli elementi. Alcuni esempi di
gruppi funzionali sono: i batteri nitrificanti (attraverso un processo ossidativo, riducono lo ione
ammonio, prima in nitrito e poi in nitrato rendendolo assimilabile dalla pianta), i batteri
proteolitici (attaccano le proteine e liberano l'azoto in esse contenuto).
Esistono poi degli organismi intermedi tra i batteri e i funghi, detti attinomiceti, che hanno una
rilevante importanza nei processi di demolizione della sostanza organica svolgendo la propria
azione su substrati inadatti ad altri microrganismi. Essi attaccano le proteine degradate e gli
aminoacidi, con produzione di ammoniaca; la loro azione, insieme a quella di alcuni funghi
determina la produzione di geosmina, responsabile del caratteristico odore di terra.
I funghi, presenti nel suolo in quantità molto rilevante, sono organismi eterotrofi, caratterizzati
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dalla formazione di miceli, formati da filamenti chiamati ife che possono avere estensione ridotta
o forma ramificata e molto estesa. L'azione svolta dai funghi nel suolo è abbastanza variegata;
importante è il ruolo da essi svolto nei processi di degradatazione delle sostanze caratterizzate
da rapporto molto alto tra carbonio e azoto, anche in condizioni di suoli acidi, poco favorevoli
allo sviluppo di batteri.
Le alghe sono organismi autotrofi, costituiti da una o più cellule, presenti in quantità molto
ridotte nel suolo rispetto a funghi e batteri. Si trovano soprattutto negli orizzonti più superficiali
del suolo. Alcune alghe possono fissare l'azoto atmosferico e sono caratterizzate da un basso
rapporto tra carbonio e azoto. Forse l'aspetto più importante dell'attività che le alghe svolgono
nel suolo è quella legata alla produzione ed emissione di sostanze stimolanti, quali auxine e
vitamine, o viceversa inibitrici. I virus, forme intermedie tra la materia vivente e non vivente,
sono parassiti obbligati di cellule vegetali, animali e batteriche, partecipano a determinare
l'equilibrio biologico come controllori degli equilibri tra le diverse popolazioni di batteri presenti
nel suolo.
Distribuzione dei microrganismi nel suolo
È la presenza di nutrienti che determina la distribuzione dei microrganismi nel suolo. L'attività
metabolica dei microrganismi sulle superfici è di solito molto maggiore di quanto non lo sia nella
soluzione circolante del suolo. Studi di colonizzazione microbica hanno dimostrato che la
maggior parte dei microrganismi che crescono sulle superfici del suolo sono racchiusi all'interno
di un biofilm, che permette l'adesione alle superfici che trattengono i nutrienti necessari alla
crescita della popolazione microbica in essi inclusa.
Nel suolo, la crescita microbica più abbondante ha luogo sulla superficie delle particelle che
compongono il suolo stesso. Persino una piccola particella di suolo può contenere molti
microambienti differenti, e su di essa possono, quindi, essere presenti molti tipi diversi di
microrganismi. Lo status nutritivo del suolo è l'altro fattore importante che influenza l'attività
microbica. La maggiore attività microbica si ritrova negli orizzonti più superficiali ricchi di
sostanza organica, specialmente nella zona adiacente alle radici delle piante (rizosfera).
Attività microbica nel suolo e cicli biogeochimici
Il numero di microrganismi e le loro attività dipendono dal bilanciamento tra i diversi nutrienti
presenti. In alcuni suoli il fattore limitante non è il carbonio, ma piuttosto la disponibilità di
nutrienti inorganici - come fosforo ed azoto - a limitare la produttività microbica.
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Per tutti gli elementi chimici fondamentali è possibile definire un ciclo biogeochimico, durante il
quale l'elemento subisce variazioni del suo stato di ossidazione fluendo attraverso un
ecosistema. I cicli perciò descrivono il movimento della materia nella biosfera attraverso lo
scambio tra porzione biotica (vivente) e abiotica (non vivente). I microrganismi svolgono spesso
un ruolo cruciale in questa catena di reazioni: per molti elementi infatti essi sono i soli agenti
biologici capaci di rigenerare forme utilizzabili da altri organismi, in particolare dalle piante.
Sapere quali gruppi funzionali di microrganismi sono maggiormente presenti in un suolo
fornisce perciò informazioni importanti sulle potenzialità di un ecosistema; di pari importanza è
la conoscenza delle attività dei microrganismi presenti, in quanto non necessariamente tutti i
microrganismi presenti sono biologicamente attivi e solo gli organismi attivi hanno impatto
ecologico.
I microrganismi del suolo sono fondamentali per il ciclo del carbonio, in quanto partecipano,
insieme alle piante, alla fissazione dell'anidride carbonica presente nell'aria che viene così
trasformata in carbonio organico che diviene costituente delle cellule batteriche o si accumula
come sostanza organica nel suolo. I batteri del suolo rivestono particolare importanza anche nel
ciclo dell'azoto. Batteri azotofissatori convertono l'azoto atmosferico in azoto organico che poi,
sempre grazie ai batteri, viene trasformato in forme che possono essere assimilate dalle piante
o convertite nuovamente in azoto atmosferico
Le attività microbiche nel suolo sono perciò essenziali per il mantenimento della vita vegetale e
animale, e determinano in larga parte il potenziale produttivo di un dato habitat. Le comunità
microbiche assicurano il rinnovamento nell'approvvigionamento della maggior parte degli ioni
del suolo. In un suolo ben equilibrato la biomassa microbica si comporta come una riserva di
elementi minerali: li trattiene negli orizzonti superficiali del suolo, proteggendoli dalla
lisciviazione, e li rilascia progressivamente alle piante.
Il clima e la formazione del suolo
Il termine pedogenesi indica tutti i fenomeni e processi che sono alla base della formazione e
dello sviluppo del sistema suolo con le sue caratteristiche morfologiche, mineralogiche,
chimiche, fisiche e biologiche che lo rendono l'habitat naturale dei vegetali. Mentre sono i
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processi di pedogenesi a definire la formazione del suolo, sono i fattori di stato a condizionarne
lo sviluppo e a determinarne le proprietà.
il clima è probabilmente il fattore che esercita la maggiore influenza sulle proprietà del suolo. Le
componenti climatiche che intervengono al momento della nascita del corpo suolo sono
l'umidità e la temperatura: esse iniziano immediatamente a controllare la velocità dei fenomeni
chimici, fisici e biologici della pedogenesi, soprattutto i processi di alterazione della roccia
madre e di lisciviazione.
L'umidità agisce in funzione dell'intensità e della distribuzione annua delle precipitazioni,
dell'evaporazione (inizialmente dal suolo e successivamente anche come traspirazione dei
vegetali) e della possibilità dell'acqua di scorrere sulla superficie o penetrare nel suolo secondo
la morfologia e la permeabilità della roccia.
La temperatura influenza in vario modo il processo di pedogenesi, controlla la velocità delle
reazioni chimiche e biologiche ed è fattore essenziale della vita del suolo. Definisce l'entità
dell'evapotrasiprazione e regola, quindi, la presenza dell'acqua e dell'aria. Agisce sullo sviluppo
radicale delle piante superiori, influisce sul tipo e sulla quantità di vegetazione che si insedia sul
suolo e, quindi, sul tipo e la quantità di residui organici che arrivano al suolo. La distribuzione in
profondità del calore nel suolo varia con il ciclo giornaliero e stagionale. Si ha passaggio di
calore verso gli strati più profondi del suolo durante le ore di insolazione e allontanamento di
calore dal suolo durante le ore notturne. Alla profondità di circa 20 metri nel suolo il livello
termico resta però pressoché stazionario nel corso dell'anno. Le quantità di radiazioni solari che
pervengono al suolo variano con la latitudine; con l'aumentare della distanza dall'equatore è
minore l'energia termica che giunge sulla superficie terrestre.
In linea generale al diminuire della temperatura ed all'aumentare del contenuto idrico i colori del
suolo tendono al grigio, con sfumature bluastre e verdastre, ed il contenuto di sostanza
organica diventa più importante. L'eccesso d'acqua e le basse temperature infatti rallentano
l'alterazione della sostanza organica che così può accumularsi in grande quantità mentre il
colore grigio deriva dalla presenza di ferro non ossidato. All'aumentare della temperatura il
colore del suolo, definito con l'ausilio di apposite Tavole (nota 1), tende ad essere meno grigio e
più rossastro. Questo è dovuto al fatto che il processo di alterazione con conseguente
accumulo in superficie di ossidi di ferro è molto spinto, così come la decomposizione della
sostanza organica. Ogni incremento termico di 10 gradi centigradi nel suolo determina infatti un
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aumento di 2 - 2.5 volte della velocità delle reazioni biochimiche, dovuto all'incremento di attività
microbica del suolo, che si traduce in una più rapida decomposizione della sostanza organica.
Il maggior tasso di mineralizzazione della sostanza organica si osserva a temperature
comprese tra 30°C e 40°C. Quando si supera tale intervallo di temperatura massima la velocità
delle reazioni decresce sensibilmente a causa di processi degradativi a carico della biomassa
microbica del suolo. Le maggiori controversie riguardano però le temperature minime alle quali
si può osservare attività dei microrganismi nel suolo. Recenti ricerche hanno evidenziato come i
microrganismi del suolo siano vitali fino a temperature prossime a -7°C. Vi sono batteri, definiti
criofili, perfettamente adattati alla vita nel suolo a basse temperature. Questo gruppo di
microrganismi è in grado di sopravvivere per migliaia di anni nel permafrost (il termine
permafrost indica un qualsiasi terreno che rimane al di sotto della temperatura di 0°C per più di
due anni) e nelle superfici ghiacciate, come evidenziato da recenti studi nei ghiacciai dell'Artico
e dell'Antartide.
Le basse temperature influenzano quindi fortemente l'attività biologica del suolo ma sono
responsabili anche di importanti fenomeni fisici. I principali fenomeni di disgregazione fisica
delle rocce sono legati agli effetti del gelo e disgelo o crioclastismo. L'acqua negli interstizi allo
stato di ghiaccio aumenta di volume ed esercita pressioni tali da fratturare la roccia. In genere il
massimo di efficacia si verifica entro 50 cm di profondità, ad eccezione delle regioni periglaciali
che possono essere gelate anche per decine di metri (permafrost) e sulle rocce permeabili.
L'alternanza di gelo e disgelo nel suolo può inoltre essere responsabile della redistribuzione
delle rocce alle quote più elevate, con la formazione di particolari figure (cerchi, strisce) che
sembrerebbero essere opera dell'uomo ma che invece sono una mirabile espressione della
natura.
Il suolo e i cambiamenti climatici
Il clima esercita quindi una sensibile influenza sulla vita del suolo, generalmente in equilibrio
con le condizioni climatiche che hanno portato alla sua formazione.
I cambiamenti climatici (nota 2) in atto possono mettere in crisi tale equilibrio, esercitando una
sensibile influenza sulle proprietà del suolo.
Il suolo stesso, d'altra parte, può giocare un ruolo fondamentale nel mitigare o rendere ancora
più critica la tendenza all'aumento di concentrazione nell'atmosfera di alcuni gas (anidride
carbonica, protossido d'azoto e metano) responsabili del cosiddetto effetto serra (nota 3). Infatti
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il suolo può funzionare da trappola o fonte per l'anidride carbonica ed il metano. Trappola molto
efficace se si pensa che la quantità di carbonio immagazzinata nel suolo è considerevole e può
variare ad esempio da 30 tonnellate ad ettaro nel caso di un lariceto pascolato a 580 tonnellate
ad ettaro se si considera un suolo organico su permafrost.
Il suolo può però diventare una fonte di carbonio per l'atmosfera. Infatti l'aumento di
temperatura atmosferica può incrementare l'attività dei microrganismi del suolo e quindi la
mineralizzazione della sostanza organica intrappolata, con maggiore produzione di anidride
carbonica e quindi con un ulteriore aumento di temperatura dell'atmosfera. Altri processi
possono però contrastare la diminuzione del contenuto di sostanza organica del suolo
provocato dall'aumento di temperatura. Infatti l'incremento della concentrazione di anidride
carbonica nell'atmosfera può influire positivamente sulla velocità del processo fotosintetico con
una maggiore produzione del mondo vegetale e quindi con un maggior apporto di residui
organici (ad es. foglie, aghi) al suolo. Se la velocità di accumulo della sostanza organica è
superiore alla velocità di degradazione aumenta il contenuto di carbonio nel suolo, a scapito del
carbonio dell'atmosfera. Se la velocità di accumulo è inferiore alla velocità di mineralizzazione, il
contenuto di carbonio nel suolo diminuisce ed il suolo agisce come un'ulteriore fonte di CO2 per
l'atmosfera. Si tratta di equilibri molto complessi, oggetto di numerose ricerche in tutto il Mondo
Numerosi sono quindi gli studi condotti sui cambiamenti climatici globali che hanno preso in
considerazione gli effetti diretti sulla struttura e la funzione degli ecosistemi, cercando di
comprendere come questi possono reagire alle variazioni climatiche in atto. Alcune delle più
sensibili conseguenze possono però essere il risultato di effetti indiretti, quali ad esempio la
frequenza degli incendi boschivi e l'accumulo delle precipitazioni nevose.
Se si considera l'ambiente alpino negli ultimi decenni si è osservata la tendenza ad una
diminuzione della permanenza del manto nevoso al suolo alle quote inferiori e si ritiene, ad
esempio, che nei prossimi 25-50 anni la quota alla quale vi sarà sufficiente neve per l'attività
sciistica passerà dagli attuali 1200 m s.l.m. ai 1500 m s.l.m., con importanti conseguenze sulla
qualità del suolo e delle coperture forestali che caratterizzano questa fascia altitudinale. Lo
spessore ed il periodo di accumulo del manto nevoso esercitano infatti una notevole influenza
sulla temperatura del suolo. La neve è un mezzo poroso ed i cristalli di neve imprigionano l'aria
che, in relazione alla sua bassa conducibilità termica, è in grado di isolare il suolo dall'ambiente
esterno. In particolare è stato evidenziato come un manto nevoso di almeno 40 cm di spessore,
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accumulatosi presto nella stagione invernale, sia in grado di isolare il suolo dall'ambiente
circostante, mantenendone la temperatura prossima a 0°C. Per il flusso continuo di calore
emanato dalla Terra, la neve che si trova a contatto con il suolo è riscaldata fino al suo punto di
fusione o almeno molto vicino a questo limite. La neve al suolo si comporta quindi come una
sorta di cappotto o di coperta, ed i nivologi utilizzano comunemente il termine manto nevoso
(manteau neigeux in francese, schneedecke in tedesco, snowcover per gli anglosassoni, capa
de nieve in spagnolo che letteralmente significa coperta di neve).
Il ritardo nell'accumulo nevoso tardo autunnale o addirittura l'assenza di manto nevoso, come si
è verificato negli ultimi anni lungo l'arco alpino italiano, determinano invece un minor effetto
isolante, con una conseguente riduzione della temperatura del suolo ed un aumento dei cicli
gelo/disgelo. La basse temperature che si registrano nel suolo possono inibire l'attività dei
microrganismi e conseguentemente le velocità dei processi di trasformazione dei nutrienti
presenti nel suolo. Il suolo riduce la sua capacità di rifornire di elementi nutritivi le specie
vegetali, gia sotto stress a causa dell'azione del gelo sull'apparato radicale.
NOTE
1. Inizialmente il colore del suolo era attribuito in modo molto soggettivo usando nomi come
bruno, rosso ecc., senza che vi fosse una convenzione per l'uso di questi termini. Attualmente
tutti i colori del suolo sono determinati per confronto con le Munsell Soil Color Charts (Tavole
Munsell). Queste consentono di esprimere in termini oggettivi e numerici il colore del suolo
attraverso la comparazione con un elevatissimo numero di piastrine di colori standard. Il
Sistema Munsell è basato su tre elementi: · tinta (hue): indica il colore primario del suolo ed è
espresso con lettere (esempio: R per il rosso, Y per il giallo); · valore (value): indica la
luminosità del colore. I colori più chiari sono espressi con numeri cha vanno da 10 a 5 mentre i
colori più scuri da 5 a 0; · croma (chroma): è l'indice della purezza del colore. La scala va da 0
per colori neutri a 8 per colori fortemente espressi.
2. La Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sul Cambiamento Climatico (1996) definisce il
cambiamento climatico come "un cambiamento del clima attribuibile direttamente od
indirettamente all'attività dell'uomo che altera la composizione globale dell'atmosfera e che si
aggiunge alla naturale variabilità del clima".
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3. Si tratta di un processo che consiste nel riscaldamento della Terra per effetto dell'azione dei
cosiddetti gas serra, composti naturalmente presenti nell'aria a concentrazione relativamente
bassa (anidride carbonica, metano, protossido d'azoto, ecc.). I gas serra permettono alle
radiazioni solari di passare attraverso l'atmosfera mentre ostacolano il passaggio verso lo
spazio di parte delle radiazioni infrarosse provenienti dalla superficie della Terra; in pratica si
comportano come i vetri di una serra e favoriscono la regolazione ed il mantenimento della
temperatura terrestre. L'effetto serra è dunque un fenomeno naturale. Senza di esso la Terra
sarebbe un posto molto più freddo di quello attuale, nel quale la vita si sarebbe difficilmente
evoluta. La potenza della sola radiazione solare, infatti, non sarebbe sufficiente a sostenere la
vita.
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FITOESTRAZIONE O “PHYTOREMEDIATION”
Uno dei problemi che si riscontrano più frequentemente se si ha a che fare con il
“comparto suolo”, è la sempre maggiore contaminazione da metalli; le specie vegetali
metallofite sono capaci di accumulare metalli pesanti nelle parti aeree, rimuovendoli dal terreno
e dalle acque, comportandosi così come vere e proprie “pompe ad energia solare”. Tale
processo di decontaminazione ambientale è correntemente indicato con il termine di
fitodecontaminazione (Cunningham and Ow, 1996); (Cunnigham, 1995); (Raskin, 1994); (Salt,
1995).
Poiché tra gli elementi nutritivi indispensabili alla vita delle piante sono compresi anche taluni
metalli (come Cu, Zn, Mn, Ni, dannosi a concentrazioni superiori alla cosiddetta “soglia di
tossicità”), diverse possono essere le strategie fisiologiche messe in atto da piante metallofite
per crescere in suoli inquinati da metalli: a) la mobilizzazione e la solubilizzazione del metallo
legato ai colloidi del suolo, mediante secrezione radicali di “fitosiderofori” (acido mugineico,
acido avenico ecc.), in grado di formare chelati con vari metalli. b) solubilizzazione di metalli
tramite acidificazione dell’ambiente circostante per mezzo di un’attiva estrusione di protoni. c) la
produzione di specifiche metallo-riduttasi legate alla membrana plasmatica, capaci di
incrementare l’assorbimento di taluni ioni metallici
A questi processi va aggiunta la compartecipazione, spesso consistente, delle simbiosi
batteriche e micorriziche. A seconda della capacità di accumulare metalli pesanti nei loro tessuti,
le piante metallofite possono essere distinte in “indicatrici” (uguale concentrazione del metallo
rispettivamente nel suolo e nella pianta), “escluditrici” (metallo
più concentrato nelle radici
rispetto al suolo) ed “accumulatrici” (metallo assai più concentrato nelle parti aeree rispetto alle
radici ed al suolo).
L’impiego di piante tolleranti ai metalli pesanti può rivestire particolare interesse anche in quegli
ambienti altamente contaminati e pertanto poverissimi di vegetazione comune, laddove si voglia
procedere,
mediante
rivegetazione,
al
recupero
paesaggistico
dell’area
inquinata
(fitostabilizzazione). La phytoremediation può essere applicata alla bonifica dei comparti
ambientali suolo, acqua, aria, contaminati da inquinanti sia inorganici sia organici.
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L’esclusiva capacità delle piante iperaccumulatrici di accumulare alte concentrazioni di metalli
nelle parti aeree, le rende adatte all’attività di fitodecontaminazione dei suoli, tramite
fitoestrazione.
GLI IPERACCUMULATORI
Esistono delle specie vegetali di particolare interesse per la “Phytoremediation” dei metalli
pesanti: gli iperaccumulatori, cioè piante capaci di accumulare quantità di un certo metallo molto
maggiori rispetto a quelle mediamente accumulate da piante “normali”. Questo tipo di piante
cresce solitamente su suoli metalliferi ed è in grado di completare il suo ciclo di vita senza
mostrare alcun sintomo di fitotossicità rispetto ai metalli (Baker et al., 2000).
Le specie vegetali metallofite più diffuse per la fitoestrazione dei metalli dal terreno sono le
iperaccumulatrici di Ni, Co, Cu e Zn ( esempio: Alyssum spp., Thlaspi spp., ecc.). In alcune delle
suddette specie il metallo può accumularsi fino al 25% del peso secco. Normalmente si
considera iperaccumulatrice una pianta contenente nelle foglie (peso secco) almeno lo 0.1% di
Ni, Co, Cu, Cr e Pb e l’1% di Zn.
Questi valori devono essere presenti nelle parti aerali della pianta cresciuta nel suo habitat
naturale, e non in condizioni artificiali (Reeves and Baker, 2000).
I Metalli pesanti
Da un punto di vista chimico, la denominazione metalli pesanti identifica una serie di elementi
della tavola periodica che presentano una densità maggiore a 5 g/cm³ (Lapades, 1974); in
quanto elementi di transizione possono assumere diversi stati di ossidazione, inoltre le modeste
energie necessarie per il passaggio da uno stato di ossidazione ad un altro, consentono ai
metalli di formare composti intermedi e di svolgere attività catalitica; infine in forma ionica, per
via degli elevati campi elettrici che essi generano e degli orbitali d vuoti possono originare
composti di coordinazione con altre molecole. Vengono considerati microelementi nutrienti e in
quanto cofattori di numerosi enzimi (es: Cu2+ cofattore del Citocromo c), sono essenziali per la
normale crescita delle piante. I metalli pesanti possono essere presenti nel suolo per alterazione
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naturale delle rocce, o perchè immessi sotto forma di carichi inquinanti di derivazione antropica
prodotti per attività agricola, industriale o di provenienza urbana.
Caratteristiche fisiche ed origine minerale di alcuni metalli pesanti
As è un elemento semimetallico o metalloide che ha molte forme allotropiche. Il più stabile tra
queste forme allotropiche è un solido cristallino grigio-argento che si ossida all'aria. Si trova
come As2O3, può essere ritrovato come co-prodotto nelle miniere di ferro, Pb, zinco oro ed
argento. Si ritrova in una grande varietà di forme minerali, come l'arsenopirite (FeAsS4), che è il
minerale di As più commercializzato nel mondo.
Cd è un metallo molto duttile di colore bianco-bluette. Raramente si trova come composto puro,
di solito si trova sotto forma di CdS e CdCO3. Molto ricche di Cd sono le miniere di piombo,
zinco, e ferro. Cd è ritrovato come coprodotto quando questi minerali sono processati. Fonti di
inquinamento sono gli inceneritori, i depositi di spazzature, il fumo di sigaretta.
Cr è un metallo grigio-argento. E' uno dei metalli meno comuni sulla crosta terrestre e si trova
solo come composto. Il più comune è il minerale cromite (FeCr2O4). Viene utilizzato come
pigmento nelle vernici, nelle fotocopiatrici fotomeccaniche, come anticorrosivo nell'industria del
petrolio.
Hg è un metallo liquido. Argenteo. La primaria risorsa di Hg è HgS. Esso è comunemente
ottenuto come co-prodotto nel trattamento dei minerali che contengono miscele di ossidi, solfuri
e cloruri. Hg nativo o metallico è trovato in piccole quantità in miniera. E' un elemento
velenosissimo; anche allo stato metallico deve essere maneggiato con cautela e sempre in
ambienti ben aerati: a causa della sua relativamente elevata tensione di vapore passa allo stato
gassoso abbastanza facilmente.
Pb è un metallo di colore bluette, grigio-verde, che si ossida molto velocemente quando è
esposto all'aria. E' molto morbido e malleabile, ha una alta densità (11.35 g/cm3) e basso punto
di ebollizione (327.4°C). La concentrazione media del piombo sulla crosta terrestre è di 1.6 g Pb
per 100 Kg di suolo(EPA, 1980). Il più importante minerale di Pb è la galena (PbS). Le più
comuni forme di minerali di Pb sono cerussite (PbCO3), anglesite (PbSO4), e crocoite (PbCrO4).
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Sorgenti di Pb sono le emissioni di gas di scarico di autoveicoli alimentati a benzina addizionata
con Pb.
Fe è uno dei metalli più abbondanti nella crosta terrestre, viene prodotto in grandi quantità negli
altiforni per riduzione dei suoi minerali (ossidi di ferro) con carbone.
Cu In soluzione acquosa si trova, come ione idrato, solo lo ione rameico Cu2+ , di colore azzurro.
I composti rameosi esistono solo come composti insolubili o, in soluzione acquosa, come
complessi. Fonti di inquinamento sono i tubi per l'acqua, utensili da cucina di rame o ramati.
Ni è un metallo bianco argenteo. Appartiene al gruppo del ferro, ed è duro, malleabile e duttile.
Si trova combinato con lo zolfo nella millerite, con l'arsenico nella niccolite. È caratterizzato da
ottima resistenza all'ossidazione e stabilità chimica quando esposto all'aria. Lo stato di
ossidazione più comune del nickel è +2, ma sono stati osservati anche complessi di nichel in
stati di ossidazione 0, +1 e +3.
Circa il 65% del nickel consumato nel mondo occidentale viene impiegato per fabbricare acciaio
inox austenitico; un altro 12% viene impiegato in superleghe. Il restante 23% del fabbisogno è
diviso fra altri tipi di acciaio, batterie ricaricabili, catalizzatori e altri prodotti chimici, monetazione,
prodotti per fonderia e placcature.
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LA CARTA EUROPEA DEL SUOLO
1. Il suolo è uno dei beni più preziosi dell'umanità. Consente la vita dei vegetali, degli animali e
dell'uomo sulla superficie della terra.
2. Il suolo è una risorsa limitata che si distrugge facilmente.
3. La società industriale usa i suoli sia a fini agricoli sia a fini industriali o d'altra natura.
Qualsiasi politica di pianificazione territoriale deve essere concepita in funzione delle proprietà
dei suoli e dei bisogni della società di oggi e di domani.
4. Gli agricoltori ed i forestali devono applicare metodi che preservino la qualità dei suoli.
5. I suoli devono essere protetti dall'erosione.
6. I suoli devono essere protetti dagli inquinamenti.
7. Ogni impianto urbano deve essere organizzato in modo tale che siano ridotte al minimo le
ripercussioni sfavorevoli sulle zone circostanti.
8. Nei progetti di ingegneria civile si deve tener conto di ogni ripercussione sui territori
circostanti e, nel costo, devono essere previsti e valutati adeguati provvedimenti di protezione.
9. È indispensabile l'inventario delle risorse del suolo.
10. Per realizzare l'utilizzazione razionale e la conservazione dei suoli sono necessari
l'incremento della ricerca scientifica e la collaborazione interdisciplinare.
11. La conservazione dei suoli deve essere oggetto di insegnamento a tutti i livelli e di
informazione pubblica sempre maggiore.
12. I governi e le autorità amministrative devono pianificare e gestire razionalmente le risorse
rappresentate dal suolo.
Consiglio d'Europa, 1972
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Bibliografia
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