UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI ROMA TOR VERGATA FACOLTÀ DI INGEGNERIA CORSO DI LAUREA IN INGEGNERIA DELL’AUTOMAZIONE Tesi di Laurea Specialistica Algoritmi di stima in real-time della topologia magnetica per il controllo di plasma nelle macchine da fusione RELATORE CANDIDATO Prof. Luca Zaccarian Luca Spagnoli CORRELATORE Dott. Luca Zabeo A.A. 2006/2007 Ai miei amici, vecchi e nuovi, vicini e lontani. Inoltre, ai piccoli Gabriele e Lorenzo. Indice Ringraziamenti 1 Introduzione 3 1 LA FUSIONE TERMONUCLEARE 6 1.1 Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 6 1.2 Principi di fusione nucleare . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 9 1.2.1 1.3 1.4 Fusione sul Sole e sulla Terra . . . . . . . . . . . . . . . . . . 11 Il confinamento magnetico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 14 1.3.1 TOKAMAK . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 16 1.3.2 Configurazioni di plasma . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 20 Esperimento JET . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 23 2 IL SISTEMA DI CONTROLLO NEL JET 25 2.1 Principali sistemi di controllo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 25 2.2 Principi di misura magnetica nelle macchine da fusione . . . . . . . . 36 2.2.1 40 Diagnostiche magnetiche nel JET . . . . . . . . . . . . . . . . 3 LA RICOSTRUZIONE MAGNETICA 41 3.1 Equazione di equilibrio Grad-Shafranov . . . . . . . . . . . . . . . . . 42 3.2 Metodi di ricostruzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 47 INDICE I INDICE 4 METODI E MODELLI 49 4.1 Modello Polinomiale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 49 4.2 Modello Filamentare . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 56 4.2.1 Formulazione Matematica del problema . . . . . . . . . . . . . 58 4.2.2 Metodo dei momenti di corrente . . . . . . . . . . . . . . . . . 67 4.2.3 Schema a Blocchi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 71 5 RISULTATI E VALIDAZIONE DEL MODELLO FILAMENTARE 85 5.1 Felix come tool . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 86 5.2 Flusso di una sorgente filamentare . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 87 5.3 I diversi contributi di flusso . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 89 5.4 Confronto tra XLOC, EFIT e Modello Filamentare . . . . . . . . . . 91 5.4.1 Confronto delle mappe di flusso . . . . . . . . . . . . . . . . . 91 5.4.2 Confronto dei parametri geometrici . . . . . . . . . . . . . . . 94 6 RICOSTRUZIONE DI PLASMI PARTICOLARI 103 6.1 Piccoli Plasmi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 103 6.2 Start-up . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 106 6.3 Simulazioni e risultati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 111 7 CONCLUSIONI E SVILUPPI FUTURI 116 Appendice A XLOC: modello numerico 119 Appendice B Implementazione in real-time 124 Bibliografia 137 Elenco delle figure 141 INDICE II Ringraziamenti Colgo l’occasione per ringraziare le numerose persone a cui sono grato per il lavoro di tesi svolto. Innanzitutto, ringrazio il Plasma Position and Current Control team del Centro Ricerche JET di Culham (UK), dove ho svolto i miei 6 mesi di stage. In particolare, ringrazio il dott. Filippo Sartori per l’accoglienza all’interno del suo gruppo di collaboratori, il dott. Fabio Piccolo per il costante aiuto burocratico, tecnico e professionale, la dott.ssa Katiuscia Zedda per la condivisione del suo ufficio e per le piacevoli conversazioni quotidiane. Infiniti ringraziamenti li esprimo per il dott. Luca Zabeo (che affettuosamente chiamavo boss), a cui devo l’ottima riuscita del tirocinio per tutte le lezioni che mi ha saputo trasmettere, nonché per la cortesia e la pazienza nel supervisionare questo scritto. Lo ringrazio per le nozioni che mi ha dato, per il sostegno professionale e morale, per la sua meticolosa attenzione e il suo altruistico impegno nei miei confronti. Un pensiero affettuoso va a tutti gli altri ricercatori e colleghi conosciuti, italiani e non, per l’enorme gentilezza e disponibilità manifestatami con un sincero sorriso sin dai primi giorni. Ringrazio il mio relatore prof. Luca Zaccarian per la fiducia che ha riposto in me nel propormi questa esperienza lavorativa e nel seguirmi con professionalità ed amicizia durante il suo svolgimento. INTRODUZIONE 1 INTRODUZIONE Voglio ringraziare, inoltre, Carlo e Bernardo. Abbiamo condiviso più di 10 anni di studi insieme e tra dificoltà, gioie, amarezze e soddisfazioni, abbiamo instaurato una solida e consolidata amicizia. Un particolare grazie lo rivolgo ai tanti amici sinceri che mi circondano. A loro ho dedicato questa tesi perché hanno contribuito in maniera impagabile alla serenità, alla voglia e all’impegno con il quale ho affrontato questi mesi di vita e lavoro all’estero. Desidero ringraziare la mia famiglia per avermi sostenuto in questa ennesima esperienza. La loro orgogliosa fiducia e stima mi ha incentivato nei momenti difficili. Ne approfitto per scusarmi con i miei fratelli: con Emanuele, per non essere stato presente fisicamente il giorno della sua laurea e con Cinzia, per l’assenza durante la nascita del mio splendido nipotino. Termino con un ringraziamento incommensurabile ad Elisa, per quello che c’è stato, che c’è e che ci sarà. Il suo amore e la sua vicina presenza saranno sempre insostituibili. grazie ancora a tutti, Luca INTRODUZIONE 2 Introduzione La richiesta di energia e, in particolare, la richiesta di elettricità è in continuo aumento. Il carburante fossile, su cui si basa l’attuale sistema di approvvigionamento energetico, è quasi terminato e la dipendenza mondiale da questa fonte di energia pesa negativamente sull’ecosistema. Sebbene le risorse stimate di carbone, petrolio e gas naturale siano ancora ingenti, gli esperti predicono un’insufficienza energetica in meno di 50 anni. Secondo il presente ritmo di utilizzo, infatti, si consuma più in fretta rispetto ai tempi di produzione in natura. Inoltre, il degrado ambientale, dato dall’inquinamento atmosferico, dal riscaldamento globale, dalla destabilizzazione del sistema climatico mondiale e dall’esaurimento delle limitate risorse naturali, è una motivazione sufficiente per cercare sorgenti di energia alternative e rinnovabili. Nonostante, però, le fonti rinnovabili di energia (come biomassa, sole, vento e geotermia) siano interessanti da un punto di vista ecologico, queste non forniscono una produzione energetica sufficiente a soddisfare le esigenze di fossile del mondo urbanizzato. La produzione di energia attraverso le reazioni di fusione nucleare rappresenta, invece, una valida e possibile alternativa. Con questo obiettivo si diffondono e si sviluppano nuovi centri di ricerca riguardo la fusione nucleare. Il principale al mondo è rappresentato dal polo scientifico JET (Joint European Torus) situato in Culham, Oxfordshire (Regno Unito). INTRODUZIONE 3 INTRODUZIONE Questa tesi è frutto di uno stage semestrale svolto presso questo centro, grazie alla collaborazione istituitasi tra l’Università di Roma-Tor Vergata e il JET nell’ambito del progetto europeo “Leonardo”. L’argomento di tesi consiste nell’analisi e nella sintesi di un algoritmo di stima in real-time per il controllo della posizione e forma di plasma in una macchina da fusione. Qusto studio è di interesse e di responsabilità del Plasma Operation Department presso cui lo studente ha lavorato. La tesi è strutturata come segue. Nel primo capitolo vengono introdotti i concetti fisici che sono alla base del funzionamento di un tokamak, con particolare attenzione all’esperimento JET. Nel secondo capitolo si descrive il sistema di controllo verso cui è finalizzata questa attività di ricerca. Nel terzo capitolo si parla del problema della ricostruzione magnetica della colonna di plasma durante una scarica di corrente. Si fa un primo cenno dei metodi esistenti per risolvere questo task. Il quarto capitolo tratta, nella prima parte, la modellazione attualmente in uso presso la sala controllo del JET e, nella seconda parte, un metodo real-time differente. In particolare, si presenta il funzionamento e l’implementazione del modello dei filamenti percorsi da corrente per approssimare e simulare l’effetto magnetico prodotto da tutte le correnti in gioco durante un’intera fase di plasma. Nel quinto capitolo vi sono i risultati che hanno permesso di validare il modello filamentare nei confronti degli altri codici utilizzati. Dalle simulazioni presentate, si evince che il comportamento di questa diversa modellizzazione è simile o persino migliore in determinati aspetti della ricostruzione topologica. Nel sesto capitolo si presenta una modifica al modello descritto precedentemente. INTRODUZIONE 4 INTRODUZIONE Questa variazione permette la ricostruzione della colonna di plasma nelle veloci fasi di nascita e terminazione dello stesso. Nelle conclusioni si accennano gli sviluppi futuri che possono essere affrontati partendo dal lavoro descritto. Per completezza, nelle appendici si riportano il modello numerico polinomiale e la modalità con la quale è possibile un’implementazione real-time del codice in analisi. INTRODUZIONE 5 Capitolo 1 LA FUSIONE TERMONUCLEARE In questo capitolo si presentano i concetti basilari della fusione termonucleare e del confinamento magnetico del plasma. Sebbene questo lavoro di tesi abbia validità generale per le differenti macchine da fusione esistenti al mondo, un’attenzione particolare è stata data all’esperimento JET descritto in sezione 1.4. 1.1 Introduzione La popolazione mondiale è in continuo aumento. Le stime indicano che si arrivi a 10 miliardi di persone nella seconda metà del ventunesimo secolo. Inoltre, i Paesi in via di sviluppo aspirano sempre più agli standard di vita, alla produttività agricola e alle caratteristiche industriali dei Paesi sviluppati. Soddisfare questi desideri richiede una grande disponibilità di energia; dunque, ci si aspetta un aumento sempre più vertiginoso delle richieste energetiche. Oggi, la maggior parte di queste richieste è soddisfatta dal petrolio (35 %), gas (20.7 %), carbone (23.5 %), nucleare (6.8 %) e fonti rinnovabili (meno del 15%). La figura 1.1 evidenzia l’attuale ripartizione delle risorse energetiche mondiali in base al proprio utilizzo. Se questa politica dei consumi non cambierà, il petrolio e le risorse di gas finiranno nell’arco di un paio di generazioni. 6 CAP. 1 LA FUSIONE TERMONUCLEARE petrolio 11,1% 2,3% 0,5% 35% 6,8% gas carbone nucleare biomas s a idroelettricità 23,5% 20,7% altro (s ole, vento, geotermia, ...) Figura 1.1: Utilizzo di energia in base al tipo di risorsa. Dati tratti da [2]. Energia Solare. Ha il vantaggio che è illimitata e non inquinante; sostiene la biosfera rendendone possibile la vita ma provvede solo al 6 % dell’utilizzo di energia dell’umanità, principalmente attraverso l’idro-elettricità e la biomassa. Attualmente, l’elettricità solare diretta soddisfa meno dell’1 % dei bisogni mondiali. Questa bassa percentuale è principalmente dovuta agli alti costi di raccolta, trasmissione e conversione di questa energia. Infatti, l’efficienza delle attuali foto-celle è inferiore al 20 % e il loro costo è più di dieci volte quello del fossile comune o delle centrali nucleari. Altri problemi, che ne precludono un significativo sviluppo, sono il suo immagazzinamento per l’utilizzo notturno e l’impatto ambientale degli impianti necessari. Energia Eolica. È abbondante, rinnovabile, largamente distribuita, pulita dal punto di vista delle emissioni tossiche e dei gas serra. Nonostante questo, però, la sua intermittenza crea un problema insormontabile, tanto da non poter superare il 10 % della richiesta totale di energia. Molti problemi tecnologici sono stati risolti: efficienza delle turbine in termini di potenza, effetto visivo ed acustico sull’ambiente, studio sulla velocità del vento in aree ristrette, costi per un’efficiente trasmissione a media e lunga distanza di potenza in eccesso quando il vento non soffia, etc... Il vento presenta, però, anche sfide ingegne7 CAP. 1 LA FUSIONE TERMONUCLEARE ristiche che non sono state ancora del tutto risolte. Persino una buona area non ha vento sufficiente a muovere le turbine se non per un solo 30 % del tempo (altre fonti sono necessarie per colmare il restante 70 % di richiesta). Processo Nucleare. Fornirebbe energia sufficiente alla potenziale richiesta della popolazione mondiale ma richiede decenni di ricerca e sviluppo per diventare realtà. In tabella 1.1 vengono elencate le principali fonti energetiche considerate. Risorsa Disponibilità Carbone 220 anni Petrolio 35 anni Gas Naturale 60 anni Fissione 45 anni Idro-elettricità Vento Geotermia Solare Vantaggi abbondante flessibile per i molti prodotti derivati, trasportabile brucia in maniera pulita, trasportabile pulita, no CO2 , trasportabile molto pulita, utilizzata no CO2 basso pulito, utilizzo basso utilizzo no CO2 pulita, no CO2 poco pulito, sfruttato no CO2 Svantaggi brucia in maniera sporca, causa piogge acide, inquinamento dell’aria, produzione di CO2 scorte limitate, inquinamento dell’aria, produzione di CO2 scorte limitate, produzione di CO2 smaltimento dei rifiuti, sicurezza dell’impianto, costruzione di dighe, impatto ambientale, limitata geograficamente molti impianti necessari per le potenze richieste, limitato geograficamente limitata geograficamente molte celle solari per le potenze richieste, limitato geograficamente Tabella 1.1: Risorse energetiche attuali con relativi vantaggi e svantaggi [1]. 8 CAP. 1 LA FUSIONE TERMONUCLEARE 1.2 Principi di fusione nucleare Ci sono due modi per ottenere energia nucleare: trasformando nuclei pesanti in nuclei di dimensioni più ridotte (fissione dell’uranio) o fondendo nuclei leggeri in nuclei più pesanti. Fissione Nucleare. È una tecnologia consolidata che produce energia attraverso la separazione di atomi pesanti, come l’uranio, in una reazione a catena controllata. Sfortunatamente, i prodotti risultanti dalla fissione sono altamente radioattivi e di lunga durata. Tecnicamente, la potenzialità di utilizzare la fissione come risorsa di energia a lungo termine è stata dimostrata e l’impatto ambientale considerato. Il suo sviluppo, però, dipende essenzialmente dall’apprezzamento o meno dell’opinione pubblica. Nel passato, infatti, l’energia nucleare basata sulla fissione è stata adottata da molte nazioni e un gran numero di Paesi sviluppati o in via di sviluppo la considerano, tutt’ora, come un elemento vitale per il proprio fabbisogno energetico attuale e futuro. Fusione Nucleare. Può essere una sorgente di energia pressoché illimitata. La fusione ha molti vantaggi: il carburante che la alimenta è praticamente infinito e il problema della contaminazione radioattiva è meno pericoloso di quello della fissione. Un reattore da fusione è un sistema intrinsecamente sicuro perché ogni malfunzionamento comporta solo una rapida interruzione del processo. Il principale carburante è il trizio, la cui leggera radioattività ha un periodo di dimezzamento di soli 12.4 anni. I prodotti di scarto del processo sono isotopi di elio non radioattivo. Nonostante la contaminazione che subirebbero i reattori, dopo 100 anni il livello di radioattività sarebbe confrontabile con quello di una convenzionale centrale termica, ammesso che vengano utilizzati materiali a bassa attivazione per 9 CAP. 1 LA FUSIONE TERMONUCLEARE la loro costruzione. Con materiali costruttivi appropriati, gli scarti della fusione potrebbero essere posti in appositi luoghi e decadere a livelli innocui nell’arco di pochi decenni. Qualsiasi produzione di energia da reazione nucleare è basata sulle differenze nell’energia di legame a livello nucleare. Quando nuclei pesanti si dividono o due atomi leggeri si uniscono per formarne uno più pesante, l’energia di legame dei nuclei ricombinati può essere più forte della somma dei legami dei nuclei di partenza. In questi casi, il nucleo ricombinato è in uno stato di energia inferiore rispetto a quello dei nuclei separati e questa differenza di energia viene rilasciata nel processo. In una reazione di fusione, gli atomi leggeri sono fusi insieme per formare un atomo più pesante avente massa più piccola della somma delle masse individuali e, conseguentemente, viene rilasciata una grande quantità di energia. La differenza di massa corrisponde all’energia nucleare di legame secondo la relazione energia-massa di Einstein: E = m · c2 . Nella gran parte delle reazioni nuclerari, l’energia rilasciata è molto più grande delle reazioni chimiche, poiché l’energia di legame che tiene insieme un nucleo è di gran lunga più grande di quella che tiene vincolati gli elettroni al proprio nucleo. Nella fusione nucleare, due nuclei di elementi leggeri reagiscono e si fondono a formare nuove particelle energetiche. Per mantenere questo nuovo assetto, deve essere vinta la forza repulsiva di Coulomb. Ciò accade solo se le particelle collidono a velocità molto elevata, il che significa che la temperatura del gas deve essere molto alta: sono richieste temperature superiori ai 100 milioni di Kelvin. Se un gas viene scaldato a questa temperatura, gli elettroni si separano dai propri atomi (i quali diventano ioni) e insieme formano un gas di particelle cariche, nel quale elettroni e nuclei si muovono in maniera indipendente. In questi due fluidi misti di 10 CAP. 1 LA FUSIONE TERMONUCLEARE ioni ed elettroni sono consentiti solo piccoli squilibri di carica dovuti all’attrazione elettrostatica. Il risultato è che il gas ionizzato resta perlopiù neutro: questo stato è chiamato plasma. Il plasma è spesso definito come quarto stato della materia per distinguerlo dal solido, fluido e gassoso. Nell’universo, più del 99.9 % di tutta la materia si trova nello stato di plasma. Il sole, le stelle e le nebulose sono esempi di plasma. 1.2.1 Fusione sul Sole e sulla Terra La fusione è la sorgente di energia di sole e stelle. Qui, la reazione di fusione è un processo a più passi. In primo luogo, due nuclei di idrogeno reagiscono per formare un deuterio e un positrone. Dopo questo processo estremamente lento, il deuterio reagisce in pochi secondi per formare un nucleo di isotopo dell’elio (3 He). Un milione di anni più tardi, due nuceli di 3 He finalmente interagiscono per formare un nucleo di 4 He. L’energia totale rilasciata in questa sequenza è 6 · 1014 Joule per Kg di idrogeno o 6 · 107 volte l’energia disponibile da una reazione chimica. Ogni secondo, il sole trasforma 600 milioni di tonnellate di idrogeno in elio, irradiando energia ad un ritmo di 3.9 × 1026 W. L’energia rilasciata nel sole si espande sotto forma di luce e solo una miliardesima parte di questa luce illumina la Terra e ne permette la vita. Contrariamente a quanto si possa intuire, il sole brucia piuttosto lentamente. Un metro cubo del centro del sole produce solo 30 watt, sufficienti appena ad alimentare una lampadina. La materia nel nocciolo del sole raggiunge una densità, una pressione e una temperatura sufficienti ad innescare le reazioni termonucleari; il plasma incandescente è confinato per gravità. Il primo problema, legato alla fusione sulla Terra, consisteva nel come ricreare il 11 CAP. 1 LA FUSIONE TERMONUCLEARE fenomeno esposto in una centrale e con un processo più veloce. Inoltre, la ricerca in campo termonucleare era mirata a dimostrare come questa fonte energetica potesse essere utilizzata per produrre elettricità, ovunque e in sicurezza. Sebbene molte differenti reazioni di fusione siano possibili, solo poche sono interessanti per la fusione sulla Terra. Dapprima, vennero provate reazioni tra deuteri, poi è stata scelta la più veloce reazione tra deuterio e trizio. Infatti, utilizzando deuterio e litio nei reattori a fusione deuterio-trizio di prima generazione, si potrebbe provvedere a tutti i bisogni energetici di una popolazione mondiale di 10 miliardi di persone per circa 700 anni. Figura 1.2: Reazione nucleare D-T. Deuterio: un isotopo pesante dell’idrogeno con un protone e un neutrone. Trizio: è l’isotopo d’idrogeno più pesante, ha due neutroni. In questa reazione, si forma sia elio sia neutroni: D + T −→4 He (3.5M eV ) + n (14.1M eV ) (1.2.1) Con una fusione di seconda generazione, basata sulla reazione deuterio-deuterio, la provvista di deuterio nei mari basterebbe per centinaia di millenni. Il trizio, però, non è presente in natura in quantità considerevoli. Tuttavia, può essere prodotto 12 CAP. 1 LA FUSIONE TERMONUCLEARE utilizzando le reazioni che avvengono tra neutroni formati nelle reazioni nucleari e il metallo leggero litio. Questo riutilizzo dei neutroni è evidenziato anche in figura 1.2. Le reazioni D-T di equazione (1.2.1) sono più semplici per la produzione di energia rispetto al puro deuterio. Inoltre, sebbene la reazione che avverrebbe in un reattore sia tra deuterio e trizio, i combustibili sarebbero, in realtà, deuterio e litio, come descritto nella seguente formula (6 Li e 7 Li indicano due differenti isotopi del litio): Li + n −→ T +4 He 7 Li + n −→ T +4 He + n 6 (1.2.2) Le riserve mondiali di litio sono tali che gli attuali livelli di elettricità prodotta potrebbero essere mantenuti per molte centinaia di anni con l’energia dei reattori a fusione. Anche se la reazione fusionistica più accessibile e promettente è il processo D-T, di solito, nei reattori sperimentali si evita l’uso del trizio per la sua radioattività e viene usato solo deuterio per ragioni di sicurezza. In questo caso, l’energia prodotta è più che dimezzata (7.3 MeV). La maggior parte dell’energia rilasciata viene trasportata dai neutroni ad alta velocità. In una fusione termonucleare, un rivestimento intorno al reattore rallenterebbe i neutroni per convertire la loro energia in calore. Questo calore potrebbe essere raccolto per produrre il vapore necessario alla normale produzione di elettricità. Riassumendo, la realizzazione della fusione controllata è estremamente ambiziosa ma una centrale a fusione produrrebbe rifiuti radioattivi a basso livello e di breve durata. A differenza della fissione, infatti, la fusione non presenta rischi di un incidente nucleare; non produce inquinamento dell’aria o gas serra durante il normale funzionamento poiché il prodotto della reazione è sostanzialmente elio. La radioattività è data esclusivamente dai materiali resi radioattivi per via del bombardamento di neutroni, ma ciò può essere minimizzato da un’attenta scelta dei materiali utilizzati. Inoltre, 13 CAP. 1 LA FUSIONE TERMONUCLEARE la gran parte di questi materiali contaminati può essere smaltita in maniera sicura e facile nell’arco di tempi-vita umani, a differenza dei sotto-prodotti della fissione che richiedono stoccaggi e trattamenti particolari per centinaia di anni. I requisiti per un riuscito esperimento di fusione termonucleare sulla Terra sono: • un’alta densità di particelle che interagiscono e collidono tra loro; • un’alta temperatura di plasma, altrimenti le particelle che si scontrano non sono sufficientemente forti da penetrare la barriera elettrica che tende a mantenerle separate; • un lungo tempo di confinamento dell’energia. Quest’ultimo punto rappresenta proprio uno dei problemi maggiori: contenere a lungo il plasma surriscaldato tanto da assicurare che la sua densità e temperatura rimangano sufficientemente alte per fondere il carburante. È ovvio che un contenitore solido non può resistere alle temperature richieste: sono necessarie tecniche di confinamento appropriate. 1.3 Il confinamento magnetico Per controllare i plasmi alle temperature fusionistiche necessarie, sono stati sviluppati tre approcci differenti: • confinamento gravitazionale: è il metodo utilizzato dal sole. Le forze gravitazionali all’interno delle stelle mantengono compressa la materia (essenzialmente idrogeno) che può raggiungere densità e temperature molto elevate. Si innescano così le reazioni nucleari che vengono tenute sotto controllo dal campo gravitazionale stesso che bilancia inoltre le forze di espansione termica; 14 CAP. 1 LA FUSIONE TERMONUCLEARE • confinamento inerziale: il combustibile nucleare può essere compresso fino all’ignizione con un bombardamento di fotoni, di altre particelle o, alternativamente, attraverso un’esplosione. Nel caso dell’esplosione, il tempo di confinamento risulterà essere abbastanza breve. Questo è il processo usato nella bomba all’idrogeno, in cui una potente esplosione provocata da una bomba a fissione nucleare comprime un piccolo cilindro di combustibile per fusione. Nella bomba all’idrogeno, l’energia sviluppata da una testata nucleare a fissione viene utilizzata per comprimere il combustibile, solitamente un miscuglio di deuterio e trizio, fino alla temperatura di fusione. L’esplosione della bomba a fissione genera una serie di raggi X che creano un’onda termica. Questa si propaga nella testata, comprime e riscalda il deuterio e il trizio generando la fusione dei nuclei. • confinamento magnetico: in linea di principio il plasma, essendo costituito da particelle cariche, può essere confinato mediante un opportuno campo magnetico. In assenza di questo campo le particelle si muoverebbero a caso in tutte le direzioni, urterebbero le pareti del recipiente e il plasma si raffredderebbe inibendo la reazione di fusione. Un’opportuna configurazione di campi magnetici esterni e/o prodotti da correnti circolanti nel plasma, invece, può costringere le particelle a seguire traiettorie a spirale intorno alle linee di forza, impedendone il contatto con le pareti del recipiente. Negli ultimi 50 anni, sono stati investigati un gran numero di differenti schemi di confinamento. I primi studi riguardavano dispositivi lineari, ma vi erano eccessive perdite di energia alle estremità che ne impedivano un tempo di confinamento dell’ordine di qualche secondo. Queste perdite vennero completamente evitate con la configurazione toroidale, il cui approccio più promettente sembrò essere il Tokamak. 15 CAP. 1 LA FUSIONE TERMONUCLEARE 1.3.1 TOKAMAK Le ricerche di fusione nucleare a scopi pacifici con l’utilizzo dei Tokamak iniziarono negli anni ’50 nell’ex-Unione Sovietica. Il Tokamak è l’acronimo russo di Camera Toroidale con Bobine Magnetiche (TOroidalnaya KAmera I MAgnitnaya Katiushka). Figura 1.3: Configurazione magnetica di un Tokamak. Si tratta di un dispositivo di forma toroidale caratterizzato da un involucro cavo, costituente la “ciambella” (figura 1.3), in cui il plasma è confinato mediante un campo magnetico con linee di forza a spirale. Questa configurazione magnetica è ottenuta mediante la combinazione di un intenso campo magnetico toroidale (prodotto da bobine magnetiche poste intorno alla ciambella), con un campo magnetico poloidale (realizzato mediante la corrente indotta nel plasma dall’esterno). Il campo poloidale è necessario per evitare la deriva delle particelle del plasma verso le pareti del recipiente. Le particelle del plasma si avvitano intorno alle linee di forza del campo, come rappresentato in figura 1.4. La combinazione dei due campi produce una geome- 16 CAP. 1 LA FUSIONE TERMONUCLEARE tria elicoidale del campo risultante e le linee di campo formano superfici magnetiche chiuse che non intersecano le strutture dei materiali circostanti. Come risultato, le particelle del plasma si muovono lungo queste linee magnetiche ad elica in piccole orbite ruotanti. Ciò limita il loro movimento radiale e ne favorisce il confinamento. Figura 1.4: a) Il gas non è confinato ed è libero di muoversi. b) Il campo magnetico costringe le particelle ionizzate a seguire traiettorie a spirale intorno alle linee di forza, impedendone il contatto con le pareti del vessel. Bobine supplementari esterne vengono utilizzate per realizzare campi magnetici ausiliari che controllano la posizione e la forma del plasma nella camera. Essendo il plasma un conduttore elettrico, è possibile riscaldarlo mediante una corrente indotta dall’esterno: il plasma nella ciambella si comporta come una spira cortocircuitata che costituisce il secondario di un trasformatore, il cui primario è all’esterno. La corrente indotta ha così il duplice scopo di creare il campo poloidale e di riscaldare il plasma a temperatura elevata. Questo tipo di riscaldamento è detto riscaldamento Ohmico o resistivo. Un limite al riscaldamento Ohmico è dato dal fatto che la resistività del plasma decresce al crescere della temperatura; la massima temperatura 17 CAP. 1 LA FUSIONE TERMONUCLEARE ottenibile nel plasma è di alcuni milioni di gradi. Per raggiungere le temperature richieste per la fusione termonucleare è necessario, quindi, ricorrere ad un riscaldamento supplementare, che si può realizzare: • per assorbimento nel plasma di onde elettromagnetiche tramite apposite antenne (Radio-Frequency Heating); • per iniezione di atomi neutri di elevata energia cinetica che attraversano il campo magnetico, vengono ionizzati e trasferiscono per collisione la loro energia al plasma (Neutral Beam Heating); • per compressione adiabatica del plasma, ottenuta spostando il plasma verso regioni a campo magnetico più forte, con conseguente riscaldamento. La figura 1.5 schematizza i principali sistemi di riscaldamento della colonna di plasma, Ohmico e supplementari. Figura 1.5: Schematizzazione dei principali metodi di riscaldamento del plasma. In tabella 1.2, invece, vengono elencati i principali tokamak operativi nel mondo, con particolare attenzione a quelli che lavorano nel campo di ricerca dei controlli avanzati. La tabella è tratta da [1]. 18 CAP. 1 LA FUSIONE TERMONUCLEARE Nome Tokamak ASDEX-Upgrade Alcator C-Mod DIII-D Experimental Advanced Superconducting Tokamak (EAST) Luogo Garching, Germania Cambridge, USA San Diego, USA Anno 1991 1993 1986 Hefei, Cina 2006 Hefei Tokamak-7 (Ht-7) Hefei, Cina 1994 Frascati, Italia 1990 Padova, Italia 1992 Culham, UK 1983 Naka, Giappone 1991 Frascati Tokamak Upgrade (FTU) Reverse Field Experiment (RFX) Joint European Torus (JET) JAERI Tokamak-60 Upgrade (JT-60U) Korea Superconducting Tokamak Advanced Reactor (KSTAR) Mega-Amp Spherical Tokamak (MAST) National Spherical Torus Experiment (NSTX) Steady-State (SST-1) Tokamak à Configuration Variable (TCV) Tore Supra T-10 Daejon, 2007 Corea del Sud Caratteristiche pareti di tungsteno pareti di molibdeno molte forme di plasma tutte le bobine a superconduttore bobine toroidali a superconduttore, no AT macchina ad alto campo magnetico il più grande Reverse Field Pinch il più grande al mondo, nucleo in ferro il più grande tokamak con il nucleo in aria tutte le bobine a superconduttore Culham, UK 1999 tokamak sferico Princeton, USA 1999 tokamak sferico Gandhinagar, India 2005 Losanna, Svizzera 1992 Cadarache, Francia 1988 Mosca, Russia 1975 a superconduttore elongazione maggiore tra tutti i tokamak impulsi molto lunghi il tokamak russo più produttivo, no AT Tabella 1.2: Tabella dei principali “Advanced Tokamak” (AT) sparsi nel mondo. 19 CAP. 1 LA FUSIONE TERMONUCLEARE 1.3.2 Configurazioni di plasma Nel corso dei vari esperimenti con i tokamak, si è osservato che il vessel non è sufficiente per mantenere confinato il plasma, occorre anche limitarlo con una struttura metallica interna alla camera. Infatti, la diffusione radiale delle particelle e il calore che attraversa il campo magnetico portano ad espansioni di plasma fino all’interazione con la parete. La regione di contatto, chiamata limiter e mostrata in figura 1.6(a), deve essere opportunamente disegnata per prevenire eccessive erosioni di materiale. Figura 1.6: (a) Configurazione di plasma limiter. (b) Configurazione a divertore. In altre parole, il limiter meccanico protegge la camera dal bombardamento del plasma e aiuta a definirne il bordo. Ciò nonostante, le particelle che collidono con la struttura limiter sono ad alto livello di energia e possono dunque erodere atomi di materiale dalla superficie metallica. Per questo motivo è importante scegliere opportunamente i materiali costruttivi (tungsteno, molibdeno o grafite) in virtù della loro durezza, carico di potenza e facilità sostitutiva. Allo stesso tempo, è necessario un efficiente pompaggio per rimuovere le impurezze create dall’erosione e per mantenere pulito il plasma. Questi propositi hanno portato allo sviluppo di un’interfaccia tra plasma e componenti di prima superficie senza l’utilizzo di un limiter meccanico: il divertore magnetico (un esempio è in figura 1.7). 20 CAP. 1 LA FUSIONE TERMONUCLEARE Figura 1.7: Esempio di divertore in un tokamak. Il divertore è una struttura che crea una configurazione magnetica dove il livello esterno delle linee magnetiche è portato via dal plasma principale e raccolto in un apposito piatto. Questo divertore poloidale è ottenuto posizionando molte bobine vicino alla superficie del plasma con una corrente parallela a quella di plasma e che scorre in direzione opposta: ciò genera un campo locale che si oppone a quello poloidale. Di conseguenza, il campo magnetico risultante è localmente caratterizzato dalla presenza di un punto di nullo (X-Point), il quale dà adito ad una separatrix (guardare schematizzazione di figura 1.6(b) e simulazione 1.9). Utilizzando questa configurazione, le particelle e l’energia fluiscono dal plasma principale lungo le linee di campo verso una regione separata di divertore, dove le particelle vengono neutralizzate. Le linee magnetiche esterne alla frontiera del plasma collidono sui piatti di raccolta del divertore, i quali sono equipaggiati di pompe a criocondensazione per impedire che rientrino nel plasma. Inoltre, si sottolinea che la temperatura di plasma nel divertore è più bassa rispetto a quella della separatrice vicino al plasma. Come risultato, il danno dell’erosione di parete prodotto dagli ioni può essere fortemente ridotto e plasmi più puliti sono quindi ottenibili in confronto alla configurazione di limiter. 21 CAP. 1 LA FUSIONE TERMONUCLEARE Figura 1.8: Esempio di una configurazione limiter. Questa figura è tratta dal database del JET ed è la ricostruzione secondo il codice EFIT della scarica n◦ 49165. Plasma in X−Point per l’impulso n° 61153 2 1.5 1 0.5 Z [m] 0 −0.5 −1 −1.5 −2 0.5 1 1.5 2 2.5 3 R [m] 3.5 4 4.5 5 5.5 Figura 1.9: Esempio di una configurazione X-Point. Questa figura è la ricostruzione secondo il codice FELIX della mappa di flusso della scarica n◦ 61153. 22 CAP. 1 LA FUSIONE TERMONUCLEARE 1.4 Esperimento JET Costruito nei primi anni ’80, il Joint European Torus Tokamak è stato disegnato per permettere gli studi del comportamento del plasma in prossimità del break-even, la condizione nella quale il rapporto tra potenza di fusione prodotta e quella di calore in ingresso è pari ad 1. Questo impianto a fusione, non solo è il più grande al mondo capace di lavorare con miscele di deuterio e trizio, ma ha raggiunto tutti gli obiettivi scientifici prefissati. Ha conseguito, nel 1997, il record mondiale di 16 MW di produzione di potenza dai 26 MW di riscaldamento in ingresso. Ciò corrisponde ad un fattore di amplificazione (Q) pari allo 0.6. Questo obiettivo è stato raggiunto utilizzando un plasma D-T. Figura 1.10: Vista generale del JET Tokamak e struttura di supporto in ferro. Il rendimento di fusione di una centrale viene determinato da questo indice che rappresenta il rapporto tra la potenza generata dalla reazione e quella iniettata nel plasma. Quando tutte le perdite nel plasma sono controbilanciate dal riscaldamento prodotto dalle particelle alfa e non si ha più bisogno di immettere potenza esterna, 23 CAP. 1 LA FUSIONE TERMONUCLEARE il plasma ha raggiunto la condizione in cui la reazione si auto-sostiene e richiede solamente l’introduzione continua di combustibile (fase di ignizione: Q = ∞). Il JET è una macchina ad impulsi; ciò significa che ad ogni esperimento si devono completare le fasi di iniezione del carburante, di reazione indotta e di fine scarica. La lunghezza di un impulso è di circa 40 sec., mentre il tempo di attesa necessario tra due esperimenti è di circa 30 min. Altre caratteristiche sono riportate in tabella 1.3. Parametro della macchina Raggio maggiore dell’anello Raggio minore dell’anello Campo toroidale Volume del plasma Corrente di plasma Riscaldamento supplementare Densità media del plasma Temperatura di plasma Tempo di confinamento dell’energia Record di potenza generata Valore 2.96 m 1.25 m fino a 4 T 80m3 fino a 6 MA fino a 30 MW fino a 1020 m−3 ∼ 300 million ◦ C (30 keV) ∼ 1 sec 16 MW Tabella 1.3: Dettagli tecnici del JET. Figura 1.11: Sulla sinistra, si possono individuare le carbon tiles che proteggono la colonna centrale, il divertore e una delle antenne del riscaldamento addizionale. Sulla destra, vi è un’immagine della camera da vuoto in presenza di plasma. 24 Capitolo 2 IL SISTEMA DI CONTROLLO NEL JET Questo capitolo descrive i sistemi di controllo presenti al JET. Viene posta particolare attenzione al controllo di posizione e forma del plasma all’interno del vessel. 2.1 Principali sistemi di controllo Le prestazioni di un plasma sono definite da una serie di parametri che coinvolgono aspetti geometrici, quali forma e posizione, e di stato, quali temperatura, densità, etc. Per poter ottenere le massime prestazioni, è dunque essenziale avere un sistema di controllo in grado di portare il plasma ai parametri desiderati. Questo può essere fatto agendo sul plasma con appropriati attuatori posti a ciclo chiuso per ottenere i valori desiderati dei parametri. I principali sistemi di controllo utilizzati al JET sono divisibili in due categorie: • controllo magnetico: agisce sulle proprietà macroscopiche del plasma, come la posizione, la forma e la corrente totale, che sono relazionate al campo magnetico e all’azione delle bobine circostanti. Il sistema in uso prende il nome di Plasma Position and Current Control (PPCC). È costituito da due sistemi in- 25 CAP. 2 IL SISTEMA DI CONTROLLO NEL JET dipendenti: lo Shape Controller (SC) e il sistema per la Vertical Stabilisation. Il primo controlla la forma e la corrente di plasma alle basse frequenze; il secondo stabilizza verticalmente il plasma. • controllo cinetico: è finalizzato alle caratteristiche interne del plasma, come la temperatura e la densità; fa uso di sistemi di riscaldamento addizionale e di iniezione di gas specifici. Il sistema in uso prende il nome di Plasma Density Feedback (PDF) e Real Time Central Controller (RTCC). APPLICAZIONI. Il lavoro di questa tesi si collega principalmente al problema del controllo di forma e posizione del plasma mediante attuatori magnetici (si rimanda alla bibliografia [3] per lavori sul controllo cinetico) e trova applicazioni principali nei sistemi: a) (Extreme-)Shape Controller (X-SC): il codice descritto nel capitolo 4 fa uso di misure magnetiche in real-time per ricostruire la mappa di flusso all’interno del vessel. Dopo aver calcolato un certo numero di parametri geometrici, fornisce tali infomazioni al sistema di controllo che le processa per regolare gli attuatori (vedere per i dettagli [4]). b) Walls: è un sistema di safety progettato per proteggere determinate aree della prima parete e dei divertori da un eccesso di deposito di potenza di plasma. Inoltre, previene il fatto che il plasma raggiunga aree non protette. Per far questo, utilizza anch’esso opportuni riferimenti geometrici forniti dal codice sviluppato (vedere per i dettagli [5]). c) Beta-Li: utilizza la mappa di flusso per calcolare più di 100 valori geometrici di plasma e descriverne, così, la frontiera. Sulla curva chiusa risultante, computa poi 26 CAP. 2 IL SISTEMA DI CONTROLLO NEL JET i tre integrali di Shafranov del campo magnetico e il momento di secondo ordine della corrente di plasma (vedere per i dettagli [6]). Con queste informazioni, ricava il parametro poloidale β e l’induttanza interna Li, insieme agli altri parametri di confinamento necessari per la valutazione delle prestazioni del plasma. GLI ATTUATORI. I sistemi che creano il campo magnetico necessario al controllo magnetico sono due: 1. il campo toroidale (TF): consiste di 32 bobine, ognuna con 24 spire. La massima corrente è limitata a 75 kA, fornendo un campo massimo di 4 T al centro della camera. Del TF è possibile solo il controllo di velocità di salita della corrente; 2. il campo poloidale (PF): prodotto da 8 bobine (P 1 ÷ P 4 + D1 ÷ D4). Ad eccezione delle quattro di divertore, ciascun’altra coil può avere un funzionamento magnetico differente in base al raggruppamento di spire che la costituisce. Per questa caratteristica, si distingue una simmetria top-down e interna-esterna rispetto alla camera da vuoto (figura 2.1). Il numero totale di queste parti indipendenti di bobine è 22. In tabella 2.1 sono elencati i 10 circuiti di PF, le bobine che li costituiscono e i parametri geometrici che maggiormente influenzano. Ad eccezione dell’amplificatore FRFA (Fast Radial Field Amplifier ), gli altri circuiti servono per definire la forma e la posizione della colonna di plasma. I CIRCUITI DI PF. Nel seguito si presentano gli schemi dei circuiti che creano il campo poloidale e si evidenzia il loro principale contributo sul controllo di plasma. ? Primary P1 e Vertical Field P4 (modellizzato in due circuiti separati chiamati Vertical Upper e Vertical Lower ), figura 2.2(a), permettono di ottenere plasmi circolari, svolgendo le seguenti funzioni: 27 CAP. 2 IL SISTEMA DI CONTROLLO NEL JET TF Figura 2.1: Sezione poloidale del tokamak JET per evidenziare le bobine PF e rappresentazione equivalente in 3D. In verde viene mostrata una delle bobine relative al campo toroidale. Circuito Bobine P3MU P1EU P1CU P1CL P1EL P3ML P2SUI P2SUE P3SU SHAPE P3SL P2SLE P2SLI PFX P1CU P1CL VERTICAL FIELD P4U + P4L RADIAL FIELD P4U - P4L P2RU P3RU FRFA P3RL P2RL PRIMARY P1 DIVERTORS 1-2-3-4 D1 D2 D3 D4 Parametri Ip RIG ROG, RIG, Rp TOG, Zp stabilità verticale Rx e Z x RSI e ZSI RSO e ZSO Tabella 2.1: La tabella riassume i 10 circuiti del campo poloidale, le 22 parti di bobine che li costituiscono e i 9 parametri geometrici di plasma che ne subiscono gli effetti. La suddivisione di alcune bobine implica l’uso delle seguenti desinenze: U: upper, L: lower, I: internal, E: external. 28 CAP. 2 IL SISTEMA DI CONTROLLO NEL JET • breakdown: fase in cui si crea variazione di flusso all’interno della macchina tramite la scarica del circuito P1, si forma un campo elettrico toroidale, il gas viene iniettato, si ionizza ed avviene l’innesco del plasma; • plasma current ramp-up: fase di salita della corrente di plasma. La rapidità con la quale essa aumenta è funzione del tempo di decadimento del circuito P1; • riscaldamento Ohmico del plasma secondo il principio del trasformatore: il circuito svolge la funzione di avvolgimento primario e il plasma quello di secondario; • controllo orizzontale della posizione del plasma: la corrente che scorre nel circuito P4 è opposta in segno alla corrente di plasma per creare una forza verso l’interno che si oppone alla forza di espansione del plasma. ? Shape e PFX, figura 2.2(b), agiscono sui seguenti parametri geometrici: • elongazione: fenomeno di stiramento verticale del plasma. Viene ottenuto facendo scorrere corrente nella bobina P2 con lo stesso segno di quella di plasma e nella P3 con il segno opposto; • triangolarità: asimmetria tra parte interna ed esterna della colonna di plasma; • separatrix (di solito insieme alle bobine del divertore): sezione 1.3.2. ? FRFA, figura 2.2(c), permette di ottenere la stabilità verticale per i plasmi elongati tramite un campo radiale che ne impedisce il naturale spostamento verticale. ? DIVERTORS 1-2-3-4 e P4 IMBALANCE, figura 2.2(d), permettono di: • ottenere plasmi in configurazione ad X-Point tramite il controllo di posizione degli strike-points (sezione 1.3.2); 29 CAP. 2 IL SISTEMA DI CONTROLLO NEL JET • operare una compensazione del campo radiale; • compensare le correnti parassite1 presenti sulla struttura di divertore durante la veloce fase di salita della corrente. A differenza delle altre bobine, quelle relative ai divertori sono posizionate all’interno del vessel. IL CONTROLLORE. Ci sono tre principali obiettivi del controllo di posizione e forma. Il primo è di mantenere il plasma all’interno del vessel. I plasmi sono, infatti, soggetti a forze che tendono ad espanderlo radialmente verso l’esterno. Un campo verticale deve essere quindi generato dalle bobine per procurare una forza verso l’interno. Un secondo obiettivo è di ottenere specifiche forme di plasma per soddisfare determinati prequisiti dell’esperimento. Per esempio, si è dimostrato che plasmi verticalmente elongati (alti e stretti) permettono di mantenere pressioni molto maggiori (forma a D). Il processo di elongazione, però, crea una configurazione magnetica che causa instabilità verticali (lungo la direzione z ) al plasma. Dunque, il terzo obiettivo è di stabilizzare questo fenomeno (tramite l’amplificatore dedicato FRFA). Il JET Shape Controller (e in maniera analoga la sua versione estesa XSC) permette di impostare un ampio insieme di parametri geometrici ed elettromagnetici, adattando la fase dell’impulso con le specifiche dell’esperimento e con la configurazione di plasma richiesta. Prima della formazione del plasma, lo SC guida i circuiti poloidali a seguire un prefissato insieme di forme d’onda pre-programmate, le quali stabiliscono le condizioni per un break-down ben riuscito. In seguito, si crea una piccola colonna di plasma che si espande lentamente all’interno della camera. In questa 1 Le correnti parassite o correnti di eddy (dall’inglese “vortice”) sono delle correnti indotte in masse metalliche conduttrici che si trovano immerse in un campo magnetico variabile o che, muovendosi, attraversano un campo magnetico costante o variabile. In ogni caso la variazione del flusso magnetico genera queste correnti. Gli elettroni, muovendosi in vortici, generano a loro volta un campo magnetico in direzione opposta al campo magnetico applicato e causano perdite di energia riscaldando il conduttore per effetto Joule. 30 CAP. 2 IL SISTEMA DI CONTROLLO NEL JET (a) Primary P1 e Vertical Field P4 (c) FRFA (b) Shape e PFX (d) DIVERTORS 1-2-3-4 e P4 IMBALANCE Figura 2.2: Schematizzazione dei 10 circuiti di campo poloidale. 31 CAP. 2 IL SISTEMA DI CONTROLLO NEL JET fase, poiché è difficile determinare con precisione la forma di plasma, lo SC chiude il loop solo con la corrente di plasma e la posizione radiale. Un miglioramento a questa situazione verrà descritto nel capitolo 6 e costituisce parte integrante del lavoro svolto al JET. La fase principale dell’esperimento inizia tipicamente dopo che il plasma è stato confinato in una superficie chiusa e per questo motivo è bene riuscire ad ottenere questa situazione il prima possibile e con la massima accuratezza possibile. L’identificazione della posizione del plasma avviene mediante i cosiddetti gaps. Per gap si intende il punto di intersezione tra il bordo del plasma e un determinato segmento. L’insieme di più gap permette di identificare completamente forma e posizione del plasma come mostrato in figura 5.15. Figura 2.3: a) Posizione dei principali parametri geometrici di controllo. b) Posizione dei principali gaps utilizzati dal controllore. I parametri geometrici di controllo in tabella 2.1 e mostrati in figura 5.15 sono: 1) Ip : corrente di plasma; 32 CAP. 2 IL SISTEMA DI CONTROLLO NEL JET 2) (Rp , Zp ): posizione radiale e verticale del centroide di corrente di plasma individuato dai momenti di Shafranov tramite il codice Beta-Li; 3) RIG: Radial Inner Gap tra prima parete interna del vessel e frontiera di plasma; 4) ROG: Radial Outer Gap tra prima parete esterna del vessel e frontiera di plasma; 5) T OG: Top Gap tra prima parete superiore e frontiera di plasma. Viene calcolato come la distanza media tra i 3 segmenti superiori (definiti TOG2, TOG3 e TOG4); 6) (Rx , Zx ): posizione radiale e verticale dell’X-Point; 7) (RSI , RSO ): posizione radiale dello strike-point interno ed esterno; 8) (ZSI , ZSO ): posizione verticale dello strike-point interno ed esterno; Figura 2.4: Schematizzazione del controllo operato al JET per la forma e la posizione del plasma. I requisiti principali per il controllo della forma del plasma e la sua stabilizzazione sono limitati, dunque, alla conoscenza della frontiera di plasma. Le difficoltà e le 33 CAP. 2 IL SISTEMA DI CONTROLLO NEL JET instabilità tipiche delle varie configurazioni rendono indispensabile l’utilizzo di un sistema di controllo in retroazione (figura 2.4) che regoli le grandezze topologiche in questione. Come in ogni sistema di controllo, un ruolo essenziale è rivestito dal sistema di stima dei parametri geometrici controllati. Tali parametri legati alla frontiera non sono direttamente misurabili e vanno quindi ricavati in tempo reale dalle informazioni disponibili. A tale scopo, si fa uso di un algoritmo che per ogni istante dell’impulso riesca a risolvere il seguente problema: Problema 2.1. Detta Ω la regione di vessel contenente il plasma e m le misure magnetiche di flusso assegnate, identificare la frontiera di plasma ∂Ω. ♣ La soluzione diretta di questo problema è estremamente onerosa e non possibile in real-time: sarebbe necessario prendere in considerazione tutte le equazioni del problema magneto-idrodinamico completo con le relative condizioni al contorno. Per ovviare a questo, si fa uso di un veloce algoritmo basato sulla proprietà che la frontiera del plasma coincide con una linea di livello della funzione flusso poloidale (sezione 3.1). Questo consente di ricondurre il Problema 2.1 al problema inverso di determinare un’approssimazione di tale funzione. La soluzione del Problema 2.1 si compone essenzialmente di tre fasi distinte: i) calcolo di un’espressione approssimata della funzione Ψ nella regione di vuoto, Ωv , presente tra il plasma e la struttura della macchina: si determina una mappa di flusso; ii) calcolo del valore di flusso che individua la frontiera di plasma: si determina ψ ∗ in (2.1.1); iii) calcolo dei parametri geometrici di interesse: si determinano gaps, X-Points e strike-points. 34 CAP. 2 IL SISTEMA DI CONTROLLO NEL JET La prima fase verrà ampiamente trattata nel capitolo 4. Una volta che la prima fase è stata completata, si è potenzialmente in grado di valutare la funzione Ψ in ogni punto della regione Ωv . Pertanto, si può affrontare il problema di determinare il valore di flusso costante che individua la frontiera del plasma. Nel caso in cui il plasma sia di forma circolare e tocchi la parete in un punto determinato, questa fase è di immediata soluzione. Poiché il valore assoluto di flusso decresce in maniera monotona dal centro del plasma verso la parete, il punto sulla prima parete dove il flusso è massimo, individua il punto dove essa tocca il plasma. Sia X0 l’insieme dei punti di nullo interni alla regione Ωv accessibile al plasma, il valore costante che il flusso poloidale attinge sulla frontiera può essere cercato tra i valori che la funzione Ψ assume sugli insiemi X0 e ∂Ω. In particolare, indicato con ψ ∗ tale valore, si dimostra in [7] e [8] che risulta: ψ∗ = max Ψ(r) se Ip > 0 r∈∂Ω∪X0 min Ψ(r) se Ip < 0 (2.1.1) r∈∂Ω∪X0 Per configurazioni di plasma più complesse (vedere sezione 1.3.2), esiste un punto di nullo del campo magnetico e il valore di flusso sulla frontiera è calcolato come il valore di flusso in quel punto. Una volta che anche la seconda fase è stata completata, si è in grado di ricercare un certo numero di punti appartenenti alla frontiera del plasma; da questi punti sarà poi possibile calcolare i desiderati parametri geometrici. Per calcolare un gap, infatti, questo segmento fittizio viene ridotto ad un insieme di punti. Poiché la funzione flusso è monotona verso il plasma, la ricerca della frontiera può essere effettuata utilizzando l’algoritmo di bisezione. Partendo dal centro del segmento e confrontando il flusso in uno dei punti del segmento con quello al bordo, l’algoritmo può decidere su quale parte del segmento continuare la ricerca. In maniera analoga avviene la ricerca del- 35 CAP. 2 IL SISTEMA DI CONTROLLO NEL JET lo strike point. Esso è la posizione dove il plasma deposita gran parte della propria energia quando si trova nella configurazione detta X-Point (vedere sezione 1.3.2 per i dettagli). Lo strike point è individuato seguendo la superficie esterna del flusso dell punto di X-Point fino al divertore. Per l’importanza assunta nel controllo da gaps, x-point e strike points, questi parametri sono l’insieme di dati verificati nella fase di validazione del nuovo modello studiato (vedere capitolo 5). Figura 2.5: Schematizzazione dei passaggi necessari per ottenere, dalla misure in ingresso, i parametri geometrici necessari al controllo di forma e posizione del plasma. 2.2 Principi di misura magnetica nelle macchine da fusione Data l’importanza delle misure magnetiche nel problema affrontato, in questo paragrafo verranno presentati brevemente i principali sistemi di misura del JET. Il sistema di diagnostiche presenti è molto articolato ed è costituito da strumentazioni di ogni tipo, in grado di fornire informazione su ogni parametro di plasma. Il tokamak dispone di diagnostiche magnetiche, diagnostiche di raggi-X, di densità, di temperatura elettronica e ionica e di ulteriori sistemi di misura. Ciò nonostante, l’investigazione diretta della regione interna della colonna di plasma non è realizzabile da nessuno di queste, sia a causa delle critiche condizioni di temperatura sia per l’effetto perturbativo che una tale operazione può comportare. Sono possibili solo misure con dispositivi collocati all’esterno del vessel che hanno, pertanto, limitazioni ed errori. 36 CAP. 2 IL SISTEMA DI CONTROLLO NEL JET Il metodo più semplice per misurare il campo magnetico in prossimità di un punto nello spazio, è utilizzare delle sonde costituite da piccole bobine. Il campo induzione magnetica che attraversa la sezione della bobina è misurato mediante la tensione indotta dal campo stesso ai capi della bobina secondo la legge di Faraday. Un tipico esempio di sistema di misura di questo tipo è illustrato in figura 2.6. Figura 2.6: Tipica bobina di misura e circuito d’integrazione. Il legame tensione/campo-induzione è espressa mediante la seguente relazione: V dφ dt dB = NA dt = − dove N è il numero di spire della bobina di area A. Come indicato nella figura 2.6, poiché si è interessati in B piuttosto che alla sua derivata temporale Ḃ si utilizza un circuito di integrazione per ottenere un segnale proporzionale al campo: V0 = N AB RC dove RC è la costante di tempo del circuito di misura. La limitazione maggiore di queste bobine per la misura del campo magnetico è che esse rispondono al grado di variazione del campo Ḃ, non del campo stesso. Per campi stazionari o lentamente 37 CAP. 2 IL SISTEMA DI CONTROLLO NEL JET variabili, questa tipologia di bobina diventa inutile a meno che non possa essere fisicamente mossa all’interno del campo in maniera controllata (procedimento piuttosto ingombrante e laborioso). Per i campi stazionari, si utilizza un differente fenomeno fisico per misurare il campo magnetico: l’effetto Hall. Per effetto Hall si intende il campo elettrico indotto in un semiconduttore percorso da corrente e immerso in un campo magnetico. In figura 2.7 si individua il campo di denstà di corrente imposto e il campo elettrico che si genera a causa della presenza del campo induzione che agisce sulle cariche. La carica risultante che si concentra sulle facce della sonda incrementa un campo elettrico addizionale che cancella la forza magnetica. Questo campo addizionale è misurato dagli elettrodi delle facce del semiconduttore. Figura 2.7: Schema di una sonda ad effetto Hall [9]. Un’ulteriore diagnostica di misura di campo è la Rogowski, una delle più note configurazioni per le bobine di misura di corrente. Consiste in una bobina a solenoide le cui estremità sono chiuse insieme per formare un anello, come illustrato in fig. 2.8. Il flusso totale che attraversa la coil può essere scritto come un integrale piuttosto che come somma delle singole spire: Φ=n H ∫ l H dAB · dl A B · dl = µI l =⇒ Φ = nAµI (2.2.1) 38 CAP. 2 IL SISTEMA DI CONTROLLO NEL JET Figura 2.8: Schema di sonde Rogowski, poloidali e diamagnetiche [10]. dove I è la corrente totale contenuta da l e µ è la permeabilità magnetica del mezzo nel solenoide. Dal flusso si ottiene la relazione lineare tra tensione di uscita e corrente tramite un ulteriore circuito integratore che ne effettua la misura: V = Φ̇ = nAµI˙ La bobina Rogowski procura, così, una misura diretta della corrente totale che scorre all’interno del suo centro. Per questo motivo, la bobina è appropriata per misurare la corrente di plasmi se collegata al ring di un tokamak nella modalità di figura 2.9. Figura 2.9: Utilizzo della bobina Rogowski per misurare la corrente di plasma [10]. 39 CAP. 2 IL SISTEMA DI CONTROLLO NEL JET 2.2.1 Diagnostiche magnetiche nel JET La macchina JET dispone di una quantità elevata di dispositivi di misura per grandezze di tipo elettromagnetico. Esistono sonde per misure locali e globali di tensione e di corrente di campo poloidale e toroidale, avvolgimenti Rogowski dislocati in più sezioni toroidali per la misura della corrente totale di plasma, sonde per misure di campi in posizioni specifiche della macchina o sonde per misure della componente radiale del campo magnetico. In figura 2.10 è illustrata la disposizione delle sonde elettromagnetiche installate nel JET per il sistema di controllo di forma. Nel seguito si supporrà di disporre di un totale di m = 52 sensori magnetici funzionanti e suddivisi in: • 15 Internal Discrete Coils • 12 External Vessel Saddle Loops • 5 Poloidal Limiter Coils • 4 Full Flux Loops • 16 Divertor (Target) Coils Figura 2.10: Sonde elettromagnetiche installate al JET per il Plasma Shape Control. Figura tratta da [2]. 40 Capitolo 3 LA RICOSTRUZIONE MAGNETICA In questo capitolo si presenteranno i metodi utilizzati per ottenere un’accurata stima della posizione e della forma di plasma. Sia per migliorare le prestazioni del processo di fusione, sia per proteggere i componenti del macchinario, la ricostruzione del profilo di plasma è un problema critico e delicato dal punto di vista diagnostico e controllistico. Per tale motivo, la stima della forma assume un ruolo chiave nel soddisfare i requisiti delle applicazioni in real-time. Sfortunatamente la forma del plasma non è una quantità direttamente misurabile; essa, dunque può essere solo calcolata utilizzando i dati forniti dai sensori diagnostici, come le misure magnetiche del flusso e del campo. Per rispondere al quesito di come riconoscere, individuare e stimare il plasma all’interno della camera da vuoto, occorre innanzitutto fornire una definizione pratica di cosa sia il profilo di plasma. La fisica del problema associa in primo luogo tale definizione alla configurazione magnetica del plasma (vedere sezione 1.3.2): Il boundary del plasma è la superficie chiusa di flusso più esterna interamente contenuta nel vessel da vuoto. Mentre le particelle interne a tale limite seguono le linee del campo magnetico 41 CAP. 3 LA RICOSTRUZIONE MAGNETICA che restano all’interno del plasma, le linee di campo esterne, non chiuse, intersecano la parete della macchina e risultano pertanto non confinate. Il limite di plasma è o la linea di flusso più esterna non intersecante alcun oggetto solido o è una superficie contenente un punto nel quale il campo magnetico poloidale si annulla. Nella configurazione, invece, in cui il plasma tocca la prima parete, il punto di contatto determina proprio il flusso del boundary. 3.1 Equazione di equilibrio Grad-Shafranov Il comportamento di un plasma immerso in un campo magnetico è descritto dalle equazioni MHD (MagnetoHydroDynamics). Queste equazioni, una volta vincolate alla condizione di equilibrio del plasma, si riducono alla soluzione di un’equazione differenziale, detta equazione di Grad-Shafranov. Per equilibrio si intende quella situazione in cui le forze in gioco nella configurazione hanno risultante nulla. Forze magnetiche, dovute ad interazione tra campo induzione magnetica e campo di corrente, si equilibrano a forze cinetiche quali la pressione di plasma. Per magnetoidrodinamica, si intende la teoria nella quale il plasma è visto come un mezzo fluido continuo reso sensibile all’azione del campo magnetico dalla presenza di una distribuzione interna di corrente. Su scala macroscopica la magnetoidrodinamica consente di descrivere con buona approssimazione l’evoluzione temporale di un plasma in una macchina tokamak. L’approssimazione più comune dell’MHD è di assumere che il fluido sia un conduttore perfetto con una resistività η piccolissima o nulla. Questa semplificazione porta alla 42 CAP. 3 LA RICOSTRUZIONE MAGNETICA MHD ideale e alla legge di Ohm generalizzata: E + v × B = ηj (3.1.1) il campo elettrico diventa dipendente solo dalla velocità fluida v e dal campo magnetico, nel limite di resistività η = 0. In pratica, il campo elettrico può essere eliminato dalle equazioni di Maxwell. Il set di equazioni della MHD ideale è quindi [11]: ∂ρ + ∇ · (ρv) = 0 ∂t dv ρ = j × B − ∇p dt ∂b − = ∇×E ∂t (3.1.2) (3.1.3) (3.1.4) ∇ × B = µ0 j (3.1.5) ∇·B = 0 (3.1.6) dove: • j è la densità di corrente nel plasma; • µ0 è la permeabilità magnetica del vuoto; • B è il campo di induzione magnetica; • p la pressione cinetica del plasma; • il termine j × B è la forza di Lorentz agente sul volume elementare di plasma; • l’equazione (3.1.4) è la legge di Faraday che lega la variazione temporale del campo di induzione magnetica con il campo elettrico; • l’equazione (3.1.6) è la legge di Gauss che esprime la solenoidalità del campo B. 43 CAP. 3 LA RICOSTRUZIONE MAGNETICA L’equilibrio tra la forza di pressione interna al plasma e la forza magnetica di confinamento può essere studiato a partire dalle suddette equazioni della magnetoidrodinamica. La condizione base per l’equilibrio è che la sommatoria delle forze agenti su un volume elementare di plasma sia nulla. In particolare, un plasma è in equilibrio se le correnti e i campi magnetici bilanciano la pressione interna del fluido che tende a fare espandere il fluido stesso. Questa condizione può essere ottenuta se si eliminano nelle equazioni precedenti le derivate temporali. In questo modo l’equilibrio è ottenuto risolvendo un sistema di equazioni ridotto: ∇p = j × B (3.1.7) ∇ × B = µ0 j (3.1.8) ∇·B = 0 (3.1.9) Si sottolinea il fatto che queste ultime equazioni non contengono più la velocità fluida, ma solo le correnti, i campi magnetici, e la pressione del plasma. In particolare, l’equazione (3.1.8) dice che le superfici isobare (cioè, di pressione costante) sono superfici a flusso magnetico costante (superfici di flusso). Sempre nel caso di resistività nulla, è anche possibile dimostrare che tali superfici devono avere geometria toroidale ed essere innestate l’una nell’altra, come schematizzato in figura 3.1. Figura 3.1: Superfici magnetiche toroidali annidate [12]. 44 CAP. 3 LA RICOSTRUZIONE MAGNETICA Da questa premessa è possibile ricavare l’equazione di Grad-Shafranov definita per plasmi assialsimmetrici. Si tratta dunque di un problema ridotto alla bidimensionalità sul piano poloidale; infatti, tutte le grandezze in gioco risulteranno indipendenti dall’angolo toroidale φ. In tali ipotesi è possibile esprimere la (3.1.6) come: 1 ∂ (rBr ) ∂Bz + =0 r ∂r ∂z (3.1.10) È conveniente ora definire la funzione flusso poloidale: ∫ r Ψ(r, z) , τ Bz dτ ∫ 1 = Bz dS 2π S ∫ 1 = B · dS 2π S 0 (3.1.11) Figura 3.2: Il flusso è determinato come l’integrale del campo magnetico B su una superficie circolare S centrata nell’asse della macchina (r è il raggio di S e z è l’altezza del suo centro). A meno di 2π la quantità Ψ equivale al flusso del campo magnetico B che attraversa la superficie S (flusso poloidale). Dalla (3.1.10) e (3.1.11) possiamo esprimere le componenti radiale e verticale del campo magnetico come le derivate parziali della funzione di flusso: Br = − 1 ∂Ψ r ∂z Bz = 1 ∂Ψ r ∂r (3.1.12) 45 CAP. 3 LA RICOSTRUZIONE MAGNETICA Nel caso delle configurazione tokamak, il campo toroidale è una quantità nota e pertanto può essere riscritta come: BT = f ET r (3.1.13) Le relazioni individuate per le componenti di campo induzione magnetica possono essere riassunte nel seguente sistema: B = BT + BP 1 BP = [∇Ψ × ET ] (3.1.14) r f BT = ET r La funzione f assume il valore 1 laddove non vi sia plasma (il campo toroidale ha una dipendenza del tipo 1/r), mentre nella zona di plasma rappresenta il contributo del plasma stesso al campo toroidale . Sapendo che la densità di corrente j e il campo B descrivono delle superfici a pressione costante, possiamo combinare le equazioni della magnetoidrodinamica, del flusso poloidale e delle componenti di campo B per ricavare il parallelismo tra i gradienti di p, Ψ ed f : ∇p // ∇Ψ // ∇f (3.1.15) ⇒ p = p(Ψ) e f = f (Ψ) (3.1.16) La combinazione opportuna delle precedenti relazioni si riduce all’equazione di equilibrio di Grad-Shafranov (i dettagli in [11]): ∆∗ Ψ = r ∗ 1 ∂f 2 ∂p + ∂Ψ 2µ0 r ∂Ψ ∗ dove ∆ è un operatore differenziale definito come: ∆ Ψ , (3.1.17) ∂ − ∂r [ 1 ∂· µr ∂r ] − ∂ ∂z [ 1 ∂· µr ∂z ] . L’eqauzione di Grad-Shafranov relaziona la pressione interna del plasma con il campo magnetico esterno ed, analiticamente, equivale alla componente toroidale di densità di corrente di plasma (∆∗ Ψ = jφ ). Una volta risolta, essa fornisce la funzione di flusso poloidale Ψ dalla quale è poi possibile risalire ai profili di corrente. 46 CAP. 3 LA RICOSTRUZIONE MAGNETICA 3.2 Metodi di ricostruzione La funzione di flusso Ψ contiene tutta l’informazione necessaria per localizzare il plasma all’interno della camera da vuoto e determinarne la posizione rispetto ai componenti della prima parete. Contemporaneamente, una completa conoscenza della configurazione del campo esterno permette la ricostruzione della posizione di plasma ma non la ricostruzione della struttura magnetica interna. Esistono numerosi codici di equilibrio elettromagnetico che risolvono il problema del boundary. Codici di equilibrio non lineari ricostruiscono la forma e simulano la dinamica del plasma per le varie scariche di corrente grazie a tecniche computazionalmente onerose e non compatibili con il periodo di campionamento richiesto per il controllo (dell’ordine di alcuni ms). A tal proposito, bisogna distinguere tra: − equilibrium evolution codes (MAXFEA e PROTEUS); − equilibrium reconstruction codes (EFIT); − boundary reconstruction code (XLOC, metodo filamentare). Il primo metodo risolve l’equilibrio basandosi sulle dinamiche delle correnti di coils esterne e sulla corrente di plasma; mentre il secondo risolve il problema dell’equilibrio prendendo in considerazione le misure interne e la distribuzione attuale di corrente di plasma. Entrambi forniscono una descrizione magnetica completa del plasma: distribuzione di densità di corrente e distribuzione di flusso. La differenza principale tra i due codici riguarda i dati in ingresso. Il primo utilizza le misure sperimentali e l’accuratezza risultante è sia limitata dal fatto che il problema si presenta mal-posto sia dai rumori sulle misure. I segnali ricostruiti da EFIT, invece, sono forniti dal 47 CAP. 3 LA RICOSTRUZIONE MAGNETICA codice stesso sotto forma di correnti confrontate con i dati diagnostici in base alla minimizzazione di un funzionale di errore quadratico [13]. Inoltre, EFIT (Equilibrium FITting) risolve l’equazione (3.1.17) non solo nella zona di plasma (inclusa la sua regione interna) ma per una intera sezione poloidale della macchina, utilizzando, come vincoli al modello, anche misure magnetiche interne al vessel. Questo codice è stato utilizzato come riferimento nella fase di validazione dei risultati ottenuti in questo lavoro (capitolo 5). XLOC è, invece, un codice nato per la ricostruzione in-linea del buondary. Esso interpola il flusso magnetico mediante espansioni di un determinato grado. L’equazione di Grad-Shafranov è applicata come vincolo ai polinomi e il best fit viene effettuato sulle sole misure magnetiche dei sensori (i dettagli sono nella sezione 4.1 e in [14]). In questo modo, XLOC evita completamente la modellizzazione del plasma. L’informazione di flusso ottenuta viene poi utilizzata per ricostruire la forma di plasma in termini di distanze geometriche tra boundary e prima parete. Il metodo filamentare, invece, rappresenta il plasma come un insieme di filamenti percorsi da una certa quantità di corrente. Il valore di campo magnetico, prodotto da ogni filamento, risulta proporzionale alla corrente che lo percorre e inversamente proporzionale al quadrato della distanza, secondo la legge di Ampere-Laplace [15]. Se i filamenti vengono posizionati lontani dai sensori più della distanza tra ciascuno di loro, se ne potrà misurare la sovrapposizione degli effetti e identificarla come ∑N un’unica sorgente di corrente: IF IL. = i=1 Ii δ(r − ri ). Il numero N di filamenti scelti e la loro collocazione ri sono state variabili progettuali determinate in maniera semi-empirica analizzando tutte le forme di plasma nelle configurazioni standard dello spazio operativo del JET. 48 Capitolo 4 METODI E MODELLI In questo capitolo vengono descritti due modelli matematici di ricostruzione della topologia magnetica di plasma. Si parlerà del codice polinomiale XLOC, limitato a localizzare la frontiera senza interessarsi dell’analisi dettagliata delle caratteristiche interne del plasma (sezione 4.1) e di un codice in grado di approssimare la distribuzione di flusso del plasma con un numero opportuno di filamenti di corrente posti all’interno del vessel (sezione 4.2). 4.1 Modello Polinomiale XLOC, (acronimo di X-point LOCalization algorithm), soddisfa le specifiche di determinare la frontiera di plasma in meno di 2 ms. La sua implementazione è stata utilizzata quotidianamente da più di 10 anni come componente del Plasma Position and Current Controller. Esso offre la possibilità di definire la forma del plasma usando direttamente le distanze plasma-parete come segnali di feedback al posto di offrire una configurazione di plasma corrispondente alle correnti delle PF coils come input al sistema di controllo. In un tokamak il campo magnetico poloidale può essere rappresentato usando la funzione di flusso poloidale Ψ già vista in (3.1.11). Per la sua approssimazione, XLOC usa 5 serie di Taylor troncate al 6◦ ordine e centrate in 5 punti differenti della camera 49 CAP. 4 METODI E MODELLI da vuoto. Per ogni regione l’espressione del flusso è data da: Ψ(ρ, z) = ∑ ai,j ρi z j (4.1.1) 0≤i+j≤6 dove: • ρ = (r2 − r02 ) • (r0 , z0 ): coordinate del centro della serie e dell’asse del tokamak. Figura 4.1: Lo spazio della camera da vuoto è suddiviso nelle 5 regioni a cui XLOC attribuisce una differente base di funzioni polinomiali. Le regioni sono così definite: Upper X-Point, Lower X-Point, Inner Wall, Upper Belt Limiter, Lower Belt Limiter. La camera da vuoto è stata suddivisa in 5 regioni (figura 4.1) e per ogni regione l’insieme dei coefficienti ai,j dell’equazione (4.1.1) è determinato eseguendo il fitting delle espansioni di flusso di Taylor rispetto alle misure magnetiche disponibili al JET con l’equazione da vuoto ∆∗ Ψ = 0. Come descritto in dettaglio nella sezione 2.2.1, 50 CAP. 4 METODI E MODELLI il numero totale delle misure utilizzate sono 56. Dalla relazione seguente si ricava il numero di coefficienti ai,j per ogni regione da stimare: N= (ordine + 1) · (ordine + 2) = 28 2 dove ordine indica il grado della serie di Taylor troncata. Occorrono, dunque, un totale di (28 · 5) = 140 coefficienti e rispetto alle 56 misure disponibili è chiaro che il sistema non ha soluzione unica. Vengono introdotti ulteriori vincoli che riducono il numero dei coefficienti e sfruttano la conoscenza a priori che si ha riguardo il comportamento della funzione di flusso. Si possono utilizzare, nella pratica, due approcci: (a) considerare le equazioni di equilibrio del plasma per cercare le relazioni tra i coefficienti di una singola espansione di flusso; (b) imporre vincoli al contorno sulle funzioni flusso di due regioni adiacenti, in modo tale che i valori generati siano forzati ad essere gli stessi sui punti di contatto. L’obiettivo è ovviamente quello di aumentare l’accuratezza dell’approssimazione senza aumentare la complessità dell’algoritmo così tanto da non essere più utilizzabile in real-time. La soluzione dell’equazione di Grad-Shafranov è di solito computazionalmente impegnativa, ma se il modello viene ridotto in funzione della regione di vuoto intorno al plasma, essa è significativamente ridotta. All’esterno del plasma, infatti, le due funzioni p e f sono uguali a zero e la (3.1.17) si riduce all’equazione di Poisson per coordinate cilindriche: ∇2 Ψ = 0 ) 1 ∂Ψ ∂ 2Ψ =0 + r ∂r ∂z 2 ∂ 2Ψ ∂ 2Ψ ⇒ 4(ρ + r02 ) 2 + =0 ∂ρ ∂z 2 ∂Ψ ⇒ r ∂r ( (4.1.2) 51 CAP. 4 METODI E MODELLI Applicare tale equazione all’equazione (4.1.1) porta ad un insieme di 20 relazioni lineari tra i coefficienti ai,j , riducendo le variabili indipendenti da 140 a 100 (20 · 5). Nridotto = ordine · (ordine + 1) − 1 = 20 2 in questo modo si ottiene un sistema di 20 equazioni in 28 incognite, il che comporta un Kernel Space di dimensione pari a (28 − 20) = 8. Ogni espressione di flusso può quindi essere scritta come: Ψ(ρ, z, t) = 20 ∑ ci (t)Gi (ρ, z) (4.1.3) i=1 dove: • la variabile tempo t è stata esplicitata per distinguere meglio le componenti costanti e precalcolabili da quelle tempo-varianti che necessitano il calcolo per ogni iterazione dell’algoritmo; • ci (t) sono le variabili incognite; • i parametri Gi (ρ, z) sono combinazioni, dipendenti dalla sola variabile di spazio, delle potenze delle coordinate dove viene determinato il flusso. A questo punto, intervengono le misure magnetiche a disposizione: esse vengono espresse come combinazione lineare dei coefficienti ci (t) e dei termini costanti nel tempo Gi (ρ, z) relazionati alla geometria del problema: m(t) = 20 ∑ ci (t)Gi (ρ, z) = gT c(t) (4.1.4) i=1 Questo sistema può essere risolto solo se il numero di equazioni è maggiore o uguale al numero dei coefficienti ci (t). Se il numero delle misure utilizzate è più alto del 52 CAP. 4 METODI E MODELLI numero delle incognite, si può utilizzare il metodo dei minimi quadrati per la minimizzazione della differenza tra flusso calcolato e flusso misurato. In forma matriciale ciò è esprimibile come: { } arg min kG(ρ, z)c − m(t)k2 c∈RNridotto ( 20 )2 m 1 ∑ ∑ gi,j cj − mi (t) = min 2 j=1 i=1 c(t) = (4.1.5) (4.1.6) Si arriva alla soluzione del sistema con l’utilizzo della matrice pseudo-inversa G+ : cT = (( )−1 T ) GT G G ·m = G+ · m (4.1.7) (4.1.8) dove la G+ può essere pre-calcolata ∀(ρ, z). La suddivisione del piano poloidale in regioni (figura 4.1) comporta qualche discrepanza nella fase di matching delle espansioni polinomiali adiacenti. Per limitare tale effetto, XLOC necessita di vincoli di continuità in grado di fornire una morbida transizione tra le regioni stesse. Minimizzare queste discontinuità ai bordi, tra le espansioni locali, comporta l’introduzione di un ulteriore insieme di vincoli. Infatti, alle espansioni polinomiali di due regioni adiacenti viene imposto di avere lo stesso valore in uno o più punti, riducendo ulteriormente il numero di gradi di libertà del problema. Questi punti sono chiamati hard tie points; ve ne sono altri con uno scopo simile ai precedenti che vengono chiamati soft tie points per una migliore minimizzazione del salto tra le cinque regioni (guardare figura 4.1 per la posizione di questi punti). Il vantaggio nel loro utilizzo consiste anche in un significativo miglioramento dell’efficienza computazionale. La modalità con la quale vengono considerati matematicamente tali vincoli è presentata in dettaglio nell’appendice di XLOC. Altra difficoltà nasce dall’estrapolazione del flusso nelle regioni 0 e 3, dove è possibile la presenza di un campo magnetico 53 CAP. 4 METODI E MODELLI nullo. In questa situazione, infatti, la linea di flusso si chiude su se stessa con un angolo di 90◦ , aumentandone la difficoltà di stima. In aggiunta, poichè l’X-Point è un punto di inflessione della funzione flusso, il suo gradiente è prossimo allo zero e piccoli errori sulla sua stima potrebbero comportare grandi errori nella determinazione delle coordinate dell’X-Point, rovinando così molte identificazioni della frontiera. Un altro limite di XLOC consiste nell’incapacità di rappresentare le superfici di flusso all’interno del volume contenente il plasma, perchè l’effetto di discrepanza polinomiale è maggiormente evidente nelle zone più lontane dai sensori: l’interpolazione utilizzata crea un valore fittizio lungo le connessioni delle varie regioni (fenomeno visibile in figura 5.7 nel capitolo relativo ai risultati ottenuti). Dal punto di vista del codice implementato, XLOC è diviso in due parti: I) la sezione off-line: esegue tutti i calcoli che dipendono solo dalla configurazione geometrica della macchina (posizione delle sonde magnetiche, del vessel, ecc..); II) la parte on-line: fa uso delle misure magnetiche per la ricerca del boundary e dell’X-Point. Nel dettaglio, XLOC Off-line calcola: a) la matrice inversa per la risoluzione dei minimi quadrati; b) la matrice contenente i coefficienti gi per tutti i punti del vessel; c) i coefficienti gi per tutti i punti dove si vuole calcolare il flusso tramite la determinazione dei gaps tra vessel e boundary. XLOC On-line utilizza tutti i risultati della parte off-line e le misure magnetiche come input. Segue questa procedura: 54 CAP. 4 METODI E MODELLI • calcola i coefficienti del vettore c moltiplicando la matrice di pseudo-inversa per l’array delle misure (vedere (4.1.7)); • calcola il flusso sul vessel e trova il suo valore minimo; • cerca la posizione dell’X-Point dalla soluzione di metodo di Newton-Raphson; ∂Ψ ∂r = 0 e ∂Ψ ∂z = 0 tramite il 1 • calcola i gaps geometrici tra vessel e boundary come descritto nella sezione 2.1. 1 Metodo che ad ogni iterazione approssima linearmente la funzione per ottenere una migliore stima del punto di zero. Questi sono i passaggi [16]: 1) calcola la derivata in un punto dell’intervallo di ricerca dove si presume che l’X-Point si trovi, il che permette di ottenere la retta tangente alla funzione in quel punto; 2) calcola il punto in cui la tangente passa per lo zero: se tale punto esce dall’intervallo di ricerca l’algoritmo non continua; 3) calcola di nuovo la derivata in quel punto e ripete dal punto 2 fino a convergenza avvenuta o al più per 3 iterazioni. Ciò evita che l’algoritmo continui la ricerca in una regione in cui non è presente l’X-Point o che trovi un punto troppo distante. 55 CAP. 4 METODI E MODELLI 4.2 Modello Filamentare Il modello filamentare è, come XLOC, un codice vacuum field per il real-time ma con l’implementazione di una diversa modellizzazione del flusso magnetico. È uno dei metodi utilizzati tipicamente nell’identificazione del plasma boundary per un tokamak. Esso consiste essenzialmente nel rappresentare con un insieme finito di filamenti la corrente di plasma. Il metodo è stato per la prima volta proposto nel 1979 (TOSCA Tokamak [17]) e successivamente utilizzato in molti lavori (ISX-B [18], Doublet III [19]). Alla luce dei limiti evidenziati per XLOC nella sezione 4.1, l’idea guida dell’approccio filamentare è quella di migliorare la ricostruzione del flusso con l’utilizzo di informazioni più dettagliate sullo stato del sistema, ovvero il plasma, le strutture attive e i circuiti poloidali. Tutti questi elementi, infatti, contribuiscono alla configurazione magnetica finale con un proprio effetto di flusso. Una volta che sono stati calcolati analiticamente tali contributi, vengono utilizzati i sensori magnetici per procedere alla migliore regolarizzazione e ottenere la mappa completa nel vessel. Assumendo che la configurazione geometrica del boundary possa essere ottenuta dalle misure magnetiche ricavate al di fuori del plasma e sebbene il plasma reale possa presentare distribuzioni di corrente interna differenti, questo modello alternativo fornisce un campo magnetico all’esterno del boundary praticamente indistinguibile da quello originale. Una precisa modellizzazione dei sensori, infatti, permette di conoscere in maniera corretta le sorgenti esterne di campo magnetico. La ricostruzione viene decisamente facilitata e migliorata se la porzione di misure magnetiche, dovute alle correnti di plasma, potesse essere ottenuta direttamente dalla sottrazione della componente dovuta al campo poloidale delle bobine. Tale approccio, 56 CAP. 4 METODI E MODELLI però, non è del tutto applicabile al JET a causa dell’importante effetto della struttura attiva: occorre un modello in grado di rappresentare anche tale contributo esterno per non introdurre un errore di stima. Il problema in questione, dunque, è quello di riuscire a separare il contributo del campo magnetico dovuto al plasma da quello prodotto da qualsiasi altra sorgente. Il modello deve tener conto anche di eventuali sorgenti interne di corrente differenti dal plasma, quali le bobine di divertore, e del fatto che l’analisi è eseguita a partire da un numero finito di misure magnetiche di campo esterno. Questo input è dato da un numero limitato di sensori posizionati lungo una linea chiusa nella sezione poloidale dell’anello che circonda il plasma (le loro posizioni sono evidenziate nella figura 4.5). Riassumendo: (a) la geometria delle componenti della macchina e le correnti che scorrono nei circuiti poloidali costituiscono un input del sistema; (b) le strutture attive sono introdotte mediante un modello semplificato che ne stima gli effetti con l’ipotesi che la colonna centrale del tokamak sia completamente saturata mentre le limbs non lo siano (vedere fig. 1.10). Il ferro, infatti, ha un comportamento altamente non lineare e, a causa del passaggio di corrente anche lungo le varie strutture passive della macchina, si generano correnti indotte che a loro volta implicano valori di flusso non trascurabili. Tali correnti possono influenzare notevolmente le misure durante le fasi transitorie, e causare, se non tenute in considerazione, una non corretta soluzione del Problema 2.1; (c) il plasma è modellizzato con un opportuno numero di filamenti posizionati internamente al vessel in un’area che tipicamente è interessata dal plasma. La quantità di corrente che scorre in ciascun filamento è determinata dal già menzionato me- 57 CAP. 4 METODI E MODELLI todo dei momenti di corrente e verrá discusso in dettaglio nella sezione 4.2.2. La posizione dei filamenti all’interno del vessel è considerata una variabile fissa del modello. Il Paragrafo 4.2.1 fornisce una formulazione rigorosa del Problema 2.1. Da tale formulazione si evidenzia che il problema in esame è un problema mal posto, e la sua soluzione deve passare per una procedura di regolarizzazione. Nel Paragrafo 4.2.2 si illustra la procedura di regolarizzazione scelta per il modello filamentare in esame. Nel Paragrafo 4.2.3 è descritto nel dettaglio lo schema a blocchi che implementa il modello completo. 4.2.1 Formulazione Matematica del problema In base al teorema di equivalenza del campo elettromagnetico ([20]) non è possibile ricavare la distribuzione di corrente interna ad una data regione utilizzando soltanto misure magnetiche esterne. Ai fini della soluzione del Problema 2.1, non è tanto importante stimare la distribuzione di corrente nella regione delle bobine magnetiche, piuttosto il loro effetto nella regione di vuoto (Ωv ) presente tra il plasma e la struttura della macchina. Sempre per il teorema di equivalenza è allora sufficiente stimare questo effetto su una curva chiusa che circonda un’area Ωv . Se con m = [m1 m2 ... mm ] si indica il vettore delle misure e si considerano le assunzioni relative all’equilibrio magnetoidrodinamico di sezione 3.1, il problema dell’identificazione della frontiera del plasma ha allora la seguente formulazione: Problema 4.1. Determinare la funzione Ψ che risolve l’equazione ellittica omogenea di equilibrio ∆∗ Ψ = 0 58 CAP. 4 METODI E MODELLI e che soddisfa le condizioni Ψ(pk ) = mk k = 1, .., m dove pk indica la posizione della k-esima bobina. ♣ Il sistema di equazioni così posto ammette infinite soluzioni. La scelta di una di esse richiede la specifica di condizioni al contorno. In altri termini il problema posto si presenta come un tipico problema inverso mal posto, e la selezione di una soluzione richiede un’opportuna procedura di regolarizzazione. Dato il vettore di misure m, si considera valida la proprietà di sovrapposizione degli effetti nei punti di misura: il flusso poloidale è scomponibile come la somma dei contributi di corrente di plasma, di ferro e delle bobine. ∑ Ψ = 1 ∑ (ΨP LASM A + ΨF ERRO + ΨCOILS ) Ψ2 = (ΨP LASM A + ΨF ERRO + ΨCOILS ) ··· ∑ Ψm = (ΨP LASM A + ΨF ERRO + ΨCOILS ) (4.2.1) Figura 4.2: Schematizzazione dei passaggi necessari per ottenere una mappa del flusso poloidale dalle misure in ingresso. Come schematizzato in figura 4.2, il passaggio dalla distribuzione di corrente alla conoscenza del flusso poloidale è ottenuto tramite il metodo delle funzioni di Green [21]. Esse esprimono la dipendenza del flusso poloidale dalla corrente toroidale nel caso di un problema ellittico. Più in generale, per ottenere il campo prodotto da una sorgente distribuita (una carica, un generatore di calore o qualsiasi altra sorgente 59 CAP. 4 METODI E MODELLI di campo), si calcolano gli effetti di ciascuna porzione elementare della sorgente e si sommano tutti insieme. Se G(r, r0 ) è il campo al punto r dell’osservatore prodotto da una sorgente puntiforme di corrente posizionata in r0 , allora il campo in r prodotto da una distribuzione di corrente ρ(r0 ) è l’integrale di Gρ su tutto l’intervallo di r0 occupato dalla sorgente. La funzione G è chiamata funzione di Green (vedere (4.2.2)). Si può risolvere l’equazione disomogenea, per un campo prodotto da una distribuzione di sorgente, tramite il prodotto della densità di sorgente con una funzione di Green integrata su tutto lo spazio. Equivalentemente, tale integrazione può risolvere un’equazione omogenea aventi valori specifici su una data superficie. Ciò significa che le condizioni al contorno su una superficie possono essere pensate come equivalenti ad una distribuzione di sorgente sulla superficie stessa. Il dualismo tra sorgenti e condizioni al contorno è riassunto nel seguente modo: 1. l’equazione per un campo in presenza di sorgenti è un’equazione differenziale alle derivate parziali (PDE) disomogenea, ossia il termine che non contiene Ψ, contiene la densità della sorgente (esempio è l’eq. di Poisson: ∇2 Ψ = −4πρ); 2. l’equazione per un campo che non presenta sorgenti è una PDE omogenea (esempio è l’equazione di Laplace: ∇2 Ψ = 0) Si può concludere che la soluzione di un’equazione disomogenea, con condizioni al contorno omogenee, aiuta a risolvere un’equazione omogenea con condizioni al contorno disomogenee. La funzione di Green è perciò una soluzione di un problema omogeneo ovunque, eccetto in un punto. Quando il punto è sul boundary, tale funzione può essere utilizzata per soddisfare condizioni al contorno disomogenee (caso relativo al Problema 4.1); quando si trova nello spazio può essere utilizzata per soddisfare l’equazione disomogenea corrispondente. In questa trattazione la funzione G0 utilizzata 60 CAP. 4 METODI E MODELLI rappresenta il flusso poloidale (eccetto nel punto p di coordinate (r,z)) prodotto da una distribuzione filamentare di corrente posizionata lungo la sezione toroidale nel punto p0 = (r0 , z0 ). Essa risolve l’equazione omogenea del nostro problema in tutto il piano poloidale; è soggetta ai vincoli di G0 (p, p0 ) → 0 quando |p| → ∞ e quando r → 0. Ha la seguente espressione analitica: ( ) µ0 √ k2 2 2 G0 (p, p0 ) = rr0 E(k ) − (1 − )K(k ) πk 2 (4.2.2) dove: 1. k 2 = 4rr0 (r + r0 + (z − z0 )2 )2 2. E(k) e K(k) sono gli integrali ellittici completi del primo e del secondo tipo [22]. In virtù del Problema 4.1, della decomposizione operata in (4.2.1) e del fatto che il ferro aggiunge un importante contributo di campo/flusso alla distribuzione di corrente sia del plasma che delle coils, si può scrivere: MΨ (p) = Ψplasma (p, ferro, IPF ) + Ψiron (p, plasma, IPF ) + n ∑ G0 (p, pPFn ) · IPFn i=1 (4.2.3) dove MΨ (p) è la misura di flusso nella posizione poloidale p = (r, z) e IPFn è la n-esima corrente filamentare utilizzata per approssimare l’effetto del campo delle bobine. Per il fatto che vale la seguente relazione: ∑ ] sorgenti Ψ(p, t) = G0 (p, pi ) · Ii (t) (4.2.4) i=1 espressa nel significato fisico delle funzioni di Green, l’equazione (4.2.3) può essere riscritta nella seguente forma matriciale generalizzata: m=A·x (4.2.5) con 61 CAP. 4 METODI E MODELLI 1. m ∈ RM isure×1 , con Misure pari al numero delle misure magnetiche più il numero delle correnti nei PF; 2. x ∈ RNf ilamenti ×1 esprime il vettore incognito dei profili di corrente che attraversano ciascun filamento di plasma, ferro e coils; 3. A ∈ RM isure×Nf ilamenti . Facendo riferimento allo schema 4.2 è ora chiaro il fatto che il blocco relativo al modello deve risolvere necessariamente anche un problema di inversione di matrice. Infatti, essendo incognite le componenti del vettore x, occorre procedere all’operazione: x = A−1 · m (4.2.6) Un problema inverso si presenta ogni qual volta si ha l’interesse a determinare la struttura interna di un sistema fisico dalle misure del comportamento del sistema stesso; ovvero quando si vuole ricostruire un segnale in ingresso sconosciuto (input-x) che produce in uscita un segnale (output-m) che può essere misurato, nota la struttura del sistema. Ciò è l’opposto dei problemi diretti, dove l’interesse è il comportamento del sistema (output) dato l’ingresso (input) o la struttura interna. A causa di errori di misura intrinseci, però, il valore misurato di m è necessariamente differente da A · x. La principale difficoltà nella risoluzione di un problema mal-posto è dovuta proprio a questi errori. Infatti, a causa dell’enorme numero di condizionamento 2 della matrice essi tendono ad essere amplificati dal kernel al momento dell’inversione. L’effetto disastroso risultante è una soluzione instabile e quindi inaccettabile: è perciò 2 Il grado di condizionamento di una matrice è una misura quantitativa di come la soluzione di un problema venga influenzata da una perturbazione nei dati o, equivalentemente, di quanto un errore sui dati possa essere propagato nei risultati. In altre parole, il rumore dei dati viene amplificato al più di un fattore cond(A). 62 CAP. 4 METODI E MODELLI necessario includere qualche tipo di regolarizzazione, indispensabile per stabilizzare la soluzione del problema. Come accade spesso per i problemi inversi, il problema dell’identificazione della frontiera di plasma si presenta come un tipico problema mal posto. Risolvere un’equazione differenziale ellittica, infatti, può comportare diverse situazioni a seconda della natura delle condizioni al contorno che vengono assegnate. Una causa di mal condizionamento, ad esempio, è data dal fatto che i sensori utilizzati non sono disposti con continuità lungo la curva chiusa Γm , ma occupano un numero finito di punti; le condizioni al contorno sono quindi disponibili solo su un insieme discreto. Molti sono i metodi di regolarizzazione presenti in letteratura per risolvere il Problema 4.1 e, in generale, si distinguono a seconda se sono diretti, ossia basati sulle decomposizioni di matrici (QR, T-SVD,...), iterativi (metodi del gradiente) o se richiedono la risoluzione di un problema di ottimizzazione (non-)lineare (algoritmo di Tikhonov, ecc..). In questo lavoro, è stata utilizzata in maniera combinata la tecnica TSVD, il metodo di Lagrange e il metodo dei momenti di corrente. SVD. La Singular Value Decomposition permette di identificare i valori singolari σi di una matrice e di determinarne il grado di condizionamento mediante il rapporto tra il più grande e il più piccolo dei valori singolari. Infatti si può dimostrare dalla definizione di norma Euclidea indotta di una matrice che, detti λi gli autovalori di una matrice invertibile AT A, si ha: σi (A) = √ λi (AT A) cond(A) = σM AX σmin Generalmente, i problemi a rango non pieno sono caratterizzati da una matrice A avente un sottoinsieme di piccoli valori singolari e un ben determinato gap tra i valori 63 CAP. 4 METODI E MODELLI singolari più grandi e quelli più piccoli. Questo implica che uno o più righe e colonne di A sono “quasi” una combinazione lineare di altre o di tutte le rimanenti righe e colonne. Perciò, la matrice A contiene informazioni ridondanti e la chiave per trattare numericamente questi problemi è estrarre le informazioni linearmente indipendenti o il rango numerico in A e riformulare il problema con una matrice ben-condizionata. Dal punto di vista analitico [23], l’idea base è scomporre la matrice A ∈ Rmxn quadrata o rettangolare con m > n in: A = U ΣV T n ∑ = ui σi viT i=1 dove U = [u1 u2 ... un ] ∈ Rmxn , V = [v1 v2 ... vn ] ∈ Rnxn sono matrici ortonormali tali che U T U = V T V = In , Σ = diag(σ1 , ..., σn ), dove gli elementi σi decrescono secondo l’ordine σ1 > σ2 > ... > σn > 0. I numeri non negativi σi sono chiamati valori singolari di A, mentre i vettori ui e vi sono i vettori singolari sinistri e destri di A, rispettivamente. La SVD è definita per qualunque valore di m e n (se m < n, semplicemente la SVD si applica alla matrice AT e si scambiano tra loro U e V ). Dal punto di vista geometrico, la SVD di A fornisce due basi di vettori ortogonali. Le colonne di U e V, sono tali che la matrice diventa diagonale quando trasformata rispetto a queste basi. Per la formulazione secondo la quale le incognite x̂ del modello sono scelte tali che A · x̂ abbia distanza minima possibile dal vettore m, si ha: x̂ = arg minkm − Axk2 x Se A ha rango colonna pieno, utilizzando la SVD, si può ottenere la soluzione del problema in forma di pseudo-inversa di Moore-Penrose [24]: 64 CAP. 4 METODI E MODELLI x̂ = (AT A)−1 AT · m 1 σ1 −1 = V Σ U · m, = T n ∑ (uT m) i i=1 σi Σ −1 0 = 0 0 0 1 σ2 0 0 0 0 .. . 0 0 0 0 1 σn vi Poiché il termine noto è affetto da rumore, si dimostra che i valori singolari più piccoli, considerati nell’equazione di x̂, forniscono un contributo alla sua ricostruzione minore del contributo in fatto di rumore che apportano, ragion per cui è opportuno scartarli. In altre parole, la soluzione proposta è, in genere, numericamente instabile e per limitarne l’instabilità si decide di mettere a zero il contributo di questi valori singolari più piccoli, in un certo senso limitare i gradi di libertà della soluzione. Questa considerazione è alla base della tecnica TSVD (svd Troncata). In pratica, si prende la matrice Σ e si scompone in due parti, ossia si divide lo spazio della soluzioni in un sottospazio corrispondente al segnale ed uno corrispondente al rumore: [ ] Σ1 0 Σ= 0 Σ2 Ora viene scelto un valore di soglia che permette di considerare solo alcuni dei valori singolari più grandi e trovare le corrispondenti soluzioni approssimate ma stabili: [ −1 ] Σ1 0 −1 −1 T Σtr = x̂tr = V Σtr U · m, 0 0 = K ∑ (uT m) i i=1 σi vi Per la scelta del punto di troncamento si fa generalmente riferimento all’accuratezza con la quale le misure sono state prese e allo studio dell’andamento della curva semilogaritmica dei valori singolari del sistema in esame. 65 CAP. 4 METODI E MODELLI Metodo di Lagrange. Nei problemi di ottimizzazione non lineare, quello dei moltiplicatori di Lagrange è un metodo per trovare i massimi e i minimi di una funzione di più variabili soggetta a uno o più vincoli di uguaglianza. Questo procedimento riduce la ricerca dei punti stazionari di una funzione vincolata in n variabili con m vincoli a trovare i punti stazionari di una funzione non vincolata in (n + m) variabili. Esso introduce una nuova variabile scalare incognita, il moltiplicatore di Lagrange appunto, per ogni vincolo e definisce una nuova funzione (la Lagrangiana) in termini della funzione originaria, dei vincoli e dei moltiplicatori di Lagrange. In assenza di vincoli, si ha f (x) : Rn → R; se f ∈ C 1 (Rn ) , l’operatore gradiente di f è il seguente vettore: [ ∂f ∂f ∂f ∇f (x) := , ,..., ∂x1 ∂x2 ∂xn ]T Si chiamano punti di stazionarietà locale i punti x ∈ Rn che sono soluzioni del seguente sistema non lineare: ∇f (x) = 0 (4.2.7) Questa condizione necessaria di minimo è anche sufficiente se f è funzione convessa. In presenza di vincoli, si ha il problema seguente: min {f (x) | hi (x) = 0, i = 1, 2, · · · , m} (4.2.8) Definita la funzione Lagrangiana del problema (4.2.8) la seguente espressione: L(x, λ) := f (x) − m ∑ λi · hi (x) (4.2.9) i=1 i λi ∈ Rm sono i moltiplicatori di Lagrange. Teorema di Lagrange. Condizione necessaria perchè un punto x∗ sia minimo di f(x) e rispetti i vincoli hi (x) = 0 i = 1, 2, · · · , m è: 66 CAP. 4 METODI E MODELLI ∂L(x∗ , λ∗ ) = 0 ∂x ∂L(x∗ , λ∗ ) = 0 ∂λ per qualche λ∗ . Se la Lagrangiana è convessa, la condizione è anche suffciente. La prima condizione produce un nuovo sistema di equazioni, la seconda restituisce i vincoli di ugualianza. Risolvendo congiuntamente i due sistemi si arriva alla soluzione. Per la dimostrazione e i dettagli di quanto esposto si rimanda alla bibliografia [25]. La teoria qui esposta trova applicazione al problema 4.1 se il procedimento di regolarizzazione necessario viene riformulato come un problema di minimizzazione vincolata. Il metodo di Lagrange, infatti, è stato utilizzzato in questo lavoro per determinare le correnti filamentari a partire da un’informazione nota in ingresso, minimizzando un certo funzionale di costo scelto tra: energia, campo magnetico, norma, derivata e rapporto incrementale (per i dettagli vedere [26]). 4.2.2 Metodo dei momenti di corrente Si utilizza questo metodo per vincolare i profili di corrente all’equazione del vuoto di Grad-Shafranov. Data una certa condizione di equilibrio, è stato dimostrato che fornisce una buona descrizione del campo e del flusso all’esterno del plasma [27]. I momenti di corrente sono inoltre ampiamente utilizzati per ottenere i parametri di controllo del plasma (corrente totale, posizione del centroide di corrente, ecc..) in quanto sono facilmente calcolabili a partire da segnali di tipo magnetico. Si analizza ora la classe di integrali che esprimono analiticamente i momenti di densità di corrente toroidale JT in Ω come integrali delle combinazioni lineari del campo 67 CAP. 4 METODI E MODELLI magnetico poloidale su ∂Ω. Sia χ una funzione arbitraria che soddisfa l’equazione omogenea di equilibrio in Ω e sia Ψ la funzione di flusso poloidale che soddisfa l’equazione ∆∗ Ψ = −µrJT . Si utilizza la seconda identità di Green per l’operatore ∆∗ : ( ) ∫ I ∂χ 1 1 ∂Ψ ∗ ∗ Ψ ds (Ψ∆ χ − χ∆ Ψ) dS = −χ ∂n ∂n Ω rµ0 r ∂Ω rµ0 r (4.2.10) e la si applica alla coppia (χ, Ψ) per ottenere la relazione fondamentale necessaria al calcolo dei momenti: I ∫ χJT dS = Ω ∂Ω 1 rµ0 r ( ∂χ ∂Ψ Ψ −χ ∂n ∂n ) ds (4.2.11) Il momento di densità di corrente viene, dunque, espresso in termini dei valori di flusso sul boundary ∂Ω. Si noti che da ∆∗ Ψ = 0 segue Ψ e della sua derivata normale ∂Ψ ∂n ( ) H che µ10 r ∂χ ds = 0, dunque nella relazione (4.2.11) non c’è dipendenza dalla scelta ∂n della costante arbitraria additiva al flusso Ψ. Ciò si può esprimere con l’introduzione di una funzione coniugata ξ secondo la seguente equazione: ( ) ξ 1 ∇ = ∇χ × ∇φ µ0 r µ0 r (4.2.12) la quale certamente ammette una soluzione vincolata a ∆∗ ξ = 0. Questa definizione implica l’identità: 1 ∂χ ∂ (µ0 r−1 ξ) =− µ0 r ∂n ∂s dove ∂ ∂s è la derivata lungo ∂Ω nella direzione positiva (senso orario sulla frontiera). L’integrazione per parti dell’equazione (4.2.11) elimina il termine Ψ in favore o di o rispetto alla circuitazione del campo magnetico: ( ) ∫ H 1 ∂Ψ ∂Ψ Qn ≡ Ω χJT dS = ∂Ω −χ ξ ds µ0 r ∂s ∂n H 1 (ξBn + χBs ) ds = ∂Ω µ0 ∂Ψ ∂s (4.2.13) 68 CAP. 4 METODI E MODELLI dove: 1. Qn indica il momento di ordine n della distribuzione di corrente JT per la colonna di plasma; 2. Bn e Bs costituiscono le misure magnetiche; 3. χ e ξ sono opportune funzioni geometriche. Questo metodo permette, dunque, di misurare la distribuzione delle correnti indipendentemente dalla distribuzione delle sorgenti esterne, le quali contribuiranno comunque alla ricostruzione della mappa di flusso finale. Resta ancora da mostrare come vengono calcolati analiticamente gli integrali proposti avendo a disposizione solo un insieme discreto di misure. In coordinate cilindriche la relazione tra χ e ξ si esprime come: ( ) ∂ ξ 1 ∂χ = − ∂r ( r ) r ∂z ∂ ξ ∂χ 1 = ∂z r r ∂r (4.2.14) Per la coppia di equazioni: ∆∗ χ = 0 =⇒ ξ ∆ =0 r ci sono coppie indipendenti di soluzioni coniugate (χ, ξ), ne presentiamo solo alcune: 1. χ = 1, ξ = 0 2. χ = z, ξ = −rlogr 3. χ = 0, ξ = r 4. χ = r2 , ξ = 2rz 69 CAP. 4 METODI E MODELLI Da queste coppie di valori e da altre relazioni più complesse si ottengono i momenti di corrente di vario ordine; nella tabella 4.1 se ne elencano i principali in ordine di importanza e di misurabilità. Ordine n Espressione Analitica 0 Q1 = 2 Q2 = 3 Q3 = 4 6 j · dS = IP Corrente di Plasma zj · dS = ZP · IP Momento Verticale Ω r2 j · dS = RP2 · IP Momento Radiale Ω r2 zj · dS = eS · IP Ellitticità obliqua Q0 = 1 5 ∫ Q4 = Q5 = Q6 = ∫ ( Ω ∫ ( Ω Significato Fisico Ω ∫ Ω ∫ ∫ ) r2 z 2 − 14 r4 j · dS = eZ · IP Ellitticità Verticale ) r2 z 3 − 34 r4 z j · dS = δU P · IP Triangolarità Superiore ) r2 z 4 − 32 r4 z 2 + 18 r6 j · dS = δLOW · IP Triangolarità Inferiore ∫ ( Ω Tabella 4.1: Lista dei momenti di corrente più utilizzati. Eccetto i primi due momenti, i cui valori di χ e ξ sono ai punti 1 e 2, una formulazione generale in forma polinomiale da cui ricavare i momenti di qualsiasi ordine è riassunta nella seguente espressione tratta da [28]: ( z )n−2k−2 ∑f loor(n/2)−1 (n − 1)! (−4)−k χn = rn · k=0 2 · k!(k + 1)!(n − 2k − 2)! r ( z )n−2k−1 ∑ (n − 1)! ceil(n/2)−1 (−4)−k ξn = rn · k=0 (k!)2 (n − 2k − 1)! r n≥2 n≥2 (4.2.15) Nella figura seguente si evidenzia l’effetto che un determinato ordine di momento ha sulla mappa di flusso. A parte l’ordine 0 che identifica la corrente di plasma, questi grafici aiutano a capire il significato fisico scritto nella tabella 4.1. 70 CAP. 4 METODI E MODELLI 2 2 2 1.5 1.5 1.5 1 1 1 0.5 0.5 0.5 0 0 0 -0.5 -0.5 -0.5 -1 -1 -1 -1.5 -1.5 -1.5 -2 1.5 -2 2 2.5 3 3.5 4 1.5 -2 2 2.5 3 3.5 4 1.5 2 2 2 1.5 1.5 1.5 1 1 1 0.5 0.5 0.5 0 0 0 -0.5 -0.5 -0.5 -1 -1 -1 -1.5 -1.5 -1.5 -2 1.5 -2 2 2.5 3 3.5 4 1.5 2 2.5 3 3.5 4 2 2.5 3 3.5 4 -2 2 2.5 3 3.5 4 1.5 Figura 4.3: Polinomi χ dei momenti di corrente dall’ordine 1 (in alto a sx) all’ordine 6 (in basso a dx). Il plasma è schematizzato come un’ellisse. 4.2.3 Schema a Blocchi Se consideriamo il blocco di figura 4.2 come un subsystem di Simulink, lo schema di figura 4.4 può essere interpretato come il suo contenuto interno. Esso esprime in forma matriciale i passaggi necessari per ottenere i profili di corrente, date le misure magnetiche come input. In questa sezione si osservano nel dettaglio tutti i componenti che costituiscono il codice implementato in ambiente Matlab. INPUT. Gli ingressi sono composti da un certo insieme di misure di flusso derivanti dai sensori disposti come mostrato in figura 4.5. Queste misure dipendono da quali sensori sono attivi e funzionanti, dal numero di impulso scelto (relativo all’anno di campagna in esame) e dall’intervallo temporale desiderato (in generale, la scarica viene registrata dai 40 agli 80 secondi). I segnali vengono caricati dal database del JET come segnali JPF (Jet Pulse File) tramite una libreria come l’mdsplus 3 . Oltre 3 Software per l’acquisizione e il salvataggio di dati scientifici derivanti da esperimenti o codici di simulazione [29]. 71 Figura 4.4: Schema a blocchi che implementa il modello di plasma, di ferro e delle coils poloidali. CAP. 4 METODI E MODELLI 72 CAP. 4 METODI E MODELLI al vettore di misure, l’input è costituito dalle 10 correnti che scorrono nei circuiti del campo poloidale. La modalità con la quale vengono raggruppati in circuiti le varie bobine PF è stata già discussa nella sezione 2.1. Le dimensioni dei vettori in esame è così riassunta: • 52 misure magnetiche + 4 correnti di divertore ⇒ m ∈ R56×1 ; • 10 correnti dei circuiti PF ⇒ IP F ∈ R10×1 Real to Virtual Measurement. È stata messa in evidenza la necessità di individuare una circuitazione attorno alla sorgente di corrente che vogliamo individuare. Questa circuitazione non è sufficientemente determinata se consideriamo le sole misure magnetiche a disposizione. Nel passaggio dal continuo al discreto, infatti, la circuitazione dovrebbe essere espressa come la sommatoria di un infinito numero di punti. Dato il numero ridotto di misure magnetiche distribuite attorno al vessel (52 in totale), è indispensabile simularne un numero finito e idoneo per avere un percorso chiuso il più fitto possibile (vedere figura 4.5). Ciò è reso possibile, al momento, utilizzando il codice XLOC. Dalle misure reali si simulano, dunque, un elevato numero di misure lungo la circuitazione con sufficiente accuratezza. Queste misure, data la loro natura, sono state definite misure virtuali. La dimensione di questa matrice è: R2160×56 . Il valore di 2160 (720 · 3) è dato dal fatto che i punti virtuali simulati sono 720 ma sono espressi rispetto alle componenti di campo Br , Bz e ∆Ψ. La differenza di flusso è data dal valore nel punto successivo meno quello nel punto precedente, ossia ∆Ψi = Ψi+1 − Ψi . Circuit to Virtual. Questo elemento del modello permette di ricavare l’effetto sulle misure virtuali delle correnti dei circuiti poloidali. Il blocco è costituito da due matrici in cascata. La prima, la CircuitToFilaments, permette di passare dalla rap- 73 CAP. 4 METODI E MODELLI Sensori Reali Sensori Virtuali 2 1.5 1 0.5 Z 0 −0.5 −1 −1.5 −2 0.5 1 1.5 2 2.5 3 R 3.5 4 4.5 5 5.5 Figura 4.5: Posizione dei sensori magnetici reali e dei punti virtuali simulati da XLOC. presentazione circuitale dei PF alla rappresentazione più dettagliata a filamenti. Data la lista dei circuiti e delle bobine, si individua, prima di tutto, da quali bobine è cosituito ciascun circuito (in relazione alla tabella 2.1) e se ne esegue, poi, la modellizzazione filamentare. Ciò significa che si approssima il loro comportamento elettromagnetico con un opportuno numero di filamenti percorsi da corrente. Per chiarezza, si riporta l’esempio della bobina P1EU. Figura 4.6: Schema a blocchi delle due matrici che determinano il passaggio dalle correnti dei circuiti del campo poloidale ai punti virtuali. Essa appartiene al circuito PRIMARY-P1 con la polarizzazione determinata dalla disposizione del generatore di corrente relativo (vedere figura 2.2(a)) ed è formata da due parti uguali le cui caratteristiche geometriche nella realtà sono: larghezza di 0.337 74 CAP. 4 METODI E MODELLI m, altezza di 0.505 m e numero di spire pari a 71. La modellizzazione scelta consiste nel discretizzare la superficie della bobina con un numero idoneo di filamenti; in particolare, se ne scelgono 70 per avere un elevato grado di accuratezza (in quanto questa bobina appartiene ad un circuito fondamentale per lo shape controller). Poichè la corrente in ingresso alla coil è in [Ampere · T urn] e si vuole mantenere inalterata la quantità di corrente in ingresso e in uscita nonostante la modellizzazione filamentare, è necessario pesare opportunamente ciascun filamento. Il peso scelto è uniforme per tutti i filamenti ed è dato dal rapporto: Nturns . Nf ilamenti Si riporta, nel dettaglio, la scelta del numero di filamenti per ciascuna coil di PF e il loro raggruppamento in circuiti in figura 4.7. Modellizzazione Filamentare dei 10 circuiti del campo poloidale Primary P1 PFX 3 SHAPE FRFA 2 Vertical U Vertical L 1 Div D1 Z [m] Div D2 0 Div D3 Div D4 −1 −2 −3 −1 0 1 2 3 R [m] 4 5 6 7 8 Figura 4.7: Rappresentazione filamentare dei 10 circuiti. La seconda matrice, la FilamentsToVirtual, è costituita da tutti i coefficienti che servono per ricavare i valori di flusso e campo dalle correnti in ingresso ai circuiti delle 75 CAP. 4 METODI E MODELLI TOT Nome Bobina P3MU P1EU P1CU P1CL P1EL P3ML P2SUI P2SUE P3SU P3SL P2SLE P2SLI P2RU P3RU P3RL P2RL P4U P4L D1 D2 D3 D4 22 bobine n◦ filamenti 2 70 70 70 70 2 1 1 1 1 1 1 16 20 20 16 64 64 16 15 15 21 557 filamenti Tabella 4.2: Modellizzazione di ciascuna coil del campo poloidale in base al numero di filamenti. misure virtuali. Questa matrice è composta dalle Green Functions relative a tutte le misure virtuali (720) per ciascun filamento di ciascuna coil PF (557). Le dimensioni delle matrici sono: • CircuitsT oF ilaments ∈ R10×557 ; • F ilamentsT oV irtual ∈ R2160×557 ; • CircuitsT oV irtual = (F ilamentsT oV irtual) · (CircuitsT oF ilaments)T ∈ R2160×10 . 76 CAP. 4 METODI E MODELLI Dopo il primo sommatore di figura 4.4, inizia l’implementazione del modello filamentare dedicato al plasma. Le variabili che possono essere settate sono: I) scelta semi-empirica del numero e della posizione dei filamenti. Bisogna individuare un compromesso tra complessità computazionale e accuratezza della ricostruzione. Dopo varie simulazioni eseguite in [26], la griglia scelta è formata da 100 filamenti disposti all’interno del vessel e concentrata nella parte centrale (dove il plasma si trova per la maggior parte del tempo durante una scarica). La figura 4.8 presenta l’insieme di filamenti utilizzato; II) griglia dei punti virtuali simulati da XLOC (figura 4.5); III) metodo di regolarizzazione: TSVD (scelta del valore di tolleranza) o metodo di Lagrange (scelta dei valori correttivi); IV) ordine dei momenti di corrente; V) tipologia del metodo dei momenti (descritta nel dettaglio per la matrice successiva). Virtual to Moments. Questa matrice lega le misure virtuali ai momenti di Shafranov, come visto nella sezione 4.2.2. In particolare, fa uso della rappresentazione polinomiale (4.2.15). Il modello offre la possibilità di risolvere il problema mal-posto 4.1 con le seguenti varianti di metodo: a) metodo dei momenti di corrente centrati in (Rc , Zc ) = (0, 0); b) metodo dei momenti di corrente centrati nei valori medi delle coordinate radiali e verticali dei filamenti scelti per il plasma; 77 CAP. 4 METODI E MODELLI Posizione dei filamenti di plasma e di ferro 5 100 Filamenti di plasma 140 Filamenti di ferro 4 3 2 1 Z 0 −1 −2 −3 −4 −5 −1 0 1 2 3 4 5 6 7 8 R Figura 4.8: Collocazione dei filamenti di plasma e di ferro. c) metodo della TSVD applicata alla matrice delle Green-Functions tra punti virtuali e posizione dei filamenti di plasma; d) combinazione dei 3 metodi citati: a) + b) o a) + c) o a) + b) + c). Le dimensioni della matrice sono: V irtualT oM oments ∈ R11×1440 , ossia il numero di momenti scelti (11) rispetto alle misure virtuali (720 per Br e 720 per Bz ). Moments to Filaments. Questa matrice viene calcolata a partire dalla matrice FilamentsToMoments in base al metodo di regolarizzazione scelto (TSVD o Lagrange). La FilamentsToMoments, a sua volta, viene costruita in maniera analoga alla precedente VirtualToMoments. La differenza consiste nel fatto che i calcoli dei polinomi utilizzati sono riferiti alle posizioni dei filamenti di plasma invece che alle coordinate dei punti virtuali. Allo stesso modo del caso precedente, si può scegliere di utilizzare le 78 CAP. 4 METODI E MODELLI espressioni in (4.2.15) per il metodo dei momenti o le altre tecniche di regolarizzazione viste. La dimensione della matrice è: M omentsT oF ilaments ∈ R100×11 . OUTPUT 1. Il primo segnale che il modello, visto finora, fornisce in uscita è la distribuzione filamentare delle correnti di plasma: IP LASM A . A questo punto, però, non è stato ancora implementato tutto il modello schematizzato in (4.2.3), in quanto non si è tenuto conto del contributo del ferro e del reale apporto dato dalle correnti delle PF. Per il momento, le correnti di plasma sono ricavate solo dal sottrarre le IP F , note ma ideali (in quanto prive di errori di approssimazione), alle misure magnetiche di flusso. In formule, ciò significa: m − IP F = 100 ∑ Gi · Ii P LASM A (4.2.16) i=1 Per ottenere, invece, l’implementazione del modello completo, occorre: 1) togliere al primo membro della (4.2.16), definito come segnale di errore e1 , l’effetto del plasma e si ottiene e2 (vedere figura 4.4); 2) utilizzare l’errore e2 per il contributo del ferro e si ricava e3 ; 3) ciò che resta, distribuirlo come errore sulle correnti reali che scorrono nei circuiti e si ottiene e4 ; 4) infine, distribuire il residuo e4 di nuovo sui filamenti di plasma per migliorare i calcoli eseguiti precedentemente. Il fatto che quest’ultimo contributo di corrente possa, in realtà, essere l’effetto combinato di ferro, PF e plasma non è determinante, pertanto viene attribuito per semplicità esclusivamente al plasma. Filaments to Virtual. Una volta determinata la distribuzione di corrente nei filamenti di plasma, se ne deve sottrarre l’effetto delle misure virtuali. Per tale scopo è 79 CAP. 4 METODI E MODELLI necessario definire una matrice che permetta di calcolare il flusso e il campo prodotto da ogni singolo filamento in ogni posizione relativa alle misure virtuali. La matrice in questione sarà composta sostanzialmente dalle Green-Functions di tutti i filamenti di plasma rispetto ai punti virtuali. I coefficienti di Green sono calcolati per le componenti Br , Bz e ∆Ψ. Le dimensioni della matrice sono dunque: F ilamentsT oV irtual ∈ R2160×100 . All’uscita del secondo sommatore di figura 4.4, si hanno, dunque, le misure virtuali a cui è stato rimosso l’effetto del plasma. La seconda correzione prevede ora l’identificazione della componente sulle misure virtuali dovuta all’effetto delle strutture passive. Il modello dipenderà dai seguenti parametri: I) scelta semi-empirica del numero e della posizione dei filamenti. Dopo varie simulazioni, la distribuzione scelta è formata da 140 filamenti disposti lungo i bordi relativi ad una limb del JET (confrontare la figura 1.10 con i filamenti di ferro in figura 4.8); II) il metodo di regolarizzazione utilizzato è esclusivamente il TSVD (con la scelta sul valore di tolleranza). Virtual to Iron. Questa matrice si ottiene dall’inversione della IronToVirtual applicando una regolarizzazione con TSVD. In figura 4.9 si evidenziano i valori singolari di quest’ultima. La linea rossa indica il valore di tolleranza scelto, pari a 10−5 , utilizzato per scartare le componenti troppo piccole della matrice. Sebbene questa procedura permetta di considerare il contributo del ferro in maniera accettabile (sarà chiaro nei risultati del capitolo 5), non è una modellizzazione accurata. Infatti, tale rappresentazione non tiene conto dei comportamenti non lineari ed isteresi del ferro nelle fasi transitorie di una scarica tipica. Poichè l’effetto delle strutture metalliche 80 CAP. 4 METODI E MODELLI (limbs, pilastro centrale, vessel, strutture di supporto, etc...), è indubbiamente rilevante, un miglioramento del modello può consistere proprio in una sua più accurata rappresentazione. Occorrerebbe, a tal prosposito, conoscere il livello di saturazione del ferro in maniera dinamica durante una scarica e utilizzare un modello appropriato che valuti la sua magnetizzazione. Le dimensioni della matrice sono: V irtualT oIron ∈ R140×2160 . −5 1.6 x 10 1.4 1.2 VALORE DI SOGLIA Ampiezza 1 0.8 0.6 0.4 0.2 X: 12 Y: 8.699e−08 0 0 20 40 60 80 100 Ordine dei valori singolari 120 140 Figura 4.9: Aandamento dei 140 valori singolari della IronToVirtual e la soglia scelta. OUTPUT 2. Il secondo segnale che il modello, visto finora, fornisce in uscita è la distribuzione filamentare delle correnti di ferro IIRON : m − IP F − 100 ∑ i=1 Gi · I i P LASM A = 140 ∑ G i · Ii IRON (4.2.17) i=1 Iron to Virtual. Come fatto in precedenza per rimuovere la componente di plasma dalle misure virtuali, si deve ora rimuovere l’effetto del ferro dalle stesse. Ancora una volta, ciò si traduce nel calcolo delle Green-Functions dei 720 punti virtuali relative ai 140 filamenti di ferro. Le dimensioni della matrice sono: IronT oV irtual ∈ R2160×140 . 81 CAP. 4 METODI E MODELLI All’uscita del terzo sommatore di figura 4.4, si hanno, dunque, le misure virtuali corrette dall’effetto del plasma e del ferro. L’ultimo effetto viene ora associato alle bobine di campo poloidale. Il contributo che si identifica sarà tipicamente un contributo di corrente molto piccolo, a volte trascurabile, ma viene tuttavia incluso per completezza nel modello. Le correnti di PF, infatti, sono conosciute in quanto costituiscono un input al sistema (derivano direttamente da misure mediante Rogowsky) ma vengono corrette per ovviare ad inevitabili errori di misura e all’approssimazione apportata dalla modellizzazione delle coils stesse. I parametri del modello sono: I) numero, tipologia e configurazione dei circuiti (presenza o meno di alcune bobine, polarizzazioni e connessioni differenti tra generatori di corrente e bobine, ecc..); II) modellizzazione filamentare di ciascuna bobina. La scelta del numero e della posizione dei filamenti ha portato alla distribuzione di 557 filamenti, come descritto in tabella 4.2 e mostrato in figura 4.7; III) il metodo di regolarizzazione utilizzato è esclusivamente il TSVD (stesso valore di soglia adottato per il ferro). Virtual to Circuit. Questa matrice viene costruita dall’inversione della Circuit to Virtual applicando una regolarizzazione con TSVD. Le dimensioni della matrice sono: V irtualT oCircuit ∈ R10×2160 . OUTPUT 3. Il terzo segnale che il modello, visto finora, fornisce in uscita è la distribuzione filamentare delle correnti che scorrono nelle bobine di PF IP F : m − IP F − 100 ∑ i=1 Gi · Ii P LASM A − 140 ∑ i=1 G i · Ii IRON = 10 ∑ Gi · ∆Ii PF (4.2.18) i=1 82 CAP. 4 METODI E MODELLI Il segno di ∆ sta ad indicare che questa quantità correttiva si applicherà ai valori noti delle IP F . Circuit to Virtual. Questa matrice è la stessa già utilizzata per poter passare dalla rappresentazione circuitale a quella filamentare dei PF (schema 4.6). In uscita al quarto sommatore di figura 4.4, il residuo sulle misure virtuali viene interamente associato al plasma. Anche questa è una correzione, ∆I, che va aggiunta alla distribuzione di corrente precedentemente trovata. Nella realtà, tale contributo può essere dovuto ad ognuna delle possibili componenti, ferro, PF o plasma, ma non avendo informazioni più dettagliate e, per semplicità, viene associato al plasma. L’entità di questa correzione è comunque molto piccola. Virtual to Filaments. Per poter scrivere IP LASM A + ∆IP LASM A , è necessario convertire il segnale e4 da distribuzione calcolata rispetto ai virtuali a distribuzione calcolata rispetto gli stessi filamenti di plasma. Questa matrice, dunque, non è altro che l’inversa della FilamentsToVirtual già vista precedentemente. Le possibilità di regolarizzazione possono di nuovo essere la TSVD o il metodo di Lagrange. Le dimensioni della matrice sono: V irtualT oF ilaments ∈ R100×2160 . Poichè lo schema a blocchi 4.4 è una combinazione di somme e prodotti tra matrici, possiamo ottenere una rappresentazione compatta del modello che permetta di passare direttamente dalle misure reali alla distribuzione di corrente nel plasma, ferro e PF. In riferimento allo schema 4.2, si ha: CORRENTI = MATRIX · INPUT IP LASM A IF ERRO IP F = ] MP LASM A [ MF ERRO · m IP F MP F [250 × 1] = [250 × 66] · [66 × 1] (4.2.19) 83 CAP. 4 METODI E MODELLI dove la matrice a blocchi MATRIX è così composta: 1) MP LASM A è la somma delle matrici che permettono di ricavare IP LASM A e ∆IP LASM A . La dimensione è R100×66 ; 2) MF ERRO è la matrice che permette di ricavare IF ERRO . La dimensione è R140×66 ; 3) MP F è la somma delle matrici che permettono di ricavare IP F e ∆IP F . La dimensione è R10×66 . 84 Capitolo 5 RISULTATI E VALIDAZIONE DEL MODELLO FILAMENTARE Il capitolo riassume le analisi effettuate per verificare la validità del modello filamentare utilizzato in questa tesi. Dopo aver descritto nel dettaglio il significato fisico del modello filamentare, si presenta, ora, la fase di validazione dello stesso per dimostrarne la reale applicabilità alle varie macchine da fusione. I risultati necessari a tale scopo sono stati generati con l’utilizzo del codice FELIX, la cui descrizione è presentata in sezione 5.1. Nel paragrafo 5.2, si riportano i test eseguiti a conferma dell’assunzione secondo la quale, sotto determinate condizioni, un certo insieme di filamenti percorsi da corrente hanno un effetto di campo e flusso paragonabile ad un’unica sorgente puntiforme. I grafici del paragrafo 5.3 evidenziano come i contributi magnetici apportati da ciascun insieme di filamenti si sommano per formare la mappa di flusso totale. Il paragrafo 5.4 presenta le simulazioni eseguite con la modellizzazione polinomiale di XLOC, quella di EFIT e quella filamentare. Questa sezione evidenzia non solo il fatto che il modello filamentare ottiene una ricostruzione topologica paragonabile a quella degli altri due codici nella gran parte delle configurazioni di plasma ma ottiene anche 85 CAP. 5 RISULTATI E VALIDAZIONE DEL MODELLO FILAMENTARE un evidente miglioramento in determinati punti del boundary. I confronti presentati sono relativi sia alle mappe di flusso sia ai vari parametri geometrici del controllo. 5.1 Felix come tool Questa sezione presenta l’evoluzione di XLOC: il codice FELIX, acronimo di Flux Estimator for LImiter and X-point configurations. È un codice sviluppato negli ultimi anni dal Plasma Operation Department per eseguire il commissioning 1 delle misure magnetiche e per determinare forma e posizione di plasma sia offline che online. Come verrà evidenziato in Appendice B, esso è pensato per un contesto real-time e sviluppato tramite l’implementazione di GAM (Generic Application Module [31]). Questo tool si divide in due parti: la prima riguarda la modellizzazione del campo magnetico, mentre la seconda ottiene la forma del plasma dall’ultima superficie chiusa di flusso. In particolare, proprio nella prima di queste due fasi si evidenzia l’eredità tratta da XLOC e il suo superamento. Felix, infatti, offre nel suo file di configurazione la possibilità di definire differenti modelli di interpolazione necessari al calcolo del flusso e/o del campo magnetico. Al momento, questa interpolazione può essere polinomiale (esattamente XLOC visto nella sezione 4.1) o rispetto ad un insieme opportuno di filamenti di corrente (esattamente il metodo filamentare visto nella sezione 4.2). Un altro vantaggio derivante dal codice Felix consiste nel poterlo considerare, dal punto di vista della programmazione, una raccolta di algoritmi in grado di passare dalla descrizione fisica del macchinario in un programma esecutivo. Di solito, infatti, la scrittura di algoritmi e codici è fortemente machine-dependent, ossia è permesso il loro utilizzo solo per una specifica macchina. Al contrario, invece, Felix è stato pensato come tool independente dal tokamak utilizzato; è completamente portabile e 1 fase che precede l’inizio della campagna sperimentale per verificare e testare tutti i sistemi. 86 CAP. 5 RISULTATI E VALIDAZIONE DEL MODELLO FILAMENTARE non è in alcuna parte specifico solo per il JET. Grazie al suo alto livello di flessibilità e configurabilità (vedere Appendice B per i dettagli), questo nuovo codice è un buon compromesso tra precisione ricostruttiva dei modelli inseriti e tempi di esecuzione. In questo capitolo, Felix è stato configurato per il modello polinomiale o per quello filamentare a seconda delle simulazioni e dei confronti che si volevano ottenere di volta in volta. 5.2 Flusso di una sorgente filamentare Il primo test che si esegue è la verifica di quanto affermato nel paragrafo 4.2: una griglia di filamenti può essere identificata come un’unica sorgente di corrente se il punto di osservazione è sufficientemente distante. Infatti, l’interazione delle linee di campo o di flusso tra un filamento e l’altro diminuisce se ci si allontana dalla loro posizione (figura 5.1). In figura 5.2 si ha un confronto immediato dell’analogia di effetti tra distribuzione a 9 filamenti e distribuzione a 1 filamento. In quest’ultimo, scorre una corrente pari alla somma delle correnti che circolano nei 9 filamenti. Da quanto mostrato, si può dedurre che è bene posizionare i filamenti lontani dalla diagnostica magnetica più della distanza tra ciascuno di loro, così da poter trascurare i dettagli vicino ai filamenti, misurarne la sovrapposizione degli effetti e identificarli come una sola distribuzione. 87 CAP. 5 RISULTATI E VALIDAZIONE DEL MODELLO FILAMENTARE Linee di flusso Ψ con 9 filamenti Zoom sui filamenti 3 1.6 2.5 1.4 2 1.2 1.5 Z [m] 1 Z [m] 1 0.5 0.8 0 0.6 -0.5 0.4 -1 1.5 2 2.5 3 R[m] 3.5 4 4.5 2.6 2.8 3 3.2 3.4 R[m] Figura 5.1: In questa figura si evidenzia il fenomeno di interazione delle linee di flusso tra varie sorgenti di corrente. Le linee diventano meno ondulate man mano che ci si allontana dai filamenti. A destra c’è uno zoom della figura per mostrare, invece, le irregolarità a distanze vicine. Linee di flusso Ψ con 9 filamenti Linee di flusso Ψ con 1 filamento 3 3 2.5 2.5 2 2 1.5 1.5 1 1 0.5 0.5 0 0 −0.5 −0.5 Z [m] −1 1.5 2 2.5 3 R[m] 3.5 4 4.5 −1 1.5 2 2.5 3 R[m] 3.5 4 4. Figura 5.2: Questa figura confronta la mappa di flusso data da una griglia filamentare (a sinistra) con una ottenuta dal posizionamento di un’unica sorgente di corrente (a destra). 88 CAP. 5 RISULTATI E VALIDAZIONE DEL MODELLO FILAMENTARE 5.3 I diversi contributi di flusso La griglia dei punti rispetto ai quali verranno calcolate tutte le mappe è un rettangolo comprendente il vessel e dimensionato in questo modo: R ∈ [1.5 ÷ 4.2] m Z ∈ [−2 ÷ 2.2] m Questo riquadro è stato preso rispetto al centro della macchina, il quale è posto al centro del circuito P1. Come è stato visto in sezione 4.2.1, la mappa di flusso da identificare è la somma di differenti contributi. Effetto delle IP F . La figura 5.3 mostra il flusso prodotto nella zona di vessel dalle sole correnti delle coils poloidali per l’impulso n◦ 66326 nell’istante di tempo t = 60s (fase centrale della scarica). Effetto delle IP F +IF ERRO . La figura 5.4 mostra, a sinistra, cosa avviene quando si considera l’effetto legato alle correnti che scorrono nel ferro. Aggiungere queste componenti comporta uno sbilanciamento delle linee di flusso verso l’interno della macchina, dove la presenza del materiale è sicuramente dominante. Effetto delle IP F + IF ERRO + IP LASM A . La figura 5.4 mostra, a destra, la fase in cui vengono considerati anche i filamenti di plasma (disegnati con puntini blu). Si possono notare isoflusso regolari e congruenti con la ricostruzione magnetica dell’impulso scelto: posizione corretta dell’X-Point, zona di attrazione dei divertori. 89 CAP. 5 RISULTATI E VALIDAZIONE DEL MODELLO FILAMENTARE Effetto di Flusso per le I pf 4 Zoom nella zona di diverore 3 0 2 1 −0.5 0 −1 −1 −1.5 −2 −2 −3 −2.5 −4 1 2 3 2 5 PULSE: 66326 TEMPO: 60 [sec] 4 2.5 3 3.5 Figura 5.3: Effetto delle IP F . a) Sono state riportate le posizioni dei circuiti poloidali per facilitare la comprensione dei movimenti delle linee di flusso. b) È stato eseguito lo zoom nella regione di divertore per specificare meglio il suo contributo nel determinare l’X-Point. Come mostrato in b), nell’istante di tempo scelto, le bobine di divertore più influenti sono quelle relative a D3 e D4, mentre le altre presentano una quantità di corrente più ridotta. Effetto di Flusso per: I PF + I FERRO Effetto di Flusso per: I 2 2 1.5 1.5 1 1 0.5 0.5 PF +I FERRO +I PLASMA Z [m] 0 0 -0.5 -0.5 -1 -1 -1.5 -1.5 -2 1.5 2 2.5 3 R [m] 3.5 4 -2 1.5 2 2.5 3 R [m] 3.5 4 Figura 5.4: Effetto delle IP F + IF ERRO + IP LASM A . Il flusso è calcolato con l’aggiunta dei filamenti di ferro prima e di quelli di plasma dopo. La mappa totale sembra essere realistica e fedele con la geometria del problema. 90 CAP. 5 RISULTATI E VALIDAZIONE DEL MODELLO FILAMENTARE 5.4 Confronto tra XLOC, EFIT e Modello Filamentare In questa sezione si riporta la validazione del modello filamentare. I termini di paragone sono costituiti dal codice XLOC e dal codice EFIT. Il parametro di giudizio è dato da una statistica degli errori commessi nel determinare i parametri geometrici usati dal sistema di controllo. La validazione è stata eseguita sulla base di 40 impulsi prelevati dal database del JET e relativi alle campagne sperimentali svolte dal 2002 al 2005. Questo insieme di shots copre, nel suo complesso, le varie tipologie di plasma che si possono ottenere al JET. Durante tutta la fase di scarica, inoltre, la forma di plasma viene distinta in: 1) configurazione limiter: generalmente nello start-up e nella termination del plasma; 2) configurazione X-Point: generalmente nella parte centrale dell’intervallo di tempo. Può anche accadere che il plasma non arrivi mai in questa configurazione; 3) non convergenza: l’algoritmo ha fallito la ricerca dell’X-Point nella regione assegnata. Il motivo principale è attribuibile a valori di corrente di plasma inferiori ad una certa soglia. La figura 5.5 è un esempio di confronto del profilo topologico del plasma tra il modello filamentare e quello polinomiale sia nell’istante di limiter che di X-Point. 5.4.1 Confronto delle mappe di flusso I risultati riportati in questa sezione sono relativi alla ricostruzione magnetica di tutta la mappa di flusso del plasma. Le figure in 5.6 sono due esempi di mappe, rispettivamente, in limiter e in X-Point. Per poter asserire che la ricostruzione è corretta, è stato preso come riferimento il boundary dato da EFIT (linea chiusa viola). 91 2 2.5 3 Tempo: 50sec 3.5 4 −1.5 −1.5 1 1.5 2 2.5 3 Tempo: 65sec 3.5 Boundary Path in X−Point 4 4.5 5 XLOC M. Filamentare Figura 5.5: Ricostruzione del boundary ottenuta da XLOC e dal Modello Filamentare in un istante di limiter e di X-Point. 0.5 −1 −1 5 −0.5 −0.5 0.5 0 4.5 0.5 0.5 1.5 1 1 1 1.5 XLOC M. Filamentare 2 0 Z [m] Boundary Path in Limiter 1.5 2 CAP. 5 RISULTATI E VALIDAZIONE DEL MODELLO FILAMENTARE 92 1 1.5 2 2.5 3 R [m] 3.5 4 −1.5 −2 −1.5 −2 1 1.5 2 2.5 3 R [m] 3.5 4 Impulso: 53045 Istante di tempo: 65 sec 4.5 5 M.Filamentare EFIT Figura 5.6: Mappa di Flusso per l’impulso n◦ 53045 in t = 45, istante di limiter, e t = 65 sec, istante di X-Point. −1 −1 5 −0.5 −0.5 4.5 0 0.5 0.5 0 Z [m] 1 1 2 1.5 M.Filamentare EFIT 1.5 2 Impulso: 53045 Istante di tempo: 45 sec CAP. 5 RISULTATI E VALIDAZIONE DEL MODELLO FILAMENTARE 93 CAP. 5 RISULTATI E VALIDAZIONE DEL MODELLO FILAMENTARE La figura 5.7 presenta un confronto tra la ricostruzione magnetica di XLOC e quella del modello filamentare. La regione interna di plasma non è di interesse per questo lavoro ma si sottolinea, comunque, il miglioramento apportato dal modello a filamenti. Esso, infatti, non presenta la discontinuità delle regioni, propria di XLOC. XLOC n ° 53045 t = 55 sec M. Filamentare n 2 2 1.5 1.5 1 1 0.5 0.5 0 0 −0.5 −0.5 −1 −1 −1.5 −1.5 ° 53045 t = 55 sec Z [m] −2 1.5 2 2.5 3 3.5 −2 1.5 4 R [m] 2 2.5 3 3.5 4 R [m] Figura 5.7: Confronto delle mappe di Flusso per l’impulso n◦ 53045 in t = 55 sec tra XLOC e Modello Filamentare. 5.4.2 Confronto dei parametri geometrici Per una corretta statistica, si sono valutate la media aritmetica e la deviazione standard2 degli errori riscontrati tra XLOC e la modellizzazione filamentare per i seguenti parametri geometrici: • coordinate dell’X-Point: Rx , Zx ; 2 La deviazione standard o scarto quadratico medio è un indice di dispersione dei dati intorno al valore atteso, ossia è una misura di variabilità di una variabile casuale. Ha la stessa unità di misura dei valori osservati ed è così calcolata: √ ∑n 2 i=1 (xi − x) σx = n dove 1∑ x= xi n i=1 n è la media aritmetica. 94 CAP. 5 RISULTATI E VALIDAZIONE DEL MODELLO FILAMENTARE • distanza interna ed esterna tra vessel e boundary: RIG e ROG; • distanza tra vessel superiore e boundary: TOG; • valore di flusso al boundary: φ∗ [Wb]. Nel seguito si riportano gli andamenti temporali di queste variabili, distinguendo i risultati in base alle configurazioni assunte dal plasma. Configurazione LIMITER. In questa situazione, ha senso eseguire un controllo di posizione e forma di plasma utilizzando le sole variabili ROG e TOG. La tabella 5.1 riassume i principali dati statistici ricavati da questa fase di validazione del modello. Come si evince dalla tabella, il TOG è quello che presenta uno Parametro ROG TOG MEDIA xε [cm] Min Max 0.01 0.64 2.20 4.59 STD σε [cm] Min Max 1.13 0.62 0.91 2.85 Tabella 5.1: Valori massimi e minimi della media e della deviazione standard di errore. In questa tabella i 40 impulsi sono stati considerati solo nella loro fase di limiter. scostamento maggiore tra le due modellizzazioni. Esse sono differenti per la non facile modellizzazione della parte alta della macchina. Ciò è dovuto al basso numero di bobine di misura e alla forte componente legata alle strutture meccaniche. Nonostante questo, gli impulsi peggiori sono stati analizzati nello specifico e risultano comunque accettabili nel range di errore ammissibile. Per una migliore comprensione dei risultati ottenuti, si riporta, a titolo di esempio, l’impulso n◦ 53045, la cui corrente di plasma ha l’andamento mostrato in figura 5.8 (si fa notare che al JET il segno della IP LASM A è stato preso negativo per convenzione). Si assume che valori di corrente accettabili per la ricostruzione siano quelli inferiori a -400 kA, come mostrato dalla soglia presente in figura. 95 CAP. 5 RISULTATI E VALIDAZIONE DEL MODELLO FILAMENTARE 0.5 x 10 6 Corrente di Plasma per l’impulso 53045 0 SOGLIA DELLA CORRENTE −0.5 −1 [A] −1.5 −2 −2.5 −3 0 10 20 30 40 Time [sec] 50 60 70 80 Figura 5.8: Corrente di plasma dell’impulso n◦ 53045. Nella figura 5.9 si mostrano gli andamenti nel tempo dei due parametri di interesse. ROG 0.2 0.15 [m] XLOC M. Filamanetare 0.1 0.05 0 40 42 44 46 48 50 52 54 50 52 54 TOG 1 0.8 [m] 0.6 0.4 0.2 40 42 44 46 48 Time [sec] Pulse:53045 Figura 5.9: Andamenti temporali delle distanze ROG e TOG per XLOC e per il modello filamentare negli istanti di plasma in configurazione limiter. 96 CAP. 5 RISULTATI E VALIDAZIONE DEL MODELLO FILAMENTARE La media xε e la deviazione standard σε dell’errrore valgono: a) per il ROG: xε = 0.64 cm σε = 0.62 cm xε = 4.59 cm σε = 1.14 cm b) per il TOG: Come accennato, dai valori qui riportati, è evidente la difficoltà a mantenere sotto controllo lo spostamento del TOG. In questa fase di limiter, il TOG rappresenta, comunque, un importante indice della posizione verticale del plasma. Configurazione ad X-POINT. Per questa configurazione hanno importanza tutti i parametri geometrici menzionati e se ne riportano i relativi risultati in tabella 5.2. La tabella evidenzia un valore superiore ai 2 cm per la media e la deviazione Parametro XPOINTR XPOINTZ RIG ROG TOG MEDIA Min -0.29 -0.13 -0.31 -1.48 -0.76 xε [cm] Max 0.26 0.29 2.56 1.15 0.50 STD σε [cm] Min Max 0.03 0.29 0.02 0.20 0.07 1.98 0.06 0.59 0.03 2.22 Tabella 5.2: Valori massimi e minimi della media e della deviazione standard di errore. In questa tabella i 40 impulsi sono stati considerati solo nella loro fase di X-Point. standard del RIG. L’impulso che corrisponde a questi valori di massimo è il n◦ 53848. Prima di tutto, vengono disegnati gli andamenti della variabile in questione per i tre codici di ricostruzione e ciò corrisponde alla figura 5.10. In secondo luogo, si individua l’istante in cui gli andamenti del RIG per i vari metodi iniziano ad essere divergenti. Visto che ciò avviene dopo i 65 secondi, ossia verso la fine della scarica, ci si preoccupa del fatto che ci sia sufficiente corrente di plasma per la ricostruzione. Dal segnale 97 CAP. 5 RISULTATI E VALIDAZIONE DEL MODELLO FILAMENTARE RIG per l’impulso 53848 0.8 0.7 XLOC M. Filamentare EFIT 0.6 0.5 0.4 [m] 0.3 0.2 0.1 0 −0.1 40 45 50 55 60 65 TEMPO [sec] 70 75 80 Figura 5.10: Andamento nel tempo del RIG per XLOC, EFIT e Modello Filamentare. JPF, risulta che nell’istante considerato la corrente vale -1.28 MA. A questo punto, si verifica se la ricostruzione del boundary fino ai 65 secondi è corretta. Dalla figura 5.10 è possibile concludere che questo impulso termina con un’improvvisa rottura della colonna di plasma. Negli ultimi istanti della scarica, dunque, le bobine di misura forniscono valori magnetici poco attendibili, per cui nessuna delle tre ricostruzioni dei vari codici utilizzati può ritenersi corretta. Anche il modello filamentare, nell’implementazione vista finora, non riesce a seguire il plasma nei suoi movimenti veloci. È importante sottolineare che la modellizzazione filamentare non solo presenta errori numerici accettabili ma anche un rilevante miglioramento rispetto agli altri codici. La ricostruzione della frontiera infatti, è in generale molto meno discontinua. Fornendo informazioni più corrette, questo metodo permette il calcolo di un numero maggiore di distanze e gap, producendo, così, una ricostruzione più attendibile ed accurata. Il miglioramento di cui si è fatto cenno, può essere riscontrato dagli zoom presentati per il boundary di figura 5.11. 98 CAP. 5 RISULTATI E VALIDAZIONE DEL MODELLO FILAMENTARE ZOOM Scalinatura XLOC 1 0.95 0.9 0.85 0.8 Boundary path PULSE: 53848 XLOC M. Filamentare EFIT 2 0.75 0.7 1.5 0.65 0.6 1 0.55 ZOOM Scalinatura XLOC 1.65 0.5 2.1 2.2 XLOC M. Filamentare EFIT 0.5 2.3 1.6 0 1.55 ZOOM Scalinatura EFIT −0.98 1.5 −0.5 −0.99 −1 1.45 2.95 3 3.05 3.1 3.15 3.2 3.25 3.3 −1 −1.01 −1.02 −1.5 −1.03 −1.04 1.5 −1.05 −1.06 2.58 2.6 2.62 2.64 2 2.5 3 Tempo: 65sec 3.5 4 4.5 5 2.66 Figura 5.11: Ricostruzione del boundary e confronto tra XLOC, EFIT e Modello Filamentare nell’istante t = 65 sec. Ora, vengono presentati i risultati delle variabili di controllo e i relativi errori. Nella figura 5.12 si mostrano gli andamenti nel tempo delle coordinate cartesiane dell’X-Point. Come si può notare, l’accordo di XLOC con il modello filamentare è buono nella fase centrale dell’esperimento, nella quale il plasma assume la configurazione a divertore (cioè con X-Point). Nel caso in esame, la media e la deviazione standard dell’errore sono: a) per la coordinata R dell’X-Point: xε = 0.01 cm σε = 0.14 cm b) per la coordinata Z dell’X-Point: xε = 0.16 cm σε = 0.07 cm 99 CAP. 5 RISULTATI E VALIDAZIONE DEL MODELLO FILAMENTARE X−PointR 2.75 XLOC M. Filamanetare 2.7 [m] 2.65 2.6 50 55 60 65 70 75 70 75 X−PointZ −1.2 −1.3 [m] −1.4 −1.5 −1.6 50 55 60 65 Time [sec] Pulse:53045 Figura 5.12: Andamenti nel tempo delle coordinate R e Z dell’X-Point per la fase di divertore. La figura 5.13 mostra l’evoluzione temporale delle variabili RIG, ROG e TOG. I valori numerici della media e della deviazione standard dell’errore sono: a) per il RIG: xε = 0.10 cm σε = 0.14 cm b) per il ROG: xε = −0.45 cm σε = 0.08 cm c) per il TOG: xε = 0.28 cm σε = 0.20 cm Flusso al Boundary. Il calcolo del flusso per la frontiera del plasma è stato eseguito facendo la media dei valori forniti da tre bobine Flux-loop (vedere figura 2.10). I valori sono dati dalla formula espressa in (2.1.1) nel caso di limiter e come flusso relativo al punto di X-point nel caso di configurazione a divertore. Questa 100 CAP. 5 RISULTATI E VALIDAZIONE DEL MODELLO FILAMENTARE RIG 0.16 0.14 0.12 [m] 0.1 0.08 0.06 0.04 50 55 60 65 70 75 ROG 0.12 XLOC M. Filamanetare 0.1 0.08 [m] 0.06 0.04 0.02 50 55 60 65 70 75 65 70 75 TOG 0.4 0.35 [m] 0.3 0.25 0.2 50 55 60 Time [sec] Pulse:53045 Figura 5.13: Andamenti delle distanze RIG, ROG e TOG tra i due metodi di ricostruzione negli istanti di X-Point. L’errore commesso è di pochi millimetri. procedura potrebbe essere estesa ad un insieme maggiore di bobine ma l’accuratezza risulta già soddisfacente. La figura 5.14, infatti, è il confronto tra i valori calcolati da XLOC e quelli otttenuti dal modello filamentare nell’arco di tutta la scarica (quindi, senza distinguere tra le diverse configurazioni di plasma). Pulse number: 53045 Boundary Flux 2.5 2 XLOC M.Filamentare 1.5 1 0.5 [Wb] 0 −0.5 −1 −2 40 45 NON CONVERGENZA CONFIGURAZIONE DI X−POINT LIMITER −1.5 50 55 60 Time [sec] 65 70 75 80 Figura 5.14: Andamento nel tempo del valore di flusso al boundary per i 40 secondi dell’esperimento n◦ 53045. 101 CAP. 5 RISULTATI E VALIDAZIONE DEL MODELLO FILAMENTARE Altri parametri geometrici. Dopo aver analizzato i principali parametri utilizzati dal sistema di controllo, si presentano, ora, gli andamenti di altre variabili geometriche. Si tratta dei gaps n◦ 6, n◦ 18 e degli strike-points sinistro e destro rispetto all’X-Point (per la loro posizione si faccia riferimento alle figure in 5.15). Questi rivestono un ruolo importante non per il controllo di forma e posizione ma per gli altri sistemi di protezione e sicurezza, quali Walls e Beta-Li. GAP n°6 0.25 0.2 [m] 0.15 XLOC M. Filamanetare 0.1 50 55 60 65 70 75 65 70 75 ° GAP n 18 0.2 0.15 [m] 0.1 0.05 0 50 55 60 Time [sec] (a) Strike−Point Right−R Strike−Point Left−R 3 2.5 XLOC M. Filamanetare XLOC M. Filamanetare 2.45 [m] 2.95 [m] 2.4 2.9 2.35 50 55 60 65 70 75 2.85 50 55 60 65 70 75 70 75 Strike−Point Right−Z Strike−Point Left−Z −1.6 −1.55 −1.6 −1.65 [m] [m] −1.65 −1.7 −1.7 −1.75 50 55 60 65 Time [sec] (b) 70 75 −1.75 50 55 60 65 Time [sec] (c) Figura 5.15: Andamenti nel tempo dei gaps n◦ 6 e n◦ 18 (a), delle coordinate R e Z dello Strike-Point sinistro (b) e destro (c) per l’impulso n◦ 53045. 102 Capitolo 6 RICOSTRUZIONE DI PLASMI PARTICOLARI Il capitolo introduce le problematiche legate alla ricostruzione di plasmi nelle fasi di inizio e fine scarica ed in presenza di fenomeni veloci che ne modificano la forma. Si descriveranno le modifiche apportate al modello precedentemente presentato per adattarlo a queste fasi dinamiche di plasma. 6.1 Piccoli Plasmi Questa sezione descrive due momenti particolari in cui si trova il plasma durante ciascun impulso. Con l’espressione piccoli plasmi, infatti, si contraddistinguono i plasmi che si trovano in start-up o nella fase finale della scarica. Con il termine start-up si intende la fase di generazione e crescita della colonna di plasma. Poiché le dimensioni di plasma in questa fase sono molto ridotte rispetto alla fase principale della scarica (detta flat-top), la griglia dei 100 filamenti fino ad ora utilizzata non è più idonea. La condizione, infatti, che i filamenti di corrente siano interni alla regione di plasma implica una modifica al modello. Si ricorda, inoltre, che il modello finora visto ha il limite di richiedere valori di corrente di plasma inferiori ai -400 kA per riuscire a ricostruire fedelmente il boundary del flusso 103 CAP. 6 RICOSTRUZIONE DI PLASMI PARTICOLARI magnetico. Questa condizione sulla corrente corrisponde ad attendere, dall’inizio dell’impulso, un intervallo di tempo che puo’ variare da qualche decina di millisecondi fino ad 1 secondo. Nei primi istanti della scarica, dunque, il codice descritto non è in grado di ricostruire la forma di plasma. Si posso notare i limiti dei codici attuali dalle figure 6.1 a) e b). In particolare, è stata posta anche la simulazione operata da XLOC. Quest’ultimo non è in grado di ricostruire il boundary perché un piccolo plasma si trova, in genere, in una zona del vessel che risente maggiormente delle discontinuità delle cinque regioni. Poiché per l’impulso considerato, il n◦ 53045, la corrente di plasma assume il valore di soglia in t = 40.25 sec (vedere figura 5.8), si è scelto per la simulazione l’istante 40.13 sec. ° ° XLOC n 53045 t= 40.13 sec M. Filamentare n 53045 t= 40.13 sec 2 2 1.5 1.5 1 1 0.5 0.5 0 0 −0.5 −0.5 −1 −1 −1.5 −1.5 Z [m] −2 −2 2 3 R [m] 4 2 3 R [m] 4 Figura 6.1: XLOC e Modello Filamentare in t = 40.13 sec. Il boundary in viola è dato da EFIT. XLOC è intrinsecamente limitato per questa fase di plasma, mentre il modello filamentare è utilizzato in maniera inappropriata. L’obiettivo di questo capitolo è, quindi, quello di presentare una modifica al mo- 104 CAP. 6 RICOSTRUZIONE DI PLASMI PARTICOLARI dello filamentare che permetta di variare i filamenti e di operare anche a correnti inferiori. Tale modifica sarà altrettanto valida per la fase di termination della scarica, ossia quella in cui la colonna di plasma si spegne fino ad esaurire il proprio contenuto energetico. Qualora questa condizione avvenisse in maniera inattesa e brusca, si parla di disruzione (disruption). Con il termine disruption si intende un’improvvisa perdita di controllo del plasma. Infatti, man mano che il plasma diventa più caldo e denso, aumenta la sua instabilità. Quando il plasma entra in un regime instabile, può disrompere, ossia compiere rapidi cambiamenti nella sua struttura interna e i campi magnetici non sono più in grado di confinarlo all’interno del vessel. Di conseguenza, la colonna di plasma perde rapidamente e violentemente la propria energia magnetica e termica sulla struttura confinante. Le cause che determinano questo rapido movimento possono essere di diverso tipo, molte di queste non sono state del tutto giustificate e sono ancora oggetto di studio. Sicuramente, la disruption deriva da un qualche fenomeno di instabilità difficile da prevedere e controllare. I danni che può provocare al macchinario sono legati essenzialmente al rilascio repentino di una elevata quantità di energia che il plasma aveva poco prima di disrompere. Infatti, le conseguenze principali sono: • parti del vessel non opportunamente protette potrebbero venir danneggiate; • le tiles assorbono una forte emissione con conseguente riscaldamento ed usura dei materiali; • la macchina viene sporcata sensibilmente e ciò compromette gli esperimenti successivi. La disruption rappresenta, dunque, un’ulteriore fase di interesse che potrebbe essere affrontata con il modello che si va a descrivere. 105 CAP. 6 RICOSTRUZIONE DI PLASMI PARTICOLARI 6.2 Start-up Il modello filamentare richiede di essere adattato per rispondere alle seguenti richieste: 1) il numero di momenti ricavati nell’implementazione originale è sovradimensionato rispetto alle informazioni necessarie; 2) si deve adattare la griglia di filamenti alle dimensioni e alla posizione in cui si trova il plasma durante lo start-up; 3) anche se si riduce il numero di filamenti, il numero di operazioni eseguite per ricavare la distribuzione di flusso mediante le Green-Functions è eccessivo e non risponde alle esigenze real-time del rapido fenomeno in questione. Il calcolo delle funzioni di Green tra posizione dei filamenti e punti virtuali è l’elemento che maggiormente contribuisce alla complessità computazionale dell’algoritmo utilizzato. Per rispondere alle specifiche del real-time, è possibile scegliere tra due diversi approcci: a) precalcolare tutte le funzioni di Green per una griglia fitta di filamenti fissi e individuare un metodo di selezione di quelli necessari di volta in volta alla ricostruzione; b) utilizzare un numero molto ridotto di filamenti le cui posizioni siano variabili nel tempo. Ciò richiederebbe un numero di operazioni ridotto. Entrambe le metodologie si preoccupano di individuare dove posizionare i filamenti e come muoverli ad ogni iterazione. La differenza principale consiste nell’avere o meno una griglia fissa di posizioni. In questo lavoro è stata investigata l’opzione b). Nonostante la difficoltà legata alla velocità del fenomeno di start-up, è possibile sfruttare alcune proprietà che il plasma possiede in questa fase e che riducono notevolmente la complessità del problema. In particolare: 106 CAP. 6 RICOSTRUZIONE DI PLASMI PARTICOLARI 1. il plasma tipicamente nasce nella zona in basso e a destra della camera da vuoto, per cui si riduce la regione nella quale cercare e posizionare i filamenti di plasma corretti; 2. il plasma è sicuramente in contatto con uno o più punti di questa parte di vessel poiche’ si trova in configurazione limiter; 3. dall’analisi di un elevato campione di impulsi, si può asserire che in questi primi istanti il plasma risulta sempre di forma quasi circolare, senza rilevanti asimmetrie. Queste osservazioni hanno portato alla seguente metodologia di scelta dei filamenti. Innanzitutto, va individuato il centroide di corrente per il primo istante. Questa informazione viene fornita in via approssimata dal codice BetaLi che fa uso di due opportuni momenti di Shafranov [6]. Si individua il punto di contatto sul vessel che corrisponde al valore di flusso al boundary calcolato (la relazione è la (2.1.1)). Grazie all’ipotesi di plasma circolare, se ne identifica il raggio come la distanza tra il centroide e questo punto di vessel. È ora necessario decidere come posizionare i filamenti nella zona di plasma in base all’informazione ricavata. Si ricorda che posizionare due o più filamenti troppo vicini tra loro crea artefatti nella ricostruzione di campo e flusso, in particolare dovuti agli effetti di alto ordine. Posizionarli, invece, troppo vicino al boundary determina la non regolarità di quest’ultimo (effetto di ripple). Un buon compromesso tra queste due situazioni consiste nel porre i filamenti lungo una corona circolare che si trova al 50% tra boundary e la loro distanza reciproca. L’informazione sul raggio è quindi sufficiente per stabilire le posizioni. Quanto al numero, si evidenzierà nei risultati che sono sufficienti pochi filamenti per ottenere un buon risultato. 107 CAP. 6 RICOSTRUZIONE DI PLASMI PARTICOLARI Per quanto riguarda i momenti di corrente necessari, la ricostruzione risulta soddisfacente già con un numero pari a 4 o 5. Vista infatti la semplicità di forma del plasma, non occorrono ordini superiori, i quali considerano configurazioni più articolate di un cerchio o di una ellisse (vedere tabella 4.1 per il significato fisico attribuibile all’ordine dei momenti). È bene, però, fare attenzione ad avere un numero di filamenti di plasma superiore o al più uguale al numero dei momenti, altrimenti il modello presenterebbe matrici sotto-dimensionate. Figura 6.2: Schema a blocchi che implementa il modello di plasma, di ferro e delle coils poloidali per la fase di start-up. Le matrici di colore grigio sono quelle precalcolate, le restanti vengono calcolate in real-time. In analogia con l’analisi fatta in sezione 4.2.3, si presenta ora il modello filamentare modificato e implementato secondo lo schema a blocchi di figura 6.2. Le nuove impostazioni del codice filamentare sono: • sensori virtuali, posizione dei filamenti di ferro e modellizzazione dei circuiti PF 108 CAP. 6 RICOSTRUZIONE DI PLASMI PARTICOLARI invariati rispetto al codice precedente; • metodo di regolarizzazione e inversione di matrice: TSVD; • tolleranza della TSVD: 10−5 ; • metodo dei momenti di corrente centrati nei valori medi delle coordinate radiali e verticali dei filamenti scelti per il plasma; • ordine dei momenti m (4, 5, al più 7); • numero dei filamenti n (2, 3, al più 8); • posizione dei filamenti: coordinata R pari al valore di RC del centroide, coordinata Z pari a ZC ± raggio 2 ; • raggio: distanza tra la Rc e la coordinata R del primo punto di contatto del plasma con il vessel. Le matrici variabili, perché dipendenti da numero e posizione dei filamenti, sono: 1) Virtual to Moments. Le dimensioni di questa matrice sono: V irtualT oM oments ∈ Rm×1440 , ossia il numero di momenti scelti rispetto alle misure virtuali; 2) Moments to Filaments. Con la tecnica di TSVD si calcola questa matrice a partire dalla FilamentsToMoments. La dimensione della matrice è: Rn×m ; 3) Filaments to Virtual di dimensioni R2160×n ; 4) Virtual to Filaments di dimensioni Rn×2160 . Come si può notare dalle dimensioni riportate, l’operazione di inversione per una matrice Rm×n è poco onerosa e quindi eseguibile in real-time. Anche il calcolo computazionale delle Green-Functions è modesto perchè sono pochi i filamenti scelti. 109 CAP. 6 RICOSTRUZIONE DI PLASMI PARTICOLARI In base a queste nuove dimensioni, dalla combinazione matriciale di somme e prodotti espressa nello schema 6.2, si ha la seguente rappresentazione compatta del modello: MATRIX · INPUT CORRENTI = IP LASM A IF ERRO IP F ] MP LASM A [ MF ERRO · m IP F MP F = (6.2.1) [(n + 150) × 1] = [(n + 150) × 66] · [66 × 1] Le differenti dimensioni della matrice a blocchi MATRIX, rispetto alla (4.2.19), sono: 1) MP LASM A è la somma delle matrici che permettono di ricavare IP LASM A e ∆IP LASM A . La dimensione è Rn×66 ; 2) MF ERRO e MP F mantengono le stesse dimensioni viste. Come per la fase centrale della scarica, anche per lo start-up è indispensabile considerare i contributi di ferro e dei circuiti PF se si vuole ottenere un’adeguata ricostruzione del flusso esterno al plasma. La figura 6.3 mostra, infatti, quanto contribuisce la modellizzazione delle strutture di supporto alla mappa di flusso totale. Mappa isoflusso con 12 filamenti di PLASMA + PF. Confronto tra Modello Filamentare ed EFIT Mappa isoflusso con 12 filamenti di PLASMA + PF e FERRO. Confronto tra Modello Filamentare e EFIT 2 2 1.5 1.5 1 1 0.5 0.5 0 0 −0.5 −0.5 −1 −1 −1.5 −2 −1.5 1 1.5 2 2.5 PULSE: 53045 3 3.5 TEMPO: 40.6916 [sec] 4 4.5 5 −2 1 1.5 2 2.5 PULSE: 53045 3 3.5 TEMPO: 40.6916 [sec] 4 4.5 5 Figura 6.3: a) Ricostruzione di flusso senza la modellizzazione del ferro. b) Mappa ottenuta dalla somma dei contributi di plasma, coils polidali e ferro. 110 CAP. 6 RICOSTRUZIONE DI PLASMI PARTICOLARI 6.3 Simulazioni e risultati Il confronto che si riporta è tra la ricostruzione filamentare del Plasma Operation Department e quella del gruppo di ricerca “CREATE” dell’Università di Napoli. Gli errori al boundary che verranno presentati sono dati dal fatto che quest’ultimo codice, denominato MSWTOOL [30], comprende una modellizzazione più accurata del ferro. Essa tiene conto del livello di saturazione nel quale si trovano le componenti attive della macchina man mano che il plasma cambia le proprie proprietà elettromagnetiche durante la scarica. Ciò è possibile in quanto l’implementazione non real-time di MSWTOOL permette di non trascurare i fenomeni fisici legati alle proprietà dei materiali coinvolti. I filamenti scelti dal Create sono disposti lungo una corona circolare interna al plasma e sono di qualche decina. Il modello filamentare implementato in questa sezione ottiene risultati soddisfacenti, rispetto all’MSWTOOL, già con l’utilizzo di 4 o 8 filamenti. Gli errori commessi nel punto di RIG dai due modelli sono riportati nella tabella 6.1, nella quale si evidenzia il progressivo aumento degli errori con il trascorrere del tempo. Il plasma, infatti, aumenta le proprie dimensioni e il modello filamentare ridotto non è in grado di ricostruire fedelmente il suo boundary. Istante di tempo [sec] 40.35 40.45 40.55 40.65 40.75 40.85 ERRORI AL RIG [cm] 4 Filamenti 8 Filamenti 3.5 3 2 0.5 < 0.5 1.2 < 0.1 1.8 1.5 <3 2 3 Tabella 6.1: Valori numerici degli errori di RIG tra la ricostruzione filamentare del CREATE e quella del JET, per i primi istanti di start-up. L’impulso è il n◦ 70699. 111 CAP. 6 RICOSTRUZIONE DI PLASMI PARTICOLARI Corrente I = −325276.9375 A Corrente I p = −376162.2188 A p P.O.D. CREATE EFIT 2 P.O.D. CREATE EFIT 2 1.5 1.5 1 1 0.5 0.5 Z [m] Z [m] 0 0 −0.5 −0.5 −1 −1 −1.5 −1.5 −2 −2 0.5 1 1.5 2 2.5 3 3.5 PULSE: 70699 TEMPO: 40.35 [sec] 4 4.5 5 5.5 (a) L’istante di tempo è t = 40.35 sec. 0.5 1 1.5 2 2.5 3 3.5 PULSE: 70699 TEMPO: 40.45 [sec] 4 4.5 5 5.5 (b) L’istante di tempo è t = 40.45 sec. Corrente I p = −425056.1875 A Corrente I p = −476339.7188 A P.O.D. CREATE EFIT 2 P.O.D. CREATE EFIT 2 1.5 1.5 1 1 0.5 0.5 Z [m] Z [m] 0 0 −0.5 −0.5 −1 −1 −1.5 −1.5 −2 0.5 1 1.5 2 2.5 3 3.5 PULSE: 70699 TEMPO: 40.55 [sec] 4 4.5 5 −2 5.5 (c) L’istante di tempo è t = 40.55 sec. 0.5 1 1.5 2 2.5 3 3.5 PULSE: 70699 TEMPO: 40.65 [sec] 4 4.5 5 5.5 (d) L’istante di tempo è t = 40.65 sec. Corrente I p = −528971.1875 A Corrente I p = −566744.5625 A P.O.D. CREATE EFIT 2 P.O.D. CREATE EFIT 2 1.5 1.5 1 1 0.5 0.5 Z [m] Z [m] 0 0 −0.5 −0.5 −1 −1 −1.5 −1.5 −2 0.5 1 1.5 2 2.5 3 3.5 PULSE: 70699 TEMPO: 40.75 [sec] 4 4.5 5 (e) L’istante di tempo è t = 40.75 sec. 5.5 −2 0.5 1 1.5 2 2.5 3 3.5 PULSE: 70699 TEMPO: 40.85 [sec] 4 4.5 5 5.5 (f) L’istante di tempo è t = 40.85 sec. Figura 6.4: Confronto tra modello filamentare del Plasma Operation Department (P.O.D. nelle legende) e del CREATE per l’impulso n◦ 70699. Il numero di filamenti è 4, i momenti sono 3. È presente anche la ricostruzione magnetica operata da EFIT, sebbene il codice non sia completamente attendibile per questi istanti di tempo. 112 CAP. 6 RICOSTRUZIONE DI PLASMI PARTICOLARI Corrente I p = −325276.9375 A Corrente I p = −376162.2188 A P.O.D. CREATE EFIT 2 P.O.D. CREATE EFIT 2 1.5 1.5 1 1 0.5 0.5 Z [m] Z [m] 0 0 −0.5 −0.5 −1 −1 −1.5 −1.5 −2 0.5 1 1.5 2 2.5 3 3.5 PULSE: 70699 TEMPO: 40.35 [sec] 4 4.5 5 −2 5.5 (a) L’istante di tempo è t = 40.35 sec. 0.5 1 1.5 2 2.5 3 3.5 PULSE: 70699 TEMPO: 40.45 [sec] 4 4.5 5 5.5 (b) L’istante di tempo è t = 40.45 sec. Corrente I p = −425056.1875 A Corrente I p = −476339.7188 A P.O.D. CREATE EFIT 2 P.O.D. CREATE EFIT 2 1.5 1.5 1 1 0.5 0.5 Z [m] Z [m] 0 0 −0.5 −0.5 −1 −1 −1.5 −1.5 −2 0.5 1 1.5 2 2.5 3 3.5 PULSE: 70699 TEMPO: 40.55 [sec] 4 4.5 5 −2 5.5 (c) L’istante di tempo è t = 40.55 sec. 0.5 1 1.5 2 2.5 3 3.5 PULSE: 70699 TEMPO: 40.65 [sec] 4 4.5 5 5.5 (d) L’istante di tempo è t = 40.65 sec. Corrente I p = −528971.1875 A Corrente I p = −566744.5625 A P.O.D. CREATE EFIT 2 P.O.D. CREATE EFIT 2 1.5 1.5 1 1 0.5 0.5 Z [m] Z [m] 0 0 −0.5 −0.5 −1 −1 −1.5 −1.5 −2 0.5 1 1.5 2 2.5 3 3.5 PULSE: 70699 TEMPO: 40.75 [sec] 4 4.5 5 (e) L’istante di tempo è t = 40.75 sec. 5.5 −2 0.5 1 1.5 2 2.5 3 3.5 PULSE: 70699 TEMPO: 40.85 [sec] 4 4.5 5 5.5 (f) L’istante di tempo è t = 40.85 sec. Figura 6.5: Confronto tra modello filamentare del CREATE e modello filamentare del Plasma Operation Department per l’impulso n◦ 70699. Il numero di filamenti è 8, il numero dei momenti di corrente è 7. 113 CAP. 6 RICOSTRUZIONE DI PLASMI PARTICOLARI Per istanti di tempo precedenti a quelli mostrati, occorre ridurre il numero di filamenti e di momenti. Infatti, vista l’ulteriore semplicità della forma e le ridotte dimensioni, non occorrono più di 2 filamenti e 2 momenti. Corrente I p = −0.27629 MA Corrente I p = −0.24052 MA P.O.D. CREATE EFIT 2 P.O.D. CREATE EFIT 2 1.5 1.5 1 1 0.5 0.5 Z [m] Z [m] 0 0 −0.5 −0.5 −1 −1 −1.5 −1.5 −2 0.5 1 1.5 2 2.5 3 3.5 PULSE: 70699 TEMPO: 40.15 [sec] 4 4.5 5 (a) L’istante di tempo è t = 40.15 sec. 5.5 −2 0.5 1 1.5 2 2.5 3 3.5 PULSE: 70699 TEMPO: 40.25 [sec] 4 4.5 5 5.5 (b) L’istante di tempo è t = 40.25 sec. Figura 6.6: Confronto Plasma Operation Department, CREATE ed EFIT per istanti di tempo con corrente di plasma molto bassa. Nonostante gli errori per le differenti modellizzazioni, la ricostruzione dei tre codici è, nel complesso, paragonabile e accettabile. Come ultimo risultato, si presentano una serie di grafici che dimostrano il possibile utilizzo del modello filamentare ridotto per ricostruire plasmi di forma relativamente semplice anche per istanti successivi lo start-up. La figura 6.7 presenta i boundary ricostruiti da EFIT e dal modello filamentare ridotto per l’impulso n◦ 70418 nell’intervallo di tempo che va dai 40.06 ai 43.06 secondi con tempo di campionamento pari a 0.25 sec. In tutte le figure sono stati disegnati i 4 filamenti utilizzati e il centroide, le cui posizioni variano in base alle dimensioni del plasma secondo il criterio già discusso. Ciò serve per sottolineare come il modello filamentare sia in grado di passare dai fenomeni di ripple intorno ai filamenti (in t = 40.06 sec) ad una buona ricostruzione topologica, nonostante il plasma assuma grandi dimensioni (si mantiene in limiter fino a toccare la parte interna del vessel). 114 CAP. 6 RICOSTRUZIONE DI PLASMI PARTICOLARI Corrente I p = −214323.2031 A 2 Corrente I p = −614016.8125 A 2 M.Filamentare EFIT 1.5 Corrente I p = −734577.25 A 2 M.Filamentare EFIT 1.5 1 1 1 0.5 0.5 0.5 Z [m] Z [m] Z [m] 0 0 0 −0.5 −0.5 −0.5 −1 −1 −1 −1.5 −1.5 −1.5 −2 1 2 3 4 PULSE: 70418 TEMPO: 40.06 [sec] −2 5 1 Corrente I p = −822581.8125 A 2 2 3 4 PULSE: 70418 TEMPO: 40.31 [sec] −2 5 1 1 0.5 0.5 Z [m] Z [m] 0 0 0 −0.5 −0.5 −0.5 −1 −1 −1 −1.5 −1.5 −1.5 −2 5 1 Corrente I p = −920706.6875 A 2 2 3 4 PULSE: 70418 TEMPO: 41.06 [sec] −2 5 1 1 0.5 0.5 Z [m] Z [m] 0 0 0 −0.5 −0.5 −0.5 −1 −1 −1 −1.5 −1.5 −1.5 −2 5 1 Corrente I p = −1102385.625 A 2 2 3 4 PULSE: 70418 TEMPO: 41.81 [sec] −2 5 1 1 0.5 0.5 Z [m] Z [m] 0 0 0 −0.5 −0.5 −0.5 −1 −1 −1 −1.5 −1.5 −1.5 5 M.Filamentare EFIT 1.5 1 2 3 4 PULSE: 70418 TEMPO: 42.31 [sec] 5 Corrente I p = −1346981.5 A 0.5 Z [m] 2 3 4 PULSE: 70418 TEMPO: 42.06 [sec] 2 M.Filamentare EFIT 1.5 1 1 Corrente I p = −1190359.625 A 2 M.Filamentare EFIT 1.5 −2 M.Filamentare EFIT 1.5 1 2 3 4 PULSE: 70418 TEMPO: 41.56 [sec] 5 Corrente I p = −993012.4375 A 0.5 Z [m] 2 3 4 PULSE: 70418 TEMPO: 41.31 [sec] 2 M.Filamentare EFIT 1.5 1 1 Corrente I p = −934606.9375 A 2 M.Filamentare EFIT 1.5 −2 M.Filamentare EFIT 1.5 1 2 3 4 PULSE: 70418 TEMPO: 40.81 [sec] 5 Corrente I p = −894582.75 A 0.5 Z [m] 2 3 4 PULSE: 70418 TEMPO: 40.56 [sec] 2 M.Filamentare EFIT 1.5 1 1 Corrente I p = −855747.3125 A 2 M.Filamentare EFIT 1.5 −2 M.Filamentare EFIT 1.5 −2 1 2 3 4 PULSE: 70418 TEMPO: 42.56 [sec] 5 −2 1 2 3 4 PULSE: 70418 TEMPO: 43.06 [sec] 5 Figura 6.7: Evoluzione temporale del boundary di EFIT e del modello filamentare ridotto per lo shot n◦ 70418 nell’intervallo di scarica [40.06 ÷ 43.06] secondi. Il numero di filamenti è 4, il numero dei momenti di corrente è 3. 115 Capitolo 7 CONCLUSIONI E SVILUPPI FUTURI Lo stage semestrale, finanziato dal programma europeo “Leonardo” e finalizzato allo svolgimento di tesi presso il centro ricerche JET di Culham, ha avuto i seguenti obiettivi: • validare l’approccio filamentare per la ricostruzione del boundary di plasma; • evidenziare i miglioramenti che si possono conseguire con questa modellazione rispetto a quella attualmente utilizzata dal dipartimento responsabile del controllo del JET; • investigare sulle possibili fasi di plasma nelle quali il modello filamentare è in grado di ottenere risultati utili e attendibili. Uno sviluppo futuro prevede di impostare FELIX in maniera che riesca ad inseguire, dinamicamente, la forma e la posizione di plasma con il modello filamentare ridotto e quello completo. Si può pensare, infatti, di implementare una procedura che ricostruisca la fase di start-up con un numero sufficientemente basso di filamenti finché la grandezza della colonna di plasma non richieda di applicare il modello esteso, per poi tornare ad una semplificazione del modello nella fase di terminazione (con o senza 116 CAP. 7 CONCLUSIONI E SVILUPPI FUTURI disruption). L’inseguimento dell’evoluzione temporale del plasma sarebbe così completo e autonomo per tutta la durata dell’esperimento. Dai risultati del capitolo 5 e 6 si può concludere che molti vantaggi verrebbero apportati se venisse sostituita la modellizzazione polinomiale con quella filamentare. Si ricorda, inoltre, che le considerazioni fatte riguardano nello specifico il JET ma potrebbero essere facilmente estese a qualsiasi macchina da fusione sparsa nel mondo, grazie alla configurabilità dei codici visti. Ad esempio, un progetto concreto che muove i passi da questa tesi è quello che si sta delineando presso i laboratori del tokamak FTU dell’ENEA-Frascati. Sotto il suggerimento e la supervisione del prof. Zaccarian, infatti, si stanno valutando diverse idee per una concreta collaborazione con gli ingegneri del JET. L’interesse è principalmente orientato ad: • individuare un sistema dinamico in grado di scegliere numero e posizioni dei filamenti utili alla ricostruzione del boundary per ogni passo di campionamento; • utilizzare una serie di calcolatori, posti in parallelo, per la risoluzione delle Green Functions relative ai filamenti scelti; • applicare il modello filamentare ridotto e completo al tokamak FTU. Il macchinario italiano, infatti, offre il vantaggio di generare un plasma piuttosto regolare, circolare e di dimensioni ridotte. L’assenza dell’X-Point, inoltre, determina un’ulteriore semplificazione per investigare le fasi aventi una dinamica molto veloce. FTU, sotto questo aspetto, potrebbe rappresentare un valido tokamak su cui sviluppare e testare le idee che si vogliono applicare nel prossimo futuro al JET. 117 Appendici 118 Appendice A XLOC: modello numerico In questa appendice si riporta nel dettaglio il modello implementato nel codice XLOC. Si utilizza la seguente espressione della serie di Taylor per esprimere le misure dei sensori presenti intorno al vessel: Ψ(ρ, z) = ∑ ai,j ρi z j (A.1) 0≤i+j≤n Sebbene il codice implementato utilizzi l’ordine n pari a 6, in questa appendice si è scelto di ridurre le dimensioni delle variabili in gioco per facilitare il lettore nei passaggi numerici. Con la scelta di n = 3 ⇒ (i + j) ≤ 3, l’equazione (A.1) si espande in: Ψ(ρ, z) = a00 +a10 ρ+a01 z+a20 ρ2 +a11 ρz+a02 z 2 +a30 ρ3 +a21 ρ2 z+a12 ρz 2 +a03 z 3 (A.2) Il numero di elementi che devono costituire la base di funzioni polinomiali da scegliere è ricavato da: N= (ordine + 1) · (ordine + 2) 4·5 = = 10 2 2 Si definisce ora la base suddetta in termini di potenze delle coordinate (ρ, z): }T { F10 = 1, ρ, z, ρ2 , ρz, z 2 , ρ3 , ρ2 z, ρz 2 , z 3 (A.3) 119 APP. A XLOC: modello numerico Ordine 1 3 2 3 Sequenza 1 ρ ρ ρ3 z 2 z2 ρz ρ2 z ρz 2 z3 Combinazione 1 2 3 4 La sequenza scelta per la (A.3) deriva dal triangolo di Pascal ora presentato. Il modello polinomiale può essere scritto in forma matriciale: Ψ(ρ, z) = F10 (ρ, z)T · a (A.4) con a il vettore dei coefficienti incogniti ottenuti dall’elaborazione delle misure magnetiche. Dopo il cambio di variabile (r → ρ) con il quale si può ottenere una migliore normalizzazione dei polinomi utilizzati, l’operatore di Grad-Shafranov visto in (3.1.17) può essere riscritto nella seguente forma: ∆∗ Ψ = 4(ρ + r02 ) ∂ 2Ψ ∂ 2Ψ + ∂ρ2 ∂z 2 (A.5) L’equazione del flusso viene ora vincolata a soddisfare la condizione di vuoto: si applica l’operatore differenziale ∆∗ ad entrambi i membri dell’equazione (A.4) e si uguaglia a zero in virtù della relazione del vuoto. ( ) ∆∗ Ψ = ∆∗ F10 (ρ, z)T · a = 4(ρ + r02 )(2a20 + 6a30 ρ + 2a21 z) + 2a02 + 2a12 ρ + 6a03 z = 4a20 ρ + 12a30 ρ2 + 4a21 ρz + 4a20 r02 + 12a30 r02 + 4a21 r02 z + a02 + a12 ρ + 3a03 z = 0 (A.6) 120 APP. A XLOC: modello numerico In forma matriciale ciò si scrive: T 4r02 1 ρ 4 z 2 ρ ρz 2 · z 3 ρ ρ2 z ρz 2 z3 1 12r02 1 4r02 12 4 a00 1 a10 a01 3 a20 a11 · =0 a02 a30 a21 a12 a03 Da cui si ricava: ∆∗ Ψ = F10 (ρ, z)T · L∗ (r0 , z0 ) · a = 0 ⇒ L∗ (r0 , z0 ) · a = {00...0}T ∀ρ, z (A.7) dove L∗ esprime i vincoli lineari dipendenti dalla scelta del centro di espansione (r0 , z0 ). Si definisce CtoA la matrice di tutti i vettori nel kernel di L∗ , così che L∗ · CtoA = 0. In tal modo, le colonne di CtoA possono essere usate per definire una nuova base di polinomi Gridotto = CtoAT · F10 , la cui grandezza è così ricavata: N ridotto = 3·4 ordine · (ordine + 1) −1= −1=5 2 2 Nell’esempio in esame, la base G5 è così costituita: 1 ρ T T z [G] = F10 · CtoA = 2 ρ − 4r02 z 2 − 4ρz 2 ρz → G1 → G2 → G3 → G4 → G5 Il flusso può essere ora calcolato usando la seguente espressione: Ψ(ρ, z) = G5 (ρ, z)T · c (A.8) = F10 (ρ, z)T · CtoA · c ⇒ a = CtoA · c 121 APP. A XLOC: modello numerico dove c è un vettore di coefficienti ottenuto dal best fit pesato delle misure rispetto alla base di funzioni individuata: errore = ∑ wj (mj − m̂j )2 + ∑ wk (Ψ̂r1 (k) (Pk ) − Ψ̂r2 (k) (Pk ))2 (A.9) dove: • m è una misura di flusso, campo o della differenza di flusso tra due punti; • m̂ è la sua ricostruzione; • w sono opportuni pesi; • P è la posizione dei “soft tie points”; • Ψ̂r1 (k) è la funzione polinomiale (A.8) della k-esima regione in un lato del “tie point”; • Ψ̂r2 (k) è la funzione polinomiale (A.8) della regione adiacente nello stesso “tie point”. Per ricostruire la misura di flusso in una posizione di P basta calcolare il vettore di costanti g = G5 (P ) ed eseguirne il prodotto scalare gT ·c. In generale si può utilizzare la matrice CtoMeasure contenenti i coefficienti gi relativi alle varie misure per le 5 regioni di interesse: m̂ = CtoMeasure · c ∀ regione (A.10) Ora non resta che operare l’inversione della relazione (A.10) e ottenere così il vettore dei coefficienti da inserire in (A.8). XLOC a questo punto utilizza le condizioni aggiuntive degli hard e soft points per ridurre i gradi di libertà della matrice CtoMeasure. Questi vincoli restrittivi sono nella forma: Htie points · c = 0, ossia ΨHP (i) − ΨHP (i+1) = 0 (A.11) 122 APP. A XLOC: modello numerico Una volta eseguita l’inversione (diretta o tramite pseudo-inversa) si può scrivere: c = CtoMeasure† · m̂ = T · m̂ (A.12) L’espressione finale che permette di ricavare il flusso con un vettore di misure in ingresso è: Ψ(ρ, z) = 5 ∑ Gi (ρ, z) · c i=1 =P ·c (A.13) = P · T · m̂ Il campo magnetico poloidale può essere espresso in maniera analoga: Br (ρ, z) = 5 ∑ Hri (ρ, z) · c Bz (ρ, z) = i=1 5 ∑ Hzi (ρ, z) · c i=1 I coefficienti di queste matrici sono ricavate dai coefficienti della matrice di flusso utilizzando le seguenti relazioni differenziali: hri = − 1 ∂gi r ∂z hzi = 1 ∂gi r ∂r ¥ 123 Appendice B Implementazione in real-time Questa appendice presenta il software FELIX dal punto di vista implementativo. Spiega il nuovo approccio utilizzato per configurare ed eseguire questo tool in real-time. Database di FELIX L’idea di sviluppare un software indipendente dalle specifiche della macchina e facilmente modificabile per risolvere il problema della ricostruzione magnetica ha dato esito, negli ultimi anni, ad un set di database gerarchici implementati su file e dalla sintassi estremamente user-friendly (vedere anche [31]). Dal punto di vista computazionale, FELIX è, infatti, un’applicazione configurabile tramite la modifica di semplici script denominati Configuration Databases. Ciascun database è concepito come un contenitore di oggetti. Ogni sub-database, infatti, è la radice di un sotto-albero, le cui foglie sono i parametri di ciascun elemento. Gli oggetti possono riferirsi a parti fisiche del tokamak o descrivere proprietà astratte come i momenti di campo. L’obiettivo che deve essere eseguito da FELIX è completamente determinato dalle informazioni contenute in questi databases, distinti in MCF, PCF, TCF. 124 APP. B Implementazione in real-time Machine Configuration File Il file MCF descrive le geometrie degli elementi del macchinario dal punto di vista magnetico. Contiene le informazioni su come viene fornita la potenza, su come sono connesse le coils e i componenti esterni per formare i vari circuiti elettrici. Inoltre, presenta i differenti modelli sviluppati per risolvere il problema magnetico in questione. Ad esempio, vi possono essere differenti boundary reconstruction code o differenti equilibrium reconstruction code. Le informazioni contenute in questo database sono schematizzate in figura B.1: RList P3MU ZList Coil = AC04 D1 Figura B.1: Struttura ad albero di un MCF con un esempio di ramo e foglie. 1) Signals: elenco degli input e output del modello; 2) Circuits: la connessione in serie e/o parallelo tra gli elementi bipolari elettrici di un tokamak forma i circuiti. Un circuito è definito da un proprio nome e dalla lista dei nomi dei propri componenti. La matrice a 2 righe “Connections” determina la modalità di collegamento dei terminali di ciascun bipolo rispetto agli altri. Per chiarezza, si riporta l’esempio del circuito poloidale SHAPE, sia con il listato di configurazione che con la figura corrispondente: 125 APP. B Implementazione in real-time Circuits = { Shape = { Components Connections 0 1 = = = = {ISHP P2SUI P2SUE P3SU P3SL P2SLE P2SLI} { {0 0 1 3 4 4 5} {6 1 2 2 3 5 6} } } } Figura B.2: Generatore di corrente e coils che costituiscono il circuito di Shape. 3) Geometry: elementi e strutture della macchina con relative tipologie, misure, distanze, posizioni. Si riporta l’esempio della coil P3MU, corrsipondente anche alla struttura di figura B.1: Geometry = { P3MU = { RList = { 3 . 8 2 7 ZList = {3.107 AC04 = { Type = Width = Height = NTurns = } } } 3.863} 3.107} PolyTurn 0.036 0.082 2 126 APP. B Implementazione in real-time 4) Elements: blocchi elementari che cosituiscono un circuito. Sono generatori di corrente e/o tensione, resistori, induttori, coils, etc..; 5) Plasma: misure della dimensione e posizione del plasma in relazione alla prima parete del vessel. Questa parte di codice si basa sulla mappa di flusso globale del tokamak, computata dalle sezioni Circuits e Geometry. Gli oggetti che fanno parte di questa sezione sono: Limiter e flux-point, X-Point nell’area di ricerca del piano poloidale, Probe (calcolo del flusso o campo in un dato insieme di posizioni), Saddle (calcolo del flusso per una saddle-coil), Gaps, Boundary Path, Strike Point. La sequenza di esecuzione è essenziale perché alcuni di questi oggetti possono aver bisogno delle uscite degli oggetti precedenti. Program Configuration File Il file PCF contiene istruzioni necessarie per evitare di scrivere differente codice per ogni applicazione. Con la configurazione del PCF, l’utente sceglie con quale input controlla il sistema, se il plasma è presente o meno, quale modello vuole utilizzare per la sua rappresentazione, quali strutture passive considerare, quale modello di circuito adottare, quali risultati generare, etc. Alcune informazioni possono essere le stesse dell’MCF, sostituite o aggiunte. Le sezioni che costituiscono questo database sono: 1) CodeInputs: definisce gli input che verranno forniti al codice; 2) CodeOutputs: scelta per le uscite delle correnti, tensioni, flusso, campo, gaps; 3) Components: lista degli elementi dei Circuits e del Plasma dell’MCF che devono essere implementati e simulati da Felix; 127 APP. B Implementazione in real-time 4) Link: quando un segnale è allo stesso tempo uscita di un procedimento e ingresso di un altro si chiama link ; 5) Signals: inputs, outputs e link. Transitional Configuration File Il file TCF contiene i risultati delle analisi e degli algoritmi di ottimizzazione in una forma che semplifica l’implementazione del codice real-time. Per questo database è necessario anche qualche informazione derivante dall’MCF e PCF. Le sezioni che costituiscono questo database sono le seguenti: 1) Checks: prima di eseguire il codice e relativi calcoli, Felix deve verificare se gli input sono all’interno di un certo range ammissibile, altrimenti interrompe l’esecuzione successiva con un errore; 2) Dynamic: descrive i calcoli necessari a computare le correnti passive nel vessel e a simulare l’evoluzione delle correnti nei circuiti; 3) Coefficients: descrive i coefficienti necessari per calcolare le funzioni di flusso e campo magnetico; 4) Base: descrive la base della mappa di flusso e consente di scegliere la modellizzazione di XLOC o del modello filamentare, differenziandosi in: - Base Polinomiale: contiene le coordinate del centro dell’espansione e il vettore di pesi ordinato in base ad una data sequenza di potenze (Appendice A); - Base Filamentare: contiene due liste delle coordinate di ciascun filamento utilizzato e un vettore di pesi, come si evidenzia per la coil poloidale P3MU: 128 APP. B Implementazione in real-time Base = { PF_P3MU = { Type RList ZList Weigths } } = = = = Filamentary {3.827 3.863} {3.107 3.107} {1 1 } 5) Regions: è la lista delle differenti basi da utilizzare in ciascuna regione del piano poloidale. L’area della regione è data da tutti i punti più vicini al suo centro. I segnali che devono essere utilizzati come pesi per gli elementi della base sono elencati nel vettore InputMap. Per XLOC si riporta l’esempio della regione 0, costituita dalla base polinomiale P0 e dalle 4 basi filamentari dedicate ai divertori (F7, F8, F9, F10): Regions = { 0 = { RCentre ZCentre Base InputMap P0 = = = = = 2.67500 −1.60000 { P0 F7 F8 F9 F10 } { { felixCCoeff00 felixCCoeff01 felixCCoeff03 felixCCoeff04 felixCCoeff06 felixCCoeff07 felixCCoeff09 felixCCoeff10 felixCCoeff12 } F7 = ID1 F8 = ID2 F9 = ID3 F10 = ID4 } } } felixCCoeff02 felixCCoeff05 felixCCoeff08 felixCCoeff11 Per il modello filamentare, invece, si ha un’unica regione costituita da 100 basi filamentari per il plasma, 140 per il ferro e 22 per ciascuna parte nelle quali vengono 129 APP. B Implementazione in real-time scomposte le bobine poloidali. L’InputMap è dato dalle 100 correnti che scorrono nei filamenti di plasma, 140 in quelli di ferro e 10 per i circuiti di PF. 6) Plasma, CodeInputs, CodeOutputs, Link, Signals: stesse sezioni del PCF. Programmi di Felix Lo schema B.3 mostra i link tra i tre file di configurazione descritti. Dall’MCF (descrizione della macchina) e PCF (scelta tra i differenti modelli e soluzioni nell’MCF), applicando un’ottimizzazione, il TCF viene preparato per essere caricato ed eseguito dai programmi real-time o off-line di FELIX. Ognuno di questi algoritmi, GAM, sono scritti in C++, possono essere compilati ed eseguiti allo stesso modo su diverse piattaforme (Windows, Linux, Solaris, VxWorks). Figura B.3: Connessioni tra MCF, PCF e TCF. FELIX-RT L’algoritmo di real time, FELIX-RT, contiene il numero minimo di operazioni necessarie per creare il codice di uscita da ogni vettore di dati in ingresso. Tutti i parametri utilizzati nei calcoli sono stati elaborati da algoritmi di pre-processamento e scritti nel TCF. Il codice è in grado di interpretare il TCF e costruire tutti gli oggetti in esso contenuti. Questo codice viene anche utilizzato per processare i dati dopo l’impulso. 130 APP. B Implementazione in real-time Il codice è sostanzialmente suddiviso in due parti che vengono eseguite in sequenza. La prima, Magnetic Model, computa la mappa di flusso, mentre la seconda, Plasma Topology, calcola la geometria del plasma dall’ultima superficie chiusa di flusso. Inoltre, ci sono condizioni sulla validità del modello adottato per la mappa di flusso. Ad esempio, il centro del plasma deve essere all’interno di una certa area, la corrente di plasma dovrebbe essere superiore ad una certa soglia. Questi valori sono specificati nel TCF come checks, prima di ogni iterazione. Mappa di flusso o di campo. Molti degli oggetti presenti nella sezione Plasma richiedono di calcolare il flusso o il campo magnetico su un gran numero di punti. Questo processo è accelerato dal decomporre il campo in un certo numero di vettori e dal procurare i pesi per questi vettori come uscita della sezione Coefficients. La maggior parte della complessità computazionale è data dal calcolo di questi vettori nelle posizioni desiderate del piano poloidale. Questo task è eseguito solo una volta dalla routine di inizializzazione di FELIX-RT, la quale processa prima le sezioni Regions e Bases e poi fornisce i vettori pre-calcolati in ogni punto del piano richiesto dagli oggetti di Geometry. FELIX-OPT La matrice per le simulazioni delle uscite delle sonde o dei circuiti sono fornite dal programma FELIX-OPT nella sezione Outputs del TCF. I modelli descritti nell’MCF, infatti, non possono essere utilizzati direttamente nelle elaborazioni real-time. Le matrici relative sia ai calcoli magnetici sia alla geometria del plasma sono ottenute, quindi, dopo un processo di ottimizzazione eseguito da questo software. 131 APP. B Implementazione in real-time Figura B.4: Processo non real-time di Felix: vengono letti e ottimizzati i modelli che saranno utilizzati dalla parte real-time di codice. Questa è la sequenza di azioni che viene eseguita da FELIX-OPT: • apre i database MCF e PCF; • legge i componenti presenti dal PCF; • legge gli input, output e link dal PCF e crea la lista dei segnali; • legge i segnali, circuiti, elementi e geometria dall’MCF, crea le matrici dei circuiti e identifica le coil attive; • mette in ordine i calcoli da eseguire; • riduce le matrici dei circuiti rimuovendo le evoluzioni troppo veloci o gli stati non osservabili; • crea la base per ciascuna regione e le ottimizza tramite la SVD; • scrive nel TCF le sezioni relative alle basi, regioni, checks, dynamic, coefficients e i soli output necessari. • copia le sezioni relative al plasma e ai segnali. Algoritmi di creazione del modello I modelli di plasma, ferro e delle strutture passive contenuti nell’MCF sono approssimazioni linearizzate. In base alla disponibilità di sensori o alle configurazioni di 132 APP. B Implementazione in real-time plasma, differenti modelli possono dare risultati migliori. Qualcuno produce risultati più accurati in circostanze particolari, altri sono più robusti e validi. Questi modelli non sono ottenuti direttamente dalle dimensioni della macchina ma usano informazioni aggiuntive come, per esempio, i dati dell’equilibrio immagazzinati in un database di esperimenti. Figura B.5: Il sistema che crea il modello utilizza l’MCF con informazioni ulteriori derivanti da altri database. Termina il proprio task dopo aver aggiunto un nuovo modello all’MCF stesso. Documentazione GAM Tutti i segnali, come input, output e dati intermedi, sono registrati in un Dynamic Data Buffer (DDB) a cui hanno accesso tutti i codici tramite applicazioni real-time denominate Generic Application Module (GAM). Ogni GAM è inserita nella catena esecutiva dopo appositi test che ne riducono la possibilità di errore e, di conseguenza, il tempo di debug. Inoltre, poiché ogni GAM lavora utilizzando un file di configurazione, ogni cambiamento non implica la ricompilazione dell’intera applicazione. In questa sezione si parla, nel dettaglio, delle GAM principali che sono state utilizzate per far girare il modello filamentare al JET e ottenere i risultati proposti nei capitoli precedenti. Il file di configurazione principale, “Master.cfg”, è qui riportato: 133 APP. B Implementazione in real-time SimulatorInputs = { TimeBase = {CFG = TimeGenerator . c f g } DataLoader = {CFG = RTDNIO_Z. c f g } } RealTime = { F e l i x = {CFG = Model . c f g } } SimulatorOutputs = { Output = {CFG = Out . c f g } } Si possono distinguere 3 parti principali: quella relativa agli ingressi, quella al realtime e quella per le uscite. La prima si interessa della configurazione della base dei tempi e del caricamento dei segnali necessari; la seconda descrive la modellizzazione del plasma adottata; la terza determina le variabili di uscita. Si riporta, ora, la descrizione delle GAM corrispondenti. BaselineSimGAM Questa GAM fornisce il riferimento alla base dei tempi, il numero di impulso provato o una lista di impulsi per iterazioni multiple. Di default, i nomi dei segnali inseriti nel DDB sono: • GLOBALTIME: tempo in secondi; • TIMECOUNTER: contatore degli step eseguiti; • UsecTime: tempo in microsecondi; • PULSE: numero di scarica. Le opzioni che si possono impostare sono: • Tstart: istante iniziale dell’elaborazione o una lista di istanti; 134 APP. B Implementazione in real-time • Tend: istante finale dell’elaborazione; • Tstep: permette di scegliere una lista di tempi (anche non consecutivi) che devono essere prodotti; • FileCFG: nome di un file da inserire; • Console: permette di attivare l’uscita su un video; • Logger: permette di attivare l’uscita su un logger. Esempio di “TimeGenerator.cfg”: DLLName = BaselineSimGAM T s t a r t = 40 Tend = 80 // Tstep = { 5 2 . 3 9 5 5 . 7 7 6 4 . 3 5 } Freq = 100 // [ Hz ] PulseNumber = {52014 49790 49165 49790 49935 50000 50039} Console = On Logger = O f f Questa GAM imposta un intervallo di tempo che va dai 40 agli 80 secondi con passo di campionamento pari a 10 ms. Gli impulsi scelti sono nella lista corrispondente e i risultati vengono stampati sulla console. LoadData Questa GAM fornisce la struttura dati input/output utilizzata dalle varie applicazioni di FELIX. Può caricare dati sia dal JPF che da file di testo. La lista dei pacchetti e le loro strutture sono immagazzinate nel file RTDNIO_Z.cfg. Se omesso, viene caricato un set standard di segnali. Di default, i nomi dei segnali caricati dal DDB, tramite la GAM, sono: 135 APP. B Implementazione in real-time • GLOBALTIME: tempo in scondi; • PULSE: numero di scarica; Le opzioni che si possono impostare sono: • Files: lista dei file per i dati di ingresso; • ATMInputPackets: lista dei pacchetti di ingresso ATM da caricare; • ATMOutputPackets: lista dei pacchetti di uscita ATM che devono essere forniti dalle applicazioni; • FileCFG: nome di un file da inserire. Il file degli input ha la seguente struttura: Si riporta parte del file “RTDNIO_Z.cfg”: DLLName = LoadData System = MDSPLUS Signals = { CZ01 = { SZ02 = { TPZ01 = { PZ02 = { ... IP1 = { IP4TOT = { IP4IMB = { IPFX = { ISHA = { IFRFA = { ID1 = { ID2 = { ID3 = { ID4 = { } // Per c a r i c a r e i d a t i JPF d a l d a t a b a s e Source Source Source Source = = = = "JPF/PF/SC−CZ01<KS" "JPF/PF/SC−SZ02<KS" "JPF/PF/SC−TPZ01<KS" "JPF/PF/SC−PZ02<KS" } } } } Source Source Source Source Source Source Source Source Source Source = = = = = = = = = = "JPF/PF/SC−IP1<MS" "JPF/PF/SC−IP4<MS" "JPF/PF/SC−IIM<MS" "JPF/PF/SC−IFX<MS" "JPF/PF/SC−ISH<MS" "JPF/PF/SC−IFRFA<MS" "JPF/PF/SC−ID1<KS" "JPF/PF/SC−ID2<KS" "JPF/PF/SC−ID3<KS" "JPF/PF/SC−ID4<KS" } } } } } } } } } } 136 APP. B Implementazione in real-time OutputApplicationGAM Questa GAM copia una lista di segnali in un file. I nomi dei segnali sono elencati nella prima riga del file. OutputApplicationGAM deve essere inclusa nell’applicazione come ultima GAM, altrimenti potrebbe verificarsi un errore se il segnale richiesto non è stato ancora inserito nel DDB. Le opzioni che si possono impostare sono: • Signals: lista dei nomi dei segnali da inserire nel DDB; • NoNames: se vale a 0 o è omesso, i nomi di Signals vengono rimossi dall’output; • FileName: nome del file di uscita (default= output.txt); • AddPulseNumber: aggiunge l’estensione .pulseNumber al nome del file. Si riporta un esempio del file “Out.cfg”: DLLName = OutputApplicationGAM Signals = { GLOBALTIME gasBoxXpointRadius , gasBoxXpointHeight r a d i a l I n n e r G a p , radialOuterGap topGap2 , topGap3 , topGap4 , gap6 , gap18 StrikeLeftR , StrikeLeftZ boundaryPathRInner , boundaryPathZInner boundaryPathROuter , boundaryPathZOuter boundaryPathRTop , boundaryPathRBottom pl a s m a C on f ig u r at i on Type limiterFlux boundaryFlux IPTOTFIL } NoNames = 1 FileName = Modello_Filamentare AddPulseNumber = PULSE I segnali elencati nella lista “Signals” sono salvati nel file Modello_Filamentare.PULSE.txt. 137 Bibliografia [1] A. Pironti, M. Walker, “Control of Tokamak Plasmas Part I-II”, IEEE Control Systems Magazine, October 2005 and April 2006. [2] “Efda-JET website”, http : //www.jet.ef da.org. [3] A. Murari e altri, “Development of real-time diagnostics and feedback algorithms for JET in view of the next step”, Plasma Physics and Controlled Fusion 47, 2005. [4] F. Sartori, G. De Tommasi, F. Piccolo, “Plasma Position and Shape Control in the world’s largest tokamak”, IEEE Control Systems Magazine, vol. 26, n◦ 2, pag. 64-78, April 2006. [5] F. Piccolo, F. Sartori, L. Zabeo e altri, “Upgrade of the power deposition and thermal models for the first wall protection of JET with an ITER-like Be combination of wall materials”, Fusion Engineering and Design, vol. 82, pag. 1094-1101, October 2007. [6] O Barana e altri, “Real-time determination of internal inductance and magnetic axis radial position in JET”, Plasma Physics and Controlled Fusion 44, 2002. [7] G. N. Deshko, T. G. Kilovataya, Y. K. Kuznetsov, V. N. Pyatov,I. V. Yasin, “Determination of the plasma column shape in a tokamak from magnetic measurements”, Nuclear Fusion 23, pag.1309-1317, 1983. 138 BIBLIOGRAFIA [8] R. Albanese, “Evoluzione temporale di un plasma confinato magneticamente”, Tesi di Dottorato di Ricerca, Università degli Studi di Napoli, 1986. [9] I.H. Hutchinson, “Principles of Plasma Diagnostics”, Cambridge University Press, second edition 2001. [10] J. Wesson, “Tokamak-third edition”, Oxford Science Publications, pag. 501, 2004. [11] J.P. Freidberg, “Ideal Magnetohydrodynamics”, Plenum Press, New York, 1987. [12] J. Wesson The Science of JET, March 2000. [13] A. Beghi, A. Cenedese, “Advances in Real-Time Plasma Boundary Reconstruction”, IEEE Control Systems Magazine, October 2005. [14] D.P. O’Brien, J. J. Ellis, J. Lingertat, “Local expansion method for fast plasma boundary identification in JET”, Nuclear Fusion 33, n◦ 3, 1993. [15] P. Mazzoldi, M. Nigro, C. Voci, “Fisica, Elettromagnetismo-Onde”, Edises, Napoli, vol. II, 1995. [16] “Metodo di Newton-Raphson”, http : //it.wikipedia.org/wiki/M etodo_delle_tangenti. [17] A. J. Wootton, “Nuclear Fusion 19”, pag.987, 1979. [18] D. W. Swain - G. H. Neilson, “Nuclear Fusion 22”, pag.1015, 1982. [19] L. L. Lao e altri, “Nuclear Fusion 25”, pag.1611. [20] G. Franceschetti, “Campi elettromagnetici”, Boringhieri, 1983. [21] P. M. Morse, H. Feshbach, “Methods of Theoretical Physics”, McGraw-Hill Book Company,Inc., New York, part I, pag. 791, 1953. 139 BIBLIOGRAFIA [22] M. Abramowitz, I. A. Stegun, “Handbook of mathematical functions”, Dover Publications, Inc., New York, 1965. [23] S. M. Tan, C. Fox, “PHYSICS 707 Inverse Problems”, The University of Auckland, http : //www.math.auckland.ac.nz/ phy707. [24] P. C. Hansen, “Rank-Deficient and Discrete Ill-Posed Problems: Numerical Aspects of Linear Inversion”, Technical University of Denmark, Lyngby, 1998. [25] D. P. Bertsekas, “Constrained Optimization and Lagrange Multiplier Methods”, Academic Press, New York, 1982. [26] F. Sartori, “Magnetic measurements and their real-time applications in JET Tokamak”, Tesi di Dottorato di Ricerca, Università degli Studi di Napoli, 2004. [27] L. E. Zakharov, V. D. Shafranov, “Equilibrium of a toroidal plasma with non circular cross section”, Sov. Phys. Tech, vol. 18, pag.151-156, 1973. [28] B. Ph. van Milligen, “Exact relations between multipole moments of the flux and moments of the toroidal current density in tokamaks”, Nuclear Fusion 30, 1990. [29] “Mdsplus”, http : //www.mdsplus.org/index.php/Introduction. [30] G. Calabrò e altri, “JET Plasma equilibrium reconstructions using magnetic and MSE measurements and including the effects of the iron core”, Presented at 29th EPS Conference, Montreux, June 2002. [31] L. Zabeo, e altri “A new approach to the solution of the vacuum magnetic problem in fusion machines”, Fusion Engineering and Design, vol. 82, pag. 1081-1088, October 2007. 140 Elenco delle figure 1.1 Utilizzo delle risorse energetiche. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7 1.2 Reazione Deuterio-Trizio. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 12 1.3 Configurazione di un Tokamak. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 16 1.4 Traiettorie del confinamento magnetico . . . . . . . . . . . . . . . . . 17 1.5 Riscaldamento del plasma. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 18 1.6 Limiter and X-Point. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 20 1.7 Struttura di un divertore. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 21 1.8 EFIT n◦ 49165. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 22 1.9 Mappa di Flusso n◦ 61153. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 22 1.10 Vista generale del JET Tokamak e struttura di supporto in ferro. . . 23 1.11 Vessel del JET. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 24 2.1 Bobine del campo poloidale. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 28 2.2 Schematizzazione dei 10 circuiti di campo poloidale. . . . . . . . . . 31 2.3 Gaps per il controllo di forma. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 32 2.4 Schema di controllo SC. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 33 2.5 Schema dalle misure ai parametri geometrici. . . . . . . . . . . . . . . 36 2.6 Bobina di misura. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 37 2.7 Sonda ad effetto Hall. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 38 2.8 Sonda Rogowski. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 39 141 ELENCO DELLE FIGURE 2.9 Utizzo della bobina Rogowski nel tokamak. . . . . . . . . . . . . . . . 39 2.10 Sensori Magnetici al JET . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 40 3.1 Superfici magnetiche toroidali annidate. . . . . . . . . . . . . . . . . . 44 3.2 Flusso in direzione poloidale. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 45 4.1 Regioni XLOC. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 50 4.2 Schema dalle misure al flusso. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 59 4.3 Polinomi dei momenti di corrente. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 71 4.4 Schema a blocchi del modello di plasma, ferro e coils poloidali. . . . . 72 4.5 Sensori magnetici. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 74 4.6 Circuit2Virtual. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 74 4.7 Filamenti dei circuiti. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 75 4.8 Filamenti di plasma. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 78 4.9 Valori singolari della Iron to Virtual. . . . . . . . . . . . . . . . . . . 81 5.1 Flusso per 9 filamenti. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 88 5.2 Confronto flusso tra 9 e 1 filamento. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 88 5.3 Flusso delle sole correnti PF. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 90 5.4 Flusso correnti PF, Ferro e Plasma. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 90 5.5 Boundary di XLOC e Modello Filamentare in limiter e X-Point. . . . 92 5.6 Mappa di Flusso per n◦ 53045 in t = 45 e t = 65 sec. . . . . . . . . . 93 5.7 Mappa di Flusso tra XLOC e Modello Filamentare. . . . . . . . . . . 94 5.8 Corrente di plasma dell’impulso n◦ 53045 . . . . . . . . . . . . . . . . 96 5.9 ROG e TOG dell’impulso n◦ 53045 in LIMITER. . . . . . . . . . . . 96 5.10 RIG dell’impulso n◦ 53848 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 98 5.11 Boundary dell’impulso n◦ 53848 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 99 142 ELENCO DELLE FIGURE 5.12 X-Point dell’impulso n◦ 53045 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 100 5.13 RIG, ROG e TOG dell’impulso n◦ 53045 in X-POINT. . . . . . . . . 101 5.14 Valore di flusso al boundary per l’impulso n◦ 53045. . . . . . . . . . . 101 5.15 Andamenti dei gaps n◦ 6 e n◦ 18, dello Strike-Point sinistro e destro. . 102 6.1 XLOC e M. Filamentare in t = 40.13 sec. . . . . . . . . . . . . . . . . 104 6.2 Schema a blocchi per la fase di start-up. . . . . . . . . . . . . . . . . 108 6.3 Ricostruzione di flusso senza il ferro. . . . . . . . . . . . . . . . . . . 110 6.4 Confronto tra P.O.D. e CREATE con 4 filamenti e 3 momenti. . . . . 112 6.5 Confronto tra P.O.D. e CREATE con 8 filamenti e 7 momenti. . . . . 113 6.6 Confronto tra P.O.D. e CREATE per t ∈ [40.15, 40.25] sec. . . . . . . 114 6.7 Boundary di EFIT e m. filamentare ridotto per t ∈ [40.06, 43.06] sec. 115 B.1 Struttura ad albero di un MCF. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 125 B.2 Circuito di Shape. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 126 B.3 Felix-RT. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 130 B.4 Felix-OPT. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 132 B.5 Algoritmi di creazione del modello. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 133 143