l` arbitrato tra ordinamento sportivo e ordinamento generale, alla

Anno III
Pubblicazione numero 2
2007
GiustiziaSportiva.it
Rivista Giuridica
Direzione e Fondatori
Enrico Crocetti Bernardi
Antonino de Silvestri
Enrico Lubrano
Paolo Moro
Jacopo Tognon
Comitato di Redazione
Giuseppe Agostini
Alessia Bellomo
Marco Mazzucato
Emanuele Paolucci
Michela Pigato
Jacopo Tognon
Direttore Responsabile
Mario Liccardo
_____________________________________________________________
Autorizzazione del Tribunale di Padova in data 1 ottobre 2004
al numero 1902 del Registro Stampa
- Periodico quadrimestrale -
1
INDICE DEL FASCICOLO 2°
PARTE PRIMA
DOTTRINA
SAMUELE DALLA MORA, L’ arbitrato tra ordinamento sportivo e
pag. 4
ordinamento generale, alla luce del vincolo di giustizia e della clausola
compromissoria
GIOVANNI OLIVETTI, Il titolo sportivo: natura e tutela
pag.18
VALERIO BERNARDI, L’ evoluzione dello status professionale del
pag.56
giocatore di calcio a 5
PARTE SECONDA
NOTE A SENTENZA
MATTEO CAMPAGNARO,
La responsabilità per le lesioni cagionate
pag.92
durante l'attività sportiva
ALESSIO PISCINI,
La crisi del calcio tra il terzo "caso Catania" e
l'ennesimo rimedio all'Italiana
pag.106
PARTE TERZA
GIURISPRUDENZA
CASO LORBEK: Camera di conciliazione e arbitrato del CONI lodo 11 maggio
pag.151
2007
REGOLAMENTO AGENTI DI CALCIATORI: Tar Lazio, sez. III ter, ordinanza 19
luglio 2007
2
pag. 166
PARTE PRIMA
DOTTRINA
SOMMARIO:
pag. 4
SAMUELE DALLA MORA, L’ arbitrato tra ordinamento sportivo e
ordinamento generale, alla luce del vincolo di giustizia e della clausola
compromissoria
pag.18
GIOVANNI OLIVETTI, Il titolo sportivo: natura e tutela
VALERIO BERNARDI,
L’ evoluzione dello status professionale
giocatore di calcio a 5
3
del
pag.56
L’arbitrato tra ordinamento……
L’ ARBITRATO TRA ORDINAMENTO SPORTIVO E
ORDINAMENTO GENERALE, ALLA LUCE DEL VINCOLO
DI GIUSTIZIA E DELLA CLAUSOLA COMPROMISSORIA
di Samuele Dalla Mora (*)
Il ruolo dell’istituto arbitrale nell’ambito delle relazioni sportive è difficilmente definibile in
termini generali: esso infatti si articola in sotto-settori sovente molto specializzati.
Ecco perché in questa sede risulta fondamentale analizzare l’arbitrato all’interno della
giustizia sportiva partendo da una comparazione con l’omonimo istituto nell’ambito del diritto
processuale civile per poi passare ad un’analisi strutturale, includendo anche la clausola
compromissoria e il c.d. vincolo di giustizia, con un’attenzione peculiare ai problemi di
costituzionalità che sono sorti nei vari momenti.
In Italia infatti il favor arbitrale è attualmente meno vivace rispetto alla realtà comunitaria,
causa i più rigorosi limiti posti all’arbitrabilità. In una delle pronunce più recenti la Suprema Corte
ha ribadito l’essenzialità del requisito della disponibilità dei diritti in contesa, precisando senza
ombra di equivoco che le situazioni aventi ad oggetto interessi legittimi rientrano nell’esclusiva
competenza del Giudice Amministrativo, non potendo queste essere devolute ad un Collegio
Arbitrale.
Ciò nonostante, la vocazione verso la giustizia conciliativa è in costante progresso. Ne è prova
la recente creazione, con requisiti di novità, di un organismo preposto alla risoluzione
extragiudiziale delle vertenze sportive, chiamato ad operare nel rispetto dei principi di terzietà,
autonomia e indipendenza: si tratta della Camera di Conciliazione ed Arbitrato per lo Sport.
Senza volersi addentrare troppo nella tematica inerente alla composizione e alle funzioni
svolte
dalla
suddetta
Camera
bisogna
innanzitutto
inquadrare
l’istituto
dell’arbitrato
nell’ordinamento generale.
4
DOTTRINA
L’arbitrato tra ordinamento……
L’arbitrato è un istituto disciplinato dal codice di procedura civile secondo il quale le parti,
nell’ambito dei diritti disponibili, hanno la facoltà di attribuire il potere di decidere la loro
controversia a un terzo: questo non è un magistrato dell’ordinamento giudiziario, ma un soggetto
estraneo al quale le parti, per competenza, preparazione e fiducia attribuiscono tale potere.
Esistono due tipi di arbitrato: quello rituale e quello irrituale o libero (anche se c’è chi ritiene
tale distinzione non così netta1).
La differenza sostanziale è data dal fatto che nell’arbitrato rituale l’arbitro risolve la
controversia con un provvedimento che, una volta ricevuto l’exequatur da parte del Giudice
Ordinario2, è paragonabile a una sentenza vera e propria con efficacia esecutiva; nell’arbitrato
irrituale o libero, invece, l’arbitro è considerato un amichevole compositore della controversia che
non pone in essere un atto di natura giurisdizionale, ma di natura negoziale: questi compone la
controversia mediante un negozio giuridico che sia in grado di risolvere la vertenza a vantaggio
dell’una o dell’altra parte.
Pertanto il Giudice Ordinario eventualmente adito è tenuto a rigettare la domanda con
sentenza di rito, rilevata la presenza di una clausola compromissoria che attribuisce il potere di
decidere non a lui ma all’arbitro3.
Prima di passare all’analisi completa dell’istituto dell’arbitrato occorre inevitabilmente
introdurre i concetti di clausola compromissoria e vincolo di giustizia.
In ogni federazione sportiva nazionale è sempre presente una disposizione che, al fine di
salvaguardare l’autonomia dell’ordinamento sportivo da ingerenze esterne, impone ai tesserati, alle
società affiliate e a tutti gli organismi operanti nell’ordinamento sportivo, di osservare le norme
federali e di accettare le decisioni degli organi di giustizia sportiva.
L’ordinamento sportivo non attribuisce ai soggetti un diritto di avvalersi degli organi di
giustizia sportiva, ma un diritto-dovere, nel senso che, in base al principio del diritto di difesa,
chiunque vi abbia interesse potrà chiedere soddisfazione, ma questa istanza dovrà essere
esclusivamente rivolta agli organi di giustizia sportiva.
1
PUNZI C., “Le clausole compromissorie nell’ordinamento sportivo”, cit., pp. 243 ss.
Per attribuire efficacia al lodo arbitrale, questo deve essere depositato presso il Tribunale e ricevere il c.d. exequatur da parte del
Giudice Ordinario: in questo modo il lodo arbitrale acquista la forza di una sentenza vera e propria. L’art. 825 c.p.c. stabilisce che il
Tribunale, accertata la regolarità formale del lodo, lo dichiara esecutivo con decreto.
3
MANDRIOLI C., Corso di diritto processuale civile (editio minor), II edizione, 3 volumi, Torino, Giappichelli editore, 2002, pp.
295 ss.
2
5
DOTTRINA
L’arbitrato tra ordinamento……
Ai soggetti tenuti all’osservanza delle norme federali si impone quindi di adire il giudice
sportivo per dirimere le controversie sorte nell’ambito dell’ordinamento sportivo, a pena di
espulsione dallo stesso. Questo fenomeno è meglio conosciuto come “vincolo di giustizia”, secondo
il quale chi decide di far parte dell’ordinamento sportivo deve seguirne le regole, accettarne le
decisioni e adire, in caso di controversie, solo ed esclusivamente gli organi di giustizia sportiva4.
L’art. 27 dello Statuto Figc, titolato “Efficacia dei provvedimenti federali” stabilisce che:
“1. I tesserati, le società affiliate e tutti i soggetti, organismi e loro componenti, che svolgono
attività di carattere agonistico, tecnico, organizzativo, decisionale o comunque rilevanti per
l’ordinamento Federale, hanno l’obbligo di osservare il presente Statuto e ogni altra norma federale.
2. I soggetti di cui al comma precedente, in ragione della loro appartenenza all’ordinamento
settoriale sportivo o dei vincoli assunti con la costituzione del rapporto associativo, accettano la
piena e definitiva efficacia di qualsiasi provvedimento adottato dalla F.I.G.C., dai suoi organi o
soggetti delegati, nelle materie comunque riconducibili allo svolgimento dell’attività federale
nonché nelle relative vertenze di carattere tecnico, disciplinare ed economico”5.
La disposizione in esame impone ai soggetti aderenti alla federazione due precisi obblighi.
In primo luogo quello di accettare e rispettare le norme e i provvedimenti federali, a maggior
ragione nel nostro caso ove i soggetti passivi entrano a far parte della federazione volontariamente.
In secondo luogo viene imposto agli affiliati e ai tesserati delle organizzazioni sportive di
adire, per le controversie insorte tra gli stessi, esclusivamente gli organi federali.
Tale obbligo comporta la preclusione per i soggetti di cui sopra di rivolgersi per la risoluzione
delle controversie alle autorità giurisdizionali dello Stato, sanzionando addirittura con l’espulsione
dai quadri organizzativi l’inottemperanza a tale divieto.
Per alcune federazioni , tra le quali la Figc, il vincolo di giustizia è limitato alle controversie
tecniche e disciplinari. Il Consiglio di Stato6 infatti ha stabilito in una sua pronuncia che
“l’ordinamento sportivo nazionale, pur essendo dotato di ampi poteri di autonomia, autarchia e
autodichia, è derivato da quello generale dello Stato, nel senso più rispondente alla necessità di una
legittimazione democratica che ritrae dalla connessione organizzativa con le istituzioni statali, la
propria giuridicità”.
4
QUARANTA A., “Rapporti tra ordinamento sportivo e ordinamento giuridico”, in Riv. di diritto sportivo, 1979, pag. 39.
BONOMI A., “L’ordinamento sportivo e la Costituzione”, in Quaderni costituzionali, 2005, fasc. 2, pp. 363 ss.
6
Sent. Cons. Stato, sez. VI, 16 settembre 1998, n. 1257.
5
6
DOTTRINA
L’arbitrato tra ordinamento……
In questo senso il vincolo di giustizia può operare o nell’ambito strettamente tecnico sportivo,
come tale irrilevante per l’ordinamento generale, ovvero nell’ambito in cui ciò sia consentito dalla
natura disponibile degli interessi coinvolti. Non può operare invece nell’ambito degli interessi
legittimi, i quali, a causa del loro intrinseco legame con un interesse pubblico e in forza dei principi
sanciti dall’art. 113 Cost., sono insuscettibili di formare oggetto di rinunzia preventiva, generale o
temporalmente illimitata alla tutela giurisdizionale7.
Bisogna quindi richiamare la distinzione tra gli oggetti delle diverse controversie di giustizia
sportiva, cioè tra i vari procedimenti.
Infatti quando si afferma che i tesserati sono vincolati dalla “clausola compromissoria”, è
necessario sottolineare che tale clausola, di regola, appare pertinente alle controversie di ordine
economico che, secondo lo Statuto della Figc, devono essere obbligatoriamente risolte da Collegi
Arbitrali.
Sembra a questo punto fondamentale rettificare l’abitudine evidenziata dalla pratica a
equiparare, e quindi confondere, vincolo di giustizia e clausola compromissoria.
Solitamente infatti i due termini vengono usati in maniera speculare, tanto da individuare con
ciascuno di essi sia la preclusione per il tesserato di rivolgersi al giudice dello Stato, ordinario o
amministrativo, sia l’impegno a sottomettere alle regolamentate procedure arbitrali le liti e i
contrasti intervenuti nell’ambito sportivo con altri associati.
Questa confusione viene evidenziata anche da alcuni comportamenti, come a esempio quello
della Figc di far firmare, all’atto di iscrizione di una società al campionato di appartenenza, al suo
legale rappresentante e ai dirigenti con cariche operanti nell’ambito federale un documento titolato
“Clausola compromissoria”, nel quale è riprodotto il testo statutario relativo all’impegno ad
accettare la piena efficacia delle delibere degli organi federali nelle vertenze di carattere tecnico,
disciplinare ed economico. Tale impegno in realtà si atteggia a vincolo di giustizia e non a clausola
compromissoria.
Precisando dunque suddetta distinzione, il vincolo di giustizia obbliga gli associati a non
devolvere ai giudici dello Stato la cognizione delle controversie originate dall’attività sportiva,
realizzando come conseguente obbligo, detto appunto clausola compromissoria, quello di
sottomettere a Collegi Arbitrali le possibili controversie tra associati originatesi nell’ambito
dell’attività sportiva.
7
LUISO F. P., La giustizia sportiva, cit., pp. 45-46.
7
DOTTRINA
L’arbitrato tra ordinamento……
Quindi è facile cogliere che l’ambito soggettivo delle varie clausole compromissorie non è
mai esteso alle federazioni, con la conseguenza che mai vengono devolute alla cognizione di Arbitri
le controversie tra le stesse e i loro affiliati e tesserati, ma solo quelle che insorgono fra questi
ultimi8.
Negli Statuti e nei Regolamenti delle federazioni sportive nazionali è lecito individuare un
generale divieto, vincolo di giustizia, per tesserati e affiliati di far ricorso alla giurisdizione statale,
ed esistono altresì clausole compromissorie che obbligano gli stessi soggetti a rimettere a un
giudizio arbitrale le controversie non devolute agli organi federali. In definitiva non tutte le
controversie genericamente rientranti nelle competenze delle giurisdizioni sportive possono
atteggiarsi, e vanno quindi considerate, arbitrabili, “cioè sottoponibili a cognizione e soluzione
nell’ambito di un procedimento arbitrale”9, pur risultando tutte, almeno nelle intenzioni, sottratte
alla giurisdizione statale.
Dopo aver richiamato che le federazioni nazionali sportive sono ormai considerate, nonché
esplicitamente dichiarate dal D.Lgs. 242/99, come soggetti aventi personalità giuridica di diritto
privato, con alcuni compiti di valenza pubblicistica, si deve capire che ruolo hanno il vincolo di
giustizia e la clausola compromissoria nei vari tipi di giustizia.
Durante l’arco dello scorso cinquantennio la volontà dell’ordinamento sportivo di ridurre al
minimo le intromissioni provenienti dall’esterno non ha avuto una grande affermazione perché la
giustizia ordinaria ha sempre cercato con forza di ingerirsi nel fenomeno sportivo, specialmente con
riguardo alle controversie di ordine disciplinare ed economico. Finalmente le Sezioni Unite della
Corte di Cassazione sono intervenute in proposito10 stabilendo che, per quanto attiene alla giustizia
di tipo tecnico, le decisioni prese dagli organi di giustizia sportiva di una federazione riconosciuta
dal CONI, in sede di verifica della regolarità di una competizione sportiva e in applicazione delle
norme tecniche che determinano il risultato della competizione stessa, non portano ad alcuna
lesione di diritti soggettivi o di interessi legittimi, con la conseguenza che la giurisdizione è sempre
ed esclusivamente dell’ordinamento sportivo e, precisamente, del Giudice Unico Federale.
In questa tipologia di giustizia resta quindi esclusa la possibilità di adire il giudice statale,
con piena operatività del vincolo di giustizia, nonché la possibilità di devolvere ad arbitri eventuali
controversie.
8
PUNZI C., “Le clausole compromissorie nell’ordinamento sportivo”, in Riv. di diritto sportivo, 1987, pag. 239.
PERSICHELLI C., “Le materie arbitrabili all’interno delle competenze della giurisdizione sportiva”, in Riv. di diritto sportivo,
1996, pag. 707.
10
Sent. Cass. SS. UU. 26 ottobre 1989, n. 4399.
9
8
DOTTRINA
L’arbitrato tra ordinamento……
Il discorso per il giudizio disciplinare è un po’ più complesso, perché parte dalla l. 426/42, la
quale definiva le federazioni sportive nazionali come “organi del CONI”, attribuendo loro delle
funzioni di carattere indubbiamente pubblicistico.
Ora questa legge è stata abrogata dal decreto Melandri, che ha attribuito alle federazioni di cui
sopra “natura di associazione con personalità giuridica di diritto privato” (art. 15, comma secondo,
del D.Lgs. 242/99). Ciò non toglie che secondo dottrina e giurisprudenza le federazioni sportive
nazionali siano dotate di una “doppia natura” (sentenza 4399/89 della Corte di Cassazione Sezioni
Unite); la citata sentenza dichiara che “le federazioni sportive, pur avendo natura prevalente di
soggetti privati, partecipano tuttavia della natura pubblica del CONI di cui sono organi nello
svolgimento di certe attività che tendono a un fine coincidente con quello istituzionale del CONI,
mentre tutte le altre attività delle federazioni restano attratte nell’orbita privatistica”.
Proprio in ragione di questa ”pubblicizzazione”, le federazioni sportive nazionali sono state
ritenute dalla giurisprudenza prevalente come organi del CONI e i loro regolamenti considerati
come atti normativi.
In sede operativa ne è conseguita l’equiparazione dei provvedimenti posti in essere da un
organo della federazione ai provvedimenti amministrativi emanati dagli enti pubblici e, come tali,
soggetti all’impugnazione davanti al Giudice Amministrativo statale, ciò a prescindere dal vincolo
di giustizia federale. Sul punto la giurisprudenza ha infatti rilevato che il vincolo di giustizia non
può trovare applicazione per la tutela degli interessi legittimi i quali, in considerazione del loro
legame con il pubblico interesse “sono insuscettibili di formare oggetto di una rinuncia preventiva,
generale e temporalmente illimitata, alla tutela giurisdizionale”11.
I provvedimenti disciplinari si riferiscono a situazioni soggettive protette qualificabili come
interessi legittimi in relazione alle quali la giurisprudenza amministrativa ha introdotto una
distinzione basata sulla diversa efficacia delle sanzioni nei confronti dei soggetti che ne sono
colpiti.
La distinzione tra i due tipi di giustizia esaminati consente di trarre conclusioni di certezza sul
problema dell’arbitrabilità della giustizia disciplinare, escludendo che possa venir devoluta a
Collegi Arbitrali, per il sicuro vincolo di indisponibilità, tutta la materia attratta dalla competenza
del Giudice Amministrativo, lasciando aperto, almeno allo stato delle cose, l’interrogativo
concernente gli altri tipi di provvedimenti.
11
Sent. Cons. Stato, sez. VI, 30 settembre 1995, n. 1050.
9
DOTTRINA
L’arbitrato tra ordinamento……
Anche se sembra debba propendersi per una risposta negativa anche in questo secondo caso,
dovendosi escludere che in queste situazioni il vincolo di giustizia possa configurarsi come una
sorta di clausola compromissoria e quindi la decisione dei relativi organi federali come un arbitrato.
Tralasciando qualsiasi approfondimento sul giudizio amministrativo, che non è rilevante per
l’indagine in corso, si prende in esame la giustizia economica. In questo ambito il vincolo di
giustizia si configura come clausola compromissoria e non presenta profili di illiceità riguardando
diritti indisponibili: l’arbitrato con cui vengono decise integra una legittima deroga alla competenza
del Giudice Ordinario. Va precisato che in queste ipotesi il vincolo di giustizia più che operare,
impone e favorisce la clausola compromissoria contenuta nell’atto di associazione che ne integra
estremi e caratteristiche. Con la clausola compromissoria, solitamente sottoscritta all’atto di
tesseramento, le parti si impegnano, in via preventiva, ad affidare ad arbitri le liti che potranno
insorgere tra tesserato e federazione e nascenti dal rapporto stesso.
In conclusione la giustizia tecnica prevede una assoluta e totale operatività del vincolo di
giustizia; nella giustizia disciplinare il vincolo di giustizia opera solo in alcuni casi, meglio
specificati con la l. 280/03 (legge di conversione del D.L. 19 agosto 2003, n. 220) e infine la
giustizia economica fa sì che il vincolo di giustizia permetta alla clausola compromissoria, che
opera “solo per le controversie a contenuto patrimoniale”12,di esplicarsi nella sua piena efficacia.
Nella prassi è quindi accaduto che con il termine “clausola compromissoria” si sia indicata
genericamente la posizione nella quale si trova l’atleta nei confronti della federazione,
ricomprendendo anche la preclusione che allo stesso viene imposta di rivolgersi al giudice statale
per vicende che attengono a questioni di diversa natura rispetto a quella economica.
La clausola compromissoria è senza dubbio dotata del carattere della specialità, in quanto
opera non all’interno dell’ordinamento generale, ma di quello sportivo, che si preoccupa di
assicurare e tutelare il corretto svolgimento delle competizioni sportive e di tutte quelle attività
connesse con l’attività sportiva.
Il vincolo di giustizia costituisce sostanzialmente una vera e propria barriera tra l’ordinamento
sportivo e quello statale, fatta eccezione per alcune categorie di controversie che non possono essere
sottratte alla cognizione dell’autorità giurisdizionale dello Stato. Il riferimento è ovviamente per le
questioni inerenti la tutela di diritti indisponibili e degli interessi legittimi, che non possono
comunque ritenersi sottratti alla cognizione del giudice statale.
12
FIATA E., “Giustizia sportiva e ordinamento statale”, in ADL (Argomenti di Diritto del Lavoro), 2002, fasc. 3, pag.900.
10
DOTTRINA
L’arbitrato tra ordinamento……
In definitiva si può affermare che la clausola compromissoria comporta, in linea generale,
l’obbligo per gli affiliati alle organizzazioni sportive, di accettare e rispettare le norme e i
provvedimenti federali, nonché, per le controversie insorte tra di essi, di adire esclusivamente gli
organi della federazione.
Allora quali sono a questo punto i limiti di operatività della clausola compromissoria?
La giurisprudenza ha più volte affermato che il vincolo di giustizia può liberamente operare o
nell’ambito strettamente tecnico-sportivo e, come tale irrilevante per l’ordinamento dello Stato,
ovvero nell’ambito dei diritti disponibili13.
Un diritto si considera indisponibile quando “lo stesso è inalienabile inter vivos, non
trasmissibile mortis causa, irrinunciabile, impignorabile e inusucabile.
Sono considerati disponibili, invece, quei diritti soggettivi sui quali può esercitarsi, senza
limitazione, l’autonomia dei soggetti che ne sono titolari”14. Sono perciò indisponibili, secondo la
dottrina prevalente, perché tesi a soddisfare un interesse che trascende quello del titolare, i
cosiddetti diritti della personalità (diritto al nome, all’onore, all’integrità fisica, alla salute,ecc.),
nonché il diritto al lavoro e alla retribuzione sufficiente, in quanto connessi con la realizzazione del
pieno sviluppo della persona umana15.
In definitiva sembra doversi ritenere che il vincolo di giustizia non comporti alcuna
preclusione, per gli affiliati alle federazioni sportive, di adire il giudice statale ogniqualvolta si
lamenti la lesione di un diritto soggettivo indisponibile ovvero si contesti il non corretto esercizio di
un potere pubblicistico in relazione al quale un soggetto vanta una posizione di interesse legittimo16.
Per ciò che concerne invece l’analisi dell’arbitrato all’interno dell’ordinamento sportivo si
pone l’attenzione sull’ambito soggettivo e oggettivo, nonché sulla sua qualificazione, cioè se sia da
considerare rituale o libero.
L’ambito soggettivo dell’arbitrato, se si analizza il testo delle clausole compromissorie
inserite nei vari Statuti e Regolamenti organici delle singole federazioni, non appare mai esteso alle
federazioni, ma è limitato agli enti e agli altri soggetti federali, cioè società e associazioni affiliate,
nonché ai soggetti che, svolgendo la loro attività nell’organizzazione federale, vengono tesserati.
Per quanto concerne invece l’ambito oggettivo sorge un problema di rapporti tra la competenza dei
Collegi Arbitrali e la competenza degli organi di giustizia sportiva; problema che si risolve con
13
Consiglio di Giustizia Amministrativa Reg. Sicilia, ordinanza 9 ottobre 1993, n. 536.
SANINO M., Diritto sportivo, cit., pag. 468.
15
RUOTOLO M., “Giustizia sportiva e Costituzione”, in Riv. di diritto sportivo, 1998, pp.414 ss.
16
Cfr. Cassaz. SS. UU., 29 settembre 1997, n. 597; Cons. Stato, sez. VI, 30 settembre 1995, n.1050; Trib. Catania, 4 agosto 1994 e 27
agosto 1994; TAR Lazio, sez. III, 23 giugno 1994, nn. 1361, 1362, 1363
14
11
DOTTRINA
L’arbitrato tra ordinamento……
“l’attribuzione agli arbitri delle controversie che non rientrano nella competenza degli organi
previsti dai regolamenti federali”17. Ci si trova di fronte a un evidente caso di competenza residuale.
L’art. 64 del Regolamento organico della Figc impone agli associati e ai tesserati di deferire ai
Collegi Arbitrali “qualsiasi controversia che dovesse tra loro insorgere (…) per qualsiasi fatto o
causa”.
Una questione invece spesso dibattuta è quella relativa alla natura (o meglio qualificazione)
dell’arbitrato nell’ambito dell’ordinamento sportivo, ossia se si tratti di arbitrato rituale ovvero di
arbitrato irrituale.
La dottrina propende per la seconda opzione, in quanto nell’arbitrato rituale il lodo (così viene
chiamato il prodotto dell’arbitrato), ai fini della sua esecutività, deve essere depositato presso il
Tribunale e quindi, in un certo qual modo, uscire dall’ambito dell’ordinamento giuridico sportivo.
Questa eventualità non piace poiché lo scopo dell’ordinamento sportivo è quello di garantire la
propria indipendenza, la quale è posta in pericolo se l’esecutività di un provvedimento richiede
l’intervento del Giudice Ordinario. L’arbitrato irrituale, invece, non esige, per ottenere l’esecutività,
il deposito del lodo, in quanto questo non acquisisce la natura di sentenza e rimane nell’ambito
dell’ordinamento sportivo18.
Nonostante la riforma dell’istituto arbitrale (introdotta con la l. 9 febbraio 1983, n. 28) abbia
notevolmente ridotto la distinzione tra i due tipi di arbitrato, si deve propendere per la natura
irrituale dell’arbitrato sportivo, poiché anche il CONI, nel dettare i principi informatori degli Statuti
federali, si è espresso a favore di tale qualificazione, “in quanto non suscettibile di acquistare
l’efficacia di sentenza e di far esaurire le controversie entro la comunità sportiva”19.
La figura dell’arbitrato ha incontrato anche alcuni problemi: dalla incostituzionalità
dell’istituto, alla vessatorietà della clausola compromissoria.
Nel primo caso la Corte Costituzionale20 ha escluso che l’istituto in esame intacchi il principio
di unicità della giurisdizione e che la funzione arbitrale contraddica alla statualità della
giurisdizione, purchè derivi dalla libera volontà delle parti “litiganti”.
Si può osservare che la clausola compromissoria non costituisce una deroga alla giurisdizione
statale, quanto una forma di giustizia privata in tema di diritti disponibili; giustizia che si realizza
17
PUNZI C., “Le clausole compromissorie nell’ordinamento sportivo”, cit., pag. 239.
Tale soluzione è stata avallata anche dalla giurisprudenza: sent. Cassaz. Civile, n. 12728/99.
19
SANINO M., Diritto sportivo, cit., pag. 476.
20
Sent. Corte Cost., 14 luglio 1977, n. 127, che ha enunciato in modo inequivocabile la facoltatività dell’arbitrato.
18
12
DOTTRINA
L’arbitrato tra ordinamento……
per volontà degli stessi privati che si avvalgono degli strumenti previsti nel nostro ordinamento in
tema di arbitrato.
Il tema della vessatorietà della clausola compromissoria porta a termine l’analisi
sull’arbitrato. L’ordinamento sportivo mira a mantenere al suo interno la risoluzione delle
controversie e per garantire questa forma di autonomia, nell’ambito delle vertenze di natura
economica, utilizza l’istituto della clausola compromissoria.
Questo potrebbe comportare che la decisione di adire la giustizia sportiva sia connaturata al
fatto di aver aderito all’ordinamento sportivo e non nasca da una libera scelta: il soggetto sceglie
liberamente di far parte dell’ordinamento sportivo, il quale sancisce l’osservanza di determinate
regole, tra le quali quella di adire il giudice sportivo per la risoluzione di eventuali controversie di
natura economica.
Ne consegue che l’atto di scelta è a monte, ossia nella volontà di far parte del mondo dello
sport con le sue regole21. Questa precisazione è molto rilevante poiché nel diritto statale la clausola
compromissoria è considerata una clausola vessatoria la cui efficacia viene subordinata alle
condizioni di cui agli artt. 1341 e 1342 del codice civile.
L’art. 1341 c.c. dice che “le condizioni generali di contratto predisposte da uno dei contraenti
sono efficaci nei confronti dell’altro, se al momento della conclusione del contratto questi le ha
conosciute o avrebbe dovuto conoscerle usando l’ordinaria diligenza.
In ogni caso non hanno effetto, se non sono specificamente approvate per iscritto, le
condizioni che stabiliscono, a favore di colui che le ha predisposte, limitazioni di responsabilità,
facoltà di recedere dal contratto o di sospenderne l’esecuzione, ovvero sanciscono a carico dell’altro
contraente decadenze, limitazioni, restrizioni alla libertà contrattuale nei rapporti coi terzi, tacita
proroga o rinnovazione del contratto, clausole compromissorie o deroghe alla competenza
dell’autorità giudiziaria”.
Ciò premesso poiché la clausola compromissoria, che sposta la competenza a giudicare dal
giudice statale all’arbitro, viene menzionata dall’art. 1341, secondo comma, c.c. tra le clausole
vessatorie, ci si chiede se all’atto del tesseramento il soggetto debba o meno accettare il contenuto
di questa clausola e, di conseguenza, sottoscriverla specificamente a pena di inefficacia della stessa.
Potrebbe infatti ipotizzarsi che un soggetto voglia far parte dell’ordinamento sportivo, ma non
voglia attribuire al giudice sportivo la competenza a dirimere un’eventuale controversia insorta con
la federazione.
21
Sent. Cassaz., sez. lavoro, 1 ottobre 2003, n. 11751.
13
DOTTRINA
L’arbitrato tra ordinamento……
Una prima risposta si rifà al concetto stesso di ordinamento in quanto, l’ordinamento sportivo
è a partecipazione volontaria e facoltativa e chi decide di farvi parte deve osservare le norme in esso
presenti e operanti; da considerare che il carattere di vessatorietà della clausola compromissoria si
ricollega alla natura di contratti che contengono condizioni generali predisposte unilateralmente da
una delle parti, laddove, in questo caso si tratta invece di un atto di adesione a un ordinamento
sportivo costituito da norme e da organi predisposti per farle osservare.
Inoltre, essendo l’ordinamento una struttura associativa governata da regole proprie, la
giurisprudenza ha messo in chiara evidenza che l’art. 1341, secondo comma, c.c. non trova
applicazione nei contratti associativi, trovando applicazione solo per quanto attiene ai contratti di
tipo sinallagmatico22.
Ne consegue che non sarà necessaria una doppia sottoscrizione della clausola
compromissoria.
Inoltre la giursiprudenza23 ha ritenuto che nell’art. 1341, secondo comma, c.c. rientri solo
l’ipotesi dell’arbitrato rituale e non anche quella dell’arbitrato irrituale. Precisazione fondamentale,
stante il fatto che nell’ordinamento sportivo trova applicazione solo la seconda tipologia di
arbitrato.
L’art. 1342 invece stabilisce che “Nei contratti conclusi mediante la sottoscrizione di moduli o
formulari, predisposti per disciplinare in maniera uniforme determinati rapporti contrattuali, le
clausole aggiunte al modulo o al formulario prevalgono su quelle del modulo o del formulario
qualora siano incompatibili con esse, anche se queste ultime non sono state cancellate.
Si osserva inoltre la disposizione del secondo comma dell’articolo precedente”.
La giurisprudenza, come osservato prima, ha escluso l’applicabilità degli articoli 1341 e 1342
c.c. all’arbitrato sportivo sulla scorta di un duplice rilievo.
Innanzitutto è stato osservato che, nel caso di Statuti di associazioni di natura sportiva, non si
verte in ipotesi di condizioni generali di contratto predisposte da uno dei contraenti, né di contratti
conclusi mediante moduli o formulari.
Inoltre è stato messo in evidenza che l’art. 1341 c.c. si riferisce solo ai casi in cui è possibile
rilevare una contrapposizione di interessi, ove l’ambito sportivo invece può essere inquadrato nei
contratti di collaborazione24.
22
Sent. Cassaz. Civile, n. 4351/93.
Sent. Cassaz. Civile, n. 10240/92; Sent. Cassaz. Civile, n. 2315/90.
24
SANINO M., Diritto sportivo, cit., pag. 478.
23
14
DOTTRINA
L’arbitrato tra ordinamento……
In definitiva una procedura di risoluzione di una controversia in materia di sport potrà essere
definita “arbitrato” solo ove siano riunite almeno due condizioni: una legata alle modalità di sua
organizzazione; l’altra collegata alla materia su cui essa interviene.
Definito in precedenza cosa si intende con la parola arbitrato, avvalendoci del diritto
processuale civile, si è notato che le caratteristiche di tale istituto possono essere ricondotte tanto
all’arbitrato rituale che a quello libero. Il secondo poi aggiunge ai caratteri procedimentali del
giudizio quelli sostanziali della transazione e non mira, come invece avviene per l’arbitrato rituale,
alla produzione di un atto giurisdizionale, suscettibile, se corredato dall’exequatur del Tribunale, di
esecuzione forzata.
Sulla base di tali precisazioni si può riassumere gli elementi costitutivi del meccanismo
arbitrale nei seguenti punti: a) carattere negoziale del fondamento del potere di giudizio; b) terzietà
dell’arbitro rispetto alle parti (questo viene considerato l’elemento determinante); c) osservanza di
particolari garanzie procedurali (uguaglianza tra le parti, principio del contraddittorio); d) funzione
sostitutiva della giurisdizione statale.
In presenza delle caratteristiche procedurali menzionate potrà aversi un vero e proprio
arbitrato sportivo.
Inoltre i meccanismi di tipo arbitrale, svolgendo una funzione potenzialmente sostitutiva della
giurisdizione statale, quando intervengono su questioni rilevanti per l’ordinamento generale e
suscettibili di definizione in via arbitrale, sono idonei a produrre risultati passibili di sanzione anche
nell’ordinamento giuridico dello Stato25.
Se l’arbitrato non svolge una funzione anche per l’ordinamento generale, gli effetti da esso
prodotti rimarranno confinati nell’ambito dell’ordinamento sportivo.
In relazione alle considerazioni appena svolte, si potrà parlare di “arbitrato in senso proprio”26
quasi esclusivamente in relazione a controversie economiche, cioè a quelle che mettono in gioco
interessi patrimoniali, quindi diritti disponibili per le parti, legati all’attività sportiva. Di tale
categoria fanno parte non solo le controversie relative al lavoro sportivo, ma anche quelle inerenti
l’esecuzione di un contratto commerciale legato al fenomeno sportivo (a esempio i contratti di
sponsorizzazione, il merchandising, ecc).
25
Cfr. PERSICHELLI C., “Le materie arbitrabili all’interno delle competenze della giurisdizione sportiva”, cit., pag. 702 ss., ove si
richiama l’art. 806 c.p.c., in base al quale: “le parti possono far decidere da arbitri le controversie tra di loro insorte, tranne quelle
previste negli articoli 429 e 459, quelle che riguardano questioni di stato e di separazione personale tra coniugi e le altre che non
possono formare oggetto di transazione”; e l’art. 1966,secondo comma, c.c.: “la transazione è nulla se tali diritti, per loro natura o per
espressa disposizione di legge, sono sottratti alla disponibilità delle parti”.
26
Espressione usata da COCCIA M., DE SILVESTRI A., FORLENZA O., FUMAGALLI L., MUSUMARRA L., SELLI L., Diritto
dello sport, cit., pag.136.
15
DOTTRINA
L’arbitrato tra ordinamento……
E inoltre anche le controversie relative a pretese di risarcimento del danno subito da una
società affiliata avanzata nei confronti della federazione di appartenenza per avere quest’ultima
male applicato i suoi regolamenti (lodo 5 novembre 2002 del Collegio Arbitrale istituito nell’ambito
della Camera di Conciliazione e Arbitrato presso il CONI). Si è invece esclusa l’arbitrabilità, in
relazione all’art. 23 c.c. e all’art. 70 c.p.c., di una controversia avente a oggetto la validità di una
delibera assembleare di una federazione sportiva (lodo 11 luglio 2002).
Infine l’art. 4, quinto comma, della l. 91/81 (recante norme in materia di rapporti tra società e
sportivi professionisti) prevede espressamente che nel contratto di lavoro sportivo possa essere
prevista una clausola compromissoria attraverso la quale le controversie concernenti l’attuazione
del contratto e insorte tra la società e lo sportivo vengano devolute a un Collegio Arbitrale.
La norma prevede altresì che la stessa clausola debba contenere la nomina degli arbitri oppure
stabilirne il numero e il modo di nominarli.
In conclusione è innegabile che con l’istituzione della Camera di Conciliazione ed Arbitrato
per lo Sport si sia fatto un notevole passo avanti: ciò nonostante, anche in rapporto alla
conciliazione, permangono molte restrizioni normative che ne limitano la portata.
Come abbiamo visto inoltre lo stesso aspetto volontaristico dell’istituto arbitrale può essere
messo in discussione nei casi in cui l’atleta sottoscriva “indirettamente” la clausola compromissoria:
quando cioè egli si impegni al momento dell’adesione alla federazione a rispettarne lo Statuto, in
particolare nella parte in cui questo dispone l’arbitrabilità delle controversie future. In quest’ultimo
caso infatti, al di là della vexata quaestio relativa all’ammissibilità e ai limiti della sottoscrizione
per relationem della clausola compromissoria, ciò che rileva maggiormente è l’effettiva sussistenza
del consenso da parte dello sportivo, allorquando l’adesione alla federazione, e di conseguenza
l’accettazione della clausola arbitrale, non costituisca una libera scelta, ma un presupposto
irrinunciabile per l’esercizio dell’attività sportiva.
Senza nulla togliere alla specialità del settore sportivo, in definitiva l’arbitrabilità delle
controversie ad esso attinenti sarà più o meno estesa a seconda del contesto giuridico ove la
procedura arbitrale è radicata: su di essa verrà così a pesare, in un’ottica di sistema, il disarmonico
favore verso la giustizia privata che ancora rallenta lo sviluppo dell’arbitrato su scala mondiale.
Alla luce di quanto sopra argomentato si impone la conclusione che il tema della giustizia
sportiva non può prescindere da una riserva “a monte”, concernente lo status dell’arbitrato, quale
istituto generale, nell’ambito delle diverse giurisdizioni statali.
Tuttavia, come in ogni processo dialettico, esiste un meccanismo di azione-reazione.
16
DOTTRINA
L’arbitrato tra ordinamento……
Ciò significa che, calcando l’acceleratore sull’arbitrato sportivo, fenomeno internazionale per
eccellenza, si verrà a incentivare la diffusione dell’arbitrato tout court anche a livello nazionale,
operando, soprattutto, sulla leva di una estensione dell’arbitrabilità e di un minor rigore nel giudizio
sulla volontarietà della scelta. Solo a certe condizioni, tuttavia, la causa dell’arbitrato potrà essere
degnamente perseguita: dovrà trattarsi di un arbitrato vero, e, cioè, neutrale, imparziale e
indipendente.
Un arbitrato, che sappia saggiamente tracciare una giusta linea di demarcazione tra
l’inderogabilità di certi principi tratti dall’ordinamento statuale e l’autonomia che il mondo sportivo
a buon diritto rivendica. In quest’ottica compete all’arbitrato una importante prospettiva nello
sviluppo dei rapporti tra ordinamenti nazionali e sopranazionali, da un lato, e ordinamento sportivo,
dall’altro.
Si impone, tuttavia, un monito: prudenza e senso della misura saranno sempre indispensabili.
L’arbitrato non potrà mai essere migliore del peggiore dei suoi protagonisti: è auspicabile che
ciò venga ricordato da tutte le parti in contesa.
(*) dottore in Giurisprudenza
17
DOTTRINA
Il titolo sportivo………
IL TITOLO SPORTIVO: NATURA E TUTELA
di Giovanni Olivetti (*)
SOMMARIO:
1. Natura e disciplina del titolo sportivo.
1.1 Analisi comparata all’interno di varie Federazioni sportive italiane.
1.2 Il problema dell’assegnazione del titolo sportivo.
2. La tutela del titolo sportivo.
2.1 In particolare: i casi Cosenza Calcio 1914, S.S.C. Napoli e cenni ad altri casi.
2.1.1 Il caso Cosenza Calcio 1914.
2.1.2 Il caso S.S.C. Napoli.
2.1.3 Cenni ad altri casi.
2.2 Prospettive di riforma.
18
DOTTRINA
Il titolo sportivo………
1. Natura e disciplina del titolo sportivo.
All’interno dell’ordinamento sportivo, un soggetto, che abbia ottenuto l’affiliazione o il
tesseramento ad una Federazione sportiva, può partecipare alle gare ed ai campionati da questa
organizzati nel livello a cui il titolo sportivo gli consente di accedere. In base a ciò è opportuno
riportare la definizione che la F.I.G.C. (e non è l’unica ad aver dato una definizione di titolo
sportivo ma verrà presa come riferimento se non altro per la rilevanza economica degli interessi che
gli associati le muovono attorno), attraverso l’art.52 co.1 delle sue N.O.I.F., dà al titolo sportivo
identificandolo nel “riconoscimento da parte della FIGC delle condizioni tecniche sportive che
consentono, concorrendo gli altri requisiti previsti dalle norme federali, la partecipazione di una
società ad un determinato campionato”.
Tale titolo è rappresentativo del merito sportivo-agonistico acquisito, in questo caso da una
società, e costituisce innanzitutto, ma non solamente, un valore di carattere sportivo. Il suo
riconoscimento è pertanto un bene immateriale e personale appartenente alla società che l’ha
conquistato sul campo. Questo merito sportivo può, tuttavia, per le società professionistiche, che
trovano la loro disciplina di base nella legge n. 91/1981, essere soggetto a dei requisiti che esulano
dai risultati ottenuti sui campi di gara. Questi ulteriori requisiti di cui la normativa federale suddetta
parla consistono, oltre che nell’affiliazione alla Federazione, nel possesso di determinati parametri
finanziari (ex art.12 L.n. 91/1981), organizzativi e strutturali fissati dalle rispettive norme federali a
garanzia del regolare svolgimento delle competizioni.
La mancanza di questi requisiti ulteriori determina la possibilità per la Federazione di
diminuire il valore sin qui descritto del titolo sportivo della società non in regola, consentendole di
partecipare solo a un campionato inferiore, e a volte talmente inferiore da renderlo quasi irrisorio
rispetto alle aspettative che il club aveva maturato “sul campo”. Questa possibilità1, prevista in
particolar modo dai regolamenti federali calcistici, sta alla base della convinzione degli organi
federali (e non solo) che il titolo sportivo non sia un valore “assoluto”, bensì relativo, o meglio si
direbbe “partecipativo”.
1
In questa sede (in particolare quando si affronterà il discorso della tutela del titolo sportivo) verranno prese in
considerazione le limitazioni al titolo sportivo attuate dalle Federazioni per lo più attraverso provvedimenti di carattere
“amministrativo” e non disciplinare, vale a dire quei provvedimenti che mirano a limitare la partecipazione di un soggetto
all’ordinamento sportivo sia in modo parziale (come il diniego di ammissione a un campionato) sia in modo assoluto (come possono
essere i provvedimenti di decadenza dall’affiliazione o dal tesseramento).
19
DOTTRINA
Il titolo sportivo………
Tale qualificazione del titolo sportivo, come si noterà non condivisa da altri sotto diversi
profili, fa sì che esso possa essere inquadrato solo in base al rapporto che il soggetto sportivo ha con
la Federazione a cui è affiliato, al di fuori del quale, com’è proprio di tutte le dimensioni relazionali,
il titolo sportivo non può essere riconosciuto ed assumere valore. Pertanto, secondo tale
impostazione2, il titolo sportivo sarebbe solo uno dei profili della “qualità di associato”.
Nella specie delle società professionistiche affiliate alla F.I.G.C., “il titolo sportivo, in altre e
più semplici parole, inerisce al soggetto affiliato in sé, perché non solo ne descrive il merito e le
capacità sportive, ma soprattutto la sua partecipazione all’organizzazione e, quindi, è una delle
qualità del rapporto associativo dell’affiliato con la FIGC, per cui non è scindibile dall’affiliazione
e non ha senso se non nell’appartenenza al sodalizio e secondo le regole, le condizioni, i requisiti
(tecnico-finanziari) previsti dall’ordinamento settoriale”3.
Pertanto è stato riconosciuto, in linea con l’impostazione federale calcistica, che questo bene
immateriale rappresentato dal titolo sportivo trova la sua conformazione nel diritto sportivo, che ben
può atteggiarlo in modo particolare in relazione alle concrete evenienze della vita delle società
sportive, fra cui vi sono anche le insorgenze di crisi economico-finanziarie che precludano
l’ordinaria ammissione al campionato di appartenenza4.
Una volta che la Federazione abbia verificato, in capo alla società affiliata, la sussistenza di
tutti i presupposti per partecipare a un campionato, il relativo diritto a parteciparvi assume il
carattere del diritto potestativo5. Tale diritto potestativo è stato assimilato6 a ciò che si verifica ad
esempio nell’autorizzazione amministrativa all’esercizio farmaceutico, cioè alla titolarità di una
farmacia.
Questo tipo di autorizzazione non ha la natura di una concessione amministrativa ma di una
autorizzazione costitutiva: la Federazione cioè deve limitarsi ad accertare l’esistenza delle
condizioni tecnico-sportive (tra cui anche i rapporti di lavoro con gli atleti, l’adeguatezza
2
Si veda a tal proposito la memoria difensiva depositata al T.A.R. del Lazio dalla F.I.G.C. contro il Fallimento della Società
Sportiva Calcio Napoli in data 24 agosto 2004.
3
Cfr. T.A.R. Lazio, sent. n. 9668/2004.
4
Sul punto si veda, recentemente, Cons. di Stato, sent. n. 527/2006 relativamente a un ricorso in appello proposto dal
Cosenza Calcio 1914 in liquidazione.
5
Cfr. Trib. di Napoli, sentenza depositata il 2 agosto 2004, con nota di ESPOSITO C., in Riv. fallimentare 2004; secondo
quest’ultimo, prima della verifica da parte degli organi federali, tale diritto rappresenta solo “un’aspettativa” in quanto, prima del
riconoscimento del titolo sportivo in esito all’analisi dei requisiti previsti, essa si presenta come una posizione di attesa (fondata però
sulla conquista sul campo di un determinato risultato sportivo) di un effetto acquisitivo incerto, costituito dal diritto potestativo-titolo
sportivo, rispetto al quale costituisce uno stadio anteriore quale posizione meramente strumentale rispetto a una situazione finale
incerta.
6
FIMMANO’ F., La crisi delle società di calcio e l’azienda sportiva, in Rivista di diritto bancario, maggio 2006, su
www.dirittobancario.it, p. 25.
20
DOTTRINA
Il titolo sportivo………
dell’impianto da gara, e tutta l’organizzazione in generale) e patrimoniali-finanziarie, la cui
ricorrenza complessiva genera il diritto alla partecipazione a un determinato campionato7.
Il diritto a partecipare a un determinato campionato, soprattutto all’interno del “sistema
calcio”, ha non soltanto un valore sportivo ma sicuramente anche un valore economico che rileva in
modo oggettivo. Nel settore professionistico, infatti, le società sportive sono società di capitali (di
cui alcune anche quotate in borsa) aventi finalità di lucro e la cui produzione economica dipende
molto dalla valenza del titolo sportivo posseduto da ciascuna.
Tale principio è stato espresso, per la prima volta, dal Tribunale di Napoli (Sez. Settima
Civile) che, con sentenza depositata il 2 agosto 2004 ha sottolineato che “il titolo sportivo
costituisce ormai per una società professionistica, organizzata come società di capitali, se non
l’unico, sicuramente il principale bene patrimoniale, e comunque un elemento imprescindibile
dell’azienda calcistica”.
Il titolo sportivo, quindi, è sì un bene immateriale, ma rientra obiettivamente fra i beni
patrimoniali dell’azienda sportiva di una società professionistica; esso anzi rappresenta non già “un
qualunque bene aziendale, bensì l’avviamento della società sportiva, nel senso che esso esprime e
manifesta la capacità di profitto dell’attività produttiva dell’impresa operante nel settore
professionistico” (Cass., 27 settembre 2000, n.12817)8.
7
Può essere interessante, per un profilo comparatistico, rilevare come in Francia i requisiti di accesso, e non solo, ad un
determinato campionato di calcio professionistico siano stabiliti attraverso la cosiddetta “Carta del calcio professionistico”.
Quest’ultima rappresenta sul tema una sorta di convenzione tra la Federazione Francese di Calcio, la Lega Nazionale di Calcio e le
associazioni interessate. A fronte di questa “Carta” si sono verificati anche dei contenziosi innanzi al giudice amministrativo: è il
caso, ad esempio, di due ricorsi proposti al Consiglio di Stato francese nel 1991 da parte delle società Girondins de Bordeaux football
club e Chamois Niortais, le quali hanno impugnato innanzi al suddetto Tribunale i provvedimenti, che erano stati presi in
applicazione della “Carta”, di attribuzione del titolo sportivo per una categoria inferiore rispetto a quella conquistata “sul campo” a
causa del loro stato di insolvenza. Il Conseil d’Etat in questo caso rigettò, con decisione rispettivamente del 10 maggio e del 13
novembre 1991, ambo i ricorsi facendo riferimento, non alla natura della Federazione o della Lega francese, ma agli atti da queste
emesse. Ebbene in questo caso i provvedimenti impugnati erano, secondo il giudice, provenienti da una convenzione di diritto privato
e quindi da lui non giudicabili. Ad ogni modo lo stesso giudice ha comunque affermato che l’ammissione a partecipare ad un
determinato campionato non fosse un elemento del patrimonio della società professionistica; ne conseguirebbe che “la disposizione
federale che prevede la retrocessione nella divisione inferiore in caso di stato di insolvenza non contrasta né con la parità di
trattamento fra le società aventi il titolo sportivo per lo stesso campionato né con le norme della Convenzione Europea dei diritti
dell’uomo poste a tutela della proprietà privata.” Sulla questione cfr. COCCIA M., Il Consiglio di Stato francese e la retrocessione
d’autorità di società calcistiche per motivi di dissesto economico, in Riv. dir. sportivo 1993, p.801-807.
8
Lo stesso principio è stato poi espresso, con maggiore convinzione, anche dal T.A.R. Lazio che nella sent. n. 9668/2004,
cit., non si è discostato dal dictum del Tribunale di Napoli, affermando che il titolo sportivo rappresenta “l’attitudine del relativo
complesso aziendale di conseguire, fintanto che permane il vincolo d’affiliazione che è la fonte del titolo stesso, successi sportivi e,
perciò, risultati economici diversi e maggiori di quelli raggiungibili mercè l’utilizzazione isolata dei singoli cespiti o in un differente
contesto di mercato (per esempio un campionato di rango inferiore o dilettantistico); infatti l’avviamento, è il valore di scambio
maggiore che acquista il complesso unitario aziendale grazie al rapporto di strumentalità e di complementarietà tra i singoli
elementi costitutivi dell’azienda, onde esso ne rappresenta una qualità e ne misura il successo”.
Sul punto si veda anche FIMMANO’ F., La crisi delle società di calcio e l’azienda sportiva, cit., p.25, dove l’autore
afferma che se il titolo sportivo è “funzionalmente necessario all’impresa calcistica, il suo valore sarà proporzionalmente decisivo
rispetto al valore della restante organizzazione e come tale imprescindibile ed irrinunciabile”.
21
DOTTRINA
Il titolo sportivo………
L’indubbia valenza economica del titolo sportivo trova, tuttavia, una forte limitazione proprio
all’interno dei regolamenti della F.I.G.C., anzitutto laddove l’art.52 delle N.O.I.F. al secondo
comma stabilisce che “in nessun caso il titolo sportivo può essere oggetto di valutazione economica
o di cessione”. Questa disposizione da un lato ribadisce il carattere personalissimo del titolo
sportivo della società cui esso appartiene, dall’altro (nel disporre l’incommerciabilità del titolo
sportivo)9 possiede la sua ratio nella volontà di evitare che esso (stante anche il suo valore morale
per la città e la tifoseria che la società sportiva stessa rappresenta) possa essere liberamente ceduto a
società di un’altra città.
La disposizione in esame, però, solleva qualche dubbio di coerenza quando viene collegata
con altri articoli delle stesse N.O.I.F., le quali, stabilendo delle eccezioni al comma 2 dell’art.52, di
fatto consentono al titolo sportivo di società professionistiche di essere, e in modo rilevante,
oggetto di valutazione economica10.
Le N.O.I.F. della F.I.G.C., infatti, come del resto altri regolamenti di diverse Federazioni,
stabiliscono dei limitati casi in cui il titolo sportivo sia trasmissibile da una società ad un’altra;
questi casi verranno, nelle loro sfaccettature, esaminati più avanti. Per ora rileva il fatto che la
possibilità che il titolo sportivo possa essere trasmesso, da un lato conferma la sua valenza
economica per la società che lo possiede, dall’altro però risulta del tutto singolare che di tale
valenza si possa giovare solo la F.I.G.C. e nei limiti in cui questa dispone.
Su tale questione è intervenuto il Consiglio Federale della F.I.G.C. con il C.U. n.75/A del 12
agosto 2004, il quale ha a proposito precisato che “la valenza del titolo sportivo deve essere
determinata alla stregua delle regole proprie dell’ordinamento sportivo, al rispetto delle quali le
società affiliate sono obbligate oltre che in forza di apposita previsione statutaria, anche in ragione
dei vincoli assunti con la costituzione del rapporto associativo e con la sottoscrizione della
domanda di ammissione al campionato.”
Titolo sportivo che, dunque, da una parte della giurisprudenza è riconosciuto come
avviamento di una società sportiva, mentre in base alla normativa F.I.G.C. è la Federazione l’unica
legittimata a disporne.
9
Per la F.I.G.C. il titolo sportivo rappresenta una res extra commercium.
Si pensi, ad esempio, al successivo comma 3 dello stesso articolo in tema di fallimento della società sportiva, su cui si
tornerà in seguito.
10
22
DOTTRINA
Il titolo sportivo………
La legittimità, anche con riferimento ai precetti costituzionali, dei limiti imposti dalla
regolamentazione endofederale agli atti di disposizione del titolo sportivo, è stata giustificata in
relazione alla libertà associativa garantita dall’art. 18 Cost., che costituisce il presupposto della
produzione normativa interna, come tale non soggetta ad alcun controllo esterno altrimenti “non si
tratterebbe di libertà assoluta quale invece deve essere ob Constitutionem”11.
In questi termini si sono del resto espressi anche il T.A.R. Lazio 12, affermando altresì che il
titolo sportivo esiste solo e nella misura in cui è riconosciuto dalla Federazione sportiva “nel cui
contesto il relativo valore è destinato ad esprimersi”, e il Tribunale di Monza13 riconoscendo che il
titolo sportivo sarebbe stato attribuito dalla F.I.G.C. a seguito dell’impegno, da parte del soggetto
acquirente, a richiedere l’iscrizione al campionato di competenza “alle condizioni tutte che saranno
determinate in via esclusiva dalla Federazione Italiana Giuoco Calcio e dalla Lega
d’appartenenza”.
Da ciò si evince come, nell’ottica federale del calcio professionistico, il titolo sportivo risulti
per quanto possibile sganciato da riferimenti aziendali, rappresentando invece “un momento
specificativo della qualità di associato alla Federazione sportiva, da ritenersi qualificante per il
profilo soggettivo del gruppo sportivo piuttosto che del suo profilo oggettivo-patrimoniale”14.
La valenza del titolo sportivo, sotto tutti i suoi profili, è inoltre evidenziata nello sport
professionistico di alto livello dal particolare collegamento che c’è tra competizioni nazionali ed
internazionali.
11
Così GALLAVOTTI M., Il titolo sportivo delle società di calcio professionistico, in Riv. Analisi giuridica dell’economia, n.
2/2005, p.391.
12
TAR Lazio, Sez. III, sent. n.9668/2004, cit.
13
Ordinanza di vendita senza incanto del 27 maggio 2004, in Il Fallimento, n.6/2005, p.62 e ss.
14
Così CAPRIOLI R., in GIACOMARDO L., Titoli sportivi solo in nome della legge, in Diritto e Giustizia, supplemento al
settimanale numero 35 del 2 ottobre 2004, p. 8.
E’ opportuno evidenziare come, per di più, per espressa previsione dell’art.16 delle citate N.O.I.F. della F.I.G.C. sia
addirittura disposta l’estrema sanzione della revoca dell’affiliazione, per tutti coloro che pongono in essere “gravi infrazioni
all’ordinamento sportivo”, precisando che per l’appunto costituiscono gravi infrazioni “la violazione dei fondamentali principi
sportivi, quali la cessione o comunque i comportamenti intesi ad eludere il divieto di cessione del titolo sportivo”. Al di là poi di
questa grave sanzione federale è stato osservato, dal Gallavotti, come qualora una norma associativa vieti la commercializzazione o il
trasferimento del titolo sportivo al di fuori dei casi tassativamente previsti, l’atto negoziale eventualmente posto in essere tra gli
associati contro questo divieto, oltre a non avere rilevanza all’interno dell’associazione (nella specie nell’ordinamento sportivo), non
può che essere affetto da nullità anche ai fini civilistici. “Il contratto tipico di compravendita del titolo sportivo da un’associazione
calcistica è nullo per impossibilità dell’oggetto, in considerazione della incedibilità del titolo sancita dai regolamenti federali” (Trib.
Spoleto, 20 febbraio 1997, in Rass. Giur. Umbra 1997, p.426, con nota di EROLI). Anche la Suprema Corte ha avuto modo di
affermare che “l’inosservanza di prescrizioni tassative dettate dai regolamenti federali…comporta l’invalidità dei contratti stipulati
in violazione di quella potestà, in quanto sebbene leciti per l’ordinamento statale, sono tuttavia inidonei a realizzare i loro effetti
mancando di interesse meritevole di tutela, non potendo essi svolgere alcuna funzione nel campo dell’attività sportiva” (Cass., Sez.
Lavoro, sent. n.1855/1999 Pescara Calcio/Molinelli, in Giust. Civ. 1999, I, p.1611, con nota di VIDIRI). Su tali punti cfr.
GALLAVOTTI M., Il titolo sportivo delle società di calcio professionistico, cit. p.392.
23
DOTTRINA
Il titolo sportivo………
In Italia, ad esempio, il possesso del titolo sportivo assegnato secondo le regole della F.I.G.C.
è condizione necessaria e prevalente, rispetto a qualsiasi altra, per l’ammissione delle società alle
competizioni organizzate dall’U.E.F.A.15.
1.1 Analisi comparata all’interno di varie Federazioni sportive italiane.
Per una migliore inquadratura del titolo sportivo si tratterà ora delle vicende del titolo sportivo
legate alla sua disciplina da parte anche di altre Federazioni sportive e legate, in particolare, alla sua
trasmissibilità, facendo riferimento al “sistema calcio” solo da ultimo, in quanto di questo ne
verranno approfonditi gli aspetti più nello specifico.
Nei vari regolamenti federali una definizione precisa del titolo sportivo, come vi è nelle
norme della F.I.G.C., si rinviene nell’art.128 del Nuovo Regolamento Organico della Federazione
Italiana Pallacanestro, dove (in modo del tutto simile a quanto già detto) con l’espressione titolo
sportivo si individua anche qui “il riconoscimento da parte della FIP delle condizioni tecniche e
sportive che consentono la partecipazione di una Società ad un determinato campionato”. Ed
infatti, l’art.2 comma.2.1 del Regolamento Esecutivo della Lega indica quale prerequisito per
l’ammissione alla Lega medesima il “possesso del titolo sportivo idoneo a partecipare al
campionato italiano professionistico di pallacanestro di serie A”. La stessa F.I.P. poi si è adeguata
alla disposizione delle N.O.I.F. della F.I.G.C. prevedendo anch’essa che “il titolo sportivo non può
essere in nessun caso oggetto di cessione o valutazione economica”(comma 2 art.128 N.R.O.).
In altre Federazioni sportive è invece raro rinvenire l’accezione di titolo sportivo (c’è ad
esempio nel Reg. Organico della Federazione Italiana Rugby): essa è tuttavia desumibile in alcuni
regolamenti, dove, a proposito della disciplina di vicende societarie come la fusione o la scissione,
viene ricompresa nel termine più generico di “diritto sportivo” (è il caso ad esempio del Reg.
Affiliazione e Tesseramento della F.I.PAV. o del Reg. Organico della F.I.T.).
Ci si rende subito conto infatti, leggendo i regolamenti federali che non siano quelli del
calcio, come la valenza da attribuire al titolo sportivo non sia così importante come lo è in relazione
alle società sportive professionistiche della F.I.G.C.; ciò è in particolar modo evidente negli sport
15
Anche per l’ottenimento della cosiddetta licenza UEFA le società devono dimostrare di possedere diversi requisiti di natura
organizzativa ed economica, che comunque in gran parte coincidono con quelli delle Federazioni nazionali. Recita così l’art.52 bis
co.1 delle N.O.I.F.: “Con il termine licenza UEFA si intende il titolo rilasciato dalla FIGC che consente alle società che ottengano il
prescritto titolo sportivo di partecipare alle competizioni internazionali per squadre di club organizzate dall’UEFA nella stagione
sportiva successiva a quella del rilascio”.
24
DOTTRINA
Il titolo sportivo………
individuali come il tennis: in questi casi, il titolo sportivo e il suo accertamento costitutivo, a livello
individuale, se non per alcuni dettagli, non è assolutamente soggetto a quei requisiti di
riconoscimento, visti in precedenza, che consentono l’accesso alla competizione sportiva.
Per cogliere poi le maggiori differenze nella disciplina del titolo sportivo tra le Federazioni è
opportuno trattare della sua trasmissibilità. Innanzitutto occorre sottolineare che non tutte le
Federazioni impongono il divieto di cessione del titolo sportivo16.
Il Regolamento di Affiliazione e Tesseramento della F.I.PAV., negli artt.16 e 17, regola
espressamente le modalità e gli effetti della cessione del titolo sportivo. Recita così l’art.16 co.1:
“Ciascun associato avente diritto a partecipare ad uno dei campionati di serie A, B, C e D, fermo
restando il limite di rappresentanza di una sola squadra per ciascun campionato di serie, può
cedere ad altro associato il proprio diritto a disputare quel campionato”. Questa possibilità
concessa dai regolamenti della F.I.PAV. è significativa soprattutto perché riguarda i campionati
maggior livello17, dove si trovano squadre di grande tradizione, anche se è soggetta ad alcune
limitazioni (come il parere della Lega d’appartenenza e la delibera d’approvazione del Consiglio
Federale)18.
La possibilità di cessione del titolo sportivo è poi prevista, nel Regolamento Organico della
Federazione Italiana Rugby all’art.4, dove l’operazione, consentita solo a titolo gratuito, è
subordinata alcuni articolati adempimenti economici ed amministrativi.
Al di là di isolate ipotesi di cessione, il titolo sportivo può essere trasmesso anche attraverso
altre forme generalmente riconosciute nei regolamenti federali. La principale ipotesi prevista è
quella della fusione societaria. Sebbene secondo la definizione codicistica (art.2051) la fusione
possa avvenire anche mediante costituzione di una nuova società, all’interno delle Federazioni
sportive si verificano per lo più fusioni per incorporazione, nelle quali vi è una società “fondente”,
che prosegue l’attività in un’altra Serie, e una società “fusa”, che di fatto scompare.
16
Divieto di cessione e di valutazione economica che ormai, a seguito della deliberazione del Consiglio Nazionale del
C.O.N.I. n. 1344/2006 (recante principi generali in materia di cessione del titolo sportivo negli sport di squadra), dovrebbe essere
recepito in tutti i regolamenti federali.
17
Poco rileva il fatto che questi non vengano definiti professionistici: la F.I.PAV. infatti, a differenza della F.I.G.C. o della
F.I.P., non è riconosciuta dal C.O.N.I. come una Federazione sportiva professionistica ma nei suoi massimi campionati gli interessi
economici e il seguito popolare non si discostano molto da quelli della pallacanestro o di altri sport.
18
Per quanto riguarda gli effetti della cessione, l’art.17 del predetto Regolamento determina la possibilità per gli atleti
vincolati con l’associato cedente ed interessati al campionato ceduto, di richiedere alla Commissione Tesseramento Atleti lo
scioglimento coattivo del vincolo.
25
DOTTRINA
Il titolo sportivo………
L’effetto principale della fusione e della incorporazione è quello di riconoscere alla società
così sorta o incorporante il titolo sportivo di rango più elevato fra quelli delle società che hanno
concorso alla fusione (art.135 co.4 Reg. Org. F.I.P.; art.9 co.1 e 6 Reg. Org. F.I.N.; art.15 co.1 lett.b)
Reg. Aff. e Tess. F.I.PAV.; art.63 co.4 e art.64 co.3 Reg. Org. F.I.T.; art.3 lett. e) Reg. Org. F.I.R.)19.
Per ciò che riguarda altre operazioni societarie come la scissione o il trasferimento della sede in
un'altra Regione, c’è da dire che esse risultano raramente contemplate nei regolamenti federali e,
per quanto attiene agli effetti che ci interessano, c’è da presupporre che la destinazione del titolo
sportivo dipenda in questi casi dalla volontà dei rispettivi Consigli Federali nazionali e regionali e
dalla disponibilità delle rispettive Leghe.
Entrando ora, in particolare, nel merito dei regolamenti della F.I.G.C., viene subito in risalto
l’art. 20 delle N.O.I.F., dove vengono autorizzate, sempre previa approvazione del Presidente
federale, le operazioni di fusione tra due o più società, di scissione di una società e di conferimento
in conto capitale dell’azienda sportiva in una società interamente posseduta dalla società conferente.
Nonostante, quindi, il divieto di valutazione economica e di cessione, il titolo sportivo può essere
comunque trasmesso attraverso queste (e solo queste) tre operazioni, le quali esplicano su di esso e
sulle società coinvolte i seguenti rispettivi effetti: “In caso di fusione approvata, rimane affiliata
alla F.I.G.C. la società che sorge dalla fusione e ad essa sono attribuiti il titolo sportivo superiore
tra quelli riconosciuti alle società che hanno dato luogo alla fusione e l’anzianità di affiliazione
della società affiliatasi per prima. In caso di scissione approvata, è affiliata alla F.I.G.C.
unicamente la società cui, in sede di scissione, risulta trasferita l’intera azienda sportiva. A detta
società sono attribuiti il titolo sportivo e l’anzianità di affiliazione della società scissa. In caso di
conferimento approvato in conto capitale dell’azienda sportiva da parte di una società affiliata in
una società dalla stessa interamente posseduta, è affiliata alla F.I.G.C. unicamente la società cui
risulta conferita l’intera azienda sportiva.
A detta società sono attribuiti il titolo sportivo e l’anzianità di affiliazione della società
conferente” (art.20 co.5 N.O.I.F.).
Fra le società professionistiche del calcio non si verificano spesso tali manovre traslative di
compendi aziendali20; secondo gli organi federali la ratio di tali apparenti deroghe all’art.52 co.2
19
Altro effetto generalmente riconosciuto è il passaggio automatico del vincolo degli atleti delle società estinte alla nuova
società, salvo una espressa manifestazione di volontà contraria (nei modi previsti dai regolamenti stessi) da parte degli atleti coinvolti
nell’operazione.
20
Un conferimento in conto capitale dell’intera azienda sportiva è avvenuto recentemente con il Parma Calcio Spa. E’ invece
molto diffusa la prassi della fusione societaria fra i Dilettanti. BALDI U., Stato di fusione; Dilettanti, girandola di acquisti e cessioni
di titoli sportivi, in Il Messaggero, 4 luglio 2005.
26
DOTTRINA
Il titolo sportivo………
delle N.O.I.F. risiederebbe nel principio del mantenimento dell’unitarietà dell’intera azienda
sportiva: “quanto alla scissione e alla fusione esse costituiscono nella sostanza mere modificazioni
dell’assetto organizzativo della struttura imprenditoriale dello stesso soggetto titolare del titolo
sportivo; quanto al conferimento in conto capitale dell’intera azienda sportiva in altra società
interamente posseduta (non semplicemente controllata) dalla conferente, trattasi anche in questo
caso di un’operazione societaria straordinaria che configura sostanzialmente una scissione della
stessa attività sportiva con la creazione di una “holding” che assicura, comunque, la unitarietà
dell’azienda”21.
D’altro canto, volendo considerare il titolo sportivo come avviamento dell’impresa avente ad
oggetto un’attività sportiva, e avendo detto che l’avviamento in sostanza rappresenta l’attitudine
dell’impresa stessa a produrre utili, esso non può essere concepito al di fuori dell’intera azienda
sportiva, né può essere considerato o trasferito separatamente da questa, onde la sua eventuale
cessione deve essere necessariamente accompagnata dalla cessione dell’intera azienda sportiva22.
E’ indubbio comunque che, seppure nelle ipotesi ora elencate non si possa parlare di una vera
e propria cessione del titolo sportivo venendo questo assorbito in una alienazione “all inclusive”,
una valutazione economica del titolo sportivo sia in questi casi quantomeno implicita.
La valutazione economica implicita del titolo sportivo all’interno della F.I.G.C., risulta poi più
chiara (come accennato nelle considerazioni iniziali sull’argomento) ove si analizzi l’art.52 co.3
delle N.O.I.F. relativamente al caso di fallimento di una società sportiva.
Tale disposizione prevede, infatti, che - nel caso in cui una società si veda revocare
l’affiliazione a seguito di “dichiarazione e/o accertamento giudiziale dello stato di insolvenza” (ai
sensi dell’art.16 co.6 delle N.O.I.F.)23, intervenuta prima della scadenza del termine per la
presentazione della domanda di partecipazione al campionato successivo - il Presidente Federale
possa attribuire il titolo sportivo della società in stato di insolvenza ad un’altra società della stessa
città che “dimostri di aver acquisito l’intera azienda sportiva della società in stato di insolvenza” e
“di essersi accollata e di aver assolto tutti i debiti sportivi”.
21
Così recita la Memoria difensiva della F.I.G.C., cit., con cui si voleva giustificare la non configurabilità nell’art.20 delle
N.O.I.F. dell’operazione di fitto di ramo d’azienda, ritenuta pertanto illegittima.
22
In tema di avviamento di società sportive si veda BONAVITACOLA R., Manuale di diritto sportivo, II, ed. Maros, Milano,
1991, p.48/49.
23
Il comma 6 dell’art.16 delle NOIF prevede la revoca dell’affiliazione in caso di dichiarazione di fallimento (gli effetti della
revoca, nel caso in cui il Tribunale disponga la continuazione temporanea dell’esercizio dell’impresa fallita ex art.90 l. fall.,
decorrono dal termine della stagione sportiva, o da quella di data anteriore in cui il titolo sportivo viene attribuito ad altra società).
27
DOTTRINA
Il titolo sportivo………
Ora, al di là di altre apparenti incongruenze che questa disposizione presenta rispetto ad altri
punti delle stesse N.O.I.F., di cui si dirà, qui rileva il fatto che, nel caso di fallimento di una società
intervenuto prima dei termini previsti per l’iscrizione al successivo campionato, la curatela
fallimentare possa essa stessa incassare il proventi derivati dalla cessione dell’azienda sportiva, sui
quali gioca un ruolo determinante il titolo sportivo, dato che questo verrebbe acquisito dalla nuova
società allo stesso livello in cui esso si trovava.
E’ evidente come se non fosse prevista questa specifica possibilità, non sarebbero molti gli
imprenditori a farsi avanti per rilevare la società fallita. Va subito detto infatti che, nonostante da più
parti si reputi la non commerciabilità del titolo sportivo24, in sé e per sé considerato, trattandosi di
una sorta di autorizzazione amministrativa, in pratica, la posizione sportiva acquisita dalla società
fallita rappresenta spesso il motivo principale che spinge i gruppi imprenditoriali ad instaurare
trattative con il curatore del fallimento per ottenere la cessione dell’azienda e dei contratti.
Il diritto alla partecipazione a un determinato campionato, a seguito della prevedibile
attribuzione del titolo sportivo alla società subentrante, vale in sede di valutazione economica
spesso molto di più dell’acquisizione dei contratti sportivi o del patrimonio aziendale25.
2.2 Il problema dell’assegnazione del titolo sportivo.
Attraverso l’esame dei regolamenti federali precedentemente considerati si è avuto modo di
capire come, in seguito a determinate vicende societarie, il titolo sportivo trovi quasi
automaticamente (serve sempre una delibera da parte degli organi federali) una collocazione
all’interno della relativa disciplina sportiva.
24
Anche la Camera di Conciliazione e Arbitrato per lo Sport ha affermato che queste ipotesi in esame rappresentano solo
un’eccezione, la quale poi deve rimanere nei limiti previsti dalla normativa federale: “nessun soggetto può rivendicare la libera
disponibilità del titolo sportivo alla stregua di un qualsivoglia diritto assoluto, bene della vita o situazione giuridica di vantaggio
previsti dall’ordinamento generale” (lodo arbitrale del 16/12/2004 tra Napoli Sportiva Spa e F.I.G.C.). Si veda poi GALLAVOTTI
M., Il titolo sportivo delle società di calcio professionistico, cit., p.392, dove l’Autore ritiene che “stante l’insuscettibilità di
valutazione economica per effetto della norma contrattuale di cui all'art.52 NOIF…mai il titolo sportivo potrebbe generare
affidamento di terzi”.
25
Ossia, se il fallimento interviene nel corso del campionato è possibile cedere l’azienda (sia pure subordinatamente alla
delibera del presidente F.I.G.C.) arricchita dal titolo sportivo e dai contratti con i tesserati, come avvenuto ad esempio nel caso del
Calcio Monza: il Tribunale di Monza con decreto del 17 giugno 2004, ha trasferito a seguito di vendita senza incanto dal fallimento
“Calcio Monza spa” all’ “Associazione Calcio Monza Brianza 1912 Spa”, il complesso aziendale della società calcistica, ivi compresi
calciatori e diritto all’utilizzo dello stadio. Correlativamente la F.I.G.C. con delibera del 30 giugno 2004 ha affiliato la cessionaria,
mantenendo in capo alla stessa i diritti derivanti dall’anzianità di affiliazione della società fallita ed ha autorizzato il trasferimento
dell’azienda con particolare riferimento a titolo sportivo e parco tesserati. Cfr. FIMMANO’ F., La crisi delle società di calcio e
l’azienda sportiva, cit., p.30.
Su questi temi in generale si veda anche MOSCA A., Problematiche in tema di azienda nel fallimento di società sportive, in
Riv. dir. sportivo 1994, da p.23.
28
DOTTRINA
Il titolo sportivo………
Ci sono tuttavia frequenti casi in cui sull’assegnazione del titolo sportivo assume un ruolo
decisivo la scelta degli organi federali.
Ci si riferisce in primis a quei provvedimenti disciplinari dovuti a gravi infrazioni da parte di
un soggetto all’ordinamento sportivo; tali provvedimenti possono determinare la perdita del titolo
sportivo anche di diverse categorie, la cui individuazione è lasciata spesso alla discrezionalità degli
organi giudicanti o allo stesso Consiglio Federale in base alla gravità dell’illecito.
Si prenda, ad esempio, l’art.18 del nuovo Codice di Giustizia Sportiva della F.I.G.C.. In esso
vengono richiamate le possibili sanzioni a carico delle società che abbiano commesso violazioni
alle norme federali: la lettera i) di detto articolo, la cui applicabilità è richiamata, ad esempio,
dall’art. 7 per diversi casi di responsabilità delle società nell’illecito sportivo, dispone in questi casi
“l’esclusione dal campionato di competenza o da qualsiasi altra competizione agonistica
obbligatoria, con assegnazione da parte del Consiglio Federale ad uno dei campionati di categoria
inferiore.” All’assegnazione di un titolo sportivo differente da quello conquistato sul campo gli
organi federali provvedono anche nei casi di provvedimenti disciplinari espulsivi (come la revoca
dell’affiliazione) o di provvedimenti amministrativi (come il diniego di ammissione a un
campionato).
Mentre, in alcune discipline sportive c.d. “minori”, l’assegnazione del titolo sportivo da parte
degli organi federali in seguito a tali provvedimenti è rimessa spesso alla loro discrezionalità, nello
sport del calcio (vista la mole di interessi che ruotano attorno al titolo sportivo) si è invece cercato
di limitare questa discrezionalità attraverso una serie di interventi normativi federali che tuttavia
non sembrano aver definito del tutto la questione26.
26
Il problema dell’assegnazione del titolo sportivo è nato, infatti, proprio in base a talune decisioni del Consiglio Federale o
dello stesso presidente della F.I.G.C. che negli anni passati hanno fatto pensare ad alcuni favoritismi verso certe squadre a discapito
di altre. Si pensi ad esempio al caso della Fiorentina: tale squadra nel 2002 andò incontro al fallimento e alla nuova società sportiva
neocostituita a Firenze il Consiglio Federale decise di assegnarle il titolo sportivo valevole per la serie C2 (nonostante i regolamenti
prevedano che ad una società neocostituita venga attribuito il titolo sportivo di base, cioè di III categoria). L’estate successiva, a
seguito della vicenda denominata “Catania bis” (che portò all’ampliamento dei numeri delle squadre aventi diritto a partecipare al
campionato di serie B), il Consiglio Federale decise di attribuire il titolo sportivo per detta categoria sempre alla Fiorentina, la quale
aveva però, nel frattempo, conquistato il titolo sportivo “sul campo” solo per la serie C1. La scelta ovviamente dettata solo dal
“nome” della squadra scatenò aspre polemiche soprattutto da parte di quelle società che ritenevano di aver diritto a un rispescaggio
(ad es. il Cosenza appena retrocesso in C1 e di cui si dirà, e il Martina Franca proveniente invece dai play-off di serie C1).
Altri casi lampanti in cui si è verificata questa discrezionalità degli organi federali nell’attribuzione del titolo sportivo, si
sono avuti con le società neocostituite di Napoli e Ancona nell’estate del 2004, alle quali (non rientrando esse nell’applicazione del
“Lodo Petrucci”) è stato attribuito rispettivamente il titolo sportivo di serie C1 e C2.
Andando a ritroso nel tempo, una situazione analoga accadde dopo il fallimento del Palermo Calcio spa, cui venne revocata
l’affiliazione il 18 settembre 1986: nella stagione sportiva 1987/1988 alla società neocostituita U.S. Città di Palermo venne concesso
il titolo sportivo per partecipare direttamente al campionato di serie C2. Per una lettura sulle vicende legate al Palermo Calcio cfr.
CHIAIA NOYA G., Il Palermo Calcio spa, in Riv. dir. sportivo 1987, da p.395.
29
DOTTRINA
Il titolo sportivo………
Per quanto riguarda i provvedimenti disciplinari espulsivi, si è detto di come la revoca
dell’affiliazione intervenga in caso di dichiarazione e/o accertamento giudiziale dello stato di
insolvenza. A differenza però del co. 3 dell’art.52 N.O.I.F., se il fallimento di una società viene
dichiarato successivamente alla scadenza dei termini per la presentazione della domanda di
iscrizione al campionato successivo, non è più possibile procedere alla cessione dell’azienda
sportiva ad altra società (mantenendo il titolo sportivo allo stesso livello) e, pertanto, il co.7 dello
stesso articolo attribuisce espressamente, in questo caso, alla Procedura concorsuale il potere di
individuare un’altra società, avente sede nella città di quella fallita, cui la Federazione potrà
assegnare il titolo sportivo della società fallita anche se diminuito di una categoria27.
Da ciò si evince pure come, da un lato, l’affiliazione esista quale premessa per l’acquisizione
del titolo sportivo, e come dall’altro lato il titolo sportivo possa sopravvivere alla revoca
dell’affiliazione della società che lo ha conquistato sul campo, venendo attribuito a terzi.
Per quel che concerne i provvedimenti amministrativi di diniego di iscrizione al campionato,
il legislatore federale è intervenuto (ancora con un fine di tutela del titolo sportivo, dato che ad una
società non iscritta spetterebbe un titolo sportivo tra i dilettanti ai sensi del comma 6 e del comma 9
dell’art.52 N.O.I.F.) attribuendo però in questo caso il potere di individuazione di una nuova società
(sempre comunque della stessa città) e di assegnazione del titolo sportivo quasi esclusivamente al
Consiglio Federale (o al Presidente su sua delega), nel rispetto di determinati parametri stabiliti
dalla stessa F.I.G.C. (tra cui una procedura d’assegnazione esaminata da una Commissione
nominata dallo stesso Consiglio Federale, procedura che “taglia fuori” le società che non hanno
avuto una presenza continuativa negli ultimi anni nel settore professionistico; si prevede poi il
parere della CO.VI.SOC e del Sindaco della città interessata): tutti passaggi che lasciano intendere
come l’assegnazione del titolo sportivo sia, in questi casi, quasi completamente in mano alla
F.I.G.C. e sottratta alla volontà della società che lo ha conquistato sul campo.
La procedura or ora accennata è contenuta integralmente nel comma 6 dell’art. 52 N.O.I.F.,
rappresentante il “Lodo Petrucci”, uno dei più decisi interventi attuati dal C.O.N.I. e dalla F.I.G.C.
in tema di titolo sportivo.
Tale intervento, approvato nel maggio 2004, trova la sua ratio nella necessità di salvaguardare
in qualche modo il già descritto interesse morale e sportivo del territorio legato al titolo sportivo di
una società.
27
L’assegnazione del titolo sportivo alla società individuata dalla Procedura concorsuale sarà qui subordinata solo ad alcuni
adempimenti formali elencati al successivo comma 8.
30
DOTTRINA
Il titolo sportivo………
Fino infatti alla stagione sportiva 2003-2004, a una società non ammessa ad un campionato
professionistico veniva attribuito il titolo sportivo valevole per il campionato dilettantistico di
Eccellenza (sulla base della considerazione che la società non iscritta non disponesse delle risorse
necessarie per partecipare a un campionato professionistico).
Successivamente, a partire dalla stagione sportiva 2004-2005, è stata introdotta la nuova
disciplina, la quale prevede che, in caso di non ammissione ad un campionato di serie A, B o C1 di
una società con una radicata tradizione sportiva (vale a dire con una decina di anni continuativi in
una categoria professionistica oppure un quarto di secolo complessivo), la F.I.G.C. possa
riconoscere ad altra società della stessa città (sentito il Sindaco della stessa e previo versamento di
un contributo straordinario in favore del Fondo di garanzia per calciatori e allenatori di calcio) il
titolo sportivo inferiore di una sola categoria rispetto a quello di cui era titolare la società non
ammessa28. Le società aspiranti al suddetto titolo, entro il termine perentorio di tre giorni dalla
pubblicazione del provvedimento di non ammissione al campionato di serie A, B o C1 della società
esclusa, dovranno manifestare il proprio interesse, presentando alla F.I.G.C. una dichiarazione in tal
senso.
A tal punto, nella fase di assegnazione del titolo sportivo rileva la differente versione del
“Lodo Petrucci” che si è avuta per la stagione sportiva 2004/2005 da quella valevole per le stagioni
sportive 2005/2006 e 2006/2007.
Mentre nella prima versione del 6°comma dell’art.52 N.O.I.F. si prevedeva che il “prezzo” del
titolo sportivo fosse fissato dalla Federazione e che, in caso di pluralità di offerte, il titolo sportivo
sarebbe stato assegnato al “soggetto più meritevole sulla base di una valutazione comparativa che
tenga conto dell’affidabilità della compagine sociale, delle garanzie di continuità aziendale offerte
e della solidità organizzativa e finanziaria”, nella nuova versione invece tale “prezzo” o “tassa”
sono stati giustamente eliminati29.
Ora la norma prevede una vera e propria gara fra gli interessati: il titolo sportivo viene di fatto
messo all’asta dalla F.I.G.C., e le società interessate possono presentare la propria offerta (a seguito
28
Inoltre, per la nuova società costituita vige una clausola limitativa che riguarda le persone: in sostanza della nuova società
non potranno far parte persone che abbiano svolto incarichi dirigenziali nel club non ammesso o che abbiano detenuto in questo
partecipazioni azionarie superiori al 2 % (in caso contrario la F.I.G.C. rifiuterà l’affiliazione della nuova società).
29
Nell’estate 2004 la F.I.G.C., per le società neocostituite che si erano dichiarate interessate all’assegnazione del titolo
sportivo della fallita S.S.C.Napoli, aveva fissato fra tasse straordinarie e fidejussioni in oltre sette milioni di euro l’ammontare
necessario per essere prese in considerazione ai fini dell’assegnazione. Ciò portò diversi disagi fra le società interessate: una di
queste, la Napoli Sport, dovette ritirare quasi subito la propria richiesta. A tale conclusione era giunta anche la neocostituita
Anconitana, società che, di fronte a una tassa stabilita in 1,5 milioni euro a cui si dovevano aggiungere 800 euro come fondo di
garanzia, ritirò la propria richiesta per l’assegnazione del titolo sportivo della società Ancona appena fallita. Su tali vicende NICITA
M., La Napoli Sport si è già arresa e l’Anconitana fa un passo indietro, in Gazzetta dello Sport del 31/07/2004.
31
DOTTRINA
Il titolo sportivo………
di determinati adempimenti, come la domanda di affiliazione e la presentazione di documenti a
garanzia dell’offerta stessa). Solo “in caso di offerte” di pari importo o qualora la Commissione ad
hoc nominata dal Consiglio Federale “ritenga, a suo insindacabile giudizio, non soddisfacenti gli
importi offerti”, si apre una seconda fase in cui le società interessate sono invitate a presentare
offerte migliorative (così il nuovo 6°comma dell’art.52 N.O.I.F.), cui seguirà (attraverso la
graduatoria stilata dalla Commissione e i pareri favorevoli o meno della CO.VI.SOC)
l’assegnazione del titolo sportivo alla società migliore.
In generale si può dire che il “Lodo Petrucci” ha avuto il pregio di tutelare gli interessi
sportivi, morali e territoriali per il titolo sportivo a prescindere dalle eventuali crisi economiche
delle società che lo possiedono. A tale pregio però si accosta il difetto di non aver contemplato alcun
ristoro economico dalla sua assegnazione per le società non ammesse al campionato.
Se il titolo sportivo rappresenta un bene immateriale, personalissimo e fondamentale come
l’avviamento per una impresa sportiva, si fatica a comprendere come dalla sua “espropriazione” a
favore di una società terza non possa derivarne alcun vantaggio patrimoniale per la società non
ammessa al campionato. Ciò risulta poco coerente non soltanto rispetto all’ipotesi prevista dal
comma 3 dello stesso art.52 N.O.I.F. (dove, come detto, è di fatto consentita una valutazione
economica del titolo sportivo e di cui si giova la curatela fallimentare), ma risulta pregiudizievole
per tutti i creditori della società non ammessa che versa in una situazione, spesso grave, di dissesto
finanziario.
Conseguenza naturale di tale situazione è un enorme vantaggio per le società neocostituite,
che possono vedersi assegnato un titolo sportivo di livello professionistico con un esborso
relativamente contenuto, a svantaggio della società esclusa: autorevole dottrina ha configurato tale
conseguenza nella fattispecie dell’ “arricchimento senza causa” ai sensi dell’art. 2041 co.1 del c.c.30.
Peraltro, lo stesso pregio poc’anzi enunciato non risulta pienamente soddisfacente.
Qualora, infatti, l’assegnazione del titolo sportivo attraverso l’applicazione del “Lodo
Petrucci” andasse a buon fine, ne risulterebbe comunque compromesso, seppur di una sola
categoria, il risultato sportivo ottenuto sul campo a causa di fattori finanziari “esterni” al campo da
gioco31. Se dunque in questo caso si avrebbe una tutela del titolo sportivo solo parziale, ancora
30
LUBRANO E., Ammissione ai campionati e titolo sportivo: un sistema da rivedere?!, in Riv. Analisi Giuridica
dell’Economia 2005, fasc.II, p.30. L’art.2041 c.c. (intitolato “azione generale di arricchimento”) dispone al co.1 che “chi, senza
giusta causa, si è arricchito a danno di un’altra persona è tenuto, nei limiti dell’arricchimento, a indennizzare quest’ultima della
correlativa diminuzione patrimoniale”.
31
Emblematico è il caso del Torino al termine della stagione sportiva 2004/2005: la società piemontese, dopo aver
conquistato sul campo il titolo sportivo per la serie A (dopo oltre 40 partite più spareggi) non è stato poi ammesso al relativo
32
DOTTRINA
Il titolo sportivo………
peggiore risulterebbe il caso di una (possibile) mancata applicazione del “Lodo Petrucci” (cosa che
si può verificare, ad esempio, per la mancanza dei requisiti di accesso alla procedura e di
assegnazione del titolo previsti rispettivamente per la società non ammessa e per le nuove società
che abbiano fatto relativa domanda) che determinerebbe una “retrocessione” della società non
ammessa al campionato dilettantistico di III categoria.
Tale ultima circostanza si pone, per di più, in paradossale contrasto con quanto previsto dal 9°
comma dello stesso art.52 N.O.I.F.: qui si dispone che in caso di non ammissione di una società al
campionato di serie C2, questa avrebbe la possibilità di essere iscritta ad un campionato
dilettantistico determinato, in base alle possibilità, dai vari Comitati Regionali (quindi non
necessariamente quello di III categoria). La “minusvalenza” che in questo caso subirebbe il titolo
sportivo della società non ammessa al campionato di serie C2 potrebbe essere paradossalmente
minore di quella in capo alle società non ammesse a campionati professionistici superiori, dove gli
interessi al mantenimento del titolo sportivo crescono in maniera esponenziale.
Queste perplessità relative all’assegnazione del titolo sportivo saranno più avanti oggetto di
prospettive di riforma.
2. La tutela del titolo sportivo.
Alla luce di quanto sin ora detto, verranno approfondite le modalità con cui alcune società
sportive hanno cercato di tutelare il proprio titolo sportivo dagli atti di disposizione su di esso
compiuti dalle Federazioni. Verranno prese in esame, ancora una volta, le vicende sorte all’interno
della F.I.G.C. e derivanti principalmente da provvedimenti federali di diniego di ammissione a un
campionato.
I regolamenti della F.I.G.C., infatti, nel subordinare il riconoscimento delle condizioni
tecniche sportive di una società (che consentono la partecipazione a un determinato campionato) al
possesso dei requisiti visti in precedenza, mirano ad assicurare il regolare svolgimento dei
campionati, attraverso quell’attività di controllo che è stata delegata dallo Stato a tutte le
Federazioni per via dell’art. 12 della legge n. 91/1981; attività che è, per ciò, catalogabile senza
dubbio fra le attività pubblicistiche svolte da una Federazione32.
campionato e di conseguenza, attraverso il “Lodo Petrucci”, alla nuova società è stato assegnato il titolo sportivo per il campionato di
Serie B, azzerando di fatto il lavoro sportivo di un anno. La salvaguardia del titolo sportivo sarebbe, in questi casi, ancora più limitata
qualora la società non ammessa al campionato avesse conquistato sul campo anche il titolo sportivo per l’accesso alle competizioni
U.E.F.A..
32
Come individuata anche dall’art. 23 dello Statuto C.O.N.I..
33
DOTTRINA
Il titolo sportivo………
E’ bene osservare come il T.A.R. della Sicilia abbia, già ben prima della legge n. 280/2003,
configurato come pubblicistici gli interessi legati ai provvedimenti federali su affiliazioni e
ammissioni ai campionati, sancendo la tutelabilità di tali interessi in sede di giustizia statale33.
Quanto alla giurisprudenza successiva alla L.n. 280/2003, il Tribunale di Napoli,
nell’ordinanza del 31 agosto 2004, riferendosi a tale legge di conversione, ha stabilito che rientrano
tra gli atti per i quali è stabilita la giurisdizione del giudice amministrativo ex art.3 della L. n.
280/2003 anche i provvedimenti negatori d’ammissione al campionato di una società che abbia
acquisito il godimento del titolo sportivo che dà diritto a parteciparvi, per l’inefficacia
nell’ordinamento sportivo del negozio mediante il quale esso sia stato trasferito (su tale specifica
questione si tornerà più avanti).
Alla luce di quanto osservato sembra ormai chiaro come in tutti i provvedimenti che possono
incidere direttamente o indirettamente, revocando o diminuendo, la posizione giuridica soggettiva
di un soggetto legata al titolo sportivo, la Federazione si comporti come una vera e propria Autorità
amministrativa34.
33
“Ciò per la semplice quanto decisiva ragione che trattasi di provvedimenti sanzionatori che, in quanto privano di gran
parte del suo contenuto il rapporto giuridico amministrativo di affiliazione, estinguendo diritti o facoltà ricompresi nella sfera
giuridica generale delle società sportive, ed impedendo loro lo svolgimento ed il raggiungimento dell’oggetto sociale fissato nello
Statuto, incidono per definizione, e quindi necessariamente ed incontestabilmente, sul piano dell’ordinamento giuridico generale”
(T.A.R. Sicilia, Catania, ord. n. 929/1993).
Sempre nell’anno 1993 è stata ribadita la rilevanza esterna di tali provvedimenti anche se provenienti da una
organizzazione internazionale non governativa come l’UEFA. Sul punto cfr. Tribunale di Berna, ordinanza presidenziale del 9
settembre 1993, S.A. Olympique Marsiglia c. UEFA, in Riv. dir. sportivo 1994, con nota di CARINGELLA F., p.533-537.
Ancora il Tribunale catanese ha, in seguito, sostenuto specificamente che l’esclusione da un campionato per difetto dei
requisiti di partecipazione è qualificabile come un provvedimento sanzionatorio di natura amministrativa, ascrivibile proprio alla
posizione di supremazia della Federazione (Cfr. T.A.R. Sicilia, Catania, Sez.III, ord. 7 Ottobre 1999 n.2147, in Foro it., 1999, III,
p.582).
Ora, a parte qualche orientamento, la maggior parte della dottrina e della giurisprudenza oggi ritiene che il giudice statale
competente in materia sia il giudice amministrativo (Si veda, ad esempio, LUBRANO E., La “sentenza Cecchi Gori, ovvero la
definitiva conferma del pacifico assoggettamento dell’attività svolta dalle Federazioni sportive ai principi del diritto
amministrativo”, in Giustizia Amministrativa, Rivista di diritto Pubblico, articolo n. 12-2004, su www.giustamm.it). A conferma di
questo indirizzo si citi solo la sentenza del T.A.R. Lazio n. 4228/2002 (sul ricorso n.13831/2000 proposto dalla A.C. Cesena Spa
contro FIGC/CONI/LNP) con cui, riallacciandosi a precedenti decisioni della Cassazione e del Consiglio di Stato, questo Tribunale
Amministrativo ha negato il suo difetto di giurisdizione, sostenendo che “quello che appare risolvente è la considerazione per cui le
federazioni sportive, nello stabilire e nel valutare le condizioni ed i requisiti per l'ammissione a competizioni sportive e campionati,
esercitano un potere discrezionale. Pertanto la posizione del soggetto che chieda l'ammissione non può che avere natura di interesse
legittimo (Cassazione civile Sez. Un., 25 febbraio 2000, n. 46, Consiglio Stato sez. VI, 11 agosto 2000, n. 4475; Consiglio Stato sez.
VI, 30 ottobre 2000, n. 5846).”
34
Ci sono state, negli ultimi anni, anche società che hanno ritenuto che la legittimazione ad agire contro tali provvedimenti
federali non spetti solo alle società a cui questi vengano indirizzati, ma anche alle società (aspiranti a un “ripescaggio” in un
campionato) che da tali provvedimenti si reputino danneggiate quando i medesimi ammettano ad un campionato un’altra società che
non ne avrebbe il diritto.
Questa supposizione è stata accolta in modo oscillante nella giurisprudenza. In senso positivo si sono pronunciati il T.A.R.
Calabria, Sez. Reggio Calabria, accogliendo il ricorso n.1546 del Catania nell’estate del 2003 con Decreto Presidenziale del 14
agosto 2003, e il TAR Lazio, Sez. III, accogliendo i ricorsi della Fidelis Andria e del Palazzolo nell’estate del 2004 con le ordinanze 6
settembre 2004, rispettivamente nn. 4858 e 4859. In senso negativo all’ammissibilità dei ricorsi contro l’ammissione ai campionati di
altre società si è invece espresso il T.A.R. Lazio, Sez. III Ter, respingendo ricorsi presentati dalla Napoli Soccer nell’estate 2005,
nelle ordinanze 2 agosto 2005 nn. 4533-4537 e definitivamente il Consiglio di Stato, Sez. VI, nelle ordinanze 9 agosto 2005 nn. 3858
e 3859. Sull’argomento cfr. LUBRANO E., Ammissione ai campionati di calcio e titolo sportivo: un sistema da rivedere?!, cit., p.1114.
34
DOTTRINA
Il titolo sportivo………
Alla tutela del titolo sportivo al di fuori dell’alveo della giustizia sportiva si è giunti, inoltre,
per salvaguardarlo dal punto di vista economico nel caso, soprattutto, di fallimento di una società
sportiva. E’ quanto accaduto nel caso della S.S.C. Napoli: il Tribunale di Napoli, nella già citata
sentenza di fallimento della società in questione (depositata il 2 agosto 2004), non ha mancato di
sostenere che il titolo sportivo, essendo ricompreso nel patrimonio aziendale, non potesse essere
espropriato dalla società fallita azzerandone il valore economico che può essere utile in sede di
curatela, precisando altresì che andava verificata, per la via giudiziaria più idonea, anche cautelare,
la legittimità della norma federale calcistica che ne prevede l’incommerciabilità (art.52.2 NOIF)35.
In sostanza la tutela del titolo sportivo è necessaria per salvaguardare una moltitudine di
interessi, la cui peculiarità poggia sul fatto che essi sorgono all’interno di un ordinamento settoriale
ma che senza dubbio possono avere rilevanza anche in quello generale statale.
2.1 In particolare: il caso Cosenza Calcio 1914, il caso S.S.C. Napoli e cenni ad altri casi.
Verranno esaminate ora, in concreto, le vicende che hanno portato negli ultimi anni alcune
società di calcio professionistiche ad adire la giurisdizione statale per tutelare il proprio titolo
sportivo. Si cercherà di comprendere attraverso quali strumenti sia stata chiesta questa tutela e con
quali risultati.
2.1.1 Il caso Cosenza Calcio 1914.
Il caso che ha coinvolto il titolo sportivo della società Cosenza Calcio 1914 è stato uno dei più
articolati mai conosciuti all’interno di una Federazione sportiva.
Si può cogliere, di conseguenza, come soprattutto nel calcio sia elevato l’interesse pubblico nei confronti dei provvedimenti
federali che possano incidere sulla valenza del titolo sportivo e sulla regolarità in generale dei campionati. Tale interesse trova risalto
anche in una pronuncia del giudice amministrativo (T.A.R. Lazio, sentenza n. 4228/2002, cit.) dove si esprime il principio della
“massima salvaguardia possibile del risultato sportivo così come sancito dai campi di gioco”.
35
Da questo punto di vista lo stesso “Lodo-Petrucci” si è infranto su un così netto pregiudizio della Fallimentare. Anche tra i
giuristi si è era da tempo diffusa la perplessità sul Lodo, considerato preminente sulle leggi dello Stato e sullo stesso tribunale che
deve tutelare innanzitutto gli interessi dei creditori.
35
DOTTRINA
Il titolo sportivo………
Questo caso, infatti, ha avuto come oggetto temporale ben due stagioni sportive, la 2003/2004
e la 2004/2005, in cui si sono succedute tutta una serie di ricorsi avverso sia le decisioni degli
organi federali, sia le decisioni della Camera di Conciliazione e Arbitrato per lo Sport presso il
CONI, sia quelle dei giudici amministrativi aditi.
Si comincerà pertanto ad esaminare, in estrema sintesi, le vicende relative alla prima stagione
sportiva in questione, per poi passare a quelle, strettamente consequenziali, relative alla stagione
sportiva 2004/2005 cercando di cogliere i significati, che più rilevano in questa sede, delle decisioni
ed i presupposti delle doglianze delle relative parti in causa.
Cominciando ad introdurre i fatti, c’è da premettere che, alla fine del Campionato di calcio di
serie B svoltosi nella stagione sportiva 2002/2003, il Cosenza è stato retrocesso in serie C1 insieme
alle società Calcio Catania Spa, Genoa Cricket & FBC Spa e Salernitana Sport Spa. In seguito ad
avvertiti inadempimenti finanziari, il Consiglio Federale della F.I.G.C. ha disposto con
deliberazione del 31 luglio 2003 la non ammissione del Cosenza al Campionato di serie C1 per la
stagione entrante. In seguito a tale decisione il Cosenza ha presentato, con esiti negativi, dapprima
istanza di conciliazione innanzi alla Camera presso il C.O.N.I. (in data 9 agosto 2003) e poi istanza
di arbitrato presso il medesimo organismo (in data 25 agosto 2003). Essendo state respinte,
attraverso il lodo, tutte le domande formulate dal Cosenza contro la F.I.G.C., la Società ha deciso,
pertanto, di rivolgersi ad T.A.R. del Lazio con il ricorso n. 8712/2003, con cui ha impugnato il
menzionato lodo (il cui dispositivo è stato pubblicato il 27 agosto 2003) ed i presupposti atti della
F.I.G.C. e della Lega di serie C di non ammissione al Campionato di serie C1.
Parallelamente a questa vicenda, si era intanto sviluppato il noto contenzioso relativo ai
risultati del campionato di Serie B promosso dalla società Calcio Catania Spa e da altre società
retrocesse in Serie C1 sempre durante la stagione 2002/2003; contenzioso che ha portato alla fine il
C.O.N.I. ad approvare una delibera straordinaria di ampliamento dell’organico del campionato di
serie B per la stagione seguente e di ammissione a detto campionato delle società Catania, Genoa,
Salernitana e Fiorentina, facendo leva sull’art.3 co.5 del D.L.n. 220/2003.
Anche tali provvedimenti, che prevedevano l’ammissione direttamente al Campionato di serie
B della Fiorentina (che aveva appena vinto il campionato di serie C2) senza coinvolgere il Cosenza
nel “ripescaggio” delle squadre appena retrocesse in Serie C1, sono stati impugnati dal Cosenza
davanti al T.A.R. Lazio con il ricorso n. 8642/2003.
Data questa duplice situazione di mancata ammissione al Campionato di serie C1 e di
mancato “ripescaggio” nella serie cadetta, in seguito ai fatti ora descritti, il Cosenza si è ritrovato
36
DOTTRINA
Il titolo sportivo………
inattivo (nelle more dei contenziosi innanzi al T.A.R., e non avendo accettato intanto la soluzione
proposta dalla F.I.G.C. di partecipare ad un campionato dilettantistico) per la stagione sportiva
2003/2004. Ciò ha portato il Presidente della F.I.G.C. a dichiarare con il C.U. n.96/A del 31 ottobre
2003, la decadenza dell’affiliazione della Società stessa per inattività, a norma dell’art.16 delle
NOIF.
Il TAR Lazio, ha ritenuto opportuno riunire tutti questi ricorsi 36, e con la sentenza n.
2987/2004 ha così provveduto:
quanto al ricorso n.13143/2003 (esaminato per primo dal giudice per motivi, a suo dire, di
presupposizione logica) il ricorso è stato ritenuto fondato e parzialmente accolto. Il provvedimento
di decadenza dell’affiliazione, infatti, non era stato preceduto dalle formalità d’avvio del relativo
procedimento, ex art.7 co.1 della L. n. 241/1990, senza che ve ne fosse alcuna ragione. Il giudice
ha, pertanto, ritenuto che tutte le questioni inerenti alla cessazione del rapporto associativo tra una
società e una Federazione riguardino “l’esercizio di potestà non jure privatorum, ma l’esclusivo
interesse pubblico nazionale”, di talchè i relativi atti devono esser preceduti dalle formalità
suindicate “al fine di assicurare trasparenza e partecipazione all’azione amministrativa”37.
Importante, in questa sede, è la considerazione che ha poi fatto il giudice, ovvero che il Cosenza
non era stato neanche espressamente dichiarato decaduto dall’iscrizione al Campionato di serie C2;
“in tal caso - recita la sentenza - la ricorrente è ex se ancora parte della Lega Nazionale
Professionisti di serie C, tant’è che ben potrebbe essere iscritta a detto Campionato, per il quale
possiede perlomeno il titolo sportivo”.
Tale ultima considerazione, ad una prima interpretazione ha fatto, a buona ragione, ritenere al
Cosenza che gli spettasse di diritto il riconoscimento ad un campionato di Serie C, ma in sede
d’appello, si vedrà, il giudice ha smentito tale indirizzo.
Quanto al ricorso n.8712/2003 il giudice si è pronunciato insieme al ricorso n. 8642/2003,
visto il supposto rapporto di consequenzialità tra i due (a discapito invece dell’autonomia invocata
dalla ricorrente). Il primo è stato dichiarato inammissibile sulla base di una considerazione avente
ad oggetto la natura delle decisioni della Camera arbitrale presso il C.O.N.I.: essendosi infatti
36
Il contenzioso articolato dal Cosenza in questi ricorsi aveva, infatti, ad oggetto l’annullamento degli atti inerenti alla
mancata ammissione al Campionato di serie C1 (da cui la cooptazione per il Campionato di serie B ai sensi dell’art.3 co.5 del D.L.
n.220/2003) e, conseguentemente, la rimozione della decadenza dell’affiliazione alla F.I.G.C..
37
Né, soprattutto, la mancanza di tali formalità poteva essere giustificata dal fatto che l’inattività prevista dall’art.16 delle
N.O.I.F. fosse un mero fatto giuridico. L’inattività, infatti, nel parere del tribunale, andava accertata, mentre la F.I.G.C., nel ritenere
che questa fosse relativa al Cosenza come ormai società facente parte della Lega Nazionale Dilettanti, non ha tenuto conto che la
società calabrese non aveva mai prestato acquiescenza alla sua mancata iscrizione al campionato di Serie C1.
37
DOTTRINA
Il titolo sportivo………
quest’ultima pronunciata sugli stessi fatti qui in oggetto (ovvero la mancata ammissione alla serie
C1) attraverso un lodo ritenuto di natura rituale (considerato che esso è stato dalla stessa ricorrente
richiesto e promosso), tale lodo è stato ritenuto sì impugnabile innanzi al T.A.R. ma solo ai sensi
dell’allora vigente art. 827 co.1 c.p.c. nei soli casi di nullità indicati dal successivo art. 829 38.
L’inammissibilità del ricorso è pertanto risultata dal fatto che la ricorrente ha impugnato il
dispositivo del lodo innanzi al T.A.R., ma per questioni di merito, non integrando così alcuna delle
fattispecie previste nell’art.829 c.p.c.39.
Dall’inammissibilità di questo ricorso è così derivata anche l’inammissibilità del ricorso n.
8642/2003 ritenuto consequenziale dal giudice adito.
Contro questa sentenza si sono appellati al Consiglio di Stato sia la F.I.G.C. (ricorrendo
contro il parziale accoglimento del T.A.R. Lazio del ricorso n.13143/2003 proposto dal Cosenza
avverso il provvedimento di decadenza dall’affiliazione) sia il Cosenza stesso (che con appello
incidentale improprio ha impugnato la stessa sentenza nella parte in cui ha dichiarato inammissibili
i ricorsi n. 8642/2003 e n. 8712/2003). Su tali ed altri punti il Consiglio di Stato si è pronunciato il 2
luglio 2004 con la decisione n. 5025/2004.
Il Collegio, in questa sede, ha apportato diverse importanti novità rispetto alla sentenza di
primo grado, affrontando, innanzitutto, l’appello incidentale del Cosenza.
Cominciando dalla contestata dichiarazione di inammissibilità del ricorso n. 8712/2003
pronunciata dal T.A.R., il Collegio in appello ha, a differenza del giudice di primo grado, dichiarato
ammissibile tale ricorso, dando una diversa configurazione alla Camera presso il C.O.N.I..
Questa è stata considerata come l’ultimo grado della giustizia sportiva e, di conseguenza, il
ricorso all’arbitrato chiesto dal Cosenza non ha costituito per tale società una facoltà, bensì un
obbligo per completare i rimedi interni offerti dall'ordinamento sportivo prima di poter adire i
giudici statali40. Ciò va evidentemente contro la configurabilità dei lodi pronunciati da tale Camera
come veri e propri lodi arbitrali alternativi alla giurisdizione statale. Secondo il giudice d’appello
quindi la Camera di conciliazione e arbitrato per lo sport (come supremo organo della giustizia
sportiva) emette decisioni che possiedono sì le garanzie tipiche di un giudizio arbitrale, ma che
38
Teorema che verrà poi (come vedremo) smentito dal Consiglio di Stato in sede d’appello.
Così nella sentenza: “l’impugnazione del lodo per nullità non dà luogo ad un giudizio d’appello che abiliti in ogni caso il
Giudice adito a riesaminare nel merito la decisione arbitrale, ma consente esclusivamente il c.d. iudicium rescindens, che serve ad
accertare se sussista, o meno, taluna delle nullità previste dalla norma citata come conseguenza di errori in procedendo o in
iudicando….Solo dopo che il giudizio rescindente si sia concluso con l’accertamento della nullità del lodo, è possibile, a norma del
successivo art.830, il riesame di merito della pronuncia arbitrale.”
39
40
Su tale natura della Camera di Conciliazione e Arbitrato per lo Sport si è anche pronunciata la Corte Federale della FIGC
nella Comunicazione Ufficiale n.16/cf.
38
DOTTRINA
Il titolo sportivo………
restano soggette agli ordinari strumenti di tutela giurisdizionale per le fattispecie non riservate
all’ordinamento sportivo41.
Una volta ammesso, il ricorso in questione è stato tuttavia respinto nel merito: il Collegio
cioè, con lungo excursus sugli inadempimenti economici del Cosenza, ha ritenuto che fosse
opportuna la sua non ammissione al campionato di Serie C142.
L’infondatezza del ricorso ora esaminato ha portato così alla reiezione anche del ricorso n.
8642/2003 relativo alla mancata ammissione del Cosenza al campionato di Serie B. A parere di
questo tribunale, infatti, una volta ritenuti consequenziali e non autonomi i due ricorsi, la mancata
ammissione al campionato di Serie C1 ha precluso logicamente al Cosenza la possibilità di essere
“ripescata” in Serie B a seguito del provvedimento straordinario adottato dal C.O.N.I. ai sensi
dell’art.3 co. 5 del D.L. n. 220/200343.
Quanto infine all’appello della F.I.G.C. avverso la sentenza di primo grado nella parte in cui
ha accolto il ricorso n. 13143/2003, il Collegio ha di fatto confermato gli elementi che erano stati
considerati in primo grado per ritenere illegittimo il provvedimento di decadenza dall’affiliazione44.
Forte di queste considerazioni del Consiglio di Stato, la F.I.G.C., se da un lato ha dovuto
annullare il provvedimento di revoca dall’affiliazione emesso il 31 ottobre 2003, dall’altro, con il
Comunicato Federale n. 44 del 29 luglio 2004, ha ritenuto di ammettere il Cosenza ai campionati di
calcio per la stagione 2004/2005 ma assegnandole il titolo sportivo per il Campionato Nazionale
Dilettanti.
41
Tali decisioni arbitrali sono, infatti, atte ad incidere su posizioni di interesse legittimo non arbitrabili. Sia la sentenza del
T.A.R., sia la decisione del Consiglio di Stato in appello hanno poi contribuito alla definitiva svalutazione del “vincolo di giustizia”;
alla luce infatti del concetto della possibile “rilevanza” delle questioni per l’ordinamento statale, sono state rigettate le eccezioni di
difetto di giurisdizione formulate dalla F.I.G.C..
42
Secondo il Consiglio di Stato la situazione di inadempienza della Società ai requisiti previsti era tale che perdeva di rilievo
anche qualunque questione sulla perentorietà dei termini previsti per la regolarizzazione degli adempimenti economici.
Non era di questo avviso invece la difesa della Società, che riteneva che le inadempienze economiche fossero lievi e
pertanto la perentorietà del termine per la loro risoluzione andasse interpretata con ragionevolezza.
43
Di conseguenza, mancando la regolare iscrizione al campionato di Serie C1 (non potendo l’esistenza di un contenzioso
supplire a tale elemento), la F.I.G.C. si è basata, nella decisone su quale società ammettere al campionato di Serie B, sull’altro criterio
enunciato sempre nel provvedimento straordinario adottato dal C.O.N.I., ovvero il bacino d’utenza (di qui la scelta discrezionale di
attribuire il relativo titolo sportivo alla Fiorentina).
44
In questo caso il giudice ha poi, come anticipato, reinterpretato le frasi del giudice di primo grado quando questi ha
affermato che il Cosenza faceva ancora parte della Lega Nazionale Professionisti di serie C “tant’è che ben potrebbe essere iscritta a
detto Campionato, per il quale possiede perlomeno il titolo sportivo”. Secondo il giudice d’appello tali affermazioni vanno lette nel
senso generico che, essendoci in atto un contenzioso ancora non definito, non si poteva capire a che campionato il Cosenza avrebbe
dovuto partecipare, così come l’inattività della stessa società non poteva essere riferita ad alcun campionato. “Intese in altro senso le
affermazioni non sarebbero corrette, in quanto in sede di esame di un ricorso avverso un provvedimento di decadenza
dall’affiliazione al giudice spetta il compito di verificare la legittimità del provvedimento di decadenza, non quello di indicare a
quale campionato iscrivere la società, trattandosi di questione estranea rispetto all’oggetto di un giudizio avente ad oggetto appunto
la decadenza dall’affiliazione”.
39
DOTTRINA
Il titolo sportivo………
Questo Comunicato Federale (che ha dato il via ad una seconda serie di contenziosi atti a
difendere il titolo sportivo), nell’assegnare al Cosenza il titolo sportivo per la Serie D, ha fatto
riferimento alle disposizioni federali vigenti in caso di società escluse dall’ammissione ai
campionati professionistici: da una parte il C.U. n. 151/A del 28 aprile 2003 (che permetteva alle
società non ammesse di richiedere l’ammissione ad un campionato nell’orbita della Lega Nazionale
Dilettanti), dall’altra, il subentrato, nel frattempo, nuovo comma 6 dell’art. 52 delle NOIF, ancora
più restrittivo sul punto (esso dispone tutt’ora che le società versanti nelle situazioni suddette
possono presentare domanda di iscrizione al Campionato di III Categoria).
Ritenendo quindi la F.I.G.C. di dover rigorosamente disporre del titolo sportivo del Cosenza
in base a tali norme di riferimento, ha applicato, nel prevedere la possibilità per tale società di
iscriversi al massimo livello dilettantistico, il criterio di “maggior favore” rispetto a quanto previsto
dalle norme federali.
La difesa del Cosenza, non accettando tale declassamento del titolo sportivo della società
assistita, ha presentato sia istanze di arbitrato nell’ambito della giustizia sportiva, sia tutta una
nuova serie di ricorsi ai giudici amministrativi. Atteso che le prime si sono risolte in declaratorie di
inammissibilità, è interessante capire qui su quali elementi si è fondata la difesa del Cosenza, in
particolar modo nel ricorso n. 11193/2004 con cui è stato chiesto l’annullamento in sostanza di tutti
i provvedimenti federali, di tutte le decisioni della Camera presso il C.O.N.I. (e di alcune sue regole
di funzionamento) e di tutte le norme federali, con i quali ed in applicazione delle quali, è stato
deciso di attribuire al Cosenza il titolo sportivo solo per il campionato dilettantistico.
Le considerazioni della difesa partono dal fatto che il Cosenza, attraverso il provvedimento
del 31 ottobre di decadenza dall’affiliazione, era stato inciso solo nella sua posizione giuridicosoggettiva legata appunto all’affiliazione, mentre non erano mai stati emanati provvedimenti atti a
sottrarre alla Società le altre due posizioni giuridico-soggettive di cui era titolare: ovvero la sottoaffiliazione alla Lega Professionisti di Serie C e il titolo sportivo per presentare domanda al
Campionato di serie C1.
Il diniego di ammissione al Campionato di serie C1, sancito con il provvedimento del 31
luglio 2003, poteva rappresentare al massimo una sanzione da scontare per una stagione sportiva,
non una revoca totale del titolo sportivo. Lo stesso provvedimento conseguente di revoca
dall’affiliazione, essendo stato annullato retroattivamente sia dal T.A.R. sia dal Consiglio di Stato,
non era più idoneo ad incidere su alcuna delle posizioni giuridico - soggettive del Cosenza, dato che
tale società alla data del 9 luglio 2004 (sent. Consiglio di Stato n.5025/2004) aveva recuperato
40
DOTTRINA
Il titolo sportivo………
retroattivamente il proprio titolo all’affiliazione. Alla stessa data, pertanto, secondo la difesa
ricorrente, il Cosenza (avendo scontato il diniego di ammissione alla Serie C1 con una stagione
sportiva di inattività) possedeva il titolo sportivo (previo nuovo accertamento dei requisiti
amministrativo-contabili) per richiedere nuovamente l’ammissione al Campionato di serie C1.
Tale situazione è stata però ignorata dalla F.I.G.C. che anche per la stagione sportiva
2004/2005 ha emanato provvedimenti per l’assegnazione al Cosenza del titolo sportivo per la Serie
D.
La ricorrente ha innanzitutto contestato l’illegittimità di tali provvedimenti nei presupposti:
ovvero la mancata emanazione, in precedenza, di alcun provvedimento con cui fosse stato revocato
alla Società il titolo sportivo per la Serie C1.
Si lamenta infatti che un semplice diniego di ammissione per ragioni amministrativo-contabili
possa avere l’effetto implicito della perdita definitiva del titolo sportivo45. Effetto ancor più grave
nella fattispecie, laddove il Cosenza, con 90 anni di storia, si è visto sottrarre il proprio titolo
sportivo per non aver adempiuto, per un solo anno, a dei requisiti amministrativo-contabili.
Anche qualora si ammettesse che un tale abnorme effetto implicito si possa verificare,
l’effetto stesso nel caso di specie si sarebbe dovuto determinare mediante essere un provvedimento
espresso nei confronti della Società, dato che in questi casi, si è visto, la F.I.G.C. agisce come
autorità amministrativa.
Col buon senso il legislatore federale, nell’emanare quella normativa di cui al C.U.n.151/A,
avrebbe in effetti dovuto limitare i drastici effetti suddetti prevedendo una riduzione della posizione
45
E’ stata, pertanto, contestata la portata precettiva di quel C.U. n.151/A a cui la FIGC ha dichiarato (nel citato Comunicato
n.44 del 29 luglio 2004) di aver fatto riferimento nell’assegnare il titolo sportivo per la Serie D al Cosenza. Tale Comunicato
Ufficiale è stato interpretato dalla ricorrente come una semplice alternativa che la F.I.G.C. concedeva alle società non ammesse ai
campionati rispetto all’inattività (scelta invece dal Cosenza). Tale situazione doveva però avere portata transitoria, relativa cioè solo
ad una stagione agonistica, non potendo determinare la perdita definitiva del titolo sportivo di una società professionistica con
assegnazione definitiva ad un campionato dilettantistico. Un tale effetto sarebbe infatti di dubbia legittimità costituzionale: si pensi ad
esempio al diritto di iniziativa economica dell’impresa-società calcistica ex art.41 Cost., al buon andamento e all’imparzialità
dell’Amministrazione ex art. 97 Cost. e così via. La legittimità di tale effetto andrebbe anche contro l’art.12 della L.n. 91/1981, che,
nell’attribuire alle Federazioni il controllo sull’equilibrio finanziario delle società sportive “al solo fine di garantire il regolare
svolgimento dei campionati”, non postula in alcun modo il potere per le Federazioni di revocare per sempre il titolo sportivo di una
società che anche per un solo anno non sia in regola con i parametri previsti. I danni subiti sarebbero poi stati moltiplicati se si pensa
che tale disposizione era potenzialmente applicabile anche nei confronti di una società ai vertici del Campionato di Serie A. In base a
ciò appare contestabile, e sarà oggetto delle prospettive di riforma, anche l’attuale vigente disposizione prevista nel comma 6
dell’art.52 N.O.I.F. laddove prevede che “Le società non iscritte ai campionati di serie A, B e C1 possono iscriversi al Campionato
di III Categoria.”
41
DOTTRINA
Il titolo sportivo………
giuridico-soggettiva nelle società non ammesse con l’assegnazione ad esse del titolo sportivo di una
categoria sola inferiore rispetto a quella in cui non fossero state ammesse46.
Ma la decisione di assegnare al Cosenza per la stagione 2004/2005 il titolo sportivo per la
Serie D è stata contestata anche nel merito, soprattutto con riferimento alla parzialità con cui tale
decisione è stata emanata. Si è detto infatti come nell’estate 2004, a società neocostituite sia stato
assegnato da subito il titolo sportivo per i campionati professionistici (ad es. Napoli e Foggia per la
Serie C1, Trento, Monza e Ancona per la Serie C2); così come già in precedenza, anche nel caso di
società non neocostituite (ma che possedevano tutt’altro che 90 anni di storia) si è attribuito un
titolo sportivo quasi “regalato” rispetto a ciò che si era conquistato “sul campo” (ed è il caso ad es.
del citato “ripescaggio” della Fiorentina nell’estate 2003 in Serie B).
Ad ogni modo il Cosenza, comunque iscrittosi nell’estate del 2004 al campionato di Serie D
per la stagione sportiva 2004/2005, ha avuto modo di impugnare anche il provvedimento federale
emanato il 12 agosto 2004 che non ha considerato la società ai fini del “ripescaggio” in Serie C2.
Attraverso tale provvedimento, infatti, ben nove società sono state ripescate nella predetta Serie,
non orientandosi però il Consiglio Federale a limitare i danni subiti dal Cosenza al proprio titolo
sportivo, per il solo fatto che questa società non presentava alcuni dei parametri atti al “ripescaggio”
a causa del suo anno di inattività nella stagione 2003/2004.
Una volta così sintetizzati i punti, che qui maggiormente rilevano, su cui il Cosenza ha
incentrato la difesa del proprio titolo sportivo, c’è da rilevare come questi non siano però stati
accolti dal giudice amministrativo.
Il T.A.R. Lazio infatti ha respinto il ricorso n. 11193/2005 con la sentenza n. 2571/2005,
ritenendo che l’impianto argomentativo offerto dal Cosenza non fosse meritevole di positiva
valutazione. Si è affermato che gli atti federali impugnati non si caratterizzassero come una revoca
tacita del titolo sportivo “sia per ragioni formali che per ragioni di ordine sostanzialecontenutistico.”
46
La fondatezza di tale soluzione prospettata è data dal fatto che lo stesso Presidente Federale, nella definizione del caso su
quale titolo sportivo attribuire al Cosenza dopo l’anno di inattività, ha dichiarato di averla presa come criterio (con la sola differenza
della riduzione del titolo sportivo di due categorie) per assegnare alla Società il titolo sportivo per la Serie D. Nella Conferenza
stampa finale del Consiglio federale del 27 luglio 2004 il Presidente Federale ha così dichiarato in relazione anche alle sentenze dei
giudici amministrativi: “Con tutta la simpatia ed il rispetto che Cosenza merita, la sentenza del Consiglio di Stato dà ragione alla
Federazione. Ora si tratterà di trovare la giusta collocazione e tenuto conto che tutte le società retrocesse per debiti hanno perso due
categorie, il Cosenza al momento della cancellazione era in C1 e quindi dovrà ripartire dalla Serie D”. Il problema è che nel
Comunicato Federale del 29 luglio 2004 n. 44 con cui la F.I.G.C. ha come visto autorizzato il Cosenza a presentare domanda di
ammissione per il Campionato Nazionale Dilettanti, non vi è traccia di questo criterio, bensì vengono richiamati a fondamento di tale
decisone solo il C.U. n.151/A del 28 aprile 2003 e l’art.52 co.6 delle N.O.I.F..
42
DOTTRINA
Il titolo sportivo………
Sotto il primo profilo il T.A.R. Lazio ha sostenuto che la “retrocessione” contestata fosse un
effetto meramente consequenziale al diniego di ammissione al Campionato di serie C1: tale
“retrocessione” cioè si è, nel parere dei giudici, verificata ope legis ed è dunque “estranea ad una
fattispecie provvedimentale che richiederebbe, in quanto tale, anche in forza dell’art.2 della
L.n.241/1990 un provvedimento espresso”.
Quanto al profilo contenutistico, il T.A.R. Lazio non ha accolto il ricorso continuando a
considerare il titolo sportivo solo nella misura in cui esso venga riconosciuto dalla F.I.G.C. e di
conseguenza legittimando ogni norma federale circa la sua destinazione. Alla luce di ciò non
sarebbe neanche contemplabile l’ipotesi di una sospensione (e non di perdita) del titolo sportivo nel
caso della mancata ammissione al campionato di Serie C1. Proprio per il fatto che la F.I.G.C. nel
disporre del titolo sportivo del Cosenza si è attenuta prettamente alle norme federali di riferimento,
il T.A.R. Lazio ha dichiarato non illegittimo anche il mancato “ripescaggio” del Cosenza in Serie
C2, mancando la Società dei requisiti di classifica, richiesti espressamente dai regolamenti, per
essere rimasta inattiva nella stagione 2003/2004.
Le decisioni del T.A.R. Lazio hanno poi trovato piena conferma in appello da parte del
Consiglio di Stato con la decisione n. 527/200647.
2.1.2 Il caso S.S.C. Napoli.
Il caso che si affronterà ora, rappresenta un’altra complessa vicenda giuridica legata al titolo
sportivo, dove la sua tutela, da parte della S.S.C. Napoli in questione, è stata ancorata in particolar
modo alle potenzialità economiche che il titolo sportivo può esprimere.
Tutto è nato quando, il 30 giugno 2004, la S.S.C. Napoli ha cercato di tamponare gli effetti di
una grave crisi finanziaria compromettendo in locazione, attraverso un contratto preliminare, alla
società Napoli Sportiva, l’azienda sportiva comprensiva del titolo sportivo.
47
Entrando più nel merito dell’ipotesi di sospensione e non di perdita del titolo sportivo dopo un anno di inattività dovuto alla
mancata ammissione al campionato, essa è stata giudicata inidonea dal Consiglio di Stato, in quanto nella prassi si sarebbe potuta
verificare la situazione di un soprannumero illimitato di società aventi diritto alla stessa Serie, venendo così ad essere minato
l’ordinato svolgimento dei campionati.
43
DOTTRINA
Il titolo sportivo………
Non essendo infatti la S.S.C. Napoli in possesso dei requisiti richiesti dal C.U. n. 162/A della
F.I.G.C. per l’ammissione al campionato di Serie B, la stessa società ha chiesto alla Federazione di
consentire, al suo posto, l’iscrizione al campionato di Serie B della società Napoli Sportiva48.
Successivamente la F.I.G.C. ha provveduto a formalizzare l’affiliazione della società Napoli
Sportiva, ma nello stesso giorno il Presidente Federale, in risposta alla richiesta suddetta, ha
comunicato il proprio diniego alla proposta non ritenendo che l’operazione fosse attuabile ai sensi
dell’art. 52 N.O.I.F. che vieta qualunque atto di disposizione del titolo sportivo; né la stessa
operazione è stata ritenuta suscettibile di rientrare nelle deroghe sancite a tale divieto dall’art. 20
N.O.I.F..
Avverso questo provvedimento presidenziale di diniego la S.S.C. Napoli ha proposto
un’autonoma istanza di arbitrato innanzi alla Camera presso il C.O.N.I., che però è stata dichiarata
inammissibile con lodo del 21 luglio 2004.
La società Napoli Sportiva, ritenendo anch’essa fondamentale il mantenimento del titolo
sportivo per la Serie B nella stagione 2004/2005,
si è rivolta al T.A.R. Lazio chiedendo la
sospensione del provvedimento presidenziale de qua e la sospensione di tutti gli atti presupposti e
consequenziali, tra cui le stesse norme N.O.I.F., che fossero comunque lesivi degli interessi della
ricorrente. Codesto Tribunale però, con la sentenza n.7550/2004, ha dichiarato inammissibile il
ricorso, in quanto volto ad ottenere una tutela cautelare preventiva, scissa dal giudizio di merito, e
dunque un rimedio non previsto in via generale nell’ordinamento amministrativo49.
Malgrado i provvedimenti federali di diniego e i ricorsi intrapresi, la S.S.C. Napoli e la
società Napoli Sportiva hanno comunque perfezionato il loro contratto di affitto d’azienda con atto
notarile del 13 luglio 2004, in particolare subordinandone l’efficacia al verificarsi della condizione
dell’iscrizione, al campionato di Serie B, della società Napoli Sportiva per stagione sportiva
2004/2005.
La F.I.G.C., da parte sua, con il C.U. n. 21/A del 27 luglio 2004, sentiti i pareri di CO.VI.SOC
e CO.A.VI.SOC, ha definitivamente disposto la non ammissione al campionato di Serie B della
S.S.C. Napoli.
48
Per un excursus minuzioso dei fatti relativi a tale vicenda si veda GIACOMARDO L., Titoli sportivi solo in nome della
legge, cit. p. 3 e ss.
49
Nella stessa data il T.A.R. Lazio, con la sentenza n. 7551/2004, si è pronunciato sul ricorso n. 7837/2004 (con cui si
chiedeva l’annullamento dei provvedimenti suesposti), proposto parallelamente dal Dr. Francesco Serao, azionista della
S.S.C.Napoli, dichiarandolo però inammissibile per difetto di legittimazione attiva del ricorrente.
La società Napoli Sportiva, vista la situazione, ha poi anch’essa proposto istanza di arbitrato alla Camera presso C.O.N.I., il
cui procedimento si è concluso solo il 16 dicembre 2004 in senso sfavorevole alla società stessa.
44
DOTTRINA
Il titolo sportivo………
Avverso tale decisione le due società legate da rapporto contrattuale hanno nuovamente, e
questa volta insieme, adito la Camera di Conciliazione e Arbitrato per lo Sport, ma nelle more di
questo procedimento, data la grave ed irreversibile crisi finanziaria della S.S.C.Napoli, il Tribunale
di Napoli ha dichiarato, con la sentenza n. 356/2004, il fallimento della stessa S.S.C. Napoli.
Tale sentenza, se da un lato ha sancito la “morte sportiva” (con conseguente revoca
dall’affiliazione ex art.16 N.O.I.F.) di una società storica, dall’altro ha lasciato intendere qualche
spiraglio di tutela del titolo sportivo nella nomina di un curatore e affermando che “il titolo sportivo
per una società professionistica costituisce almeno il principale bene patrimoniale.”
Al Giudice Delegato alla procedura fallimentare e al curatore nominati dal Tribunale di
Napoli è stato pertanto affidato il compito di intraprendere qualunque azione, anche cautelare, che
fosse stata per loro idonea a tutelare i creditori, anche attraverso la valutazione e la vendita del titolo
sportivo in disapplicazione delle regole federali50. Tale ultimo aspetto, però, si è complicato con
l’automatica apertura della procedura prevista dal “Lodo Petrucci” da parte della F.I.G.C.51, che
avrebbe consentito l’assegnazione del titolo sportivo della S.S.C. Napoli fallita ad una società
neocostituita per la Serie C1 e a totale danno dei creditori.
Da una parte, quindi, la curatela fallimentare ha reputato indispensabile che fosse riconosciuta
l’idoneità del contratto di fitto di ramo d’azienda e che ci fosse la disapplicazione del “Lodo
Petrucci”, dall’altra la F.I.G.C. ha ritenuto che un eventuale ratifica all’interno dell’ordinamento
federale di un tale accordo avrebbe costituito un pericoloso precedente e una disparità di trattamento
nei confronti di società precedentemente fallite.
La F.I.G.C., pertanto, ha dal canto suo a buon motivo contestato il contratto in questione nei
presupposti e nelle condizioni con cui è stato posto in essere: la S.S.C. Napoli, una volta
consapevole di non poter adempiere ai requisiti richiesti per l’ammissione al campionato, ha
pensato di sostituire a se stessa altro soggetto (affiliato formalmente solo il 7 luglio, e dunque a
termine di presentazione della domanda di iscrizione già scaduto) in forza di un contratto d’affitto
di ramo d’azienda, peraltro condizionato sospensivamente, perfezionato solo il 13 luglio 200452.
50
Compito ancora più importante dopo che la Camera presso il C.O.N.I. precedentemente adita insieme dalle due società
contraenti aveva respinto l’istanza, con lodo del 5 agosto 2004.
51
Erano infatti scaduti i termini anche per l’applicazione del comma 3 dell’art.52 N.O.I.F..
Le cordate costituitesi, interessate al “Lodo Petrucci”, erano la Napoli F.C., la Azzurra Napoli e la Napoli Sport.
52
Sul punto si veda la Memoria della F.I.G.C. del 24 agosto 2004 contro il Fallimento della S.S.C. Napoli presentata al T.A.R.
Lazio. La carenza dei presupposti di validità del contratto è stata osservata anche dal Collegio della Camera di Arbitrato presso il
C.O.N.I. nel lodo emesso il 5 agosto 2004.
45
DOTTRINA
Il titolo sportivo………
Tuttavia il Tribunale di Napoli, sezione feriale, su ricorso proposto dalla curatela fallimentare
ex art.700 c.p.c., ha riconosciuto la legittimità del contratto almeno in relazione alla sua funzione:
vale a dire pagare i creditori e il fisco con i ricavi dell’affitto, “ciò che certamente non si
verificherebbe a seguito della sottrazione del titolo sportivo da parte degli organi federali, che non
consentirebbe attività tale da conseguire consistenti introiti”.
Ciò è stato espresso dal Tribunale di Napoli adito attraverso un decreto inaudita altera parte
in data 10 agosto 2004 con cui ha, di conseguenza, inibito a C.O.N.I. e F.I.G.C. “di disporre del
diritto al riconoscimento delle condizioni tecniche e sportive che consentano, ricorrendo gli altri
requisiti previsti dalle norme federali, la partecipazione al Campionato di Serie B, stagione
2004/2005”, inibendo altresì agli stessi convenuti l’attribuzione del titolo sportivo a soggetti diversi
dalla società fallita.
L’importanza storica di tale pronuncia risiede nella definitiva considerazione, almeno nel
caso di specie, del titolo sportivo come un bene patrimonialmente irrinunciabile per la società
sportiva e per cui un bene insuscettibile di circolare autonomamente dall’azienda sportiva e non
sottraibile alla massa dell’attivo fallimentare a garanzia del ceto creditorio.
Tale pronuncia a tutela del titolo sportivo è stata recepita di seguito dagli organi della
F.I.G.C., i quali, nel prenderne atto, hanno (nel Consiglio Federale del 12 agosto 2004, con il C.U.
n. 66/A), da un lato, sospeso l’applicazione della procedura legata al “Lodo Petrucci”, ma d’altro
lato hanno deliberato la predisposizione dei calendari del campionato di Serie B senza includervi il
Napoli.
A fronte di tale ultima decisione degli organi federali, ritenuta comunque elusiva del divieto
di disporre del titolo sportivo della società fallita, i membri della curatela hanno presentato
immediatamente un secondo ricorso ex art.700 c.p.c. al Tribunale di Napoli.
Quest’ultimo, con altro decreto inaudita altera parte, depositato il 13 agosto 2004, ha in
effetti ritenuto elusiva del precedente dictum del Tribunale di Napoli la decisione del Consiglio
Federale e ha, pertanto, stabilito la sospensione dell’efficacia del calendario di Serie B “fino
all’inserimento nello stesso della S.S.C. Napoli o della avente causa Napoli Sportiva Spa”.
La situazione ha dato vita ad un altro contraddittorio tra le parti, in quanto la F.I.G.C., che ha
visto fortemente minata la sua autonomia regolamentare e la sua relativa efficacia, mirava alla
revoca dei due provvedimenti concessi inaudita altera parte. La F.I.G.C., in particolare, è andata
avanti per la sua strada senza modificare il calendario della Serie B, basandosi su quanto disposto
dall’art.3 della L.n. 280/2003 e quindi sul difetto di giurisdizione del Tribunale adito dalla curatela
46
DOTTRINA
Il titolo sportivo………
fallimentare. Tale articolo, infatti, individua nel T.A.R. del Lazio la competenza esclusiva sulle
questioni qui insorte anche per ciò che riguarda l’emanazione di misure cautelari53.
Di conseguenza, altro Giudice della sezione feriale del Tribunale di Napoli, con ordinanza del
31 agosto 2004, ha revocato i decreti precedentemente concessi inaudita altera parte dichiarando il
difetto di giurisdizione del giudice ordinario per le questioni insorte.54. Al di là delle questioni di
competenza, la F.I.G.C. ha tentato di far leva sul fatto che i suoi provvedimenti precedenti, relativi
alla non ammissione della società Napoli Sportiva alla Serie B, erano stati giudicati legittimi dal
Collegio Arbitrale della Camera presso il C.O.N.I., nel lodo emesso il 5 agosto, all’esito di un
procedimento in cui si era costituito lo stesso Fallimento della S.S.C. Napoli, e pertanto anche ad
esso opponibile.
La vicenda (nel frattempo instauratasi anche innanzi al T.A.R. del Lazio con il ricorso n.
8651/2004 presentato dalla S.S.C. Napoli contro F.I.G.C. e C.O.N.I.) si è poi conclusa con una
transazione generale. Attraverso questa transazione il titolo sportivo è rimasto nelle mani della
curatela della fallita S.S.C. Napoli, cui la F.I.G.C. ha concesso la facoltà di attribuirlo (di concerto
con il Sindaco della città), a titolo oneroso, ad altra società, dalla curatela stessa individuata, pur
sempre però per il campionato di Serie C1.
La transazione, denominata anche “Lodo Napoli” rimane tutt’oggi singolare: se si è
consentito, in sostanza, di disapplicare le norme federali relative al divieto di valutazione
economica del titolo sportivo (tutelando così i creditori) e relative al “Lodo Petrucci”, ma non si è
autorizzato a mantenere il titolo sportivo sui livelli espressi “sul campo”, determinandone invece la
sua retrocessione in Serie C1 ai fini della transazione. Parallelamente singolare risulta la sentenza
del T.A.R. Lazio n. 9668/2004 con cui il giudice amministrativo, nell’affermare improcedibile il
suddetto ricorso n. 8651 per l’ormai sopravvenuta carenza d’interesse a fronte di questa transazione,
ha inizialmente dichiarato “non irrazionale l’art.52 delle N.O.I.F. nella parte in cui pone il divieto
53
Cosa che ha portato la F.I.G.C. (nella citata Memoria al T.A.R. Lazio del 24 agosto 2004) a definire “abnormi”, “contra
legem” e addirittura “giuridicamente inesistenti” i decreti emessi dal Tribunale Civile di Napoli in assenza di potestas iudicandi.
54
Sempre il 31 Agosto anche il Tribunale di Brindisi, adito con ricorso ex art.700 c.p.c. dalla curatela fallimentare della
società Brindisi Calcio Srl, ha dichiarato, per simile questione, il proprio difetto di giurisdizione, confermato poi anche
dall’ordinanza collegiale, depositata il 6 settembre 2004, sul reclamo della stessa curatela del Brindisi Calcio. In modo del tutto
analogo si è così pronunciato il Tribunale di L’Aquila con ordinanza del 6 settembre 2004, sul ricorso ex art.700 c.p.c., presentato da
L’Aquila Calcio in liquidazione Spa con l’intento di inibire qualunque atto dispositivo del titolo sportivo della fallita Aquila Calcio
Spa.
Il tentativo di ricorrere al Tribunale Civile ex art.700 c.p.c. è stato intrapreso, seppur in un diverso ma simile contesto,
anche dalla società Genoa Cricket and Football Club nell’estate 2005. Anche in questo caso però, il provvedimento cautelare (in
accoglimento del ricorso cautelare d’urgenza promosso dai legali di detta società) emesso dal giudice della IX sezione del Tribunale
di Genova in data 9 agosto 2005, non è stato poi convalidato. Su tale vicenda GALDI-GRIMALDI, Il tribunale ordina: “stop ai
calendari”, in Gazzetta dello Sport, 10 agosto 2005, p.12.
47
DOTTRINA
Il titolo sportivo………
assoluto di commercializzazione del titolo sportivo” ma al contempo ha riconosciuto nel titolo
sportivo l’avviamento di una società sportiva che ne esprime la capacità i profitto.
Non si comprende infatti come il titolo sportivo, che ancora una volta è stato riconosciuto da
un giudice statale come un bene economico fondamentale per una società sportiva, non possa da
quest’ultima essere commercializzato ai sensi dell’art.52 N.O.I.F., ritenuto tra l’altro legittimo dallo
stesso tribunale che si era pronunciato per l’improcedibiltà del ricorso n. 8651/2004 a seguito di una
transazione tra S.S.C. Napoli e F.I.G.C. con cui la curatela della società fallita ha ceduto il titolo
sportivo della stessa per oltre 30 milioni di euro ad un'altra società neocostituita55.
2.1.3 Cenni ad altri casi.
Si farà un breve excursus su come alcune società sportive calcistiche abbiano cercato di
tutelare il proprio titolo sportivo, in seguito al fallimento delle stesse società o in seguito a
provvedimenti di non ammissione a un campionato, relativamente alle ultime stagioni sportive.
Sembra opportuno cominciare l’analisi dalla vicenda che ha coinvolto la società A.C. Ancona
Calcio nell’agosto 2004, per le analogie di tempi e di fatti che si riscontrano con il caso della S.S.C.
Napoli. La società marchigiana, retrocessa in Serie B al termine della stagione 2003/2004, è andata
incontro al fallimento decretato il 12 agosto 2004. Da qui una lunga battaglia da parte della curatela
fallimentare per far sì che il titolo sportivo venisse riconosciuto valido per la Serie B e senza poter
essere ceduto a terzi dalla F.I.G.C., tenendo conto proprio della recente giurisprudenza che si stava
formando in materia. E tale è stata anche la posizione del Tribunale di Ancona accogliendo il
ricorso ex art.700 c.p.c. proposto dalla curatela stessa; la differenza, rispetto alla fallita S.S.C.
Napoli è che l’Ancona Calcio non aveva comunque trovato offerte per rilevare l’azienda e il titolo
sportivo (valutato dal curatore fallimentare Umberto Arcangeli in circa sei milioni di euro).
In questa situazione poi anche la procedura applicativa del “Lodo Petrucci” (nel frattempo
attivata dalla F.I.G.C.) non è andata a buon fine in quanto la neocostituita Unione Sportiva
Anconitana non è riuscita a prestare le garanzie economiche per poter ripartire dalla Serie C1. Vista
la situazione critica e dato il costituirsi di un’altra nuova società, la A.C. Ancona Spa, la F.I.G.C.
anziché attribuire a quest’ultima il titolo sportivo per un campionato dilettantistico come da
regolamento, con il C. U. n.126 del 15 settembre 2004 ha consentito, in extremis, a quest’ultima
55
Sul punto, amplius, LUBRANO E., Ammissione ai campionati di calcio e titolo sportivo: un sistema da rivedere?!, cit.,
p.25.
48
DOTTRINA
Il titolo sportivo………
società di poter partecipare alla Serie C2 rilevando a titolo oneroso il titolo sportivo dalla società
fallita.
Su tale decisione qui ha, probabilmente, influito anche l’ordinanza depositata l’11 settembre
2004 dal Tribunale di Ancona, che ha confermato i provvedimenti inaudita altera parte emessi in
precedenza dallo stesso tribunale. Infatti il Tribunale di Ancona ha, in questa sede, come del resto
espresso dalla curatela nel ricorso, non tanto insistito sul fatto che all’Ancona andasse riconosciuto
il titolo sportivo per la Serie B, quanto che lo stesso titolo sportivo fosse riconosciuto come di
proprietà della curatela fallimentare, rigettando tra l’altro ogni eccezione di difetto di
giurisdizione56.
Altro caso interessante relativo all’estate 2004 è quello che ha coinvolto la società U.S.
Viterbese Calcio Srl, a cui è stata negata, con provvedimento federale del 27 luglio 2004 n. 29/A
l’iscrizione al campionato di Serie C1. Dopo aver proposto inutilmente, avverso tale
provvedimento, istanza di arbitrato alla Camera presso il C.O.N.I., la Società si è rivolta al T.A.R.
Lazio impugnando non solo il lodo arbitrale che in data 9 agosto 2004 ha dichiarato inammissibili
le sue domande proposte, ma anche il lodo arbitrale della stessa Camera che in data 28 agosto 2004
ha accolto la domanda di iscrizione della nuova società A.S. Viterbo Calcio Srl al campionato di
Serie C2 attraverso il “Lodo Petrucci”.
Il tema principale è stato ancora una volta la c.d. espropriazione del titolo sportivo: nel ricorso
al T.A.R. Lazio n. 9092/2004 la società Viterbese Calcio ha lamentato, fra le altre cose, che
l’ammissione al campionato di Serie C2 della società Viterbo Calcio in forza del “Lodo Petrucci”
rappresentasse un’ablazione del titolo sportivo a danno della ricorrente in palese violazione
dell’art.42 della Costituzione. Il T.A.R. Lazio, comunque, non è entrato proprio nel merito della
56
Ciò è stato possibile, a differenza degli altri Tribunali Civili, ritenendo che le controversie relative al titolo sportivo
rientrassero nell’area di competenza esclusa al G.A. in favore del giudice ordinario, competenza che l’art.3 della L.n. 280/2003
sancisce per i “rapporti patrimoniali fra società, associazioni e atleti”; nell’ordinanza il Tribunale ha così statuito che “nella
concreta fattispecie…non può obiettivamente negarsi contenuto patrimoniale ai petita di parte ricorrente; l’accertamento
dichiarativo che si pretende riguarda la natura patrimoniale dell’avviamento-titolo sportivo e la titolarità a trasferirlo secondo
criteri e parametri codicistico-civili nell’ambito del trasferimento del relativo ramo d’azienda; è patrimoniale anche far accertare il
diritto (in subordine) all’indennizzo da irrituale tramutamento del titolo sportivo in capo a soggetti terzi;…l’art.51 R.D. n.267/1942
(Legge fallimentare) vieta azioni individuali esecutive sui beni compresi nel fallimento; come non comprendervi anche l’avviamentotitolo sportivo? L’art.52 stessa L.F. sancisce...che nessuna iniziativa individuale creditoria possa sottrarre alcun bene alla massa
fallimentare; tutto ciò parla di controversia patrimoniale; altrimenti come definirla?”.
49
DOTTRINA
Il titolo sportivo………
questione in quanto ha dichiarato, con la sentenza n. 10779/2005, in parte inammissibile57 ed in
parte improcedibile58 il ricorso proposto dalla società U.S. Viterbese Calcio.
Società che invece, nonostante dissesti finanziari, sono riuscite a mantenere il titolo sportivo
per la stessa Serie ottenuta “sul campo”, all’inizio della stagione 2004/2005 sono quelle, a cui si è
avuto modo di accennare in precedenza, come il Parma A.C. Spa, il Foggia Calcio Srl, il Calcio
Trento Spa e il Monza Calcio Spa. La prima di queste è riuscita nell’intento di mantenere il titolo
sportivo per l’ammissione alla Serie A attraverso il conferimento d’azienda alla società di nuova
costituzione ed interamente posseduta Parma F.C. Spa.
L’operazione è stata ratificata dalla F.I.G.C. ex art. 20 N.O.I.F., determinando l’importante
effetto di mantenere in capo alla società Parma F.C. non soltanto il titolo sportivo della società
conferente ma anche la sua anzianità d’affiliazione e il suo parco tesserati.
Quanto alle altre società suddette, la F.I.G.C., constatato il loro fallimento, con tre Comunicati
Ufficiali (199/A, 200/A e 201/A) ha consentito che si facesse applicazione dell’art.53 comma 3
delle N.O.I.F. permettendo così il trasferimento (a titolo oneroso) del medesimo titolo sportivo
conquistato “sul campo”, dell’anzianità di affiliazione e del parco tesserati delle società fallite in
capo rispettivamente alle società neocostituite U.S. Foggia Srl, Trentino Calcio 1921 Spa e A.C.
Monza Brianza 1912 Spa.
L’applicazione dell’art.52 comma 3 delle N.O.I.F. non è invece riuscita nel caso del fallimento
della società Calcio Como Spa. Quest’ultima società dopo aver affrontato una crisi che l’ha portata
in quattro anni a retrocedere dal campionato di Serie A al campionato di Serie C2 è stata dichiarata
in stato di insolvenza già nel corso della stagione 2004/2005, con la possibilità però di poter
proseguire l’attività fino al termine della stagione stessa.
Tuttavia alla società neocostituita Calcio Como Srl, che ha tentato di rilevare l’azienda
sportiva della società fallita con trasferimento del relativo titolo sportivo per il campionato di serie
C2 per la stagione 2005/2006, non sono state riconosciute idonee prima dalla F.I.G.C. (C.U. n. 3/A
del 5 luglio 2005) e dalla CO.VI.SOC, in seguito dalla Camera presso il C.O.N.I. (con lodo del 5
agosto 2005) e dal T.A.R. Lazio (con sentenza n.6174/2005) le garanzie offerte per l’operazione.
57
Il Consiglio Federale, infatti, con il C.U. n.77/A del 12 agosto 2004 ha ammesso al campionato di Serie C1 le società A.C. Prato e
A.C. Pavia sul presupposto della mancata ammissione della U.S. Viterbese; tuttavia le due società non sono state evocate in giudizio
dalla ricorrente determinando l’inammissibilità in parte qua del ricorso.
58
Con riferimento poi all’impugnativa della decisione della Camera arbitrale che ha accolto la domanda di iscrizione alla
Serie C2 della Viterbo Calcio Srl, il giudice ha ritenuto improcedibile il ricorso per sopravvenuta carenza di interesse, visto che
l’accertato diniego di ammissione alla Serie C1 della ricorrente poteva comportare per quest’ultima al massimo il riconoscimento del
titolo sportivo per la III Categoria.
50
DOTTRINA
Il titolo sportivo………
Alla società comasca è stata comunque attribuita dalla F.I.G.C. la possibilità di partecipare al
massimo campionato dilettantistico nel girone B, attribuendole il relativo titolo sportivo.
Relativamente alla stagione sportiva 2005/2006 è opportuno evidenziare altri due ricorsi al
T.A.R. Lazio presentati dal Fallimento Brindisi Calcio Srl e dalla società Salernitana Sport Spa
(rispettivamente ricorso n. 8943/2004 e n. 8016/2005), con cui sono state impugnate tutte le
disposizioni federali che consentono alla F.I.G.C. di disporre del titolo sportivo di una società non
ammessa ad un campionato assegnandolo a società terze di nuova costituzione e - nel caso del
ricorso del Fallimento Brindisi Calcio - tutte le disposizioni federali che non consentono, di
conseguenza, alle società in stato di insolvenza di poter disporre del titolo sportivo nell’interesse dei
creditori.
Tuttavia anche in questi casi il T.A.R. del Lazio non ha potuto affrontare nel merito le relative
questioni (rispettivamente sentenza n. 4284/2005 e sentenza n. 9968/2005), andando quindi ancora
persa la possibilità di una pronuncia sulla compatibilità dei regolamenti federali in questione
rispetto alle leggi e ai principi statuali59.
Da ultimo un breve cenno riguardante le ultime vicende relative all’estate 2006.
59
A portare innanzi al giudice amministrativo la questione dei gravi effetti negativi derivanti dalla c.d.
espropriazione del titolo sportivo da parte della F.I.G.C., in seguito al provvedimento di non ammissione al campionato di Serie C1,
ha pensato poi la società S.P.A.L. spa. I fatti, relativi al diniego di ammissione della Società alla Serie C1 per la stagione 2005/2006 a
causa di inadempimenti economici (F.I.G.C., C.U. n.21/A del 15 luglio 2005), si sono svolti dapprima innanzi alla Camera arbitrale
presso il C.O.N.I. e poi innanzi al T.A.R. Lazio con ricorso n. 7236/2005, ma in entrambi i casi sono state respinte le pretese della
società ferrarese (lodo del 25 luglio 2005 e sentenza T.A.R. Lazio n. 6079/2005). La Società si è allora rivolta al Consiglio di Stato
con significative richieste aventi ad oggetto (in subordine alla declaratoria di illegittimità del provvedimento federale di non
ammissione al campionato) il diritto a vedersi comunque restituito il titolo sportivo per la Serie C1 o, ad ogni modo, il diritto ad
ottenere la somma in denaro relativa all’assegnazione, nel frattempo intervenuta, del titolo sportivo stesso alla neocostituita SPAL
1907 in forza del “Lodo Petrucci”.
Purtroppo, anche in quest’occasione non si è arrivati ad un esame nel merito della legittimità o meno dell’art.52 comma 6
delle N.O.I.F.: il Consiglio di Stato, Sezione Sesta, con decisione n. 3559/2006 ha respinto il ricorso confermando solo le
inadempienze economiche della Società, ma, per le questioni qui rilevanti, ha accolto un’eccezione di inammissibilità proposta dalla
F.I.G.C. per non aver la ricorrente previamente fatto valere il motivo relativo a tale disposizione federale innanzi alla Camera
arbitrale del C.O.N.I. (la cui decisione, infatti, ha natura di atto amministrativo).
Le perplessità sulla legittimità del “Lodo Petrucci” sono state in questo caso accentuate dal fatto che alla nuova società
SPAL 1907 è stato di fatto consentito di appropriarsi della denominazione sociale della storica società preesistente (peraltro non
fallita), appropriazione anche questa avvenuta ad “euro zero”. Sul punto si veda LUBRANO E., Ammissione ai campionati di calcio
e titolo sportivo: un sistema da rivedere?!, cit., p.31.
Ultimamente, a proposito, si è avuto anche l’interessante caso del ricorso della società REGAL-Produzioni
Cinematografiche e Televisive, titolare nel 2002 della maggioranza azionaria della A.C. Fiorentina Spa Tale società si è rivolta al
T.A.R. del Lazio per chiedere il risarcimento del danno, ad opera di F.I.G.C., C.O.N.I. e L.N.P., subito a seguito dell’accertamento
dell’illegittimità del provvedimento della F.I.G.C. emesso il 1°agosto 2002, con il quale è stato rigettato il ricorso presentato
dall’Amministrazione Giudiziaria della A.C. Fiorentina avverso l’esclusione della stessa dal campionato di Serie B 2003/2004. Da
tale provvedimento, infatti, sarebbe scaturito per la ricorrente un notevole danno economico; ad avviso della ricorrente, cioè, la
F.I.G.C. avrebbe illegittimamente disconosciuto la possibilità di percorsi di risanamento centrati sulla disponibilità del titolo sportivo,
unitamente a quella dell’azienda, anche ai fini della salvaguardia patrimoniale della società nell’interesse dei soci e dei creditori. Di
conseguenza sarebbe stato erroneamente consentita la nascita di una nuova società ammettendola, come visto, direttamente ai
campionati professionistici. Tuttavia, le posizioni della società REGAL, finanche condivisibili, sono state dichiarate inammissibili dal
T.A.R. Lazio nella sentenza n. 2155/2006 per difetto di legittimazione attiva della ricorrente e per la tardiva impugnazione degli atti
da cui si faceva discendere il danno risarcibile, tutti relativi al 2002.
51
DOTTRINA
Il titolo sportivo………
Due sono stati i fallimenti “eccellenti”: la società S.S. Sambenedettese Calcio Srl e la società
Savona Calcio Srl. Entrambe sono risultate idonee per avvalersi della vantaggiosa ipotesi prevista
dal comma 3 dell’art.52 N.O.I.F.: il Commissario Straordinario della F.I.G.C., infatti, con due
Comunicati Ufficiali (rispettivamente n. 19 del 27 giugno 2006 e n. 1 del 10 luglio 2006), ha
attribuito alle neocostituite S.S. Sambenedettese Calcio Srl e Savona 1907 FBC il titolo sportivo,
l’anzianità di affiliazione e il parco tesserati delle rispettive società fallite.
Da segnalare, inoltre, nel corso dell’estate 2006, diversi provvedimenti di non ammissione a
un campionato professionistico da parte della F.I.G.C.. Tali ultimi hanno riguardato le società: U.S.
Catanzaro Spa, Gela J.T. Srl, Pol. Sassari Torres Spa, A.S. Acireale Srl, Calcio Chieti Spa, Fermana
Calcio Srl, Fortis Spoleto F.C. Srl, S.S. Gualdo Srl. Solo il titolo sportivo di tre di queste società ha
però potuto essere tutelato attraverso il “Lodo Petrucci”: ciò con la costituzione delle nuove società
F.C. Catanzaro Spa, Sassari Torres 1903 Srl e Gela Calcio Spa, alle quali è stato assegnato il titolo
sportivo, per una categoria inferiore, delle rispettive società non ammesse.
Quanto, infine, alla stagione sportiva 2007/2008 si è ravvisata, nei campionati
professionistici, solo la non ammissione alla Serie C2 della società U.S. Tempio S.r.l., la quale non
ha provveduto a depositare una fidejussione bancaria così come riscontrato dalla CO.VI.SOC
(F.I.G.C. C.U. n. 6/A del 3 maggio 2007). Tale diniego d’ammissione è andato a favore della avente
diritto al “ripescaggio”, ovvero la società U.S.D. Caravaggese Calcio, alla quale è stato attribuito il
titolo sportivo per disputare la Serie C2 (C.U. n. 7/A del 3 agosto 2007). Avverso la decisione di non
ammissione ha inutilmente proposto istanza di arbitrato la società Tempio, istanza respinta nel
merito dal Collegio Arbitrale della Camera presso il C.O.N.I. con lodo del 26 luglio 2007.
2.2 Prospettive di riforma.
Si cercherà ora di rilevare uteriormente quali possono essere gli effetti negativi dell’attuale
disciplina del titolo sportivo e come in qualche modo possono essere attenuati.
Per motivi già esposti si concentrerà l’attenzione sul “sistema calcio”, cercando di cogliere
non tanto gli effetti negativi sul titolo sportivo derivanti da sanzioni disciplinari (che sono,
52
DOTTRINA
Il titolo sportivo………
comunque, per certi versi condivisibili)60, ma gli effetti negativi derivanti da sanzioni
amministrative come la non ammissione ad un determinato campionato.
In primis sarebbe da evitare che si concretizzasse tale fattispecie sanzionatoria quando nella
sostanza gli inadempimenti amministrativo-contabili di una società sportiva non siano così gravi ed
irrisolvibili. Ciò risulta evidente allorchè si considerino le conseguenze possibili di una non
ammissione ad un campionato, che arrivano a configurare l’ipotesi estrema dell’attribuzione per la
società non ammessa (al campionato di Serie A, B o C1) del titolo sportivo di base per la III
Categoria. Sarebbe pertanto necessario evitare tali conseguenze stabilendo, anche annualmente, una
regolamentazione, da parte della Federazione, che consenta di iscrivere ai campionati di
competenza anche le società che presentino un certa soglia di indebitamento o di irregolarità che
non minacci comunque l’ordinato svolgimento dei campionati61 e non rappresenti una disparità di
trattamento nei confronti delle società non in regola.
Al di là dei presupposti di una non ammissione a un campionato, si è già detto di come anche
il giudice amministrativo abbia affermato che un provvedimento di non ammissione non possa
determinare la mera sospensione per la società del titolo sportivo conquistato sul campo in attesa
che quest’ultima risolva i problemi amministrativo-contabili: absurda sunt vivanda. Se ciò può
essere pacifico per motivi logistici di organizzazione dei campionati da parte della Federazione,
rimane difficilmente accettabile il fatto che in conseguenza di tale provvedimento si determini per
una società: la perdita del titolo sportivo per i campionati professionistici, l’eventuale
“espropriazione” del proprio titolo sportivo ai sensi dei commi 6 e 7 dell’art.52 delle N.O.I.F. senza
che alla società “espropriata” entri alcun vantaggio patrimoniale, e per di più, infine, il c.d. svincolo
d’autorità di tutti i tesserati con la società in questione per il fatto che, in seguito alla diniego di
ammissione della loro società, i loro contratti vengono risolti di diritto.
Quanto, in particolare, alla seconda conseguenza, questa è figlia della discutibile concezione,
più volte ribadita dalla F.I.G.C. e dai giudici amministrativi, del titolo sportivo come un bene di cui
la sola Federazione possa disporre. Ciò, dal punto di vista economico si traduce nella impossibilità,
per la società che possiede il titolo, di ottenerne alcun vantaggio patrimoniale nel caso in cui esso
venga trasmesso ad altra società. Se il titolo sportivo rappresenta per l’azienda sportiva
60
In realtà, anche in questo caso, se da un lato è, ad esempio, condivisibile che il titolo sportivo di una società venga
declassato in seguito alla commissione di un illecito sportivo, ciò lo risulta meno con riguardo a quella massa di tifosi, a volte
milioni, che, come detto, sentono proprio il titolo sportivo e che risulterebbe completamente estranea alla commissione dell’illecito
predetto.
61
A tal fine dovrebbe trovare posto anche una migliore specificazione della “perentorietà” dei termini prevista nei Comunicati
Ufficiali annuali per l’adempimento delle condizioni necessarie per le iscrizioni ai campionati.
53
DOTTRINA
Il titolo sportivo………
l’avviamento, ovvero qualcosa di più della mera sommatoria dei beni e dei rapporti al suo interno,
diviene difficilmente comprensibile come tale valore possa essere di fatto azzerato per effetto della
sua circolazione o possa venire acquisito praticamente a titolo gratuito da terzi con società
neocostituite (seppur in una categoria inferiore) in pregiudizio degli azionisti e dei creditori della
società non ammessa.
Questa sorta di ablazione del titolo sportivo risulta, dal punto di vista economico, grave
soprattutto nel caso delle società andate incontro al fallimento che non siano rientrate nella
fattispecie prevista dal comma 3 dell’art.52 N.O.I.F..
In questo caso, il titolo sportivo viene dichiaratamente escluso dall’attivo fallimentare
essenziale per il Curatore al fine di cercare di soddisfare i creditori della società. Attivo fallimentare
che, comunque, risulta screditato anche qualora la società fallita possa usufruire della predetta
fattispecie: a ben vedere, infatti, l’acquisizione dell’intera azienda sportiva (e del conseguente titolo
sportivo) della società fallita da parte di altra società risulta subordinata all’accollo da parte di
quest’ultima dei soli debiti sportivi della società fallita, a discapito dei creditori non sportivi o
chirografari: creditorum appellatane non hi tantum accipiuntur, qui pecuniam crediderunt, sed
omnes, quibus ex qualibet causa debetur.
Sarebbe altresì opportuno eliminare la possibile disparità di situazioni legate al titolo sportivo
tra società rientranti nella fattispecie dell’art.52 co.3 delle N.O.I.F. da società che non vi rientrino.
Altra riforma dovrà necessariamente eliminare il paradosso previsto dall’art. 52 co.6 e co.9 delle
stesse N.O.I.F., cioè che le società non ammesse al campionato di Serie A, B, e C1 retrocedono in
III Categoria, mentre quelle non ammesse alla Serie C2 retrocedono in un campionato, anche più
elevato, di livello dilettantistico.
Tale situazione si potrebbe evitare applicando il “Lodo Petrucci” anche alle società non
ammesse alla Serie C262. Relativamente al “Lodo Petrucci” necessiterebbe poi di migliori
specificazioni quel requisito, previsto per la sua applicabilità, dell’ “espressione della tradizione
sportiva italiana” della società non ammessa al campionato.
In aggiunta se, da una parte, è assolutamente condivisibile che il titolo sportivo possa
subire modificazioni in peius in seguito a demeriti sportivi e/o a minor meriti comparativi
(retrocessione al termine di un determinato campionato) o in seguito a provvedimenti disciplinari,
62
Situazione, comunque, non facile da gestire in quanto il “Lodo Petrucci” è stato fortemente contestato dai massimi organi
della Lega Nazionale Dilettanti: col sistema del “Lodo Petrucci”, infatti, le società fra i dilettanti hanno perso molte possibilità di
essere “ripescate” nella serie C2, perdendo così di valore anche i relativi play-off.
54
DOTTRINA
Il titolo sportivo………
dall’altra, in caso di provvedimenti amministrativi di non ammissione di una società ad un
campionato a seguito delle difficoltà economiche della medesima, il valore del titolo sportivo deve
invece poter sopravvivere allo stesso rango; ciò, almeno fin quando i provvedimenti federali in
questione non siano giustificati da vere e proprie ipotesi di c.d. doping amministrativo, ovvero da
una condotta amministrativo-contabile, da parte di una società, finalizzata a mascherare in modo
grave i relativi dissesti economici e ad ottenere così vantaggi indiretti rispetto alle società
concorrenti.
Se è in tal caso giustificabile che si adottino provvedimenti federali atti ad incidere in
negativo sul titolo sportivo di una società, ciò, in base alle considerazioni svolte, non può comunque
arrivare ad azzerare completamente il valore del titolo sportivo stesso, essendo più ragionevole che
questo possa essere declassato comunque al massimo di una sola categoria.
Un intervento decisivo, alla luce di quanto osservato, serve oltretutto per dare la possibilità
alla società non ammessa di poter conteggiare il titolo sportivo nell’attivo patrimoniale.
La possibilità di una sua trasmissibilità a titolo oneroso in caso di non ammissione a un
campionato, anche a prescindere da chi abbia il potere di individuare la società assegnataria del
titolo sportivo, risulterebbe fondamentale per la società in difficoltà economiche e a maggior
ragione per la società in stato di insolvenza dichiarato giudizialmente63.
Nel “sistema calcio”, l’obiettivo di tutelare in tal senso il titolo sportivo potrebbe
essere raggiunto attraverso una revisione generale dei regolamenti federali secondo una più
moderna concezione della natura del titolo sportivo e dalla possibilità della più completa
applicazione possibile degli strumenti offerti dal codice civile e dal diritto fallimentare alle imprese
calcistiche e al loro titolo sportivo (così come affermato anche dai tribunali fallimentari nelle
vicende affrontate).
(*) dottore in Giurisprudenza
63
Su questi punti interessante è la posizione del Lubrano, il quale ha anche formulato una nuova ipotesi, rispetto al “Lodo
Petrucci”, di cessione del titolo sportivo nel caso si realizzasse uno dei due presupposti di base del Lodo stesso (non ammissione o
stato di insolvenza di una società di calcio). LUBRANO E., Ammissione ai campionati di calcio e titolo sportivo: un sistema da
rivedere?!, p.36.
55
DOTTRINA
L’evoluzione dello status professionale………
L’ EVOLUZIONE DELLO STATUS PROFESSIONALE
DEL GIOCATORE DI CALCIO A 5
di Valerio Bernardi (*)
SOMMARIO:
1. Premessa
2. La riforma del calcio dilettantistico
3. I giocatori di Calcio a 5
4. Prospettive di riforma
4.1 Il Regolamento FIFA sullo status e i trasferimenti dei calciatori:
- l’Allegato 6 sul “Futsal”
4.2 Le problematiche dello status di dilettante
4.3 Ipotesi di riforma
5. Conclusioni
56
DOTTRINA
L’evoluzione dello status professionale………
1. Premessa.
Lo sviluppo del sistema sportivo italiano, sia in termini di pratica sportiva che di valore
economico, ha portato, negli ultimi anni, il legislatore ordinario ad occuparsi con sempre maggiore
impegno delle problematiche relative ai soggetti dell’ordinamento sportivo.
La figura dell’atleta dilettante, al contrario, è rimasta esclusa dagli interventi legislativi e
rappresenta una delle problematiche maggiori per lo sport italiano. I soggetti sportivi qualificati
quali atleti dilettanti, infatti, rappresentano la grande maggioranza degli sportivi che svolgono
attività ufficiale1, ma non sono ancora stati dotati di una disciplina specifica, relativa alle loro
prestazioni.
All’interno della variegata famiglia degli sport dilettantistici trova posto anche il Calcio a 5,
una disciplina sportiva in continua espansione che ha ormai bisogno di una regolamentazione
appropriata.
Nella figura del giocatore di Calcio a 5, infatti, non solo si riassumono tutte le problematiche
degli sportivi dilettanti, ma a queste si somma la carenza di una normativa specifica anche in ambito
sportivo.
Il Calcio a 5, conosciuto a livello internazionale con il nome di “Futsal”, fa parte, a livello
organizzativo, della struttura della Federazione Italiana Giuoco Calcio (F.I.G.C.), ma è stato inserito
funzionalmente all’interno della Lega Nazionale Dilettanti (L.N.D.). Questa collocazione oggi
risulta penalizzante soprattutto per chi pratica questa disciplina sportiva ad alto livello.
Il giocatore di Calcio a 5, infatti, è per la normativa sportiva nazionale un “non
professionista”. Questa qualificazione preclude al giocatore la possibilità di essere considerato un
lavoratore sportivo e lo esclude, di fatto, dalle tutele predisposte per gli atleti considerati
“professionisti”.
L’evoluzione della figura del calciatore ha dimostrato come l’adeguamento delle normative
alla realtà sportiva che intendono disciplinare sia lento e, in buona parte, correlato ad una intensa
attività giudiziaria.
1
Le Federazioni sportive nazionali che hanno un settore professionistico disciplinato dalla legge n. 91/1981 sono, secondo
l’originaria delibera del CONI del 2 maggio 1988, la Federazione Italiana Giuoco Calcio (F.I.G.C.), la Federazione Ciclistica Italiana
(F.C.I.), la Federazione Italiana Golf (F.I.G.), la Federazione Motociclistica Italiana (F.M.I.) e la Federazione Pugilistica Italiana
(F.P.I.). A queste si è aggiunta, a decorrere dal 30 giugno 1994, la Federazione Italiana Pallacanestro (F.I.P.). Sono solo 6 Federazioni
sportive nazionali sulle 43 affiliate al CONI.
57
DOTTRINA
L’evoluzione dello status professionale………
L’inefficienza delle normative sportive e la mancanza di una tutela legislativa rivolta all’atleta
dilettante non fanno altro che incrementare il ricorso, da parte di questa categoria di atleti, alle vie
giudiziarie ordinarie.
L’analisi della situazione del giocatore di Calcio a 5 si inserisce nel più ampio dibattito
riguardo lo status dell’atleta dilettante e le problematiche che interessano questa categoria sia in
ambito nazionale che comunitario.
Le soluzioni proposte si rivolgono, in modo alternativo ma non concorrente, sia alle esigenze
del giocatore di Calcio a 5, soprattutto in riferimento alla normativa sportiva internazionale, che alle
problematiche più generali del lavoro sportivo dilettantistico.
2. La riforma del calcio dilettantistico
Il momento di svolta nell’evoluzione dello status del calciatore dilettante coincide con
l’estensione dell’attività di tutela ed assistenza dell’Associazione Italiana Calciatori (A.I.C.) al
mondo del calcio dilettantistico2.
La collaborazione fra A.I.C. e Lega Nazionale Dilettanti ha dato vita, nel giugno del 2002, ad
una riforma delle norme federali3 che ha portato ad un miglioramento dello status del calciatore non
professionista. Le modifiche regolamentari hanno interessato due aspetti fondamentali del rapporto
fra società e calciatori dilettanti: il vincolo sportivo ed i rapporti economici fra società e tesserati.
La riforma del vincolo sportivo a tempo indeterminato4 è nata dalla necessità di contemperare
i diritti dei calciatori con le opposte esigenze delle società. Per raggiungere questo obiettivo è stato
introdotto un vincolo a tempo determinato, che decade al compimento del 25º anno d’età del
calciatore. Oggi tutti i calciatori che, entro il termine di ogni stagione sportiva, abbiano compiuto il
25º anno d’età possono richiedere, ai Comitati ed alle Divisioni di appartenenza, lo svincolo per
decadenza del tesseramento ai sensi dell’art. 32-bis delle Norme Organizzative Interne della
Federazione (N.O.I.F.)5.
2
Dal 10 aprile 2000, infatti, l’A.I.C. ha esteso la propria tutela anche a tutti i calciatori tesserati per società appartenenti al settore
dilettanti, al calcio femminile e al Calcio a 5.
3
Per un’analisi della riforma si veda A. DE SILVESTRI, La riforma del calcio dilettantistico in tema di vincolo e di accordi
economici, in P. MORO (a cura di), Vincolo sportivo e diritti fondamentali, Pordenone, Euro92 ed., 2002, p. 31.
4
Sulla natura e sulla durata del vincolo sportivo esiste un ampio dibattito in dottrina al quale si rimanda. Per un utile riferimento si
vedano AA.VV., Vincolo sportivo e diritti fondamentali, Pordenone, Euro 92 ed., 2002; D. ZINNARI, Percorsi dottrinali in tema di
vincolo, in GiustiziaSportiva.it, 2005, I, p. 41; P. MORO, Natura e limiti del vincolo sportivo, Riv. di dir. ed ec. dello sport, 2005, I, p.
67.
5
La riforma in oggetto ha inserito tre nuovi articoli alle N.O.I.F.: l’art. 32-bis riguarda la durata del vincolo di tesseramento e lo
svincolo per decadenza, mentre l’art. 32-ter ha previsto un regime transitorio per l’entrata in vigore della riforma, che è operativa dal
1 luglio 2004; infine, è stato modificato l’art. 36 del Regolamento della L.N.D. che prevedeva l’assunzione, al momento del
58
DOTTRINA
L’evoluzione dello status professionale………
È importante sottolineare che tutti i calciatori che hanno chiesto ed ottenuto lo svincolo per
decadenza del tesseramento nelle stagioni precedenti, risultano automaticamente svincolati al
termine della stagione sportiva successiva6. Non è stata prevista invece, come richiesto dalle
società, la corresponsione di un’indennità compensativa per la perdita dei calciatori rimasti in
ambito dilettantistico, mentre è aumentato il premio di addestramento e formazione tecnica che le
società professionistiche sono tenute a versare alle società presso cui il calciatore ha svolto l’attività
dilettantistica.
Ancora più articolato è stato il riassetto della materia in ambito economico, che ha previsto da
un lato le modifiche alle norme che non consentivano accordi economici per i calciatori dilettanti,
dall’altro la necessità di strumenti di tutela nel caso di controversie nascenti dalla nuova normativa.
Ora i calciatori tesserati con società che partecipano ai campionati nazionali della L.N.D. 7 sono
tenuti a sottoscrivere, su appositi moduli, Accordi Economici annuali8 relativi alle loro prestazioni
sportive. La sottoscrizione degli accordi, ai sensi degli artt. 29, punto 3, e 94-ter delle NOIF è
obbligatoria, così come il deposito presso i Comitati e le Divisioni di competenza. Gli accordi
possono prevedere la determinazione delle indennità di trasferta, dei rimborsi forfetari di spesa e
delle voci premiali legate alla partecipazione all’attività agonistica oppure, in via alternativa e non
concorrente, l’erogazione di una somma lorda annuale da corrispondersi in dieci rate mensili di
uguale importo9. Eventuali accordi integrativi o sostitutivi di quelli depositati sono considerati nulli
e privi di efficacia e comportano, inoltre, il deferimento di entrambi i contraenti agli organi di
giustizia sportiva per illecito disciplinare10, con ipotesi di squalifica per il calciatore e
penalizzazione per la società coinvolta.
Le controversie relative alla stipula di Accordi Economici sono state affidate alle decisioni di
una Commissione Accordi Economici, istituita appositamente con l’introduzione dell’art. 21-bis del
Regolamento della L.N.D..
tesseramento, del vincolo a tempo indeterminato.
6
Ad esclusione dei giocatori di calcio a 5 che hanno in corso accordi pluriennali ai sensi dell’art. 94-ter, punto 7, delle N.O.I.F.;
norma peraltro abbastanza controversa di cui si parlerà specificamente nel par. 2. dedicato ai giocatori di Calcio a 5.
7
Sono i calciatori della serie D, le calciatrici della serie A femminile ed i giocatori di Calcio a 5 che partecipano ai campionati di
serie A, A2 e B.
8
Ad eccezione dei giocatori di Calcio a 5 che disputano campionati nazionali, i quali, ai sensi dell’art. 94-ter, punto 7, delle NOIF,
possono concordare l’erogazione di somme annuali lorde per un periodo massimo di tre stagioni sportive.
9
Gli accordi concernenti i rimborsi forfetari di spesa e le indennità di trasferta non possono superare il tetto di 61,97 euro al giorno,
per un massimo di 5 giorni alla settimana durante il periodo di campionato e per un massimo di 45 se relativi alla preparazione precampionato. Nel caso di attività agonistica relativa a gare di campionato e coppa Italia, gli accordi non possono prevedere somme
superiori a 77,47 euro per ciascuna prestazione. Se invece viene concordata l’erogazione di una somma lorda annuale, l’accordo non
può superare il tetto dei 25.822 euro.
10
Ai sensi dell’art. 7, nn. 4 e 8, del Codice di Giustizia Sportiva.
59
DOTTRINA
L’evoluzione dello status professionale………
Contro tali decisioni è possibile ricorrere in appello alla Commissione Vertenze Economiche
Federale11. Si è stabilito, inoltre, che il calciatore rimasto insoddisfatto delle decisioni prese dagli
organi di giustizia sportiva possa rivolgersi, decorso un mese dalla decisione divenuta definitiva,
alla magistratura ordinaria senza bisogno di autorizzazione in deroga al vincolo di giustizia. Questa
ultima previsione, decisamente innovativa per il mondo sportivo, anticipa in parte l’intervento del
legislatore nazionale in materia12 e riprende l’impostazione adottata dalle normative internazionali
in tema di controversie tra società e calciatori.
La storia dell’evoluzione della figura del calciatore descrive la progressiva presa di coscienza
dei suoi diritti e la relativa codificazione di tali diritti13. Questo crescita progressiva ha finito per
interessare anche il calciatore dilettante, influenzando indirettamente anche il giocatore di Calcio a
5.
Tuttavia, il giocatore di Calcio a 5 non rappresenta ancora una categoria separata di
calciatore, tanto che questa mancata definizione in positivo da un lato ne pregiudica la crescita,
dall’altro non permette la strutturazione di un sistema normativo specifico.
Mentre il calciatore professionista continua a premere per una totale liberalizzazione del
sistema contrattuale, scontrandosi con le esigenze delle società, il giocatore di Calcio a 5 è alla
ricerca di una sua identità professionale, in modo tale da poter contribuire alla costruzione di un
settore sportivo efficiente che possa integrarsi con il sistema sportivo italiano ed internazionale14.
11
Secondo quanto disposto dall’art. 45, n. 4, lett. b), del Codice di Giustizia Sportiva.
Si tratta della legge n. 280/2003 che ha definito i rapporti fra ordinamento sportivo e ordinamento statale riconoscendo l’autonomia
dell’ordinamento sportivo, ma delineandone, allo stesso tempo, i limiti rispetto all’ordinamento giuridico statale. Per un’analisi
critica della legge n. 280/2003 si veda AA.VV., La giustizia sportiva. Analisi critica della legge 17 ottobre 2003 n. 280, Forlì,
Experta ed., 2004.
13
In questo senso E. LUBRANO, L’ordinamento giuridico del giuoco calcio, Roma, Ist. Ed. Regioni Italiane, 2004.
14
Il sistema calcistico internazionale crede fortemente nelle potenzialità del Calcio a 5, tanto che sia la FIFA che la UEFA hanno
iniziato un percorso di promozione e di sviluppo di questa disciplina. La FIFA ha inserito fra le sue Commissioni permanenti (FIFA
Standing Committees) una Commissione per il Calcio a 5 (Futsal Committee). La struttura organizzativa della FIFA, infatti, è divisa
in 25 Commissioni Permanenti e due Organi “Giurisdizionali” (la Commissione Disciplinare e la Commissione d’Appello). Le
Commissioni svolgono una funzione di base e decidono l’organizzazione dei tornei e lo sviluppo del calcio in generale. Le decisione
adottate dalle Commissioni sono ratificate dal Comitato Esecutivo della FIFA (FIFA Executive Committee), composto dal Presidente,
da 7 Vice-presidenti, da 16 membri (sono membri dell’Esecutivo anche il Presidente ed il Vice-presidente della Commissione per il
Calcio a 5, ma non vi sono rappresentanti italiani) e dal Segretario Generale. La Commissione per il Futsal è presieduta dal brasiliano
Ricardo Terra Teixeira e annovera, fra i suoi membri, il Presidente della Commissione UEFA per il Futsal Petr Fousek, ma, anche in
questo caso, ai suoi lavori non partecipano rappresentanti italiani.
Anche la UEFA, che si occupa dell’organizzazione del calcio a livello continentale, si è dotata di un Comitato Esecutivo
(UEFA Executive Committee) e di una serie di Commissioni (Committees) e Panel. Il Comitato Esecutivo della UEFA, composto da
14 membri, compreso l’italiano Franco Carraro, decide su ogni materia che non ricade nella competenza del Congresso della UEFA o
di qualsiasi altro organo. Si occupa anche dell’amministrazione, ad eccezione dei compiti dell’Amministratore Delegato o della
Direzione Generale. Le Commissioni e i Panel rappresentano le 52 Federazioni affiliate e si occupano di un ampio ventaglio di
attività. Fanno inoltre parte della struttura due consigli disciplinari (il Consiglio Controllo e Disciplina e la Commissione d’Appello)
e il Consiglio del progetto Meridian (un progetto di cooperazione Europa-Africa per lo sviluppo del settore calcistico che prevede un
torneo internazionale under 17 per le rappresentative nazionali di Europa ed Africa). Oltre alla struttura ed alle Commissioni, si
contano più di 25 Panel di esperti che, in caso di decisioni importanti, sono affiancati da gruppi di lavoro specifici istituiti dalla
UEFA. La commissione UEFA per il Calcio a 5 (UEFA Futsal Committee) è composta da un Presidente, Petr Fousek, un Vicepresidente, l’ungherese Huszar, e da 9 membri, compreso il Presidente della Divisione Calcio a 5 Fabrizio Tonelli. Il responsabile del
12
60
DOTTRINA
L’evoluzione dello status professionale………
3. I giocatori di Calcio a 5
I giocatori di Calcio a 5 che svolgono attività ufficiale, sia a livello nazionale che regionale,
sono inquadrati nel settore dilettantistico della Federazione Italiana Giuoco Calcio (F.I.G.C.). Le
società di Calcio a 5, infatti, sono associate alla Lega Nazionale Dilettanti, perciò gli atleti tesserati
per queste società svolgono la loro attività quali giocatori “non professionisti”, secondo quanto
disposto dalle norme della F.I.G.C.15 e dal Regolamento della L.N.D.16.
La riforma del calcio dilettantistico, concordata dall’Associazione Italiana Calciatori con la
L.N.D. e rafforzata dalla sottoscrizione di un protocollo d’intesa firmato nell’ottobre del 2004, ha
introdotto importanti modifiche che riguardano i giocatori ed il loro rapporto con le società17.
Questa riforma, di notevole interesse per il mondo del calcio dilettantistico, non ha
differenziato, in senso formale, il calciatore dilettante dal giocatore di calcio a 5, ad eccezione di
una singola norma. L’art. 94-ter, n. 7, delle N.O.I.F.18, infatti, prevede, in deroga a quanto stabilito
per gli altri calciatori partecipanti ai campionati nazionali organizzati dalla L.N.D., la possibilità,
Calcio Professionistico, l’inglese David Richards, insieme al capo della Commissione per le competizioni per squadre nazionali, lo
svedese Lagrell, amministra la Commissione per il Futsal.
Gli obiettivi ed i compiti della Commissione UEFA per il Futsal sono:
Scambiare opinioni sulle competizioni organizzate dalla UEFA (UEFA Futsal Cup; UEFA European Futsal Championship;
European qualification for FIFA Futsal Championship)
Redigere raccomandazioni per l’Amministratore della UEFA riguardo:
Possibili modificazioni alle competizioni organizzate dalla UEFA
Regolamenti delle competizioni
Processo di selezione per i paesi ospitanti le competizioni
Organizzazione di programmi di sviluppo per il Futsal
Monitoraggio dell’organizzazione e della preparazione delle competizioni assegnate
Cooperazione con le altre Commissioni
Le attuali priorità della Commissione per il Futsal sono:

Monitorare le preparazione dei campionati Europei del 2007, della UEFA Futsal Cup e delle
qualificazioni europee ai Mondiali del 2009

Assistere al processo di selezione per il paese ospitante gli Europei del 2009

Promuovere e supportare le Federazioni che non hanno ancora un settore specifico dedicato al
Calcio a 5 nell’inserimento del Futsal nei loro programmi futuri

Elaborare nuove proposte di sviluppo
Nessun Panel, finora, è stato creato per collaborare con la Commissione per il Futsal, tuttavia la UEFA ha organizzato
recentemente (nel febbraio del 2006 a Madrid) una conferenza dedicata alle problematiche attuali e agli sviluppi futuri del Calcio a 5
a livello continentale.
15
Le Norme Organizzative Interne della Federazione (N.O.I.F.) prevedono tre diverse categorie di calciatore, secondo quanto
previsto dall’art. 27: i professionisti; i non professionisti; i giovani. Ai sensi dell’art. 29 “Sono qualificati ‘non professionisti’ i
calciatori che, a seguito di tesseramento, svolgono attività sportiva per società associate alla L.N.D. compresi quelli di sesso
femminile, quelli che giocano il ‘Calcio a 5’ e quelli che svolgono attività ricreativa”.
16
Il Regolamento della L.N.D. prevede tre ulteriori categorie per i giocatori dilettanti: i non professionisti; i giovani dilettanti; i
giovani (art. 34).
17
Cfr. par. 1.
18
In particolare, l’art. 94-ter prevede, al punto n. 7, che “… i calciatori tesserati per società di Calcio a Cinque che disputano
Campionati nazionali, possono concordare l’erogazione di somme annuali lorde per un periodo massimo di tre stagioni sportive. Gli
eventuali accordi pluriennali cessano di avere efficacia in caso di trasferimento del calciatore sia a titolo definitivo che temporaneo,
nonché di retrocessione della società nei Campionati regionali”.
61
DOTTRINA
L’evoluzione dello status professionale………
solo per i giocatori di calcio a 5 che disputano campionati nazionali, di sottoscrivere Accordi
Economici pluriennali.
La durata di tali accordi può essere al massimo triennale. Il legislatore sportivo in questo
modo ha voluto dotare il mondo del Calcio a 5 di una norma di settore che potesse sancire la
specificità della disciplina, differenziandola dal calcio dilettantistico.
Appare necessario sottolineare, in primo luogo, come una singola norma sia del tutto
insufficiente a garantire la specificità di un settore sportivo. Il Calcio a 5, infatti, ha bisogno di una
struttura regolamentare propria e di una cornice normativa che possa disciplinare in modo
complessivo l’intero sistema.
Non si vuole, con questo, separare il Calcio a 5 dal sistema calcistico, al contrario si ricerca la
migliore collocazione per una disciplina che ha ormai bisogno della sua identità, anche in senso
strettamente giuridico. Se dal punto di vista tecnico-agonistico questo obiettivo è stato raggiunto19,
molto ancora rimane da fare in ambito normativo, soprattutto in Italia, dove questo sport fatica a
ritagliarsi degli spazi a livello istituzionale.
Inoltre, questa norma sembra inserita, in modo forzato, in un sistema strutturato per prevedere
accordi economici di durata unicamente annuale20 e si rapporta male alle altre norme. La
problematica più rilevante riguarda il rapporto fra vincolo sportivo ed accordo economico e quindi
il combinato fra l’art. 32-bis e l’art. 94-ter delle N.O.I.F..
Il vincolo sportivo rappresenta una parte del rapporto giuridico che si instaura al momento del
tesseramento del calciatore21, quella parte che lega il calciatore alla società per la quale si impegna a
svolgere l’attività sportiva agonistica. L’accordo economico, invece, regola gli aspetti meramente
economici del rapporto e dovrebbe essere una logica conseguenza dell’esistenza di un vincolo
sportivo. Quindi, quando il vincolo sportivo cessa di esistere l’accordo economico dovrebbe
considerarsi inefficace per mancanza del suo presupposto logico. Questa impostazione è confermata
dalla previsione contenuta nell’art. 94-ter, n. 2, in base al quale “Gli accordi predetti cessano di
avere efficacia in caso di trasferimento del calciatore, sia a titolo definitivo che temporaneo, nel
19
Dalla stagione 2006/2007 il Regolamento di Giuoco Ufficiale, per tutte le Federazioni Nazionali affiliate, è quello emanato dalla
FIFA (FIFA Futsal Laws of the Game). Questa importante decisione, confermata da una Circolare ufficiale del febbraio 2006,
sottolinea il forte interesse della FIFA per lo sviluppo internazionale del Calcio a 5.
20
Questo sistema è stato strutturato per rispondere primariamente alle esigenze del Campionato Nazionale Dilettanti di calcio e non
si comprende come possa adattarsi ad uno sport completamente diverso come il Calcio a 5, né si comprende come una singola norma
sia in grado di modificare tale situazione. Semmai riesce a rendere il sistema dei rapporti “società-giocatori di Calcio a 5” ancora più
problematico ed inefficiente.
21
L’altra parte del rapporto giuridico derivante dal tesseramento riguarda la volontà dell’atleta di entrare a far parte della comunità
sportiva facente capo alla Federazione di riferimento, volontà che si estrinseca all’atto del tesseramento. Su questo argomento D.
ZINNARI, Percorsi dottrinali in tema di vincolo sportivo, in GiustiziaSportiva.it, n. 1, 2005, p. 52 e ss..
62
DOTTRINA
L’evoluzione dello status professionale………
corso della stagione sportiva” e dal disposto dell’art. 94-ter, n. 7, ai sensi del quale “Gli eventuali
accordi pluriennali cessano di avere efficacia in caso di trasferimento del calciatore sia a titolo
definitivo che temporaneo, nonché di retrocessione della società nei Campionati regionali”.
In questo sistema, infatti, assume maggiore rilevanza il vincolo sportivo, tanto è vero che i
calciatori dilettanti che ancora non hanno compiuto il 25º anno di età rimangono vincolati alla
società con la quale sono tesserati anche in assenza di accordo economico22. Al compimento del 25º
anno, invece, il meccanismo funziona perfettamente perché il calciatore può svincolarsi
annualmente e sottoscrivere accordi economici ugualmente annuali23.
Nel Calcio a 5, come abbiamo visto, è possibile sottoscrivere accordi economici pluriennali.
Questa ipotesi, invece di garantire specificità ed efficienza al sistema lo ha ulteriormente
complicato. In definitiva siamo in presenza, per i soli giocatori di Calcio a 5 che svolgono attività
nazionale, di un sistema di regolazione dei rapporti fra società e giocatori non solo duplice, ma
improntato a logiche completamente differenti. Fino ai 25 anni, infatti, il giocatore è sottoposto al
vincolo sportivo, a prescindere dalla presenza dell’accordo economico24, mentre dal compimento
del 25º anno di età si passa ad un sistema basato sugli accordi economici e sulla loro durata25.
L’art. 32-bis delle N.O.I.F. da un lato ha previsto lo svincolo per decadenza del tesseramento
per i giocatori over 25, dall’altro ha stabilito una deroga per consentire al Calcio a 5 la stipula di
accordi economici pluriennali26 giustificando, formalmente, questa inversione logica.
Ci si chiede, quindi, quale istituto abbia prevalenza, se il vincolo sportivo o l’accordo
economico, ma soprattutto se sia possibile dare prevalenza al vincolo fino ad un certo periodo di
tempo per poi modificare l’impostazione privilegiando l’accordo economico27.
I difetti di questo sistema appaiono ancora più rilevanti quando vengono correlati alle ulteriori
previsioni della normativa in oggetto.
22
Anche se la sottoscrizione degli accordi economici risulta essere un obbligo e non una semplice possibilità (Cfr. art. 94-ter, n. 2,
delle N.O.I.F.).
23
Nel Campionato Nazionale Dilettanti e nel Calcio Femminile questo sistema funziona (fatta eccezione per gli atleti under 25); la
combinazione vincolo sportivo/accordo economico, infatti, risulta efficiente perché originariamente predisposta per operare in
parallelo, cosa che non avviene nel Calcio a 5.
24
Il sistema, in questo caso, ripresenta le inefficienze del calcio dilettantistico dovute alla presenza del vincolo sportivo, aggravate
dal ribaltamento del principio su cui il sistema stesso si basa: la supremazia del vincolo sportivo sull’accordo economico.
25
Nel Calcio a 5 per i giocatori over 25, dopo la riforma del calcio dilettantistico, si sta andando verso un sistema di tipo
“contrattuale”, con lo svantaggio che non siamo in presenza di veri e propri contratti, ma di semplici accordi che hanno limiti ben
precisi, sia di carattere economico che giuslavoristico.
26
Ai sensi dell’art. 32-bis delle N.O.I.F., infatti, “I Calciatori che, entro il termine della stagione sportiva in corso abbiano
anagraficamente compiuto ovvero compiranno il 25º anno di età, possono chiedere ai Comitati ed alle Divisioni di appartenenza,
(…), lo svincolo per decadenza del tesseramento, fatta salva la previsione di cui al punto 7 del successivo art. 94-ter”.
27
Una logica questa che privilegia fortemente gli interessi delle società di Calcio a 5, a scapito dei diritti dei giocatori e che appare in
contrasto con il principio di parità fra le parti, che dovrebbe caratterizzare gli statuti e i regolamenti delle Federazioni sportive. Si
veda, ad esempio, l’art. 16, co. 1, D. lgs. 242/1999 (c. d. decreto “Melandri”) che prevede la “…partecipazione all’attività sportiva
da parte di chiunque in condizioni di parità e in armonia con l’ordinamento sportivo nazionale e internazionale”.
63
DOTTRINA
L’evoluzione dello status professionale………
Secondo quanto disposto dall’art. 94-ter, n. 2, i calciatori “…devono sottoscrivere, su
apposito modulo, accordi economici…” e tali accordi “…dovranno essere depositati presso il
Comitato e le Divisioni di appartenenza…”. Questa norma, quindi, impone alle società ed ai
calciatori l’obbligo di sottoscrivere e di depositare gli accordi, ma non prevede nessun tipo di
sanzione in caso di inadempimento. Una norma che impone un comportamento senza prevedere un
meccanismo sanzionatorio nei casi di mancato adempimento rimane incomprensibile perché, di
fatto, non rappresenta più un obbligo, ma una semplice eventualità.
In conclusione è possibile affermare che questa struttura normativa è rivolta principalmente
alle esigenze delle società, perché le pone in una posizione di vantaggio prima grazie al vincolo
sportivo, poi attraverso l’accordo economico pluriennale. Il giocatore di Calcio a 5, in questo
sistema, risulta fortemente penalizzato28, addirittura più del calciatore dilettante, che si ritrova, al
compimento dei 25 anni, con una maggiore libertà di scelta.
Questa breve analisi non può che confermare la necessità di una riforma di sistema per il
settore del Calcio a 5, a partire proprio dalla posizione giuridica del giocatore, che rimane il
protagonista dell’intero movimento. L’effettiva valorizzazione della figura del giocatore di Calcio a
5 necessita di un approfondito ripensamento della sua posizione giuridica e di una successiva
modifica delle norme che la disciplinano.
Le normative internazionali e la giurisprudenza comunitaria rappresentano una chiara
opportunità di sviluppo in questo senso, tuttavia l’azione dei soggetti che compongono il sistema
deve essere tesa al contemperamento delle differenti istanze, in modo da strutturare quel sistema
virtuoso di cui il Calcio a 5 ha assoluto bisogno per il suo sviluppo futuro.
28
Questo sistema sta dando vita ad un vero e proprio circolo vizioso. Le società, infatti, sfruttando a loro vantaggio questa normativa,
propongono ai giocatori quasi esclusivamente accordi triennali, in modo da vincolare gli atleti il più a lungo possibile. I giocatori,
d’altra parte, sono costretti a sottoscrivere questo tipo di accordi che rimangono l’unica forma di tutela economica prevista dai
regolamenti federali (una forma di tutela “minima” a ben vedere, ma l’unica al momento disponibile). Questa scelta è dettata, oltre
che dal rischio di poter perdere gli atleti maggiormente richiesti dal mercato, dalla possibilità di “patrimonializzare” i propri tesserati,
nonostante i divieti previsti dalle normative federali. La compra-vendita dei “cartellini” dei giocatori, infatti, è un fenomeno in
grande espansione anche nel mondo del Calcio a 5 e dovrebbe rappresentare uno stimolo ulteriore alla ridefinizione delle regole
normative di questa disciplina.
64
DOTTRINA
L’evoluzione dello status professionale………
4. Prospettive di riforma
Le valutazioni critiche sul sistema Calcio a 5 e, soprattutto, sulle norme che lo disciplinano
hanno evidenziato due aspetti significativi che caratterizzano in negativo questo settore.
In primo luogo, la mancanza di normative specifiche per un settore che, in considerazione
della sua dimensione quantitativa e dei suoi tassi di crescita29, ha assoluto bisogno di una
regolamentazione appropriata. Lo sviluppo futuro di questa disciplina sportiva, infatti, dipende
anche dall’evoluzione del quadro normativo di riferimento.
Inoltre, l’inefficienza, rispetto al contesto regolamentare generale, dell’unica norma di settore
emanata dal legislatore sportivo sulla figura del giocatore di Calcio a 5. Una figura che, al pari di
altri sportivi qualificati quali “dilettanti”, rischia di rimanere compressa in una normativa oltremodo
penalizzante riguardo alla sua posizione giuridica e allo svolgimento della sua attività professionale.
La storia dell’evoluzione della figura del calciatore ha dimostrato che la modifica delle
normative sportive necessita di un processo basato sulla combinazione di diversi elementi 30, ma che
difficilmente ha natura endogena.
Molto spesso, infatti, i cambiamenti necessari vengono imposti dall’esterno anche con
modalità conflittuali31.
Questa tendenza dipende principalmente dalla resistenza al cambiamento che contraddistingue
il sistema sportivo italiano.
Tuttavia, la capacità di innovare è una caratteristica che deve essere presente in ogni tipo di
organizzazione, soprattutto in quelle sportive dove gli aspetti competitivi risultano determinanti.
29
Secondo stime del CONI, basate sulle indagini effettuate da CONI e ISTAT sulla pratica sportiva in Italia, gli sportivi praticanti il
Calcio a 5 sono circa 3,5 milioni. Questa cifra rende il Calcio a 5 lo sport di gran lunga più praticato e conosciuto nel panorama
sportivo italiano.
30
Storicamente le modifiche alle normative sportive sono sempre state caratterizzate da contributi di vario tipo: istanze dei soggetti
interessati, ricorsi ai giudici sportivi, contrattazione con le associazioni delle categorie interessate, interventi legislativi, ricorsi ai
giudici ordinari, giurisprudenza comunitaria, dottrina giuridica, normative sportive internazionali.
31
Il riferimento è ai continui interventi legislativi e dei giudici, ordinari e comunitari, in ambito sportivo, sollecitati soprattutto dalle
disfunzioni interne del sistema. Sembra che il sistema sportivo sia incapace di risolvere le sue problematiche più rilevanti in forma
autonoma e debba spesso attendere un intervento esterno.
65
DOTTRINA
L’evoluzione dello status professionale………
4.1 Il Regolamento FIFA sullo status e i trasferimenti internazionali dei giocatori:
l’Allegato 6 sul Futsal
Un momento di grande importanza per l’evoluzione della figura del giocatore di Calcio a 5
coincide con l’emanazione, da parte della FIFA, dell’Allegato 6 al Regolamento FIFA sullo status e
i trasferimenti internazionali dei calciatori.
Questo Allegato, approvato dalla FIFA il 29 giugno 2005 ed entrato in vigore il 1 settembre
2005, è parte integrante del Regolamento FIFA e stabilisce regole generali, vincolanti per tutte le
Federazioni sportive nazionali affiliate alla FIFA, relative allo status dei giocatori di Calcio a 5 e
alla disciplina dei trasferimenti internazionali.
In questo importante documento (Cfr. Allegato 1) troviamo, per la prima volta, la
formalizzazione ed il riconoscimento, da parte del massimo organismo di governo del Calcio
mondiale, della categoria “Giocatore di Calcio a 5”32.
Il riconoscimento di una identità specifica per il Giocatore di Calcio a 5, separata da quella del
calciatore, ha significato, per la F.I.F.A., la strutturazione di un sistema di regole apposito. Le norme
che costituiscono questo Regolamento, infatti, pur rimanendo nell’ambito della disciplina già
dettata per il calciatore33, stabiliscono, ai sensi dell’art. 2, n. 1, “…regole generali e vincolanti
relative allo status dei giocatori di Futsal, alla loro idoneità a partecipare al Calcio Organizzato e al
loro trasferimento fra società appartenenti a differenti Federazioni”.
La F.I.F.A., inoltre, ha previsto che tale Regolamento sia applicato senza modifiche ai
Giocatori di Futsal, imponendo34 alle Federazioni affiliate di includere nei propri regolamenti anche
alcune disposizioni del Regolamento FIFA sullo status e i trasferimenti dei calciatori. Alcune di
queste disposizioni risultano di particolare rilevanza per il Giocatore di Calcio a 5, soprattutto l’art.
2 sullo status dei calciatori.
La F.I.F.A. suddivide i calciatori che praticano attività ufficiale in Dilettanti e Professionisti.
Il professionista è colui che “…ha un contratto scritto con una società e che in cambio della
propria prestazione riceve un pagamento superiore alle spese effettivamente sostenute nell’esercizio
32
Il termine usato dalla F.I.F.A. è «Futsal Player», questo perché il nome internazionale del Calcio a 5 è appunto Futsal.
Secondo quanto previsto dall’art. 1, le norme contenute nel Regolamento FIFA sul Futsal sono “…parte integrante del
Regolamento FIFA sullo status e i trasferimenti dei calciatori…”
34
Bisogna aggiungere che la stessa F.I.F.A. obbliga le Federazioni sportive Nazionali sue affiliate a conformarsi ai suoi regolamenti.
L’art. 26, n. 3, del Regolamento FIFA, infatti, dispone che “Le Federazioni affiliate dovranno modificare i propri regolamenti
secondo quanto previsto dall’art. 1 per assicurare che gli stessi siano conformi al presente Regolamento e li sottoporranno alla FIFA
per approvazione entro il 30 giugno 2007. In ogni caso, tutte le Federazioni applicheranno l’art. 1, n. 3 a), a partire dal 1 luglio
2005”; l’art. 1, n. 3 a), prevede che “Le seguenti disposizioni sono vincolanti a livello nazionale e devono essere incluse, senza
alcuna modificazione, nei regolamenti delle Federazioni: artt. 2-8, 10, 11 e 18”.
33
66
DOTTRINA
L’evoluzione dello status professionale………
della prestazione calcistica”35. Il Dilettante, invece, viene definito, in negativo, come quel giocatore
che non possiede i due requisiti previsti per il Professionista. Altrettanto importanti sono le
disposizioni relative ai contratti fra professionisti e società, contenute nell’art. 18 36, che prevedono,
fra l’altro, il mantenimento della stabilità degli accordi economici fra società e giocatori sulla base
della disciplina prevista per i calciatori e già predisposta nel Regolamento FIFA.
Inoltre, è prevista l’introduzione nel Calcio a 5 della disciplina prevista dal Regolamento
FIFA riguardo la protezione dei minori (art. 19), le indennità di formazione (art. 20), i meccanismi
di solidarietà (art. 21) e del sistema giurisdizionale (artt. 22-25) correlato a questa struttura
normativa.
Di tenore completamente diverso sono alcune norme emanate per regolamentare in senso
specifico la figura del Giocatore di Futsal.
La F.I.F.A., dopo aver previsto un tesseramento specifico per il giocatore di calcio a 5, ha
sancito la possibilità di un “doppio tesseramento” (art. 4, n. 2). Il giocatore di Futsal, in sostanza,
può essere tesserato nello stesso periodo per una società di Calcio a 5 e una di calcio. Le società in
questione possono anche non appartenere alla medesima Federazione. Alla base di questa norma vi
è da un lato la constatazione della specificità dei due settori sportivi, dall’altro la possibilità di
condividere, soprattutto in ambito giovanile, esperienze sportive differenti ma allo stesso tempo
caratterizzate da stimoli formativi comuni37.
Per garantire la necessaria specificità al sistema dei trasferimenti internazionali la F.I.F.A. ha
deciso di istituire un Certificato Internazionale di Trasferimento solo per il Futsal. La disciplina del
transfert per il Calcio a 5 riprende in larga parte quella già adottata per i calciatori, tuttavia, ai sensi
dell’art. 5, n. 1, “Il Certificato Internazionale di Trasferimento per il Futsal dovrà essere
distinguibile dal Certificato Internazionale di Trasferimento per il calcio”.
35
La definizione di professionista data dalla F.I.F.A. riprende in parte il dettato della legge n. 91/1981, quando all’art. 2 definisce i
professionisti sportivi come coloro i quali “…esercitano l’attività sportiva a titolo oneroso con carattere di continuità…”, mentre
all’art. 4 dispone che il rapporto di lavoro sportivo “…si costituisce mediante assunzione diretta e con la stipulazione di un contratto
in forma scritta, a pena di nullità, tra lo sportivo e la società destinataria delle prestazioni sportive…”. Riguardo ai due elementi
previsti dalla F.I.F.A. (contratto scritto e onerosità della prestazione), bisogna sottolineare che tali elementi sono presenti anche negli
accordi che sottoscrivono i giocatori di Calcio a 5 (la possibilità di ricevere una somma lorda pari a 25.822 euro annui, significa
sicuramente superare le spese effettivamente sostenute nell’esercizio dell’attività sportiva).
36
Si tratta delle disposizioni relative ai contratti fra professionisti e società che prevedono la figura dell’agente (art. 18, n. 1), la
durata dei contratti (n. 2), il periodo contrattuale “protetto” (n. 3), la validità dei contratti (n. 5) e il principio di stabilità contrattuale
(n. 5) previste al capo IV del Regolamento stesso.
37
Uno dei punti di forza del Calcio a 5, come riconosciuto anche a livello internazionale, è la sua stretta connessione con gli aspetti
formativi del calcio; un legame che dipende dalla grande adattabilità del Futsal allo schema corporeo del bambino, alla sua pratica al
chiuso su superfici veloci e con palloni a rimbalzo controllato, caratteristiche, queste, che lo rendono uno sport propedeutico al
calcio, pur non snaturandone le sue peculiarità.
67
DOTTRINA
L’evoluzione dello status professionale………
Si tratta, quindi, di due documenti differenti che, con la loro diversità formale, sanciscono
ulteriormente le differenze sostanziali esistenti fra le due discipline sportive38.
La scelta, da parte del massimo organo di governo del calcio, di prevedere per il Calcio a 5
una struttura organizzativa e regolamentare propria, distinta rispetto a quella calcistica, impone alle
Federazioni sportive Nazionali una scelta simile. Queste regole, codificate dalla FIFA nel
Regolamento sul Futsal, non possono essere disattese a livello Nazionale e devono essere recepite
dagli statuti e dai regolamenti delle Federazioni affiliate.
4.2 Le problematiche dello status di dilettante
Uno dei problemi più rilevanti per il Calcio a 5, anche in considerazione delle prescrizioni
della FIFA sull’argomento, riguarda lo status del giocatore. La definizione di giocatore
professionista formalizzata dalla FIFA nel suo Regolamento, infatti, si adatta perfettamente al
giocatore di Calcio a 5 di alto livello. In Italia, invece, il Calcio a 5 è una disciplina dilettantistica e
lo status del giocatore di Calcio a 5, come emerge dalla normativa sportiva, è quello di “non
professionista”39.
Il concetto di dilettantismo, in termini più generali, non è stato mai considerato dal legislatore
in positivo. Gli interventi normativi sull’attività sportiva dilettantistica, infatti, hanno interessato gli
aspetti fiscali40 e, ultimamente, quelli assicurativi41 di tale attività.
Con il termine dilettantismo, invece, si fa riferimento a diverse attività, caratterizzate da
prestazioni sportive anche molto differenti fra di loro. Si va dal dilettante che si dedica allo sport per
pura passione, il cosiddetto amateur, interessato esclusivamente agli aspetti ludici dell’attività
sportiva, al dilettante retribuito che, nonostante la qualifica formale, percepisce compensi, anche
elevati, a fronte della sua prestazione sportiva.
38
Bisogna sottolineare che il Regolamento FIFA sul Futsal, pur essendo entrato in vigore il 1 settembre 2005, non è stato ancora
recepito dalla F.I.G.C.. Secondo quanto disposto dalla F.I.F.A., invece, gli statuti e i regolamenti delle Federazioni Nazionali devono
obbligatoriamente conformarsi ai Regolamenti emanati dalla F.I.F.A., in caso contrario sono previste una serie di sanzioni che
possono arrivare fino alla sospensione dall’attività internazionale per le Federazioni inadempienti tali obblighi.
39
La dizione “non professionista” sta prendendo il posto del termine dilettante soprattutto nella normativa sportiva. In realtà, sembra
solo una distinzione linguistica perché nella sostanza i due concetti si equivalgono, infatti al termine “non professionista” non è
correlata alcuna definizione in positivo, così come avviene per il termine dilettante.
40
Soprattutto con la legge n. 289/2002 (c.d. “Legge finanziaria 2003”) che si occupa di sport all’art. 51, relativo all’assicurazione
obbligatoria per atleti, dirigenti e tecnici, e all’art. 90, composto da ben 26 commi, che prevede una serie di agevolazioni fiscali per le
associazioni o le società sportive dilettantistiche.
41
Si tratta del D.M. 17 dicembre 2004 sull’obbligo assicurativo degli sportivi dilettanti che, nonostante sia stato sospeso fino al 31
dicembre 2006, definendo sportivi dilettanti “…tutti i tesserati che svolgono attività sportiva a titolo agonistico, non agonistico,
amatoriale, ludico motorio o quale impiego di tempo libero, con esclusione di coloro che vengono definiti professionisti” non fa altro
che lasciare irrisolta la questione.
68
DOTTRINA
L’evoluzione dello status professionale………
Il fenomeno del dilettante che lavora è stato individuato e definito in modo molto variegato42,
tuttavia è un problema che rimane fondamentalmente correlato al campo di applicazione e alle
definizioni della legge n. 91/1981.
La legge, infatti, individua la nozione di sportivo professionista non solo sulla base delle
caratteristiche idonee a dimostrare la connotazione professionale dell’attività, ma anche in relazione
alla qualificazione data a tale attività dalle Federazioni sportive nazionali.
Tale qualificazione, tuttavia, dovrebbe essere conseguita in base alle “…direttive stabilite dal
CONI per la distinzione dell’attività dilettantistica da quella professionistica”43 . Lo Statuto del
C.O.N.I. prevede, all’art. 6, n. 4, lett. d), che sia il Consiglio Nazionale del C.O.N.I. a stabilire “…in
armonia con i principi dell’ordinamento sportivo internazionale e nell’ambito di ciascuna
Federazione sportiva nazionale e delle Discipline sportive associate, i criteri per la distinzione
dell’attività sportiva dilettantistica o comunque non professionistica da quella professionistica”.
Criteri, peraltro, che il C.O.N.I. non ha mai emanato e che ha rimesso, solo in tempi recenti,
all’autonomia statutaria delle singole Federazioni44, in palese inadempimento dell’obbligo giuridico.
L’impostazione legislativa della Legge n. 91/1981 si basa su un vecchio concetto di
dilettantismo, legato alla gratuità della prestazione, ormai superato e sulla netta dicotomia
professionismo-dilettantismo, oggi sempre più sfumata. La realtà sportiva odierna, infatti, è
caratterizzata dalla presenza di differenti forme di attività sportiva, tanto che la riduzione a due sole
categorie di sportivo, il dilettante e il professionista, risulta anacronistica ed inadeguata a spiegare
un fenomeno complesso come quello sportivo.
Lo status di dilettante, quindi, risulta, come è stato giustamente osservato, “svuotato dei
contenuti per cui era stato concepito”45 tanto da risultare un vero e proprio “relitto del sistema”46.
La dicotomia professionista-dilettante ha perso significato anche in funzione olimpica, tanto
che il termine dilettante è scomparso dalla Carta Olimpica, che rimanda, per l’ammissione degli
atleti ai giochi, alle prescrizioni delle corrispondenti Federazioni Internazionali47.
42
Si veda, in proposito, A. DE SILVESTRI, Il lavoro nello sport dilettantistico, Atti del Convegno Nazionale “Sport e Diritto del
Lavoro”, Torino 13 e 14 gennaio 2006.
43
Cfr. art. 2 legge n. 91/1981.
44
Si veda la Delibera n. 1256 del 23 marzo 2004, in tema di principi fondamentali degli Statuti delle Federazioni Sportive Nazionali,
delle Discipline Sportive Associate e delle Associazioni Benemerite, che rimanda la qualificazione dell’attività sportiva svolta
all’autonomia statutaria delle Federazioni “in considerazione delle specifiche esigenze delle singole discipline”, ma anche in
relazione alle “normative delle federazioni internazionali”.
45
In questo modo A. DE SILVESTRI, op. cit., p. 7.
46
È questa la definizione data da J. TOGNON, La libera circolazione nel Diritto Comunitario: il settore sportivo, Riv. Amm., 2003,
p. 670.
47
Cfr. Carta Olimpica, Regola n. 45 e Legge suppletiva alla Regola 45.
69
DOTTRINA
L’evoluzione dello status professionale………
Oggi, quindi, appare sempre più difficile sostenere l’utilità della dicotomia professionistadilettante, e conseguentemente dello status, quando questa non sia accompagnata da una reale
distinzione48.
La dimensione economica dello sport di alto livello risulta talmente determinante da mettere
in secondo piano la qualificazione dello sportivo o comunque tale da far scegliere criteri di
qualificazione alternativi e maggiormente rilevanti rispetto al concetto di status presente nella
normativa sportiva italiana.
La soluzione più coerente ai problemi sollevati dal dilettantismo retribuito proviene dalla
giurisprudenza comunitaria, che ha avuto modo di affrontare la questione in varie occasioni.
Confermando quanto già stabilito nelle sentenze Walrave49, Donà50 e Bosman51, i giudici
comunitari hanno stabilito che l’attività sportiva è soggetta alle norme comunitarie in quanto
considerata attività economica ai sensi dell’art. 2 del Trattato CE. Questo consolidato indirizzo
giurisprudenziale ha portato alle recenti sentenze Deliège e Kolpak, che rappresentano un momento
importante per gli sportivi dilettanti.
Nella sentenza Deliège52, relativa ad una judoka qualificata dalla sua federazione come
dilettante, è stato sottolineato il principio dell’inutilità della qualifica che una Federazione si dà
unilateralmente rispetto
all’approfondimento concreto della natura dell’attività sportiva svolta
dall’atleta. In particolare la Corte ha rilevato, al punto 46 delle motivazioni, che “la semplice
circostanza che un’associazione o una federazione sportiva qualifichi come dilettanti gli atleti che
ne fanno parte non è di per sé tale da escludere che questi ultimi esercitino attività economiche ai
sensi dell’art. 2 del Trattato”53.
La Corte, poi, ha qualificato le prestazioni di servizi54 retribuite, svolte dall’atleta in
questione, come attività economiche ai sensi dell’art. 2 del Trattato, alla pari del lavoro subordinato.
48
In questo senso L. MUSUMARRA, La qualificazione degli sportivi professionisti e dilettanti nella giurisprudenza comunitaria,
Riv. Dir. ed ec. dello Sport, n. 2, 2005, p. 40.
49
Cfr. Corte di Giustizia, sentenza del 12 dicembre 1974, B.N.O. Walrave, L.J.N. Koch c. Association Union Cicliste Internationale,
causa C-36/74, in Foro it., 1975, IV, p. 81.
50
Cfr. Corte di Giustizia, sentenza del 14 luglio 1976, G. Donà c. M. Mantero, causa C-13/76, in Foro it., 1976, IV, p. 361.
51
Nel caso Bosman (Corte di Giustizia, sentenza del 15 dicembre 1995, causa C-415/93), al punto 73 della motivazione della
sentenza, si riconosce la natura economica “…all’attività di calciatori professionisti (…) che svolgono un lavoro subordinato o
effettuano prestazioni di servizi retribuite”, sottolineando come sia più rilevante l’attività effettivamente svolta, tale da non risultare
insignificante o marginalmente svolta e per la quale si percepisca una retribuzione superiore al rimborso spese, rispetto alla qualifica
formale dello sportivo.
52
Cfr. Corte di Giustizia, sentenza del 11 aprile 2000, C. Deliège c. Ligue Francophone de Judo et disciplines associées ASBL, Ligue
Belge de Judo ASBL, Union Européenne de Judo, cause riunite C-51/96 e C-191/97, in Raccolta, 2000, p. I-2549.
53
Purché, prosegue il Giudice al successivo punto 54, tali attività siano “…reali ed effettive e non talmente ridotte da potersi definire
puramente marginali ed accessorie”
54
Per “servizi”, ai sensi dell’art. 60 del Trattato, si intendono “le prestazioni fornite normalmente dietro retribuzione, in quanto non
siano regolate dalle disposizioni relative alla libera circolazione delle merci, del capitale e delle persone”.
70
DOTTRINA
L’evoluzione dello status professionale………
Al punto 56, infatti, il Giudice ha constatato che “le attività sportive e, in particolare, la
partecipazione di un atleta di alto livello ad una competizione internazionale possono comportare la
prestazione di diversi servizi distinti, ma strettamente connessi, che possono rientrare nell’ambito
dell’art. 59 del Trattato anche se taluni di questi servizi non sono pagati da coloro che ne fruiscono”.
L’attività sportiva svolta da un atleta di alto livello come la Deliège comporta, quindi, una
prestazione di servizi che rientra a tutti gli effetti nella nozione di attività economica sancita dal
Trattato CE e che fa definire la judoka belga “un atleta professionista o semiprofessionista, o
candidato a divenire tale”55.
Nel caso del giocatore di pallamano Kolpak56, qualificato dagli statuti della federazione
tedesca quale dilettante, la Corte, dopo aver constatato che il rapporto fra l’atleta e la sua società di
appartenenza si configura come un “contratto di lavoro, in quanto l’attore è vincolato, contro il
corrispettivo di una retribuzione mensile fissa, a fornire in forma subordinata prestazioni
nell’ambito dell’attività di allenamento e degli incontri organizzati dalla sua società e che si tratta in
proposito della sua principale attività professionale”57, definisce lo stesso giocatore uno “sportivo
professionista”58.
Il Giudice europeo ha tracciato passaggi importanti nelle motivazioni delle due sentenze.
L’applicazione delle norme del Trattato anche agli atleti formalmente dilettanti, ma sostanzialmente
professionisti, come rilevato dalla Corte, è un punto di fondamentale importanza, che è destinato ad
avere conseguenze rilevanti anche per le normative nazionali. Inoltre, va evidenziato che la
Dichiarazione n. 29 sullo sport59, allegata all’atto finale della conferenza che ha adottato il testo del
Trattato di Amsterdam, sottolineando la rilevanza sociale dello sport, invita gli organi dell’UE a
riservare un’attenzione particolare alle caratteristiche specifiche dello sport dilettantistico.
Anche la giurisprudenza italiana si è occupata a più riprese delle problematiche connesse al
dilettantismo retribuito.
Fra le molte decisioni sull’argomento alcune in particolare risultano decisamente interessanti.
Tutte comunque concordano sulla necessità di valutare gli aspetti sostanziali del rapporto che lega
55
Punto 69 delle motivazioni della sentenza.
Cfr. Corte di Giustizia, sentenza del 8 maggio 2003, Deutscher Handballbund e V. c. M. Kolpak, causa C-438/00, in Guida al
Diritto, 2003, p.111 e ss..
57
Punto 16 delle motivazioni della sentenza.
58
Al successivo punto 21
59
“La Conferenza sottolinea la rilevanza sociale dello sport, in particolare il ruolo che esso assume nel forgiare l’identità e nel
ravvicinare le persone. La Conferenza invita pertanto gli organi dell’Unione Europea a prestare ascolto alle associazioni sportive
laddove trattino questioni importanti che riguardino lo sport. In quest’ottica, un’attenzione particolare dovrebbe essere riservata
alle caratteristiche specifiche dello sport dilettantistico”.
56
71
DOTTRINA
L’evoluzione dello status professionale………
l’atleta alla società di appartenenza, piuttosto che fermarsi ai criteri qualificatori indicati dalle
Federazioni.
Il concetto si ritrova chiaramente nell’ordinanza del Tribunale di Pescara, del 18 ottobre
200160, in cui si afferma che “la distinzione tra professionismo e dilettantismo nella prestazione
sportiva si mostra priva di ogni rilievo, non comprendendosi per quale via potrebbe mai legittimarsi
una discriminazione del dilettante”. Altrettanto esemplari sono due pronunce, una del Tribunale di
Grosseto (Sez. Lavoro, 11 settembre 2003, n. 518) l’altra del Tribunale di Ancona (Sez. Lavoro, 4
luglio 2001, n. 147) entrambe inedite, relative ai ricorsi presentati da due calciatori dilettanti.
Nella prima il Giudice ha riconosciuto la validità del contratto stipulato fra la società,
militante nel Campionato Nazionale Dilettanti, ed il giocatore relativo alla retribuzione pattuita per
lo svolgimento della prestazione sportiva.
Le numerose clausole inserite nel contratto61 hanno portato l’Organo giudicante a qualificare
l’accordo come “un contratto di lavoro sportivo retribuito, vietato dalle norme federali, ma non per
questo nullo nell’ordinamento giuridico statale”.
Nella stessa direzione si muove la pronuncia del Tribunale di Ancona che, condannando
l’associazione sportiva dilettantistica Nuova Jesi Calcio a corrispondere ad un suo calciatore una
consistente somma di denaro relativa ad una scrittura privata, ha considerato il rapporto fra le parti
come “un rapporto di lavoro di natura subordinata”.
Le prestazioni dell’atleta, infatti, sono state considerate di natura lavorativa, tali da rientrare
nell’ambito di un rapporto di lavoro subordinato, poiché il giocatore era “in tutto e per tutto
sottoposto al potere decisionale dell’associazione”.
Il giudice, poi, ha obbligato la società a regolarizzare la posizione previdenziale dell’atleta per
tutto il periodo in cui questi era stato alle dipendenze della società stessa62.
Nonostante le soluzioni univoche date dalla giurisprudenza, nazionale e comunitaria, rimane
ancora il problema di fondo relativo alla disparità di trattamento, presente nelle normative sportive,
fra i professionisti formalmente riconosciuti tali ed i professionisti di fatto.
Bisogna sottolineare, infatti, che atleti che appartengono a diverse federazioni, come
pallavolisti e cestisti, ovvero a diversi settori della stessa federazione, come calciatori e giocatori di
60
Tribunale di Pescara, ordinanza del 18 ottobre 2001, Hernandez Paz c. Federazione Italiana Nuoto, con la nota di F. AGNINO,
Statuti sportivi discriminatori ed attività sportiva: quale futuro?, in Foro it., 2002, III, p. 897 e ss.
61
Fra le quali la previsione di una retribuzione fissa indipendentemente dall’insorgenza di malattie o infortuni, di benefit in caso di
vittoria, di rimborso totale delle spese mediche non coperte dal servizio sanitario nazionale, di un riposo annuale pari a sei settimane.
62
Dalle motivazioni della sentenza, infatti, si apprende che “L’accertata natura subordinata del rapporto di lavoro della durata di
sette mesi dal novembre 95 comporta che la Nuova A.S. Jesi Calcio va dichiarata tenuta a regolarizzare presso l’INPS la posizione
assicurativa e previdenziale del ricorrente in relazione al periodo di lavoro subordinato svolto”.
72
DOTTRINA
L’evoluzione dello status professionale………
Calcio a 5, ricevano qualifiche e trattamenti diversi, pur percependo somme di denaro simili ed
offrendo prestazioni identiche63.
4.3 Ipotesi di riforma
Lo spazio del dilettantismo retribuito è aumentato considerevolmente negli ultimi anni,
andando al di là delle previsioni del legislatore del 1981.
Tutta una serie di attività sportive qualificate come dilettantistiche, anche all’interno delle
stesse Federazioni professionistiche, è alla ricerca di una nuova collocazione giuridica, più
rispondente alle esigenze dei singoli settori sportivi.
In questo contesto si inserisce la figura del giocatore di Calcio a 5 che, ad alto livello,
riassume tutte le problematiche e le difficoltà del professionista non ufficiale.
Tutte le soluzioni proposte per risolvere i problemi dei “professionisti di fatto” ruotano intorno
alla considerazione che sia necessario prescindere dalla qualificazione formale, privilegiando la
sostanza dei rapporti64. Il parametro di valutazione principale rimane così l’aspetto economico della
prestazione, legato comunque alla presenza di un rapporto di lavoro65, necessariamente autonomo o
subordinato66.
In questi casi infatti, l’attività sportiva viene “remunerata a fronte di impegni e obblighi
sostanzialmente identici a quelli del professionista”67.
Quelle prospettate, sia dalla dottrina che dalla giurisprudenza, sono tutte soluzioni che
prevedono l’applicazione dei principi del diritto del lavoro agli sportivi dilettanti, con il
conseguente superamento delle normative sportive.
L’impossibilità di applicare i precetti della legge n. 91/1981 agli sportivi dilettanti68 e la
contemporanea carenza delle normative sportive lascia il professionista non ufficiale in un sorta di
limbo giuridico, che, allo stato attuale, può essere evitato solo dall’estensione delle tutele
giuslavoristiche a questa categoria di sportivi. È significativo, in proposito, un passaggio della
63
Cfr. A DE SILVESTRI, op. cit., p. 10; J. TOGNON, Il rapporto di lavoro sportivo: professionisti e falsi dilettanti,
Rivistagiuslavoristi.it, p. 9; E. CROCETTI BERNARDI, Rapporto di lavoro nel diritto sportivo, Digesto delle discipline
privatistiche, sez. comm., Torino, UTET, 2003, p. 757.
64
In questo senso AA.VV., Il diritto dello sport, Le Monnier, Firenze, 2004, p.167; E. CROCETTI BERNARDI, op. cit., p. 757 e ss..
65
Cfr. M.T. SPADAFORA, Diritto del lavoro sportivo, Giappichelli, Torino, 2004, p. 62.
66
In questo senso G. MARTINELLI, Il rapporto di lavoro nello sport dilettantistico: problematiche e prospettive, in
giustiziasportiva.it, n. 2, 2005, p. 39.
67
Così A. DE SILVESTRI, op. cit., p. 10.
68
La definizione di professionista dettata dall’art. 2, che prevede una specifica qualificazione da parte delle Federazioni, ed il divieto
di applicazione analogica per le leggi speciali imposto dall’art. 14 delle preleggi, fanno propendere per questa soluzione.
73
DOTTRINA
L’evoluzione dello status professionale………
sentenza del TAR Lazio, relativa al ricorso intentato dalla cestista Catarina Pollini, che sottolinea
come “la mancata applicazione al settore del basket femminile della legge 23 marzo 1981 n. 91 è la
vera causa della vicenda quando, come nel caso in esame, appare difficile configurare come
dilettantistica un’attività comunque connotata dai due requisiti richiesti dall’art. 2 (remunerazione
comunque denominata e continuità delle prestazioni) per l’attività professionistica”69.
Gli interventi legislativi in ambito dilettantistico, rivolti, come già sottolineato, agli aspetti
fiscali e assicurativi, hanno interessato principalmente le società e le associazioni sportive
dilettantistiche, tralasciando le esigenze degli altri soggetti: atleti, tecnici, dirigenti e collaboratori.
Le problematiche previdenziali che interessano questa nutrita schiera di soggetti, ad esempio, sono
rimaste irrisolte. Riesce difficile comprendere come retribuzioni anche molto elevate siano state
considerate dal legislatore fiscale “redditi diversi”, rispetto a quelli derivanti da lavoro autonomo o
subordinato, esenti quindi da ogni obbligo assicurativo e previdenziale70.
Tuttavia, questa impostazione sembra destinata ad una modifica dovuta agli effetti del Decreto
del Ministero del lavoro del 15 marzo 2005 che prevede un adeguamento delle categorie dei
lavoratori assicurate obbligatoriamente presso l’ENPALS. Fra le nuove categorie si ritrovano i
soggetti impiegati presso gli impianti e i circoli sportivi ed i dipendenti delle società sportive71.
Due circolari dell’ENPALS, emanate in seguito al D.M. 15 marzo 2005, stabiliscono con
chiarezza le figure professionali rientranti nelle categorie assoggettate all’obbligo assicurativo72.
Ad oggi solamente gli atleti sono stati esclusi da tale normativa, anche se, in futuro, sembra
ipotizzabile una ulteriore modifica in questa direzione73.
In senso più strutturale e sistematico si muovono due distinte proposte legislative, la Proposta
di legge “Moroni” ed il Disegno di legge “Scalera” (cfr. Allegato 2).
La prima, composta da otto articoli, è intitolata “Disposizioni in materia previdenziale degli
sportivi”.
In realtà, pur partendo dalle problematiche previdenziali, finisce per occuparsi della
prestazione sportiva nella sua interezza, tanto da sovrapporsi in parte alle previsioni della legge n.
69
TAR Lazio, sezione terza-ter, 12 maggio 2003, n. 4103, in A. DE SILVESTRI, op. cit., p. 5.
Cfr. art. 37 legge n. 342/2000.
71
In particolare, il Decreto prevede, fra le nuove categorie, al punto 20 “ impiegati, operai, istruttori e addetti agli impianti e circoli
sportivi di qualsiasi genere, palestre sale fitness, stadi, sferisteri, campi sportivi, autodromi” e al punto 22 “direttori tecnici,
massaggiatori, istruttori e i dipendenti delle società sportive”.
72
Cfr. Circolare Enpals n. 7 del 30 marzo 2006 e, soprattutto, Circolare Enpals n. 13 del 7 agosto 2006.
73
Su questo argomento si veda G. MARTINELLI, Si estende l’obbligo Enpals, Il Sole24ore Sport, n. 5, 2006, p. 1 e 7.
70
74
DOTTRINA
L’evoluzione dello status professionale………
91/198174. Nonostante alcune difficoltà di fondo ha l’indubbio merito, come si legge nella relazione
introduttiva, di voler “dare il giusto riconoscimento alla prestazione sportiva in quanto tale,
indipendentemente dalla categoria di appartenenza o della disciplina sportiva praticata”.
Molto interessante, invece, nella sua estrema semplicità è il Disegno di legge “Scalera”75,
ripresentato in apertura di questa legislatura. Si compone di soli tre articoli ed è rivolto direttamente
alla categoria degli sportivi dilettanti, essendo intitolato “Norme in materia di previdenza per gli
sportivi non professionisti”.
Il disegno di legge in oggetto, inoltre, non ha bisogno di alcuna copertura finanziaria, in
quanto il nuovo sistema non comporta oneri per lo Stato.
L’art. 1 stabilisce l’obbligo di iscrizione previdenziale delle categorie di sportivi privi della
qualificazione di sportivi professionisti che svolgono la loro attività nell’ambito delle discipline
regolamentate dal C.O.N.I.. La condizione è che tali soggetti esercitino l’attività sportiva, tecnica e
didattica, anche in modo non esclusivo, a fronte di un compenso, in qualsiasi forma corrisposto, e
che abbiano conseguito l’abilitazione dalle competenti Federazioni sportive nazionali o da altri
organismi competenti in materia. L’iscrizione dovrà avvenire all’assicurazione obbligatoria per
l’invalidità, la vecchiaia ed i superstiti gestita dall’Ente Nazionale di Previdenza e di Assistenza per
i Lavoratori dello Spettacolo (ENPALS). L’ENPALS, infatti, provvede alla tutela previdenziale per i
lavoratori dello spettacolo e per gli sportivi professionisti.
L’art. 2 fissa l’aliquota contributiva dovuta per i soggetti individuati all’art. 1 a carico dei
datori di lavoro e degli sportivi.
All’art. 3 è prevista l’estensione agli sportivi non professionisti del regime pensionistico, delle
modalità di calcolo delle prestazioni previdenziali, dei requisiti di accesso al pensionamento e delle
disposizioni in materia di prosecuzione volontaria della contribuzione, delle disposizioni in vigore
per i lavoratori già iscritti al Fondo pensioni per gli sportivi professionisti. Il comma 2 dell’art. 3
prevede l’estensione delle disposizioni in materia di tutela e sostegno della maternità.
Questa proposta legislativa, che fa riferimento esclusivamente agli aspetti previdenziali dello
sport non professionistico, sottolinea come l’assenza di una tale disciplina abbia “creato nel tempo
74
75
Si veda, in proposito, A. DE SILVESTRI, op. cit., pp. 25 e 26.
Si tratta del disegno di legge n. 720, ripresentato nel giugno del 2006.
75
DOTTRINA
L’evoluzione dello status professionale………
una discriminazione evidente…tra settori del mondo sportivo tutelati da un apposita disciplina e
settori, viceversa, totalmente privi di qualsivoglia garanzia nell’ambito delle prestazioni sportive
effettuate”76.
4.3.1 La modifica delle NOIF
L’evoluzione della figura del giocatore di Calcio a 5 passa necessariamente dalla ricezione,
all’interno dei regolamenti emanati dalla F.I.G.C.77, del Regolamento FIFA sul Futsal.
La Federazione calcistica nazionale, infatti, non solo non ha adeguato i suoi regolamenti a
quelli imposti dalla corrispondente Federazione sportiva internazionale, ma li ha invece strutturati,
in alcuni casi, in aperto contrasto con gli stessi regolamenti internazionali.
Questo primo importante provvedimento consentirebbe, in un secondo momento, la
strutturazione di un nuovo sistema di rapporti fra società e giocatori di Calcio a 5, attraverso
l’emanazione di una normativa di settore specifica per il Calcio a 5. In questo senso, dopo le
modifiche alle N.O.I.F.78, ai regolamenti e allo statuto della Federazione, sembra auspicabile la
costituzione, in seno alla F.I.G.C., di un “Settore Calcio a 5”.
Questo nuovo Settore avrà infatti la possibilità di dotarsi di un suo Regolamento, in accordo
con la normativa internazionale, tale da garantire le specificità della disciplina pur rimanendo
all’interno dell’organizzazione calcistica nazionale79. Una soluzione di questo tipo, oltre a
salvaguardare la specialità del Futsal, avrebbe l’indubbio merito di riuscire a soddisfare tutte le
esigenze di un Settore complesso come quello del Calcio a 5, dove convivono, nell’ambito
dell’attività ufficiale, realtà professionali accanto ad altre tipicamente amatoriali.
L’emanazione di un Regolamento specifico, inoltre, potrebbe rappresentare significativamente
la rinnovata capacità, da parte del mondo sportivo, di auto-regolamentarsi, prevenendo i molti
interventi esterni che stanno caratterizzando le recenti modifiche alle normative sportive.
76
Cfr. Relazione introduttiva al disegno di legge Scalera (in Allegato 2).
Le modifiche necessarie riguardano, infatti, sia le Norme Organizzative Interne della Federazione (N.O.I.F.), che il Regolamento
della Lega Nazionale Dilettanti.
78
Il riferimento, ovviamente, è all’art. 94-ter, punto 7.
79
Tale modifica sarebbe realizzabile, ai sensi dell’art. 7, n. 1, dello Statuto F.I.G.C., solo attraverso una delibera del Consiglio
Federale adottata a maggioranza qualificata.
77
76
DOTTRINA
L’evoluzione dello status professionale………
Tale Regolamento, comunque, dovrà essere strutturato in modo da poter recepire le eventuali
modifiche normative imposte dal legislatore ordinario80 e, allo stesso tempo, in modo da risultare
conforme non solo ai regolamenti sportivi internazionali, ma anche a quelli nazionali.
La riconfigurazione del Calcio a 5 come Settore della F.I.G.C., è bene sottolinearlo, non
significa una separazione dal mondo calcistico. L’obiettivo, al contrario, è quello di rendere
indipendente la disciplina a livello regolamentare e normativo, rimanendo comunque all’interno
dell’attività ufficiale della Federazione. I regolamenti e le norme predisposte per la Lega Nazionale
Dilettanti, infatti, non sono più adeguati a disciplinare il Calcio a 5, almeno per ciò che riguarda
l’attività di alto livello.
4.3.2 Il superamento dello status
A livello comunitario, quindi anche italiano, il trattamento e la tutela dedicate ai professionisti
non ufficiali non hanno mai presentato i problemi che caratterizzano il sistema normativo italiano81.
I Giudici comunitari, infatti, nella valutazione delle prestazioni sportive prescindono completamente
dai parametri formali attribuiti dalle Federazioni sportive nazionali ai propri tesserati.
Questa scelta, riaffermata nel tempo, ha portato la dottrina giuridica a parlare di “tramonto
dell’istituto della qualificazione”82 operata dalle Federazioni sportive.
Questa soluzione implica delle conseguenze rilevanti anche sul piano del diritto nazionale e
della normativa sportiva.
La nozione di lavoratore sportivo basata su questa impostazione giuridica, infatti, dovrà essere
ridefinita utilizzando le categorie del diritto del lavoro comunitario, applicate in modo estensivo.
Inoltre, tale nozione dovrà risultare svincolata dai parametri presenti negli ordinamenti dei singoli
stati, in modo da acquisire valenza generale.
L’applicazione dei precetti del diritto del lavoro a tutti gli sportivi, comunque qualificati,
rappresenterebbe una vera e propria rivoluzione per il mondo dello sport, causando forse più
problemi che benefici. In questo senso appare necessario rivedere l’intera materia del lavoro
sportivo, soprattutto da parte del legislatore.
80
Se, come è auspicabile, il ddl “Scalera” dovesse effettivamente essere convertito in legge, ovvero se, finalmente, il legislatore
modificasse la tanto discussa legge n. 91/1981, i regolamenti e gli statuti delle Federazioni dovrebbero essere modificati in modo tale
da recepire le rinnovate normative ordinarie.
81
In questo senso A. DE SILVESTRI, op. cit., p. 25.
82
Cfr. L. MUSUMARRA, op. cit., p. 42.
77
DOTTRINA
L’evoluzione dello status professionale………
In un secondo momento dovranno essere il C.O.N.I. e le Federazioni sportive nazionali ad
adeguare le loro prescrizioni a quelle generali, in quell’ottica di contemperamento che ormai
caratterizza i rapporti fra ordinamento statale e ordinamento sportivo83.
5. Conclusioni
Sembra ormai arrivato il momento per una modifica dell’ordinamento giuridico interno volta a
qualificare correttamente gli atleti sportivi quali lavoratori. Tale riqualificazione dovrà poggiare non
più sull’acquisizione dello status di professionista o dilettante, quanto piuttosto sull’incidenza
economica dell’attività sportiva effettivamente svolta.
In questo senso, la legge n. 91/1981 appare del tutto inadeguata a disciplinare un fenomeno
complesso come quello sportivo. È auspicabile, quindi, una radicale modifica oppure un nuovo
intervento del legislatore su tutta la materia del lavoro sportivo.
Non appare sufficiente neppure l’intervento della giurisprudenza comunitaria, tanto che
sembrerebbe necessario disciplinare la materia anche a livello europeo, in modo tale da evitare
differenze e contraddizioni fra le varie normative nazionali84. Tuttavia, una ipotesi di questo tipo
sembra ancora molto lontana dalla realtà, nonostante lo sport abbia una dimensione europea ormai
consolidata.
In attesa di un futuro intervento legislativo sarà importante che le varie Federazioni nazionali,
di concerto con le relative Federazioni internazionali, adattino i propri statuti e regolamenti alle
esigenze delle attività sportive che intendono disciplinare, in modo da evitare i ricorsi sempre più
frequenti alla magistratura ordinaria.
I soggetti dell’ordinamento giuridico sportivo devono dimostrare, in questo senso, di avere la
forza di auto-regolamentarsi anche in un ambito problematico come quello del lavoro sportivo. Il
caso del Calcio a 5 potrebbe allora essere emblematico della ritrovata autonomia dell’ordinamento
sportivo.
83
84
Così ancora A. DE SILVESTRI, op. cit., p. 26.
In questo senso J. TOGNON, op. cit., p. 674.
78
DOTTRINA
L’evoluzione dello status professionale………
ALLEGATO 1
REGOLAMENTO F.I.F.A. SULLO STATUS E I TRASFERIMENTI INTERNAZIONALI DEI
CALCIATORI
ALLEGATO 6
REGOLAMENTO SULLO STATUS E I TRASFERIMENTI INTERNAZIONALI DEI
GIOCATORI DI FUTSAL*
DEFINIZIONI
Ai fini del presente regolamento, i termini elencati in seguito sono definiti come segue:
1. Il Futsal è uno sport praticato secondo il “Regolamento di giuoco del Futsal” elaborato dalla
FIFA in collaborazione con il sottocomitato dell’International Football Association Board
(Commissione Internazionale delle Federazioni di Calcio).
2. Il Calcio è uno sport praticato secondo il “Regolamento di giuoco” autorizzato
dall’International Football Association Board.
3. Il Regolamento FIFA sullo status e i trasferimenti dei calciatori è una normativa emanata
dalla FIFA sulla base dell’art. 5 dello Statuto della FIFA del 19 ottobre 2003.
4. Federazione precedente: la Federazione alla quale la società precedente è affiliata.
5. Società precedente: la società che il calciatore sta per lasciare.
6. Nuova Federazione: la Federazione alla quale la Nuova Società è affiliata.
7. Nuova Società: la società presso la quale il calciatore si sta trasferendo.
8. Partite Ufficiali: le partite giocate nell’ambito del Calcio Organizzato, come i campionati
nazionali, le coppe nazionali e i campionati internazionali per società, ad esclusione delle gare
amichevoli e delle partite di prova.
9. Calcio Organizzato: Calcio organizzato sotto gli auspici della FIFA, delle Confederazioni e
delle Federazioni calcistiche e di Futsal, o da loro autorizzato.
10. Periodo Protetto: un periodo di tre stagioni intere o di tre anni, a seconda di quello che
comincia per primo, che segue l’entrata in vigore di un contratto, se questo contratto è stato
*
Il regolamento FIFA sullo status e i trasferimenti dei giocatori di Futsal è stato redatto originariamente in lingua inglese. Solo le
versioni in lingua inglese, francese, tedesca e spagnola, redatte a cura della FIFA fanno testo. La presente versione in lingua italiana è
stata tradotta dal Dott. Valerio Bernardi, sulla base del Regolamento FIFA sullo status e i trasferimenti internazionali dei calciatori
tradotto dall’Avv. Michele Colucci, al solo scopo di agevolare la comprensione di questo importante documento.
79
DOTTRINA
L’evoluzione dello status professionale………
concluso prima del 28° compleanno del Professionista, ovvero un periodo di due stagioni intere o
due anni, a seconda di quello che comincia per primo, che segue l’entrata in vigore di un contratto,
se questo contratto è stato concluso dopo il 28° compleanno del Professionista.
11. Periodo di tesseramento: un periodo stabilito dalla Federazione interessata ai sensi dell’art.
6 del Regolamento FIFA sullo status e i trasferimenti dei calciatori.
12. Stagione: il periodo che comincia con la prima Gara Ufficiale del campionato nazionale e
termina con l’ultima Gara Ufficiale dello stesso campionato.
Ulteriore riferimento è fatto alla sezione “Definizioni” del Regolamento FIFA sullo status e i
trasferimenti dei calciatori.
(N.B. i termini che fanno riferimento alla persona fisica si applicano ad entrambi i sessi; ogni
termine al singolare si applica al plurale e viceversa).
Articolo 1 - Principio
Queste regole sono parte integrante del Regolamento FIFA sullo status e i trasferimenti dei
calciatori e ne costituiscono l’allegato 6.
Articolo 2 - Scopo
1. Le norme sullo status e i trasferimenti dei giocatori di Futsal stabiliscono regole generali e
vincolanti relative allo status dei giocatori di Futsal, alla loro idoneità a partecipare al Calcio
Organizzato e al loro trasferimento fra società appartenenti a differenti Federazioni.
2. Il Regolamento sullo status e i trasferimenti dei calciatori sarà applicato senza modifiche ai
giocatori di Futsal, a meno che una diversa disposizione contenuta in questo allegato 6 preveda
espressamente norme differenti applicabili al Futsal.
3. Il trasferimento dei giocatori di Futsal fra società appartenenti alla stessa Federazione è
disciplinato dai regolamenti specifici emanati dalla Federazione interessata ai sensi dell’art. 1 del
Regolamento sullo status e i trasferimenti dei calciatori.
4. Le seguenti disposizioni, contenute nel Regolamento sullo status e i trasferimenti dei
calciatori, sono vincolanti per il Futsal a livello nazionale e devono essere incluse, senza
modificazioni, nei regolamenti delle Federazioni: artt. 2-8, 10, 11 e 18*.
5. Ogni Federazione includerà nei propri regolamenti strumenti adatti a proteggere la stabilità
contrattuale, nel rispetto della legislazione nazionale e dei contratti collettivi nazionali. In
*
In modo più specifico: l’art. 2 sullo status dei calciatori, dilettanti e professionisti; l’art. 3 sul riacquisto dello status di dilettante;
l’art. 4 sulla cessazione dell’attività; l’art. 5 sul tesseramento; l’art. 6 sui periodi di tesseramento; l’art. 7 sul passaporto del calciatore;
l’art. 8 sulla richiesta di tesseramento; l’art. 10 sul prestito dei professionisti; l’art. 11 sui calciatori non tesserati; l’art. 18 sulle
disposizioni speciali relativa ai contratti fra professionisti e società.
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DOTTRINA
L’evoluzione dello status professionale………
particolare, i principi contenuti nell’art. 1 del Regolamento sullo status e i trasferimenti dei
calciatori (n. 3, lett. b), dovrebbero essere presi in considerazione.
Articolo 3 – Rilascio ed idoneità dei giocatori per le squadre Nazionali
1. Le previsione contenute negli allegati 1 e 2 del Regolamento sullo status e i trasferimenti
dei calciatori che disciplinano il rilascio dei giocatori per le squadre Nazionali e l’idoneità dei
giocatori a fare parte delle squadre Nazionali sono vincolanti.
2. Un calciatore può rappresentare una sola Federazione sia nel Futsal che nel Calcio. Il
calciatore che abbia già rappresentato una Federazione (sia in modo pieno che in parte) in una
competizione ufficiale di Calcio o di Futsal di qualsiasi categoria non può giocare un incontro
internazionale con la squadra di un’altra Federazione. Questa disposizione è soggetta alle eccezioni
previste dall’art. 15, par. 3-5, delle norme che disciplinano l’applicazione degli statuti della FIFA.
Articolo 4 - Tesseramento
1. Un giocatore di Futsal deve essere tesserato con una Federazione per giocare con una
società, sia come professionista che come dilettante, in accordo ai principi contenuti nell’art. 2 del
Regolamento sullo status e i trasferimenti dei calciatori. Solo i giocatori tesserati possono
partecipare al Calcio Organizzato. Per mezzo del tesseramento, un giocatore accetta di aderire agli
statuti e ai regolamenti della FIFA, delle Confederazioni e delle Federazioni.
2. Un giocatore può essere tesserato solo per una società di Futsal alla volta. Un giocatore,
tuttavia, può essere tesserato allo stesso tempo per una società di Calcio. Non è necessario per le
società di Calcio e di Futsal appartenere alla medesima Federazione.
3. I giocatori possono essere tesserati per un massimo di tre società di Futsal nel periodo che
va dal 1 luglio al 30 giugno dell’anno successivo. Durante questo periodo il giocatore può giocare
partite ufficiali solo per due società.
Il numero di società di Calcio con le quali lo stesso giocatore può essere tesserato nel periodo
che va dal 1 luglio al 30 giugno dell’anno successivo è specificato nell’art. 5, n. 3, del Regolamento
sullo status e i trasferimenti dei calciatori.
Articolo 5 – Certificato Internazionale di Trasferimento per il Futsal
1. I giocatori di Futsal tesserati con una Federazione possono essere tesserati per una nuova
Federazione solo quando questa ultima abbia ricevuto il Certificato Internazionale di Trasferimento
per il Futsal (CITF) dalla prima. Il CITF sarà rilasciato a titolo gratuito e non sarà soggetto a
condizioni né a limitazioni temporali. Sono nulle le disposizioni contrarie. La Federazione che
rilascia il Certificato di Trasferimento dovrà depositarne una copia presso la FIFA. La procedura
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L’evoluzione dello status professionale………
amministrativa relativa al rilascio del Certificato Internazionale di Trasferimento dei calciatori
(CIT) sarà applicata allo stesso modo al rilascio del CITF. Questa procedura è stabilita dall’allegato
3 del Regolamento sullo status e i trasferimenti internazionali dei calciatori. Il CITF dovrà essere
distinguibile dal CIT usato nel Calcio.
2. Il CITF non è richiesto per i giocatori al di sotto dei 12 anni.
Articolo 6 – Applicazione delle sanzioni disciplinari
1. Una sanzione da scontare in termini di partite (cfr. art. 20, nn. 1 e 2, del Codice di disciplina
della FIFA) per un’infrazione commessa giocando a Futsal ovvero in relazione ad una partita di
Futsal riguarderà solo la partecipazione del giocatore all’attività della sua società di Futsal. Allo
stesso modo, una sanzione da scontare in termini di partite per un giocatore di Calcio riguarderà
solo la sua partecipazione all’attività della società di Calcio.
2. Una sanzione irrogata in termini di giorni e mesi riguarderà la partecipazione del giocatore
sia all’attività della sua società di Futsal che a quella di Calcio, senza tenere in considerazione dove
l’infrazione è stata commessa, nel Calcio o nel Futsal.
3. La Federazione per la quale il giocatore è tesserato dovrà notificare la sanzione irrogata in
termini di giorni e mesi alla seconda Federazione per la quale il giocatore risulta tesserato, nel caso
in cui il giocatore sia tesserato per una società di Futsal e una di Calcio che appartengono a due
differenti Federazioni.
4. Qualsiasi sanzione disciplinare irrogata ad un calciatore prima del suo trasferimento deve
essere applicata dalla Nuova Federazione per la quale il calciatore è tesserato. La Federazione
Precedente ha l’obbligo di notificare per iscritto tutte le sanzioni alla Nuova Federazione al
momento del rilascio del CITF.
Articolo 7 – Rispetto del Contratto
1. Un professionista sotto contratto con una società di Calcio può sottoscrivere un secondo
contratto da professionista con una diversa società di Futsal solo se ottiene un’approvazione scritta
dalla società di Calcio che lo impiega. Un professionista sotto contratto con una società di Futsal
può sottoscrivere un secondo contratto da professionista con una diversa società di Calcio solo se
ottiene un’approvazione scritta dalla società di Futsal che lo impiega.
2. La disciplina applicabile al mantenimento della stabilità contrattuale è prevista negli articoli
13-18 del regolamento sullo status e i trasferimenti dei calciatori.
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DOTTRINA
L’evoluzione dello status professionale………
Articolo 8 – Protezione dei minori
I trasferimenti internazionali dei giocatori sono ammessi solo se i giocatori abbiano più di 18
anni d’età. Le eccezioni a questa regola sono previste dall’art. 19 del Regolamento sullo status e i
trasferimenti dei Calciatori.
Articolo 9 – Indennità di formazione
La disciplina sull’indennità di formazione come prevista dall’art. 20 e dall’allegato 4 del
Regolamento sullo status e i trasferimenti dei calciatori non verrà applicata ai trasferimenti dei
giocatori da e per le società di Futsal.
Articolo 10 – Meccanismo di solidarietà
La disciplina sul meccanismo di solidarietà come prevista dall’art. 21 e dall’allegato 5 del
Regolamento sullo status e i trasferimenti dei calciatori non sarà applicata ai trasferimenti dei
giocatori da e per le società di Futsal.
Articolo 11 – Competenze della FIFA
1. Senza pregiudizio per il diritto di un giocatore di Futsal o di una società di adire un
tribunale civile per controversie relative ai rapporti di lavoro, la FIFA è competente nelle
controversie previste dall’art. 22 del Regolamento sullo status e i trasferimenti dei calciatori.
2. La Commissione per lo Status dei calciatori o il giudice unico giudicheranno tutte le
controversie previste dall’art. 23 del Regolamento sullo status e i trasferimenti dei calciatori.
3. La Camera per la Risoluzione delle Controversie o un giudice della Camera decideranno le
controversie previste dall’art. 24 del Regolamento sullo status e i trasferimenti dei calciatori.
4. Le decisioni prese dalle autorità sopramenzionate sono appellabili davanti al Tribunale
Arbitrale dello Sport (TAS).
Articolo 12 – Materie non regolamentate
Le materie non previste dal presente regolamento saranno disciplinate dal Regolamento sullo
status e i trasferimenti dei calciatori.
Articolo 13 – Lingue Ufficiali
Nel caso di qualsiasi divergenza nell’interpretazione dei testi in Inglese, Francese, Spagnolo o
Tedesco del presente regolamento, prevale la versione Inglese.
Articolo 14 – Applicazione
Il presente regolamento è stato approvato dal Comitato Esecutivo della FIFA il 29 giugno
2005 ed entrerà in vigore il 1 settembre 2005.
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L’evoluzione dello status professionale………
ALLEGATO 2
DISEGNO DI LEGGE d’iniziativa del senatore SCALERA
NORME IN MATERIA DI PREVIDENZA DEGLI SPORTIVI NON PROFESSIONISTI
Onorevoli Senatori. – Lo sport sviluppa notevoli riflessi nella nostra società contemporanea,
sia come espressione di prestazione individuale, sia come aspetto sociale e collettivo. Un dato che si
inquadra in una società che tende a far prevalere modelli di vita consumistici e sedentari.
È pur vero che la Costituzione italiana, come insieme di norme e princìpi che regolano i
diritti e doveri dei cittadini, nonché i poteri e le funzioni degli organi pubblici, non annovera alcun
articolo specifico sull’attività sportiva o sport in generale. Ora, la disciplina del disegno di legge in
esame è riconducibile essenzialmente alla «previdenza sociale», ai sensi dell’articolo 117, secondo
comma, lettera o), della Costituzione, rientrante nelle materie oggetto di potestà legislativa
esclusiva dello Stato, e in via secondaria alla «tutela e sicurezza del lavoro» o all’«ordinamento
sportivo» rientranti, ai sensi del terzo comma del medesimo articolo della Costituzione, nelle
materie di legislazione concorrente Stato – Regioni.
Infatti, gran parte dello sport italiano è oggi privo di un adeguato sostegno normativo
relativamente alla questione delle tutele, degli ingaggi, delle caratteristiche e della
regolamentazione del rapporto esistente tra sportivi e società, del riconoscimento della
professionalità e delle responsabilità delle metodologie didattiche messe a punto dagli insegnanti e
dagli istruttori delle varie discipline sportive quale attività principale esercitata ai fini del sostegno
economico per sé e il proprio nucleo familiare.
L’intervento legislativo che qui si propone si rende necessario, poiché nel nostro
ordinamento non risulta esservi alcuna disciplina specifica in materia di regolamentazione delle
prestazioni lavorative tra gli sportivi e le società o le associazioni sportive.
Ecco, quindi, la necessità di un riconoscimento delle tutele fondamentali in materia di
sicurezza sociale, salvo per ciò che riguarda gli «sportivi professionisti» e alcuni altri settori inerenti
il personale addetto agli impianti sportivi.
L’assenza di una tale disciplina ha creato nel tempo una discriminazione evidente non
soltanto tra settori del mondo sportivo tutelati da una apposita disciplina e settori, viceversa,
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DOTTRINA
L’evoluzione dello status professionale………
totalmente privi di qualsivoglia garanzia nell’ambito delle prestazioni sportive effettuate, ma anche
all’interno stesso dello sport professionistico.
Eppure sono circa 7 milioni i tesserati alle Federazioni sportive nazionali e, tra essi, decine
di migliaia svolgono attività sportiva in forma sostanzialmente agonistica, continuativa e quasi
esclusiva.
Appare opportuno, pertanto, riconoscere una precisa tutela a quanti operano in questo
settore, caratterizzato – proprio per la tipicità e la specificità delle prestazioni rese – da un percorso
agonistico e professionale inevitabilmente più breve e intermittente rispetto ad altre attività,
aggiornando in particolare le disposizioni previdenziali.
Il disegno di legge è composto di 3 articoli e non ha bisogno di alcuna copertura finanziaria,
in quanto il nuovo sistema non comporta oneri per lo Stato.
L’articolo 1 stabilisce l’obbligo di iscrizione previdenziale di atleti, allenatori, istruttori,
insegnanti, maestri e tecnici, direttori sportivi, direttori tecnici, direttori tecnico-sportivi, preparatori
atletici privi della qualificazione di sportivi professionisti nell’ambito delle discipline regolamentate
dal Comitato olimpico nazionale italiano (CONI). La condizione è che tali soggetti esercitino
l’attività sportiva, tecnica e didattica, anche in modo non esclusivo, a fronte di un compenso, in
qualsiasi forma, corrisposto e che abbiano conseguito l’abilitazione dalle competenti Federazioni
sportive nazionali o da altri organismi competenti in materia.
L’iscrizione dovrà avvenire all’assicurazione obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia ed i
superstiti gestita dall’Ente nazionale di previdenza e di assistenza per i lavoratori dello spettacolo
(ENPALS) – Fondo pensioni per gli sportivi professionisti. Si ricorda, al riguardo, che
l’ordinamento pensionistico del nostro Paese è strutturato in un regime generale di previdenza quale
è l’assicurazione generale obbligatoria (AGO) per l’invalidità, la vecchiaia e i superstiti, gestita
dall’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS) e che riguarda sia lavoratori dipendenti che
autonomi. Ad esso si affiancano i regimi sostitutivi dell’AGO, anche essi di natura obbligatoria, che
si sostituiscono al regime generale dell’INPS in quanto gestioni speciali o fondi per determinate
categorie di lavoratori.
L ’ENPALS, in particolare, di cui al decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 16
luglio 1947, n. 708, ratificato, con modificazioni, della legge 29 novembre 1952, n. 2388, provvede
alla tutela previdenziale per i lavoratori dello spettacolo e per gli sportivi professionisti.
L’articolo 2 fissa l’aliquota contributiva dovuta per i soggetti individuati all’articolo 1 a
carico dei datori di lavoro e degli sportivi.
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L’evoluzione dello status professionale………
All’articolo 3 è prevista l’estensione agli sportivi non professionisti del regime
pensionistico, delle modalità di calcolo delle prestazioni previdenziali, dei requisiti di accesso al
pensionamento e delle disposizioni in materia di prosecuzione volontaria per ciò che attiene la
contribuzione, delle disposizioni in vigore per i lavoratori già iscritti al Fondo pensioni per gli
sportivi professionisti.
Il comma 2 dell’articolo 3 prevede l’estensione delle disposizioni in materia di tutela e
sostegno della maternità. Più in particolare, per le lavoratrici, si prevede la corresponsione
dell’indennità giornaliera di maternità per il periodo di gravidanza e per quello successivo al parto
già riconosciuta alle lavoratrici autonome (articoli 66 e seguenti del testo unico delle disposizioni
legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma dell’articolo 15
della legge 8 marzo 2000, n. 53, di cui al decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151).
DISEGNO DI LEGGE
Art. 1(Soggetti assicurati)
1. Gli atleti, gli allenatori, gli istruttori, gli insegnanti, i maestri e i tecnici, i direttori
sportivi, i direttori tecnici, i direttori tecnico-sportivi, i preparatori atletici privi della qualificazione
di sportivi professionisti nell’ambito delle discipline regolamentate dal Comitato olimpico nazionale
italiano (CONI), che esercitano l’attività sportiva, tecnica e didattica, anche in modo non esclusivo,
a fronte di un compenso in qualsiasi forma corrisposto, sono tenuti ad iscriversi all’assicurazione
obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia ed i superstiti gestita dall’Ente nazionale di previdenza e di
assistenza per i lavoratori dello spettacolo (ENPALS) – Fondo pensioni per gli sportivi
professionisti.
2. I soggetti di cui al comma 1, nell’ambito delle discipline regolamentate dal CONI,
devono aver conseguito l’abilitazione dalle competenti Federazioni sportive nazionali o da altri
organismi competenti in materia.
3. Dopo il numero 22) del primo comma dell’articolo 3 del decreto legislativo del Capo
provvisorio dello Stato 16 luglio 1947, n. 708, ratificato, con modificazioni, dalla legge 29
novembre 1952, n. 2388, sono aggiunti i seguenti numeri:
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DOTTRINA
L’evoluzione dello status professionale………
22-bis) atleti, allenatori, istruttori, insegnanti, maestri e tecnici, direttori sportivi, direttori
tecnici, direttori tecnico sportivi, preparatori atletici, che esercitano l’attività sportiva, tecnica e
didattica con rapporto di lavoro di natura subordinata;
22-ter) atleti, allenatori, istruttori, insegnanti, maestri e tecnici, direttori sportivi, direttori
tecnici, direttori tecnico-sportivi, preparatori atletici, che esercitano l’attività sportiva, tecnica e
didattica con rapporto di lavoro di natura autonoma».
Art. 2 (Obblighi contributivi)
1. All’articolo 1 del decreto legislativo 30 aprile 1997, n. 166, sono apportate le seguenti
modificazioni:
a) i commi 1 e 2 sono sostituiti dai seguenti:
«1. L’aliquota contributiva a carico dei datori di lavoro dovuta per gli sportivi iscritti al
Fondo pensioni per gli sportivi professionisti, di seguito denominato “Fondo“, è stabilita nella
misura del 9,11 per cento; per il medesimo personale l’aliquota a carico degli sportivi è stabilita
nella misura in vigore nel Fondo pensioni lavoratori dipendenti. Per i lavoratori di cui all’articolo 3,
primo comma, numero 22-ter), del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 16 luglio
1947, n. 708, ratificato, con modificazioni, dalla legge 29 novembre 1952, n. 2388, e successive
modificazioni, l’aliquota contributiva a carico dei medesimi è stabilita nella misura del 18 per cento.
2. L’aliquota contributiva a carico dei datori di lavoro dovuta per il personale iscritto al
Fondo è incrementata annualmente di 2 punti percentuali fino a concorrenza dell’aliquota in vigore
nell’assicurazione generale obbligatoria. L’aliquota contributiva a carico dei lavoratori di cui al
secondo periodo del comma 1, è incrementata annualmente di 2 punti percentuali sino a
concorrenza dell’aliquota in vigore nell’assicurazione generale obbligatoria»;
b) dopo il comma 6 è aggiunto il seguente:
«6-bis I lavoratori iscritti al Fondo di cui all’articolo 3, primo comma, numero 22-ter), del
decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 16 luglio 1947, n. 708, ratificato, con
modificazioni, dalla legge 29 novembre 1952, n. 2388, e successive modificazioni, possono
provvedere direttamente all’adempimento degli obblighi contributivi».
2. Quanto previsto al comma 1 dell’articolo 1 del decreto legislativo 30 aprile 1997, n. 166,
come sostituito dal presente articolo si applica a decorrere dalla data di entrata in vigore della
presente legge.
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L’evoluzione dello status professionale………
3. Quanto previsto al comma 2 dell’articolo 1 del citato decreto legislativo n. 166 del 1997,
come sostituito dal presente articolo. Si applica a decorrere dal 1º giugno dell’anno successivo alla
data di entrata in vigore della presente legge.
Art. 3 (Regime pensionistico)
1. Ai soggetti iscritti al Fondo pensioni per gli sportivi non professionisti ai sensi della
presente legge si applicano, ai fini dei requisiti richiesti per il diritto alle prestazioni pensionistiche,
delle modalità di calcolo, dei requisiti di accesso delle prestazioni pensionistiche e della disciplina
della prosecuzione volontaria, le disposizioni di cui agli articoli 2, 3 e 4 del decreto legislativo 30
aprile 1997, n. 166, e successive modificazioni.
2. In materia di tutela e sostegno della maternità si applicano le disposizioni previste dal
testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della
paternità, a norma dell’articolo 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53, di cui al decreto legislativo 26
marzo 2001, n. 151, e successive modificazioni. L’indennità di maternità è corrisposta con le
modalità previste per le lavoratrici autonome di cui all’articolo 66 e seguenti del citato testo unico
di cui al decreto legislativo n. 151 del 2001.
3. Ai fini della determinazione del diritto ai trattamenti pensionistici e della misura degli
stessi, gli sportivi di cui all’articolo 1, comma 2, della presente legge possono riscattare, a domanda,
i periodi di attività prestata anteriormente alla data di entrata in vigore della presente legge con le
modalità di cui all’articolo 13 della legge 12 agosto 1962, n. 1338.
4. Per il riscatto dell’attività prestata nel periodo compreso tra il 1º gennaio 1996 e la data
di entrata in vigore della presente legge, l’onere previsto a carico del richiedente è determinato
applicando l’aliquota contributiva di cui al comma 1 dell’articolo 1 del decreto legislativo 30 aprile
1997, n. 166, come modificato dalla presente legge, sulle retribuzioni percepite nei periodi oggetto
del riscatto. La domanda di riscatto dei predetti periodi di attività deve essere presentata entro sei
mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge.
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5. Il consiglio di indirizzo e vigilanza dell’ENPALS previsto dall’articolo 4 del regolamento
concernente norme per l’organizzazione ed il funzionamento dell’ENPALS in attuazione
dell’articolo 43, comma 1, lettera c), della legge 27 dicembre 2002, n. 289, di cui al decreto del
Presidente della Repubblica 24 novembre 2003, n. 357, è integrato, con decreto del Presidente del
Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, da quattro
membri, dei quali la metà in rappresentanza degli sportivi e la restante metà in rappresentanza delle
società sportive, designati dalle rispettive associazioni di categoria maggiormente rappresentative
sul piano nazionale.
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DOTTRINA
L’evoluzione dello status professionale………
BIBLIOGRAFIA
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- VIDIRI G., Il lavoro sportivo tra codice civile e norma speciale, Riv. it. di dir. lav., 2002, I, p. 39.
(*) dottore in Scienze Politiche
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DOTTRINA
PARTE SECONDA
NOTE A SENTENZA
SOMMARIO:
MATTEO CAMPAGNARO,
La responsabilità per le lesioni cagionate
pag.92
durante l'attività sportiva
ALESSIO PISCINI,
La crisi del calcio tra il terzo "caso Catania" e
l'ennesimo rimedio all'Italiana
91
pag.106
La responsabilità per...
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL TRIBUNALE ORDINARIO DI PADOVA
SEZIONE II° CIVILE
IL GIUDICE
Dott. ROBERTO BEGHINI ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa civile di I° grado iscritta a ruolo al n. 860/99 R.G. Pret., promossa con atto di
citazione notificato in data 17.3.1999 da Aiut. Uff. Giud. della Pretura di Piove di Sacco
DA
Z. P.G., in nome e per conto del figlio minore Z. P.
– Attore –
rappresentato e difeso come da mandato a margine dell’atto di citazione dall’Avv. C. T. ….
CONTRO
F. T.
- Convenuto –
rappresentato e difeso come da mandato in calce alla copia notificata dell’atto di citazione
dall’Avv. A. M……
SOC. ………. S.R.L.
- Convenuta –
rappresentata e difesa come da mandato in calce alla copia notificata dell’atto di citazione
dall’Avv. A. R…..
CON LA CHIAMATA IN CAUSA DI
F. S. S.P.A. (già S. ASS.NI S.P.A.)
- Chiamata in causa rappresentata e difesa come da mandato in calce alla copia notificata dell’atto di citazione
dall’Avv. L. P.
OGGETTO: Risarcimento danni.
92
NOTE A SENTENZA
La responsabilità per...
CONCLUSIONI
Dell’attore
- voglia l’Ill.mo Tribunale, accertata la responsabilità dell’evento dannoso di cui è causa in
capo ai convenuti soc. … … … s.r.l. e F. T., condannare questi ultimi e la S. Ass.ni, in solido tra
loro, a pagare all’attore la complessiva somma di € 7.032,94 a titolo di risarcimento dei danni fisici
e morali subiti con gli interessi dal giorno dell’infortunio al saldo;
- rifusione delle spese legali.
Del convenuto F.
- si chiede il rigetto della domanda attorea, in caso di denegata soccombenza, dichiararsi la
Compagnia S. Ass.ni s.p.a. tenuta a manlevare il convenuto F. T., in virtù della polizza assicurativa
in essere;
- in ogni caso: con vittoria delle spese di giudizio che nell’ipotesi di soccombenza dovranno
essere poste a carico della terza chiamata S. Ass.ni s.p.a..
Della convenuta soc. ………. s.r.l.
- nel merito: respingersi le domande attoree, e comunque ogni domanda svolta nei confronti
della soc. ……… s.r.l, in quanto infondate in fatto ed in diritto e non provate.
Con riserva di agire in via di regresso, in separata sede, nei confronti del sig. T. F., nella
denegata ipotesi di condanna della società convenuta, laddove nel presente giudizio venisse
ravvisata una qualche responsabilità in capo allo stesso per i fatti di cui è causa;
- con vittoria di spese, diritti ed onorari.
Della chiamata in causa
- nel merito: respingersi perché infondata ogni pretesa attorea nei confronti del convenuto F. e
conseguentemente dichiararsi insussistente ogni obbligo di garanzia dalla S. Ass.ni verso
quest’ultimo;
- ancora nel merito: dichiarata inoperante la garanzia prevista dalla perizia in atti, respingersi
la domanda di manleva del F. verso la S. Ass.ni;
- con vittoria di spese ed onorari.
93
NOTE A SENTENZA
La responsabilità per...
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione notificato il 19-22.3.1999, Z. P.G., in nome e per conto del figlio
minore Z. P., esponeva che quest’ultimo, il 25 luglio 1997, presso il complesso positivo gestito dalla
soc. … ... … s.r.l., durante una partita di calcetto in cui ricopriva il ruolo di portiere, riportava una
grave lesione al polso sinistro dopo aver parato un tiro eseguito dall’istruttore F. T..
La stessa soc. … s.r.l., nella lettera del 25.08.1998 spedita alla N. T. s.p.a., aveva dichiarato
che probabilmente l’istruttore aveva tirato una pallonata troppo forte per essere parata da un
bambino di 14 anni. Tutto ciò premesso, Z. P.G. conveniva innanzi alla Pretura di Padova (assorbita
poi in questo Tribunale per effetto del decreto legislativo n. 51 del 1998) l’istruttore F. T. e la soc.
… … … s.r.l. per sentirli condannare in solido al risarcimento dei danni fisici (frattura del polso
sinistro) e morali riportati nel sinistro.
F. T. ammetteva di aver calciato il pallone, ma affermava che l’evento era accaduto
nell’ambito di una normale attività sportiva, senza alcun eccesso da parte sua. Chiedeva ed otteneva
di chiamare in garanzia la S. Ass.ni spa.
La soc. … s.r.l. escludeva la propria responsabilità solidale, ritenendo inapplicabile l’art. 2049
c.c..
La S. Ass.ni spa eccepiva l’inoperatività della polizza stipulata con il F., che copriva solo fatti
verificatisi nello svolgimento della vita privata, e non invece quelli inerenti ad attività professionali.
Designato lo scrivente a seguito di astensione del giudice ordinario; espletati gli incombenti
previsti dall’art. 183 c.p.c.; assunte le prove testimoniali dedotte dalle parti; interrogato
formalmente F. T.; espletata C.T.U. medico-legale da parte del dott. F. F.; la causa ora passa in
decisione.
MOTIVI DELLA DECISIONE
I criteri che disciplinano la responsabilità civile (e penale) nell’ambito sportivo, sono noti.
Affinché, durante un’azione di gioco, vi possa essere responsabilità, è necessario che lo
sportivo abbia commesso un fallo che produca delle conseguenze che superano il rischio
tacitamente accettato dai giocatori; oppure che, nonostante l’osservanza delle regole del gioco, la
condotta del giocatore non mantenga il senso vigile e prudente del rispetto della integrità fisica
dell’avversario, pur nei limiti delle finalità agonistiche.
94
NOTE A SENTENZA
La responsabilità per...
Sotto questo ultimo profilo, emblematico può considerarsi il caso deciso da Cass. pen.
22.11.1961 (in Resp. Civ. e Prev. 1962, 507) ove appunto il rispetto delle regole del gioco non è
stato considerato sufficiente per esonerare l’atleta da responsabilità penale. Era infatti accaduto che
durante un normale allenamento, un pugile esperto, violando le istruzioni impartite dall’allenatore,
aveva inferto colpi così violenti all’avversario, un principiante di categoria inferiore, da cagionarne
la morte. La colpa del pugile è stata ravvisata nel non aver seguito le istruzioni dell’allenatore e
nell’aver usato una violenza eccessiva rispetto ad un semplice allenamento (negli stessi termini v.
Trib. Roma 4.4.1996, in resp. civ. e prev. 1996, 1247, ove è stata ritenuta colposa la condotta
dell’atleta che, in occasione di un incontro di scherma, aveva trasceso i limiti dati dal carattere di
mera esibizione della gara, imprimendo al fioretto una forza eccessiva e cagionando in tal modo
delle lesioni gravissime all’altro concorrente).
Nella fattispecie concreta, premesso che è pacifico che era in corso una partita di calcetto a
livello puramente ricreativo (e non agonistico), va in primo luogo osservato che il doc. 1 attoreo
non contiene alcuna confessione del F., essendosi questi limitato a riferire di aver effettuato un tiro
in porta, parato da Z. P., il quale accusava poi dolori al polso.
Il F. non risulta invece aver ammesso di aver calciato il pallone con una forza eccessiva
rispetto all’età del portiere (anni 13).
Poiché non proviene dal soggetto direttamente responsabile, è irrilevante che la soc. … … …
s.r.l. nella nota del 25.05.1998 (v. doc. 2 att.), abbia affermato che il suo istruttore (vale a dire il F.)
abbia “probabilmente tirato una pallonata troppo forte da parare per un bambino di 14 anni e gli ha
rotto il polso”.
L’unico teste oculare è F. S.. Questi si trovava ad una distanza di circa 8-10 metri, giacché
anche lui giocava in una delle due squadre. “Durante una normale azione di gioco – ha riferito il
teste – mio fratello ha fatto un tiro nella porta ove l’attore faceva il portiere … Il tiro in porta non fu
forte. Il portiere parò il tiro e la palla uscì. Il ruolo degli istruttori, come me e mio fratello, era
quello di tenere i ragazzi e di giocare anche assieme a loro”. È ben vero che si tratta della
deposizione del fratello del convenuto principale, ma non risultando altre ragioni al di fuori del
vincolo di parentela, non v’è motivo di ritenere la deposizione inattendibile.
Il C.T.U. dott. F. F. non ha saputo dare alcuna indicazione in merito alla velocità con cui il
pallone è stato calciato dal convenuto.
95
NOTE A SENTENZA
La responsabilità per...
Nel parere medico-legale prodotto dallo stesso attore sub doc. 4, egli si limita –
significativamente – a riferire che “in data 25.7.1997 nel mentre si giovava a calcio in un campo
estivo, veniva colpito alla mano sinistra da un pallone lanciato dall’istruttore-sorvegliante”, senza
affermare che quest’ultimo gli aveva impresso una velocità sproporzionata.
In atti, non vi è pertanto alcun elemento probatorio che consenta di ritenere che il convenuto
F. abbia calciato il pallone con una forza eccessiva rispetto alla semplice caratteristica ricreativa
della partita di calcetto.
Bisogna quindi concludere che il sinistro rientri nei rischi a cui si espone chi esercita attività
sportiva, senza che possa attribuirsi alcuna responsabilità al F..
Per completezza, alla fattispecie non può applicarsi l’art. 2048 c.c., in primo luogo perché
l’eventuale responsabilità del F. non deriverebbe dalla sua qualità di istruttore, ma da quella di mero
giocatore; ed in secondo luogo, perché il cit. art. 2048 c.c. si applica solo all’ipotesi del danno
cagionato dall’allievo ad un terzo (v. Cass., Sez. Un., 27.6.2002 n. 9346).
La domanda principale va dunque respinta.
Tutte le altre restano assorbite.
Sussistono giusti motivi per compensare le spese di giudizio.
Quelle di C.T.U. sono poste a carico dell’attore.
P.Q.M.
Il Tribunale, definitivamente pronunziando, respinge la domanda principale. Dichiara
assorbite tutte le altre.
Compensa le spese di giudizio.
Pone quelle di C.T.U. definitivamente a carico dell’attore.
Padova, 22 marzo 2005
96
NOTE A SENTENZA
La responsabilità per...
LA RESPONSABILITA’ PER LE LESIONI CAGIONATE
DURANTE L’ATTIVITA’ SPORTIVA
di Matteo Campagnaro (*)
La pronuncia in epigrafe ripropone il tema dei limiti di giustificabilità della violenza
sportiva, con particolare attenzione verso gli sport a violenza eventuale come il gioco del calcio
(gioco del calcetto in questo caso). In particolare la sentenza del Tribunale di Padova definisce i
confini della liceità della violenza nello sport con specifico riguardo ad una fattispecie di infortunio
verificatosi non durante lo svolgimento di una gara, ma nel bel mezzo di un allenamento sportivo.
Nel caso di specie, infatti, il genitore di un giovane portiere di calcetto dell’età di quattordici
anni, citava in giudizio l’allenatore: questi, infatti, durante una sessione di allenamento con i propri
giovani giocatori, calciava la palla in porta per esercitare il proprio portiere ma quest’ultimo, dopo
aver parato il tiro, riportava una grave lesione al polso sinistro. In particolare, il genitore, agendo in
nome e per conto del proprio figlio infortunato, chiedeva il risarcimento dei danni all’istruttore in
via principale, alla società di gestione del complesso sportivo di cui l’allenatore-istruttore era
dipendente in via subordinata, con la chiamata in causa dell’assicurazione della società di gestione.
La fattispecie storica portata all’attenzione del Tribunale di Padova consente, in questa sede,
di perpetrare un ulteriore approfondimento sul tema della individuazione dei criteri disciplinanti la
responsabilità civile (e penale) nell’ambito sportivo. In via introduttiva, si ritiene opportuno
specificare che il confronto su questo tema, in verità assai dibattuto, non pare mai aver assunto toni
di disputa esegetica o di classificazione dogmatico-giuridica del tutto svincolata dalle implicazioni
pratiche. Il controverso dibattito intrattenuto sull’opzione alternativa tra le varie scriminanti per la
giustificazione della violenza sportiva in ambito penale non si può comprendere appieno se non
apprezzando lo sforzo che gli autori hanno prodotto nell’immaginare gli sviluppi pratici cui avrebbe
condotto l’accedere ad una teoria piuttosto che all’altra.
97
NOTE A SENTENZA
La responsabilità per...
Pare piuttosto condiviso, perlomeno nella giurisprudenza più recente, il principio secondo cui
nel caso di violenza determinatasi nello sport, non possono operare le cause di giustificazione del
consenso dell’avente diritto né quella dell’esercizio del diritto: la prima a causa dell’ostacolo
difficilmente valicabile dell’art. 5 c.c., perlomeno nei confronti delle condotte produttive di lesioni
permanenti; la seconda a causa della problematica estensione di questa causa di giustificazione
fondata sul riconoscimento che l’attività sportiva riceve dalla legge e dalla Costituzione, alle
manifestazioni sportive non organizzate ufficialmente e negli allenamenti (anche se, va anticipato,
la dottrina più pervicace cerca di perorare le tesi che fanno leva sulle scriminanti di cui agli artt. 50
e 51 c.p. rispettivamente anche oltre i limiti poco innanzi menzionati).
La giurisprudenza prevalente ha abbracciato la tesi della scriminante non codificata o altresì
detta del c.d. rischio consentito, la cui ammissibilità si fonda su di un’estensione analogica in
bonam partem delle scriminanti codificate. Questa causa di giustificazione, o meglio, di esclusione
dell’antigiuridicità del fatto, trova la sua ratio essendi nell’assunto secondo il quale l’attività
sportiva non solo è ammessa, incoraggiata, tutelata dallo Stato, ma, altresì, ritenuta dalla coscienza
sociale attività assai positiva per lo sviluppo della persona e dell’intera comunità1.
La scriminante non codificata presenta in re ipsa un’efficace duttilità che le consente di
essere applicata oltre gli angusti confini di verificazione della conformità o meno della condotta
sportiva ai regolamenti di gioco.
Come asserito da eminente dottrina 2, “oltre ad essere probabilmente la tesi scientificamente
più corretta, ha in ogni caso il duplice pregio di dare, da un lato, fondamento di liceità di
determinati fatti che, pur verificandosi al di fuori di vere e proprie competizioni organizzate e pur
non presupponendo nei competitori una perfetta nozione di tutte le regole del gioco, sono
indubbiamente manifestazione esclusiva dell’agonismo sportivo inteso nel senso più genuino e
cavalleresco del termine; dall’altro di non ridurre la valutazione della concreta liceità del fatto e
sulla responsabilità o meno del suo autore ad una mera e fredda indagine sull’osservanza delle
regole che, in certi casi, potrebbe anche essersi avuta, nonostante l’assenza, nel competitore e
nell’arbitro, di quello spirito sportivo che non può non vivificare ogni gioco degno di questo nome”.
Secondo la interpretazione prevalente degli autori peroranti questa tesi, sono stati enunciati una
serie di principi inderogabili di condotta che sarebbero rivelatori dello spirito sportivo e che, in
qualsiasi tipo di competizione, i contendenti debbono rispettare:
1
Cass. 2 Giugno 2000, Rotella, in Foro it., Rep. 2001, voce Lesione personale e percosse, n. 6; Cass. 12 Novembre 1999, Bernava,
id., 2000, II, 639, Cass. 2 dicembre 1999, Rolla, ibid., 321.
2
VASSALLI, Agonismo sportivo e norme penali, in Riv. dir. Sport, 1958, 183.
98
NOTE A SENTENZA
La responsabilità per...
a) assenza di acredine, o peggio, di odio tra gli avversari e convinzione di dover colpire
l’avversario (necessariamente o eventualmente a seconda dello sport di cui si tratta) e,
reciprocamente, di dover da questo ricevere colpi per nessun altro motivo all’infuori del fine
sportivo;
b) equilibrio (sia pure entro limiti di ragionevole elasticità) delle forze contrapposte;
c) assenza di frodi e tanto meno di previ accordi circa l’esito della gara;
d) consapevolezza di dover rispettare, entro i limiti delle finalità agonistiche specifiche,
l’integrità personale dello avversario ed in ogni caso di non dover mai intenzionalmente cagionare
una diminuzione permanente dell’integrità fisica o peggio la morte dell’avversario: scopi oggi
questi assolutamente incompatibili con qualsiasi tipo di sport, essendo oggi le finalità dello stesso
intenzionalmente rivolte al potenziamento della vita umana non alla sua oppressione o
menomazione;
e) lealtà e cavalleria in ogni aspetto del gioco non disciplinato dal regolamento ufficiale o,
quanto meno, da quel minimo di norme che qualsiasi giocatore sempre conosce.
Chi rispetta questi canoni, nell’osservanza dei quali dunque si ritiene estrinsecarsi
quell’attività di alto valore sociale che é lo sport, non è meritevole di alcuna sanzione; ciò si può
sostenere anche nel caso in cui lo sportivo sia stato autore di violenze e se, nel commetterle, sia
venuta meno l’osservanza di qualche norma regolamentare emanata dalle federazioni sportive.
Da ciò discende, ad esempio, che sembra più degno di non essere sottoposto a procedimento
penale un ragazzo che, improvvisato un incontro di pugilato con un amico, senza guantoni e senza
alcun arbitro, si dimostri con lui fedele interprete di tutti i principi sopra esposti, che non il pugile
professionista, il quale, salito sul ring davanti a migliaia di spettatori, più per lucrare i guadagni
della “borsa” che per interesse sportivo, procuri intenzionalmente, seppure con un colpo “regolare”,
una ferita all’arcata sopraciliare dell’avversario costringendolo alla resa; magari, già conoscendo la
predisposizione alla ferita della zona colpita.
Tali tattiche sono frequenti nell’ambito del pugilato ma non sono vietate dai regolamenti
federali: ciò non significa che si possa dire che si presentino come animate da vero spirito sportivo.
Quindi, da un lato si può ritenere che l’osservanza integrale da parte dell’atleta dei
regolamenti di gioco racchiuda in se stessa la prova almeno teorica e presuntiva secondo un
giudizio quo ante dello spirito sportivo che lo ha animato.
99
NOTE A SENTENZA
La responsabilità per...
Ma si può, allo stesso modo, ribadire che quand’anche un atleta abbia posto in essere una
condotta lesiva, pur non rispettando ossequiosamente i regolamenti sportivi, ma pur sempre ispirata
a sincero spirito sportivo, questi meriti ugualmente di non essere ritenuto responsabile.
La considerazione del rispetto dei regolamenti va quindi integrata dalla ricerca dello spirito
sportivo: è necessario considerare non solo l’atto produttivo della lesione, ma tutto il contegno
tenuto durante lo svolgimento della gara.
Tanto più che i regolamenti interni emanati dalle federazioni sportive sono soltanto dei
regolamenti propriamente endogeni, come tali non aventi efficacia erga omnes al pari delle norme
giuridiche. In conclusione, questa tesi conduce la nozione di spirito sportivo e le prescrizioni che
esso porta in dote ad assurgere al ruolo cardine di causa di giustificazione che elide l’antigiuridicità
della lesione causata durante la gara sportiva.
E’ lo spirito sportivo che anima la competizione ad eliminare la antigiuridicità di una condotta
lesiva, non la mera esteriore osservanza dei regolamenti tecnici. I regolamenti, infatti, presentano
disposizioni che non possono dirsi nemmeno consuetudinarie, in quanto non tutti le osservano in
maniera costante ed uniforme, ed anzi, moltissimi, le ignorano; e non può ad essi riconoscersi
nemmeno il carattere assoluto di generalità ed imperatività normative.
La teoria della scriminante non codificata, non può ovviamente spingersi sino a ritenere ad
libitum giustificata la violenza sportiva.
Il problema dei limiti entro cui opera la causa di giustificazione in esame viene a trovare una
particolare soluzione: essa smentisce l’affermazione, ricorrente in dottrina, che la liceità penale di
una condotta sportiva violenta sia condizionata al fatto che, nel caso concreto, siano state osservate
tutte le regole che disciplinano il gioco.
Si presti attenzione alla seguente considerazione: l’affermazione da sopra citata (ovvero che la
liceità della condotta sportiva dipenda dal rispetto delle regole) sarebbe da ritenersi valida se con
essa si intendesse sostenere che è sufficiente constatare la violazione di una regola di gioco esplicita
o tacita palesemente infrangendo lo spirito sportivo per ritenere integrati gli estremi della
responsabilità; ma è certamente viziata da un errore di difetto se, per converso, si intenda sostenere
che, per escludere la responsabilità penale dell’atleta, sia sufficiente accertare l’osservanza da parte
dello stesso di tutte le regole espresse di gioco.
In tema di competizioni sportive il giudice deve, infatti, accertare l’esistenza della colpa non
solo verificando se nel caso concreto siano state osservate le norme espresse contenute nella
100
NOTE A SENTENZA
La responsabilità per...
regolamentazione del gioco; ma anche se siano state osservate tutte le altre norme tacite di prudenza
e diligenza imposte dalla stessa gamma di situazioni in cui si articola il gioco.
Né tale considerazione può essere contestata dalla dimostrazione che nella maggior parte delle
evenienze l’osservanza delle norme dei regolamenti federali valga ad escludere la colpa.
Infatti, riferendosi ad “una maggior parte delle evenienze” si da un carattere di relatività ed
un’approssimazione all’affermazione stessa: non è scorretto autorizzare la supposizione che, in un
determinato numero di casi, l’adozione delle precauzioni imposte dai regolamenti tecnici si possa
rilevare, alla stregua di un giudizio ex ante e in rapporto alle circostanze del fatto concreto, inidonea
alla prevenzione del danno.
In questo caso, se la condotta che ha causato l’evento dannoso non è specificamente
autorizzata da una norma permissiva, sussisteranno gli estremi della colpa per violazione di una
regola di prudenza o di diligenza.
Come è stato osservato, a proposito di un calciatore il quale nel tentativo di colpire la palla,
colpì con un tremendo calcio il portiere (mentre quest’ultimo gettandosi a tuffo sulla palla,
fermatala e trattenutala a sé si accingeva a rialzarsi) provocando allo stesso un danno irreparabile ad
un rene: “L’osservanza delle regole del gioco discrimina finché non si crei una situazione
pericolosa che deve imporre di astenersi da quel particolare gesto, anche se potesse derivarne la
soccombenza nella gara che è così meno importante dell’integrità fisica e della vita del
contendente ”3.
Riprendendo le parole di una celebre sentenza della Suprema Corte 4“…si tratta di non venire
mai meno al senso vigile ed umanitario del rispetto dell’integrità fisica e della vita
dell’avversario”.
Come palesemente evidenziato nella sentenza in epigrafe, attraverso la menzione delle
sentenze della Corte di Cassazione del 22.11.1961 e del Trib. Roma del 4.4.1996.
E’ stato osservato, a tale proposito, che il rispetto delle regole doverose di prudenza imposte
dalle singole situazioni, vale in ogni altra manifestazione della vita di relazione; deve valere, a
maggior ragione, nel caso di competizioni sportive, in cui si svolge un’attività particolarmente
pericolosa per le conseguenze assai gravi che possono derivarne.
3
Cass. 25 febbraio 2000, n. 2286, in Guida al diritto, n. 18/2000, 79.
4
Cass. 9 ottobre 1950, in Foro it., 1951, II, 85.
101
NOTE A SENTENZA
La responsabilità per...
Tanto più che gli stessi regolamenti delle varie attività sportive contengono un esplicito rinvio
alle norme tacite di prudenza, vietando determinati comportamenti che non potrebbero essere
qualificati scorretti se si prescindesse dal riferimento a quelle norme. Ad esempio, il regolamento
del gioco del calcio, all’art. 12, proibisce la carica violenta o pericolosa e stabilisce il divieto del
gioco giudicato dall’arbitro pericoloso.
Date tali premesse, possiamo dunque dedurne il principio generale che nelle competizioni
sportive sono consentite le sole azioni indispensabili al conseguimento del risultato vittorioso, a
condizione che non contrastino con le regole di prudenza compatibili con le finalità agonistiche del
gioco.
Tale principio determina i limiti della liceità sportiva nel senso di escludere che si possano
considerare penalmente irrilevanti, nonostante l’osservanza delle regole del gioco, i comportamenti
di cui sono certi, alla stregua di un giudizio ex ante, i risultati dannosi.
La sentenza in rassegna sottolineando che “Affinché durante un’azione di gioco vi possa
essere responsabilità, è necessario che lo sportivo abbia commesso un fallo che produca delle
conseguenze che superano il rischio tacitamente accettato dai giocatori; oppure che, nonostante
l’osservanza delle regole del gioco, la condotta del giocatore non mantenga il senso vigile e
prudente del rispetto della integrità fisica dell’avversario, pur nei limiti delle finalità agonistiche”,
mostra di condividere sostanzialmente la tesi della scriminante non codificata.
Il pregio principale di questa pronuncia è certamente quello di superare definitivamente la
risalente concezione che ravvisa in ogni violazione delle regole del gioco una responsabilità
perlomeno colposa per le eventuali lesioni cagionate.
Concezione, quest’ultima, che renderebbe di fatto inapplicabile la scriminante sportiva in
tutte quelle competizioni c.d. a violenza eventuale come il calcio, il basket dove la produzione di
conseguenze lesive non può essere ipotizzata, salvi gli scontri fortuiti, se non a seguito di
trasgressioni disciplinari.
Perciò, le lesioni cagionate in una partita di calcio configurerebbero quasi sempre, per lo
meno, il reato di lesioni colpose in quanto scaturite, nella maggior parte dei casi, da una violazione
delle regole del gioco: tale conclusione risulterebbe oltremodo severa per un lineare ed
incondizionato svolgimento dell’attività sportiva; inoltre, verrebbe a collidere con lo spirito con cui
il legislatore ha inteso favorire, diffondere e tutelare la pratica sportiva degna di questo nome.
102
NOTE A SENTENZA
La responsabilità per...
Sarebbe troppo restrittivo esigere che si possa praticare un determinato sport tutelato
giuridicamente e socialmente riconosciuto solo in quanto le relative norme disciplinari siano
rispettate: il favor generale per lo sviluppo delle pratiche sportive deve essere inteso come
inclinazione riconosciuta verso il fenomeno sportivo nella sua globalità.
Fenomeno sportivo che comprende, come sottolineato dalla terza sezione della Suprema
Corte5 una buona dose “di audacia e spericolatezza” parametrata sul tipo di sport esercitato e sulle
abilità dei partecipanti. Per fenomeno sportivo nella sua globalità deve dunque intendersi anche lo
sport non regolamentare, o, come più comunemente si dice, “falloso”.
La violazione regolamentare, entro certi limiti (dettati dai sostenitori della tesi della
scriminante non codificata proprio dal c.d. spirito sportivo di cui la nozione di “rischio consentito” è
un sottoinsieme,) fa parte del gioco stesso: è del tutto normale che, al cospetto di un attaccante
lanciato a rete, il difensore gli faccia lo sgambetto allo scopo di evitare la realizzazione del goal.
Se l’intervento è commesso con l’energia a ciò necessaria senza la volontà diretta di ledere
l’avversario, appare corretto ritenerlo ricompreso nella scriminante in questione.
Nel caso di specie, infatti, il giudice di primo grado non si è limitato allo scrutinio della
conformità
della condotta dell’istruttore alle regole di gioco: se avesse così proceduto, non
essendovi nessuna norma che prescriva la velocità massima della palla calciata per un tiro in porta
nel gioco del calcio, tale indagine si sarebbe risolta linearmente con la verifica della liceità della
condotta. Invece, anche in considerazione del contesto in cui ha trovato luogo l’azione perniciosa
(una seduta di allenamento e non una competizione “agonistica”) e dell’età dell’allenato, il giudice
de quo ha ritenuto opportuna e doverosa la verifica della congruità della condotta dell’istruttore con
“il senso vigile e prudente del rispetto dell’integrità fisica”.
Il riferimento alla pronuncia della Suprema Corte del 22.11.19616 che condannò un pugile
esperto per avere inferto colpi violenti all’avversario di caratura notevolmente inferiore durante una
seduta di allenamento, violando le istruzioni impartite dall’allenatore, è coerente. In ogni gesto
atletico si deve ravvisare quello “spirito sportivo” che esclude l’antigiuridicità della condotta nel
caso di lesioni e che prescinde dalla conformità dell’azione dalle regole del gioco.
Da ultimo, in tema di lesioni colpose provocate durante un allenamento si deve dare uno
sguardo alla sentenza della Corte di Cassazione 25 febbraio 2000 n. 2286, avente ad oggetto una
seduta di karate ma in grado di sancire un principio di diritto valevole per ogni sport.
5
Cass. 8 agosto 2002 n. 12012, in Foro it. 2003, I, 168.
6
Cass. 22 novembre 1961 in Resp. Civ. e Prev 1962, 507.
103
NOTE A SENTENZA
La responsabilità per...
Con questa sentenza della Suprema Corte viene posto l’accento sulla differenza tra
l’esibizione-allenamento e la gara-competizione vera e propria e la conseguente diversità dei criteri
di controllo e di prudenza da adottare nelle due ipotesi.
Durante un allenamento, infatti, assume rilievo, da un lato, il divario tecnico tra gli atleti e,
dall’altro, la mancanza di mezzi di protezione normalmente necessari in una gara vera e propria;
sono queste le ragioni per cui è stata ritenuta opportuna l’adozione, da parte dell’atleta più esperto,
di tutta una serie di cautele e di prudenza che le finalità diverse dell’allenamento medesimo sono
tali da suggerire.
Si ritengono pertanto più stringenti, più restrittivi, in una parola, probabilmente, più adeguati,
i limiti alla violenza sportiva in allenamento rispetto a quelli che si imporrebbero nel corso di una
gara. In particolare, viene ribadito il seguente principio di diritto: “nel caso di attività sportiva
esplicatesi in esibizione-allenamento, i contendenti devono usare particolare prudenza e diligenza
per non travalicare i limiti connessi a siffatte modalità di pratica sportiva, caricata da una minore
carica agonistica, da un maggiore controllo delle manifestazioni di violenza agonistica e della
velocità dei colpi, con specifico riferimento alla capacità di esperienza dell’avversario ed ai mezzi
di protezione in concreto utilizzati”.
Si dice ancora che “ funzione tipica dell’allenamento-esibizione è essenzialmente, nella
disciplina del karate, il reciproco studio dei colpi e della tecnica sportiva, per un complessivo
miglioramento e coordinamento dei movimenti propri della disciplina stessa: per contro, la
competizione agonistica è caratterizzata dalla specifica volontà–finalità di dominare l’avversario,
utilizzando ogni movimento e colpo regolamentare idonei a renderlo inerte“.
Per quel che riguarda la responsabilità in caso di allenamento, si ritiene, in conclusione, che
la diligenza da tenersi durante lo stesso sia maggiore rispetto a quella che dovrebbe tenersi durante
una competizione sportiva, per la ragione secondo la quale nel primo assumono rilevanza aspetti
peculiari tra i quali: il possibile divario tecnico, fisico, di esperienza tra gli atleti, le direttive del
direttore tecnico o allenatore, la mancanza di mezzi di protezione normalmente utilizzati durante
una gara.
Nel caso di allenamento, in particolare, potrà configurarsi la responsabilità colposa dell’atleta
in tutte le circostanze in cui lo stesso commetta condotte imprudenti che non tengono conto del
bagaglio di esperienza dell’avversario in relazione del tipo di sport praticato.
104
NOTE A SENTENZA
La responsabilità per...
Molto correttamente, la sentenza del Tribunale di Padova che ha sollevato da ogni
responsabilità l’istruttore è stata pronunciata solo dopo che si fosse potuta escludere la violazione di
ogni ordine di cautela nel tiro del pallone.
Per la verità si può ben dire che, la tesi dell’attore, facente leva sulla supposta violenza del tiro
del “mister” in spregio alle più elementari regole cautelari non veniva suffragata da alcun elemento
probatorio dirimente: non essendo l’attore in grado di allegare fatti costitutivi del suo diritto al
risarcimento del danno, il giudice di merito non poteva che respingere la domanda in ottemperanza
al disposto dell’art. 2697 c.c..
In astratto, se l’attore fosse riuscito a raggiungere la prova dell’estrema violenza non solo del
tiro che determinava l’infortunio ma anche dei metodi troppo rudi tenuti durante tutta la sessione di
allenamento, in ragione delle circostanze di luogo e dell’età del giovane calciatore l’istruttore
avrebbe potuto essere ritenuto responsabile.
Ma, actore non probante, reus absolvitur.
(*) dottore in Giurisprudenza
105
NOTE A SENTENZA
La crisi del calcio…
REPUBBLICA ITALIANA
TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE DELLA SICILIA
SEZIONE STACCATA DI CATANIA- Sez. 4^
IL PRESIDENTE
ha pronunciato il seguente
DECRETO
sul ricorso n. 729/2007, proposto dal sig. PENNISI Michele + 81, rappresentati e difesi
dagli avv.ti prof. Vincenzo Vitale e Danila Grasso, elettivamente domiciliati presso lo studio del
primo, in Catania, via G. Leopardi, n. 7;
CONTRO
-il Comitato Olimpico Nazionale Italiano – C.O.N.I.;
-la Federazione Italiana Gioco Calcio;
-la Lega Nazionale Professionisti Serie A;
-il Giudice sportivo di primo grado, domiciliato per la carica presso la F.I.G.C.;
-la Commissione Disciplinare della F.I.G.C.;
-La Commissione di Appello Federale, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro
tempore;
E NEI CONFRONTI DELLA
-SOCIETA’ MESSINA Calcio s.r.l.,in persona del legale rappresentante pro tempore;
per l’annullamento,
previa sospensione dell’esecuzione, del provvedimento n. 67 del Giudice sportivo della
F.I.G.C., di cui al comunicato ufficiale n. 227 del 14 febbraio 2007, e di ogni atto presupposto,
derivato, conseguente e/o direttamente od indirettamente connesso ed, in particolare, dei
provvedimenti confermativi pronunciati dalla Commissione Disciplinare della F.I.G.C.(Federazione
Italiana Gioco Calcio) e dalla C.A.F. (Commissione Appello Federale) e, per quanto occorra, degli
artt. 9, 11 e 14 del vigente “codice di giustizia sportiva” della F.I.G.C.;
106
NOTE A SENTENZA
La crisi del calcio…
NONCHE’
per il rimborso ed il risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale subito dai
ricorrenti;
Vista la contestuale domanda cautelare;
Vista l’ulteriore istanza del difensore, formulata contestualmente alla predetta domanda
cautelare, con la quale si chiede che il Presidente, prima della trattazione della domanda cautelare,
disponga, con decreto motivato (anche in assenza di contraddittorio), ai sensi dell’art. 21, 9°
comma, della legge 6.12.1971, n. 1034, introdotto dall’art. 3, 1° comma, della legge 21.7.2000, n.
205, misure cautelari provvisorie, in quanto sussisterebbe, in relazione alla fattispecie dedotta, lo
specifico requisito della estrema gravità ed urgenza, tale da non consentire neppure la dilazione
fino alla data della camera di consiglio”, prescritto da tale disposizione di legge;
Ritenuto che, ad una prima delibazione sommaria, i motivi dedotti a sostegno del ricorso si
appalesano assistiti da sufficiente “fumus boni juris”;
Considerato che non possono essere posti in dubbio l’interesse sostanziale e la legittimazione
ad agire dei ricorrenti, tutti dotati di “abbonamento” per assistere allo svolgimento delle partite
“casalinghe” della squadra di calcio del Catania, relativamente al campionato di Serie A, anno
2006/2007, per cui tale interesse sostanziale si appalesa come personale, diretto e concreto;
Considerato che, per quanto concerne la competenza territoriale, non si applica -per il caso di
specie- il disposto di cui al D.L. 19.8.2003, n. 220, convertito nella legge 7.10.2003, n. 280 che,
all’art. 3, comma 2, devolve la competenza di primo grado, in via esclusiva, anche per l’emanazione
di misure cautelari, al T.A.R. del Lazio, con sede in Roma, atteso che tale competenza esclusiva
appare dettata unicamente per i soggetti interni al mondo sportivo, nei cui confronti si pone la
necessità della previa formazione della c.d. “pregiudiziale sportiva”, ossia l’esaurimento dei gradi
della Giustizia Sportiva come condizione d’ammissibilità della successione azione avanti al Giudice
Amministrativo, nell’ottica di garantire la omogeneità del complessivo sistema;
Ritenuto che appaiono, sempre ad un primo esame, fondati:
a)il motivo di gravame con il quale si deduce la violazione dell’art. 1, comma 1, in relazione
all’art. 10, comma 1, del codice di giustizia sportiva, atteso che i tragici fatti del 2 febbraio 2007,
nonostante si siano svolti in un momento successivo allo svolgimento della gara Catania-Palermo e,
soprattutto, all’esterno dell’impianto sportivo, hanno dato luogo sostanzialmente ad una sorta di
responsabilità automatica per la società calcistica etnea (ipotesi prevista soltanto per l’ipotesi in cui
107
NOTE A SENTENZA
La crisi del calcio…
i disordini si verifichino all’interno dell’impianto), con conseguente violazione del succitato art. 10
il quale, in relazione ad eventuali incidenti ricadenti al di fuori dell’impianto, impone che la relativa
responsabilità venga pronunciata quantomeno attraverso la prova che la società interessata abbia
contribuito al loro accadimento “con interventi finanziari o con altre utilità, alla costituzione ed al
mantenimento di gruppi, organizzati e non, di propri sostenitori”;
b)il secondo, collegato motivo di censura, con il quale si deduce la violazione dell’art. 11,
comma 1°, ultimo inciso, che così recita: “la responsabilità è esclusa quando il fatto è commesso
per motivi estranei alla gara”, atteso che i gravi incidenti in questione non appaiono conseguenti ad
alcun episodio relativo allo svolgimento della gara (di solito, l’aggressione alle Forze dell’ordine
rappresenta l’estensione di una protesta indirizzata, in primo luogo ai protagonisti dell’evento
calcistico; soprattutto, il direttore di gara);
c)il terzo motivo di censura, con i quali si deduce che i provvedimenti sanzionatori impugnati
omettono completamente di valutare l’effettiva collaborazione prestata dalla Società Catania Calcio
nell’identificazione dei tragici episodi, come imposto, invece, dall’art. 11, comma 6, del più volte
menzionato codice di giustizia sportiva;
d)il quarto motivo, con cui si sottolinea la carenza e la contraddittorietà della motivazione,
atteso che, mentre da un lato si riconosce l’estraneità dei tragici fatti alle vicende di gioco, subito
dopo si ritiene inequivoca la responsabilità della Società;
e)i vari motivi di gravame con i quali si sottolinea l’evidente contrasto tra i provvedimenti
impugnati e gli inderogabili principi dell’ordinamento, consacrati in apposite norme di rango
costituzionale (art. 2 e 27, comma 1, della Costituzione) o di legge ordinaria (artt. 1 e 134, ultimo
comma, T.U.L.P.S. ), palesandosi, in particolare, il principio della responsabilità oggettiva, specie
alla luce della rigida applicazione che ne viene praticata, come contrario ai principi
dell’ordinamento giuridico vigente.
Visto il recentissimo orientamento in sede comunitaria: il Tribunale Amministrativo di Parigi,
adito dalla locale squadra di calcio del Paris Saint Germain, con decisione del 16 marzo 2007, ha
annullato la sanzione della squalifica del campo di gioco, comminata alla squadra medesima da tutti
gli Organi di giustizia sportiva della Federazione francese, statuendo che “la responsabilità
oggettiva di cui all’art. 129, c.1 del regolamento federale francese viola il principio costituzionale
della personalità della pena”.
108
NOTE A SENTENZA
La crisi del calcio…
Ritenuto, altresì, che, sempre ad un primo esame, si configura, nella specie, il predetto
specifico requisito del danno e della correlata o conseguente urgenza della tutela cautelare
monocratica, prescritto dal menzionato art. 21, 9° comma, della legge n. 1034/1971, introdotto
dall’art. 3, 1° comma, della legge n. 205/2000, tenuto conto del danno patrimoniale, consistente
nell’impossibilità, per i ricorrenti, di continuare ad utilizzare l’abbonamento alle partite
“casalinghe” del campionato, in relazione a tutti gli incontri (ben otto), ancora da disputarsi dopo il
2 febbraio 2007, e tenuto conto, altresì, del danno non patrimoniale, nel duplice aspetto del danno
esistenziale (categoria ampia, comprensiva di ogni ipotesi di ingiusta lesione di un valore inerente
alla persona umana, costituzionalmente protetto, dalla quale conseguano pregiudizi non suscettibili
di valutazione economica), e del danno all’immagine, all’onore ed al decoro.
P.Q.M.
1) ACCOGLIE la suindicata domanda di misure cautelari provvisorie, così come previsto
espressamente dal menzionato art. 21, 9° comma, della legge n. 1034/1971, introdotto dal
menzionato art. 3, 1° comma, della legge n. 205/2000, e , per l’effetto, sospende, con effetto
immediato, tutti gli atti impugnati.
La sospensione dei provvedimenti medesimi ha efficacia erga omnes, configurandosi i
predetti come atti generali, la cui applicazione, o non applicazione, ha carattere collettivo e non
scindibile.
Pertanto, la sospensione che viene disposta con il presente decreto si applica non soltanto agli
82 abbonati, che hanno proposto il ricorso in oggetto, ma a tutti gli abbonati e a chiunque voglia
assistere alle prossime partite.
Pertanto, viene ordinato a tutte le Autorità di pubblica sicurezza, a tutti gli Enti pubblici ed ai
soggetti privati addetti all’organizzazione delle partite di calcio di Serie A, ciascuno per quanto di
rispettiva competenza, di consentire a quanti ne facciano regolare richiesta, l’accesso agli impianti
sportivi su tutto il territorio nazionale ove si svolgeranno le partite casalinghe del Catania Calcio,
già a far data del 7 aprile prossimo venturo.
Ovviamente, tutti i soggetti menzionati sono tenuti ad attenersi scrupolosamente a tutte le
disposizioni, vecchie e nuove, introdotte per un’efficace tutela dell’ordine pubblico.
109
NOTE A SENTENZA
La crisi del calcio…
2) FISSA la camera di consiglio del 13 aprile 2007, attesa l’urgenza, a mente del 3° comma
dell’art. 36 del R.D. 17 agosto 1907, n. 642, per la sottoposizione del presente decreto presidenziale
cautelare al Collegio;
3) DISPONE che la notifica del presente decreto alle Amministrazioni intimate venga
effettuata dai ricorrenti anche soltanto a mezzo telefax, come espressamente previsto dall’arte 12
della predetta legge n. 205/2000 e, genericamente, dall’art. 151 del c.p.c.;
4)ORDINA che il presente decreto venga immediatamente eseguito dalle Amministrazioni
intimate.
Il presente decreto viene depositato presso la Segreteria della Sezione, che provvederà a darne
immediata comunicazione alle parti.
Catania, 4 aprile 2007.
110
NOTE A SENTENZA
La crisi del calcio…
REPUBBLICA ITALIANA
TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE
PER IL LAZIO
ROMA
SEZIONE TERZA TER
nelle persone dei Signori:
FRANCESCO CORSARO Presidente
MARIA LUISA DE LEONI Cons.
GIULIA FERRARI Cons. , relatore
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nella Camera di Consiglio del 12 Aprile 2007
Visto il ricorso 3021/2007 proposto da:
PENNISI
MICHELE
FRANCESCO,ALBINI
ED
ALTRI
,
PAOLO,ARENA
ABATE
AGATINO,
BARBARA,BELLIA
AIELLO
ALBERTO,AIELLO
LORIANA ALESSIA,BELLIA
GIOVANNI
SALVATORE
,BERTOLO ANTONIO PASQUALE ,BERTOLO ROSARIO VINCENZO ,BONACCORSO STEFANO ,BONICA
SALVATORE,CALVINO ANGELA RITA,CALVINO DUILIO CARUSO MASSIMILIANO,CARUSO PAOLO
GIUSEPPE,CASELLA
ALFIO
,CERNUTO
PASQUALINO,COCILOVO
GAETANO,COCO
GABRIELE
FRANCESCO,COSTANZO AGATINO COSTANZO, MICHELE ROSARIO MARIA,D'ARRIGO GIACOMO
CARLO,D'ARRIGO PAOLO,D'ARRIGO PIETRO VITTORIO,DI BERNARDO ANDREA,DI EMANUELE
FIANCARMELO
FABIO,FALCO
STEFANO,GENOVESE
ALFIO,FIAMMINGO
PAOLO,PINO
GIOVANNI
GIUSEPPE,GIUFFRIDA MASSIMO,GRASSO
STEFANO,FORMICA
,GENOVESE
NATALE,GRECO
PIER
GIUSEPPE
SALVATORE,GEMMA
PAOLO
,GIUFFRIDA
SALVATORE,GRECO
LUCA
,GRECO SALVATORE,VITALE VINCENZO, CLAUDIO GIUSEPPE, VARONCELLI GIUSEPPE, URSINO
COSIMO , TORRISI GABRIELE, TOMASELLI SALVATORE ,TESTA GIUSEPPE, SANTONOCITO ALBERTO,
SALINA ANTONIO, SAITTA SIMONE, SAITTA SEBASTIANO PAOLO, SAITTA GIOVANNI, SABELLA
FRANCESCO, RESTUCCIA PLACIDO, RECUPERO GIUSEPPE, PISTORIO MAURIZIO, GUELI FRANCESCO
PAOLO MARIA, GUELI GIUSEPPE ,GUGLIELMINO VINCENZO, GULINO LUIGI AGATINO, INGRASCIOTTA
ANGELO, IRACI FUINTINO PAOLO, LAVALLE MARIA CONCETTA, LAVORE FRANCESCO, LITRICO
CARMELA, LIZZIO ALESSANDRO, LIZZIO LUIGI, LO PINTO SERGIO, MALERBA ANTONIO, MANCINI
GAETANO, MARINO DAVIDE, LUIGI MARIA, MAZZOTTA FORTUNATO VALERIO, MAZZOTTA GIOVANNI
,MESSINA SEBASTANO, MILAZZO ROSARIO, NAPOLI ANTONELLA, NAPOLI FRANCESCO, NAPOLI
MARIA, NAPOLI STEFANIA, PAPPA GIUSEPPE DAMIANO, PAPPALARDO GIANPIERO, PAPPALARDO
SALVATORE PIER PAOLO, PECORA DANIELE
111
NOTE A SENTENZA
La crisi del calcio…
rappresentati e difesi da:
VITALE AVV. VINCENZO, GRASSO AVV. DANILA
con domicilio eletto in CATANIA
VIA GIACOMO LEOPARDI 7,presso VITALE AVV. VINCENZO
CONTRO
CONI
rappresentato e difeso da:
ANGELETTI AVV. ALBERTO
con domicilio eletto in ROMA
VIA G PISANELLI, 2
presso la sua sede
FEDERAZIONE ITALIANA GIUOCO CALCIO - FIGC
rappresentato e difeso da:
MAZZARELLI AVV. LETIZIA
GALLAVOTTI AVV. MARIO
MEDUGNO AVV. LUIGI
con domicilio eletto in ROMA
VIA PANAMA, 58
presso
MEDUGNO AVV. LUIGI
LEGA NAZIONALE PROFESSIONISTI SERIA A
rappresentato e difeso da:
STINCARDINI AVV. RUGGERO
con domicilio eletto in ROMA
VIA VARRONE, 9
presso VANNICELLI AVV. FRANCESCO
112
NOTE A SENTENZA
La crisi del calcio…
E NEI CONFRONTI DI
SOC MESSINA CALCIO
per l'annullamento, previa sospensione dell'esecuzione,
del provvedimento n. 67 del giudice sportivo della FIGC di cui al comunicato ufficiale n. 227
del 14 febbraio 2007; nonchè di ogni altro atto indicato nell’epigrafe del ricorso.
Visti gli atti e i documenti depositati con il ricorso;
Vista la domanda di sospensione della esecuzione del provvedimento impugnato, presentata in
via incidentale dal ricorrente;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di:
CONI
FEDERAZIONE ITALIANA GIUOCO CALCIO - FIGC
LEGA NAZIONALE PROFESSIONISTI SERIA A
Visto l’atto di riproposizione in riassunzione del ricorso, depositato dalla FIGC il 7 aprile
2007;
Udito il relatore Cons. GIULIA FERRARI e uditi altresì per le parti gli avvocati come da
verbale di udienza.
Visti gli artt. 19 e 21, u.c., della Legge 6 dicembre 1971, n. 1034, e l'art. 36 del R.D. 17
agosto 1907, n. 642;
Visto l’atto di riproposizione in riassunzione, depositato dalla F.I.G.C. il 7 aprile 2007 ed
avente ad oggetto il ricorso (n. 729/07) proposto da soggetti titolari del diritto ad assistere, in qualità
di abbonati, alle partite casalinghe del Catania Calcio s.p.a. avverso il provvedimento del giudice
sportivo della F.I.G.C., di cui al comunicato ufficiale n. 227 del 14 febbraio 2007, e di quelli
successivi della Commissione disciplinare della F.I.G.C. e della C.A.F. confermativi del primo, con
i quali è stata disposta la squalifica dello stadio Massimino di Catania sino al 30 giugno 2007 e
l’obbligo per la squadra di giocare a porte chiuse, e quindi senza la presenza del pubblico, le gare
casalinghe disputate in campo neutro;
Considerato che il predetto ricorso è stato proposto dinanzi alla IV Sezione del Tar Catania
che, con decreto presidenziale (n. 401/07), dopo aver espressamente e motivatamente affermato la
propria competenza territoriale e la legittimazione ad agire dei ricorrenti, ha ritenuto sussistente il
fumus ed il periculum in mora ed ha quindi disposto la sospensione cautelare - con efficacia erga
omnes - dei provvedimenti impugnati, fissando la camera di consiglio per la trattazione collegiale
dell’istanza cautelare per il giorno 13 aprile 2007;
113
NOTE A SENTENZA
La crisi del calcio…
Ritenuta applicabile nella controversia de qua il D.L. 19 agosto 2003 n. 220, convertito con
modificazioni dall’art. 1 L. 17 ottobre 2003 n. 280, a nulla rilevando che i ricorrenti non siano
soggetti interni al mondo sportivo, essendo fattore a ciò determinante l’impugnazione di una
sanzione disciplinare inflitta da un Organo della F.I.G.C.;
Ritenuto ammissibile il predetto atto di riproposizione in riassunzione del ricorso proposto
dai sig.ri Michele Pennisi ed altri e visti i motivi nello stesso dedotti in ordine alla competenza del
Tar Catania motivatamente affermata nel decreto presidenziale n. 401 del 2007 del predetto Tar
Catania;
Considerato che il processo amministrativo in materia di giustizia sportiva trova infatti
specifica disciplina nel D.L. n. 220 del 2003, che detta disposizioni ad hoc in considerazione della
peculiarità di detta materia, del suo eco sociale, della sua frequente rilevanza a livello di ordine
pubblico e della necessità di provvedere all'adozione di misure idonee a razionalizzare i rapporti tra
l'ordinamento sportivo e l'ordinamento giuridico dello Stato;
Visto l’art. 3, quarto comma, del cit. D.L. n. 220 del 2003, che introduce in questo giudizio sia pure espressamente per la fase transitoria - l’istituto della riassunzione del ricorso proposto
dinanzi ad un Tar diverso da quello del Lazio con sede di Roma, individuato dal secondo comma
dello stesso art. 3 come l’organo giudicante di primo grado con competenza funzionale, esclusiva
ed inderogabile nella materia de qua;
Considerato che detta riassunzione può essere proposta da qualsiasi “parte interessata” del
rapporto processuale e, quindi, anche dall’Amministrazione resistente (nella specie, la F.I.G.C.)
notificataria del ricorso proposto dai sigg.ri Pennisi ed altri e che nelle more della decisione assunta
dal Tar competente ogni misura cautelare adottata da altro giudice resta sospesa sino alla sua
conferma, modifica o revoca per effetto della decisione assunta dal solo giudice competente in
primo grado;
Considerato che l’applicazione dell’istituto della riassunzione al contenzioso ora all’esame
del Collegio non può essere messa in dubbio in ragione della natura transitoria della norma, atteso
che la stessa - pur essendo espressamente dettata per disciplinare le sorti dei provvedimenti cautelari
adottati, prima dell’entrata in vigore della novella del 2003, dai giudici divenuti poi incompetenti - è
espressione di un principio di carattere generale teso ad accentrare inderogabilmente le questioni
relative alla materia sportiva dinanzi ad uno stesso giudice (in primo grado, appunto, il Tar del
Lazio con sede in Roma) e deve quindi ragionevolmente intendersi estesa a tutte le ipotesi in cui un
ricorso in materia sportiva sia stato erroneamente proposto dinanzi a giudice incompetente;
114
NOTE A SENTENZA
La crisi del calcio…
Ritenuto pertanto che l’art. 3, quarto comma, D.L. n. 220 del 2003 deve ritenersi applicabile
non solo dopo l’entrata in vigore della nuova disciplina in materia di giustizia sportiva ma tutte le
volte in cui il ricorso in suddetta materia sia stato erroneamente proposto dinanzi a giudice di primo
grado diverso da quello individuato a regime dal secondo comma dello stesso art. 3, id est il Tar
Lazio con sede in Roma;
Ritenuto altresì che il ricorso - proposto da soggetti che, in quanto abbonati, hanno titolo ad
assistere alle partite casalinghe del Catania avverso la sanzione disciplinare della squalifica dello
stadio Massimino di Catania sino al 30 giugno 2007 e dell’obbligo di giocare in campo neutro e a
porte chiuse le gare casalinghe - rientra nella competenza funzionale del Tar Lazio con sede in
Roma ex art. 3, secondo comma, D.L. n. 220 del 2003 – espressamente e motivatamente esclusa nel
decreto presidenziale n. 401 del 2007 della IV Sez. del Tar Catania -, atteso che ciò che rileva, al
fine di radicare la competenza funzionale dinanzi a questo Tribunale, è la provenienza dell’atto
impugnato dal C.O.N.I. o dalle Federazioni sportive;
Ritenuto pertanto inconferente che i ricorrenti non siano soggetti interni al mondo sportivo,
essendo fattore determinante all’applicazione del secondo comma dell’art. 3 cit. la circostanza che
oggetto del gravame sia una sanzione disciplinare inflitta da un organo della F.I.G.C.;
Ritenuto di dover disattendere l’eccezione di difetto di giurisdizione di questo giudice,
sollevata dalle parti resistenti sul rilievo che i provvedimenti impugnati costituirebbero esercizio
dell’autodichia disciplinare della Federazioni e riguarderebbero materia riservata all’autonomia
dell’ordinamento sportivo ex art. 1 D.L. n. 220 del 2003;
Considerato infatti che, ancorché l’art. 2, lett. b, D.L. n. 220 del 2003, in applicazione del
principio di autonomia dell’ordinamento sportivo da quello statale, riservi al primo la disciplina
delle questioni aventi ad oggetto “i comportamenti rilevanti sul piano disciplinare e l’irrogazione
ed applicazione delle relative sanzioni disciplinari sportive”, tuttavia detto principio, letto
unitamente all’art. 1, secondo comma, dello stesso decreto legge, non appare operante nel caso in
cui la sanzione non esaurisce la sua incidenza nell’ambito strettamente sportivo, ma rifluisce
nell’ordinamento generale dello Stato (T.A.R. Lazio, III Sez., 22 agosto 2006 n. 4666 (ord.); 18
aprile 2005 n. 2801 e 14 dicembre 2005 n. 13616);
Ritenuto che una diversa interpretazione del cit. art. 2 D.L. n. 220 del 2003 condurrebbe a
dubitare della sua conformità a principi costituzionali, perché sottrarrebbe le sanzioni sportive alla
tutela giurisdizionale del giudice statale;
115
NOTE A SENTENZA
La crisi del calcio…
Considerato comunque che costituisce principio ricorrente nella giurisprudenza del giudice
delle leggi che, dinanzi ad un dubbio interpretativo di una norma o ad un’aporia del sistema, prima
di dubitare della legittimità costituzionale dello norma stessa occorre verificare la possibilità di
darne un’interpretazione secondo Costituzione (Corte cost. 22 ottobre 1996 n. 356);
Ritenuto che nella vicenda in esame è impugnata la sanzione disciplinare della squalifica del
campo di calcio e l’obbligo di giocare in campo neutro e a porte chiuse, e quindi senza la presenza
del pubblico, le gare casalinghe, sanzione che comporta una indubbia perdita economica per la soc.
Catania Calcio in termini di mancata vendita di biglietti ed esposizione a possibili azioni da parte
dei titolari di abbonamenti;
Ritenuto pertanto che detta sanzione, per la sua natura, assume rilevanza anche al di fuori
dell’ordinamento sportivo ed è quindi impugnabile dinanzi a questo giudice;
Ritenuto che, ai fini della correttezza di questa conclusione, non rileva la circostanza che a
proporre il ricorso siano stati alcuni abbonati e non il Calcio Catania s.p.a., atteso che per accertare
la giurisdizione di questo giudice (e, come già detto, la sua competenza funzionale) occorre fare
riferimento all’atto impugnato, all’Autorità che lo ha adottato e non al soggetto che instaura il
giudizio;
Ritenuto di dover disattendere anche l’eccezione di difetto di legittimazione attiva dei
ricorrenti, sollevata sempre dalle parti resistenti, essendo indubbia la posizione qualificata che gli
stessi, in quanto titolari di abbonamenti per seguire le partite di calcio giocate nello stadio dalla soc.
Catania, rivestono nell’ordinamento;
Considerato infatti che, a fronte di una lesione, di carattere patrimoniale e non, che i
ricorrenti affermano di subire dal provvedimento impugnato non può dubitarsi della loro
legittimazione ad adire questo giudice per la tutela non tanto del diritto di natura patrimoniale, che
nasce dalla stipula del contratto di abbonamento, quanto sicuramente dell’interesse a vedere le
partite casalinghe di calcio della soc. Catania allo stadio, atteso che, diversamente opinando e
premessa la giurisdizione di questo giudice, una tale situazioni giuridica soggettiva non potrebbe
trovare altra forma di tutela;
Ritenuto a tal proposito inconferente il richiamo, effettuato dalla F.I.G.C. ai precedenti di
questo stessa Sezione (1 settembre 2006 n. 7909, ecc.), che attengono alla diversa ipotesi in cui i
ricorrenti erano soci di società sportive, ai quali era stata negata la legittimazione attiva sul rilievo non estensibile alla fattispecie in esame - che la società commerciale, quale persona giuridica,
116
NOTE A SENTENZA
La crisi del calcio…
assomma in sé e compone tutti gli interessi dei soggetti partecipanti, secondo le norme della
organizzazione interna disposta con il contratto sociale e lo statuto, nei limiti dell’oggetto e dello
scopo sociale, con la conseguenza che tali interessi sono unitariamente individuati dagli organi
aventi legittimazione ad esprimerli;
Ritenuto, sotto il profilo del fumus boni juris, che non sussistono i presupposti per
l’accoglimento dell’istanza cautelare proposta dagli abbonati innanzi indicati atteso, tra l’altro, che:
a) non risponde al vero, in punto di fatto, che gli eventi criminosi scatenatisi durante e dopo la
partita di calcio Catania - Palermo siano occorsi solo all’esterno dello stadio, come risulta dalla
relazione della Procura della Repubblica di Catania;
b) non possono scindersi i fatti delittuosi verificatisi all’interno e all’esterno dello stadio,
costituendo ciascuno un tassello dello stesso episodio criminoso di guerriglia urbana;
c) non è determinante la circostanza che gli atti di violenza non siano stati occasionati da uno
specifico episodio verificatosi in campo, atteso che ciò rileva ai fini sanzionatori è che l’evento
sportivo sia stato occasione e causa dei predetti fatti di guerriglia.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio – Sezione Terza Ter
Accoglie l’istanza di riassunzione proposta dalla F.I.G.C. e per l’effetto revoca, ex art. 3,
quarto comma, D.L. 19 agosto 2003 n. 220, il decreto adottato dal Presidente della IV Sezione del
Tar Catania n. 401 del 4 aprile 2007; respinge l’istanza cautelare proposta dai sig.ri Michele Pennisi
ed altri.
Manda alla Segreteria della Sez. IV del Tar Catania di trasmettere alla Sez. Terza Ter del Tar
Lazio il fascicolo di causa.
La presente ordinanza sarà eseguita dalla Amministrazione ed è depositata presso la
Segreteria del Tribunale che provvederà a darne comunicazione alle parti.
ROMA , li 12 Aprile 2007
117
NOTE A SENTENZA
La crisi del calcio…
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia - Sezione staccata di Catania - Sezione
Quarta, composto dai Signori Magistrati:
Dott. Biagio
CAMPANELLA
Dott. Francesco
Dott. Dauno
Presidente rel. est.
BRUGALETTA
Consigliere
TREBASTONI
Referendario
ha pronunciato la seguente
S ENTEN ZA
sul ricorso n. 729/2007, proposto dal sig. PENNISI Michele + 81,
rappresentati e difesi dagli avv.ti prof. Vincenzo Vitale e Danila Grasso,
elettivamente domiciliati presso lo studio del primo, in Catania, via G.
Leopardi, n. 7;
CONTRO
-il Comitato Olimpico Nazionale Italiano – C.O.N.I., in persona del legale rappresentante pro
tempore, non costituito in giudizio;
-la Federazione Italiana Giuoco Calcio, in persona del legale rappresentante pro tempore,
costituita in giudizio, rappresentata e difesa dagli avv.ti Luigi Medugno e Letizia Mazzarelli,
elettivamente domiciliata in Catania, via Ventimiglia, n. 145, presso lo studio dell’avv. Giuseppe
Tamburello;
-la Lega Nazionale Professionisti Serie A, in persona del legale rappresentante pro tempore,
costituita in giudizio, rappresentata e difesa dall’avv. Ruggero Stincardini, elettivamente domiciliata
in Catania, via Monsignor Ventimiglia, n. 145, presso lo studio dell’avv. Giuseppe Tamburello;
-il Giudice sportivo di primo grado, domiciliato per la carica presso la F.I.G.C., non costituito
in giudizio;
118
NOTE A SENTENZA
La crisi del calcio…
-la Commissione Disciplinare della F.I.G.C.,in persona del legale rappresentante, non
costituita in giudizio;
-La Commissione di Appello Federale, in persona del legale rappresentante pro tempore, non
costituita in giudizio;
e nei confronti della
-SOCIETA’ MESSINA Calcio s.r.l.,in persona del legale rappresentante pro tempore;
con l’intervento ad adjuvandum:
-di ARENA Grazia, ARENA Raimonda, GRASSO Rosina, DI MAURO Rosa ed ANASTASI
Nunziata, rappresentate e difese dagli avv.ti prof. Vincenzo Vitale e Danila Grasso, elettivamente
domiciliate presso lo studio del primo, in Catania, via G. Leopardi, n. 7;
-della PROVINCIA REGIONALE di CATANIA, in persona del Presidente pro tempore,
rappresentata e difesa dagli avv.ti Nicolò D’Alessandro e Francesco Mineo, elettivamente
domiciliata presso l’Avvocatura dell’Ente, in Catania, via Centuripe, n. 8;
-del COMUNE di CATANIA, in persona del Sindaco pro tempore, costituito in giudizio,
rappresentato e difeso dal prof. avv. Vincenzo Vitale, presso il cui studio è elettivamente
domiciliato, in Catania, via G. Leopardi, n. 7;
-della CONFEDERAZIONE
NAZIONALE
NUOVI
CONSUMATORI EUROPEI, in
persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avv. Giuseppe Gitto,
presso il cui studio è elettivamente domiciliata, in Catania, viale XX settembre, n. 28;
PER L’ANNULLAMENTO
previa sospensione dell’esecuzione, del provvedimento n. 67 del Giudice sportivo della
F.I.G.C., di cui al comunicato ufficiale n. 227 del 14 febbraio 2007, e di ogni atto presupposto,
derivato, conseguente e/o direttamente od indirettamente connesso ed, in particolare, dei
provvedimenti confermativi pronunciati dalla Commissione Disciplinare della F.I.G.C.(Federazione
Italiana Gioco Calcio) e dalla C.A.F. (Commissione Appello Federale) e, per quanto occorra, degli
artt. 9, 11 e 14 del vigente “codice di giustizia sportiva” della F.I.G.C.;
119
NOTE A SENTENZA
La crisi del calcio…
NONCHE’
per il rimborso ed il risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale subito dai
ricorrenti;
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio delle parti intimate;
Visti gli atti tutti della causa;
Designato relatore per la Camera di consiglio del 13 aprile 2007 il Presidente Dott. Biagio
Campanella; uditi gli avvocati delle parti, come da relativo verbale, anche ai sensi dell’art. 3 della
legge 21 luglio 2000, n. 205, per la definizione del giudizio nel merito a norma del successivo art.
26 della legge innanzi citata.
1) Come appena accennato, ritiene, innanzitutto, il Collegio di potere definire nel merito la
controversia in esame procedendo all’emanazione di sentenza in forma semplificata così come
previsto dal combinato disposto dell’art. 21, 10° comma, della legge 6.12.1971, n. 1034 (introdotto
dall’art. 3, 1° comma, della legge 21.7.2000, n. 205), e dell’art. 26, 4° e 5° comma, della stessa
legge n. 1034/1971 (introdotti dall’art. 9, 1° comma, della predetta legge n. 205/2000).
In base alle predette norme processuali, infatti, “in sede di decisione della domanda cautelare,
il tribunale amministrativo regionale, accertata la completezza del contraddittorio e dell’istruttoria
ed ove ne ricorrano i presupposti, sentite sul punto le parti costituite, può definire il giudizio nel
merito a norma dell’art. 26” (art. 21, 10° comma, legge T.A.R., aggiunto dall’art. 3, 1° comma,
legge n. 205/2000) in tutti i casi in cui ravvisi “la manifesta fondatezza ovvero la manifesta
irricevibilità, inammissibilità, improcedibilità o infondatezza del ricorso” (art. 26, 4° comma, legge
T.A.R., aggiunto dall’art. 3, 1° comma, legge n. 205/2000), e ciò, appunto, “nella camera di
consiglio fissata per l’esame dell’istanza cautelare” (art. 26, 5° comma, legge T.A.R., aggiunto con
la ripetuta “novella” della legge 205 del 2000), al fine di rendere possibile quella c.d. “osmosi” fra
la fase cautelare e la fase di merito del processo amministrativo che può consentire di realizzare, in
molte controversie, l’obiettivo della “ragionevole durata del processo codificato dall’art. 111, 2°
comma, della Costituzione.
Per effetto di tale “osmosi”, inoltre, resta ovviamente superata la necessità, per il Collegio, di
procedere “nella prima camera di consiglio utile” (art. 21, 7° comma, legge T.A.R.) all’esame della
domanda cautelare ai fini della conferma, modifica o revoca degli effetti del decreto cautelare
presidenziale, in quanto viene meno ontologicamente, a seguito della sentenza definitiva, ogni
120
NOTE A SENTENZA
La crisi del calcio…
esigenza cautelare per mancanza del presupposto essenziale del “periculum in mora” in attesa della
definizione della controversia nel merito.
2) Ciò premesso, vanno preliminarmente esaminate le eccezioni di rito sollevate dalle parti
resistenti.
3) Nell’ordine logico-giuridico, precede ovviamente l’esame dell’eccezione di difetto assoluto
di giurisdizione sollevata, in sintesi, sul rilievo che i provvedimenti impugnati costituirebbero
esercizio dell’autodichia disciplinare delle Federazioni sportive e riguarderebbero materia riservata
all’autonomia dell’ordinamento sportivo a norma dell’art. 1 del D.L. n. 220/2003 convertito, con
modificazioni, nella legge n. 280/2003.
Tale eccezione è palesemente infondata.
Innanzi tutto, come affermato, con motivazioni condivisibili, dalla stessa ordinanza n. 1664
del 12.4.2007 del T.A.R. Lazio-Roma-Sezione terza ter (con la
quale, previo accoglimento
dell’istanza di riassunzione della F.I.G.C., è stato revocato il D.P. cautelare n. 401/2007 del
Presidente di questa IV^ Sezione ed è stata altresì respinta l’istanza cautelare dei ricorrenti),
“ancorché l’art. 2, lett. b, D.L. n. 220 del 2003, in applicazione del principio di autonomia
dell’ordinamento sportivo da quello statale, riservi al primo la disciplina delle questioni aventi ad
oggetto “i comportamenti rilevanti sul piano disciplinare e l’irrogazione ed applicazione delle
relative sanzioni disciplinari sportive”, tuttavia detto principio, letto unitamente all’art. 1, secondo
comma, dello stesso decreto legge, non appare operante nel caso in cui la sanzione non esaurisce la
sua incidenza nell’ambito strettamente sportivo, ma rifluisce nell’ordinamento generale dello Stato
(T.A.R. Lazio-3^ Sezione, 22 agosto 2006, n. 4666 (ord.); 18 aprile 2005 n. 2801 e 14 dicembre
2005 n. 13616)”.
Inoltre –prosegue la predetta ordinanza del T.A.R. Lazio- “una diversa interpretazione del
citato art. 2 D.L. n. 220 del 2003 condurrebbe a dubitare della sua conformità a principi
costituzionali, perché sottrarrebbe le sanzioni sportive alla tutela giurisdizionale del giudice statale”.
La stessa ordinanza conclude, sul punto, rilevando che, nella vicenda in esame, è impugnata la
sanzione disciplinare della squalifica del campo di calcio, con l’obbligo di giocare in campo neutro
e a porte chiuse, e quindi senza la presenza del pubblico le gare casalinghe; sanzione che comporta
una indubbia perdita economica per la società Catania calcio in termini di mancata vendita di
biglietti ed esposizione a possibili azioni giudiziarie da parte dei titolari di abbonamenti.
Per sua natura, quindi, tale sanzione assume indubbia rilevanza anche al di fuori
dell’ordinamento sportivo, ed è quindi impugnabile dinanzi al Giudice amministrativo.
121
NOTE A SENTENZA
La crisi del calcio…
Ma, ciò posto in termini generali, il Collegio non può sottrarsi all’obbligo di delineare con
maggior precisione quale sia la posizione giuridica soggettiva azionata col ricorso in esame, e ciò al
fine precipuo di eliminare in radice ogni dubbio residuo in ordine alla possibilità giuridica di
configurare, in materia, il difetto assoluto di giurisdizione.
In proposito, deve ritenersi che, come precisato dai difensori dei ricorrenti nella memoria
depositata nel corso dell’udienza camerale, l’azione proposta col ricorso in esame tende
congiuntamente alla rimozione della lesione, asseritamene subita per fatto e colpa del terzo (la
F.I.G.C.), del diritto di credito (c.d. tutela aquiliana del credito) vantato dagli abbonati nei confronti
della società sportiva Catania calcio s.p.a., nonché alla tutela dei connessi o correlati diritti
personalissimi ed inviolabili (art. 2 della Costituzione) all’immagine, all’onore ed al decoro degli
stessi abbonati, attraverso l’emanazione di pronunce (prima cautelari e, poi, di merito) idonee anche
alla “reintegrazione in forma specifica” dei diritti lesi (così come previsto, nell’ambito della
giurisdizione elusiva, dall’art. 35, 1° comma, del decreto legislativo n. 80/1998, nel testo sostituito
dall’art. 7, 1° comma, lettera c, della ripetuta legge n. 205/2000, nonché, per quanto concerne anche
la giurisdizione generale di legittimità, dall’art. 7, 3° comma, della legge TAR, nel testo sostituito
dall’art. 7, 4° comma, della stessa legge n. 205/2000, oltre che, con estensione analogica in
entrambi tali ambiti, dall’art. 2058 del codice civile).
Da diversi anni la giurisprudenza riconosce la c.d. tutela aquiliana del credito.
Originariamente, la tutela accordata dall’ordinamento giuridico per reagire contro il danno
derivante da fatto illecito ex art. 2043 c.c. era circoscritta ai diritti reali ed ai diritti personali
(libertà, onorabilità, etc.); in un secondo momento, la giurisprudenza, sia di merito che di
legittimità, ha esteso tale tutela ai c.d. diritti relativi, ossia valevoli o esercitabili soltanto nei
confronti di pertinenza di soggetti determinati o determinabili, quali il diritto di credito.
Per quanto concerne, in particolare, tali diritti di credito, aventi ad oggetto prestazioni
personali ed infungibili, è stata riconosciuta la legittimazione del creditore danneggiato a rivolgersi
direttamente al terzo autore del fatto illecito, che ha reso impossibile la prestazione, e non al
debitore impossibilitato ad adempiere a causa, appunto, di tale fatto illecito.
Comunque, per quanto riguarda i ricorrenti, il credito, che trova il suo momento genetico nel
rapporto contrattuale intercorrente con la società in esito
alla stipula del contratto di abbonamento, non è rappresentato soltanto dal diritto di assistere
alle gare casalinghe, ma anche da tutto quell’insieme di condizioni psicologiche, sociali, ambientali
e ludiche la cui violazione costituisce danno morale ed esistenziale.
122
NOTE A SENTENZA
La crisi del calcio…
L’impossibilità per i ricorrenti di assistere a tali incontri non deriva ovviamente da
inadempimento colpevole imputabile alla società, ma dall’adozione degli atti impugnati, adottati
dalla resistente F.I.G.C.
La suprema Corte ha, in proposito, affermato: “La tutela risarcitoria ex art. 2043 c.c. deve
ammettersi anche con riguardo al pregiudizio patrimoniale sofferto dal titolare di diritti di credito,
non trovando ostacolo nel carattere relativo di questi ultimi in considerazione della nozione ampia
generalmente accolta di danno ingiusto come comprensivo di qualsiasi lesione dell’interesse che
sta alla base di un diritto, in tutta la sua estensione. Trova, in tal modo, protezione non solo
l’interesse rivolto a soddisfare il diritto (che, nel caso di diritti di credito, è attivabile direttamente
nei confronti del debitore della prestazione oggetto del diritto), ma altresì l’interesse alla
realizzazione di tutte le condizioni necessarie perché il soddisfacimento del diritto sia possibile,
interesse tutelabile nei confronti di chiunque illecitamente impedisca tale realizzazione. In siffatta
prospettiva trova fondamento la tutela aquiliana del diritto di credito. L’area di applicazione della
responsabilità extracontrattuale per la lesione del diritto di credito va, peraltro, circoscritta ai
danni che hanno direttamente inciso sull’interesse oggetto del diritto” (cfr., Cassazione civile-Sez.
3^, n. 7337 del 27 luglio 1998).
Conclusivamente, non si può in alcun modo dubitare che sussista, nella materia de qua la
giurisdizione del G.A., che deve considerarsi esclusiva alla stregua della espressa qualificazione in
tal senso contenuta nel predetto art. 3, 1° comma, della legge n. 280/2003.
4) Conseguentemente, alla stregua delle argomentazioni che precedono, deve essere disattesa
l’ulteriore eccezione di difetto di legittimazione attiva dei ricorrenti.
Anche tale eccezione, del resto, è stata rigettata con la menzionata ordinanza n. 1664/2007
della Sezione terza ter del T.A.R. Lazio-Roma, in base ai seguenti testuali rilievi:
Ritenuto di dover disattendere anche l’eccezione di difetto di legittimazione attiva dei
ricorrenti, sollevata sempre dalle parti resistenti, essendo indubbia la posizione qualificata che gli
stessi, in quanto titolari di abbonamenti per seguire le partite di calcio giocate nello stadio della
società Catania, rivestono nell’ordinamento;
Considerato infatti che, a fronte di una lesione, di carattere patrimoniale e non, che i ricorrenti
affermano di subire dal provvedimento impugnato non può dubitarsi della loro legittimazione ad
adire questo giudice per la tutela non tanto del diritto di natura patrimoniale, che nasce dalla stipula
del contratto di abbonamento, quanto sicuramente dell’interesse a vedere le partite casalinghe di
123
NOTE A SENTENZA
La crisi del calcio…
calcio della soc. Catania allo stadio, atteso che, diversamente opinando e premessa la giurisdizione
di questo giudice, una tale situazione giuridica soggettiva non potrebbe trovare altra forma di tutela;
Ritenuto a tal proposito inconferente il richiamo, effettuato dalla F.I.G.C. ai precedenti di
questa stessa Sezione (1 settembre 2006 n. 7909, ecc.), che attengono alla diversa ipotesi in cui i
ricorrenti erano soci di società sportive, ai quali era stata negata la legittimazione attiva sul rilievo –
non estensibile alla fattispecie in esame- che la società commerciale, quale persona giuridica,
assomma in sé e compone tutti gli interessi dei soggetti partecipanti, secondo le norme della
organizzazione interna disposta con il contratto sociale e lo statuto, nei limiti dell’oggetto e dello
scopo sociale, con la conseguenza che tali interessi sono unitariamente individuati dagli organi
aventi legittimazione ad esprimerli.
Deve ancora rilevarsi, in proposito, che la legittimazione attiva dei ricorrenti – così come il
loro interesse processuale ex art. 100 c.p.c.- si configura, al di là di ogni dubbio, sulla base di
ulteriori argomentazioni che possono riassumersi nei termini che seguono:
Non possono essere posti in dubbio l’interesse sostanziale e la legittimazione ad agire dei
ricorrenti, tutti in possesso di
“abbonamento” per assistere allo svolgimento delle partite
“casalinghe” della squadra di calcio del Catania, relativamente al campionato di Serie A, anno
2006/2007, per cui tale interesse sostanziale si appalesa come personale, diretto e concreto.
Non può correre alcun dubbio sulla circostanza che ogni abbonato sia titolare tanto di un
diritto soggettivo (quello al rimborso della quota parte di abbonamento pagata e non goduta),
quanto di un preciso interesse legittimo a che la Federazione non adotti provvedimenti sanzionatori
a carico della società calcistica che direttamente risultino lesivi della propria situazione giuridica
soggettiva.
5) Per quanto concerne la competenza territoriale, con il menzionato decreto presidenziale n.
401 del 4 aprile 2007, è stato affermato che “non si applica -per il caso di specie- il disposto di cui
al D.L. 19.8.2003, n. 220, convertito nella legge 7.10.2003, n. 280 che, all’art. 3, comma 2, devolve
la competenza di primo grado, in via esclusiva, al T.A.R. del Lazio, con sede in Roma, atteso che
tale competenza esclusiva appare dettata unicamente per i soggetti interni al mondo sportivo, nei cui
confronti si pone la necessità della previa formazione della c.d. “pregiudiziale sportiva”, ossia
l’esaurimento dei gradi della Giustizia Sportiva come condizione d’ammissibilità della successiva
azione avanti al Giudice Amministrativo, nell’ottica di garantire la omogeneità del complessivo
sistema”.
124
NOTE A SENTENZA
La crisi del calcio…
Una tale interpretazione va confermata, alla luce di un ulteriore approfondimento della
questione da parte del Collegio: orbene, il decreto-legge n. 220 del 19 agosto 2003, convertito nella
legge n. 280 del 17 ottobre 2003, così recita, all’art. 3 (“norme sulla giurisdizione e disciplina
transitoria”):
1. Esauriti i gradi della giustizia sportiva e ferma restando la giurisdizione del giudice
ordinario sui rapporti patrimoniali tra società, associazioni e atleti, ogni altra controversia avente ad
oggetto atti del Comitato olimpico nazionale italiano o delle Federazioni sportive non riservata agli
organi di giustizia dell’ordinamento sportivo ai sensi dell’art. 2, è devoluta alla giurisdizione
esclusiva del giudice amministrativo….”;
2. La competenza di primo grado spetta in via esclusiva, anche per l’emanazione di misure
cautelari, al tribunale amministrativo regionale con sede in Roma. Le questioni di competenza di cui
al presente comma sono rilevabili d’ufficio”;
3. Davanti al giudice amministrativo il giudizio è definito con sentenza succintamente
motivata ai sensi dell’art. 26 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, e si applicano i commi 2 e
seguenti dell’art. 23-bis della stessa legge”;
4. Le norme di cui ai commi 1, 2 e 3 si applicano anche ai processi in corso e l’efficacia delle
misure cautelari emanate da un tribunale amministrativo diverso da quello di cui al comma 2 è
sospesa fino alla loro conferma, modifica o revoca da parte del tribunale amministrativo regionale
del Lazio, cui la parte interessata può riproporre il ricorso e l’istanza cautelare….”.
Dal mero dato letterale delle disposizioni surriportate emerge un elemento assolutamente
incontrovertibile: l’adizione del T.AR. del Lazio, sede di Roma, quale viene prevista e disciplinata
dal quasi integralmente trascritto art. 3, ha un suo preciso presupposto nella circostanza che siano
stati aditi, preventivamente, gli Organi di giustizia sportiva, e che ne siano stati esauriti tutti i gradi.
Ma dal momento che gli unici soggetti abilitati ad adire la giustizia sportiva sono quelli
(persone fisiche o società) che operano all’interno del mondo sportivo, in quanto tesserati, ne
consegue che tale disciplina non può applicarsi nei confronti degli altri soggetti dell’ordinamento.
Oltre al dato testuale, le disposizioni in esame vanno interpretate alla luce della ratio ad esse
sottesa.
Va sottolineato, in proposito, che la normativa medesima è stata introdotta in un periodo
molto travagliato dell’attività sportiva svolta in Italia (estate dell’anno 2003), allorché diverse
società calcistiche, rivolgendo i loro ricorsi a diversi Tribunali amministrativi sparsi sul territorio
nazionale, hanno provocato l’adozione di decisioni non di rado inaspettate e contrastanti, con
125
NOTE A SENTENZA
La crisi del calcio…
conseguente disorientamento degli Enti preposti al coordinamento ed al controllo dell’attività
sportiva medesima, specie in relazione alla possibilità di stilare in tempo i vari calendari sportivi.
Sotto altro profilo, vale un ragionamento per absurdum.
Orbene, se si dovesse ritenere che anche il quisque de populo sia soggetto alla su delineata
competenza territoriale, si perverrebbe ad una conclusione logicamente assurda e giuridicamente
aberrante.
Un comune cittadino, non essendo legittimato ad agire, allo scopo di precostituirsi la
“pregiudiziale sportiva”, i relativi Organi, non potrebbe mai autodeterminarsi, ricorrendo alla tutela
del Giudice amministrativo, sia pure
in presenza della lesione di un proprio interesse
giuridicamente tutelato;la tutelabilità del suo interesse avanti al G.A. sarebbe totalmente rimessa
all’arbitrio del soggetto sportivo, unico legittimato a soddisfare quella condizione di
ammissibilità.
Tale interpretazione sarebbe in evidente contrasto con gli artt 24, 111 e 113 della Carta
Costituzionale.
Da quanto esposto emerge con sufficiente chiarezza come l’unico criterio determinativo della
competenza territoriale non può non essere quello generale che, in via principale, presiede al
riparto della competenza per territorio tra i diversi TT.AA.RR., ossia il criterio che indica il T.A.R.
del luogo ove il provvedimento da impugnare ha prodotto l’effetto lesivo.
Ma c’è di più: occorre tener conto della “transitorietà” di tale norma.
Sotto la rubrica “norme sulla giurisdizione e disciplina transitoria”, l’art. 3 della legge n.
280/2003 citata, dopo aver individuato il T.A.R. del Lazio come unico territorialmente competente
per le “questioni” indicate all’art. 1, al successivo comma 4, dispone l’applicabilità della disciplina
di cui ai precedenti commi “anche ai processi in corso”.
E’ pacifico che i caratteri essenziali di ogni disposizione transitoria sono:
1) la temporaneità: sussiste ed è efficace sino all’esaurimento dei rapporti da essa contemplati;
2) non è suscettibile di applicazione analogica;
Tale norma temporanea prevede espressamente non solo il dies a quo per per attivare il
congegno procedurale da essa previsto, ma anche il dies ad quem.
126
NOTE A SENTENZA
La crisi del calcio…
Il primo decorre, come recita il comma 4 citato “dalla data di entrata in vigore del presente
decreto; il secondo “spira” -essendo ridotto della metà rispetto a quello ordinario- 15 giorni dopo da
quella data (ossia, circa tre anni e mezzo fa).
Quindi, tale normativa “transitoria” non solo disciplina le controversie “in corso” alla data
della sua entrata in vigore, ma condiziona, altresì, la sua concreta operatività all’assolvimento di un
preciso onere, a pena di improcedibilità: la riassunzione entro un termine decadenziale.
In tale ottica, è stato adottato, in data 4 aprile 2007, il decreto presidenziale n. 401 con il
quale, ritenuti sussistenti il fumus boni juris ed il periculum in mora, è stata disposta la sospensione
cautelare, con efficacia erga omnes, dei provvedimenti impugnati.
Sennonché, in data 7 aprile 2007, la F.I.G.C. ha presentato “atto di riproposizione in
riassunzione” avanti la Sezione Terza Ter del T.A.R. del Lazio-sede di Roma, la quale, con
ordinanza n. 1664 del 12 aprile 2007, ha accolto tale istanza di riassunzione ed ha revocato, per
l’effetto, ai sensi dell’art. 3, 4° comma, del D.L. n. 220, il decreto presidenziale n. 401/2007,
respingendo, al contempo l’istanza cautelare.
Il Collegio non condivide tale decisione che, ovviamente, non lo può vincolare, attesa la
posizione di equiordinazione di tutte le Sedi della Giustizia Amministrativa di primo grado.
Orbene, tale diverso orientamento di questa 4^ Sezione discende, oltre che dalla convinzione
che, per il caso di specie, non si applichi il principio della competenza “esclusiva” del T.A.R. di
Roma (come estesamente esposto), dalla circostanza che, per il caso di specie, sia stata seguita, da
parte della F.I.G.C. intimata, una procedura abnorme.
Ed invero,
il trascritto 4° comma dell’art. 3 della legge 280/03 prevede (o meglio,
prevedeva), per il caso in cui tale inderogabile competenza funzionale non venga rispettata, che
la“parte interessata può riproporre il ricorso e l’istanza cautelare…”.
Orbene, anche se può ritenersi possibile che il legislatore, con il termine parte interessata”, si
sia potuto riferire non alla parte ricorrente, ma alle Amministrazioni intimate ed ai controinteressati,
non si comprende tuttavia come questi siano facultati a “riproporre” il ricorso e l’istanza cautelare.
Apparendo pressocchè impossibile che il legislatore sia incorso in un così grave errore
materiale, il Collegio ritiene che l’art. 4, perché ad esso possa essere attribuito un senso logico e
giuridico, deve essere letto, mutatis mutandis, in connessione con le disposizioni che regolano
l’istituto del “regolamento di competenza”.
127
NOTE A SENTENZA
La crisi del calcio…
La menzionata “riassunzione” presuppone, naturalmente, che sia stato adito un
T.A.R.
diverso da quello di Roma e che quest’altro T.A.R. si sia dichiarato incompetente; diversamente,
non ci sarebbe alcun interesse alla riassunzione del giudizio avanti al Tribunale laziale.
Così opinando, oltre a darsi un senso logico e un concreto significato a tale “eventuale
riassunzione”, ne consegue che il T.A.R. romano agisca non come Giudice di appello (e ciò
sconvolgerebbe l’assetto della giurisdizione Amministrativa), bensì, grazie all’atto di riassunzione,
come Giudice di primo grado, non potendosi peraltro sottrarre al Consiglio di Stato le funzioni di
Organo regolatore della competenza.
In sostanza, spetta al T.A.R. adito, anche nel caso in cui non coincida con quello del Lazio,
delibare sull’appartenenza della competenza nel caso sottoposto al suo esame; anche se si ritiene
che un tale tipo di competenza territoriale sia inderogabile.
Tuttavia, nessuna disposizione impone che una tale cognizione venga effettuato dal T.A.R.
del Lazio medesimo; quello che appare necessario è soltanto che, nel caso in cui il diverso T.A.R.
adito accerta che si versa nelle ipotesi di cui all’art. 2 del D.L. n. 220/2003 (corretto
svolgimento delle attività sportive ed agonistiche, l’ammissione e l’affiliazione alle federazioni di
società…,etc.), tale T.A.R. deve dichiararsi incompetente. Ma non può non restare fermo il
principio basilare secondo cui l’unico strumento previsto nel processo amministrativo per contestare
la competenza del T.A.R. periferico adito è esclusivamente costituito dalla proposizione, da parte
dei resistenti, del regolamento di competenza dinanzi al Consiglio di Stato ai sensi e per gli effetti di
cui al ricordato art. 31 della legge T.A.R. (che, nella specie, non è stato proposto).
Giova ancora sottolineare che le regole ed i principi generali del riparto di competenza
territoriale dei T.A.R. sono derogabili (art. 2, 3 e 31 legge T.A.R.), salvo i casi assolutamente
eccezionali di competenza territoriale funzionale, non ricorrente nel caso di specie.
D’altra parte, la necessità cha tale esame avvenga presso il Giudice adito risponde alla
necessità che tutti le parti si confrontino attraverso un’ordinata dialettica processuale.
Nel caso di specie, invece, il T.A.R. del Lazio, in data 12 aprile 2007, si è dichiarato
competente, pur in assenza della necessaria documentazione, giacente presso questa Sezione,
documentazione che è stata poi richiesta alla Segreteria con la medesima ordinanza n. 1664/07,
ossia dopo che era stata adottata una decisione propria del Giudice non della “riassunzione”, ma
d’appello.
128
NOTE A SENTENZA
La crisi del calcio…
Quindi, va ribadito ancora che l’itinerario logico argomentativo seguito dalla Sezione terza ter
del T.A.R. del Lazio non può essere condiviso, proprio in
base
al criterio della “lettura
costituzionalmente orientata” impropriamente invocato dalla F.I.G.C. (pag. 6 dell’atto di
riproposizione in riassunzione) al fine di pervenire al risultato interpretativo della operatività anche
“a regime” (e non soltanto in via transitoria) di tale anomalo ed ibrido istituto della riassunzione e
della configurabilità della competenza funzionale del T.A.R.
Lazio-Roma anche per le controversie in materia di sanzioni disciplinari instaurate, nei
confronti del C.O.N.I. e delle Federazioni sportive, da soggetti non tesserati, e quindi da comuni
cittadini estranei a tali ordinamenti settoriali.
Una interpretazione adeguatrice o conforme a Costituzione, infatti, conduce ad un risultato
diametralmente opposto a quello sostenuto dalla F.I.G.C. e dal T.A.R. Lazio-Roma con la
menzionata ordinanza, posto che proprio la spregiudicata operazione ermeneutica finalizzata a
“trasformare” una disposizione espressamente dichiarata transitoria, e disciplinata come tale dal
legislatore del 2003, in norma con efficacia permanente, o, come suol dirsi,“a regime”,
verrebbe a vulnerare gravemente non solo e non tanto il divieto di estensione analogica delle “leggi
…che fanno eccezione a regole generali e ad altre leggi” (art. 14 delle disposizioni preliminari al
codice civile), ma soprattutto i principi costituzionali del giudice naturale precostituito per legge
(art. 25, 1° comma, della Costituzione), e del doppio grado della giustiziaamministrativa
consacrato dall’art. 125 della Costituzione, che costituiscono indubbiamente un sistema di valori
costituzionali all’interno del quale il giudice deve operare interpretando ed applicando le norme
dell’ordinamento giuridico.
Viene, infatti, ad essere introdotto, per le controversie sportive di cui trattasi, un anomalo
percorso che stravolge l’ordinario iter giudiziario.
La regola generale, invero, è che ad un giudizio di primo grado segua, ove la parte
soccombente appelli, un giudizio di secondo grado, sia che si tratti di giudizio cautelare, sia che si
tratti di giudizio di merito; giammai è prevista una doppia pronuncia sulla stessa materia da parte di
due diversi giudici di primo grado, uno dei quali abilitato, come se fosse giudice d’appello o un
T.A.R. non equiordinato agli altri, ma dotato di poteri speciali, a riformare la decisione del primo
giudice.
Orbene, ad avviso del Collegio, siffatta disciplina integra altresì violazione del principio del
“giusto processo”, di cui all’art. 111, comma primo, della medesima Carta (“La giurisdizione si
attua mediante il giusto processo regolato dalla legge”).
129
NOTE A SENTENZA
La crisi del calcio…
Sempre con riferimento ai processi pendenti, dinanzi a tutti i TT.AA.RR. diversi da quelli del
Lazio, infatti, la parte soccombente nel giudizio cautelare verrebbe ad essere fornita di uno
strumento giurisdizionale anomalo e atipico a tutela della propria (legittima, ma da esercitare in
modo conforme ai principi costituzionali) aspirazione ad ottenere una pronuncia favorevole in
secondo grado (che deve tuttavia essere un vero giudizio di secondo grado, e non, si ribadisce, un
inedito duplicato del giudizio di primo grado, affidato al TAR centrale, in quanto ritenuto
preminente rispetto a quelli periferici: il che costituisce, evidentemente, un palese
disvalore
costituzionale.
Ciò comporterebbe, altresì, una evidente violazione del principio del ne bis in idem, che, se
pure non espressamente contemplato dalla Carta costituzionale,deve ritenersi corollario del
medesimo generale principio del “giusto processo” testè richiamato.
E’ questo il sistema di valori costituzionali all’interno del (e in conformità al )quale il giudice
deve muoversi, e non già l’affermata necessità di accentramento di tutte le questioni relative alla
materia sportiva dinanzi ad uno stesso giudice (il TAR del Lazio-Roma, come sostenuto nella
ripetuta ordinanza n. 1664/2007 di tale Tribunale), ovvio essendo –ed è appena il caso di rilevarloche tale esigenza non è in alcun modo contemplata e consacrata nella nostra Costituzione.
7)Gli interventi ad adjuvandum della Provincia Regionale di Catania, del Comune di Catania
e della Confederazione Nazionale Nuovi Consumatori Europei sono ammissibili.
In particolare, l’interesse ad intervenire del Comune di Catania, Ente esponenziale cui
compete la cura e la tutela degli interessi della collettività locale, trova la sua fonte nell’art. 13 T.U.
Autonomie Locali, il quale stabilisce che spettano al Comune tutte le funzioni amministrative che
riguardano la popolazione ed il territorio comunale, precipuamente nei settori organici dei servizi
alla persona e alla comunità, dell’assetto e dell’utilizzazione del territorio e dello sviluppo
economico.
Dunque è evidente che il Comune di Catania abbia un sostanziale interesse ad intervenire,
proprio perché il provvedimento del Giudice sportivo, fortemente lesivo della dignità e del decoro
dell’intera popolazione catanese, ha causato un gravissimo danno all’immagine della città, dal
momento che ha accomunato persone per bene a delinquenti, ed ha causato un grave danno
all’economia della città.
130
NOTE A SENTENZA
La crisi del calcio…
Analogo discorso può essere svolto in relazione alla costituzione in giudizio della Provincia
regionale di Catania, Ente esponenziale di un comprensorioancora più esteso del Comune
Capoluogo.
Anche la costituzione in giudizio dell’Associazione dei consumatori è ammissibile.
In proposito, il Consiglio di Stato, in Adunanza plenaria, ha stabilito, con la recente sentenza
n. 1 dell’11 gennaio 2007, che “le associazioni dei consumatori possono sempre esperire azioni per
l’annullamento di atti amministrativi ritenuti pregiudizievoli nel termine decadenziale decorrente,
di norma, dalla pubblicazione – ai sensi dell’art. 2 del R.D. 17 agosto 1907, n. 642- non essendo
detti organismi i diretti destinatari degli atti stessi…in vista della salvaguardia dell’interesse
collettivo perseguito”.
Per quanto concerne, invece, le intervenienti Arena Artura Grazia, Arena Raimonda, Grasso
Rosina, Di Mauro Rosa ed Anastasi Nunziata, il Collegio non può fare a meno di pronunciare
l’inammissibilità di tale intervento, atteso che tali cinque persone sono abbonate per assistere alle
partite interne del Catania Calcio e vantano, quindi, un interesse personale e diretto ad impugnare i
provvedimenti in epigrafe.
Tuttavia, atteso che tale intervento è tempestivo (con riferimento al termine di scadenza dei
provvedimenti in questione), è stato ritualmente notificato e contiene tutti gli elementi propri di un
normale ricorso, l’atto di intervento in questione va convertito in ordinario ricorso (giurisprudenza
pacifica).
Conseguentemente, le predette cinque intervenienti acquistano lo status di ricorrenti
principali, limitatamente alla domanda di annullamento, non avendo proposto domanda risarcitoria.
8) Come già affermato con il decreto presidenziale n. 401 del 4 aprile 2007, il ricorso si basa
su una serie di motivi di censura che vanno condivisi.
a)Con un primo motivo di gravame si deduce la violazione dell’art. 1, comma 1, in relazione
all’art. 10, comma 1, del codice di giustizia sportiva, atteso che i tragici fatti del 2 febbraio 2007,
nonostante si siano svolti in un momento successivo allo svolgimento della gara Catania-Palermo e,
soprattutto, all’esterno dell’impianto sportivo, hanno dato luogo sostanzialmente ad una sorta di
responsabilità automatica per la società calcistica etnea (ipotesi prevista soltanto per l’ipotesi in cui
i disordini si verifichino all’interno dell’impianto), con conseguente violazione del succitato art. 10
il quale, in relazione ad eventuali incidenti ricadenti al di fuori dell’impianto, impone che la relativa
responsabilità venga pronunciata quantomeno attraverso la prova che la società interessata abbia
131
NOTE A SENTENZA
La crisi del calcio…
contribuito al loro accadimento “con interventi finanziari o con altre utilità, alla costituzione ed al
mantenimento di gruppi, organizzati e non, di propri sostenitori”.
b)Anche il secondo collegato motivo di censura va condiviso; con esso si
deduce la
violazione dell’art. 11, comma 1°, ultimo inciso, che così recita: “la responsabilità è esclusa quando
il fatto è commesso per motivi estranei alla gara”, atteso che i gravi incidenti in questione non
appaiono conseguenti ad alcun episodio relativo allo svolgimento della gara (di solito, l’aggressione
alle Forze dell’ordine rappresenta l’estensione di una protesta indirizzata, in primo luogo, ai
protagonisti dell’evento calcistico; soprattutto, il direttore di gara).
Nel comunicato ufficiale n. 227 del 14 febbraio 2007 si evidenzia che i disordini erano già
cominciati durante lo svolgimento dell’incontro; ciò risponde a verità; ma non sussiste alcun nesso
di causalità tra gli i comportamenti, prettamente “vandalici”, verificatisi all’interno dello stadio
“Massimino” e quelli, assolutamente criminali, chiaramente finalizzati all’aggressione delle Forze
dell’Ordine, probabilmente pianificati da tempo, verificatisi successivamente nelle adiacenze dello
stadio.
c) Condivisibile si appalesa anche il terzo motivo di censura, con i quali si deduce che i
provvedimenti
sanzionatori
impugnati
omettono
completamente
di
valutare
l’effettiva
collaborazione prestata dalla Società Catania Calcio nell’identificazione dei responsabili dei tragici
episodi, come imposto, invece, dall’art. 11, comma 6, del più volte menzionato codice di giustizia
sportiva;
d) Fondato è anche il quarto motivo, con cui si sottolinea la carenza e la contraddittorietà
della motivazione, atteso che, mentre da un lato si riconosce l’estraneità dei tragici fatti alle
vicende di gioco, subito dopo si ritiene inequivoca la responsabilità della Società;
e)Giustamente si sottolinea, poi, l’evidente contrasto tra i provvedimenti impugnati e gli
inderogabili principi dell’ordinamento, consacrati in apposite norme di rango costituzionale (art. 2 e
27, comma 1, della Costituzione) o di legge ordinaria (artt. 1 e 134, ultimo comma, .U.L.P.S. ),
palesandosi, in particolare, il principio della responsabilità oggettiva, specie alla luce della rigida
applicazione che ne viene praticata, come contrario ai principi dell’ordinamento giuridico vigente.
Qualunque sia la teoria preferita in ordine alla pluralità degli ordinamenti giuridici, resta
fermo che l’ordinamento sportivo, per funzionare normalmente, deve godere di un notevole grado
di autonomia.
132
NOTE A SENTENZA
La crisi del calcio…
Tuttavia quest’ultima, per quanto ampia e tutelata, non può mai superare determinati confini,
che sono i confini stessi dettati dall’ordinamento giuridico dello Stato.
E tali fondamentali principi valgono non solo per l’ordinamento sportivo, ma anche per
l’autonomia di ogni formazione sociale, pur se riconosciuta dalla
Costituzione:confessioni
religiose, università, accademie, istituzioni di cultura, sindacati…
Né potrebbe, in senso contrario, sostenersi che la F.I.G.C., in quanto
assoggettata alle
direttive impartite dalla U.E.F.A., organismo che opera in sede internazionale, sia tenuta a recepire
pedissequamente ed acriticamente tali direttive medesime, atteso che alla U.E.F.A. non è comunque
considerata un “soggetto di diritto internazionale” e che, in ogni caso, ogni recepimento normativo
o regolamentare va comunque inquadrato all’interno delle norme di legge e dei principi
costituzionali vigenti.
Tali principi si stanno affermando anche all’estero: il Tribunale Amministrativo di Parigi,
adito dalla locale squadra di calcio del Paris Saint Germain, con decisione del 16 marzo 2007, ha
annullato la sanzione della squalifica del campo di gioco, comminata alla squadra medesima da tutti
li Organi di giustizia sportiva della Federazione francese, statuendo che “la responsabilità oggettiva
di cui all’art. 129, c. 1, del regolamento Federale viola il principio costituzionale della personalità
della pena”.
Inoltre, è fondamentale rilevare che, nel caso di specie, mancano alcuni requisiti integranti
l’ipotesi della responsabilità oggettiva, quale delineata da dottrina e giurisprudenza; ed invero, tra la
condotta e l’evento dannoso deve essere rinvenibile un nesso di causalità materiale ben individuato
e, inoltre, l’agente deve avere volontariamente tenuto un condotta che di per sé costituisce illecito,
in ossequio al noto principio “qui in re illecita versatur tenetur etiam pro casu”.
Nel caso di specie, come è evidente, manca qualsiasi nesso di causalità tra i fatti dannosi
verificatisi ed il comportamento tenuto dai ricorrenti.
In sostanza, i ricorrenti sono stati colpiti dalla sanzione non perché abbiano fatto o non
abbiano fatto alcunché, ma solo in quanto appartenenti ad una categoria generale ed astratta.
Quindi, ben può affermarsi che, nel caso di specie, non si sono applicate delle pesanti sanzioni
per una caso di responsabilità oggettiva, bensì per una forma di responsabilità “per fatto altrui”.
Pertanto, si appalesano illegittimi non soltanto gli impugnati provvedimenti sanzionatori per
i “vizi” evidenziati, ma anche le stesse norme del regolamento “Codice di giustizia sportiva” della
F.I.G.C., nella misura in cui, introducendo una tale forma di “responsabilità oggettiva” si pongono,
fra l’altro, in contrasto con l’art. 27 della Costituzione.
133
NOTE A SENTENZA
La crisi del calcio…
Conseguentemente, vanno annullati sia l’art. 9, commi 1 e 2 (che sostanzialmente pongono a
carico delle società sportive un onere di vigilanza non consentito dal T.U.L.P.S.), sia l’art. 11 di tale
regolamento.
9)Va ora esaminata la domanda risarcitoria proposta dai ricorrenti contestualmente all’azione
di annullamento dei provvedimenti impugnati.
Anche tale ulteriore domanda si appalesa fondata, tenuto conto che, oltre al presupposto della
c.d. pregiudizialità amministrativa, e cioè alla necessità del previo annullamento dei provvedimenti
lesivi della sfera soggettiva (richiesto dalla prevalente e consolidata giurisprudenza amministrativa:
cfr., per tutte, A.P. del Consiglio di stato, n. 4 del 26.3.2003), sussistono nella specie tutti gli
ulteriori presupposti per accordare la chiesta tutela risarcitoria,
vale a dire tutti gli elementi
contemplati e richiesti dall’art. 2043 ai fini della risarcibilità del danno (evento dannoso, ingiustizia
del danno, sussistenza dell’elemento soggettivo della colpa della P.A. quale criterio d’imputabilità
alla stessa dell’evento).
Quanto al primo di tali elementi (evento dannoso), è appena il caso di ribadire che esso va
individuato negli impugnati
provvedimenti sanzionatori irrogati
sulla base di un’illegittima
normativa regolamentare ispirata alla responsabilità oggettiva, che rilevano quale fatto illecito
produttivo dei danni lamentati.
Come già esposto al punto 2) circa la c.d. tutela aquiliana del credito, l’impossibilità di
assistere alla gare interne, per i ricorrenti, non deriva di certo da inadempimento colpevole
imputabile alla società calcistica, ma dalla persistenza e dalla reiterazione di atti illegittimi adottati
dalla F.I.GC., i quali hanno inciso dall’esterno sul rapporto già instaurato tra i ricorrenti e la società
medesima.
Pertanto, l’ingiustizia del danno è evidente in quanto, come più volte sottolineato, tali
provvedimenti illegittimi hanno inciso, ledendoli, su diritti soggettivi perfetti dei ricorrenti (diritto
di credito e diritti personali inviolabili precedentemente indicati).
Quanto, poi, all’elemento soggettivo della colpa della P.A. (nella specie, gli
Organi di
giustizia sportiva della F.I.G.C.), è sufficiente ricordare che, alla stregua dell’ormai consolidato
orientamento
giurisprudenziale,
l’imputazionedella
responsabilità
alla
P.A.
per
illecito
extracontrattuale può e deve essere effettuata non già sulla base del mero dato obiettivo
dell’illegittimità del provvedimento, bensì ancorandola alla valutazione della colpa non dei singoli
funzionari agenti (da riferire ai parametri della negligenza o imperizia)
134
NOTE A SENTENZA
La crisi del calcio…
ma della P.A. intesa come apparato, colpa che è configurabile allorché l’adozione e
l’esecuzione dell’atto illegittimo (lesivo dell’interesse del danneggiato) sia avvenuta in violazione
delle regole di correttezza, imparzialità di buona amministrazione, alle quali l’esercizio della
funzione amministrativa deve ispirarsi, e che il giudice deve valutare (cfr., fra le tante, Consiglio di
Stato, n. 500/1999, e Consiglio di Stato-Sezione 5^, n. 1307 del 19.3.2007, paragrafi da 87 a 111).
E’ appena il caso, inoltre, di ricordare che l’onere del soggetto danneggiato di provare tutti gli
elementi costitutivi della domanda di risarcimento (danno, nesso di casualità, colpa), ai sensi
dell’art. 2697 c.c., può essere adempiuto anche attraverso prove indirette quali le presunzioni di cui
agli artt. 2727 e 2729 c.c., di guisa che l’accertata illegittimità del provvedimento ritenuto lesivo dei
diritti e degli interessi del danneggiato ricorrente può rappresentare, nella normalità dei casi,
l’indice (grave, preciso, concordante) della colpa dell’Amministrazione (cfr., fra altre, Consiglio di
Stato-Sezione 5^, n. 1307/2007, citato, paragrafi 100 e 101).
Nella specie, l’onere della prova ex art. 2697 c.c., relativamente agli elementi costitutivi della
domanda risarcitoria, può ritenersi adempiuto sia con riferimento all’”an” ed al “quantum” del
danno patrimoniale che all”an” di quello non patrimoniale (del quale viene chiesta la liquidazione in
via equitativa, non essendo, ovviamente, determinabile).
A)In ordine alla prima componente del danno, quello patrimoniale, i ricorrenti deducono la
loro impossibilità di continuare ad utilizzare l’abbonamento alle partite casalinghe del torneo, e ciò
in relazione a tutte le partite (ben otto) ancora da disputarsi dopo il 2 febbraio 2007.
Si ricorda, in proposito, che i ricorrenti medesimi, fino al 30 giugno c.a.,non possono accedere
a qualunque stadio d’Italia ove si svolgono le partite casalinghe del Catania; i ricorrenti hanno
allegato al ricorso copia del relativo “tesserino”.
Orbene, agli 82 ricorrenti (e soltanto ad essi) va rimborsato dalla F.I.G.C. una quota parte del
costo dell’abbonamento, in relazione agli incontri cui essi non hanno pututo assistere a causa del
divieto derivante dagli atti impugnati.
B)In ordine, poi, al danno non patrimoniale (o danno morale) subito, i
ricorrenti lo
configurano, chiedendone il risarcimento per equivalente, sotto il profilo del danno esistenziale e
del danno all’immagine, all’onoreed al decoro.
135
NOTE A SENTENZA
La crisi del calcio…
B1) Quanto al primo di tali profili, occorre in estrema sintesi ricordare, sul filo dei principi
generali, che esso viene configurato dalla dottrina e dalla giurisprudenza quale danno derivante da
qualsiasi illecito o torto che leda interessi rilevanti per la sfera personale dell’individuo,
compromettendo od ostacolando le attività realizzatrici della persona umana, e quindi quale
categoria nella quale confluiscono, in ultima analisi, tutti gli impedimenti che l vittima è destinata a
subire con riguardo ad attività che contribuiscono alla propria realizzazione individuale (cfr., per
l’affermazione di tali principi, fra le tante, Cassazione civile, 7.6.2000, n. 7713; Corte
Costituzionale, 14.7.1986, n. 184; Tribunale di Torino, 8.8.1995).
B2) Quanto al lamentato danno all’immagine, all’onore e al decoro, deve preliminarmente
osservarsi che tale figura, in realtà, alla stregua delle categorie concettuali enucleate ed elaborate in
base ai vigenti referenti normativi ed alle più recenti acquisizioni del dibattito giuridico in continua
evoluzione, come danno all’onore ed alla reputazione (o, se si vuole, all’immagine sociale), più
che all’immagine in senso proprio.
In estrema sintesi, e quindi negli stretti limiti in cui tale nozione rileva nella presente
controversia, si può affermare che il diritto all’onore è uno dei diritti fondamentali della persona,
come emerge dal richiamo alla dignità personale contenuto negli artt. 3, 32 e 41 della Costituzione,
e conseguentemente nel catalogo “aperto” di cui all’art. 2 della Costituzione.
La lesione di tale diritto inviolabile provoca ovviamente multiformi conseguenze dannose di
carattere morale (e, a volte, anche di carattere psico-fisico) legate all’insorgere del sentimento di
vergogna che nasce dalla perdita pubblica della propria immagine personale.
Nel caso di specie, anche se in maniera necessariamente larvata, i mezzi televisivi ed i
giornali, sportivi e non, lanciano dei “messaggi” che non depongono di certo per l’immagine non
solo degli sportivi catanesi, ma di tutta la collettività.
C) Circa il problema della quantificazione del danno esistenziale e del danno all’onore ed alla
reputazione, i ricorrenti chiedono una valutazione equitativa. Procedendo, qundi, a tale valutazione,
ai sensi dell’art. 2056, 1° comma, e dell’art. 1226 c.c., ilCollegio ritiene equa una liquidazione, in
favore di ciascuno dei ricorrenti,della somma di € 500,00 (cinquecento/00) a titolo di risarcimento
del danno esistenziale, e di € 500,00 (cinquecento/00) a titolo di risarcimento del danno all’onore e
alla reputazione, da porre a carico dell’intimataF.I.G.C.
10)In definitiva, vanno annullati, nei limiti dell’interesse, tutti gli atti impugnati.
136
NOTE A SENTENZA
La crisi del calcio…
Appare opportuno sottolineare che, atteso il carattere collettivo di tali provvedimenti, un tale
annullamento ha efficacia erga omnes; pertanto, la cancellazione della squalifica del campo di
gioco del Catania Calcio avrà effetti non soltanto per i ricorrenti, ma anche per gli altri abbonati e
per chi chiederà di assistere legittimamente alle competizioni “casalinghe” della squadra.
11)Con memoria depositata alla Camera di consiglio del 13 aprile 2007, è stata avanzata,
all’uopo, contestuale richiesta di nomina di un Commissario ad acta, non residuando il tempo utile
per espletare un eventuale giudizio di ottemperanza, essendo peraltro notorio che in passato gli
Organi federali della F.I.G.C. si sono ripetutamente e sistematicamente rifiutati di dare spontanea
esecuzione ai provvedimenti emessi dall’Autorità giudiziaria (ed anche di questo T.A.R.).
L’istanza non può essere ritenuta ammissibile, atteso che essa avrebbe dovuto essere proposta
con atto notificata alle controparti.
12)Per quanto concerne le spese giudiziali, infine, sussistono giusti motivi perdisporne la
compensazione.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia-Sezione staccata di Catania-Sez. 4^
ACCOGLIE il ricorso in epigrafe ed annulla, per l’effetto, gli atti sanzionatori impugnati e gli artt.
9, commi 1 e 2, e 11 del regolamento “Codice di giustizia sportiva” , egualmente impugnati, con gli
effetti esposti in motivazione.
Condanna l’intimata F.I.G.C. al parziale rimborso del costo dell’abbonamento in favore degli
originari ricorrenti, nonché al risarcimento del danno morale, che viene liquidato in Euro 1.000
(mille) per le causali indicate in motivazione in favore degli stessi 82 ricorrenti.
Spese Compensate
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa.
Si autorizza la notifica anche soltanto a mezzo fax e, se del caso, per via
telematica (art. 12 legge n. 205/00) della presente sentenza.
Così deciso in Catania, nella Camera di consiglio del 13 aprile 2007.
137
NOTE A SENTENZA
La crisi del calcio…
LA CRISI DEL CALCIO TRA IL TERZO CASO CATANIA
E L’ENNESIMO RIMEDIO ALL’ITALIANA
di Alessio Piscini (*)
SOMMARIO:
1) Premessa.
2 ) L’ordinanza n. 1664/2007 del T.A.R. Lazio – Roma
3 ) La sentenza n. 679/07 del T.A.R. Sicilia – Catania
4) Conclusioni.
138
NOTE A SENTENZA
La crisi del calcio…
1) Premessa
Al di là di ogni considerazione tecnico-giuridica, ai fini di una miglior comprensione delle
sentenze in esame – e della temperie da cui sono emerse – è necessario non solo affrontare le
questioni in rito e merito che hanno interessato i Tribunali amministrativi, ma anche affiancare a
tale analisi il racconto giornalistico degli eventi occorsi in seguito alla morte dell’ispettore capo di
Polizia Filippo Raciti, avvenuta in occasione della partita di calcio Catania-Palermo del 2 febbraio
2007, mentre effettuava servizio d’ordine all’esterno dell’impianto sportivo “A. Massimino” di
Catania.
Simile nota programmatica è necessaria perché, a discapito della indiscutibile competenza dei
giudici, sportivi e non, che hanno affrontato le complesse questioni, altrettanto indiscutibile è la
fusione di ragion pratica e ragion pura che ha informato l’iter complessivo della sanzione
disciplinare irrogata alla Catania Calcio S.p.A. per responsabilità oggettiva con riferimento alle
violenze compiute dai propri tifosi e che ha condotto, infine, ad un accordo (ci sia passato il
termine: “meta-giuridico”) tra la società professionistica e la F.I.G.C. avanti alla Camera di
Conciliazione e Arbitrato dello Sport del C.O.N.I., a chiusura di una battaglia giudiziaria che,
purtroppo, il travagliato calcio degli ultimi hanno ha facilmente metabolizzato.
Questi gli antefatti:
Il 2 febbraio 2007, come ricordato, l’ispettore capo di Polizia Filippo Raciti decede poco dopo
la gara Catania-Palermo, a causa dell’impatto, avvenuto all’esterno dello Stadio, con un corpo
contundente lanciato da tifosi del Catania.
A seguito dell’evento, il Giudice Sportivo della Lega Nazionale Professionisti, con il
provvedimento n. 67 pubblicato nel Comunicato Ufficiale F.I.G.C. n. 227 del 14 febbraio 2007, in
applicazione delle norme del Codice di Giustizia Sportiva nella formulazione allora vigente,
dispone a carico del Calcio Catania S.p.A. la squalifica del campo di giuoco sino al 30 giugno 2007,
con obbligo di disputa delle gare a porte chiuse, oltre alla sanzione di € 50.000,00; in particolare,
l’allora art. 11 del Codice di Giustizia Sportiva, richiamato nella decisione, distingue chiaramente,
riguardo la responsabilità della società sportiva per i fatti dei propri tifosi, tra le manifestazioni
violente commesse fuori dello stadio e quelle commesse all’interno dello stesso, prevedendo, ai fini
della punibilità delle prime, che questi debbano verificarsi nell’immediatezza cronologica della gara
139
NOTE A SENTENZA
La crisi del calcio…
e nelle immediate vicinanze dello Stadio, e debbano esser originate da soggetti che ricevano dalla
società contributi o altra utilità, in violazione dell’art. 10, medesimo Codice1.
Pur nel precedente quadro normativo, il Giudice di prime cure sportive ritiene non rilevante,
nella fattispecie, la localizzazione degli scontri che avevano condotto alla morte dell’ispettore
Raciti, poiché “la dinamica degli eventi……induce a ritenere….che l’intollerabile aggressione alle
Forze di Polizia sia stata connotata da un’unicità di programmazione e da un coordinamento
nell’azione che all’interno dello stadio si generava, si organizzava, si rafforzava e si alimentava.” e
per questo applicando la c.d. “responsabilità oggettiva” nei confronti della società per il
complessivo atteggiamento dei tifosi in occasione della gara. Simile conclusione, peraltro, non è
frutto di riflessioni del Giudice Sportivo, ma viene desunta espressamente dalla nota informativa
trasmessa all’Ufficio Indagini della F.I.G.C. dalla Procura della Repubblica di Catania ai sensi
dell’art. 2, comma 3, Legge 13 dicembre 1989, n. 4012 e, dunque, da un atto avente pubblica fede.
La decisione del Giudice Sportivo viene ritualmente impugnata, in sede di giustizia sportiva,
dal Catania Calcio S.p.A., ma è integralmente confermata sia dalla Commissione Disciplinare della
Lega Nazionale Professionisti3 sia dalla Commissione d’Appello Federale della F.I.G.C.4; a tal
punto, si perfeziona il “giudicato federale”.
Alla società etnea, che spergiura, tramite i suoi dirigenti, di voler rispettare le decisioni delle
Istituzioni sportive, non resta che adire la Camera di Conciliazione e Arbitrato dello Sport del
C.O.N.I., i cui tempi tecnici non lasciano però ben sperare per la tempestività della pronuncia nei
termini del Campionato di Serie A.
Nel frattempo, la squalifica diviene esecutiva e alla prima squadra del Catania si palesa la
prospettiva di giocare in campo neutro e a porte chiuse le proprie residue gare di Campionato, con
notevole pregiudizio del rendimento sportivo.
In tale temperie spunta in modo inaspettato il sig. Michele Pennisi, capofila di 82 intrepidi
catanesi, il quale si rivolge, assieme agli altri, a due avvocati affinché siano tutelati i propri diritti di
abbonato del Catania Calcio.
1
Sul punto, F. Bagattini, A. D’Avirro, M. Ducci, M. Giglioli, M. Taddeucci Sassolini, Guida al Codice di Giustizia Sportiva, Firenze,
2005, 133.
2
Ai sensi di tale normativa, in punto di autonomia tra procedimento disciplinare e procedimento penale, “gli organi della disciplina
sportiva, ai fini esclusivi della propria competenza funzionale, possono chiedere copia degli atti del procedimento penale ai sensi
dell'articolo 116 del codice di procedura penale fermo restando il divieto di pubblicazione di cui all'articolo 114 dello stesso codice.”
3
Si veda C.U. Lega Nazionale Professionisti n. 236 del 22 febbraio 2007.
4
Si veda C.U. F.I.G.C. n. 41/C del 20 marzo 2007.
140
NOTE A SENTENZA
La crisi del calcio…
Nelle intenzioni di questi tifosi, la giustizia avrebbe dovuto reintegrare i titolari di
abbonamento per le partite interne del Catania sia nel leso diritto di credito – e, dunque, relativo –
ad esser presenti alle gare interne della squadra del cuore sia nei diritti assoluti alla dignità (e alla
regolarità dell’esistenza) di sportivo catanese.
Per questo, nei primi giorni di aprile 2007, viene presentato avanti al Tribunale
Amministrativo della Regione Sicilia – Sezione distaccata di Catania un ricorso avverso il
provvedimento di squalifica del campo e obbligo di giuoco a porte chiuse emanato dal Giudice
Sportivo della L.N.P. e quindi confermato dalle Corti federali degli ulteriori gradi, nonché avverso
gli artt. 9, 11 e 14 del Codice di Giustizia Sportiva della Federazioni Italiana Giuoco Calcio.
Ulteriormente, i ricorrenti chiedono il rimborso del prezzo e risarcimento del danno patrimoniale e
non patrimoniale patito e, soprattutto, l’emissione, in via cautelare, di provvedimento provvisorio di
sospensione per la sussistenza dei requisiti di “estrema gravità e urgenza”5.
Il ricorso, nella sua sostanza, lamenta l’illegittimità delle pronunce sportive, poiché queste
ultime avrebbero sostanzialmente imputato una responsabilità “automatica” in capo alla società
Catania Calcio S.p.A. senza curarsi di dimostrare la correità della stessa negli avvenimenti,
quantomeno tramite contributi finanziari o altre utilità ai gruppi di tifosi coinvolti negli scontri al di
fuori dello stadio, né compiutamente verificando l’estranietà dei motivi di scontro con la gara, causa
esimente di punibilità ai sensi dell’art. 11, comma 1, u.cpv., C.G.S..
La palla, perciò rotola di nuovo al T.A.R. Sicilia-Catania che, dopo il riposo di qualche anno,
è ancora pronto a stupire6.
- il decreto presidenziale n. 401/2007 del T.A.R. Sicilia-Catania
La Corte etnea non perde tempo e il Presidente, investito della questione, ritenutala degna di
approfondimento, in data 4 aprile 2007, deposita, inaudita altera parte, decreto con il quale
vengono sospesi tutti gli atti impugnati, con effetto immediato e efficacia erga omnes.
5
Art. 3, c. 2, L. 21 luglio 2000 n. 205, di modifica dell’art. 21, L. 6 dicembre 1971 n. 1034.
6
Il riferimento è al c.d. “caso-Catania” (il secondo, per la verità), scatenato con la pronuncia T.A.R. Sicilia-Catania, ord. 5 giugno
2003, n. 958, cui seguirono in poco tempo le altre decisioni T.A.R. Sicilia-Catania, ord. 13 agosto 2003, n. 1408, T.A.R. CalabriaReggio Calabria, decreto 14 agosto 2003 e T.A.R. Calabria-Reggio Calabria, sent. 25 agosto 2003. In quel caso, sotto la lente delle
corti amministrative era la mancata ammissione della prima squadra del Catania Calcio S.p.A. al Campionato di Serie B per la
stagione 2003/2004, a seguito sia di una decisione disciplinare sulla regolarità della gara Catania-Siena del 12 aprile 2003, sia della
asseritamente illegittima ammissione di alcune società al medesimo Campionato, pur in presenza di illeciti amministrativi. Anche in
quel caso, le decisioni cautelari del T.A.R. locali crearono difficoltà e scompiglio alla Federazione che, all’esito di una intensa
battaglia giudiziaria, decise di ampliare l’organico del Campionato di Serie B a 24 squadre. Per un più esaustivo commento alla
vicenda, P. Moro, A. De Silvestri, E. Crocetti Bernardi, E. Lubrano, La Giustizia Sportiva, Trento, 2004, 115 e ss.; in epoca più
remota, il T.A.R. Sicilia-Catania si era reso protagonista di un altro clamoroso annullamento, quello del provvedimento di esclusione
del Catania Calcio S.p.A. dal Campionato di Serie C1, con nomina di commissari ad acta e il risultato finale della co-presenza di due
calendari, uno stilato dalla F.I.G.C. e uno dai commissari nominati giudizialmente: per un riepilogo della vicenda si può consultare la
monografia dello scrivente, Il Tesseramento di un alteta: natura giuridica dell’atto e dei vincoli conseguenti, Firenze, 2003, 76 e ss.
141
NOTE A SENTENZA
La crisi del calcio…
Le motivazioni sono così sviluppate: la legittimazione ad agire dei ricorrenti discende
dall’interesse sostanziale dei titolari di abbonamento alla corretta esecuzione del contratto stipulato,
interesse sostanziale che “si appalesa come personale, diretto e concreto”.
Procedendo a tale stregua, il Presidente rileva come alla fattispecie non possa applicarsi il
dettato della L. 280 del 7 ottobre 2003, in materia di giustizia sportiva, poiché questa avrebbe
efficacia esclusivamente per i soggetti “interni all’ordinamento sportivo”. Pertanto, la competenza
territoriale esclusiva del T.A.R. Roma – Lazio, come istituita dall’art. 3 della sopra citata legge, non
ha validità nei confronti del sig. Pennisi e degli altri ricorrenti7.
In tal modo, sgombrato il campo sulle presunte irritualità della procedura, il Presidente del
T.A.R. Sicilia-Catania passa al merito dell’istanza cautelare, verificando sia la sussistenza del
periculum in mora (costituito dall’impossibilità ad utilizzare l’abbonamento, quale danno
patrimoniale in fieri, e dell’ulteriore danno non patrimoniale sostanziato nel danno esistenziale e nel
danno all’immagine e al decoro patito dai tifosi del Catania in seguito alla squalifica) sia del fumus
boni iuris (con riferimento alla già citata estraneità degli scontri tra tifosi e polizia ai fatti di giuoco
e alla mancanza di responsabilità provata, ai sensi del Codice di Giustizia Sportiva, in capo al
Catania Calcio S.p.A.).
In particolare, l’estensore scomoda anche il Tribunale Amministrativo di Parigi, citato
laddove, in un caso analogo, aveva annullato la squalifica del campo comminata nei confronti di
una squadra francese perché il principio della c.d. “responsabilità oggettiva” viola il basilare dettato
costituzionale della personalità della pena8, comune a tutti i regimi liberaldemocratici.
Per tutti questi motivi, al Presidente consequenzialmente sospende tutti gli atti impugnati e
rende inutiliter data la squalifica a suo tempo comminata dalla giustizia sportiva.
7
Val la pena di ricordare che, recentemente, il T.A.R. Puglia-Bari, sez. II, con sentenza 401/2007 ha espressamente affermato la
natura inderogabile della competenza territoriale del T.A.R. Lazio-Roma in materia di impugnazioni degli atti federali, pur essendo il
ricorso ivi in esame promosso da un tesserato; si veda questa rivista, n. 1/2007, 188 e ss.
8
Tribunale Amministrativo di Parigi, IV sect., III ch., 16 marzo 2007: per un confronto critico tra le sentenze amministrative italiane
e francesi, V. Forti, Riflessioni in tema di diritto disciplinare sportivo e responsabilità oggettiva, Rivista di Diritto ed Economia dello
Sport, n. 2/2007, 13 e ss.
142
NOTE A SENTENZA
La crisi del calcio…
2 ) L’ordinanza n. 1664/2007 del T.A.R. Lazio – Roma
La F.I.G.C., tuttavia, immediatamente esprime la volontà di non piegarsi alle decisioni
siciliane, e passa al contrattacco con una mossa davvero singolare. Difatti, a distanza di pochi giorni
dal decreto presidenziale sopra analizzato, deposita atto di riproposizione in riassunzione della
causa presso il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio.
La strategia fa forza su una interpretazione estensiva dell’art. 3, L. n. 280/07, rubricato:
“norme sulla giurisdizione e disciplina transitoria”.
Al comma 4, unico riservato alla disciplina transitoria, l’articolo sopra citato così recita: “le
norme di cui ai commi 1, 2 e 3 (sulla competenza territoriale esclusiva del T.A.R. Lazio, ndr) si
applicano anche ai processi in corso e l’efficacia delle misure cautelari emanate da un tribunale
amministrativo diverso da quello di cui al comma 2 è sospesa fino alla conferma, modifica o revoca
da parte del tribunale amministrativo regionale del Lazio con sede in Roma, cui la parte
interessata può riproporre il ricorso e l’istanza cautelare entro il termine di cui all’art. 31, comma
undicesimo, della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, decorrente dalla data di entrata in vigore del
presente decreto e ridotto della metà”.
Evidentemente, a dispetto del tenore letterale, la F.I.G.C. ritiene che il dettato normativo
possa applicarsi ad ogni controversia soggetta alla legge medesima.
Ciò che pare sinceramente incredibile non è che la difesa della F.I.G.C. abbia tentato di
fuggire dal T.A.R. siciliano. Piuttosto, ciò che è incredibile è che il T.A.R. del Lazio, nella Sezione
terza ter, specializzata in materia sportiva, abbia aderito a una così avventurosa interpretazione,
sviluppando una serie di criticabilissime argomentazioni.
In particolare, il T.A.R. capitolino valuta ammissibile l’atto di riproposizione in riassunzione,
ritenendo che la disciplina contemplata nell’art. 3, ultimo comma, della L. 280/2003, “sia pur
espressamente per la fase transitoria” sarebbe espressione di “un principio di carattere generale”
teso ad accentrare tutte le controversie sportive presso la competenza del T.A.R. di Roma. Come
tale, stante la sua generalità, il principio deve intendersi – estensivamente - applicabile a tutte le
controversie in subjecta materia, qualora proposte avanti a Giudice incompetente.
Ulteriormente argomentando, il Tribunale supera anche l’obiezione – logica – secondo cui
legittimato alla riassunzione, dal tenore della norma, sarebbe esclusivamente il ricorrente, ritenendo
che la ratio della disciplina conduca piuttosto alla legittimazione di ogni parte interessata, sempre in
virtù dei “generalissimi principi” (!) difesi della norma transitoria.
143
NOTE A SENTENZA
La crisi del calcio…
Raggiunte tali certezze, la pronuncia brevemente rammenta come la L. n. 280/2003 preveda la
giurisdizione esclusiva del Tribunale Amministrativo per tutti gli atti emanati da CONI e
Federazioni nazionali i quali non esauriscano la loro incidenza “nell’ambito strettamente sportivo,
ma rifluiscano nell’ordinamento generale dello Stato”. In tal modo, si raggiunge un duplice
obiettivo: da un lato, viene rafforzata l’estensiva giurisprudenza attuale per cui le Federazioni
Sportive, quali organi del C.O.N.I., operano alla stregua di enti pubblici nella maggior parte delle
loro attività (con buona pace dell’art. 2, legg. b, L. 280/2003, in punto di materie riservate
all’autonomia sportiva9); dall’altro, la “oggettività” del criterio di applicazione, legato alla natura
degli atti impugnati, condivisibilmente priva di rilevanza giuridica il fatto che i ricorrenti non siano
tesserati.
Sgombrato il campo dalle questioni in rito, il merito della vicenda viene affrontato in poche
righe, nelle quali sono sostanzialmente difese le motivazioni del Giudice Sportivo, sulla
considerazione che i fatti violenti del 2 febbraio 2007 abbiano avuto unicità dinamica e
programmatica tale da impedire una chiara scissione tra gli accadimenti esterni e quelli interni
all’impianto sportivo. Si badi bene, anche in questo caso non è invocata l’autonomia
dell’ordinamento sportivo: piuttosto, la corte amministrativa giudica sul merito della vicenda,
giungendo alle medesime conclusioni dei tribunali federali.
Tutto ciò premesso, il T.A.R. Lazio conclude per una valutazione preliminare di infondatezza
del ricorso depositato dal sig. Pennisi e altri, con conseguente reiezione delle domande cautelari
avanzate.
3 ) La sentenza n. 679/07 del T.A.R. Sicilia – Catania
Come pronosticabile, la partita non è finita.
A tempo di record, il 13 aprile 2007 il T.A.R. Sicilia-Catania celebra l’udienza di discussione
dell’istanza cautelare. All’esito dell’audizione delle parti, il Tribunale, applicando gli artt. 21 e 26,
L. 6 dicembre 1971, n. 1034, ritenuta la completezza del contraddittorio e dell’istruttoria, assieme
alla domanda cautelare decide del merito, depositando la relativa e definitiva pronuncia in data 19
aprile 2007.
9
La giurisprudenza è costante sul punto (a titolo esemplificativo, T.A.R. Lazio, Sez. III, 22 agosto 2006 ord. n. 4666 e anche il
recente T.A.R. Lazio, Sez. III, 21 giugno 2007, sent. n. 5645). Va da sé come, nel caso di società professionistiche – e comunque di
buon livello dilettantistico – qualsiasi provvedimento disciplinare eccedente le giornate di squalifica di un atleta produca una lesione
economicamente apprezzabile e, dunque, sfugga nelle sue conseguenze all’ambito meramente sportivo.
144
NOTE A SENTENZA
La crisi del calcio…
Ricapitolando, in meno di un mese la vicenda ha ottenuto tre pronunce di tre differenti
Giudici, delle quali una conclusiva di un intero grado di giudizio.
A ogni operatore del diritto – che si scontra ogni giorno con i tempi della giustizia –
l’appropriato commento.
La sentenza conferma la decisione provvisoria del Presidente, e, con toni didascalici,
ripercorre la vicenda e tenta di costituire una giurisprudenza autorevole. Tuttavia, molti dubbi
permangono sulla correttezza delle argomentazioni.
Difatti, la pronuncia preliminarmente aderisce all’interpretazione circa la giurisdizione
esclusiva amministrativa in materia sportiva (con applicazione dell’art. 3, L. 280/2003), con
riguardo all’atto impugnato.
Come usuale nelle recenti sentenze analoghe, ne verbum quidem circa l’effettiva natura
amministrativa dell’atto impugnato e, anche, dell’ente emanante. Come spesso accaduto, il
Tribunali Amministrativi by-passano allegramente la questione circa la natura delle Federazioni
Sportive, pur essendo queste, a seguito della c.d. “riforma Melandri”10, divenute associazioni non
riconosciute di diritto privato: allo stato, la valenza pubblicistica ha ormai inglobato tutte le attività
federali, talché le Corti amministrative neppure si prendono la briga di motivare le ragioni della loro
“invadenza”.
Tuttavia, la pronuncia si distacca dalla corrente interpretazione con riferimento alla
competenza territoriale esclusiva, dettata dal medesimo articolo.
Difatti, la Corte catanese ritiene che, laddove i ricorrenti non siano tesserati o, comunque,
appartenenti all’agonismo programmatico delle Federazioni, questi non siano soggetti alla
competenza territoriale esclusiva del T.A.R. Lazio (con disapplicazione dell’art. 3, L. 280/2003).
Il passaggio è nebuloso, e si limita ad affermare la presenza, in capo agli ottantadue catanesi,
di un chiaro diritto soggettivo (recte, diritto relativo di credito) alla tutela del proprio contratto di
abbonamento per le partite interne della prima squadra ed anche di un “interesse legittimo” (sic!)
alla regolarità dell’amministrazione federale in capo al tifoso-abbonato, che li legittimerebbe ad
adire la giustizia amministrativa.
10
Il riferimento è all’art. 15 del D.Lgs. 23 luglio 1999 n. 242, come modificato dall’art. 1, Decreto Legislativo 8 gennaio 2004, n. 15:
“1. Le federazioni sportive nazionali e le discipline sportive associate svolgono l’attività sportiva in armonia con le deliberazioni e
gli indirizzi del CIO, delle federazioni internazionali e del CONI, anche in considerazione della valenza pubblicistica di specifiche
tipologie di attività individuate nello statuto del CONI…(omissis) 2. le federazioni sportive nazionali e le discipline associate hanno
natura di associazione con personalità giuridica di diritto privato. Esse non perseguono fini di lucro e sono soggette, per quanto non
espressamente previsto nel presente decreto, alla disciplina del codice civile e delle relative disposizioni di attuazione.”
145
NOTE A SENTENZA
La crisi del calcio…
Tuttavia, il Tribunale sostiene che la competenza territoriale esclusiva, ex art. 3, L. 280/2003,
deriverebbe in via preminente dalla sola “pregiudiziale sportiva” (ovverosia, l’obbligo dei tesserati
di percorrere tutte le fasi della giustizia endo-ordinamentale). Tale istituto, logicamente, è valido per
i soli appartenenti all’ordinamento settoriale e, non operando per ogni quisque de populo, non
potrebbe giustificare l’attrazione delle controversie introdotte da un non tesserato nella conoscenza
del Tribunale romano, con deroga al generale principio di competenza per il T.A.R. del luogo nel
quale il provvedimento da impugnare ha prodotto l’effetto lesivo.
Il ragionamento appare invero cavilloso, e poco rispondente alla ratio della normativa.
La competenza territoriale, difatti, non può derivare soltanto dalla c.d. “pregiudiziale
sportiva”, quanto, piuttosto, da una valutazione circa la natura centralistica dello sport – ed anche
dall’opportunità di creare una Corte specializzata11. Scarso valore hanno i richiami ai generali
principi di competenza interni al processo amministrativo, non essendo certo questi inderogabili.
Meno complesso, per la sentenza, è far strame della contraria pronuncia romana, laddove
viene applicata la norma transitoria sulla riproposizione delle domande cautelari ad oltre tre anni
dall’entrata in vigore della legge: l’evidente inconciliabilità del tenore letterale del testo con ogni
interpretazione differente, ad anche l’inconciliabilità dell’istituto con il concorrente, e non derogato,
regolamento di competenza, unico mezzo di risoluzione di tali conflitti aderente alle norme
processuali, appaiono sufficienti sostegni per la negazione di ogni possibilità di “fuga” da parte
della F.I.G.C. nei casi di asserita violazione delle norme sulla giustizia sportiva.
Per quel che riguarda il merito, il Tribunale catanese si esprime in modo chiaro: secondo il
giudicante, l’ipotesi della responsabilità oggettiva, per configurarsi come legittimo, anche alla
lettura delle norme sportive, e non incorrere nella violazione del più generale principio di
personalità della pena, deve esser ancorato a due requisiti specifici: “deve esser rinvenibile un nesso
di causalità materiale tra condotta ed evento dannoso” e l’agente “deve aver volontariamente
tenuto una condotta che di per sé costituisce illecito”.
Nel caso di specie, non vi sarebbe niente di tutto questo, poiché nessuna azione od omissione
specifica viene imputata alla Catania Calcio S.p.A.; vieppiù, le azioni delinquenziali sarebbero
avvenute esclusivamente fuori dello Stadio, senza che gli atti vandalici dell’interno possano esser
considerati “causali” degli stessi (sic!): in tal senso, anche la responsabilità c.d. “automatica” (sic!)
di cui al Codice di Giustizia Sportiva sarebbe mal richiamato.
11
Sul punto, E. Lubrano, La giurisdizione amministrativa in materia sportiva dopo la legge n. 17 ottobre 2003 n. 280, in P. Moro, A.
De Silvestri, E. Crocetti Bernardi, E. Lubrano, La Giustizia Sportiva, cit., 176-177.
146
NOTE A SENTENZA
La crisi del calcio…
Per tutti questi motivi, il Tribunale etneo arriva all’annullamento della sanzione impugnata, ed
anche alla condanna della F.I.G.C. al rimborso ai tifosi ricorrenti della quota-parte del costo
dell’abbonamento relativo alle partite non godute, nonché al pagamento dell’ulteriore somma di
€ 500,00 pro capite a titolo di risarcimento del danno esistenziale e all’immagine, all’onore e al
decoro patito dagli stessi, quantificato in via equitativa ai sensi dell’art. 1226 del codice civile.
Per non perdere ulteriore tempo – dando prova di una dedizione davvero eccezionale – il
Presidente della quarta sezione nomina il 19 aprile stesso, con il decreto n. 5, tre commissari ad
acta al fine di eseguire la sentenza, con ciò ritenendo di aver messo la resistente, in modo definitivo,
“alle corde”.
I postfatti:
La questione pare avviarsi, all’epoca, verso un’ennesima battaglia giudiziaria e, invece, il
“deus ex machina” è in agguato, sotto forma del Prefetto di Catania. Il rappresentante locale del
Governo, difatti, comunica celermente ad un Commissario ad acta che lo Stadio “A. Massimino”
non è agibile per la gara Catania-Ascoli del 22 aprile 2007, oltre che trovarsi sotto sequestro
giudiziario; in tal modo viene consentita, nel rispetto della legge, la disputa della gara sopra
menzionata, a distanza di dieci giorni dalla data stabilita, su campo neutro (Verona).
La soluzione di compromesso, però, è nell’aria e così, sulla scia del sig. Pennisi e company, il
Catania Calcio S.p.A. torna in gioco e, nell’udienza di conciliazione avanti alla Camera di
Conciliazione e Arbitrato del C.O.N.I., in data 8 maggio 2007, la questione si chiude con un
accordo laconico tra società e Federazione, secondo il quale la squalifica irrogata viene modificata
ed è annullato l’obbligo di porte chiuse per le ultime gare di Campionato. Per questa ragione, la
prima squadra del Catania può giocare le rimanenti partite casalinghe in campo neutro (d’altronde,
lo Stadio “A. Massimino” non è agibile e si trova sotto sequestro), ma con il supporto del pubblico.
E questa, davvero, è la parola fine.
147
NOTE A SENTENZA
La crisi del calcio…
Conclusioni
Ben poco c’è da aggiungere alla croni-storia della vicenda, e all’analisi delle sentenze. Il
giuoco del calcio, come al solito, è riuscito a dimostrare la propria importanza assoluta nella società
italiana, tale da ottenere in meno di venti giorni tre pronunce giurisprudenziali, la nomina di
commissari ad acta e l’intervento di Commissioni, Parlamenti, Prefetti e quant’altro.
Il tutto, a seguito di una tragedia che non avrebbe meritato questo epilogo, con la
dimostrazione che, al di là dell’accordo nei lamenti funebri, manca troppo spesso la concordia, pur
nelle emergenze.
Quel che resta, per un operatore del settore, delle sentenze in esame, è presto detto:
I) la certezza ormai granitica che la Legge n. 280/2003 non ha, nei fatti, modificato granché il
quadro giurisprudenziale, poiché ogni atto interno all’ordinamento può esser sindacato dalle Corti
statali qualora abbia una conseguenza “esterna” all’ambito puramente sportivo (ma qual è, l’ambito
“puramente sportivo”?)12;
II) l’analoga certezza che i Tribunali Amministrativi considerino di loro competenza l’intera
materia sportiva, senza eccezioni, e che ogni T.A.R. con facilità giunge ad attrarre nella valenza
pubblica qualsivoglia aspetto dell’attività federale;
III) il fastidioso presentimento che neppure l’art. 3, L. 280/2003, nello sforzo di stabilire un
criterio di competenza territoriale interna alla giurisdizione amministrativa per la materia sportiva,
riesca a superare indenne la radiografia giurisprudenziale, mentre riemergono le spinte “federaliste”
dei T.A.R. locali;
IV) il sorgere di un nuovo, inalienabile, diritto della personalità: ovverosia, il diritto del
cittadino a tifare dentro lo Stadio, con ogni conseguenze del caso in ordine alla regolarità della sua
esistenza, alla sua dignità e al suo decoro nel caso di impedimento illegittimo.
Con riferimento a ques’ultimo aspetto, sarebbe interessante comprendere quanto simile diritto
sia compatibile con la giurisprudenza e la dottrina più morigerate in tema di danno esistenziale, ma
la brevità connaturata a queste note non lo consentono, e si lascia l’argomento alla buona volontà
dei lettori.
12
Per approfondire l’argomento, e per una critica più esaustiva alla Legge n. 280/2003, P. Moro, A. De Silvestri, E. Crocetti
Bernardi, E. Lubrano, La Giustizia Sportiva, cit.
148
NOTE A SENTENZA
La crisi del calcio…
Piuttosto, altre considerazioni vi sarebbero sugli insegnamenti che i fatti del “Massimino”
avrebbero dovuto trasmettere al mondo del calcio. Ma, anche in questo caso, l’attuale non è la sede
più opportuna.
(*) avvocato fiduciario AIC ed esperto in diritti televisivi
149
NOTE A SENTENZA
PARTE TERZA
GIURISPRUDENZA
SOMMARIO:
IL CASO LORBEK, Camera di conciliazione e arbitrato del CONI lodo 11
pag.151
maggio 2007
REGOLAMENTO AGENTI DI CALCIATORI, Tar Lazio, sez. III ter, ordinanza 19
luglio 2007
150
pag.166
Camera di conciliazione…
CAMERA DI CONCILIAZIONE E ARBITRATO PER LO SPORT
I LC O LLE G I OARB ITRALE
On. Prof. Avv. Pier Luigi Ronzan, i Prof. Avv. Maurizio Benincasa, Avv. Guido Cecinelli
Prof. Marcello Foschini, Prof. Avv. Luigi Fumagalli, nominato ai sensi dell’art. 13.4 del
Regolamento della Camera di Conciliazione e Arbitrato per lo Sport, riunito in conferenza personale
in data 11 maggio 2007, presso la sede dell’arbitrato, in Roma
ha deliberato all’unanimità il seguente
LODO
nel procedimento di arbitrato (n. 0787 del 23 aprile 2007) promosso da:
Pallacanestro Treviso S.p.a., in persona del suo Presidente, Giorgio Buzzavo, rappresentata e
difesa dall’Avv. Antonino De Silvestri e dall’avv. Franco Coppi ed elettivamente domiciliata presso
lo studio di quest’ultimo in Roma, al Viale Bruno Buozzi n. 3, giusta delega in calce all’istanza di
arbitrato datata 20 aprile 2007; ricorrente
CONTRO
Federazione Italiana Pallacanestro, con sede in Roma, Via Vitorchiano n. 113, in persona del
Legale Rappresentante , il Presidente Federale Prof. Fausto Maifredi, rappresentata e difesa dagli
avv.ti Prof. Guido Valori e avv. Paola M.A. Vaccaro ed elettivamente domiciliata presso lo studio
dei medesimi in Roma, Viale delle Milizie n. 106, giusta delega allegata alla memoria di
costituzione e risposta datata 26.04.2007 ; resistente
IL COLLEGIO
vista l’istanza arbitrale del ricorrente e le relative domande, tese all’annullamento della
decisione in data 27 marzo 2007 con cui la Corte Federale della FIP ha irrogato a Pallacanestro
Treviso s.p.a. la sanzione della penalizzazione di n. 15 punti in classifica nella corrente stagione
sportiva ex art. 44 del Regolamento di Giustizia della FIP (R.G.);
151
GIURISPRUDENZA
Camera di conciliazione…
viste le richieste e le memorie della resistente e le relative conclusioni, che chiedono la
reiezione del ricorso con la conferma dei provvedimenti endofederali impugnati;
ritenuta l’ammissibilità del ricorso e la sussistenza della competenza del Collegio Arbitrale a
conoscere delle domande proposte, essendo soddisfatte tutte le condizioni a tal riguardo previste,
poiché si è infruttuosamente esperito il procedimento di conciliazione disciplinato dagli artt. 3 ss.
del Regolamento della Camera, chiuso con verbale del 16 aprile 2007;
affermato il potere di piena cognizione sulla controversia in ragione del carattere devolutivo
del giudizio arbitrale atteso che il Regolamento conferisce all’organo arbitrale un potere di integrale
riesame del merito della controversia, senza subire limitazioni se non quelle derivanti dal principio
della domanda e dai quesiti ad esso proposti dalle parti, con la conseguenza che di fronte al Collegio
arbitrale sono deducibili questioni attinenti non solo alla “legittimità” ma anche al “merito” della
decisione impugnata;
ritenuto che sia esclusa qualsiasi valutazione in termini equitativi o di clemenza per il solo
fatto della proposizione di istanza arbitrale;
acquisiti ed esaminati gli atti e i documenti tutti riversati nel procedimento endofederale;
OSSERVA
1. La ricostruzione dei fatti, peraltro non oggetto di contestazione ad opera delle parti, sulla
base delle risultanze probatorie conduce a sottolineare:
che in data 15.11.2006 la Pallacanestro Treviso s.p.a. stipulava con l’atleta Cuccarolo, giovane
di serie, un contratto professionistico e che lo stesso, successivamente a tale data, veniva iscritto a
referto per numerose partite fino a quella del 7.1.2007;
che la Pallacanestro Treviso stipulava il 4.1.2007 con l’atleta Lorbek un contratto
professionistico e lo stesso giocatore in data 7.1.2007
.veniva iscritto a referto, partecipando a n. 5 gare a partire da quella del 7.1.2007;
che detto atleta veniva a costituire il 19° giocatore professionisti, andando oltre il numero di
18 atleti professionisti iscrivibili a referto durante il corso di un campionato ex art. 1 del
Regolamento Esecutivo
.– Settore Professionistico della FIP (R.E.), norma inderogabile;
che successivamente a tali eventi il team manager della squadra, Andrea Cirelli incontrava il
Signor Zanetti, Segretario della Lega Basket Serie A (in un bar, cioè al di fuori della sede legale),
152
GIURISPRUDENZA
Camera di conciliazione…
consegnando a questi una lettera retrodatata (17.11.2006) che accompagnava un modello di
risoluzione del contratto professionistico sottoscritto dall’atleta Cuccarolo e dalla stessa società ed
avente data 16.11.2006; documenti che lo Zanetti riceveva dal Cirelli e ne attestava la loro ricezione
in Lega, apponendo timbro e data anch’essa “antedatati” al 17.11.2006;
che detti documenti non venivano inseriti nel fascicolo del giocatore Cuccarolo, ma tenuti in
un “cassetto” dallo Zanetti, senza che costui desse alcuna comunicazione della circostanza alla FIP;
che la mancata comunicazione alla FIP da parte dello Zanetti faceva permanere il Cuccarolo
ufficialmente come atleta professionista, più volte iscritto a referto e che lo stesso veniva ad essere
retribuito come professionista fino al mese di febbraio 2007;
Le osservazioni del Collegio, dunque, devono essere svolte in riferimento a tali fatti.
2.1 Peraltro vanno innanzitutto prese in considerazione le questioni sollevate dal ricorrente
avente carattere pregiudiziale di rito.
Pallacanestro Treviso ha chiesto al Collegio Arbitrale di «[…] in via preliminare, fornire
l’interpretazione autentica dell’art. 1, comma 3, R.E. del Settore Professionistico della FIP,
valutando, altresì la legittimità del divieto di impiego del cestista Lorbek disposto dalla FIP e
comunicato alla Pallacanestro Treviso in data 23.2.2007 […]».
La domanda è inammissibile.
Il Collegio osserva, al riguardo che, a’ sensi dell’art. 3 del Regolamento della Camera di
Conciliazione e Arbitrato per lo Sport, la richiesta di parere – nell’ambito della funzione consultiva
della Camera – può essere formulata dal Consiglio Nazionale, dalla Giunta Nazionale, dal
Presidente e dal Segretario Generale del Coni nonché da una Federazione sportiva nazionale (cfr.
art. 3, comma 4° Reg. ).
Inoltre, la funzione consultiva non può essere svolta dalla Camera con riferimento a « […]
una controversia in atto per la quale sia stata avviata una procedura prevista dal Titolo III [id est,
Conciliazione] o dal Titolo IV [id est, Arbitrato] del presente Regolamento […]» (cfr. art. 3, comma
7° Reg.).
Evidentemente, per un verso e sotto il profilo soggettivo, la Pallacanestro Treviso non appare
legittimata a chiedere la pronuncia di un parere della Camera nell’ambito della funzione consultiva.
Per altro verso, e sotto il profilo oggettivo, è preclusa la richiesta de qua, considerando che,
nel caso di specie, è in atto la controversia per la cui decisione, almeno astrattamente, si rende
necessario procedere all’interpretazione della norma su cui dovrebbe essere espresso il parere.
153
GIURISPRUDENZA
Camera di conciliazione…
2.2 Pallacanestro Treviso deduce che la Corte Federale avrebbe «[…]
operato una immutazione del fatto contestato, in violazione del principio di correlazione fra
incolpazione e decisione ricavabile dall’art. 46, comma 3, nonché dall’art. 47, comma 3, R.G. FIP
[…]». In particolare, si evidenzia che il capo di incolpazione farebbe ambiguo riferimento sia al
tentativo che alla consumazione della frode sportiva, « […] ma non anche alla frode sportiva
consumata aggravata […]». La decisione di primo grado avrebbe riconosciuto solo la frode sportiva
tentata. La Procura federale avrebbe impugnato tale decisione solo in ordine all’entità della
sanzione, senza svolgere censure in ordine al riconoscimento del tentativo, né chiedendo il
riconoscimento della frode consumata aggravata. La Corte Federale, invece, avrebbe riconosciuto
quest’ultima ipotesi «[…] con ciò immutando il fatto oggetto di contestazione […]».
In primo luogo, il Collegio sottolinea come dal carattere devolutivo dell’impugnazione
proposta e dalla piena cognizione della controversia spettante a questo Collegio arbitrale
deriverebbe l’assorbimento della censura svolta dal ricorrente, poiché lo svolgimento dell’arbitrato
ha consentito, nel pieno rispetto del contraddittorio e dei diritti della difesa, il pieno esame della
controversia.
In ogni caso la censura non è accoglibile.
Già ad un mero esame testuale, il capo di incolpazione evidenzia che la Procura Federale ha
inteso contestare al Cirelli (e all’odierna istante per gli effetti di cui all’art. 44 R.G.) la violazione
dell’art. 43 R.G., ipotizzando sia la frode sportiva consumata che la minore figura del tentativo.
Depone in questa direzione la formula, richiamata anche dalla difesa di Pallacanestro Treviso, «[…]
alterando o tentando di alterare […]».
Volgendo l’attenzione alla decisione della Commissione Giudicante Nazionale si legge,
innanzitutto, l’affermazione «[…] che il fatto appare senz’altro sussumibile nell’ipotesi di cui alla
lettera c) del primo comma dell’art. 43 del R.G. […]». Si aggiunge, poi, in sede di determinazione
della sanzione a carico del Cirelli che a tal fine occorre considerare « […]
quanto previsto all’art. 43, comma 2 R.G. per le fattispecie a livello di tentativo […]».
È evidente, pertanto, che nessuna soluzione di continuità è rinvenibile tra il capo di
incolpazione e la decisione della Commissione Giudicante Nazionale avendo, il primo, ipotizzato
sia la frode consumata che quella meramente tentata e, la seconda, affermato quest’ultima,
esclusivamente nella valutazione quoad poenam.
154
GIURISPRUDENZA
Camera di conciliazione…
Ad analoga conclusione si deve attingere per la decisone della Corte Federale che, per le
ragioni che si esporranno, non ha immutato il capo di incolpazione.
In almeno due eloquenti passaggi della motivazione della decisione della Corte Federale si
legge che la fattispecie nell’ambito della quale è stata sussunta la condotta del Cirelli è quella di cui
all’art. 43, 1° comma, lett. c) del R.G. e, cioè, la frode sportiva consumata.
Si afferma, infatti, che risulta dimostrata « […] con assoluta tranquillità, la piena ricorrenza,
nel caso, di un atto di frode sportiva ai sensi dell’art. 43, comma 1 lettera c) R.G. […]»; e, ancora,
« […] sussiste, dunque, la violazione dell’art. 43, comma 1 lettera c) R.G., con ciò respingendosi
ogni diversa valutazione e derubricazione richiesta dalle difese […]». Né, infine, risulta una diversa
determinazione nell’ambito del dispositivo.
Il tema dell’aggravamento entra nell’iter logico della Corte Federale solo al momento della
determinazione della sanzione a carico del Cirelli e di Pallacanestro Treviso in una prospettiva,
tuttavia, che il Collegio reputa diversa da quella sostenuta dalla difesa dell’istante e che consente di
poter negare un’immutazione tra il capo di incolpazione e la decisione di secondo grado.
Infatti, per quanto concerne il Cirelli, la Corte Federale, contrariamente a quanto sostenuto da
Pallacanestro Treviso, non ha applicato l’ultimo comma dell’art. 43 R.G. poiché, altrimenti, avrebbe
dovuto disporre la radiazione del tesserato. Il riferimento alla frode consumata aggravata punita con
la radiazione rappresenta un mero obiter dictum.
La decisione, ha, invece fatto applicazione solo dell’art. 43, comma 1, lett. c) R.G. e, nella
scelta tra la misura minima (3 anni) e quella massima (5 anni), ha optato per quest’ultima che,
comunque, rimane la sanzione della frode sportiva consumata. La frode sportiva consumata
aggravata di cui all’art. 43 u.c. R.G. è solo quella che venga punita con la radiazione del tesserato.
Alla luce di quanto finora esposto, il Collegio reputa che anche tra la decisione della Corte
Federale e il contenuto del capo di incolpazione non sia rinvenibile alcuna immutazione, trattandosi,
comunque di (prospettata e affermata) applicazione dell’art. 43, 1 comma, lett. c) R.G. e, cioè, di
frode sportiva sportiva a consumazione anticipata.
Per quanto concerne Pallacanestro Treviso il Collegio osserva che sia nel capo di
incolpazione, sia nella decisione della Commissione Giudicante Nazionale, sia, infine, in quella
della Corte Federale la norma richiamata e applicata è stata sempre quella di cui all’art. 44 R.G., la
quale non pone limiti massimi alla misura della sanzione per responsabilità oggettiva, ma si limita
ad indicare quali criteri per la quantificazione quello della gravità degli atti (di frode sportiva) e dei
danni da essi cagionati all’immagine del movimento cestistico nazionale. Anche sotto tale profilo,
155
GIURISPRUDENZA
Camera di conciliazione…
dunque, nessuna illecita immutazione appare essere stata commessa in danno dell’odierna
ricorrente.
2.3 Pallacanestro Treviso denuncia poi la violazione del divieto di reformatio in peius che
inferisce dall’art. 73 R.G.
Fermo quanto già esposto in relazione alla natura devolutiva del presente giudizio, occorre
preliminarmente richiamare il tenore dell’art. 73 del Regolamento di Giustizia il quale dispone che
« […] Le sanzioni disciplinari non possono essere riformate in pejus in secondo grado nel caso in
cui la Procura Federale non abbia proposto impugnazione […]».
L’istante deduce, da un lato, che la Procura Federale, nel ricorso in appello, non « […] ha
esplicitamente messo in discussione, facendone oggetto di uno specifico motivo di doglianza, la
qualificazione in termini di “frode sportiva tentata” data alla condotta del Cirelli dalla Commissione
Giudicante Nazionale […]». Dall’altro, che «[…] Se infatti nel ricorso in appello del Procuratore
Federale, non è dato individuare alcuna richiesta di riqualificazione del fatto nei termini di cui
all’art. 43, comma 2, prima parte R.G., tanto meno è ovviamente possibile individuare una richiesta
di applicazione dell’aggravante di cui all’art. 43, comma 3, R.G. FIP, peraltro mai contestata in
precedenza […]».
Anche questa censura non può essere accolta.
Quanto al primo aspetto, il Collegio osserva, richiamando quanto già esposto, che il
riferimento al tentativo, contenuto nella decisione di primo grado, è stato operato dai giudici al fine
della determinazione della sanzione; pertanto, l’impugnazione che abbia ad oggetto la misura della
sanzione – considerate le peculiarità dell’ordinamento sportivo – involge anche la censura
sull’affermazione dell’ipotesi minore del tentativo.
Per quanto concerne il secondo profilo della censura della Pallacanestro Treviso, il Collegio
ha già chiarito l’estraneità all’iter logico della decisione della Corte Federale della disposizione di
cui all’art. 43 u.c. R.G.; sicché, nessuna reformatio in pejus è configurabile essendo rimasta,
comunque, anche la decisione di secondo grado nell’alveo della frode sportiva consumata di cui
all’art. 43, 1 comma, lett. c) del Regolamento di Giustizia.
3. La vicenda si presta ad agevole valutazione secondo un’analisi logica e oggettiva dei
comportamenti emersi a seguito dell’istruttoria. E a tali comportamenti, quali ascrivibili al Cirelli,
occorre fare riferimento, per poi trarre le conseguenze in punto di responsabilità della odierna
istante.
156
GIURISPRUDENZA
Camera di conciliazione…
La Società sportiva Pallacanestro Treviso tra novembre 2006 e gennaio 2007 si rivolge al
mercato per ingaggiare atleti di qualità. Senonché, raggiunto il numero massimo di atleti
professionisti (18) consentiti dalla disciplina federale, ingaggia ancora il giocatore professionista
Lorbek. Si crea, quindi, la necessità di espungere un nominativo dall’elenco dei giocatori
professionisti già sotto contratto.
La sola strategia realisticamente praticabile per raggiungere tale obiettivo è quella di
“declassificare” un giovane neo-professionista, individuato nella persona del Cuccarolo, al
pregresso status di giovane di serie, così da liberare un posto per il nuovo atleta di maggior talento.
Trattasi, di per sé, di un fine antisportivo, in quanto è palesemente contrario al principio di
lealtà sportiva cercare di modificare, a campionato in corso, la forza di gioco di una squadra
attraverso una procedura (la declassificazione di Cuccarolo) non consentita dalla disciplina federale
e per di più “gestita” in proprio dalla Società, ossia in assenza di trasparenza nei confronti della
Federazione, della Lega e delle altre Società concorrenti e controinteressate.
La finalizzazione della condotta del Cirelli – dirigente della Società preposto al mercato e ai
contratti con gli atleti – al conseguimento di tale obiettivo antisportivo si evince, invero, da
molteplici elementi indiziari, la cui univocità è dimostrata a contrariis dall’assoluta incoerenza dei
comportamenti dello stesso Cirelli laddove valutati, per ipotesi, secondo criterio di buona fede.
Difatti, premesso che la falsificazione dell’attestazione di deposito in Lega della dichiarazione
di risoluzione del contratto Cuccarolo costituisce un fatto storico confessato in corso di istruttoria
sia dallo Zanetti che dal Cirelli; tale comportamento poteva avere un senso solo nell’ottica di un
ripensamento tardivo rispetto all’inquadramento contrattuale e regolamentare del giocatore
Cuccarolo, giacché, qualora tale atto risolutivo, per quanto stravagante nei suoi contenuti giuridici,
fosse stato realmente coevo al contratto di ingaggio del Cuccarolo come professionista, non vi
sarebbe stata ragione logica o di ordine pratico per non depositarlo in Lega al momento della sua
redazione, unitamente al contratto stesso.
Anzi: in tal caso, lo stesso deposito del contratto di ingaggio come professionista non avrebbe
avuto alcun senso, essendo esso posto nel nulla da un accordo contestuale di segno esattamente
contrario.
Mentre, nel caso in cui tra le parti di quel contratto vi fosse stata ab origine la riserva mentale
in ordine alla sua effettiva validità – ossia accettandosi reciprocamente l’eventualità che ci si
potesse avvalere, alla bisogna, del patto contrario di risoluzione – tale intesa sarebbe, comunque,
157
GIURISPRUDENZA
Camera di conciliazione…
stata priva di validità e/o manifestamente illecita, in quanto strumentale alla preordinazione di un
meccanismo in frode della disciplina federale sui tesseramenti.
Ma persino nell’assurda ipotesi in cui tale dichiarazione risolutiva fosse stata redatta
contestualmente al contratto (15 novembre 2006), va da sé che l’omissione del suo deposito in
Lega, fors’anche per dimenticanza o caso fortuito, avrebbe comunque prodotto l’effetto irreversibile
di consolidare il novero dei 18 giocatori professionisti tesserati dalla Pallanestro Treviso –
Cuccarolo compreso – inibendo al Cirelli di agire per rimediare ex post al suo errore.
In conclusione, da ciò si ricava che è proprio la tardività del deposito in Lega della
dichiarazione di risoluzione che manifesta la consapevolezza del Cirelli di muoversi al di fuori del
lecito sportivo, e ciò a prescindere dall’accertamento dell’epoca in cui tale dichiarazione venne
materialmente redatta: nel senso che, comunque, Cirelli non avrebbe mai potuto legittimamente
avvalersi di tale dichiarazione in quanto intrinsecamente contraria ai precetti federali in materia di
contratti e ai principi fondamentali di lealtà sportiva di cui all’art. 2 del R.G. della FIP.
Né, d’altro canto, il Cirelli può seriamente invocare la sua buona fede asserendo di aver male
interpretato la normativa in tema di tesseramenti dei c.d. “giovani di serie”. Difatti, se egli fosse
stato realmente convinto che un giovane di serie conservasse il suo status (e quindi non dovesse
essere conteggiato nei 18) anche dopo la sottoscrizione di un contratto da professionista, non vi
sarebbe stata, da tale prospettiva, alcuna necessità né di escludere Cuccarolo dalla rosa per far
spazio a Lorbek (cosa avvenuta a partire dalla gara del 10.1.2007), né di depositare in Lega
(retrodatandola) la dichiarazione di risoluzione.
Mentre, qualora in Cirelli vi fosse stato realmente un dubbio interpretativo sulla normativa,
coerenza avrebbe voluto – come giustamente osservato dalla Corte Federale – che il dirigente
disponesse o chiedesse ai vertici della Società di sospendere il tesseramento o quantomeno l’utilizzo
dell’ipotetico 19° atleta (Lorbek) in attesa di un chiarimento da parte degli organi preposti.
È, dunque, proprio l’avvicendamento Cuccarolo/Lorbek ad essere insanabilmente e
ingiustificatamente antisportivo, senza che possano esservi dubbi di sorta in ordine alla
consapevolezza di Cirelli di aver dato vita, con il suo comportamento, alla creazione di una realtà
documentale non corrispondente al vero, eppure rivelatasi idonea a consentire al Lorbek di
partecipare ad almeno alcune partite del nostro massimo campionato di Serie A.
In conclusione deve affermarsi come ampiamente dimostrata, quantomeno da un punto di
vista storico-fattuale, la realizzazione del comportamento addebitato al Cirelli, di talché, a fronte di
un siffatto quadro probatorio univoco e largamente esaustivo, può serenamente affermarsi l’inutilità
158
GIURISPRUDENZA
Camera di conciliazione…
di qualsivoglia attività istruttoria richieste dalla Pallacanestro Treviso, le cui istanze in tal senso
vanno perciò respinte.
4. Occorre ora soffermarsi sulle problematiche di stretto diritto sollevate dalla difesa della
Pallacanestro Treviso.
Accertato il fatto, va esaminata la questione relativa alla sua qualificazione in termini di frode
sportiva consumata o tentata.
L’art. 43, 1° comma, R.G. elenca le quattro ipotesi di frode sportiva, definendo ciascuna di
esse in termini di “atto diretto” al conseguimento di un obiettivo illecito (alterazione di un risultato
di gara ovvero assicurazione di un vantaggio in classifica; elusione delle norme sull’età dei
giocatori delle categorie giovanili; partecipazione all’attività agonistica di un atleta sprovvisto delle
necessarie qualifiche o condizioni, mediante creazione di documentazione falsa; assicurazione di un
illecito vantaggio a un tesserato o a un affiliato).
Il 2° comma del medesimo articolo richiama il concetto di “tentativo”, prevedendo un
trattamento sanzionatorio attenuato:
Il 3° comma, infine, si fa riferimento all’ipotesi di frode sportiva consumata, di particolare
gravità. Da questo assetto normativo, la difesa di Pallacanestro Treviso ha cercato di dare accesso ai
criteri di (in)idoneità del tentativo e di (im)possibilità della frode, onde escludere la responsabilità
del dirigente -e, conseguentemente, della società - sulla scorta dell’affermazione per cui la falsa
retrodatazione del deposito in Lega della dichiarazione di risoluzione del contratto Cuccarolo, da un
lato non avrebbe avuto rilevanza causale rispetto all’andamento delle gare, dall’altro lato avrebbe
semmai integrato un’ipotesi di tentativo di frode mentre, infine, tale condotta sarebbe stata così
maldestramente inefficace rispetto all’obiettivo perseguito da giustificare un’affermazione di
impossibilità dell’illecito.
Questi argomenti trascurano, a parere del Collegio, l’analisi sia testuale che funzionale della
norma di cui al 1° comma dell’art. 43 R.E.
In realtà, le quattro condotte di frode sportiva di cui alla norma in esame sono tutte strutturate
quali ipotesi di illecito a consumazione anticipata, giacché l’evento antisportivo dedotto (alterazione
del risultato di gara, tesseramento illecito dell’atleta in virtù di sue dichiarazioni mendaci sull’età,
falsificazione delle condizioni di partecipazione ecc.) non deve, perché si abbia frode,
necessariamente realizzarsi, essendo sufficiente, ai fini della consumazione dell’illecito, il mero
compimento di un atto diretto al raggiungimento di uno dei predetti scopi fraudolenti.
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GIURISPRUDENZA
Camera di conciliazione…
Siffatta configurazione delle fattispecie di frode sportiva in termini di mera condotta non è
affatto preclusiva, come invece afferma l’istante, della possibilità di ravvisare rispetto ad esse il
tentativo.
Si sostiene che la frode sportiva potrebbe dirsi consumata solo in caso di verificazione
dell’evento, poiché se, al contrario, la configurazione della fattispecie fosse in termini di illecito di
mera condotta, non sarebbe ammissibile il tentativo: questo perché, anticipando la soglia della
consumazione alla condotta pura e semplice, si definirebbe una fattispecie di illecito di pericolo; ma
anche il tentativo è, per definizione, un’ipotesi di pericolo, onde per cui il tentativo di un illecito di
mera condotta realizzerebbe il “pericolo di un pericolo”, ossia un assurdo giuridico. Ma, stando così
le cose, la previsione del 2° comma dell’art. 43 (il quale espressamente contempla l’ipotesi di frode
tentata) sarebbe priva di significato giuridico.
In realtà, ciò che non è condivisibile in questa ricostruzione è la premessa su cui si fonda,
ossia che un illecito di mera condotta debba necessariamente essere un illecito di pericolo.
E invece esistono, nell’ordinamento penale, numerosi casi di reati di mera condotta che pure
non sono di pericolo bensì di danno. Tali sono, ad esempio, l’evasione, l’incesto, la violazione di
domicilio, la rissa, la corruzione sia propria che impropria, le falsità in atti.
In questi, come in altri casi, la condotta è connotata da una particolare finalità illecita. Eppure,
si anticipa la soglia della punibilità al momento di realizzazione dell’azione criminosa, a
prescindere dal fatto che se ne consegua il fine.
Non è dunque vero che l’anticipazione della soglia di punibilità alla realizzazione della mera
condotta dia luogo sempre a una fattispecie di pericolo né, ancor meno, che impedisca la
ravvisabilità del tentativo.
Così, considerando le ipotesi di frode sportiva di cui all’art. 43 del R.E. della FIP, nulla vieta
di immaginare l’azione di chi tenti di somministrare, senza riuscirvi, sostanze tossiche ai
componenti di una squadra per alterare il risultato di una gara. In tal caso, laddove l’azione
fraudolenta non venga portata a compimento, si avrà tentativo di frode sportiva. La frode sarà,
invece, consumata qualora la somministrazione del tossico venga eseguita. La verificazione
dell’evento di danno voluto dall’agente (alterazione del risultato della gara) sarà irrilevante rispetto
alla configurazione della frode consumata, potendo costituire, invece, circostanza aggravante (art.
43, 3° comma, R.E.).
Tornando al caso sub judice, proprio il caso di Cirelli, paradossalmente, costituisce un ottimo
esempio di frode sportiva astrattamente suscettibile di rimanere allo stato di tentativo.
160
GIURISPRUDENZA
Camera di conciliazione…
Se, infatti, Zanetti si fosse rifiutato di apporre la falsa data di deposito sui documenti
presentati dal dirigente della Pallacanestro Treviso, il Cirelli non sarebbe stato in grado di
predisporre quella documentazione artefatta costituente il mezzo di realizzazione della frode di cui
alla lettera c) del primo comma dell’art. 43 R.G.
Davvero, in quel caso, sarebbe allora stato possibile qualificare l’azione del dirigente come
frode tentata. Purtroppo per lui, però, siccome Zanetti accettò la proposta di falsificare l’attestazione
di deposito, l’azione fraudolenta, così come descritta dalla norma, venne perfezionata, essendo stato
inequivocabilmente portato a compimento un atto diretto a consentire la partecipazione del Lorbek
sotto falsa attestazione delle condizioni necessarie per l’iscrizione a referto.
In conclusione, la frode sportiva commessa dal Cirelli non può che essere qualificata come
frode consumata.
5. Altro argomento difensivo è quello concernente l’idoneità della condotta al raggiungimento
dello scopo.
La questione viene proposta sia sotto il profilo del tentativo inidoneo che sotto il profilo
dell’inidoneità dell’azione a ledere il bene protetto (il c.d. principio di offensività).
Posto che nel caso in questione, alla luce di quanto sopra esposto, deve senz’altro parlarsi di
illecito consumato e non certo di un mero tentativo, la prima formulazione dell’eccezione può dirsi
superata.
Quanto, invece, alla questione dell’offensività, essa va valutata tenendo conto di quale sia il
bene protetto dalla norma. Tale bene va individuato muovendo proprio dalla lettura del testo
regolamentare, poiché sono la struttura stessa della fattispecie e il suo contenuto precettivo i soli
parametri tramite i quali eseguire detta operazione ermeneutica.
Negli illeciti di mera condotta, il disvalore sportivo viene individuato dal legislatore federale
nella condotta in sé, in quanto vi è interesse generale non solo a prevenire l’evento di danno ma,
ancor prima, a reprimere taluni comportamenti antisportivi a prescindere dalle loro conseguenze
concrete.
Le norme del Regolamento di Giustizia della FIP di cui all’art. 43 hanno statuito la volontà di
sanzionare i tesserati che si siano resi responsabili di determinate condotte fraudolente in quanto
tali. Il bene protetto, pertanto, va identificato nell’interesse della Federazione a reprimere i
comportamenti fraudolenti anche se essi non abbiano prodotto danno. Ciò, naturalmente,
nell’intento di salvaguardare dal malcostume lo spirito di lealtà e correttezza che debbono ispirare il
comportamento sportivo.
161
GIURISPRUDENZA
Camera di conciliazione…
Alla luce di quanto precede, è evidente che la condotta del Girelli deve considerarsi, essendo
stata azione di falsificazione proiettata verso un obiettivo antisportivo, certamente lesiva del
suddetto bene e sia ampiamente meritevole di sanzione.
Né, del resto, è possibile affermare che la condotta del Girelli fosse, astrattamente, del tutto
inadeguata all’intento perseguito.
L’inadeguatezza della condotta, difatti, non può essere valutata secondo un giudizio ex post,
giacché altrimenti di processi per frode sportiva non se ne farebbero mai: difatti, il fatto stesso che
una frode sportiva venga scoperta dimostra la fallibilità della condotta prescelta.
Il giudizio di offensività va dunque operato ex ante. E, in questa prospettiva, non possono
esservi dubbi sull’astratta attitudine dell’operato del Cirelli ad ingannare gli organi federali e ad
agevolare la realizzazione e/o la prosecuzione e/o l’occultamento della condotta antisportiva posta
in essere mediante il tesseramento e l’utilizzo di un 19° atleta professionista.
6. Esaminando, ora, più nel dettaglio la specifica posizione della Pallacanestro Treviso, ne va
confermata la responsabilità oggettiva, ex art. 44 R.G., per il comportamento fraudolento del suo
dirigente.
Invero, come ha giustamente osservato la Corte Federale, la formulazione dell’art. 44 non
lascia spazio a difese sostenibili da parte della Società cestistica trevigiana. Difatti, la Società
affiliata risponde oggettivamente degli illeciti posti in essere dai suoi organi dirigenziali, a
prescindere dalla condivisione degli stessi da parte dei vertici societari.
Né, peraltro, è ammessa prova liberatoria, atteso che simile eventualità è riconosciuta
dall’ordinamento della F.I.P. solo rispetto agli illeciti commessi dai sostenitori della società, ma non
anche dai suoi dirigenti e affiliati.
Peraltro non può negarsi come la posizione della Pallacanestro Treviso sia stata tutt’altro che
cristallina. Non vi è dubbio, infatti, che il tesseramento e l’utilizzo del Lorbeck non poté certamente
passare inosservato alla Società ed, anzi, venne da questa sicuramente ponderato, avallato e
deliberato, sia sul piano tecnico-sportivo che su quello finanziario.
Possibile, dunque, che solo l’aspetto giuridico-regolamentare dell’operazione Lorbeck fosse
stato integralmente demandato alla gestione esclusiva del Cirelli, senza che nessuna forma di
controllo o supervisione fosse stata attivata dai vertici della Pallacanestro Treviso?
Dopotutto, si trattava pur sempre di ingaggiare un atleta in corso di stagione, eventualità che
di per sé poneva domande sulla fattibilità dell’acquisto rispetto alle disponibilità della rosa degli
atleti già tesserati.
162
GIURISPRUDENZA
Camera di conciliazione…
Se così davvero fu, si trattò quantomeno di dimenticanza gravemente colposa, la quale perciò
fa sì che la sanzione alla Società si giustifichi ben oltre il paradigma di imputazione oggettiva di cui
all’art. 44 R.G.
Del resto non va neppure dimenticato che, dalla frode sportiva commessa dal suo dirigente, la
Società si avvantaggiò concretamente mediante l’utilizzo irregolare del Lorbeck in diverse partite. E
se in sé tale condotta non costituisce frode, è anche vero che mai la Società si sarebbe determinata a
tesserare l’atleta sloveno se non avesse ricevuto rassicurazione dal Cirelli circa la regolarità del
tesseramento; ma a sua volta il Cirelli non avrebbe mai potuto fornire tale rassicurazione se non
avesse concepito, prima o dopo il tesseramento non ha importanza, l’idea di aggiustare, facendo
carte false, l’elenco dei 18 professionisti.
In altre parole, la frode sportiva attuata dal Cirelli, oltre ad essere stata quantomeno agevolata
da una mancanza di controllo della Società sul suo operato, si pone in relazione causale con un
concreto vantaggio illecitamente conseguito, sul piano sportivo, dalla Società stessa, sicché a
maggior ragione va negata ogni possibilità per la ricorrente di sottrarsi all’applicazione dell’art. 44
R.G., il quale appare, persino, criterio di imputazione in grado di cogliere e stigmatizzare solo
parzialmente il coinvolgimento della Pallacanestro Treviso nella condotta del suo dirigente.
Pur tuttavia, nella commisurazione della sanzione non può prescindersi dal considerare
positivamente almeno due elementi di attenuazione della responsabilità della Società.
Il primo di essi concerne l’atteggiamento tenuto, sia nell’ambito dei procedimenti disciplinari
che al di fuori di essi, dalla Pallacanestro Treviso, la quale si è da subito distanziata dalle ben
diverse posizioni tenute dal suo ex dirigente, disponendone l’immediato licenziamento e cercando
di riabilitare la propria immagine di entità fattivamente impegnata, nel tessuto sociale in cui opera,
alla formazione e all’avviamento dei giovani allo sport e ai suoi principi etici.
Il secondo concerne l’immagine che la Società trevigiana ha dato di sé a livello sia nazionale
che internazionale, conferendo lustro allo sport italiano senza mai, in passato, incorrere in episodi di
antisportività.
Per tali ragioni, sanzione equa appare quella originariamente inflitta dalla Commissione
Giudicante Nazionale, all’esito del giudizio di primo grado, pari a dodici punti di penalizzazione da
scontarsi nel campionato in corso. Il tutto ferme le qualificazioni sopra formulate in ordine alla
condotta del Cirelli e alla conseguente responsabilità oggettiva di Pallacanestro Treviso.
Tutte le altre domande ed eccezioni devono intendersi assorbite.
163
GIURISPRUDENZA
Camera di conciliazione…
7. Sussistono i motivi per operare una parziale compensazione delle spese di arbitrato e di lite,
atteso il parziale accoglimento della domanda arbitrale.
P.Q.M.
Il Collegio Arbitrale, definitivamente pronunciando nel contraddittorio delle parti, disattesa
ogni ulteriore istanza anche istruttoria, eccezione e deduzione:
1. In parziale riforma della decisione resa dalla Corte Federale della Federazione Italiana
Pallacanestro (FIP) in data 27 marzo 2007, determina la sanzione della penalizzazione della
Pallacanestro Treviso SpA di 12 punti in classifica nella corrente stagione sportiva ex art. 44,
comma 3 del R.G. FIP;
2. Condanna la Pallacanestro Treviso SpA al pagamento dei 2/3 degli onorari del Collegio
arbitrale e delle spese di arbitrato e la FIP al pagamento del residuo terzo, così come liquidate dalla
Camera con separata ordinanza;
3. Condanna l’istante al pagamento delle spese legali in favore della FIP che liquida in
complessivi € 1.500,00, oltre spese generali, iva e c.p.a. come per legge;
4. Dispone che tutti i diritti amministrativi versati dalle parti siano incamerati dalla Camera di
Conciliazione e Arbitrato per lo Sport.
Così deciso definitivamente in Roma, all’unanimità e in conferenza personale degli arbitri, il
giorno 11 maggio 2007.
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GIURISPRUDENZA
Camera di conciliazione…
NOTA REDAZIONALE
Il lodo arbitrale emesso dalla Camera di Conciliazione e Arbitrato del CONI l'11 maggio
2007 ha chiuso definitivamente il c.d. "Caso Lorbek" (ottimo giocatore della Slovenia che sta
disputando un eccellente campionato europeo a Madrid) permettendo alla Benetton di cullare
sogni di play off sino all'ultima gara.
La decisione ha ridotto di 3 punti, in maniera alquanto salomonica, la penalizzazione inflitta
dalla Corte Federale FIP (su cui amplius nel numero 1/2007 della Rivista) ma, come la precedente,
manca di una espressa motivazione in ordine all'entità della pena e al criterio di calcolo della
stessa.
Peraltro, in una vicenda in cui tutte le parti interessate non paiono esenti da censure, la
Federazione - che pure ha commesso numerose leggerezze nella gestione del tesseramento
dell'atleta - non ha avuto alcuna "sanzione", con questo mettendo ancora una volta in risalto la
problematica degli organi di giustizia endoassociativa di nomina Federale e poco inclini alla
condanna di.....coloro che li hanno nominati (sul punto vedi anche l'opinione di A. DE SILVESTRI,
"Giustizia sportiva - crisi profonda" in Il Sole 24 ore sport n. 7/8 del 2007, pag. 43).
Non da ultimo, infine, deve essere ricordato che le intercettazioni disposte dal Pubblico
Ministero di Bologna Gestri (che ha in carico le indagini sull'ipotesi di reato di frode sportiva in
relazione ai medesimi avvenimenti oggetto di processo sportivo) hanno evidenziato un clima non di
massima trasparenza nella gestione del caso Lorbek da parte della Camera del CONI e da parte di
altri soggetti dell'ordinamento sportivo di talchè il Procuratore FIP Alabiso ha aperto un nuovo
fascicolo disciplinare al fine di verificare se sussistono nuovi elementi di colpevolezza a carico di
tesserati in precedenza prosciolti.
Ben lungi dal dare alcun giudizio in ordine a fatti che devono essere ancora accertati (per un
commento sulle problematiche giuridiche vedi anche J. TOGNON, Lorbek, frode sportiva o mera
irregolarità?, in Il Sole 20 ore sport n. 3/2007, pag. 3) non ci si può però esimere dal rilevare che il
caso Lorbek ha messo in risalto il grave disagio in cui si dibatte la giustizia sportiva di cui mai
come oggi si sente viva l'esigenza di una profonda riforma (J.T.)
165
GIURISPRUDENZA
TAR Lazio: regolamento agenti…
REPUBBLICA ITALIANA
TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE
PER IL LAZIO ROMA , SEZIONE TERZA TER
nelle persone dei Signori:
ITALO RIGGIO Presidente
GIULIA FERRARI Cons.
STEFANO FANTINI Cons. , relatore
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nella Camera di Consiglio del 19 Luglio 2007
Visto il ricorso 2136/2007 proposto da:
ASS ITAL AGENTI CALCIATORI E SOCIETA' -AIACS-ASSOAGENTI ED A BERTI SERGIO,
BOZZO GIUSEPPE, BRANCHINI GIOVANNI, CARPEGIANI BRUNO, CONTI PAOLO,
FEDELE GAETANO, PASTORELLO FEDERICO, RIZZATO GASTONE, TINTI TULLIO
rappresentati e difesi da:
SCOCA AVV. FRANCO GAETANO, PROIETTI AVV. ENZO
con domicilio eletto in ROMA, VIA G. PAISIELLO, 55
presso
SCOCA AVV. FRANCO GAETANO
166
GIURISPRUDENZA
TAR Lazio: regolamento agenti…
CONTRO
FEDERAZIONE ITALIANA GIUOCO CALCIO - FIGC
rappresentato e difeso da: GALLAVOTTI AVV. MARIO, MEDUGNO AVV. LUIGI
con domicilio eletto in ROMA
VIA PANAMA, 58
presso
MEDUGNO AVV. LUIGI
E NEI CONFRONTI DI
ASSOCIAZIONE ITALIANA CALCIATORI
rappresentato e difeso da:
MANZI AVV. LUIGI, JANNA AVV CESARE
con domicilio eletto in ROMA
VIA F. CONFALONIERI, 5
presso
MANZI AVV. LUIGI
per l'annullamento, previa sospensione dell'esecuzione,
- del nuovo “Regolamento degli Agenti” della FIGC pubblicato con C.U. n. 48 del 28
dicembre 2006, e successivamente integralmente sostituito dal C.U. n. 50 del 4 gennaio 2007, nella
parte in cui comporta notevoli limitazioni allo svolgimento dell’attività di Agente dei calciatori e
delle Società, in contrasto con le norme costituzionali, comunitarie, di diritto comune e della FIFA,
in particolare degli artt. 4, 7, 10, 15,17 18, 23 e 24; nonchè di ogni altro atto indicato nell’epigrafe
del ricorso.
Visti gli atti e i documenti depositati con il ricorso;
Vista la domanda di sospensione della esecuzione del provvedimento impugnato, presentata in
via incidentale dal ricorrente;
167
GIURISPRUDENZA
TAR Lazio: regolamento agenti…
Visto l'atto di costituzione in giudizio di:
ASSOCIAZIONE ITALIANA CALCIATORI - FEDERAZIONE ITALIANA GIUOCO CALCIO - FIGC
Udito il relatore Cons. Stefano FANTINI e uditi altresì per le parti gli avvocati come da
verbale di udienza.
Visti gli artt. 19 e 21, u.c., della Legge 6 dicembre 1971, n. 1034, e l'art. 36 del R.D. 17 agosto
1907, n. 642;
Ritenuto che, ad una sommaria delibazione, propria della fase cautelare, il ricorso, pur
necessitando di una unitaria cognizione in sede di merito, involgendo un atto regolamentare
contemplante un’eterogenea pluralità di fattispecie, tra loro in rapporto di, quanto meno potenziale,
connessione, evidenzia peraltro taluni profili assistiti da sufficienti elementi di fumus boni iuris, che
giustificano prudenzialmente la sospensione del nuovo regolamento degli agenti della F.I.G.C.
limitatamente alla disposizione di cui allo art. 24, IV comma, allo scopo di evitare la risoluzione dei
rapporti contrattuali (tra Agenti e calciatori o tra Agenti e società) in essere alla data di entrata in
vigore del testo normativo, e sino alla decisione di merito, in funzione della quale viene fissata sin
da ora l’udienza di trattazione del 31.1.2008.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio – Sezione Terza Ter accoglie la suindicata
domanda incidentale di sospensione nei limiti di cui alla motivazione.
La presente ordinanza sarà eseguita dalla Amministrazione ed è depositata presso la
Segreteria del Tribunale che provvederà a darne comunicazione alle parti.
ROMA , li 19 luglio 2007
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GIURISPRUDENZA
TAR Lazio: regolamento agenti…
NOTA REDAZIONALE
L’Ordinanza che precede si riferisce al “nuovo” Regolamento Agenti di Calciatori emanato
dalla Federazione Italiana Giuoco Calcio (di seguito “FIGC”) con il C.U. n. 48 del 28 dicembre
2006, successivamente modificato con il C.U. n. 50 del 4 gennaio 2007, ed entrato in vigore in data
1° febbraio 2007.
Il “nuovo” Regolamento Agenti sostituisce il precedente Regolamento per l’Attività di Agente
di Calciatori, che la FIGC aveva disposto per recepire nell’ordinamento sportivo calcistico italiano
la regolamentazione internazionale adottata dalla FIFA (FIFA Players’ Agents Regulations,
pubblicate su www.fifa.com).
Il Regolamento Agenti previgente era stato oggetto dell’indagine IC27 settore calcio
professionistico condotta dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (di seguito
“AGCM”) avviata in data 31 marzo 2005 e conclusasi in data 21 dicembre 2006. Nella relazione
conclusiva (n. 16280 del 21 dicembre 2006, pubblicata sul sito www.agcm.it) l’AGCM aveva
evidenziato come numerosi aspetti della disciplina della professione di agente di calciatori fossero
potenzialmente idonei a pregiudicare il normale svolgimento della concorrenza, quali:
1) l’esercizio della professione in situazione di incompatibilità e di conflitto di interessi,
2) le limitazioni all’accesso alla professione di nuovi soggetti,
3) le c.d. “clausole di garanzia”,
4) le conseguenze pregiudizievoli (eccessivamente onerose) derivanti dalla risoluzione
unilaterale del mandato da parte degli assistiti,
5) la clausola compromissoria e le modalità di risoluzione delle controversie,
6) l’insufficiente regolamentazione dell’accesso a dati sensibili per il mercato da parte degli
operatori del settore,
7) l’utilizzo di un modello contrattuale imposto dalla Commissione Agenti. In seguito alla
segnalazione dell’AGCM tali problematiche erano state oggetto di revisione e modifica da parte
della FIGC nel Regolamento Agenti attualmente in vigore.
Gli operatori del settore non hanno tuttavia accolto con favore unanime la riforma: parte
delle nuove norme sembrano costituire ostacoli per il regolare svolgimento della concorrenza al
pari – se non in misura maggiore - delle precedenti.
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GIURISPRUDENZA
TAR Lazio: regolamento agenti…
Particolarmente aspra la critica inerente alle disposizioni transitorie del nuovo Regolamento
Agenti, quali l’art. 24, comma 3, secondo cui “gli Agenti in possesso di licenza alla data di entrata
in vigore del presente Regolamento hanno 90 giorni di tempo da tale data per risolvere le eventuali
situazioni di incompatibilità di cui all’art. 7”; oppure quali il comma 4 del medesimo art. 24,
secondo cui “al termine della stagione sportiva 2006-2007 si risolvono di diritto i rapporti
contrattuali tra agenti e calciatori o tra agenti e società che siano in essere alla data in vigore del
presente Regolamento e che ricadano nei divieti previsti dall’art. 15”.
Con queste premesse l’Associazione Agenti Calciatori e Società, ed alcuni agenti come
persone fisiche hanno agito avverso la FIGC e l’AIC dinanzi al Tribunale Amministrativo
Regionale del Lazio per chiedere l’annullamento – previa sospensione – del “nuovo” Regolamento
Agenti, per contrasto con le norme costituzionali, comunitarie, nonché delle disposizioni
regolamentari FIFA. Il TAR ha tuttavia sospeso l’esecuzione del nuovo Regolamento Agenti solo
per l’art. 24, comma 4 (sopra citato – in questa nota), rimandando ogni altra decisione alla
trattazione nel merito. (A.B.)
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GIURISPRUDENZA