2. Antropologia della sessualità umana

2. Antropologia della sessualità umana
“Tutti sanno e sperimentano quanto sia facile innamorarsi e quanto sia difficile amare
veramente”
(H. Hesse)
“L’amore vive di piccoli gesti d’amore”
(T. Fontane)
“Vuoi sapere se il tuo amore è bello e degno? Guarda se ti solleva al di sopra di te stesso”
(A. Graf)
“L’amore è quella cosa che ci fa sorridere anche quando siamo stanchi”
(Tommaso, 4 anni)
“Non bisogna mai dire ti amo se non è vero. Ma se è vero bisogna dirlo tante volte! Le persone
dimenticano...”
(Jessica, 8 anni)
Per parlare in modo adeguato della sessualità è necessario porsi la domanda “chi è
l’uomo?”. Il problema del rapporto tra l’uomo e la sessualità ha a che fare con l’identità
personale: ciò che l’uomo “è”, è la base di ciò che l’uomo “può fare”1.
2.1 - La struttura dell’uomo: è capace di scelta
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Se sotto il profilo dell’indagine scientifica ogni parte dell’uomo può essere considerata
separatamente, quando si vuole valutare l’uomo come persona allora tutte le sue componenti
vanno guardate in modo unitario. Il termine persona, nella tradizione culturale europea,
profondamente influenzata dal cristianesimo, indica “ciò che di più perfetto esiste in natura”2.
L’uomo è al vertice delle creature e in quanto tale è sempre fine e mai mezzo, il che equivale a
dire che riveste la massima dignità nel mondo della natura ed esercita una particolare signoria
che va vissuta con responsabilità. L’uomo deve rispondere di se stesso e del suo agire libero
davanti a Dio e davanti alla sua coscienza, luogo dove Dio fa sentire la Sua voce.3
L’uomo è in grado infatti di conoscere gli esseri viventi nella loro verità e nel loro valore e di
rapportarsi ad essi amandoli per quello che sono. La ragione serve per conoscerli e la volontà
per vivere il rapporto con essi alla luce della verità.
Ogni volta che l’uomo agisce mette in funzione una serie di meccanismi biologici,
psicologici e spirituali. C’è un punto in cui essi sono ricondotti tutti ad unità: è quando l’uomo
pronuncia la parola “io”. Allora l’uomo sperimenta la sua libertà; egli è causa della sua azione,
cioè è libero e padrone di sé, è responsabile delle azioni che compie.
2.2 - L’uomo sa dialogare
L’uomo inoltre è capace di superare se stesso, cioè è un “io” in grado di riconoscere ed
entrare in relazione con un “tu”. Questo significa che è capace di costruire un dialogo. Egli ha
una struttura di dipendenza, cioè è bisognoso, deve cercare fuori di sé ciò che lo fa sentire
completo, in quanto è stato creato per vivere in comunione con gli altri. Diversamente la sua
inquietudine non si placa.
L’uomo ha una struttura di comunione e non può rimanere solo, diversamente non si sente
realizzato e anche il suo corpo sessuato ne è la testimonianza visibile.
Egli ha una struttura da orientare. Nella visione cristiana si riconosce che l’uomo ha in sé anche
una inclinazione al male, cioè egli con il peccato tende a realizzarsi in modo indipendente dal
legame creaturale con Dio, è sempre combattuto fra Dio e il proprio io, fra obbedienza e
ribellione.
2.3 - L’uomo è uno “spirito incarnato”
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Il corpo manifesta ed esprime la persona e partecipa della sua dignità. La sessualità è
così intimamente legata con la persona e ne tocca il nucleo più profondo. Essa è testimone di
due fondamentali valori: il valore dell’amore e quello della fecondità dell’amore.
In quanto spirito vestito di carne, l’uomo si perfeziona come persona attraverso tappe di
crescita: attraverso l’avvenimento della Incarnazione di Dio, centro del messaggio cristiano,
egli comprende se stesso come dimora permanente dello Spirito di Dio.
Attraverso Gesù Cristo, il Dio fatto uomo, l’uomo capisce di essere:
creato “ad immagine e somiglianza di Dio”4;
chiamato a divenire “figlio di Dio in Cristo”5;
destinato alla “comunione eterna con Dio”6.
2.4 - La sessualità esprime la persona
Ormai le scienze umane hanno sufficientemente dimostrato che la sessualità umana
permea tutta la persona e non può essere definita solo come una realtà biologica, fisica. Essa
va a toccare la zona più profonda dello spirito dell’uomo. Non si può intenderla su una base
puramente istintuale.
La dipendenza dall’istinto e dal desiderio come diritto della persona, ben presto stacca la
sessualità dalla responsabilità. La conseguenza è una sessualità priva di regole che disgrega
tutto l’uomo portandolo verso deviazioni della mente e del comportamento.
Ecco cosa significa che il corpo esprime la persona: semplicemente che va assegnato un
rispetto al dono visibile della sessualità perché esso esprime un mistero invisibile.
Questo mistero è bene espresso nella definizione dell’uomo come spirito incarnato. Lo spirito
infatti ha un destino di immortalità che non può essere taciuto o dimenticato.
L’uomo, in base a quanto detto, manifesta con il corpo una rivelazione: Dio e il suo amore
creatore. Perciò la sessualità rivela che l’origine della capacità di donarsi attraverso il
linguaggio del corpo, proviene dalla creazione di Dio, la quale è a sua volta un atto d’amore.
Di conseguenza non è difficile scoprire che la sessualità in quanto reciprocità del rapporto
uomo-donna, del loro essere due in una sola carne (cf. Gn.2,24) è una vera e propria chiamata
al rapporto con Dio e con i fratelli. C’è una vera somiglianza tra l’amore di comunione delle tre
Persone divine svelato da Gesù e la forma di amore che gli uomini sono chiamati a realizzare
tra loro, prima fra tutte la comunione nel matrimonio. Ed è nella famiglia che viene alla luce la
vocazione della persona ad essere felice attraverso il dono.
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2.5 - “Dimmi la verità!”:
educare al significato di ogni dono
“Sono un ragazzo di vent’anni, da sempre profondamente credente ed impegnato in gruppi
di volontariato e preghiera cattolici. Ho avuto una storia d’amore di tre anni con una ragazza
anch’essa con una fede salda fatta di azioni e non parole. Insieme abbiamo cominciato uno
stupendo cammino di preghiera e di lavoro con i sofferenti che dura tutt’ora, anche se non
siamo più fidanzati.
La nostra vita sessuale era attivissima e mai abbiamo trovato dicotomia tra la nostra fede e gli
atti d’amore che ci hanno accompagnato in tutta la nostra relazione.
I nostri padri spirituali, stupitissimi della nostra vita di preghiera e di servizio (a detta loro rari in
persone della nostra età), non ci hanno mai detto che rischiavamo di uscire dalla grazia di Dio,
limitandosi a chiedere se ci amavamo abbastanza da poter fare quel tipo di scelte.
Ora che non stiamo più insieme siamo comunque felicissimi della nostra vita passata,
ringraziando il Signore dei momenti che ci ha permesso di vivere e sicuri che, quando ameremo
di nuovo abbastanza da poterci donare totalmente a qualcuno, i nostri atti non saranno sminuiti
dall’averli già compiuti, anzi ciò aggiungerà una maggiore consapevolezza alle nostre azioni.
Dico ciò per esperienza nostra e di altre persone”.
(Lettera firmata, rivista Città nuova n. 17, 1999)
Questa lettera risente del qualunquismo di oggi, ove l’opinione soggettiva prevale su quella
di Dio. Purtroppo contiene anche una denuncia indiretta, ossia che capita di incontrare delle
carenze non da poco anche negli educatori, e cioè in seno alla Chiesa stessa.
Senza scendere a sterili polemiche sulle motivazioni di tutto ciò, si evidenzia l’importanza
dell’annuncio completo della verità alle coscienze secondo la volontà di Gesù.
La prospettiva cristiana parla di morale della donazione, ed è questo principio che tiene lontana
dalla persona sia la menzogna sia l’egoismo. La persona è capace di conoscere la verità, le
finalità della sua vita e, in quanto tale, non può realizzarsi nella menzogna.
Il primo impegno di ogni educatore è chiarire la volontà di Gesù di essere amato e seguito
attraverso l’insegnamento della Sua Chiesa, voce della verità che rende liberi. Il Papa,
consapevole delle contraddizioni in cui cadono alcuni confessori, ha esortato il clero a
trasmettere con fedeltà il Magistero della Chiesa, delineando con questi termini i criteri
dell’autenticità di un sacerdote:
“Succede a volte, su nodi etici di attualità, che i fedeli escano dalla confessione con le idee
piuttosto confuse, anche perché non trovano nei confessori la stessa linea di giudizio. In realtà
quanti svolgono in nome di Dio e della Chiesa questo delicatissimo ministero hanno il preciso
dovere di non coltivare, ed ancor più di non manifestare in sede sacramentale, valutazioni
personali non rispondenti a ciò che la Chiesa insegna e proclama. Non si può scambiare per
‘amore’ il venir meno alla verità per un malinteso senso di comprensione” 7.
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Occorre perciò aiutare i giovani a scoprire il vero significato della sessualità, che non
risiede nell’egoismo.
Per fare questo l’educatore dovrebbe essere un uomo di fede che trasmette al giovane il senso
della presenza di Dio e l’umiltà con cui la Sua Chiesa merita di essere ascoltata.
Gesù ha insegnato a tendere alla perfezione dell’amore, non al compromesso, sia pure
nella comprensione delle umane fragilità.
Formare la coscienza di un giovane alla verità lo condurrà dal conoscere se stesso, al
controllare e dominare se stesso, fino al donare se stesso come Gesù ha fatto.
Amare i giovani significa aiutarli ad assimilare i principi della verità con pazienza e dolcezza,
ricordando che “non sminuire in nulla la sana dottrina di Gesù è eminente forma di carità verso
le anime” 8.
La tentazione di acquistare consenso mutilando la verità in ogni campo, non paga, poiché “il
mezzo per attirare le anime non consiste nell’attenuare la dottrina, ma nel presentarla in tutta la
sua purezza e bellezza” (beato frère Charles De Foucauld).
1. Da una riflessione di Giancarlo Grandis, docente di Teologia Morale e consulente etico del
Pontificio Consiglio per la Famiglia.
2. cf. SAN TOMMASO, S.Th., I- q.29, a. 3
3. cf. Gaudium et Spes, 16.
4. cf. Gn. 1,26-27.
5. cf. Gal. 3,26; Ef.1,4-5.
6. cf. 1 Gv.1,3; Tit.1,2; Rm. 6,22.
7 cf. Gv. 8,32. Giovanni Paolo II, Discorso alla Penitenzeria Apostolica, 28 Marzo 2003.
8 cf. Paolo VI, Humanae Vitae, 29.
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