(Documentazione per i catechisti della Scuola Diocesana, in ordine all’incontro del 1°febbraio 2007) Alcune schede sul “mistero” del popolo d’Israele, per la comprensione e il dialogo …Questo piccolo popolo rischia ripetutamente di essere distrutto dai potenti vicini e ripetutamente, contro ogni ragionevole previsione, riesce a salvarsi….E’ davvero sorprendente che sopravviva e conservi la propria identità una minoranza, privata della sua terra, dispersa in mezzo a molte nazioni, emarginata e perseguitata. La Bibbia, per quanto riguarda le crisi più antiche , attribuisce esplicitamente l’imprevedibile salvezza alla fedeltà di Dio: è da pensare la stessa cosa per quelle successive . Con la sua storia di passione, il popolo eletto partecipa al mistero del Cristo redentore e incarna emblematicamente la figura profetica del Servo che espia i peccati del mondo. Il dialogo tra cristiani ed ebrei deve mirare innanzitutto a una migliore conoscenza reciproca, premessa indispensabile per la fiducia e la collaborazione. …..Conoscere la religione ebraica, giova a conoscere meglio anche la religione cristiana … Motivo fondamentale di divisione rimane la diversa posizione riguardo al messia: Per noi cristiani egli è già venuto in Gesù di Nazareth; per gli ebrei non si è ancora manifestato. Tuttavia gli uni e gli altri attendiamo una sua venuta futura al termine della storia….. (CEI, Catechismo degli Adulti: La verità vi farà liberi, n.445) DOCUMENTO della Commissione per i rapporti religiosi con l'ebraismo: sussidi per una corretta presentazione EBREI ED EBRAISMO NELLA PREDICAZIONE E NELLA CATECHESI DELLA CHIESA CATTOLICA Estratto: ….Omissis VI. Ebraismo e cristianesimo l. La storia d'Israele non si conclude nel 70 d.C. (cf. Orientamenti e Suggerimenti, per l'applicazione della dichiarazione conciliare Nostra aetate n. 11). Essa continuerà, in particolare nella vasta diaspora che permetterà ad Israele di portare in tutto il mondo la testimonianza, spesso eroica, della sua fedeltà all'unico Dio e di «esaltarlo di fronte a tutti i viventi» (Tobia 13,4), conservando sempre nel cuore delle sue speranze il ricordo della terra degli avi (Seder pasquale [=cena pasquale ebraica n.d.r.]). I cristiani sono invitati a comprendere questo vincolo religioso che affonda le sue radici nella tradizione biblica pur non dovendo far propria un'interpretazione religiosa particolare di tale relazione (cf. Dichiarazione della conferenza dei vescovi cattolici degli Stati Uniti, 20 novembre 1975). Per quanto si riferisce all'esistenza dello Stato di Israele e alle sue scelte politiche, esse vanno viste in un'ottica che non è di per sé religiosa, ma che si richiama ai principi comuni del diritto internazionale. Il permanere di Israele (laddove tanti antichi popoli sono scomparsi senza lasciare traccia), è un fatto storico e segno da interpretare nel piano di Dio. Occorre in ogni modo abbandonare la concezione tradizionale del popolo punito, conservato come argomento vivente-per l'apologetica cristiana. Esso resta il popolo prescelto, «l'olivo buono sul quale sono stati innestati i rami dell'olivo selvatico che sono i gentili» (alludendo a Rm 11,17-24, nel Discorso sopra citato di papa Giovanni Paolo II, 6 marzo 1982). Si ricorderà quanto sia stato negativo il bilancio dei rapporti tra ebrei e cristiani durante due millenni. Si rileverà come questo permanere di Israele si accompagni ad un'ininterrotta creatività spirituale, nel periodo rabbinico, nel medio evo, e nel tempo moderno, a partire da un patrimonio che ci fu a lungo comune, tanto che «la fede e la vita religiosa del popolo ebraico così come sono professate e vissute ancora oggi (possono) aiutare a comprendere meglio alcuni aspetti della vita della chiesa» (Giovanni Paolo II, ibid.). La catechesi, d'altra parte, dovrà aiutare a comprendere il significato che ha per gli ebrei, il loro sterminio negli anni 1939-1945 e le sue conseguenze. 2. La formazione e la catechesi debbono occuparsi del problema del razzismo, sempre attivo nelle diverse forme di antisemitismo. Il concilio lo presenta nel seguente modo: «La chiesa inoltre, che condanna tutte le persecuzioni contro qualsiasi uomo, memore del patrimonio che essa ha in comune con gli ebrei, e spinta non da motivi politici, ma da religiosa carità evangelica, deplora gli odi, le persecuzioni e tutte le manifestazioni di antisemitismo dirette contro gli ebrei in ogni tempo e da chiunque» (Nostra aetate, n.4). E gli Orientamenti e Suggerimenti per l'applicazione della dichiarazione conciliare Nostra aetate commentano: «I legami spirituali e le relazioni storiche che ricollegano la chiesa all'ebraismo condannano, come avversi allo spirito stesso del cristianesimo, tutte le forme di antisemitismo e di discriminazione che, d'altra parte, la dignità della persona umana è per se stessa sufficiente a condannare» VII. Conclusione L'insegnamento religioso, la catechesi e la predicazione debbono formare non solo all'obiettività, alla giustizia, alla tolleranza, ma anche alla comprensione e al dialogo. Le nostre due tradizioni sono troppo apparentate per ignorarsi. E' necessario incoraggiare una reciproca conoscenza a tutti i livelli. Si constata in particolare una penosa ignoranza della storia- e delle tradizioni dell'ebraismo e sembra a volte che solo gli aspetti negativi e spesso caricaturali facciano parte della conoscenza comune di molti cristiani. Questi Sussidi aspirano a porre rimedio ad una tale situazione. In modo che il testo del concilio e gli Orientamenti e Suggerimenti per l'applicazione della dichiarazione conciliare Nostra aetate (n. 4) siano più facilmente e fedelmente realizzati. Card. GIOVANNI WILLEBRANDS (Presidente) PIERRE DUPREY (Vice-Presidente) JORGE MEJÌA (Segretario) Roma, 1985 LA CROCIFISSIONE BIANCA di Marc Chagall (1938) La crocifissione bianca è senza dubbio uno dei vertici artistici chagalliani: dipinta nel 1938, in essa il pittore esprime le sofferenze del suo popolo odiato e perseguitato e prefigura drammaticamente le ignominiose atrocità che saranno commesse nei mesi e negli anni successivi. Un grande crocifisso bianco campeggia nel mezzo della tela, messo in rilievo da un fascio di luce divina che sembra quasi sostenerlo. Il Cristo non è cinto dal perizoma, ma dal tipico manto ebraico. Attorno al crocefisso, al posto delle figure consuete (i due ladroni, i soldati, la Vergine, le pie donne ecc.), sono posti, invece, ebrei in fuga, scene di distruzione, di saccheggi, di disperazione: il caos. Il furioso incendio della Sinagoga rievoca drammaticamente le distruzioni dei luoghi di culto perpetrate dai nazisti in quegli anni. Per Chagall il tempio ebraico era come una sorta di prolungamento della casa, a Vitebsk, poiché era assiduamente frequentato dalla sua famiglia, dal padre e dal nonno in particolare, che era rabbino. Non stupisce quindi che il pittore abbia inserito la tela intitolata appunto Sinagoga (1917) nella serie di quadri legati alla sua famiglia. Questo intimo attaccamento al luogo di culto amplifica il dolore e lo sgomento del pittore, resi da colori giallo-cupi e rossi che contrastano con le tonalità bianco-grigiastre del dipinto. Le punte delle fiamme si sovrappongono al fascio di luce divina, come se potessero sacrilegamente violarla, e si riflettono sul corpo di Cristo, esasperandone la sofferenza. Anche le fiamme bianche, che si sprigionano convulsamente da una torah (il Pentateuco biblico), hanno ormai intaccato la scala appoggiata alla croce e minacciano la croce stessa. I famigerati pogrom (le distruzioni dei villaggi ebrei), sono rievocati alla sinistra del quadro: case incendiate, distrutte, capovolte, sedie rovesciate, tombe profanate, un uomo morto per terra che sembra divorato dalle fiamme. Non manca il violino, piccolissimo, accanto a tre uomini seduti presso le rovine delle loro case: nella comunità ebraica chassidica il violinista accompagnava nascite, matrimoni, funerali ed era per Chagall, che lo immortalò in numerose tele, una figura mitica e amatissima. La fuga come conseguenza della barbarie è un altro tema sviluppato in questo dipinto: fuga di una donna dall'espressione atterrita con il suo bambino tra le braccia, di un vecchio (l'ebreo errante) che attraversa le fiamme sprigionate dalla torah, di un altro ebreo che cerca di portare in salvo un'altra torah, di soldati in preda alla disperazione che si sporgono stremati da una barca, mentre altri si sbracciano per chiedere aiuto... I soldati dell'Armata rossa che irrompono dalla sinistra sembrano troppo pochi per contrastare una tale immane brutalità, ma sono, ancora una volta, una speranza per Chagall... Al di sopra degli incendi «levitano», come angeli umanizzati, tre rabbini e una donna: increduli e disperati, sembrano danzare una preghiera funebre nel cielo annerito dal fumo dei saccheggi, sordide nubi che soltanto il fascio di luce divina può lacerare: nello scempio cagionato dall'odio, questa luce e la presenza di Cristo morente accendono altre speranze e prefigurano una rinascita, un riscatto, una riconciliazione, una vita nuova... Ma ciò sembra appena attenuare la visione apocalittica intorno alla croce. I toni spettrali ottenuti con un uso sapiente del bianco in ogni sua variazione, rendono sommessa la disperazione, silente l'orrore, amplificando, paradossalmente, la drammaticità delle scene. Chagall osserva attonito queste atrocità e sembra che intoni, con i suoi pennelli, una sorta di struggente qaddish (=preghiera ebraica) pittorico. Questo dipinto è ispirato agli eventi contemporanei relativi alla persecuzione degli Ebrei nell'Europa centrale ed orientale, preludio delle atroci sofferenze che avrebbero subito negli anni della Seconda Guerra Mondiale da parte dei nazisti. Sopra la testa di Cristo sono dipinte figure del Vecchio Testamento che piangono nel vedere ciò che sta accadendo. In alto a sinistra i soldati assaltano un villaggio, rappresentato da un gruppo di case-giocattolo, tutte rotte e capovolte, di cui una in fiamme. Una sinagoga sta bruciando in alto a destra. Nell'angolo in basso a destra un vecchio fugge, portando le sue poche cose in un fagotto, simbolo degli ebrei senza casa e perseguitati ovunque. Una piccola barca sovraccarica di persone rappresenta il tentativo disperato degli ebrei di sfuggire alla brutalità impietosa dei loro persecutori. Come parlare di Gesù crocifisso e della Croce? 1 Nella tradizione e nell'esperienza dei cristiani, la morte di Gesù Cristo in croce si trova al centro della fede e della predicazione. Come parlarne in maniera significativa e pertinente nella catechesi? E’ bene tenere presente: >> le fonti biblico-teologiche: E' essenziale che venga colto e presentato il significato proprio della morte in croce di Gesù per i cristiani. Il riferimento normativo è al Nuovo Testamento. Probabilmente la forma più efficace sarà la narrazione della storia di Gesù: la sua donazione, la sua fedeltà e il suo coraggio, secondo la narrazione evangelica. Il racconto comprenderà l'illuminazione del volto di Dio Padre non come vendicatore, ma come misericordia e salvezza 2 . Senz'altro va salvaguardata la concreta storicità della tragica sostanza di quanto avvenne in quel venerdì di duemila anni fa. Nella storia Gesù aveva cercato di portare il mondo nuovo, secondo il sogno di Dio scritto nella creazione; e nella storia si consuma il rifiuto di quel progetto; così come nella storia si radica l'accoglienza del seme sepolto da Gesù su questa terra. Gesù ha amato, predicato, operato dentro ad una precisa realtà, costituita di singole persone, gruppi sociali, istituzioni pubbliche, tradizioni religiose. La sua condanna, direttamente e storicamente, non discende dal cielo, ma deriva quale conseguenza della sua azione nella storia. Gesù vive l'intera sua esistenza come obbedienza filiale al Padre e come dedizione solidale ai fratelli. L'intensità di vita delle sue opere e dei suoi giorni trova il suo vertice in Gerusalemme (Lc 9,51; cf. Mc 10,32) e soprattutto nell'opera e nel giorno del Venerdì santo. La morte va collocata, quindi, in stretta connessione con la globalità della sua storia come il culmine della sua obbediente «esistenza». Attraverso le mani degli uomini che lo «consegnano» alla croce, è Gesù stesso che si consegna. In che senso? Forse che Egli si vota fatalisticamente al sacrificio? NO. É una esigenza di fedeltà e di coerenza, dentro alle contraddizioni della storia, quella che lo spinge a non arrendersi, per non tradire la logica del suo progetto anche di fronte alla minacciosa prospettiva di una morte violenta. Sempre in atteggiamento di donazione, Gesù interpreta la sua missione che va verso un esito tragico sullo sfondo biblico della figura del profeta perseguitato ed ucciso e di quella del giusto - servo fedele, che si può intravedere nelle pagine del libro di Isaia, al capitolo 53: Cfr. MARSON ORIOLDO, L’Irc nel nuovo contesto di laicità e pluralismo religioso, Relazione al Convegno dei Direttori degli Uffici Catechistici, Taranto, (27 febbraio - 2 marzo 2005) 2 I dati generali più sicuri dal punto di vista storico possono essere così riassunti. Gesù di Nazareth viene condannato alla morte di croce a Gerusalemme sotto l'amministrazione romana del governatore Ponzio Pilato verso gli anni 30 dell'era cristiana. Data più probabile: venerdì 7 aprile dell'anno 30 d.C. Attendibile e storicamente fondato è senz'altro il «titulus» (=INRI), apposto sulla croce nella quale Gesù fu inchiodato, e in cui è formulata la causa della sua condanna: (Gesù il Nazareno) il re dei giudei (Mc 15,26 par.; Gv 19,19). 1 “…Disprezzato e reietto dagli uomini, uomo dei dolori, ben conosce il patire, come uno davanti al quale ci si copre la faccia , era disprezzato e non ne avevamo alcuna stima. Eppure Egli si è caricato delle nostre sofferenze , si è addossato i nostri dolori, e noi lo giudicavamo castigato, percosso da Dio e umiliato, Egli è stato trafitto per i nostri delitti, schiacciato per le nostre iniquità. Il castigo che ci dà salvezza si è abbattuto su di lui, per le sue piaghe noi siamo stati guariti….” Gesù Cristo, dunque, in primo luogo, vede nella sua morte non uno spiacevole incidente, ma il punto d'arrivo dell'infedeltà all'alleanza, segno di un peccato che si iscrive nella storia dei rapporti di Dio con il suo popolo. In secondo luogo, come il Servo sofferente di Isaia, Egli compie un'estrema, finale scelta di fedeltà e solidarietà. La comunità delle origini interpreterà questa “autoconsegna” di coerenza come l'atto supremo del dono di sé da parte di Gesù: «Questa vita nella carne, io la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha consegnato se stesso per me» (Gal 2,20; cf. 1,4; Ef 5,2.25; 1 Tim 2,6; Tt 2,14). E’ necessario poi prendere atto e fare attenzione alla riflessione oggi in atto anche all'interno del mondo ebraico. Storici, filosofi della religione, intellettuali, letterati, infatti, hanno ridato cittadinanza al profeta e maestro Gesù di Nazaret all'interno dell'ebraismo. Alcuni autori vedono rispecchiato nel destino di Gesù messo a morte in croce il destino del popolo ebraico. Gesù diviene così il prototipo degli ebrei perseguitati, la sua passione è assunta a simbolo delle sofferenze del suo popolo 3 . L’interpretazione ebraica, oggi, delle sofferenze del popolo di Israele possono, comunque, rendere il senso di questo accostamento alla Croce di Gesù. "Gesù di Nazareth è vissuto, ed egli continua a vivere, non solo nella sua chiesa, che si rifà a lui (più realisticamente, ma nelle molte chiese e sette che si rifanno al suo nome), ma anche nel suo popolo, del quale egli personifica il martirio. Il Gesù sofferente e morente, irriso sulla croce, non è forse divenuto un simbolo per il suo popolo intero, il quale, frustato a sangue, è stato continuamente appeso alla croce dell'odio antisemita? E il messaggio pasquale della sua risurrezione non è forse divenuto un simbolo per l'ebraismo oggi nuovamente risorto, il quale si risolleva, acquistando nuova figura, dalla più profonda umiliazione e dal più profondo disonore dei dodici anni più oscuri della sua storia? 4 ”. Il cristiano ha sempre e, comunque, un tesoro da offrire: Gesù Cristo, il Figlio del Dio vivente. E' un tesoro più grande della chiesa stessa, chiamata al dono generoso e gratuito. Il dono di Gesù Cristo alle nuove generazioni non potrà avvenire solo nella forma della catechesi ma anche come mediazione culturale e educativa, perché Cristo e il crocifisso rimandano sempre ad un messaggio. 3 Si veda: SHALOM BEN CHORIN, Fratello Gesù. Un punto di vista ebraico sul Nazareno, Morcelliana, Brescia 1985 L'autore presenta anche diversi scrittori ebraici che si sono interessati di Gesù: Sholem Asch, Ahron Abraham Kabak, Frank Andermann, Hille Domin con la sua lirica Ecce homo: p. 58-62. Inoltre: J. IMBACH, Gesù a chi appartiene?, Paoline, Roma 1991. Il libro racconta, nella prima parte, la storia della riscoperta ebraica di Gesù come la vicenda di un figlio perduto e quindi ritrovato. Fra i nomi recenti vengono anche ricordati Pinchas Lapide e David Flusser. Oggi non si può non tener conto, del contributo del Prof. David Flusser (1917-2000), a questa riflessione, al fine di un dialogo proficuo tra ebrei e cristiani, e per un’ autentica ricerca comune sulla storia di Gesù di Nazareth, nella sua ebraicità, e nell’orizzonte dei Maestri e dei sapienti d’Israele. 4 Idem Dal Catechismo della Chiesa Cattolica Gli Ebrei non sono collettivamente responsabili della morte di Gesù 597 Tenendo conto della complessità storica del processo di Gesù espressa nei racconti evangelici, e quale possa essere il peccato personale dei protagonisti del processo (Giuda, il Sinedrio, Pilato), che Dio solo conosce, non si può attribuirne la responsabilità all'insieme degli Ebrei di Gerusalemme, malgrado le grida di una folla manipolata [Cf Mc 15,11 ] e i rimproveri collettivi contenuti negli appelli alla conversione dopo la Pentecoste [Cf At 2,23; At 2,36; At 3,13-14; At 4,10; 597 At 5,30; At 7,52; At 10,39; At 13,27-28; 1Ts 2,1415 ]. Gesù stesso perdonando sulla croce [Cf Lc 23,34 ] e Pietro sul suo esempio, hanno riconosciuto l'"ignoranza" ( At 3,17 ) degli Ebrei di Gerusalemme ed anche dei loro capi. Ancor meno si può, a partire dal grido del popolo: "Il suo sangue ricada sopra di noi e sopra i nostri figli" ( Mt 27,25 ) che è una formula di ratificazione, [Cf At 5,28; 597 At 18,6 ] estendere la responsabilità agli altri Ebrei nel tempo e nello spazio: Molto bene la Chiesa ha dichiarato nel Concilio Vaticano II: "Quanto è stato commesso durante la Passione non può essere imputato né indistintamente a tutti gli Ebrei allora viventi, né agli Ebrei del nostro tempo. . . Gli Ebrei non devono essere presentati né come rigettati da Dio, né come maledetti, come se ciò scaturisse dalla Sacra Scrittura" [Conc. Ecum. Vat. II, Nostra aetate, 4]. "Gesù consegnato secondo il disegno prestabilito di Dio" 599 La morte violenta di Gesù non è stata frutto del caso in un concorso sfavorevole di circostanze. Essa appartiene al mistero del disegno di Dio, come spiega san Pietro agli Ebrei di Gerusalemme fin dal suo primo discorso di Pentecoste: "Egli fu consegnato a voi secondo il prestabilito disegno e la prescienza di Dio" ( At 2,23 ). Questo linguaggio biblico non significa che quelli che hanno "consegnato" Gesù ( At 3,13 ) siano stati solo esecutori passivi di una vicenda scritta in precedenza da Dio. 600 Tutti i momenti del tempo sono presenti a Dio nella loro attualità. Egli stabilì dunque il suo disegno eterno di "predestinazione" includendovi la risposta libera di ogni uomo alla sua grazia: "Davvero in questa città si radunarono insieme contro il tuo santo servo Gesù, che hai unto come Cristo, Erode e Ponzio Pilato con le genti e i popoli d'Israele [Cf Sal 2,1-2 ] per compiere ciò che la tua mano e la tua volontà avevano preordinato che avvenisse" ( At 4,27-28 ). Dio ha permesso gli atti derivati dal loro accecamento [Cf Mt 26,54; Gv 18,36; Gv 19,11 ] al fine di compiere il suo disegno di salvezza [Cf At 3,17-18 ]. "Morto per i nostri peccati secondo le Scritture" 601 Questo disegno divino di salvezza attraverso la messa a morte del Servo, il Giusto, [Cf Is 53,11; 601 At 3,14 ] era stato anticipatamente annunziato nelle Scritture come un mistero di redenzione universale, cioè di riscatto che libera gli uomini dalla schiavitù del peccato [Cf Is 53,11-12; 601 Gv 8,34-36 ]. San Paolo professa, in una confessione di fede che egli dice di avere "ricevuto", che "Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture " ( 1Cor 15,3 ) [Cf At 3,18; At 7,52; At 13,29; 601 At 26,22-23 ]. La morte redentrice di Gesù compie in particolare la profezia del Servo sofferente [Cf Is 53,7-8 e At 8,32-35 ]. Gesù stesso ha presentato il senso della sua vita e della sua morte alla luce del Servo sofferente [Cf Mt 20,28 ]. Dopo la Risurrezione, egli ha dato questa interpretazione delle Scritture ai discepoli di Emmaus, [Cf Lc 24,25-27 ] poi agli stessi Apostoli [Cf Lc 24,44-45 ]. Tutta la vita di Cristo è offerta al Padre 606 Il Figlio di Dio "disceso dal cielo non per fare" la sua "volontà ma quella di colui che" l'ha "mandato" ( Gv 6,38 ), "entrando nel mondo dice: . . Ecco, io vengo. . . per fare, o Dio, la tua volontà. . . Ed è appunto per quella volontà che noi siamo stati santificati, per mezzo dell'offerta del Corpo di Gesù Cristo, fatta una volta per sempre" ( Eb 10,5-10 ). Dal primo istante della sua Incarnazione, il Figlio abbraccia nella sua missione redentrice il disegno divino di salvezza: "Mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato e compiere la sua opera" ( Gv 4,34 ). Il sacrificio di Gesù "per i peccati di tutto il mondo" ( 1Gv 2,2 ) è l'espressione della sua comunione d'amore con il Padre: "Il Padre mi ama perché io offro la mia vita" ( Gv 10,17 ). "Bisogna che il mondo sappia che io amo il Padre e faccio quello che il Padre mi ha comandato" ( Gv 14,31 ). 607 Questo desiderio di abbracciare il disegno di amore redentore del Padre suo anima tutta la vita di Gesù [Cf Lc 12,50; Lc 22,15; Mt 16,21-23 ] perché la sua Passione redentrice è la ragion d'essere della sua Incarnazione: "Padre, salvami da quest'ora? Ma per questo sono giunto a quest'ora!" ( Gv 12,27 ). "Non devo forse bere il calice che il Padre mi ha dato?" ( Gv 18,11 ). E ancora sulla croce, prima che tutto sia compiuto, [Cf Gv 19,30 ] egli dice: "Ho sete" ( Gv 19,28 ). La nostra partecipazione al sacrificio di Cristo 618 La croce è l'unico sacrificio di Cristo, che è il solo "mediatore tra Dio e gli uomini" ( 1Tm 2,5 ). Ma, poiché nella sua Persona divina incarnata, "si è unito in certo modo ad ogni uomo", [Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 22] egli offre "a tutti la possibilità di venire in contatto, nel modo che Dio conosce, con il mistero pasquale" [Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 22]. Egli chiama i suoi discepoli a prendere la loro croce e a seguirlo, [Cf Mt 16,24 ] poiché patì per noi, lasciandoci un esempio, perché ne seguiamo le orme [Cf 1Pt 2,21 ]. Infatti egli vuole associare al suo sacrificio redentore quelli stessi che ne sono i primi beneficiari [Cf Mc 10,39; Gv 21,18-19; Col 1,24 ]. Ciò si compie in maniera eminente per sua Madre, associata più intimamente di qualsiasi altro al mistero della sua sofferenza redentrice [Cf Lc 2,35 ]. Al di fuori della croce non vi è altra scala per salire al cielo [Santa Rosa da Lima; cf P. Hansen, Vita mirabilis, Louvain 1668]. La venuta gloriosa di Cristo, speranza di Israele 673 Dopo l'Ascensione, la venuta di Cristo nella gloria è imminente, [Cf Ap 22,20 ] anche se non spetta a noi "conoscere i tempi e i momenti che il Padre ha riservato alla sua scelta" ( At 1,7 ) [Cf Mc 13,32 ]. Questa venuta escatologica può compiersi in qualsiasi momento [Cf Mt 24,44; 1Ts 5,2 ] anche se essa e la prova finale che la precederà sono "impedite" [Cf 2Ts 2,3-12 ]. 674 La venuta del Messia glorioso è sospesa in ogni momento della storia [Cf Rm 11,31 ] al riconoscimento di lui da parte di "tutto Israele" ( Rm 11,26; 674 Mt 23,39 ) a causa dell'"indurimento di una parte" ( Rm 11,25 ) nell'incredulità [Cf Rm 11,20 ] verso Gesù. San Pietro dice agli Ebrei di Gerusalemme dopo la Pentecoste: "Pentitevi dunque e cambiate vita, perché siano cancellati i vostri peccati e così possano giungere i tempi della consolazione da parte del Signore ed egli mandi quello che vi aveva destinato come Messia, cioè Gesù. Egli dev'esser accolto in cielo fino ai tempi della restaurazione di tutte le cose, come ha detto Dio fin dall'antichità, per bocca dei suoi santi profeti" ( At 3,19-21 ). E san Paolo gli fa eco: "Se infatti il loro rifiuto ha segnato la riconciliazione del mondo, quale potrà mai essere la loro riammissione se non una risurrezione dai morti?" ( Rm 11,15 ). "La partecipazione totale" degli Ebrei ( Rm 11,12 ) alla salvezza messianica a seguito della partecipazione totale dei pagani [Cf Rm 11,25; Lc 21,24 ] permetterà al Popolo di Dio di arrivare "alla piena maturità di Cristo" ( Ef 4,13 ) nella quale "Dio sarà tutto in tutti" ( 1Cor 15,28 ). L'ultima prova della Chiesa 675 Prima della venuta di Cristo, la Chiesa deve passare attraverso una prova finale che scuoterà la fede di molti credenti [Cf Lc 18,8; Mt 24,12 ]. La persecuzione che accompagna il suo pellegrinaggio sulla terra [Cf Lc 21,12; Gv 15,19-20 ] svelerà il "Mistero di iniquità" sotto la forma di una impostura religiosa che offre agli uomini una soluzione apparente ai loro problemi, al prezzo dell'apostasia dalla verità. La massima impostura religiosa è quella dell'Anti-Cristo, cioè di uno pseudo-messianismo in cui l'uomo glorifica se stesso al posto di Dio e del suo Messia venuto nella carne [Cf 2Ts 2,4-12; 675 1Ts 5,2-3; 2Gv 1,7; 1Gv 2,18; 1Gv 2,22 ]. 676 Questa impostura anti-cristica si delinea già nel mondo ogniqualvolta si pretende di realizzare nella storia la speranza messianica che non può esser portata a compimento che al di là di essa, attraverso il giudizio escatologico; anche sotto la sua forma mitigata, la Chiesa ha rigettato questa falsificazione del Regno futuro sotto il nome di "millenarismo", [Cf Congregazione per la Dottrina della Fede, Decreto del 19 luglio 1944, De Millenarismo: Denz. -Schönm. , 3839] soprattutto sotto la forma politica di un messianismo secolarizzato "intrinsecamente perverso" [Cf Pio XI, Lett. enc. Divini Redemptoris, che condanna il "falso misticismo" di questa "con- traffazione della redenzione degli umili"; Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 20-21. [Cf Ap 19,1-9 ] Cf Ap 19, 1-9]. 677 La Chiesa non entrerà nella gloria del Regno che attraverso quest'ultima Pasqua, nella quale seguirà il suo Signore nella sua morte e Risurrezione [Cf Ap 13,8 ]. Il Regno non si compirà dunque attraverso un trionfo storico della Chiesa [Cf Ap 20,7-10 ] secondo un progresso ascendente, ma attraverso una vittoria di Dio sullo scatenarsi ultimo del male [Cf Ap 21,2-4 ] che farà discendere dal cielo la sua Sposa [ Cf Ap 20,12 ]. Il trionfo di Dio sulla rivolta del male prenderà la forma dell'ultimo Giudizio [Cf 2Pt 3,12-13 ] dopo l'ultimo sommovimento cosmico di questo mondo che passa [Cf Dn 7,10; Gl 3-4; 677 Ml 3,19 ].