29/03/2016 FACOLTÀ DI GIURISPRUDENZA CORSO DI DIRITTO PENALE AVANZATO A/L PROF. MATTEO CAPUTO A.A. 2015/2016 II SEMESTRE IL PROGRAMMA Per gli studenti che frequentano le lezioni con regolarità, il corso, suddiviso informalmente in tre moduli, si caratterizzerà per i continui rimandi a tematiche di “parte generale”, già incontrate durante il Corso di Diritto penale, che verranno calate nell’analisi di specifici settori della “parte speciale” Gli argomenti prescelti: 1) lo studio della penalità contemporanea nei confronti dell’immigrazione, per comprendere le origini, le linee di tendenza e i punti di fuga del dibattito e delle opzioni di politica criminale al cospetto delle problematiche agitate dai flussi migratori; 2) lo studio del diritto penale ‐ e delle garanzie fondamentali in materia penale ‐ nella prospettiva sovranazionale: sarà oggetto di approfondimento l’incidenza del diritto dell’Unione europea e della Convenzione europea dei diritti dell’uomo in materia penale, con riferimento agli effetti che la giurisprudenza della Corte di Strasburgo e della Corte di Lussemburgo riversa sulla materia penale domestica; 1 29/03/2016 IL PROGRAMMA 3) lo studio della “colpa penale” e delle sue derivazioni, con particolare riferimento ai temi del rapporto con il dolo e la responsabilità oggettiva, delle ‘parti speciali’ della colpa (malpractice, infortunistica sul lavoro, incidentistica stradale), della c.d. colpa organizzativa etc. Ulteriori lezioni e incontri seminariali saranno dedicati ad approfondire tematiche di attualità, che presentano questioni tradizionali del diritto penale meritevoli di essere rivisitate alla luce delle acquisizioni più recenti. AVVERTENZE E RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI Per gli studenti che abbiano frequentato le lezioni con regolarità, ivi compresi i seminari e le esercitazioni, la preparazione dell’esame verterà sui temi dissodati nell’arco del corso. Per ogni tema, allo studio degli appunti e delle slides, dovrà accompagnarsi quello del materiale integrativo segnalato a lezione e sulla pagina web del docente. 2 29/03/2016 AVVERTENZE E RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI • Gli studenti frequentanti e non frequentanti dell'a.a. 2014/2015 potranno conferire sul programma dell'anno di riferimento non oltre l'ultimo appello utile della sessione estiva dell'a.a. 2015/2016 (luglio 2016). • Gli studenti frequentanti e non frequentanti dell'a.a. 2015/2016 potranno conferire sul programma dell'anno di riferimento non oltre l'ultimo appello utile della sessione estiva dell'a.a. 2016/2017 (luglio 2017). AVVERTENZE E RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI Per gli studenti che non abbiano frequentato le lezioni con regolarità, la preparazione dell’esame dovrà essere condotta sui seguenti testi: A) Sul diritto penale dell’immigrazione: • F. ROCCHI – E. ROSI (a cura di), Immigrazione illegale e diritto penale. Un approccio interdisciplinare, Napoli, Jovene, 2013: i saggi di 1) A. di Martino; 2) A. Caputo; 3) V. Maisto; 4) M. Gambardella; 5) M. Pelissero; 6) E. Rosi; 7) A. Cavaliere; 8) F. Rocchi. 3 29/03/2016 AVVERTENZE E RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI B) Sui delitti contro la Pubblica Amministrazione: • S. CANESTRARI – L. CORNACCHIA – G. DE SIMONE (a cura di), Manuale di diritto penale. Parte speciale. Delitti contro la Pubblica Amministrazione, il Mulino, Bologna, 2015. C) Sulla razionalità deliberativa nel diritto penale e sui mutamenti del rapporto tra legislazione e giurisdizione: •G. BOMBELLI – B. MONTANARI (a cura di), Ragionare per decidere, Giappichelli, Torino, 2015: i saggi di 1) B. Montanari; 2) M. Caputo; 3) G. Righini; 4) A. Basteri; 5) G. Bombelli. AVVERTENZE E RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI Sia agli studenti frequentanti, sia agli studenti non frequentanti, è richiesta la padronanza delle norme inerenti al programma d’esame, della Costituzione, del Codice penale, delle leggi complementari e della legislazione europea e internazionale richiamate durante il corso. Sarà dunque necessaria la costante consultazione di un Codice penale aggiornato, comprensivo delle principali leggi complementari. 4 29/03/2016 L’ORARIO DELLE LEZIONI • Lunedì, ore 15.30 ‐ 17.30 (AULA R 30) • Martedì, ore 14.30 ‐ 16.30 (AULA R 30) • Mercoledì, ore 8.30 ‐ 10.30 (AULA R 30) I COLLABORATORI DELLA CATTEDRA AVV. DOTT. LUISA ROMANO • [email protected] AVV. ELEONORA BARONE • [email protected] AVV. GIUSEPPE DE SALVATORE • [email protected] DOTT. SSA ELEONORA GUIDO • [email protected] DOTT. SSA NOEMI CIONFOLI • [email protected] 5 29/03/2016 I SEMINARI DI DIRITTO PENALE AVANZATO Data Relatore Tema 21 marzo 2016 Luisa Romano La cd. depenalizzazione “in astratto” nei più recenti provvedimenti di riforma: le novità e i problemi 4 aprile 2016 Eleonora Guido Causalità e colpa al banco di prova del caso Eternit 11 aprile 2016 Eleonora Barone Novità giurisprudenziali e ricadute applicative in materia di stupefacenti 18 aprile 2016 Noemi Cionfoli Sorvegliare e punire: radici e orizzonti dellʹistituzione carceraria 2 maggio 2016 Giuseppe De Salvatore Libertà di pensiero e reati di opinione Orario di Ricevimento & Tesi di Laurea • Il ricevimento del Prof. Caputo si tiene durante il semestre didattico al termine della lezione del lunedì pomeriggio (ore 17.30). • Cessate le lezioni, il ricevimento è tenuto esclusivamente dai collaboratori della cattedra. Il Prof. Caputo continua a ricevere nei giorni corrispondenti alle sedute di esame e di laurea. • Possono svolgere la tesi in Diritto penale avanzato solo gli studenti/studentesse che abbiano superato l’esame di Diritto penale avanzato con una votazione pari o superiore a 27/30. 6 29/03/2016 Laboratorio Permanente di Diritto Penale - Di.P.La.P. è un’associazione fondata da un gruppo di ricercatori italiani di diritto e procedura penale per aggregare e rispondere alle istanze di rinnovamento e partecipazione della ricerca e del dibattito penalistici. Valori costitutivi sono l’autonomia e l’indipendenza organizzativa e scientifica, la multidisciplinarietà, l’apertura al mondo extra-accademico e professionale, la solidarietà intergenerazionale. Per ulteriori informazioni e sulle modalità di iscrizione a Di.P.La.P. consulta il sito http://labdirpen.wix.com/diplap o scrivi alla Segreteria all’indirizzo [email protected]. Per ulteriori informazioni sulla http://redazionediplap.wix.com/diplapeditor. Collana DIPLAP consulta il sito Il giorno 6 maggio 2016 presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università del Salento avrà luogo il convegno organizzato dal Di.P.La.P. - Laboratorio Permanente di Diritto Penale sul tema LA CONDIZIONE GIURIDICA DELLO STRANIERO IRREGOLARE NEL SISTEMA ITALIANO E SOVRANAZIONALE TRA ISTANZE DI PREVENZIONE E DI REPRESSIONE E RAGIONI DI GARANZIA I relatori saranno selezionati dal Comitato scientifico del convegno con il sistema della valutazione anonima tra coloro che risponderanno alla call for papers. Sono previste 8 relazioni di 15' ciascuna, cui seguirà un ampio spazio dedicato al dibattito e al confronto, nel quale tutti i partecipanti potranno cimentarsi in interventi di 5'. Gli atti del convegno saranno pubblicati nella Collana Di.P.La.P. Comitato scientifico: Angelo Caputo, Consigliere della Corte Suprema di Cassazione Chiara Favilli, Associata di Diritto dell’Unione Europea – Università di Firenze Luca Masera, Associato di Diritto Penale – Università di Brescia Gianluca Varraso, Ordinario di Diritto Processuale Penale – Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano 7 29/03/2016 CALL FOR PAPERS Le continue crisi politiche e umanitarie, accompagnate da persistenti squilibri demografici ed economici tra varie aree del mondo, inducono ingenti masse di popolazione ad abbandonare il proprio paese in cerca di un miglioramento delle condizioni di vita. Ragioni geografiche collocano l’Italia in prima linea nella gestione di imponenti flussi migratori, sia come Paese di destinazione sia come Paese di transito verso l’area di libera circolazione delle persone dell’Unione Europea. Negli ultimi due anni, il significativo aumento dei flussi migratori ha reso ancor più marcate le frizioni tra le misure volte a fronteggiare gli ingressi irregolari e il diritto di accesso alla protezione internazionale che deve essere riconosciuto in Italia sulla base delle disposizioni costituzionali e degli obblighi internazionali ed europei (art. 31 della Convenzione di Ginevra sullo status dei rifugiati del 28 luglio 1951). La legislazione in tema di ingresso e di permanenza degli stranieri sottende un delicato bilanciamento tra esigenze contrapposte. Fondata su istanze di controllo e repressione, è tenuta a rapportarsi, come rilevato anche dalla Corte costituzionale, a un grave problema sociale, umanitario ed economico che implica valutazioni di politica legislativa non riconducibili a mere esigenze generali di ordine e di sicurezza pubblica, né da confondere con problematiche diverse, legate alla pericolosità di alcuni soggetti e di alcuni comportamenti che nulla hanno a che vedere con il fenomeno dell’immigrazione (così Corte cost. n. 22 del 2007). A uno sguardo complessivo, il bilanciamento produce come esito tra i più significativi il tratto di “specialità” che caratterizza la condizione giuridica dello straniero irregolare. CALL FOR PAPERS Sul terreno penalistico la “specialità” si traduce, in primo luogo, nell’intreccio profondo tra la normativa penale, da una parte, e, dall’altra, discipline e logiche amministrativistiche, a cominciare dalla contravvenzione di ingresso e soggiorno illegale, di cui all’art. 10 bis TU Imm., nella quale la sovrapposizione dell’area dell’illecito amministrativo con quella di rischio penale, culmina con la comminatoria, quale “effettiva” sanzione, dell’espulsione. Si tratta, peraltro, di un’incriminazione molto discussa, uscita indenne dall’esame della Corte costituzionale e della Corte di giustizia e, da ultimo, esclusa, secondo le anticipazioni degli orientamenti del Governo, dai provvedimenti di depenalizzazione, ma che continua ad alimentare dubbi circa la sua compatibilità con fondamentali princìpi del diritto penale. Inoltre, la disciplina dell’immigrazione irregolare, anche quando si affida a categorie ben note al sistema penale, quale il delitto di attentato, assume connotati del tutto peculiari, come nel caso della maggior parte delle figure di favoreggiamento delle migrazioni illegali: un quadro normativo ispirato a fonti internazionali (la Convenzione di Palermo, in particolare) e oggetto di reiterati interventi legislativi consegna all’interprete reati la cui oggettività giuridica è in vario modo ricostruita, ora valorizzando la protezione della dignità dei migranti “oggetto” del traffico e, in uno con essa, di macro-interessi quali la personalità internazionale dello Stato, ora riconoscendo una marcata centralità alla tutela dell’ordine pubblico. Né può tacersi che la matrice internazionale delle condotte del traffico, da una parte, e della tratta, dall’altra, ha con tutta probabilità condizionato un’elaborazione teorica, non ancora pienamente soddisfacente, della distinzione tra le due categorie di illecito, che, a una più attenta analisi, sembrerebbero sottintendere strumenti di prevenzione e di repressione diversi tra loro. 8 29/03/2016 CALL FOR PAPERS Traffico e tratta, insieme alla riduzione in schiavitù e allo sfruttamento del lavoro “in nero”, sono solo alcune delle più aberranti manifestazioni della debolezza esistenziale dello straniero irregolare. Le norme poste a tutela dello straniero che versi in tali situazioni non mancano, ma occorre domandarsi se siffatte disposizioni si siano rivelate finora efficaci nel garantire la tutela dei diritti fondamentali dei migranti irregolari e quali interventi sarebbero eventualmente necessari per elevare il livello di protezione. A questo riguardo, si rileva che nel 2015, per la prima volta, l’Unione Europea ha avviato un’operazione militare nel Mediterraneo centromeridionale, denominata EUNAVFOR MED, con l’obiettivo di contrastare i trafficanti anche attraverso azioni militari, di intelligence e operative, come fermi, ispezioni, sequestri, dirottamenti e manomissione delle imbarcazioni dedite al traffico (Decisione PESC 2015/778 del 18 maggio 2015). L’impronta della “specialità” della condizione del migrante irregolare appare netta nella configurazione di autonome fattispecie incriminatrici di falsi documentali e della violazione dell’ordine di esibizione dei documenti di identità, e addirittura risalta sul terreno della detenzione amministrativa e dei reati collegati all’espulsione, e più in generale nella configurazione dello statuto normativo della libertà personale dello straniero irregolare, autentico reticolo in seno al quale, negli ultimi quindici anni, più si è esercitato il potere coercitivo dell’apparato repressivo. CALL FOR PAPERS La previsione di una disciplina ad hoc in materia di detenzione dello straniero irregolare nel corso della procedura di rimpatrio, lungi dall’essere una caratteristica propria del sistema giuridico italiano, è presente in quasi tutti gli ordinamenti degli Stati membri dell’UE ed è espressamente prevista nello stesso diritto europeo (art. 5 co. 1 lett. f della Convenzione EDU e art. 15-16 della direttiva 2008/115/CE (c.d. direttiva rimpatri). È proprio alla luce del quadro normativo europeo che sono stati rilevati gravi profili di criticità rispetto alle forme di privazione della libertà personale che vengono praticate nelle fasi immediatamente successive all’arrivo in Italia dei migranti, durante la permanenza (spesso forzata) degli stessi nei Centri di prima accoglienza (Corte EDU, sentenza Khlaifia del 1° settembre 2015) o nelle c.d. aree di transito. La Corte EDU è stata sempre chiara nel ribadire che non esistono “zone franche”, spazi nei quali gli Stati possano agire senza il rispetto delle garanzie fondamentali e che, anzi, la responsabilità degli Stati si estende anche oltre il territorio nazionale, laddove sia esercitato tramite i propri agenti un effettivo controllo sulla persona (Corte EDU, sentenze Medvedev del 29 marzo 2010 e Hirsi del 23febbraio 2012). Accanto alla detenzione amministrativa, gli ultimi quindici anni hanno visto il ricorso a un uso massiccio della pena detentiva nei confronti del migrante irregolare; strategia in gran parte ridimensionata grazie agli effetti dell’interpretazione della c.d. direttiva rimpatri resa dalla Corte di giustizia nel caso El Dridi. Alla luce di tale pronuncia, e della altre rese sullo stato delle carceri italiane, viene confermato il primario interesse a riflettere sulle ragioni e la portata di un intervento statale di contrasto alla migrazione irregolare centrato sulla coercizione, onde studiarne i possibili sviluppi e valutare la compatibilità costituzionale di nuove possibili forme di restrizione della libertà personale. 9 29/03/2016 CALL FOR PAPERS Un settore in cui la debolezza dell’irregolare desta particolare allarme è quello del rispetto del diritto a un ricorso effettivo, per come riconosciuto dall’art. 24 della Costituzione italiana, nonché dall’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea e dall’art. 13 della CEDU. In particolare, la questione emerge nel rapporto con gli organi amministrativi e di giustizia, tanto nel caso in cui l’irregolare chiede tutela rispetto alla violazione dei propri diritti, quanto nel caso in cui riveste la qualità di indagato o imputato in un processo penale, oppure si trova a dover scontare una pena detentiva. Il sistema sembra costruito per favorire l’espulsione dello straniero irregolare ad opera sia dell’autorità amministrativa sia giurisdizionale, che quasi competono tra loro. Si noti che lo svolgimento del processo penale può essere impedito da un rilascio pressoché automatico del nulla osta all’espulsione dello straniero libero ai sensi dell’art. 13, co. 3, del TU Imm., ed è tutt’altro che improbabile che possa attivarsi nei suoi confronti la procedura degli irreperibili, che conduce il più delle volte alla sospensione a tempo indeterminato del processo a norma del nuovo art. 420 quater c.p.p. In secondo luogo, anche in quei casi in cui il processo pervenga alla celebrazione di un dibattimento, la difesa personale e tecnica dell’imputato irregolare viene messa a dura prova. L’assenza dello straniero per qualsiasi ragione dal territorio nazionale determina l’applicazione dell’art. 17 TU Imm., strutturato in modo tale da rendere una mera petizione di principio la presenza personale al proprio processo. CALL FOR PAPERS In ogni caso, la partecipazione consapevole è legata alle potenzialità e ai limiti che scaturiscono dal corretto operare della disciplina contenuta nell’art. 143 c.p.p., che regola il diritto all’interprete e alla traduzione di atti fondamentali, così come sostituito dall’art. 1 d.lgs. 4 marzo 2014, n. 32, volto proprio a ovviare, in adempimento di precisi obblighi derivanti dall’Unione Europea, alle gravi insufficienze della disciplina previgente. Ai sensi dell’art. 111, co. 3, della Costituzione, nonché degli artt. 6, co. 3, lett. e, della CEDU e 14, co. 3, lett. f del Patto internazionale sui diritti civili e politici, è essenziale garantire alla persona accusata di un reato che non comprende e non parla la lingua impiegata nel processo di essere assistita da un interprete, il quale non è mero strumento tecnico a disposizione del giudice per consentire o facilitare lo svolgimento del processo, bensì oggetto di un diritto individuale onde mettere l’imputato alloglotta nelle condizioni di comprendere in modo reale il significato degli atti processuali (Corte cost. n. 254 del 2007). Va, infine, considerato che, da un lato, la effettività della difesa tecnica dello straniero irregolare, affidata il più delle volte al difensore d’ufficio e al gratuito patrocinio, progredirà solo insieme a una auspicabile evoluzione legislativa e culturale in materia, soprattutto per ovviare a quelle norme oggi esistenti nel d.P.R. n. 115 del 2002, che accrescono la possibilità di un mandato difensivo ricoperto senza compenso o senza adeguato compenso (circostanza in grado di incidere negativamente sulla qualità della prestazione svolta). Dall’altro lato, che tale difesa è, comunque, menomata dal frequente ricorso al giudizio immediato o direttissimo. 10 29/03/2016 CALL FOR PAPERS In relazione alle criticità del sistema sanzionatorio e penitenziario, si rileva che la centralità dell’espulsione – misura proteiforme, il più delle volte solo formalmente di natura amministrativa –, al pari della correlativa procedura di tutela affidata al giudice di pace, rischiano di comportare un livellamento verso il basso delle garanzie e dei principi del giusto processo legale, capace di ripercuotersi sulla fase esecutiva della sentenza di condanna a pena detentiva. È da segnalare, al riguardo, una desolante assenza di coordinamento tra la disciplina del TU Imm. e le norme penitenziarie. Come ben rimarcato dai giudici di Palazzo della Consulta, si porrebbe in contrasto con gli artt. 2, 3 e 27, co. 3, della Costituzione un sistema che escluda in modo assoluto l’intera gamma delle misure alternative previste dalla legge sull’ordinamento penitenziario a fronte di una condizione soggettiva, qual è il mancato possesso di un titolo abilitativo alla permanenza nel territorio dello Stato che di per sé non è univocamente sintomatico né di una particolare pericolosità sociale, incompatibile con il perseguimento di un percorso rieducativo, né della sicura assenza di un collegamento col territorio, che impedisca la proficua applicazione della misura alternativa (Corte cost. n. 78 del 2007). Sono, peraltro, da segnalare le difficoltà oggettive di garantire allo straniero all’interno del carcere l’istruzione, il lavoro, i rapporti con il mondo esterno e la famiglia, ossia gli elementi alla base di qualsiasi trattamento individualizzante, nonché l’accesso proprio alle misure alternative al carcere. CALL FOR PAPERS Prendendo le mosse dalla constatazione che la condizione di irregolarità del soggiorno fonda un trattamento giuridico differenziato in senso peggiorativo, la presente call for papers intende promuovere un’ampia e approfondita riflessione sul grado di corrispondenza con le fonti interne e sovrannazionali dei livelli di tutela garantiti, a livello normativo e nella prassi, ai diritti del migrante irregolare. I contributi potranno riguardare, a mero titolo di esempio: − la giustificazione dell’intervento penale per il contrasto all’immigrazione clandestina, con particolare riguardo alla punizione dei fatti di ingresso e soggiorno illegale; − il contrasto del traffico e della tratta di persone, con particolare riguardo al favoreggiamento dell’immigrazione irregolare, allo sfruttamento delle persone (lavorativo, sessuale, etc.), allo status delle vittime, alle cause di esclusione dell’illiceità e alle strategie repressive adottate a livello internazionale e dell’Unione Europea; 11 29/03/2016 CALL FOR PAPERS − la garanzia dei diritti dello straniero, con particolare riguardo alle seguenti tematiche: •forme e luoghi della coercizione della libertà personale, con riferimento ai “nuovi” luoghi di detenzione amministrativa; •condizione del detenuto in carcere, con riguardo in particolare al discutibile inquadramento della “espulsione” tra i benefici a contenuto rieducativo; •il problema della lingua nei rapporti con le autorità nazionali, amministrative o giudiziarie, e del diritto a un’adeguata informazione in merito alle tutele offerte dalla normativa di settore; •Il diritto a un ricorso effettivo dello straniero irregolare; - la cooperazione internazionale nel contrasto dell’immigrazione irregolare, con particolare riferimento alla missione militare EUNAVFOR MED, nonché alle operazioni realizzate sotto l’egida di FRONTEX o nell’ambito di altre modalità di cooperazione internazionale; - le azioni di contrasto dell’immigrazione irregolare e di controllo delle frontiere, con particolare riferimento al rapporto con gli obblighi di protezione internazionale. CALL FOR PAPERS PROCEDURA DI SELEZIONE I candidati dovranno inviare tramite email alla segreteria di Di.P.La.P. ([email protected]) all’attenzione del Presidente un paper, di massimo 4000 caratteri (note e spazi inclusi). Il paper deve recare nome, cognome e pseudonimo dell’autore. Il Presidente invierà al Comitato scientifico i paper con la sola indicazione dello pseudonimo. Al termine della valutazione anonima, il Comitato scientifico predisporrà una graduatoria in cui figureranno solo gli pseudonimi. Successivamente il Consiglio direttivo, nella persona del Presidente, provvederà ad associare questi ultimi al nominativo dell’autore e a comunicare un elenco di 8 relatori. Il Presidente è garante della correttezza della procedura e dell’anonimato dei candidati risultati non vincitori, i cui nominativi non verranno comunicati né al Consiglio direttivo dell’associazione né al Comitato scientifico. SCADENZE Il paper deve essere inviato alla segreteria del DiPLaP entro il 6 marzo 2016. I risultati della selezione saranno resi noti entro il 20 marzo 2016. 12 29/03/2016 CALL FOR PAPERS PROCEDURA DI SELEZIONE CRITERI EDITORIALI PER IL PAPER Ampiezza: 4000 caratteri max (eventuali note e spazi inclusi) Margini: 2,5 tutti Carattere testo: times new roman, 12 Carattere note: times new roman, 10 Interlinea: singola Rientro prima riga: 0,5 Titoli: in grassetto Formato estensione: Word (.doc; .docx) e Pdf (.pdf) OSPITALITÀ DEI RELATORI Le spese di pernottamento dei relatori saranno rimborsate. Per le spese di viaggio verrà offerto un contributo economico il cui valore sarà definito in base all’ammontare dei finanziamenti ricevuti. I MODULO PROFILI PENALI DELL’IMMIGRAZIONE 13 29/03/2016 Un inquadramento generale del fenomeno migratorio «Ero straniero e non mi avete accolto» (Matteo, 25, 43) «Il tuo Cristo è ebreo, la tua macchina è giapponese, la tua pizza è italiana, la tua democrazia greca, il tuo caffè brasiliano, la tua vacanza turca, i tuoi numeri arabi, il tuo alfabeto latino. Solo il tuo vicino è uno straniero?» 14 29/03/2016 Refugees/Migrants Emergency Response ‐ Mediterranean 28 February 2016 http://data.unhcr.org/mediterranean Le migrazioni Migrazione è lo spostamento di gruppi umani da insediamenti (punti di partenza) ad altri (apici). Propensione alla mobilità che accompagna l’uomo nel corso della sua storia che avviene per un concorso di cause consistenti, tali da rendere desiderabile l’abbandono degli insediamenti abituali e accettabili i rischi connessi allo spostamento. 15 29/03/2016 Le Cause Gli spostamenti umani possono essere individuali o di massa, coatti o volontari. Dall’incrocio di queste quattro variabili si apre un panorama variegato di situazioni di volta in volta diverse. Individuali: Coatti (esilio, confino) Volontari (emigrazione) Di massa: Coatti (tratta, deportazione, diaspora) Volontari (invasioni, conquiste, colonizzazioni) scoperte, Cause attuali delle migrazioni internazionali. Push factors & Pull factors Fattori di espulsione nei Paesi di esodo: Fattori di attrazione nei Paesi di approdo: •Pressione demografica •Peggioramento delle condizioni di vita •Inurbamento nelle megalopoli •Rivoluzione delle aspettative crescenti •Repressione politica •Governi militari, dispotici, totalitari •Scontri tra etnie •Conflitti militari • • Forte differenziale retributivo tra paesi in via di sviluppo e paesi sviluppati Domanda di manodopera da parte dei paesi sviluppati per: a. Rispondere alla caduta del tasso di natalità b. Rispondere all’invecchiamento della popolazione c. Abbassare i costi di produzione (manodopera a basso costo ad alto livello di ricattabilità ed elevata flessibilità) 16 29/03/2016 Il migrante I flussi migratori costituiscono un grave problema per i paesi d’origine in quanto i massicci spopolamenti rappresentano un’emorragia di forze giovani con pesanti conseguenze sia economiche che politiche. Coloro che sono disposti ad abbandonare la loro terra sono i cittadini più “vivaci” sia culturalmente che politicamente che con grande forza di volontà e grandi sacrifici ricercano soluzioni migliori. Status di rifugiato Il rifugiato (refugee) è colui che è costretto a lasciare il proprio paese a causa di guerra o persecuzioni per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o per le sue opinioni politiche. A differenza del migrante, non può tornare nel proprio paese perché teme di subire persecuzioni. La Convenzione di Ginevra del 1951 istituisce lo status giuridico di rifugiato e ne stabilisce i diritti. L’Italia è uno dei paesi che ha aderito alla Convenzione. 17 29/03/2016 I flussi migratori in Italia Per meglio comprendere l’immigrazione nel nostro paese bisogna distinguere tra progetti migratori di breve o lunga durata. I flussi migratori si caratterizzano per: • Transito (in Italia per raggiungere altri Paesi come Francia, Germania, Olanda) • Mobilità (dal settore primario del Sud al terziario e secondario del Nord) • Flessibilità (disponibilità a svolgere lavori diversi, potenzialmente pericolosi o nocivi, senza tutele sindacali per orario di lavoro e intensità, o sociali) I flussi migratori in Italia L’emigrazione si può avere: • Verso aree economicamente deboli (manodopera concorrenziale, lavoro ’informale’ o ‘sommerso’) • Verso aree economicamente forti (manodopera complementare o sostitutiva in situazioni di indisponibilità di manodopera locale) Il razzismo che si genera in questa situazioni è: • Causato dalla concorrenza nelle aree economicamente deboli • Causato dalla rivendicazione degli stessi diritti nelle aree economicamente forti 18 29/03/2016 Italiani che emigrano Anche gli italiani sono stati un popolo di emigranti. Si possono individuare 4 momenti caratterizzanti l’emigrazione italiana: 1. Emigrazione transoceanica alla fine del XIX secolo con picchi di 600 mila espatri l’anno per Stati Uniti, Argentina e Brasile. 2. Emigrazione durante il ventennio fascista per opposizione al regime con spostamenti diretti prevalentemente verso la Francia. 3. Diminuzione emigrazione transoceanica ed esplosione dell’emigrazione in Europa (Francia, Belgio, Gran Bretagna, Svizzera e Germania). Flussi migratori tra gli anni ’50 e ‘60 4. Migrazione interna Sud‐Nord Italia durante il boom economico (anni ’50 ‐ ’60). 19 29/03/2016 L’immigrazione in Italia 20 29/03/2016 21 29/03/2016 22 29/03/2016 23 29/03/2016 24 29/03/2016 25 29/03/2016 26 29/03/2016 Fondamentali premesse giuridiche I premessa Esistono diritti che riguardano tutti gli uomini e diritti che riguardano solo i cittadini: ‐ art. 3 comma 1 Cost. ‐ art. 16 Cost. 27 29/03/2016 II premessa I diritti di cittadinanza hanno titolo di esistere solo se non violano i diritti fondamentali di tutti gli uomini: ‐ art. 2 Cost. ‐ le differenziazioni tra stranieri comunitari ed extracomunitari III premessa Le leggi sull’immigrazione oggi appartengono al tema della sicurezza pubblica e l’uso del diritto penale serve per tutelare alcuni interessi e bisogni di sicurezza. Il principale interesse tutelato dalle norme penali in materia di immigrazione è di problematica individuazione: in questa fase, parliamo di ‘corretta regolamentazione dei flussi migratori’. 28 29/03/2016 IV premessa I principi penalistici di rilevanza costituzionale, come la personalità della responsabilità penale e la finalità rieducativa della pena, si iscrivono nel tracciato della tutela della dignità, della vita e della libertà della persona, e dunque al livello superiore dell’art. 2 Cost. e dei diritti fondamentali. Il ruolo del diritto penale nel contrasto all’immigrazione irregolare La tendenza di fondo: politica di esclusione, penalmente armata, che dà vita al c.d. diritto penale del nemico, centrato sulla considerazione della persona straniera come persona pericolosa. 29 29/03/2016 Il ruolo del diritto penale nel contrasto all’immigrazione irregolare Pelissero: l’intero meccanismo amministrativo di controllo dell’immigrazione clandestina si fonda sul risultato finale della espulsione dello straniero extracomunitario irregolare; l’espulsione non opera solo come strumento amministrativo, ma presenta natura ibrida di sanzione sostitutiva, di misura alternativa alla detenzione (art. 16 t.u.), di misura di sicurezza (art. 15 t.u.). L’ottica del legislatore è quella di non offrire margini alla possibilità di permanenza del soggetto irregolare sul territorio dello Stato e, laddove possibile, di utilizzare l’espulsione come strumento di sfoltimento delle carceri. Binomio immigrazione – perdita di sicurezza … gli stranieri emigrano nel nostro paese; lo straniero è spesso immigrato irregolare; vi sono molti stranieri in carcere; i tassi di criminalità nella popolazione degli stranieri irregolari è elevata; gli stranieri commettono reati di tipo predatorio; il problema degli stranieri costituisce un problema che pregiudica la sicurezza collettiva, a tutela della quale non può che essere invocato il braccio armato del diritto penale... 30 29/03/2016 Binomio immigrazione – perdita di sicurezza l’irregolarità dello straniero non costituisce un dato ontologico, ma è fissata da soglie legislative di esclusione; è l’incertezza connessa allo status di irregolare e non la condizione in sé di straniero a determinare tassi più elevati di criminalità; la penalità carceraria, come hanno da tempo dimostrato le indagini criminologiche, non riflette i tassi effettivi di criminalità nel paese, ma funge da strumento di controllo della marginalità sociale secondo il processo fortemente selettivo realizzato dalle agenzie di controllo penale I moniti della Corte costituzionale 31 29/03/2016 Inviolabilità della libertà personale Corte cost. 15 luglio 2004, n. 223 Affrontando la questione della previsione dell’arresto in flagranza per la contravvenzione di omessa ottemperanza all’ordine del questore di allontanamento dal territorio dello Stato (art. 14, comma 5-quinquies t.u.i.), la Consulta ha escluso la possibilità di deformare gli istituti processuali, anche laddove si volesse ritenere tale disciplina «finalizzata, sia pure impropriamente, ad assicurare l’espulsione amministrativa dello straniero che non abbia ottemperato all’ordine di allontanarsi dal territorio dello Stato». Il diritto inviolabile alla libertà personale rimane, dunque, una garanzia non flessibilizzabile per pure ragioni di esclusione del migrante irregolare. Proporzione e ragionevolezza Corte cost. 11 maggio 2007, n. 22 A fronte dell’intervento del legislatore che, per rendere obbligatorio l’arresto in flagranza aveva inasprito il trattamento sanzionatorio per l’omessa ottemperanza all’ordine del questore, pur non giungendo alla dichiarazione di illegittimità costituzionale dei nuovi elevati limiti edittali della fattispecie, la Corte costituzionale denuncia una politica criminale che in tema di immigrazione si mostra «squilibrata», «sproporzionata», «disarmonica», «problematica» rispetto ai principi costituzionali di uguaglianza, proporzionalità e finalità rieducativa della pena, rilevando «l’opportunità di un sollecito intervento del legislatore, volto ad eliminare gli squilibri, le sproporzioni e le disarmonie» della disciplina. 32 29/03/2016 Principio di colpevolezza Corte cost. 13 gennaio 2004, n. 5 Nel 2004 la Corte costituzionale dichiara non fondata la questione di legittimità dell’art. 14, comma 5-ter t.u., nella parte in cui la fattispecie richiede che la mancata ottemperanza all’ordine di espulsione avvenga «senza giustificato motivo» (C. Cost., sent. 13 gennaio 2004, n. 5): tale formula viene considerata dalla Corte una «“valvola di salvezza” del meccanismo repressivo», con la funzione di evitare «che la sanzione penale scatti allorché – anche al di fuori della presenza di vere e proprie cause di giustificazione – l’osservanza del precetto appaia concretamente “inesigibile” in ragione, a seconda dei casi, di situazioni ostative a carattere soggettivo od oggettivo», ossia di «situazioni ostative di particolare pregnanza, che incidano sulla stessa possibilità, soggettiva od oggettiva, di adempiere all’intimazione, escludendola ovvero rendendola difficoltosa o pericolosa (...) E ciò in specie (ad impossibilia nemo tenetur) quando l’inadempienza dipenda dalla condizione di assoluta impossidenza dello straniero, che non gli consenta di recarsi nel termine alla frontiera (...) e di acquistare il biglietto di viaggio». Funzione rieducativa della pena Corte cost. 16 marzo 2007, n. 78 Dichiarazione di illegittimità costituzionale dell’esclusione degli immigrati extracomunitari dalla fruizione delle misure alternative alla detenzione, in quanto «tale preclusione risulta collegata in modo automatico ad una condizione soggettiva – il mancato possesso di un titolo abilitativo alla permanenza nel territorio dello Stato – che, di per sé, non è univocamente sintomatica né di una particolare pericolosità sociale, incompatibile con il perseguimento di un percorso rieducativo attraverso qualsiasi misura alternativa, né della sicura assenza di un collegamento col territorio, che impedisca la proficua applicazione della misura medesima». Tal esclusione – sostiene la Corte – finisce per annullare il teleologismo costituzionale della pena che si riduce a pura «finalità repressiva». 33 29/03/2016 Corte cost. 5 luglio 2010, n. 249 Questione di legittimità costituzionale dell’art. 61, numero 11‐bis, del codice penale, che prevede una circostanza aggravante comune per i fatti commessi dal colpevole «mentre si trova illegalmente sul territorio nazionale». La disposizione censurata è stata introdotta dall’art. 1, comma 1, lettera f), del decreto‐legge 23 maggio 2008, n. 92 (Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica), convertito, con modificazioni, dall’art. 1 della legge 24 luglio 2008, n. 125. Corte cost. 5 luglio 2010, n. 249 Questa Corte, in tema di diritti inviolabili, ha dichiarato, in via generale, che essi spettano «ai singoli non in quanto partecipi di una determinata comunità politica, ma in quanto esseri umani» (sentenza n. 105 del 2001). La condizione giuridica dello straniero non deve essere pertanto considerata – per quanto riguarda la tutela di tali diritti – come causa ammissibile di trattamenti diversificati e peggiorativi, specie nell’ambito del diritto penale, che più direttamente è connesso alle libertà fondamentali della persona, salvaguardate dalla Costituzione con le garanzie contenute negli artt. 24 e seguenti, che regolano la posizione dei singoli nei confronti del potere punitivo dello Stato. Il rigoroso rispetto dei diritti inviolabili implica l’illegittimità di trattamenti penali più severi fondati su qualità personali dei soggetti che derivino dal precedente compimento di atti «del tutto estranei al fatto‐reato», introducendo così una responsabilità penale d’autore «in aperta violazione del principio di offensività […]» (sentenza n. 354 del 2002). D’altra parte «il principio costituzionale di eguaglianza in generale non tollera discriminazioni fra la posizione del cittadino e quella dello straniero» (sentenza n. 62 del 1994). Ogni limitazione di diritti fondamentali deve partire dall’assunto che, in presenza di un diritto inviolabile, «il suo contenuto di valore non può subire restrizioni o limitazioni da alcuno dei poteri costituiti se non in ragione dell’inderogabile soddisfacimento di un interesse pubblico primario costituzionalmente rilevante» (sentenze n. 366 del 1991 e n. 63 del 1994). 34 29/03/2016 Corte cost. 5 luglio 2010, n. 249 Con riferimento al caso specifico, si deve ricordare che le «condizioni personali e sociali» fanno parte dei sette parametri esplicitamente menzionati dal primo comma dell’art. 3 Cost., quali divieti direttamente espressi dalla Carta costituzionale, che rendono indispensabile uno scrutinio stretto delle fattispecie sospettate di violare o derogare all’assoluta irrilevanza delle “qualità” elencate dalla norma costituzionale ai fini della diversificazione delle discipline. Questa Corte ha più volte applicato tale metodo nel campo del diritto penale, dichiarando costituzionalmente illegittime norme che avevano costruito una fattispecie incriminatrice su presunzioni assolute di pericolosità, con l’effetto di istituire discriminazioni irragionevoli. Si è già fatto cenno, in proposito, alla riconosciuta illegittimità della previsione che puniva l’ubriachezza (art. 688 cod. pen.) solo per coloro che avessero già riportato una condanna per delitto non colposo contro la vita o l’incolumità delle persone (sentenza n. 354 del 2002). Corte cost. 5 luglio 2010, n. 249 Sulla scorta dei principi sinora ricordati, si deve riconoscere che l’aggravante di cui alla disposizione censurata non rientra nella logica del maggior danno o del maggior pericolo per il bene giuridico tutelato dalle norme penali che prevedono e puniscono i singoli reati. Non potrebbe essere ritenuta ragionevole e sufficiente, d’altra parte, la finalità di contrastare l’immigrazione illegale, giacché questo scopo non potrebbe essere perseguito in modo indiretto, ritenendo più gravi i comportamenti degli stranieri irregolari rispetto ad identiche condotte poste in essere da cittadini italiani o comunitari. Si finirebbe infatti per distaccare totalmente la previsione punitiva dall’azione criminosa contemplata nella norma penale e dalla natura dei beni cui la stessa si riferisce, specificamente ritenuti dal legislatore meritevoli della tutela rafforzata costituita dalla sanzione penale. 35 29/03/2016 Corte cost. 5 luglio 2010, n. 249 La contraddizione appena rilevata assume particolare evidenza dopo la recente modifica introdotta dall’art. 1, comma 1, della legge n. 94 del 2009, che ha escluso l’applicabilità dell’aggravante de qua ai cittadini di Paesi appartenenti all’Unione europea. È noto infatti che esistono ipotesi di soggiorno irregolare del cittadino comunitario, come, ad esempio, nel caso di inottemperanza ad un provvedimento di allontanamento, punita dall’art. 21, comma 4, del decreto legislativo 6 febbraio 2007, n. 30 (Attuazione della direttiva 2004/38/CE, relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri), con l’arresto da uno a sei mesi e con l’ammenda da 200 a 2.000 euro. Anche sotto tale profilo, risulta che la particolare disciplina dell’aggravante censurata nel presente giudizio fa leva prevalentemente sullo status soggettivo del reo, giacché la circostanza non si applica ai cittadini di Stati dell’Unione europea neppure nella più grave ipotesi dell’inottemperanza ad un provvedimento di allontanamento, vale a dire quando l’irregolarità del soggiorno è stata riscontrata ed ha formato oggetto di valutazione da parte della competente autorità di sicurezza, che ha emesso un ordine trasgredito dal soggetto interessato, il quale ha assunto, per tale condotta, una specifica responsabilità penale. È evidente, in altre parole, che la giustificazione della fattispecie censurata non può fondarsi su una presunzione correlata alla violazione delle norme sull’ingresso e sulla permanenza nello Stato di soggetti privi della cittadinanza italiana. E ciò si nota a prescindere dalla relazione tra lo status dell’immigrato in condizione irregolare e l’offesa tipica del reato che di volta in volta venga in considerazione. Corte cost. 5 luglio 2010, n. 249 Alla luce di quanto detto, si deve concludere che la ratio sostanziale posta a base della norma censurata è una presunzione generale ed assoluta di maggiore pericolosità dell’immigrato irregolare, che si riflette sul trattamento sanzionatorio di qualunque violazione della legge penale da lui posta in essere. La violazione delle norme sul controllo dei flussi migratori può essere penalmente sanzionata, per effetto di una scelta politica del legislatore non censurabile in sede di controllo di legittimità costituzionale, ma non può introdurre automaticamente e preventivamente un giudizio di pericolosità del soggetto responsabile, che deve essere frutto di un accertamento particolare, da effettuarsi caso per caso, con riguardo alle concrete circostanze oggettive ed alle personali caratteristiche soggettive. In coerenza a tale orientamento, questa Corte ha avuto modo di affermare che «il mancato possesso di un titolo abilitativo alla permanenza nel territorio dello Stato […] non è univocamente sintomatico […] di una particolare pericolosità sociale» (sentenza n. 78 del 2007). 36 29/03/2016 Corte cost. 5 luglio 2010, n. 249 In definitiva, la qualità di immigrato «irregolare» – che si acquista con l’ingresso illegale nel territorio italiano o con il trattenimento dopo la scadenza del titolo per il soggiorno, dovuta anche a colposa mancata rinnovazione dello stesso entro i termini stabiliti – diventa uno “stigma”, che funge da premessa ad un trattamento penalistico differenziato del soggetto, i cui comportamenti appaiono, in generale e senza riserve o distinzioni, caratterizzati da un accentuato antagonismo verso la legalità. Le qualità della singola persona da giudicare rifluiscono nella qualità generale preventivamente stabilita dalla legge, in base ad una presunzione assoluta, che identifica un «tipo di autore» assoggettato, sempre e comunque, ad un più severo trattamento. Ciò determina un contrasto tra la disciplina censurata e l’art. 25, secondo comma, Cost., che pone il fatto alla base della responsabilità penale e prescrive pertanto, in modo rigoroso, che un soggetto debba essere sanzionato per le condotte tenute e non per le sue qualità personali. Un principio, quest’ultimo, che senz’altro è valevole anche in rapporto agli elementi accidentali del reato. La previsione considerata ferisce, in definitiva, il principio di offensività, giacché non vale a configurare la condotta illecita come più gravemente offensiva con specifico riferimento al bene protetto, ma serve a connotare una generale e presunta qualità negativa del suo autore. Art. 10-bis Ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato 1. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, lo straniero che fa ingresso ovvero si trattiene nel territorio dello Stato, in violazione delle disposizioni del presente testo unico nonché di quelle di cui all'articolo 1 della legge 28 maggio 2007, n. 68, è punito con l'ammenda da 5.000 a 10.000 euro. Al reato di cui al presente comma non si applica l'articolo 162 del codice penale. 2. Le disposizioni di cui al comma 1 non si applicano allo straniero destinatario del provvedimento di respingimento ai sensi dell'articolo 10, comma 1 ((ovvero allo straniero identificato durante i controlli della polizia di frontiera, in uscita dal territorio nazionale)). 3. Al procedimento penale per il reato di cui al comma 1 si applicano le disposizioni di cui agli articoli 20-bis, 20-ter e 32-bis del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274. 4. Ai fini dell'esecuzione dell'espulsione dello straniero denunciato ai sensi del comma 1 non è richiesto il rilascio del nulla osta di cui all'articolo 13, comma 3, da parte dell'autorità giudiziaria competente all'accertamento del medesimo reato. Il questore comunica l'avvenuta esecuzione dell'espulsione ovvero del respingimento di cui all'articolo 10, comma 2, all'autorità giudiziaria competente all'accertamento del reato. 5. Il giudice, acquisita la notizia dell'esecuzione dell'espulsione o del respingimento ai sensi dell'articolo 10, comma 2, pronuncia sentenza di non luogo a procedere. Se lo straniero rientra illegalmente nel territorio dello Stato prima del termine previsto dall'articolo 13, comma 14, si applica l'articolo 345 del codice di procedura penale. 6. Nel caso di presentazione di una domanda di protezione internazionale di cui al decreto legislativo 19 novembre 2007, n. 251, il procedimento è sospeso. Acquisita la comunicazione del riconoscimento della protezione internazionale di cui al decreto legislativo 19 novembre 2007, n. 251, ovvero del rilascio del permesso di soggiorno nelle ipotesi di cui all'articolo 5, comma 6, del presente testo unico, il giudice pronuncia sentenza di non luogo a procedere. 37 29/03/2016 Corte cost. 5 luglio 2010, n. 250 L’individuazione delle condotte punibili e la configurazione del relativo trattamento sanzionatorio rientrano nella discrezionalità del legislatore: discrezionalità il cui esercizio può formare oggetto di sindacato, sul piano della legittimità costituzionale, solo ove si traduca in scelte manifestamente irragionevoli o arbitrarie (ex plurimis, sentenze n. 47 del 2010, n. 161, n. 41 e n. 23 del 2009, n. 225 del 2008). Contrariamente a quanto sostiene il giudice rimettente, non si può infatti ritenere che l’art. 10‐ bis del d.lgs. n. 286 del 1998, introducendo nell’ordinamento la contravvenzione di «ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato», penalizzi una mera «condizione personale e sociale» – quella, cioè, di straniero «clandestino» (o, più propriamente, «irregolare») – della quale verrebbe arbitrariamente presunta la pericolosità sociale. Oggetto dell’incriminazione non è un «modo di essere» della persona, ma uno specifico comportamento, trasgressivo di norme vigenti. Tale è, in specie, quello descritto dalle locuzioni alternative «fare ingresso» e «trattenersi» nel territorio dello Stato, in violazione delle disposizioni del testo unico sull’immigrazione o della disciplina in tema di soggiorni di breve durata per visite, affari, turismo e studio, di cui all’art. 1 della legge n. 68 del 2007: locuzioni cui corrispondono, rispettivamente, una condotta attiva istantanea (il varcare illegalmente i confini nazionali) e una a carattere permanente il cui nucleo antidoveroso è omissivo (l’omettere di lasciare il territorio nazionale, pur non essendo in possesso di un titolo che renda legittima la permanenza). Corte cost. 5 luglio 2010, n. 250 La condizione di cosiddetta “clandestinità” non è un dato preesistente ed estraneo al fatto, ma rappresenta, al contrario, la conseguenza della stessa condotta resa penalmente illecita, esprimendone in termini di sintesi la nota strutturale di illiceità (non diversamente da come la condizione di pregiudicato per determinati reati deriva, salvo il successivo accertamento giudiziale, dall’avere commesso i reati stessi). Né può condividersi, per altro verso, l’assunto in forza del quale si sarebbe di fronte ad un illecito «di mera disobbedienza», non offensivo – anche solo nella forma della messa in pericolo – di alcun bene giuridico meritevole di tutela: illecito la cui repressione darebbe vita ad una ipotesi di «diritto penale d’autore», al di sotto della quale si radicherebbe l’intento di penalizzare, ex se, situazioni di povertà ed emarginazione. Il bene giuridico protetto dalla norma incriminatrice è, in realtà, agevolmente identificabile nell’interesse dello Stato al controllo e alla gestione dei flussi migratori, secondo un determinato assetto normativo: interesse la cui assunzione ad oggetto di tutela penale non può considerarsi irrazionale ed arbitraria – trattandosi, del resto, del bene giuridico “di categoria”, che accomuna buona parte delle norme incriminatrici presenti nel testo unico del 1998 – e che risulta, altresì, offendibile dalle condotte di ingresso e trattenimento illegale dello straniero. 38 29/03/2016 Corte cost. 5 luglio 2010, n. 250 L’ordinata gestione dei flussi migratori si presenta, in specie, come un bene giuridico “strumentale”, attraverso la cui salvaguardia il legislatore attua una protezione in forma avanzata del complesso di beni pubblici “finali”, di sicuro rilievo costituzionale, suscettivi di essere compromessi da fenomeni di immigrazione incontrollata. Ciò, secondo una strategia di intervento analoga a quella che contrassegna vasti settori del diritto penale complementare, nei quali la sanzione penale – specie contravvenzionale – accede alla violazione di discipline amministrative afferenti a funzioni di regolazione e controllo su determinate attività, finalizzate a salvaguardare in via preventiva i beni, specie sovraindividuali, esposti a pericolo dallo svolgimento indiscriminato delle attività stesse (basti pensare, ad esempio, al diritto penale urbanistico, dell’ambiente, dei mercati finanziari, della sicurezza del lavoro). Caratteristica, questa, che, nel caso in esame, viene peraltro a riflettersi nell’esiguo spessore della risposta punitiva prefigurata dalla norma impugnata, di tipo meramente pecuniario. È incontestabile, in effetti, che il potere di disciplinare l’immigrazione rappresenti un profilo essenziale della sovranità dello Stato, in quanto espressione del controllo del territorio. Come questa Corte ha avuto modo di rimarcare, «lo Stato non può […] abdicare al compito, ineludibile, di presidiare le proprie frontiere: le regole stabilite in funzione d’un ordinato flusso migratorio e di un’adeguata accoglienza vanno dunque rispettate, e non eluse […], essendo poste a difesa della collettività nazionale e, insieme, a tutela di coloro che le hanno osservate e che potrebbero ricevere danno dalla tolleranza di situazioni illegali» (sentenza n. 353 del 1997). La regolamentazione dell’ingresso e del soggiorno degli stranieri nel territorio dello Stato è, difatti, «collegata alla ponderazione di svariati interessi pubblici, quali, ad esempio, la sicurezza e la sanità pubblica, l’ordine pubblico, i vincoli di carattere internazionale e la politica nazionale in materia di immigrazione» (sentenze n. 148 del 2008, n. 206 del 2006 e n. 62 del 1994): vincoli e politica che, a loro volta, rappresentano il frutto di valutazioni afferenti alla “sostenibilità” socio‐economica del fenomeno. Corte cost. 5 luglio 2010, n. 250 Il controllo giuridico dell’immigrazione – che allo Stato, dunque, indubbiamente compete (sentenza n. 5 del 2004), a presidio di valori di rango costituzionale e per l’adempimento di obblighi internazionali – comporta, d’altro canto, necessariamente la configurazione come fatto illecito della violazione delle regole in cui quel controllo si esprime. Determinare quale sia la risposta sanzionatoria più adeguata a tale illecito, e segnatamente stabilire se esso debba assumere una connotazione penale, anziché meramente amministrativa (com’era anteriormente all’entrata in vigore della legge n. 94 del 2009), rientra nell’ambito delle scelte discrezionali del legislatore, il quale ben può modulare diversamente nel tempo – in rapporto alle mutevoli caratteristiche e dimensioni del fenomeno migratorio e alla differente pregnanza delle esigenze ad esso connesse – la qualità e il livello dell’intervento repressivo in materia. in materia di immigrazione, «le ragioni della solidarietà umana non possono essere affermate al di fuori di un corretto bilanciamento dei valori in gioco» (sentenza n. 353 del 1997). In particolare, «le ragioni della solidarietà umana non sono di per sé in contrasto con le regole in materia di immigrazione previste in funzione di un ordinato flusso migratorio e di un’adeguata accoglienza ed integrazione degli stranieri» (ordinanze n. 192 e n. 44 del 2006, n. 217 del 2001): e ciò nella cornice di un «quadro normativo […] che vede regolati in modo diverso – anche a livello costituzionale (art. 10, terzo comma, Cost.) – l’ingresso e la permanenza degli stranieri nel Paese, a seconda che si tratti di richiedenti il diritto di asilo o rifugiati, ovvero di c.d. “migranti economici”» (sentenza n. 5 del 2004; ordinanze n. 302 e n. 80 del 2004). In materia il legislatore fruisce, dunque, di ampia discrezionalità nel porre limiti all’accesso degli stranieri nel territorio dello Stato, all’esito di un bilanciamento dei valori che vengono in rilievo: discrezionalità il cui esercizio è sindacabile da questa Corte solo nel caso in cui le scelte operate si palesino manifestamente irragionevoli (ex plurimis, sentenze n. 148 del 2008, n. 361 del 2007, n. 224 e n. 206 del 2006) e che si estende, secondo quanto in precedenza osservato, anche al versante della selezione degli strumenti repressivi degli illeciti perpetrati. 39 29/03/2016 Corte cost. 5 luglio 2010, n. 250 Le ragioni della solidarietà trovano, in questo senso, espressione – oltre che nella ricordata disciplina dei divieti di espulsione e di respingimento e del ricongiungimento familiare – nell’applicabilità, allo straniero irregolare, della normativa sul soccorso al rifugiato e la protezione internazionale, di cui al d.lgs. 19 novembre 2007, n. 251 (Attuazione della direttiva 2004/83/CE recante norme minime sull’attribuzione, a cittadini di Paesi terzi o apolidi, della qualifica del rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale, nonché norme minime sul contenuto della protezione riconosciuta), fatta espressamente salva dal comma 6 dello stesso art. 10‐bis del d.lgs. n. 286 del 1998, che prevede la sospensione del procedimento penale per il reato in esame nel caso di presentazione della relativa domanda e, nell’ipotesi di suo accoglimento, la pronuncia di una sentenza di non luogo a procedere (analoga pronuncia è prevista, altresì, nel caso di rilascio del permesso di soggiorno nelle ipotesi di cui all’art. 5, comma 6, del d.lgs. n. 286 del 1998, e cioè quando, pur in presenza delle condizioni ostative ivi indicate, ricorrano «seri motivi […] di carattere umanitario o risultanti da obblighi costituzionali o internazionali dello Stato italiano»). Critica alla sentenza della Corte Corte cost. n. 22/2007: quello migratorio è “un grave problema sociale, umanitario ed economico che implica valutazioni di politica legislativa non riconducibili a mere esigenze generali di ordine e sicurezza pubblica né sovrapponibili o assimilabili a problematiche diverse, legate alla pericolosità di alcuni soggetti e di alcuni comportamenti che nulla hanno a che fare con il fenomeno dell’immigrazione”. In un altro frammento della medesima decisione si denuncia un “quadro normativo” che “presenta squilibri, sproporzioni e disarmonie, tali da rendere problematica la verifica di compatibilità con i principi costituzionali di uguaglianza e di proporzionalità della pena e con la finalità rieducativa della stessa”, al punto da auspicare “un sollecito intervento del legislatore”, auspicio al quale la Corte – in quella circostanza – non si è sottratta in nome di una formalistica “rigorosa osservanza dei limiti dei poteri del giudice costituzionale”. 40 29/03/2016 Critica alla sentenza della Corte Il fatto c’è, ma è sintomo di un giudizio sull’autore che a sua volta realizza un’intollerabile discriminazione “per provenienza geopolitica”: “non si vuole la commissione del fatto, perché in realtà è il suo autore a risultare indesiderabile”. È il reo, con le sue caratteristiche e la sua identità scomoda, a portare addosso, ‘cucito’ come un abito, l’elemento caratterizzante il disvalore della condotta (di per sé lecita, e neutra, ove posta in essere dal cittadino o – forse ancora per poco – dallo straniero comunitario). Il soggetto nei cui confronti si realizzano le condizioni descritte dall’art. 10‐bis, si “trova” (questa è fra l’altro la formula dell’art. 61 n. 11‐bis), ‘è cioè, in una situazione in cui la sua condotta (ingresso, trattenimento senza valido titolo di soggiorno) fa sorgere uno status penalmente rilevante, sostanzialmente irrimediabile, se non (auto)espellendosi dal territorio. Si sovverte così, uno dei primi e più importanti conseguimenti garantistici del diritto penale democratico‐costituzionale, insieme addirittura alla struttura stessa del “rapporto con l’altro” alla luce della Costituzione”: mai tale rapporto può partire e costruirsi attorno a un pre‐giudizio negativo, dal quale far dipendere conseguenze in termini di ritorsione. Critica alla sentenza della Corte Il precetto contenuto nell’art. 10‐bis non può essere e non è, come tutto l’impianto retorico‐espressivo del Testo Unico lascerebbe invece credere, il “restare a casa propria”, cioè il non fare ingresso e non soggiornare tour court nel territorio dello Stato. La disposizione non sancisce la normalità di un divieto di ingresso e soggiorno che suona francamente alquanto sinistra se accostata ai principi e ai diritti fondamentali riconosciuti e garantiti dall’art. 2 Cost e dall’adesione dell’Italia ai principali strumenti di tutela dei diritti umani. Il precetto contiene piuttosto la richiesta di fare ingresso e/o trattenersi in conformità alla legge. È qui che la norma tradisce la sua manifesta irragionevolezza e la sua contrarietà agli artt. 2, 3, 27 commi uno e tre Cost. La (fattuale) impossibilità del soggetto di rendere legale, lecita e regolare la sua posizione, per cause a lui neppure colposamente imputabili. 41 29/03/2016 Critica alla sentenza della Corte La gran parte dei migranti presenti o in procinto di entrare nel nostro Paese non sono desiderosi né vogliono la clandestinità. Al contrario, essi potrebbero persino ardentemente desiderare la regolarità della posizione e prodigarsi per ottenerla, ma il risultato potrebbe essere loro precluso (salvo rarissime situazioni) dagli attuali vincoli strettissimi sulle condizioni per il rilascio del titolo di soggiorno. Condizioni concernenti il lavoro, il reddito, l’idoneità dell’alloggio, per esempio, che non dipendono dalla sola volontà conforme del destinatario del precetto, bensì dal convergere di una pluralità – talvolta fortuita e non legata al merito – di concomitanze. “Il ‘netto discrimine’ tra immigrati regolari e immigrati irregolari si è tradotto in una straordinaria, ma unidirezionale, rigidità della normativa sulla condizione dello straniero irregolare, cui è sempre precluso il passaggio alla condizione di regolarità; al contrario, la strada che conduce dalla condizione di regolarità a quella di irregolarità è ben facilmente percorribile, data la difficoltà per il migrante di conservare le condizioni necessarie al rinnovo di titoli abilitativi del soggiorno. Critica alla sentenza della Corte Claudia Mazzucato: La “sfera del dovere”, insomma, non coincide con la “sfera del potere”. Viene scambiato per “antagonismo verso la legalità” da punire penalmente (Corte cost. n. 249/2010), un’impossibilità di corrispondere al precetto che può persino rilevare sul piano giuridico, ma certamente non in sede penale, e ancorché – come acutamente osservato – ci troviamo a una “regola che diviene eccezione e inganno tra assurdità logiche e impraticabilità burocratiche”. Ripercorriamo gli insegnamenti elargiti dalla Corte costituzione con la sentenza n. 364/1988, sostituendo il concetto di “conoscibilità” della legge penale con quello – qui pertinente – di “possibilità di rispettare il contenuto del precetto”, per verificare la tenuta delle considerazioni che precedono. Afferma la Corte “Se l’obbligo giuridico si distingue dalla ‘soggezione’ perché, a differenza di quest’ultima, richiama la partecipazione volitiva del singolo alla sua realizzazione, far sorgere l’obbligo d’osservanza delle leggi (delle ‘singole’, particolari leggi) penali, in testa ad un determinato soggetto, senza la benché minima possibilità, da parte del soggetto stesso, [di poterne rispettare il contenuto, regolarizzando la propria permanenza/il proprio ingresso] e subordinare la sua violazione soltanto ai requisiti ‘subiettivi’ attinenti al fatto di reato, equivale da una parte a ridurre notevolmente valore e significato di questi ultimi e, d’altra parte, a strumentalizzare la persona umana a fini di pura deterrenza”. 42 29/03/2016 Critica alla sentenza della Corte Il numero dei migranti extracomunitari (e non solo, ormai) è ‘il’ problema. E la (pretesa) offensività ‐ cioè il disordine sociale ‐ procurato delle condotte di trasferimento verso o di soggiorno nel territorio dello Stato italiano scaturisce da questa moltitudine, niente affatto dalla condotta dell’individuo singolarmente considerato. Il diritto penale, con i suoi criteri di imputazione personale, colpisce però il singolo migrante irregolare, teoricamente sulla scorta di un fatto proprio colpevole. Ma qui, il coefficiente di rimproverabilità soggettiva, a voler essere rigorosi, – per il fatto proprio e colpevole – è davvero minimo ed evanescente (fino a sconfinare nella mera coscienza e volontà della condotta). L’individuo viene chiamato a rispondere (del reato di soggiorno/ingresso irregolare) per un fenomeno collettivo a lui non rimproverabile di cui sono responsabili conflitti, politiche, economie, disastri naturali e vicende storiche su scala planetaria, un fenomeno sul quale egli può incidere limitatamente alla sua sfera privata (la sua persona, al più – ma è già discutibile in assenza di un obbligo giuridico di impedimento della migrazione altrui – il suo entourage familiare). Il fatto che ‘non ci sia posto’ regolare per tutti può avere un qualche peso sul piano di una politica del diritto complessiva (che includa interventi educativi, sociali, di cooperazione che riducano la propensione alla migrazione), ma non può diventare fondamento per un reato in cui, in violazione di principi costituzionali, si addossa al singolo in termini di rimproverabilità per fatto proprio colpevole, l’effetto negativo di vicende lo trascendono. Critica alla sentenza della Corte Osserva Gabrio Forti: “spesso si dimentica, nel variegato frastuono dei richiami all’ordine e alla ‘legalità’ che si sentono echeggiare nel nostro paese, quanto la fiducia nel rispetto delle regole (così essenziale per la “felicità” delle cittadinanze) debba essere innanzi tutto preparata e costruita dallo stesso legislatore con un’attenta ponderazione dei precetti da introdurre nell’ordinamento. Precetti che dovrebbero essere credibili ed effettivamente applicabili grazie alle risorse di concreto enforcement che il sistema istituzionale abbia preventivamente messo a disposizione della magistratura e della pubblica amministrazione”, oltre che grazie alla scelte conforme degli stessi destinatari delle norme. L’intervento del diritto penale esige dunque ponderazione, a fortiori quando la fattispecie può colpire – come in questo caso – soggetti vulnerabili (perché stranieri, irregolari, spesso poveri, non comprendenti la lingua parlata nel luogo in cui si trovano, ecc.). 43 29/03/2016 La c.d. sentenza El Dridi CGUE 28 aprile 2011 - C-61/11 PPU Art. 14 comma 5 ter vs Direttiva rimpatri 2008/115/CE Il vecchio art. 14 comma 5 ter TUI 5-ter. Lo straniero che senza giustificato motivo permane illegalmente nel territorio dello Stato, in violazione dell’ordine impartito dal questore ai sensi del comma 5-bis, è punito con la reclusione da uno a quattro anni se l’espulsione o il respingimento sono stati disposti per ingresso illegale nel territorio nazionale (...), ovvero per non aver richiesto il permesso di soggiorno o non aver dichiarato la propria presenza nel territorio dello Stato nel termine prescritto in assenza di cause di forza maggiore, ovvero per essere stato il permesso revocato o annullato. Si applica la pena della reclusione da sei mesi ad un anno se l’espulsione è stata disposta perché il permesso di soggiorno è scaduto da più di sessanta giorni e non ne è stato richiesto il rinnovo, ovvero se la richiesta del titolo di soggiorno è stata rifiutata (...). In ogni caso, salvo che lo straniero si trovi in stato di detenzione in carcere, si procede all’adozione di un nuovo provvedimento di espulsione con accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica per violazione all’ordine di allontanamento adottato dal questore ai sensi del comma 5-bis. Qualora non sia possibile procedere all’accompagnamento alla frontiera, si applicano le disposizioni di cui ai commi 1 e 5-bis del presente articolo (...). 44 29/03/2016 Sentenza El Dridi Con la sua questione il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se la direttiva 2008/115, in particolare i suoi artt. 15 e 16, debba essere interpretata nel senso che essa osta ad una normativa di uno Stato membro, come quella in discussione nel procedimento principale, che preveda l’irrogazione della pena della reclusione al cittadino di un paese terzo il cui soggiorno sia irregolare per la sola ragione che questi, in violazione di un ordine di lasciare entro un determinato termine il territorio di tale Stato, permane in detto territorio senza giustificato motivo. IL PROBLEMA: la mancata cooperazione dello straniero irregolare alla procedura di reimpatrio L’OBIETTIVO: allontanamento dello straniero irregolare dalle frontiere nazionali Sentenza El Dridi La successione delle fasi della procedura di rimpatrio stabilita dalla direttiva 2008/115 corrisponde ad una gradazione delle misure da prendere per dare esecuzione alla decisione di rimpatrio, gradazione che va dalla misura meno restrittiva per la libertà dell’interessato – la concessione di un termine per la sua partenza volontaria – alla misura che maggiormente limita la sua libertà – il trattenimento in un apposito centro –, fermo restando in tutte le fasi di detta procedura l’obbligo di osservare il principio di proporzionalità … Al riguardo va rilevato, in primo luogo, che, come risulta dalle informazioni fornite sia dal giudice del rinvio sia dal governo italiano nelle sue osservazioni scritte, la direttiva 2008/115 non è stata trasposta nell’ordinamento giuridico italiano. 45 29/03/2016 Sentenza El Dridi Punti di frizione: - mentre la Direttiva prescrive la concessione di un termine per la partenza volontaria, compreso tra i sette e i trenta giorni, il decreto legislativo n. 286/1998 non prevede una tale misura. - Gli Stati non possono applicare una normativa, sia pure di diritto penale, tale da compromettere la realizzazione degli obiettivi perseguiti da una direttiva e da privare così quest’ultima del suo effetto utile. Sentenza El Dridi - La Direttiva subordina espressamente l’uso di misure coercitive al rispetto dei principi di proporzionalità e di efficacia per quanto riguarda i mezzi impiegati e gli obiettivi perseguiti. Ne consegue che gli Stati membri non possono introdurre, al fine di ovviare all’insuccesso delle misure coercitive adottate per procedere all’allontanamento coattivo conformemente all’art. 8, n. 4, di detta direttiva, una pena detentiva, come quella prevista all’art. 14, comma 5-ter, del decreto legislativo n. 286/1998, solo perché un cittadino di un paese terzo, dopo che gli è stato notificato un ordine di lasciare il territorio di uno Stato membro e che il termine impartito con tale ordine è scaduto, permane in maniera irregolare nel territorio nazionale. Essi devono, invece, continuare ad adoperarsi per dare esecuzione alla decisione di rimpatrio, che continua a produrre i suoi effetti. - Una tale pena, infatti, segnatamente in ragione delle sue condizioni e modalità di applicazione, rischia di compromettere la realizzazione dell’obiettivo perseguito da detta direttiva, ossia l’instaurazione di una politica efficace di allontanamento e di rimpatrio dei cittadini di paesi terzi il cui soggiorno sia irregolare. In particolare, come ha rilevato l’avvocato generale al paragrafo 42 della sua presa di posizione, una normativa nazionale quale quella oggetto del procedimento principale può ostacolare l’applicazione delle misure di cui all’art. 8, n. 1, della direttiva 2008/115 e ritardare l’esecuzione della decisione di rimpatrio. 46 29/03/2016 Sentenza El Dridi - Alla luce di quanto precede, al giudice del rinvio, incaricato di applicare, nell’ambito della propria competenza, le disposizioni del diritto dell’Unione e di assicurarne la piena efficacia, spetterà disapplicare ogni disposizione del decreto legislativo n. 286/1998 contraria al risultato della direttiva 2008/115, segnatamente l’art. 14, comma 5-ter, di tale decreto legislativo. - Pertanto, occorre risolvere la questione deferita dichiarando che la direttiva 2008/115, in particolare i suoi artt. 15 e 16, deve essere interpretata nel senso che essa osta ad una normativa di uno Stato membro, come quella in discussione nel procedimento principale, che preveda l’irrogazione della pena della reclusione al cittadino di un paese terzo il cui soggiorno sia irregolare per la sola ragione che questi, in violazione di un ordine di lasciare entro un determinato termine il territorio di tale Stato, permane in detto territorio senza giustificato motivo. Sentenza El Dridi N.B.: Il trattenimento disciplinato nel dettaglio dagli articoli 15 e 16 della direttiva è “la misura più restrittiva della libertà che la direttiva consente nell’ambito di una procedura di allontanamento coattivo”. Tale dettagliata regolamentazione può ragionevolmente spiegarsi soltanto in funzione della tutela dei diritti fondamentali dello straniero, e segnatamente della sua libertà personale, secondo i principi sviluppati in proposito dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo in tema di privazione della libertà personale nell’ambito di procedure espulsive, a cui il diritto dell’Unione non può che prestare ossequio. N.B.: Le norme UE ostano non già a una qualsiasi incriminazione, ma a un’incriminazione dalla quale possa discendere l’irrogazione di una sanzione detentiva nei confronti dello straniero, proprio perché questa sanzione verrebbe a privare lo straniero della propria libertà personale, in ragione della sua mera mancata cooperazione alla procedura espulsiva, a condizioni diverse e deteriori rispetto a quelle tassativamente stabilite dagli articoli 15 e 16 della direttiva, 47 29/03/2016 Sentenza El Dridi GLI EFFETTI: - Sui procedimenti pendenti - Sui procedimenti in corso - Sulla possibilità di riqualificare il fatto Il delitto di illecito reingresso delo straniero espulso – art. 13 comma 13 TUI 13. Lo straniero destinatario di un provvedimento di espulsione non può rientrare nel territorio dello Stato senza una speciale autorizzazione del Ministro dell'interno. In caso di trasgressione lo straniero è punito con la reclusione da uno a quattro anni ed è nuovamente espulso con accompagnamento immediato alla frontiera. La disposizione di cui al primo periodo del presente comma non si applica nei confronti dello straniero già espulso ai sensi dell'articolo 13, comma 2, lettere a) e b), per il quale è stato autorizzato il ricongiungimento, ai sensi dell'articolo 29. 13-bis. Nel caso di espulsione disposta dal giudice, il trasgressore del divieto di reingresso è punito con la reclusione da uno a quattro anni. Allo straniero che, già denunciato per il reato di cui al comma 13 ed espulso, abbia fatto reingresso sul territorio nazionale si applica la pena della reclusione da uno a cinque anni (Corte cost. 28 dicembre 2005, n. 466). 13-ter. Per i reati previsti dai commi 13 e 13-bis è obbligatorio l'arresto dell'autore del fatto anche fuori dei casi di flagranza e si procede con rito direttissimo. 48 29/03/2016 Le pronunce della CGUE - CGUE, 6 dicembre 2011, Achughbabian, causa C-329/11 - CGUE, 6 dicembre 2012, Sagor, causa C430/11 – art. 10 bis TUI - CGUE, 1 ottobre 2015, Celaj, causa C-290/14 – art. 13 comma 13 Il diritto penale del nemico Massimo Donini: «…caratterizzato dall’impiego di norme o condotte giuridicamente illegittime (per contrasto con principi o norme costituzionali o fonti superiori alla legge ordinaria) per le seguenti ragioni: cessando il diritto penale della colpevolezza per essere sostituito dal diritto penale della pericolosità, si infrange il diritto penale del fatto, soppiantato da quello d’autore (punibilità di atti preparatori che sotto la punizione di un fatto dissimulano la pena per la pericolosità degli autori), si perde la finalità della pena di recupero e di risocializzazione, sostituita da sanzioni escludenti, di pura neutralizzazione, o di marcata gravità afflittiva che celano scopi di eliminazione sociale. Rigore sanzionatorio sproporzionato, dunque (per esempio terzo strike, pena di morte, sanzioni indeterminate, regime penitenziario duro), oppure tortura, segregazioni di fatto, trasformazione della pena in misura di sicurezza, o anche esclusioni dal contesto sociale (come le politiche di espulsione come quale scopo primario della stessa minaccia di pena)». 49 29/03/2016 Il diritto penale del nemico Massimo Donini: «… Sotto il profilo processuale, si chiede al giudice di farsi carico delle tesi dell’accusa: chi le contrasta si schiera dall’altra parte. Vietato il garantismo, che vale solo per i cittadini che riconoscono il sistema e appare altrimenti come solidarietà col nemico, va così perduta la terzietà della giurisdizione. Là dove, viceversa, quest’ultima ancora si conserva, il diritto penale del nemico viene praticato in modo da non giungere mai di fronte a un giudice, eludendo o riducendo i controlli giurisdizionali: si abusa di strumenti para-penali di prevenzione e controllo, di detenzioni amministrative, di un impiego insolito di giurisdizioni straniere o di misure adottate in forme tali da eludere la verifica giurisdizionale». D. lgs. 25 luglio 1998, n. 286 e succ. mod. Testo unico in materia di immigrazione «Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero» 50 29/03/2016 D. lgs. 25 luglio 1998, n. 286 e succ. mod. • Immigrato autore di reato • Immigrato oggetto materiale del reato • Immigrato vittima di reato D. lgs. 25 luglio 1998, n. 286 e succ. mod. • Immigrato autore di reato • Artt. 13, comma 13; 13 bis; 14 commi 5 ter, 5 quater; 14 comma 5 ter 51 29/03/2016 D. lgs. 25 luglio 1998, n. 286 e succ. mod. • Immigrato oggetto materiale del reato • Art. 12, commi 1, 3, 5, 5 bis D. lgs. 25 luglio 1998, n. 286 e succ. mod. • Immigrato vittima di reato • Art. 12, commi 3, 5 e 5 bis 52 29/03/2016 Il delitto di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina – art. 12 TUI 1. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, in violazione delle disposizioni del presente testo unico, promuove, dirige, organizza, finanzia o effettua il trasporto di stranieri nel territorio dello Stato ovvero compie altri atti diretti a procurarne illegalmente l'ingresso nel territorio dello Stato, ovvero di altro Stato del quale la persona non è cittadina o non ha titolo di residenza permanente, è punito con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa di 15.000 euro per ogni persona. 2. Fermo restando quanto previsto dall'articolo 54 del codice penale, non costituiscono reato le attività di soccorso e assistenza umanitaria prestate in Italia nei confronti degli stranieri in condizioni di bisogno comunque presenti nel territorio dello Stato. 3. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, in violazione delle disposizioni del presente testo unico, promuove, dirige, organizza, finanzia o effettua il trasporto di stranieri nel territorio dello Stato ovvero compie altri atti diretti a procurarne illegalmente l'ingresso nel territorio dello Stato, ovvero di altro Stato del quale la persona non è cittadina o non ha titolo di residenza permanente, è punito con la reclusione da cinque a quindici anni e con la multa di 15.000 euro per ogni persona nel caso in cui: Il delitto di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina – art. 12 TUI a) il fatto riguarda l'ingresso o la permanenza illegale nel territorio dello Stato di cinque o più persone; b) la persona trasportata è stata esposta a pericolo per la sua vita o per la sua incolumità per procurarne l'ingresso o la permanenza illegale; c) la persona trasportata è stata sottoposta a trattamento inumano o degradante per procurarne l'ingresso o la permanenza illegale; d) il fatto è commesso da tre o più persone in concorso tra loro o utilizzando servizi internazionali di trasporto ovvero documenti contraffatti o alterati o comunque illegalmente ottenuti; e) gli autori del fatto hanno la disponibilità di armi o materie esplodenti. 3-bis. Se i fatti di cui al comma 3 sono commessi ricorrendo due o più delle ipotesi di cui alle lettere a), b), c), d) ed e) del medesimo comma, la pena ivi prevista è aumentata. 53 29/03/2016 Il delitto di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina – art. 12 TUI 3-ter. La pena detentiva è aumentata da un terzo alla metà e si applica la multa di 25.000 euro per ogni persona se i fatti di cui ai commi 1 e 3: a) sono commessi al fine di reclutare persone da destinare alla prostituzione o comunque allo sfruttamento sessuale o lavorativo ovvero riguardano l'ingresso di minori da impiegare in attività illecite al fine di favorirne lo sfruttamento; b) sono commessi al fine di trame profitto, anche indiretto. 3-quater. Le circostanze attenuanti, diverse da quelle previste dagli articoli 98 e 114 del codice penale, concorrenti con le aggravanti di cui ai commi 3-bis e 3-ter, non possono essere ritenute equivalenti o prevalenti rispetto a queste e le diminuzioni di pena si operano sulla quantità di pena risultante dall'aumento conseguente alle predette aggravanti. 3-quinquies. Per i delitti previsti dai commi precedenti le pene sono diminuite fino alla metà nei confronti dell'imputato che si adopera per evitare che l'attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori, aiutando concretamente l'autorità di polizia o l'autorità giudiziaria nella raccolta di elementi di prova decisivi per la ricostruzione dei fatti, per l'individuazione o la cattura di uno o più autori di reati e per la sottrazione di risorse rilevanti alla consumazione dei delitti. Il delitto di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina – art. 12 TUI 4-ter. Nei casi previsti dai commi 1 e 3 è sempre disposta la confisca del mezzo di trasporto utilizzato per commettere il reato, anche nel caso di applicazione della pena su richiesta delle parti. 5. Fuori dei casi previsti dai commi precedenti, e salvo che il fatto non costituisca più grave reato, chiunque, al fine di trarre un ingiusto profitto dalla condizione di illegalità dello straniero o nell'ambito delle attività punite a norma del presente articolo, favorisce la permanenza di questi nel territorio dello Stato in violazione delle norme del presente testo unico, è punito con la reclusione fino a quattro anni e con la multa fino a lire trenta milioni. Quando il fatto è commesso in concorso da due o più persone, ovvero riguarda la permanenza di cinque o più persone, la pena è aumentata da un terzo alla metà. 5-bis. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque a titolo oneroso, al fine di trarre ingiusto profitto, dà alloggio ovvero cede, anche in locazione, un immobile ad uno straniero che sia privo di titolo di soggiorno al momento della stipula o del rinnovo del contratto di locazione, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni. La condanna con provvedimento irrevocabile ovvero l'applicazione della pena su richiesta delle parti a norma dell'articolo 444 del codice di procedura penale, anche se è stata concessa la sospensione condizionale della pena, comporta la confisca dell'immobile, salvo che appartenga a persona estranea al reato. Si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni vigenti in materia di gestione e destinazione dei beni confiscati. Le somme di denaro ricavate dalla vendita, ove disposta, dei beni confiscati sono destinate al potenziamento delle attività di prevenzione e repressione dei reati in tema di immigrazione clandestina. 54 29/03/2016 Cass., 28 febbraio 2014, n. 14510 (Haji) L’imputato era membro di un'associazione criminale operante in Libia, che aveva lo scopo di favorire per motivi di lucro l'ingresso illegale di cittadini extracomunitari in Italia, ed era stato coinvolto nel trasporto di clandestini che erano stati trasbordati da una motonave, che aveva compiuto la prima parte del viaggio su un gommone del tutto inadeguato che era stato poi soccorso da una nave battente bandiera liberiana che aveva portato i passeggeri fino al porto di Pozzallo, in Sicilia. Veniva rilevata la mancanza di giurisdizione, trattandosi di fatto commesso oltre il limite delle acque territoriali nazionali (di dodici miglia marine dalla costa), secondo quanto stabilito nell'art. 97 della convenzione di Montego Bay e dall'art. 19 della convenzione di Ginevra, entrambe ratificate dallo Stato italiano. Parimenti per il reato di cui all'art. 12 d.lgs. 286/1998 si riteneva trattarsi di condotta commessa in acque internazionali e maltesi, non potendosi ravvisare come consumato nel nostro Stato neppure un segmento della condotta illecita intesa in senso naturalistico, così da potere ritenere la giurisdizione italiana secondo il disposto dell'art. 6 cod.pen., essendosi esaurita in acque extraterritoriali ogni condotta ascrivibile all'indagato. Cass., 28 febbraio 2014, n. 14510 (Haji) IL CASO: la condotta illecita dispiegata dalla c.d. nave madre che salpi dalle coste dell'Africa con a bordo gli immigrati si esaurisce nelle acque extraterritoriali, mentre le condotte terminali dell'azione criminosa conducente alla realizzazione del risultato (sbarco dei clandestini sul nostro territorio) sono di fatto riportabili all'attività lecita di navi intervenute doverosamente a soccorso dei naufraghi. «…nella gestione di questo squallido traffico di esseri umani è stato accertato, con alto margine di affidabilità, la serialità del coinvolgimento di una nave madre proveniente da paesi dell'area nord africana che mentre attraversa le acque internazionali viene affiancata da più piccole imbarcazioni, senza bandiera, cui viene rimessa, nella pianificazione complessiva, la realizzazione del risultato (sbarco sulle coste italiane) non prima che venga operato il trasbordo dei migranti e che venga lanciata la richiesta di aiuto, più che giustificata in ragione delle condizioni del natante e delle condizioni del mare. Tale procedura non può che apparire come il frutto di un accorto disegno, rivolto a preservare il natante principale ed il suo equipaggio da possibili attività di captazione investigativa ad opera delle forze dell'ordine dei paesi europei, tenendolo al riparo dall'esercizio della giurisdizione nei paesi di approdo, con ciò aumentando in modo esponenziale il rischio fatto correre ai trasportati (in ragione dell'insicurezza dei mezzi navali utilizzati per affrontare un mare molto impegnativo, nella seconda parte del viaggio in acque territoriali), rischio opportunamente strumentalizzato, per provocare l'intervento dei servizi di soccorso in mare degli stati europei costieri ed in particolare dell'Italia, in osservanza di una strategia criminale mirante a fare apparire lo sbarco come il risultato dell'ultimo segmento di attività, riconducibile all'opera dei soccorritori, scriminata dallo stato di necessità». 55 29/03/2016 Cass., 28 febbraio 2014, n. 14510 (Haji) La condotta dei trafficanti non può non essere valutata nella sua unitarietà, senza frammentazioni e si deve considerare mirata ad un risultato che viene raggiunto con la provocazione e lo sfruttamento di uno stato di necessità. La condotta posta in essere in acque extraterritoriali si lega idealmente a quella da consumarsi in acque territoriali, dove l'azione dei soccorritori nella parte finale della concatenazione causale può definirsi l'azione di un autore mediato, costretto ad intervenire per scongiurare un male più grave (morte dei clandestini), che così operando di fatto viene a realizzare quel risultato (ingresso di clandestini nel nostro paese) che la previsione dell'art. 12 d.lgs. 286/1998 intende scongiurare. Il nesso di causalità non può dirsi interrotto dal fattore sopravvenuto (intervento dei soccorritori) inseritosi nel processo causale produttivo dell'evento poiché non si ha riguardo ad evento anomalo, imprevedibile o eccezionale, ma a un fattore messo in conto dai trafficanti per sfruttarlo a proprio favore e provocato. La giurisdizione dello stato italiano va riconosciuta, laddove in ipotesi di traffico di migranti dalle coste africane alla Sicilia, questi siano abbandonati in mare in acque extraterritoriali su natanti del tutto inadeguati, onde provocare l'intervento del soccorso in mare e far sì che i trasportati siano accompagnati nel tratto di acque territoriali dalle navi dei soccorritori, operanti sotto la copertura della scriminate dello stato di necessità, poiché l'azione di messa in grave pericolo per le persone, integrante lo stato di necessità, è direttamente riconducibile ai trafficanti per averlo provocato e si lega, senza soluzione di continuità, al primo segmento della condotta commessa in acque extraterritoriali, venendo così a ricadere nella previsione dell'art. 6 cod.pen. L'azione dei soccorritori, che di fatto consente ai migranti di giungere nel nostro territorio è da ritenere in termini di azione dell'autore mediato, operante in ossequio alle leggi del mare, in uno stato di necessità provocato e strumentalizzato dai trafficanti e quindi a loro del tutto riconducibile e quindi sanzionabile nel nostro Stato, ancorché materialmente questi abbiano operato solo in ambito extraterritoriale Art. 22 TUI Lavoro subordinato a tempo determinato e indeterminato 12. Il datore di lavoro che occupa alle proprie dipendenze lavoratori stranieri privi del permesso di soggiorno previsto dal presente articolo, ovvero il cui permesso sia scaduto e del quale non sia stato chiesto, nei termini di legge, il rinnovo, revocato o annullato, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa di 5000 euro per ogni lavoratore impiegato. 12-bis. Le pene per il fatto previsto dal comma 12 sono aumentate da un terzo alla metà: a) se i lavoratori occupati sono in numero superiore a tre; b) se i lavoratori occupati sono minori in età non lavorativa; c) se i lavoratori occupati sono sottoposti alle altre condizioni lavorative di particolare sfruttamento di cui al terzo comma dell'articolo 603-bis del codice penale. 12-ter. Con la sentenza di condanna il giudice applica la sanzione amministrativa accessoria del pagamento del costo medio di rimpatrio del lavoratore straniero assunto illegalmente. 12-quater. Nelle ipotesi di particolare sfruttamento lavorativo di cui al comma 12-bis, è rilasciato dal questore, su proposta o con il parere favorevole del procuratore della Repubblica, allo straniero che abbia presentato denuncia e cooperi nel procedimento penale instaurato nei confronti del datore di lavoro, un permesso di soggiorno ai sensi dell'articolo 5, comma 6. 56 29/03/2016 Art. 603-bis c.p. Intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque svolga un'attività organizzata di intermediazione, reclutando manodopera o organizzandone l'attività lavorativa caratterizzata da sfruttamento, mediante violenza, minaccia, o intimidazione, approfittando dello stato di bisogno o di necessità dei lavoratori, è punito con la reclusione da cinque a otto anni e con la multa da 1.000 a 2.000 euro per ciascun lavoratore reclutato. Ai fini del primo comma, costituisce indice di sfruttamento la sussistenza di una o più delle seguenti circostanze: 1) la sistematica retribuzione dei lavoratori in modo palesemente difforme dai contratti collettivi nazionali o comunque sproporzionato rispetto alla quantità e qualità del lavoro prestato; 2) la sistematica violazione della normativa relativa all'orario di lavoro, al riposo settimanale, all'aspettativa obbligatoria, alle ferie; Art. 603-bis c.p. Intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro 3) la sussistenza di violazioni della normativa in materia di sicurezza e igiene nei luoghi di lavoro, tale da esporre il lavoratore a pericolo per la salute, la sicurezza o l'incolumità personale; 4) la sottoposizione del lavoratore a condizioni di lavoro, metodi di sorveglianza, o a situazioni alloggiative particolarmente degradanti. Costituiscono aggravante specifica e comportano l'aumento della pena da un terzo alla metà: 1) il fatto che il numero di lavoratori reclutati sia superiore a tre; 2) il fatto che uno o più dei soggetti reclutati siano minori in età non lavorativa; 3) l'aver commesso il fatto esponendo i lavoratori intermediati a situazioni di grave pericolo, avuto riguardo alle caratteristiche delle prestazioni da svolgere e delle condizioni di lavoro. 57 29/03/2016 Cass., 4 febbraio 2014, n. 14591 In tema di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro, il reato di cui all'art. 603 bis, cod. pen., punisce tutte quelle condotte distorsive del mercato del lavoro, che, in quanto caratterizzate dallo sfruttamento mediante violenza, minaccia o intimidazione, approfittando dello stato di bisogno o di necessità dei lavoratori, non si risolvono nella mera violazione delle regole relative all'avviamento al lavoro sanzionate dall'art. 18 del D.Lgs. 10 settembre 2003, n. 276. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto integrato il requisito della intimidazione nella rinuncia dei lavoratori stranieri, privi di adeguati mezzi di sussistenza, a richiedere il pur irrisorio compenso pattuito con l'agente, per il timore di non essere più chiamati a lavorare). Art. 600 c.p. Riduzione o mantenimento in schiavitù o in servitù 1) Chiunque esercita su una persona poteri corrispondenti a quelli del diritto di proprietà ovvero chiunque riduce o mantiene una persona in uno stato di soggezione continuativa, costringendola a prestazioni lavorative o sessuali ovvero all'accattonaggio o comunque al compimento di attività illecite che ne comportino lo sfruttamento ovvero a sottoporsi al prelievo di organi, è punito con la reclusione da otto a venti anni. 2) La riduzione o il mantenimento nello stato di soggezione ha luogo quando la condotta è attuata mediante violenza, minaccia, inganno, abuso di autorità o approfittamento di una situazione di vulnerabilità, di inferiorità fisica o psichica o di una situazione di necessità, o mediante la promessa o la dazione di somme di denaro o di altri vantaggi a chi ha autorità sulla persona. 58 29/03/2016 Art. 601 c.p. Tratta di persone 1) È punito con la reclusione da otto a venti anni chiunque recluta, introduce nel territorio dello Stato, trasferisce anche al di fuori di esso, trasporta, cede l'autorità sulla persona, ospita una o più persone che si trovano nelle condizioni di cui all'articolo 600, ovvero, realizza le stesse condotte su una o più persone, mediante inganno, violenza, minaccia, abuso di autorità o approfittamento di una situazione di vulnerabilità, di inferiorità fisica, psichica o di necessità, o mediante promessa o dazione di denaro o di altri vantaggi alla persona che su di essa ha autorità, al fine di indurle o costringerle a prestazioni lavorative, sessuali ovvero all'accattonaggio o comunque al compimento di attività illecite che ne comportano lo sfruttamento o a sottoporsi al prelievo di organi. 2) Alla stessa pena soggiace chiunque, anche al di fuori delle modalità di cui al primo comma, realizza le condotte ivi previste nei confronti di persona minore di età. Cass., 24 settembre 2010, n. 40045 Ai fini della configurabilità del delitto di tratta di persone (art. 601 cod. pen.), non è richiesto che il soggetto passivo si trovi già in schiavitù o condizione analoga, con la conseguenza che il delitto in questione si ravvisa anche se una persona libera sia condotta con inganno in Italia, al fine di porla nel nostro territorio in condizione analoga alla schiavitù; il reato di tratta può essere, infatti, commesso anche con induzione mediante inganno in alternativa alla costrizione con violenza o minaccia. (In applicazione del principio di cui in massima la S.C. ha ritenuto immune da censure la decisione con cui il giudice di appello ha confermato la responsabilità, in ordine al delitto di cui all'art. 601 cod. pen., nei confronti degli imputati, i quali avevano pubblicato su stampa in Polonia ed altri Paesi dell'Est nonché via internet annunci ingannevoli di lavoro ben remunerato in Italia assicurando trasferimento, alloggio e vitto nel luogo di destinazione dove singole cellule smistavano i lavoratori nei campi e li riducevano in schiavitù). 59 29/03/2016 La «valvola» dell’art. 18 TUI Soggiorno per motivi di protezione sociale 1. Quando, nel corso di operazioni di polizia, di indagini o di un procedimento per taluno dei delitti di cui all'articolo 3 della legge 20 febbraio 1958, n. 75, o di quelli previsti dall'articolo 380 del codice di procedura penale, ovvero nel corso di interventi assistenziali dei servizi sociali degli enti locali, siano accertate situazioni di violenza o di grave sfruttamento nei confronti di uno straniero ed emergano concreti pericoli per la sua incolumità, per effetto dei tentativi di sottrarsi ai condizionamenti di un'associazione dedita ad uno dei predetti delitti o delle dichiarazioni rese nel corso delle indagini preliminari o del giudizio, il questore, anche su proposta del Procuratore della Repubblica, o con il parere favorevole della stessa autorità, rilascia uno speciale permesso di soggiorno per consentire allo straniero di sottrarsi alla violenza e ai condizionamenti dell'organizzazione criminale e di partecipare ad un programma di assistenza ed integrazione sociale. 2. Con la proposta o il parere di cui al comma 1, sono comunicati al questore gli elementi da cui risulti la sussistenza delle condizioni ivi indicate, con particolare riferimento alla gravità ed attualità del pericolo ed alla rilevanza del contributo offerto dallo straniero per l'efficace contrasto dell'organizzazione criminale, ovvero per la individuazione o cattura dei responsabili dei delitti indicati nello stesso comma. Le modalità di partecipazione al programma di assistenza ed integrazione sociale sono comunicate al Sindaco. 3. Con il regolamento di attuazione sono stabilite le disposizioni occorrenti per l'affidamento della realizzazione del programma a soggetti diversi da quelli istituzionalmente preposti ai servizi sociali dell'ente locale, e per l'espletamento dei relativi controlli. Con lo stesso regolamento sono individuati i requisiti idonei a garantire la competenza e la capacità di favorire l'assistenza e l'integrazione sociale, nonché la disponibilità di adeguate strutture organizzative dei soggetti predetti. 3-bis. Per gli stranieri e per i cittadini di cui al comma 6-bis del presente articolo, vittime dei reati previsti dagli articoli 600 e 601 del codice penale, o che versano nelle ipotesi di cui al comma 1 del presente articolo si applica, sulla base del Piano nazionale d'azione contro la tratta e il grave sfruttamento degli esseri umani, di cui all'articolo 13, comma 2-bis, della legge 11 agosto 2003, n. 228, un programma unico di emersione, assistenza e integrazione sociale che garantisce, in via transitoria, adeguate condizioni di alloggio, di vitto e di assistenza sanitaria, ai sensi dell'articolo 13 della legge n. 228 del 2003 e, successivamente, la prosecuzione dell'assistenza e l'integrazione sociale, ai sensi del comma 1 di cui al presente articolo. Con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, di concerto con il Ministro dell'interno, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali e il Ministro della salute, da adottarsi entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente disposizione, previa intesa con la Conferenza Unificata, è definito il programma di emersione, assistenza e di protezione sociale di cui al presente comma e le relative modalità di attuazione e finanziamento. Reati culturalmente motivati e cultural defenses Cass., 13 aprile 2015, n. 14960 … Il ricorrente si riporta alla questione attinente alla valenza della scriminante putativa ex art. 51 c.p. per le facoltà consentite dal diritto straniero in quanto avrebbe compiuto nel territorio italiano attività astrattamente configurabili come reato per il nostro ordinamento nell'esercizio, tuttavia, di facoltà consentita nel proprio stato di provenienza. Secondo il ricorrente, al fine di evitare che l'eguaglianza di trattamento si trasformi in trattamento diseguale se applicato a stranieri, costretti a sottomettersi a costumi da loro non conosciuti e spesso contrari alle loro abitudini, La Corte di merito avrebbe dovuto valutare nel caso concreto se il diverso patrimonio culturale del ricorrente appena giunto in Italia, le sue differenti abitudini e la sua diversa percezione della liceità o dell'illiceità dei fatti avrebbero potuto integrare una situazione di scriminante erroneamente supposta. Lo stesso avrebbe potuto ritenere per errore incolpevole che sussistesse una scriminante — che nella realtà non esisteva — ma nell'agire trascenderne i limiti, con una forma di eccesso che esula dalla disciplina dell'art. 55 c.p. ed è riconducibile alla figura generale dell'art. 59 c. 3, parte 2a, c.p. 60 29/03/2016 Reati culturalmente motivati e cultural defenses Cass., 13 aprile 2015, n. 14960 Al riguardo si osserva che in una società multietnica non è concepibile la scomposizione dell'ordinamento in altrettanti statuti individuali quante sono le etnie che la compongono, non essendo compatibile con l'unicità della tessuto sociale — e quindi con l'unicità dell'ordinamento giuridico - l'ipotesi della convivenza in un unico contesto civile di culture tra loro configgenti. La soluzione — costituzionalmente orientata in relazione alla disposizione dell'art. 3 Cost. Rep., che in unico contesto normativo attribuisce a tutti i cittadini pari dignità sociale e posizione di uguaglianza nei confronti della legge, senza distinzione, in particolare, di sesso, di razza, di lingua, di religione, e impegna la Repubblica a rimuovere gli ostacoli di ordine sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana - civilmente e giuridicamente praticabile è quella opposta, che armonizza i comportamenti individuali rispondenti alla varietà delle culture in base al principio unificatore della centralità della persona umana, quale denominatore minimo comune per l'instaurazione di una società civile. In questo quadro concettuale si profila, come essenziale per la stessa sopravvivenza della società multietnica, l'obbligo giuridico di chiunque vi si inserisce di verificare preventivamente la compatibilità dei propri comportamenti con i principi che la regolano e quindi della liceità di essi in relazione all'ordinamento giuridico che la disciplina, non essendo di conseguenza riconoscibile una posizione di buona fede in chi, pur nella consapevolezza di essersi trasferito in un paese diverso e in una società in cui convivono culture e costumi differenti dai propri, presume di avere il diritto — non riconosciuto da alcuna norma di diritto internazionale - di proseguire in condotte che, seppure ritenute culturalmente accettabili e quindi lecite secondo le leggi vigenti nel paese di provenienza, risultano oggettivamente incompatibili con le regole proprie della compagine sociale in cui ha scelto di vivere. In tali condotte non è pertanto configurabile una scriminante, anche solo putativa, fondata sull'esercizio di un presunto diritto escluso in linea di principio dall'ordinamento (Cass., Sez. 6, 26 aprile 2011 n. 26153, ric. C.), e quindi neppure l'eccesso colposo nella scriminante stessa. 61