CORSO DI DIRITTO PENALE AVANZATO A/L IL PROGRAMMA

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29/03/2016
FACOLTÀ
DI
GIURISPRUDENZA
CORSO DI DIRITTO PENALE AVANZATO A/L
PROF. MATTEO CAPUTO
A.A. 2015/2016
II SEMESTRE
IL PROGRAMMA
Per gli studenti che frequentano le lezioni con regolarità,
il corso, suddiviso informalmente in tre moduli, si caratterizzerà per i continui rimandi a
tematiche di “parte generale”, già incontrate durante il Corso di Diritto penale, che
verranno calate nell’analisi di specifici settori della “parte speciale”
Gli argomenti prescelti:
1) lo studio della penalità contemporanea nei confronti dell’immigrazione, per
comprendere le origini, le linee di tendenza e i punti di fuga del dibattito e delle opzioni di
politica criminale al cospetto delle problematiche agitate dai flussi migratori;
2) lo studio del diritto penale ‐ e delle garanzie fondamentali in materia penale ‐ nella
prospettiva sovranazionale: sarà oggetto di approfondimento l’incidenza del diritto
dell’Unione europea e della Convenzione europea dei diritti dell’uomo in materia penale,
con riferimento agli effetti che la giurisprudenza della Corte di Strasburgo e della Corte di
Lussemburgo riversa sulla materia penale domestica;
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IL PROGRAMMA
3) lo studio della “colpa penale” e delle sue derivazioni, con particolare
riferimento ai temi del rapporto con il dolo e la responsabilità oggettiva, delle
‘parti speciali’ della colpa (malpractice, infortunistica sul lavoro, incidentistica
stradale), della c.d. colpa organizzativa etc.
Ulteriori lezioni e incontri seminariali saranno dedicati ad approfondire
tematiche di attualità, che presentano questioni tradizionali del diritto penale
meritevoli di essere rivisitate alla luce delle acquisizioni più recenti.
AVVERTENZE E RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
Per gli studenti che abbiano frequentato le lezioni con
regolarità, ivi compresi i seminari e le esercitazioni, la
preparazione dell’esame verterà sui temi dissodati
nell’arco del corso.
Per ogni tema, allo studio degli appunti e delle slides,
dovrà accompagnarsi quello del materiale integrativo
segnalato a lezione e sulla pagina web del docente.
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AVVERTENZE E RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
•
Gli studenti frequentanti e non frequentanti dell'a.a.
2014/2015 potranno conferire sul programma dell'anno di
riferimento non oltre l'ultimo appello utile della sessione estiva
dell'a.a. 2015/2016 (luglio 2016).
•
Gli studenti frequentanti e non frequentanti dell'a.a.
2015/2016 potranno conferire sul programma dell'anno di
riferimento non oltre l'ultimo appello utile della sessione estiva
dell'a.a. 2016/2017 (luglio 2017).
AVVERTENZE E RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
Per gli studenti che non abbiano frequentato le lezioni con regolarità,
la preparazione dell’esame dovrà essere condotta sui seguenti testi:
A)
Sul diritto penale dell’immigrazione:
• F. ROCCHI – E. ROSI (a cura di), Immigrazione illegale e diritto penale. Un approccio
interdisciplinare, Napoli, Jovene, 2013:
i saggi di 1) A. di Martino; 2) A. Caputo; 3) V. Maisto; 4) M. Gambardella; 5) M. Pelissero; 6)
E. Rosi; 7) A. Cavaliere; 8) F. Rocchi.
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AVVERTENZE E RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
B) Sui delitti contro la Pubblica Amministrazione:
• S. CANESTRARI – L. CORNACCHIA – G. DE SIMONE (a cura di), Manuale di diritto
penale. Parte speciale. Delitti contro la Pubblica Amministrazione, il Mulino, Bologna,
2015.
C) Sulla razionalità deliberativa nel diritto penale e sui mutamenti del rapporto tra
legislazione e giurisdizione:
•G. BOMBELLI – B. MONTANARI (a cura di), Ragionare per decidere, Giappichelli,
Torino, 2015:
i saggi di 1) B. Montanari; 2) M. Caputo; 3) G. Righini; 4) A. Basteri; 5) G. Bombelli.
AVVERTENZE E RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
Sia agli studenti frequentanti, sia agli studenti non frequentanti, è
richiesta la padronanza delle norme inerenti al programma
d’esame, della Costituzione, del Codice penale, delle leggi
complementari e della legislazione europea e internazionale
richiamate durante il corso.
Sarà dunque necessaria la costante consultazione di un Codice
penale aggiornato, comprensivo delle principali leggi
complementari.
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L’ORARIO DELLE LEZIONI
• Lunedì, ore 15.30 ‐ 17.30 (AULA R 30)
• Martedì, ore 14.30 ‐ 16.30 (AULA R 30)
• Mercoledì, ore 8.30 ‐ 10.30 (AULA R 30)
I COLLABORATORI DELLA CATTEDRA
AVV. DOTT. LUISA ROMANO
• [email protected] AVV. ELEONORA BARONE
• [email protected] AVV. GIUSEPPE DE SALVATORE
• [email protected] DOTT. SSA ELEONORA GUIDO • [email protected]
DOTT. SSA NOEMI CIONFOLI
• [email protected] 5
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I SEMINARI DI DIRITTO PENALE AVANZATO
Data Relatore Tema 21 marzo 2016 Luisa Romano La cd. depenalizzazione “in astratto” nei più recenti provvedimenti di riforma: le novità e i problemi 4 aprile 2016 Eleonora Guido Causalità e colpa al banco di prova del caso Eternit 11 aprile 2016 Eleonora Barone Novità giurisprudenziali e ricadute applicative in materia di stupefacenti 18 aprile 2016 Noemi Cionfoli Sorvegliare e punire: radici e orizzonti dellʹistituzione carceraria 2 maggio 2016 Giuseppe De Salvatore Libertà di pensiero e reati di opinione Orario di Ricevimento & Tesi di Laurea
• Il ricevimento del Prof. Caputo si tiene durante il semestre
didattico al termine della lezione del lunedì pomeriggio (ore
17.30).
• Cessate le lezioni, il ricevimento è tenuto esclusivamente dai
collaboratori della cattedra. Il Prof. Caputo continua a ricevere
nei giorni corrispondenti alle sedute di esame e di laurea.
• Possono svolgere la tesi in Diritto penale avanzato solo gli
studenti/studentesse che abbiano superato l’esame di Diritto
penale avanzato con una votazione pari o superiore a 27/30.
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Laboratorio Permanente di Diritto Penale - Di.P.La.P. è un’associazione fondata da un gruppo
di ricercatori italiani di diritto e procedura penale per aggregare e rispondere alle istanze di
rinnovamento e partecipazione della ricerca e del dibattito penalistici. Valori costitutivi sono
l’autonomia e l’indipendenza organizzativa e scientifica, la multidisciplinarietà, l’apertura al
mondo extra-accademico e professionale, la solidarietà intergenerazionale.
Per ulteriori informazioni e sulle modalità di iscrizione a Di.P.La.P. consulta il sito
http://labdirpen.wix.com/diplap o scrivi alla Segreteria all’indirizzo [email protected].
Per
ulteriori
informazioni
sulla
http://redazionediplap.wix.com/diplapeditor.
Collana
DIPLAP
consulta
il
sito
Il giorno 6 maggio 2016 presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università del Salento avrà luogo il convegno organizzato
dal Di.P.La.P. - Laboratorio Permanente di Diritto Penale sul tema
LA CONDIZIONE GIURIDICA DELLO STRANIERO IRREGOLARE NEL SISTEMA ITALIANO E
SOVRANAZIONALE TRA ISTANZE DI PREVENZIONE E DI REPRESSIONE E RAGIONI DI GARANZIA
I relatori saranno selezionati dal Comitato scientifico del convegno con il sistema della valutazione anonima tra coloro che
risponderanno alla call for papers.
Sono previste 8 relazioni di 15' ciascuna, cui seguirà un ampio spazio dedicato al dibattito e al confronto, nel quale tutti i
partecipanti potranno cimentarsi in interventi di 5'.
Gli atti del convegno saranno pubblicati nella Collana Di.P.La.P.
Comitato scientifico:
Angelo Caputo, Consigliere della Corte Suprema di Cassazione
Chiara Favilli, Associata di Diritto dell’Unione Europea – Università di Firenze
Luca Masera, Associato di Diritto Penale – Università di Brescia
Gianluca Varraso, Ordinario di Diritto Processuale Penale – Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano
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CALL FOR PAPERS
Le continue crisi politiche e umanitarie, accompagnate da persistenti squilibri demografici ed economici tra
varie aree del mondo, inducono ingenti masse di popolazione ad abbandonare il proprio paese in cerca di
un miglioramento delle condizioni di vita. Ragioni geografiche collocano l’Italia in prima linea nella gestione
di imponenti flussi migratori, sia come Paese di destinazione sia come Paese di transito verso l’area di
libera circolazione delle persone dell’Unione Europea. Negli ultimi due anni, il significativo aumento dei
flussi migratori ha reso ancor più marcate le frizioni tra le misure volte a fronteggiare gli ingressi irregolari e
il diritto di accesso alla protezione internazionale che deve essere riconosciuto in Italia sulla base delle
disposizioni costituzionali e degli obblighi internazionali ed europei (art. 31 della Convenzione di Ginevra
sullo status dei rifugiati del 28 luglio 1951).
La legislazione in tema di ingresso e di permanenza degli stranieri sottende un delicato bilanciamento tra
esigenze contrapposte. Fondata su istanze di controllo e repressione, è tenuta a rapportarsi, come rilevato
anche dalla Corte costituzionale, a un grave problema sociale, umanitario ed economico che implica
valutazioni di politica legislativa non riconducibili a mere esigenze generali di ordine e di sicurezza pubblica,
né da confondere con problematiche diverse, legate alla pericolosità di alcuni soggetti e di alcuni
comportamenti che nulla hanno a che vedere con il fenomeno dell’immigrazione (così Corte cost. n. 22 del
2007).
A uno sguardo complessivo, il bilanciamento produce come esito tra i più significativi il tratto di “specialità”
che caratterizza la condizione giuridica dello straniero irregolare.
CALL FOR PAPERS
Sul terreno penalistico la “specialità” si traduce, in primo luogo, nell’intreccio profondo tra la normativa
penale, da una parte, e, dall’altra, discipline e logiche amministrativistiche, a cominciare dalla
contravvenzione di ingresso e soggiorno illegale, di cui all’art. 10 bis TU Imm., nella quale la
sovrapposizione dell’area dell’illecito amministrativo con quella di rischio penale, culmina con la
comminatoria, quale “effettiva” sanzione, dell’espulsione.
Si tratta, peraltro, di un’incriminazione molto discussa, uscita indenne dall’esame della Corte costituzionale
e della Corte di giustizia e, da ultimo, esclusa, secondo le anticipazioni degli orientamenti del Governo, dai
provvedimenti di depenalizzazione, ma che continua ad alimentare dubbi circa la sua compatibilità con
fondamentali princìpi del diritto penale.
Inoltre, la disciplina dell’immigrazione irregolare, anche quando si affida a categorie ben note al sistema
penale, quale il delitto di attentato, assume connotati del tutto peculiari, come nel caso della maggior parte
delle figure di favoreggiamento delle migrazioni illegali: un quadro normativo ispirato a fonti internazionali (la
Convenzione di Palermo, in particolare) e oggetto di reiterati interventi legislativi consegna all’interprete
reati la cui oggettività giuridica è in vario modo ricostruita, ora valorizzando la protezione della dignità dei
migranti “oggetto” del traffico e, in uno con essa, di macro-interessi quali la personalità internazionale dello
Stato, ora riconoscendo una marcata centralità alla tutela dell’ordine pubblico. Né può tacersi che la matrice
internazionale delle condotte del traffico, da una parte, e della tratta, dall’altra, ha con tutta probabilità
condizionato un’elaborazione teorica, non ancora pienamente soddisfacente, della distinzione tra le due
categorie di illecito, che, a una più attenta analisi, sembrerebbero sottintendere strumenti di prevenzione e
di repressione diversi tra loro.
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CALL FOR PAPERS
Traffico e tratta, insieme alla riduzione in schiavitù e allo sfruttamento del lavoro “in nero”, sono solo alcune
delle più aberranti manifestazioni della debolezza esistenziale dello straniero irregolare. Le norme poste a
tutela dello straniero che versi in tali situazioni non mancano, ma occorre domandarsi se siffatte disposizioni
si siano rivelate finora efficaci nel garantire la tutela dei diritti fondamentali dei migranti irregolari e quali
interventi sarebbero eventualmente necessari per elevare il livello di protezione. A questo riguardo, si rileva
che nel 2015, per la prima volta, l’Unione Europea ha avviato un’operazione militare nel Mediterraneo
centromeridionale, denominata EUNAVFOR MED, con l’obiettivo di contrastare i trafficanti anche attraverso
azioni militari, di intelligence e operative, come fermi, ispezioni, sequestri, dirottamenti e manomissione
delle imbarcazioni dedite al traffico (Decisione PESC 2015/778 del 18 maggio 2015).
L’impronta della “specialità” della condizione del migrante irregolare appare netta nella configurazione di
autonome fattispecie incriminatrici di falsi documentali e della violazione dell’ordine di esibizione dei
documenti di identità, e addirittura risalta sul terreno della detenzione amministrativa e dei reati collegati
all’espulsione, e più in generale nella configurazione dello statuto normativo della libertà personale dello
straniero irregolare, autentico reticolo in seno al quale, negli ultimi quindici anni, più si è esercitato il potere
coercitivo dell’apparato repressivo.
CALL FOR PAPERS
La previsione di una disciplina ad hoc in materia di detenzione dello straniero irregolare nel corso della
procedura di rimpatrio, lungi dall’essere una caratteristica propria del sistema giuridico italiano, è presente
in quasi tutti gli ordinamenti degli Stati membri dell’UE ed è espressamente prevista nello stesso diritto
europeo (art. 5 co. 1 lett. f della Convenzione EDU e art. 15-16 della direttiva 2008/115/CE (c.d. direttiva
rimpatri). È proprio alla luce del quadro normativo europeo che sono stati rilevati gravi profili di criticità
rispetto alle forme di privazione della libertà personale che vengono praticate nelle fasi immediatamente
successive all’arrivo in Italia dei migranti, durante la permanenza (spesso forzata) degli stessi nei Centri di
prima accoglienza (Corte EDU, sentenza Khlaifia del 1° settembre 2015) o nelle c.d. aree di transito. La
Corte EDU è stata sempre chiara nel ribadire che non esistono “zone franche”, spazi nei quali gli Stati
possano agire senza il rispetto delle garanzie fondamentali e che, anzi, la responsabilità degli Stati si
estende anche oltre il territorio nazionale, laddove sia esercitato tramite i propri agenti un effettivo controllo
sulla persona (Corte EDU, sentenze Medvedev del 29 marzo 2010 e Hirsi del 23febbraio 2012).
Accanto alla detenzione amministrativa, gli ultimi quindici anni hanno visto il ricorso a un uso massiccio
della pena detentiva nei confronti del migrante irregolare; strategia in gran parte ridimensionata grazie agli
effetti dell’interpretazione della c.d. direttiva rimpatri resa dalla Corte di giustizia nel caso El Dridi. Alla luce
di tale pronuncia, e della altre rese sullo stato delle carceri italiane, viene confermato il primario interesse a
riflettere sulle ragioni e la portata di un intervento statale di contrasto alla migrazione irregolare centrato
sulla coercizione, onde studiarne i possibili sviluppi e valutare la compatibilità costituzionale di nuove
possibili forme di restrizione della libertà personale.
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CALL FOR PAPERS
Un settore in cui la debolezza dell’irregolare desta particolare allarme è quello del rispetto del diritto a un
ricorso effettivo, per come riconosciuto dall’art. 24 della Costituzione italiana, nonché dall’art. 47 della Carta
dei diritti fondamentali dell’Unione Europea e dall’art. 13 della CEDU. In particolare, la questione emerge
nel rapporto con gli organi amministrativi e di giustizia, tanto nel caso in cui l’irregolare chiede tutela rispetto
alla violazione dei propri diritti, quanto nel caso in cui riveste la qualità di indagato o imputato in un
processo penale, oppure si trova a dover scontare una pena detentiva.
Il sistema sembra costruito per favorire l’espulsione dello straniero irregolare ad opera sia dell’autorità
amministrativa sia giurisdizionale, che quasi competono tra loro. Si noti che lo svolgimento del processo
penale può essere impedito da un rilascio pressoché automatico del nulla osta all’espulsione dello straniero
libero ai sensi dell’art. 13, co. 3, del TU Imm., ed è tutt’altro che improbabile che possa attivarsi nei suoi
confronti la procedura degli irreperibili, che conduce il più delle volte alla sospensione a tempo
indeterminato del processo a norma del nuovo art. 420 quater c.p.p.
In secondo luogo, anche in quei casi in cui il processo pervenga alla celebrazione di un dibattimento, la
difesa personale e tecnica dell’imputato irregolare viene messa a dura prova.
L’assenza dello straniero per qualsiasi ragione dal territorio nazionale determina l’applicazione dell’art. 17
TU Imm., strutturato in modo tale da rendere una mera petizione di principio la presenza personale al
proprio processo.
CALL FOR PAPERS
In ogni caso, la partecipazione consapevole è legata alle potenzialità e ai limiti che scaturiscono dal corretto
operare della disciplina contenuta nell’art. 143 c.p.p., che regola il diritto all’interprete e alla traduzione di atti
fondamentali, così come sostituito dall’art. 1 d.lgs. 4 marzo 2014, n. 32, volto proprio a ovviare, in
adempimento di precisi obblighi derivanti dall’Unione Europea, alle gravi insufficienze della disciplina
previgente. Ai sensi dell’art. 111, co. 3, della Costituzione, nonché degli artt. 6, co. 3, lett. e, della CEDU e
14, co. 3, lett. f del Patto internazionale sui diritti civili e politici, è essenziale garantire alla persona accusata
di un reato che non comprende e non parla la lingua impiegata nel processo di essere assistita da un
interprete, il quale non è mero strumento tecnico a disposizione del giudice per consentire o facilitare lo
svolgimento del processo, bensì oggetto di un diritto individuale onde mettere l’imputato alloglotta nelle
condizioni di comprendere in modo reale il significato degli atti processuali (Corte cost. n. 254 del 2007).
Va, infine, considerato che, da un lato, la effettività della difesa tecnica dello straniero irregolare, affidata il
più delle volte al difensore d’ufficio e al gratuito patrocinio, progredirà solo insieme a una auspicabile
evoluzione legislativa e culturale in materia, soprattutto per ovviare a quelle norme oggi esistenti nel d.P.R.
n. 115 del 2002, che accrescono la possibilità di un mandato difensivo ricoperto senza compenso o senza
adeguato compenso (circostanza in grado di incidere negativamente sulla qualità della prestazione svolta).
Dall’altro lato, che tale difesa è, comunque, menomata dal frequente ricorso al giudizio immediato o
direttissimo.
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CALL FOR PAPERS
In relazione alle criticità del sistema sanzionatorio e penitenziario, si rileva che la centralità dell’espulsione –
misura proteiforme, il più delle volte solo formalmente di natura amministrativa –, al pari della correlativa
procedura di tutela affidata al giudice di pace, rischiano di comportare un livellamento verso il basso delle
garanzie e dei principi del giusto processo legale, capace di ripercuotersi sulla fase esecutiva della
sentenza di condanna a pena detentiva. È da segnalare, al riguardo, una desolante assenza di
coordinamento tra la disciplina del TU Imm. e le norme penitenziarie.
Come ben rimarcato dai giudici di Palazzo della Consulta, si porrebbe in contrasto con gli artt. 2, 3 e 27, co.
3, della Costituzione un sistema che escluda in modo assoluto l’intera gamma delle misure alternative
previste dalla legge sull’ordinamento penitenziario a fronte di una condizione soggettiva, qual è il mancato
possesso di un titolo abilitativo alla permanenza nel territorio dello Stato che di per sé non è univocamente
sintomatico né di una particolare pericolosità sociale, incompatibile con il perseguimento di un percorso
rieducativo, né della sicura assenza di un collegamento col territorio, che impedisca la proficua applicazione
della misura alternativa (Corte cost. n. 78 del 2007).
Sono, peraltro, da segnalare le difficoltà oggettive di garantire allo straniero all’interno del carcere
l’istruzione, il lavoro, i rapporti con il mondo esterno e la famiglia, ossia gli elementi alla base di qualsiasi
trattamento individualizzante, nonché l’accesso proprio alle misure alternative al carcere.
CALL FOR PAPERS
Prendendo le mosse dalla constatazione che la condizione di irregolarità del soggiorno fonda un
trattamento giuridico differenziato in senso peggiorativo, la presente call for papers intende promuovere
un’ampia e approfondita riflessione sul grado di corrispondenza con le fonti interne e sovrannazionali dei
livelli di tutela garantiti, a livello normativo e nella prassi, ai diritti del migrante irregolare.
I contributi potranno riguardare, a mero titolo di esempio:
− la giustificazione dell’intervento penale per il contrasto all’immigrazione clandestina, con particolare
riguardo alla punizione dei fatti di ingresso e soggiorno illegale;
− il contrasto del traffico e della tratta di persone, con particolare riguardo al favoreggiamento
dell’immigrazione irregolare, allo sfruttamento delle persone (lavorativo, sessuale, etc.), allo status delle
vittime, alle cause di esclusione dell’illiceità e alle strategie repressive adottate a livello internazionale e
dell’Unione Europea;
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CALL FOR PAPERS
− la garanzia dei diritti dello straniero, con particolare riguardo alle seguenti tematiche:
•forme e luoghi della coercizione della libertà personale, con riferimento ai “nuovi” luoghi di detenzione
amministrativa;
•condizione del detenuto in carcere, con riguardo in particolare al discutibile inquadramento della
“espulsione” tra i benefici a contenuto rieducativo;
•il problema della lingua nei rapporti con le autorità nazionali, amministrative o giudiziarie, e del diritto a
un’adeguata informazione in merito alle tutele offerte dalla normativa di settore;
•Il diritto a un ricorso effettivo dello straniero irregolare;
- la cooperazione internazionale nel contrasto dell’immigrazione irregolare, con particolare riferimento alla
missione militare EUNAVFOR MED, nonché alle operazioni realizzate sotto l’egida di FRONTEX o
nell’ambito di altre modalità di cooperazione internazionale;
- le azioni di contrasto dell’immigrazione irregolare e di controllo delle frontiere, con particolare riferimento al
rapporto con gli obblighi di protezione internazionale.
CALL FOR PAPERS
PROCEDURA DI SELEZIONE
I candidati dovranno inviare tramite email alla segreteria di Di.P.La.P. ([email protected]) all’attenzione
del Presidente un paper, di massimo 4000 caratteri (note e spazi inclusi).
Il paper deve recare nome, cognome e pseudonimo dell’autore. Il Presidente invierà al Comitato scientifico i
paper con la sola indicazione dello pseudonimo. Al termine della valutazione anonima, il Comitato
scientifico predisporrà una graduatoria in cui figureranno solo gli pseudonimi. Successivamente il Consiglio
direttivo, nella persona del Presidente, provvederà ad associare questi ultimi al nominativo dell’autore e a
comunicare un elenco di 8 relatori. Il Presidente è garante della correttezza della procedura e
dell’anonimato dei candidati risultati non vincitori, i cui nominativi non verranno comunicati né al Consiglio
direttivo dell’associazione né al Comitato scientifico.
SCADENZE
Il paper deve essere inviato alla segreteria del DiPLaP entro il 6 marzo 2016. I risultati della selezione
saranno resi noti entro il 20 marzo 2016.
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CALL FOR PAPERS
PROCEDURA DI SELEZIONE
CRITERI EDITORIALI PER IL PAPER
Ampiezza: 4000 caratteri max (eventuali note e spazi inclusi)
Margini: 2,5 tutti
Carattere testo: times new roman, 12
Carattere note: times new roman, 10
Interlinea: singola
Rientro prima riga: 0,5
Titoli: in grassetto
Formato estensione: Word (.doc; .docx) e Pdf (.pdf)
OSPITALITÀ DEI RELATORI
Le spese di pernottamento dei relatori saranno rimborsate. Per le spese di viaggio verrà offerto un
contributo economico il cui valore sarà definito in base all’ammontare dei finanziamenti ricevuti.
I MODULO
PROFILI PENALI DELL’IMMIGRAZIONE
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29/03/2016
Un inquadramento
generale del
fenomeno
migratorio
«Ero straniero e non mi avete accolto»
(Matteo, 25, 43)
«Il tuo Cristo è ebreo, la tua macchina è
giapponese, la tua pizza è italiana, la tua
democrazia greca, il tuo caffè brasiliano, la
tua vacanza turca, i tuoi numeri arabi, il tuo
alfabeto latino. Solo il tuo vicino è uno
straniero?»
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29/03/2016
Refugees/Migrants Emergency Response ‐ Mediterranean
28 February 2016
http://data.unhcr.org/mediterranean
Le migrazioni
Migrazione è lo spostamento di gruppi umani da
insediamenti (punti di partenza) ad altri
(apici).
Propensione alla mobilità che accompagna
l’uomo nel corso della sua storia che avviene
per un concorso di cause consistenti, tali da
rendere desiderabile l’abbandono degli
insediamenti abituali e accettabili i rischi
connessi allo spostamento.
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29/03/2016
Le Cause
Gli spostamenti umani possono essere individuali o di
massa, coatti o volontari. Dall’incrocio di queste
quattro variabili si apre un panorama variegato di
situazioni di volta in volta diverse.
Individuali:
 Coatti (esilio, confino)
 Volontari (emigrazione)
Di massa:
 Coatti (tratta, deportazione, diaspora)
 Volontari
(invasioni,
conquiste,
colonizzazioni)
scoperte,
Cause attuali delle migrazioni internazionali.
Push factors & Pull factors
Fattori di espulsione nei Paesi
di esodo:
Fattori di attrazione nei Paesi di
approdo:
•Pressione demografica
•Peggioramento delle condizioni
di vita
•Inurbamento nelle megalopoli
•Rivoluzione delle aspettative
crescenti
•Repressione politica
•Governi
militari,
dispotici,
totalitari
•Scontri tra etnie
•Conflitti militari
•
•
Forte differenziale retributivo tra
paesi in via di sviluppo e paesi
sviluppati
Domanda di manodopera da
parte dei paesi sviluppati per:
a. Rispondere alla caduta del tasso
di natalità
b. Rispondere all’invecchiamento
della popolazione
c. Abbassare i costi di produzione
(manodopera a basso costo ad
alto livello di ricattabilità ed
elevata flessibilità)
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29/03/2016
Il migrante
I flussi migratori costituiscono un grave problema
per i paesi d’origine in quanto i massicci
spopolamenti rappresentano un’emorragia di
forze giovani con pesanti conseguenze sia
economiche che politiche.
Coloro che sono disposti ad abbandonare la loro
terra sono i cittadini più “vivaci” sia
culturalmente che politicamente che con
grande forza di volontà e grandi sacrifici
ricercano soluzioni migliori.
Status di rifugiato
Il rifugiato (refugee) è colui che è costretto a lasciare il
proprio paese a causa di guerra o persecuzioni per
motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza
ad un determinato gruppo sociale o per le sue
opinioni politiche.
A differenza del migrante, non può tornare nel proprio
paese perché teme di subire persecuzioni.
La Convenzione di Ginevra del 1951 istituisce lo status
giuridico di rifugiato e ne stabilisce i diritti.
L’Italia è uno dei paesi che ha aderito alla Convenzione.
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29/03/2016
I flussi migratori in Italia
Per
meglio comprendere l’immigrazione nel
nostro paese bisogna distinguere tra progetti
migratori di breve o lunga durata.
I flussi migratori si caratterizzano per:
• Transito (in Italia per raggiungere altri Paesi come
Francia, Germania, Olanda)
• Mobilità (dal settore primario del Sud al terziario e
secondario del Nord)
• Flessibilità (disponibilità a svolgere lavori diversi,
potenzialmente pericolosi o nocivi, senza tutele
sindacali per orario di lavoro e intensità, o sociali)
I flussi migratori in Italia
L’emigrazione si può avere:
• Verso aree economicamente deboli (manodopera
concorrenziale, lavoro ’informale’ o ‘sommerso’)
• Verso aree economicamente forti (manodopera
complementare
o
sostitutiva
in
situazioni
di
indisponibilità di manodopera locale)
Il razzismo che si genera in questa situazioni è:
• Causato dalla concorrenza nelle aree economicamente
deboli
• Causato dalla rivendicazione degli stessi diritti nelle aree
economicamente forti
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29/03/2016
Italiani che emigrano
Anche gli italiani sono stati un popolo di emigranti.
Si possono individuare 4 momenti caratterizzanti
l’emigrazione italiana:
1. Emigrazione transoceanica alla fine del XIX
secolo con picchi di 600 mila espatri l’anno per
Stati Uniti, Argentina e Brasile.
2. Emigrazione durante il ventennio fascista per
opposizione al regime con spostamenti diretti
prevalentemente verso la Francia.
3. Diminuzione emigrazione transoceanica ed
esplosione dell’emigrazione in Europa (Francia,
Belgio, Gran Bretagna, Svizzera e Germania).
Flussi migratori tra gli anni ’50 e ‘60
4. Migrazione interna Sud‐Nord Italia durante il boom economico (anni ’50 ‐ ’60).
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L’immigrazione in Italia
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Fondamentali
premesse
giuridiche
I premessa
Esistono diritti che riguardano tutti gli uomini e
diritti che riguardano solo i cittadini:
‐
art. 3 comma 1 Cost.
‐
art. 16 Cost.
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II premessa
I diritti di cittadinanza hanno titolo di esistere
solo se non violano i diritti fondamentali di
tutti gli uomini:
‐
art. 2 Cost.
‐
le differenziazioni tra stranieri comunitari ed
extracomunitari
III premessa
Le leggi sull’immigrazione oggi appartengono al
tema della sicurezza pubblica e l’uso del diritto
penale serve per tutelare alcuni interessi e bisogni
di sicurezza.
Il principale interesse tutelato dalle norme penali in
materia di immigrazione è di problematica
individuazione: in questa fase, parliamo di
‘corretta regolamentazione dei flussi migratori’.
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IV premessa
I principi penalistici di rilevanza costituzionale,
come la personalità della responsabilità penale e
la finalità rieducativa della pena, si iscrivono nel
tracciato della tutela della dignità, della vita e
della libertà della persona, e dunque al livello
superiore dell’art. 2 Cost. e dei diritti
fondamentali.
Il ruolo del diritto penale nel contrasto
all’immigrazione irregolare
La tendenza di fondo: politica di
esclusione, penalmente armata,
che dà vita al c.d. diritto penale
del
nemico,
centrato
sulla
considerazione
della
persona
straniera come persona pericolosa.
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Il ruolo del diritto penale nel contrasto
all’immigrazione irregolare
Pelissero: l’intero meccanismo amministrativo di
controllo dell’immigrazione clandestina si fonda sul
risultato finale della espulsione dello straniero
extracomunitario irregolare; l’espulsione non opera
solo come strumento amministrativo, ma presenta natura
ibrida di sanzione sostitutiva, di misura alternativa alla
detenzione (art. 16 t.u.), di misura di sicurezza (art. 15
t.u.). L’ottica del legislatore è quella di non offrire margini
alla possibilità di permanenza del soggetto irregolare sul
territorio dello Stato e, laddove possibile, di utilizzare
l’espulsione come strumento di sfoltimento delle carceri.
Binomio
immigrazione – perdita di sicurezza
… gli stranieri emigrano nel nostro paese; lo straniero è
spesso immigrato irregolare; vi sono molti stranieri in
carcere; i tassi di criminalità nella popolazione degli
stranieri irregolari è elevata; gli stranieri commettono
reati di tipo predatorio; il problema degli stranieri
costituisce un problema che pregiudica la sicurezza
collettiva, a tutela della quale non può che essere
invocato il braccio armato del diritto penale...
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Binomio
immigrazione – perdita di sicurezza



l’irregolarità dello straniero non costituisce un dato ontologico, ma è
fissata da soglie legislative di esclusione;
è l’incertezza connessa allo status di irregolare e non la condizione
in sé di straniero a determinare tassi più elevati di criminalità;
la penalità carceraria, come hanno da tempo dimostrato le indagini
criminologiche, non riflette i tassi effettivi di criminalità nel paese,
ma funge da strumento di controllo della marginalità sociale
secondo il processo fortemente selettivo realizzato dalle agenzie di
controllo penale
I moniti della
Corte costituzionale
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Inviolabilità della libertà personale
Corte cost. 15 luglio 2004, n. 223
Affrontando la questione della previsione dell’arresto in
flagranza per la contravvenzione di omessa ottemperanza
all’ordine del questore di allontanamento dal territorio dello
Stato (art. 14, comma 5-quinquies t.u.i.), la Consulta ha
escluso la possibilità di deformare gli istituti processuali,
anche laddove si volesse ritenere tale disciplina
«finalizzata, sia pure impropriamente, ad assicurare
l’espulsione amministrativa dello straniero che non abbia
ottemperato all’ordine di allontanarsi dal territorio dello
Stato».
Il diritto inviolabile alla libertà personale rimane, dunque,
una garanzia non flessibilizzabile per pure ragioni di
esclusione del migrante irregolare.
Proporzione e ragionevolezza
Corte cost. 11 maggio 2007, n. 22
A fronte dell’intervento del legislatore che, per rendere
obbligatorio l’arresto in flagranza aveva inasprito il
trattamento sanzionatorio per l’omessa ottemperanza
all’ordine del questore, pur non giungendo alla
dichiarazione di illegittimità costituzionale dei nuovi elevati
limiti edittali della fattispecie, la Corte costituzionale
denuncia una politica criminale che in tema di
immigrazione si mostra «squilibrata», «sproporzionata»,
«disarmonica», «problematica» rispetto ai principi
costituzionali di uguaglianza, proporzionalità e finalità
rieducativa della pena, rilevando «l’opportunità di un
sollecito intervento del legislatore, volto ad eliminare gli
squilibri, le sproporzioni e le disarmonie» della disciplina.
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Principio di colpevolezza
Corte cost. 13 gennaio 2004, n. 5
Nel 2004 la Corte costituzionale dichiara non fondata la questione di legittimità
dell’art. 14, comma 5-ter t.u., nella parte in cui la fattispecie richiede che la
mancata ottemperanza all’ordine di espulsione avvenga «senza giustificato
motivo» (C. Cost., sent. 13 gennaio 2004, n. 5): tale formula viene considerata
dalla Corte una «“valvola di salvezza” del meccanismo repressivo», con la
funzione di evitare «che la sanzione penale scatti allorché – anche al di fuori
della presenza di vere e proprie cause di giustificazione – l’osservanza del
precetto appaia concretamente “inesigibile” in ragione, a seconda dei casi, di
situazioni ostative a carattere soggettivo od oggettivo», ossia di «situazioni
ostative di particolare pregnanza, che incidano sulla stessa possibilità,
soggettiva od oggettiva, di adempiere all’intimazione, escludendola ovvero
rendendola difficoltosa o pericolosa (...) E ciò in specie (ad impossibilia nemo
tenetur) quando l’inadempienza dipenda dalla condizione di assoluta
impossidenza dello straniero, che non gli consenta di recarsi nel termine alla
frontiera (...) e di acquistare il biglietto di viaggio».
Funzione rieducativa della pena
Corte cost. 16 marzo 2007, n. 78
Dichiarazione di illegittimità costituzionale dell’esclusione degli
immigrati extracomunitari dalla fruizione delle misure alternative alla
detenzione, in quanto «tale preclusione risulta collegata in modo
automatico ad una condizione soggettiva – il mancato possesso di
un titolo abilitativo alla permanenza nel territorio dello Stato – che,
di per sé, non è univocamente sintomatica né di una particolare
pericolosità sociale, incompatibile con il perseguimento di un
percorso rieducativo attraverso qualsiasi misura alternativa, né della
sicura assenza di un collegamento col territorio, che impedisca la
proficua applicazione della misura medesima». Tal esclusione –
sostiene la Corte – finisce per annullare il teleologismo costituzionale
della pena che si riduce a pura «finalità repressiva».
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Corte cost. 5 luglio 2010, n. 249
Questione di legittimità costituzionale dell’art. 61,
numero 11‐bis, del codice penale, che prevede una
circostanza aggravante comune per i fatti commessi
dal colpevole «mentre si trova illegalmente sul
territorio nazionale».
La disposizione censurata è stata introdotta dall’art.
1, comma 1, lettera f), del decreto‐legge 23 maggio
2008, n. 92 (Misure urgenti in materia di sicurezza
pubblica), convertito, con modificazioni, dall’art. 1
della legge 24 luglio 2008, n. 125.
Corte cost. 5 luglio 2010, n. 249
Questa Corte, in tema di diritti inviolabili, ha dichiarato, in via generale, che essi
spettano «ai singoli non in quanto partecipi di una determinata comunità politica, ma in
quanto esseri umani» (sentenza n. 105 del 2001).
La condizione giuridica dello straniero non deve essere pertanto considerata – per
quanto riguarda la tutela di tali diritti – come causa ammissibile di trattamenti
diversificati e peggiorativi, specie nell’ambito del diritto penale, che più direttamente è
connesso alle libertà fondamentali della persona, salvaguardate dalla Costituzione con le
garanzie contenute negli artt. 24 e seguenti, che regolano la posizione dei singoli nei
confronti del potere punitivo dello Stato.
Il rigoroso rispetto dei diritti inviolabili implica l’illegittimità di trattamenti penali più severi
fondati su qualità personali dei soggetti che derivino dal precedente compimento di atti
«del tutto estranei al fatto‐reato», introducendo così una responsabilità penale d’autore
«in aperta violazione del principio di offensività […]» (sentenza n. 354 del 2002). D’altra
parte «il principio costituzionale di eguaglianza in generale non tollera discriminazioni
fra la posizione del cittadino e quella dello straniero» (sentenza n. 62 del 1994). Ogni
limitazione di diritti fondamentali deve partire dall’assunto che, in presenza di un diritto
inviolabile, «il suo contenuto di valore non può subire restrizioni o limitazioni da alcuno
dei poteri costituiti se non in ragione dell’inderogabile soddisfacimento di un interesse
pubblico primario costituzionalmente rilevante» (sentenze n. 366 del 1991 e n. 63 del
1994).
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Corte cost. 5 luglio 2010, n. 249
Con riferimento al caso specifico, si deve ricordare che le «condizioni personali
e sociali» fanno parte dei sette parametri esplicitamente menzionati dal primo
comma dell’art. 3 Cost., quali divieti direttamente espressi dalla Carta
costituzionale, che rendono indispensabile uno scrutinio stretto delle
fattispecie sospettate di violare o derogare all’assoluta irrilevanza delle
“qualità” elencate dalla norma costituzionale ai fini della diversificazione delle
discipline.
Questa Corte ha più volte applicato tale metodo nel campo del diritto penale,
dichiarando costituzionalmente illegittime norme che avevano costruito una
fattispecie incriminatrice su presunzioni assolute di pericolosità, con l’effetto di
istituire discriminazioni irragionevoli. Si è già fatto cenno, in proposito, alla
riconosciuta illegittimità della previsione che puniva l’ubriachezza (art. 688 cod.
pen.) solo per coloro che avessero già riportato una condanna per delitto non
colposo contro la vita o l’incolumità delle persone (sentenza n. 354 del 2002).
Corte cost. 5 luglio 2010, n. 249
Sulla scorta dei principi sinora ricordati, si deve riconoscere che
l’aggravante di cui alla disposizione censurata non rientra nella logica del
maggior danno o del maggior pericolo per il bene giuridico tutelato dalle
norme penali che prevedono e puniscono i singoli reati.
Non potrebbe essere ritenuta ragionevole e sufficiente, d’altra parte, la
finalità di contrastare l’immigrazione illegale, giacché questo scopo non
potrebbe essere perseguito in modo indiretto, ritenendo più gravi i
comportamenti degli stranieri irregolari rispetto ad identiche condotte
poste in essere da cittadini italiani o comunitari. Si finirebbe infatti per
distaccare totalmente la previsione punitiva dall’azione criminosa
contemplata nella norma penale e dalla natura dei beni cui la stessa si
riferisce, specificamente ritenuti dal legislatore meritevoli della tutela
rafforzata costituita dalla sanzione penale.
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Corte cost. 5 luglio 2010, n. 249
La contraddizione appena rilevata assume particolare evidenza dopo la recente modifica
introdotta dall’art. 1, comma 1, della legge n. 94 del 2009, che ha escluso l’applicabilità
dell’aggravante de qua ai cittadini di Paesi appartenenti all’Unione europea.
È noto infatti che esistono ipotesi di soggiorno irregolare del cittadino comunitario, come, ad
esempio, nel caso di inottemperanza ad un provvedimento di allontanamento, punita dall’art.
21, comma 4, del decreto legislativo 6 febbraio 2007, n. 30 (Attuazione della direttiva
2004/38/CE, relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di
soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri), con l’arresto da uno a sei mesi e con
l’ammenda da 200 a 2.000 euro. Anche sotto tale profilo, risulta che la particolare disciplina
dell’aggravante censurata nel presente giudizio fa leva prevalentemente sullo status soggettivo
del reo, giacché la circostanza non si applica ai cittadini di Stati dell’Unione europea neppure
nella più grave ipotesi dell’inottemperanza ad un provvedimento di allontanamento, vale a dire
quando l’irregolarità del soggiorno è stata riscontrata ed ha formato oggetto di valutazione da
parte della competente autorità di sicurezza, che ha emesso un ordine trasgredito dal soggetto
interessato, il quale ha assunto, per tale condotta, una specifica responsabilità penale. È
evidente, in altre parole, che la giustificazione della fattispecie censurata non può fondarsi
su una presunzione correlata alla violazione delle norme sull’ingresso e sulla permanenza
nello Stato di soggetti privi della cittadinanza italiana. E ciò si nota a prescindere dalla
relazione tra lo status dell’immigrato in condizione irregolare e l’offesa tipica del reato che di
volta in volta venga in considerazione.
Corte cost. 5 luglio 2010, n. 249
Alla luce di quanto detto, si deve concludere che la ratio sostanziale posta a base
della norma censurata è una presunzione generale ed assoluta di maggiore
pericolosità dell’immigrato irregolare, che si riflette sul trattamento sanzionatorio
di qualunque violazione della legge penale da lui posta in essere.
La violazione delle norme sul controllo dei flussi migratori può essere penalmente
sanzionata, per effetto di una scelta politica del legislatore non censurabile in sede di
controllo di legittimità costituzionale, ma non può introdurre automaticamente e
preventivamente un giudizio di pericolosità del soggetto responsabile, che deve
essere frutto di un accertamento particolare, da effettuarsi caso per caso, con
riguardo alle concrete circostanze oggettive ed alle personali caratteristiche
soggettive. In coerenza a tale orientamento, questa Corte ha avuto modo di
affermare che «il mancato possesso di un titolo abilitativo alla permanenza nel
territorio dello Stato […] non è univocamente sintomatico […] di una particolare
pericolosità sociale» (sentenza n. 78 del 2007).
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Corte cost. 5 luglio 2010, n. 249
In definitiva, la qualità di immigrato «irregolare» – che si acquista con l’ingresso illegale nel
territorio italiano o con il trattenimento dopo la scadenza del titolo per il soggiorno, dovuta
anche a colposa mancata rinnovazione dello stesso entro i termini stabiliti – diventa uno
“stigma”, che funge da premessa ad un trattamento penalistico differenziato del soggetto, i
cui comportamenti appaiono, in generale e senza riserve o distinzioni, caratterizzati da un
accentuato antagonismo verso la legalità. Le qualità della singola persona da giudicare
rifluiscono nella qualità generale preventivamente stabilita dalla legge, in base ad una
presunzione assoluta, che identifica un «tipo di autore» assoggettato, sempre e comunque, ad
un più severo trattamento.
Ciò determina un contrasto tra la disciplina censurata e l’art. 25, secondo comma, Cost., che
pone il fatto alla base della responsabilità penale e prescrive pertanto, in modo rigoroso, che
un soggetto debba essere sanzionato per le condotte tenute e non per le sue qualità
personali. Un principio, quest’ultimo, che senz’altro è valevole anche in rapporto agli
elementi accidentali del reato.
La previsione considerata ferisce, in definitiva, il principio di offensività, giacché non vale a
configurare la condotta illecita come più gravemente offensiva con specifico riferimento al
bene protetto, ma serve a connotare una generale e presunta qualità negativa del suo autore.
Art. 10-bis
Ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato
1. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, lo straniero che fa ingresso ovvero si trattiene nel territorio dello
Stato, in violazione delle disposizioni del presente testo unico nonché di quelle di cui all'articolo 1 della
legge 28 maggio 2007, n. 68, è punito con l'ammenda da 5.000 a 10.000 euro. Al reato di cui al
presente comma non si applica l'articolo 162 del codice penale.
2. Le disposizioni di cui al comma 1 non si applicano allo straniero destinatario del provvedimento di
respingimento ai sensi dell'articolo 10, comma 1 ((ovvero allo straniero identificato durante i
controlli della polizia di frontiera, in uscita dal territorio nazionale)).
3. Al procedimento penale per il reato di cui al comma 1 si applicano le disposizioni di cui agli articoli
20-bis, 20-ter e 32-bis del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274.
4. Ai fini dell'esecuzione dell'espulsione dello straniero denunciato ai sensi del comma 1 non è richiesto il
rilascio del nulla osta di cui all'articolo 13, comma 3, da parte dell'autorità giudiziaria competente
all'accertamento del medesimo reato. Il questore comunica l'avvenuta esecuzione dell'espulsione
ovvero del respingimento di cui all'articolo 10, comma 2, all'autorità giudiziaria competente
all'accertamento del reato.
5. Il giudice, acquisita la notizia dell'esecuzione dell'espulsione o del respingimento ai sensi dell'articolo 10,
comma 2, pronuncia sentenza di non luogo a procedere. Se lo straniero rientra illegalmente nel
territorio dello Stato prima del termine previsto dall'articolo 13, comma 14, si applica l'articolo 345 del
codice di procedura penale.
6. Nel caso di presentazione di una domanda di protezione internazionale di cui al decreto legislativo 19
novembre 2007, n. 251, il procedimento è sospeso. Acquisita la comunicazione del riconoscimento
della protezione internazionale di cui al decreto legislativo 19 novembre 2007, n. 251, ovvero del
rilascio del permesso di soggiorno nelle ipotesi di cui all'articolo 5, comma 6, del presente testo unico,
il giudice pronuncia sentenza di non luogo a procedere.
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Corte cost. 5 luglio 2010, n. 250
L’individuazione delle condotte punibili e la configurazione del relativo trattamento
sanzionatorio rientrano nella discrezionalità del legislatore: discrezionalità il cui esercizio può
formare oggetto di sindacato, sul piano della legittimità costituzionale, solo ove si traduca in
scelte manifestamente irragionevoli o arbitrarie (ex plurimis, sentenze n. 47 del 2010, n. 161,
n. 41 e n. 23 del 2009, n. 225 del 2008).
Contrariamente a quanto sostiene il giudice rimettente, non si può infatti ritenere che l’art. 10‐
bis del d.lgs. n. 286 del 1998, introducendo nell’ordinamento la contravvenzione di «ingresso
e soggiorno illegale nel territorio dello Stato», penalizzi una mera «condizione personale e
sociale» – quella, cioè, di straniero «clandestino» (o, più propriamente, «irregolare») – della
quale verrebbe arbitrariamente presunta la pericolosità sociale. Oggetto dell’incriminazione
non è un «modo di essere» della persona, ma uno specifico comportamento, trasgressivo di
norme vigenti. Tale è, in specie, quello descritto dalle locuzioni alternative «fare ingresso» e
«trattenersi» nel territorio dello Stato, in violazione delle disposizioni del testo unico
sull’immigrazione o della disciplina in tema di soggiorni di breve durata per visite, affari,
turismo e studio, di cui all’art. 1 della legge n. 68 del 2007: locuzioni cui corrispondono,
rispettivamente, una condotta attiva istantanea (il varcare illegalmente i confini nazionali) e
una a carattere permanente il cui nucleo antidoveroso è omissivo (l’omettere di lasciare il
territorio nazionale, pur non essendo in possesso di un titolo che renda legittima la
permanenza).
Corte cost. 5 luglio 2010, n. 250
La condizione di cosiddetta “clandestinità” non è un dato preesistente ed estraneo al fatto, ma
rappresenta, al contrario, la conseguenza della stessa condotta resa penalmente illecita,
esprimendone in termini di sintesi la nota strutturale di illiceità (non diversamente da come la
condizione di pregiudicato per determinati reati deriva, salvo il successivo accertamento
giudiziale, dall’avere commesso i reati stessi).
Né può condividersi, per altro verso, l’assunto in forza del quale si sarebbe di fronte ad un
illecito «di mera disobbedienza», non offensivo – anche solo nella forma della messa in
pericolo – di alcun bene giuridico meritevole di tutela: illecito la cui repressione darebbe vita
ad una ipotesi di «diritto penale d’autore», al di sotto della quale si radicherebbe l’intento di
penalizzare, ex se, situazioni di povertà ed emarginazione.
Il bene giuridico protetto dalla norma incriminatrice è, in realtà, agevolmente identificabile
nell’interesse dello Stato al controllo e alla gestione dei flussi migratori, secondo un
determinato assetto normativo: interesse la cui assunzione ad oggetto di tutela penale non
può considerarsi irrazionale ed arbitraria – trattandosi, del resto, del bene giuridico “di
categoria”, che accomuna buona parte delle norme incriminatrici presenti nel testo unico del
1998 – e che risulta, altresì, offendibile dalle condotte di ingresso e trattenimento illegale
dello straniero.
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Corte cost. 5 luglio 2010, n. 250
L’ordinata gestione dei flussi migratori si presenta, in specie, come un bene giuridico “strumentale”,
attraverso la cui salvaguardia il legislatore attua una protezione in forma avanzata del complesso di beni
pubblici “finali”, di sicuro rilievo costituzionale, suscettivi di essere compromessi da fenomeni di
immigrazione incontrollata. Ciò, secondo una strategia di intervento analoga a quella che contrassegna
vasti settori del diritto penale complementare, nei quali la sanzione penale – specie contravvenzionale –
accede alla violazione di discipline amministrative afferenti a funzioni di regolazione e controllo su
determinate attività, finalizzate a salvaguardare in via preventiva i beni, specie sovraindividuali, esposti a
pericolo dallo svolgimento indiscriminato delle attività stesse (basti pensare, ad esempio, al diritto penale
urbanistico, dell’ambiente, dei mercati finanziari, della sicurezza del lavoro). Caratteristica, questa, che, nel
caso in esame, viene peraltro a riflettersi nell’esiguo spessore della risposta punitiva prefigurata dalla
norma impugnata, di tipo meramente pecuniario.
È incontestabile, in effetti, che il potere di disciplinare l’immigrazione rappresenti un profilo essenziale
della sovranità dello Stato, in quanto espressione del controllo del territorio. Come questa Corte ha avuto
modo di rimarcare, «lo Stato non può […] abdicare al compito, ineludibile, di presidiare le proprie frontiere:
le regole stabilite in funzione d’un ordinato flusso migratorio e di un’adeguata accoglienza vanno dunque
rispettate, e non eluse […], essendo poste a difesa della collettività nazionale e, insieme, a tutela di coloro
che le hanno osservate e che potrebbero ricevere danno dalla tolleranza di situazioni illegali» (sentenza n.
353 del 1997). La regolamentazione dell’ingresso e del soggiorno degli stranieri nel territorio dello Stato è,
difatti, «collegata alla ponderazione di svariati interessi pubblici, quali, ad esempio, la sicurezza e la sanità
pubblica, l’ordine pubblico, i vincoli di carattere internazionale e la politica nazionale in materia di
immigrazione» (sentenze n. 148 del 2008, n. 206 del 2006 e n. 62 del 1994): vincoli e politica che, a loro
volta, rappresentano il frutto di valutazioni afferenti alla “sostenibilità” socio‐economica del fenomeno.
Corte cost. 5 luglio 2010, n. 250
Il controllo giuridico dell’immigrazione – che allo Stato, dunque, indubbiamente compete (sentenza n. 5
del 2004), a presidio di valori di rango costituzionale e per l’adempimento di obblighi internazionali –
comporta, d’altro canto, necessariamente la configurazione come fatto illecito della violazione delle
regole in cui quel controllo si esprime. Determinare quale sia la risposta sanzionatoria più adeguata a tale
illecito, e segnatamente stabilire se esso debba assumere una connotazione penale, anziché meramente
amministrativa (com’era anteriormente all’entrata in vigore della legge n. 94 del 2009), rientra
nell’ambito delle scelte discrezionali del legislatore, il quale ben può modulare diversamente nel tempo
– in rapporto alle mutevoli caratteristiche e dimensioni del fenomeno migratorio e alla differente
pregnanza delle esigenze ad esso connesse – la qualità e il livello dell’intervento repressivo in materia. in
materia di immigrazione, «le ragioni della solidarietà umana non possono essere affermate al di fuori di
un corretto bilanciamento dei valori in gioco» (sentenza n. 353 del 1997).
In particolare, «le ragioni della solidarietà umana non sono di per sé in contrasto con le regole in materia
di immigrazione previste in funzione di un ordinato flusso migratorio e di un’adeguata accoglienza ed
integrazione degli stranieri» (ordinanze n. 192 e n. 44 del 2006, n. 217 del 2001): e ciò nella cornice di un
«quadro normativo […] che vede regolati in modo diverso – anche a livello costituzionale (art. 10, terzo
comma, Cost.) – l’ingresso e la permanenza degli stranieri nel Paese, a seconda che si tratti di richiedenti
il diritto di asilo o rifugiati, ovvero di c.d. “migranti economici”» (sentenza n. 5 del 2004; ordinanze n. 302
e n. 80 del 2004). In materia il legislatore fruisce, dunque, di ampia discrezionalità nel porre limiti
all’accesso degli stranieri nel territorio dello Stato, all’esito di un bilanciamento dei valori che vengono in
rilievo: discrezionalità il cui esercizio è sindacabile da questa Corte solo nel caso in cui le scelte operate si
palesino manifestamente irragionevoli (ex plurimis, sentenze n. 148 del 2008, n. 361 del 2007, n. 224 e n.
206 del 2006) e che si estende, secondo quanto in precedenza osservato, anche al versante della
selezione degli strumenti repressivi degli illeciti perpetrati.
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Corte cost. 5 luglio 2010, n. 250
Le ragioni della solidarietà trovano, in questo senso, espressione – oltre che nella ricordata
disciplina dei divieti di espulsione e di respingimento e del ricongiungimento familiare –
nell’applicabilità, allo straniero irregolare, della normativa sul soccorso al rifugiato e la
protezione internazionale, di cui al d.lgs. 19 novembre 2007, n. 251 (Attuazione della
direttiva 2004/83/CE recante norme minime sull’attribuzione, a cittadini di Paesi terzi o
apolidi, della qualifica del rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione
internazionale, nonché norme minime sul contenuto della protezione riconosciuta), fatta
espressamente salva dal comma 6 dello stesso art. 10‐bis del d.lgs. n. 286 del 1998, che
prevede la sospensione del procedimento penale per il reato in esame nel caso di
presentazione della relativa domanda e, nell’ipotesi di suo accoglimento, la pronuncia di
una sentenza di non luogo a procedere (analoga pronuncia è prevista, altresì, nel caso di
rilascio del permesso di soggiorno nelle ipotesi di cui all’art. 5, comma 6, del d.lgs. n. 286
del 1998, e cioè quando, pur in presenza delle condizioni ostative ivi indicate, ricorrano
«seri motivi […] di carattere umanitario o risultanti da obblighi costituzionali o
internazionali dello Stato italiano»).
Critica alla sentenza della Corte
Corte cost. n. 22/2007: quello migratorio è “un grave problema sociale,
umanitario ed economico che implica valutazioni di politica legislativa non
riconducibili a mere esigenze generali di ordine e sicurezza pubblica né
sovrapponibili o assimilabili a problematiche diverse, legate alla pericolosità di
alcuni soggetti e di alcuni comportamenti che nulla hanno a che fare con il
fenomeno dell’immigrazione”.
In un altro frammento della medesima decisione si denuncia un “quadro
normativo” che “presenta squilibri, sproporzioni e disarmonie, tali da rendere
problematica la verifica di compatibilità con i principi costituzionali di uguaglianza
e di proporzionalità della pena e con la finalità rieducativa della stessa”, al punto
da auspicare “un sollecito intervento del legislatore”, auspicio al quale la Corte –
in quella circostanza – non si è sottratta in nome di una formalistica “rigorosa
osservanza dei limiti dei poteri del giudice costituzionale”.
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Critica alla sentenza della Corte
Il fatto c’è, ma è sintomo di un giudizio sull’autore che a sua volta realizza un’intollerabile
discriminazione “per provenienza geopolitica”: “non si vuole la commissione del fatto,
perché in realtà è il suo autore a risultare indesiderabile”. È il reo, con le sue caratteristiche
e la sua identità scomoda, a portare addosso, ‘cucito’ come un abito, l’elemento
caratterizzante il disvalore della condotta (di per sé lecita, e neutra, ove posta in essere dal
cittadino o – forse ancora per poco – dallo straniero comunitario).
Il soggetto nei cui confronti si realizzano le condizioni descritte dall’art. 10‐bis, si “trova”
(questa è fra l’altro la formula dell’art. 61 n. 11‐bis), ‘è cioè, in una situazione in cui la sua
condotta (ingresso, trattenimento senza valido titolo di soggiorno) fa sorgere uno status
penalmente rilevante, sostanzialmente irrimediabile, se non (auto)espellendosi dal
territorio.
Si sovverte così, uno dei primi e più importanti conseguimenti garantistici del diritto penale
democratico‐costituzionale, insieme addirittura alla struttura stessa del “rapporto con
l’altro” alla luce della Costituzione”: mai tale rapporto può partire e costruirsi attorno a un
pre‐giudizio negativo, dal quale far dipendere conseguenze in termini di ritorsione.
Critica alla sentenza della Corte
Il precetto contenuto nell’art. 10‐bis non può essere e non è, come tutto l’impianto
retorico‐espressivo del Testo Unico lascerebbe invece credere, il “restare a casa
propria”, cioè il non fare ingresso e non soggiornare tour court nel territorio dello
Stato.
La disposizione non sancisce la normalità di un divieto di ingresso e soggiorno che
suona francamente alquanto sinistra se accostata ai principi e ai diritti
fondamentali riconosciuti e garantiti dall’art. 2 Cost e dall’adesione dell’Italia ai
principali strumenti di tutela dei diritti umani.
Il precetto contiene piuttosto la richiesta di fare ingresso e/o trattenersi in
conformità alla legge.
È qui che la norma tradisce la sua manifesta irragionevolezza e la sua contrarietà
agli artt. 2, 3, 27 commi uno e tre Cost. La (fattuale) impossibilità del soggetto di
rendere legale, lecita e regolare la sua posizione, per cause a lui neppure
colposamente imputabili.
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29/03/2016
Critica alla sentenza della Corte
La gran parte dei migranti presenti o in procinto di entrare nel nostro Paese non
sono desiderosi né vogliono la clandestinità. Al contrario, essi potrebbero persino
ardentemente desiderare la regolarità della posizione e prodigarsi per ottenerla,
ma il risultato potrebbe essere loro precluso (salvo rarissime situazioni) dagli attuali
vincoli strettissimi sulle condizioni per il rilascio del titolo di soggiorno. Condizioni
concernenti il lavoro, il reddito, l’idoneità dell’alloggio, per esempio, che non
dipendono dalla sola volontà conforme del destinatario del precetto, bensì dal
convergere di una pluralità – talvolta fortuita e non legata al merito – di
concomitanze. “Il ‘netto discrimine’ tra immigrati regolari e immigrati irregolari si è
tradotto in una straordinaria, ma unidirezionale, rigidità della normativa sulla
condizione dello straniero irregolare, cui è sempre precluso il passaggio alla
condizione di regolarità; al contrario, la strada che conduce dalla condizione di
regolarità a quella di irregolarità è ben facilmente percorribile, data la difficoltà
per il migrante di conservare le condizioni necessarie al rinnovo di titoli abilitativi
del soggiorno.
Critica alla sentenza della Corte
Claudia Mazzucato: La “sfera del dovere”, insomma, non coincide con la “sfera del potere”.
Viene scambiato per “antagonismo verso la legalità” da punire penalmente (Corte cost. n.
249/2010), un’impossibilità di corrispondere al precetto che può persino rilevare sul piano
giuridico, ma certamente non in sede penale, e ancorché – come acutamente osservato – ci
troviamo a una “regola che diviene eccezione e inganno tra assurdità logiche e impraticabilità
burocratiche”.
Ripercorriamo gli insegnamenti elargiti dalla Corte costituzione con la sentenza n. 364/1988,
sostituendo il concetto di “conoscibilità” della legge penale con quello – qui pertinente – di
“possibilità di rispettare il contenuto del precetto”, per verificare la tenuta delle
considerazioni che precedono.
Afferma la Corte “Se l’obbligo giuridico si distingue dalla ‘soggezione’ perché, a differenza di
quest’ultima, richiama la partecipazione volitiva del singolo alla sua realizzazione, far sorgere
l’obbligo d’osservanza delle leggi (delle ‘singole’, particolari leggi) penali, in testa ad un
determinato soggetto, senza la benché minima possibilità, da parte del soggetto stesso, [di
poterne rispettare il contenuto, regolarizzando la propria permanenza/il proprio ingresso] e
subordinare la sua violazione soltanto ai requisiti ‘subiettivi’ attinenti al fatto di reato,
equivale da una parte a ridurre notevolmente valore e significato di questi ultimi e, d’altra
parte, a strumentalizzare la persona umana a fini di pura deterrenza”.
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29/03/2016
Critica alla sentenza della Corte
Il numero dei migranti extracomunitari (e non solo, ormai) è ‘il’ problema. E la (pretesa)
offensività ‐ cioè il disordine sociale ‐ procurato delle condotte di trasferimento verso o di
soggiorno nel territorio dello Stato italiano scaturisce da questa moltitudine, niente affatto
dalla condotta dell’individuo singolarmente considerato.
Il diritto penale, con i suoi criteri di imputazione personale, colpisce però il singolo migrante
irregolare, teoricamente sulla scorta di un fatto proprio colpevole. Ma qui, il coefficiente di
rimproverabilità soggettiva, a voler essere rigorosi, – per il fatto proprio e colpevole – è
davvero minimo ed evanescente (fino a sconfinare nella mera coscienza e volontà della
condotta). L’individuo viene chiamato a rispondere (del reato di soggiorno/ingresso
irregolare) per un fenomeno collettivo a lui non rimproverabile di cui sono responsabili
conflitti, politiche, economie, disastri naturali e vicende storiche su scala planetaria, un
fenomeno sul quale egli può incidere limitatamente alla sua sfera privata (la sua persona,
al più – ma è già discutibile in assenza di un obbligo giuridico di impedimento della
migrazione altrui – il suo entourage familiare).
Il fatto che ‘non ci sia posto’ regolare per tutti può avere un qualche peso sul piano di una
politica del diritto complessiva (che includa interventi educativi, sociali, di cooperazione che
riducano la propensione alla migrazione), ma non può diventare fondamento per un reato
in cui, in violazione di principi costituzionali, si addossa al singolo in termini di
rimproverabilità per fatto proprio colpevole, l’effetto negativo di vicende lo trascendono.
Critica alla sentenza della Corte
Osserva Gabrio Forti: “spesso si dimentica, nel variegato frastuono dei richiami
all’ordine e alla ‘legalità’ che si sentono echeggiare nel nostro paese, quanto la
fiducia nel rispetto delle regole (così essenziale per la “felicità” delle cittadinanze)
debba essere innanzi tutto preparata e costruita dallo stesso legislatore con
un’attenta ponderazione dei precetti da introdurre nell’ordinamento. Precetti che
dovrebbero essere credibili ed effettivamente applicabili grazie alle risorse di
concreto enforcement che il sistema istituzionale abbia preventivamente messo a
disposizione della magistratura e della pubblica amministrazione”, oltre che grazie
alla scelte conforme degli stessi destinatari delle norme.
L’intervento del diritto penale esige dunque ponderazione, a fortiori quando la
fattispecie può colpire – come in questo caso – soggetti vulnerabili (perché
stranieri, irregolari, spesso poveri, non comprendenti la lingua parlata nel luogo
in cui si trovano, ecc.).
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La c.d. sentenza El Dridi
CGUE 28 aprile 2011 - C-61/11 PPU
Art. 14 comma 5 ter
vs
Direttiva rimpatri 2008/115/CE
Il vecchio art. 14 comma 5 ter TUI
5-ter. Lo straniero che senza giustificato motivo permane illegalmente nel territorio dello Stato,
in violazione dell’ordine impartito dal questore ai sensi del comma 5-bis, è punito con la
reclusione da uno a quattro anni se l’espulsione o il respingimento sono stati disposti per
ingresso illegale nel territorio nazionale (...), ovvero per non aver richiesto il permesso di
soggiorno o non aver dichiarato la propria presenza nel territorio dello Stato nel termine
prescritto in assenza di cause di forza maggiore, ovvero per essere stato il permesso revocato
o annullato. Si applica la pena della reclusione da sei mesi ad un anno se l’espulsione è
stata disposta perché il permesso di soggiorno è scaduto da più di sessanta giorni e non ne è
stato richiesto il rinnovo, ovvero se la richiesta del titolo di soggiorno è stata rifiutata (...). In
ogni caso, salvo che lo straniero si trovi in stato di detenzione in carcere, si procede
all’adozione di un nuovo provvedimento di espulsione con accompagnamento alla frontiera a
mezzo della forza pubblica per violazione all’ordine di allontanamento adottato dal questore ai
sensi del comma 5-bis. Qualora non sia possibile procedere all’accompagnamento alla
frontiera, si applicano le disposizioni di cui ai commi 1 e 5-bis del presente articolo (...).
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29/03/2016
Sentenza El Dridi
Con la sua questione il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se la direttiva
2008/115, in particolare i suoi artt. 15 e 16, debba essere interpretata nel senso
che essa osta ad una normativa di uno Stato membro, come quella in discussione
nel procedimento principale, che preveda l’irrogazione della pena della reclusione al
cittadino di un paese terzo il cui soggiorno sia irregolare per la sola ragione che
questi, in violazione di un ordine di lasciare entro un determinato termine il territorio
di tale Stato, permane in detto territorio senza giustificato motivo.
IL PROBLEMA: la mancata cooperazione dello straniero irregolare alla procedura
di reimpatrio
L’OBIETTIVO: allontanamento dello straniero irregolare dalle frontiere nazionali
Sentenza El Dridi
La successione delle fasi della procedura di rimpatrio stabilita dalla direttiva
2008/115 corrisponde ad una gradazione delle misure da prendere per dare
esecuzione alla decisione di rimpatrio, gradazione che va dalla misura meno
restrittiva per la libertà dell’interessato – la concessione di un termine per la sua
partenza volontaria – alla misura che maggiormente limita la sua libertà – il
trattenimento in un apposito centro –, fermo restando in tutte le fasi di detta
procedura l’obbligo di osservare il principio di proporzionalità …
Al riguardo va rilevato, in primo luogo, che, come risulta dalle informazioni fornite sia
dal giudice del rinvio sia dal governo italiano nelle sue osservazioni scritte, la
direttiva 2008/115 non è stata trasposta nell’ordinamento giuridico italiano.
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29/03/2016
Sentenza El Dridi
Punti di frizione:
- mentre la Direttiva prescrive la concessione di un termine per la
partenza volontaria, compreso tra i sette e i trenta giorni, il decreto
legislativo n. 286/1998 non prevede una tale misura.
- Gli Stati non possono applicare una normativa, sia pure di diritto
penale, tale da compromettere la realizzazione degli obiettivi perseguiti
da una direttiva e da privare così quest’ultima del suo effetto utile.
Sentenza El Dridi
-
La Direttiva subordina espressamente l’uso di misure coercitive al rispetto dei principi di
proporzionalità e di efficacia per quanto riguarda i mezzi impiegati e gli obiettivi perseguiti. Ne
consegue che gli Stati membri non possono introdurre, al fine di ovviare all’insuccesso delle misure
coercitive adottate per procedere all’allontanamento coattivo conformemente all’art. 8, n. 4, di detta
direttiva, una pena detentiva, come quella prevista all’art. 14, comma 5-ter, del decreto legislativo n.
286/1998, solo perché un cittadino di un paese terzo, dopo che gli è stato notificato un ordine di
lasciare il territorio di uno Stato membro e che il termine impartito con tale ordine è scaduto, permane
in maniera irregolare nel territorio nazionale. Essi devono, invece, continuare ad adoperarsi per dare
esecuzione alla decisione di rimpatrio, che continua a produrre i suoi effetti.
-
Una tale pena, infatti, segnatamente in ragione delle sue condizioni e modalità di applicazione, rischia
di compromettere la realizzazione dell’obiettivo perseguito da detta direttiva, ossia
l’instaurazione di una politica efficace di allontanamento e di rimpatrio dei cittadini di paesi
terzi il cui soggiorno sia irregolare. In particolare, come ha rilevato l’avvocato generale al paragrafo
42 della sua presa di posizione, una normativa nazionale quale quella oggetto del procedimento
principale può ostacolare l’applicazione delle misure di cui all’art. 8, n. 1, della direttiva 2008/115 e
ritardare l’esecuzione della decisione di rimpatrio.
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Sentenza El Dridi
- Alla luce di quanto precede, al giudice del rinvio, incaricato di applicare,
nell’ambito della propria competenza, le disposizioni del diritto dell’Unione e di
assicurarne la piena efficacia, spetterà disapplicare ogni disposizione del decreto
legislativo n. 286/1998 contraria al risultato della direttiva 2008/115, segnatamente
l’art. 14, comma 5-ter, di tale decreto legislativo.
- Pertanto, occorre risolvere la questione deferita dichiarando che la direttiva
2008/115, in particolare i suoi artt. 15 e 16, deve essere interpretata nel senso
che essa osta ad una normativa di uno Stato membro, come quella in discussione
nel procedimento principale, che preveda l’irrogazione della pena della reclusione
al cittadino di un paese terzo il cui soggiorno sia irregolare per la sola ragione che
questi, in violazione di un ordine di lasciare entro un determinato termine il
territorio di tale Stato, permane in detto territorio senza giustificato motivo.
Sentenza El Dridi
N.B.: Il trattenimento disciplinato nel dettaglio dagli articoli 15 e 16 della direttiva è “la
misura più restrittiva della libertà che la direttiva consente nell’ambito di una
procedura
di
allontanamento
coattivo”.
Tale
dettagliata
regolamentazione
può
ragionevolmente spiegarsi soltanto in funzione della tutela dei diritti fondamentali dello
straniero, e segnatamente della sua libertà personale, secondo i principi sviluppati in
proposito dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo in tema di privazione della libertà
personale nell’ambito di procedure espulsive, a cui il diritto dell’Unione non può che prestare
ossequio.
N.B.: Le norme UE ostano non già a una qualsiasi incriminazione, ma a un’incriminazione
dalla quale possa discendere l’irrogazione di una sanzione detentiva nei confronti dello
straniero, proprio perché questa sanzione verrebbe a privare lo straniero della propria libertà
personale, in ragione della sua mera mancata cooperazione alla procedura espulsiva, a
condizioni diverse e deteriori rispetto a quelle tassativamente stabilite dagli articoli 15 e 16
della direttiva,
47
29/03/2016
Sentenza El Dridi
GLI EFFETTI:
-
Sui procedimenti pendenti
-
Sui procedimenti in corso
-
Sulla possibilità di riqualificare il fatto
Il delitto di illecito reingresso delo straniero
espulso – art. 13 comma 13 TUI
13. Lo straniero destinatario di un provvedimento di espulsione non può rientrare
nel territorio dello Stato senza una speciale autorizzazione del Ministro
dell'interno. In caso di trasgressione lo straniero è punito con la reclusione
da uno a quattro anni ed è nuovamente espulso con accompagnamento
immediato alla frontiera. La disposizione di cui al primo periodo del presente
comma non si applica nei confronti dello straniero già espulso ai sensi
dell'articolo 13, comma 2, lettere a) e b), per il quale è stato autorizzato il
ricongiungimento, ai sensi dell'articolo 29.
13-bis. Nel caso di espulsione disposta dal giudice, il trasgressore del divieto
di reingresso è punito con la reclusione da uno a quattro anni. Allo
straniero che, già denunciato per il reato di cui al comma 13 ed espulso,
abbia fatto reingresso sul territorio nazionale si applica la pena della
reclusione da uno a cinque anni (Corte cost. 28 dicembre 2005, n. 466).
13-ter. Per i reati previsti dai commi 13 e 13-bis è obbligatorio l'arresto dell'autore
del fatto anche fuori dei casi di flagranza e si procede con rito direttissimo.
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Le pronunce della CGUE
- CGUE, 6 dicembre 2011, Achughbabian,
causa C-329/11
- CGUE, 6 dicembre 2012, Sagor, causa C430/11 – art. 10 bis TUI
- CGUE, 1 ottobre 2015, Celaj, causa C-290/14
– art. 13 comma 13
Il diritto penale del nemico
Massimo Donini: «…caratterizzato dall’impiego di norme o condotte
giuridicamente illegittime (per contrasto con principi o norme costituzionali
o fonti superiori alla legge ordinaria) per le seguenti ragioni: cessando il
diritto penale della colpevolezza per essere sostituito dal diritto penale
della pericolosità, si infrange il diritto penale del fatto, soppiantato da quello
d’autore (punibilità di atti preparatori che sotto la punizione di un fatto
dissimulano la pena per la pericolosità degli autori), si perde la finalità della
pena di recupero e di risocializzazione, sostituita da sanzioni escludenti, di
pura neutralizzazione, o di marcata gravità afflittiva che celano scopi di
eliminazione sociale. Rigore sanzionatorio sproporzionato, dunque (per
esempio terzo strike, pena di morte, sanzioni indeterminate, regime
penitenziario duro), oppure tortura, segregazioni di fatto, trasformazione
della pena in misura di sicurezza, o anche esclusioni dal contesto sociale
(come le politiche di espulsione come quale scopo primario della stessa
minaccia di pena)».
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Il diritto penale del nemico
Massimo Donini: «… Sotto il profilo processuale, si chiede al giudice di
farsi carico delle tesi dell’accusa: chi le contrasta si schiera dall’altra
parte. Vietato il garantismo, che vale solo per i cittadini che riconoscono
il sistema e appare altrimenti come solidarietà col nemico, va così
perduta la terzietà della giurisdizione. Là dove, viceversa, quest’ultima
ancora si conserva, il diritto penale del nemico viene praticato in modo
da non giungere mai di fronte a un giudice, eludendo o riducendo i
controlli giurisdizionali: si abusa di strumenti para-penali di prevenzione
e controllo, di detenzioni amministrative, di un impiego insolito di
giurisdizioni straniere o di misure adottate in forme tali da eludere la
verifica giurisdizionale».
D. lgs. 25 luglio 1998, n. 286
e succ. mod.
Testo unico in materia di immigrazione
«Testo unico delle disposizioni concernenti la
disciplina dell'immigrazione e norme sulla
condizione dello straniero»
50
29/03/2016
D. lgs. 25 luglio 1998, n. 286
e succ. mod.
• Immigrato autore di reato
• Immigrato oggetto materiale del reato
• Immigrato vittima di reato
D. lgs. 25 luglio 1998, n. 286
e succ. mod.
• Immigrato autore di reato
• Artt. 13, comma 13; 13 bis; 14 commi 5 ter, 5
quater; 14 comma 5 ter
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29/03/2016
D. lgs. 25 luglio 1998, n. 286
e succ. mod.
• Immigrato oggetto materiale del reato
• Art. 12, commi 1, 3, 5, 5 bis
D. lgs. 25 luglio 1998, n. 286
e succ. mod.
• Immigrato vittima di reato
• Art. 12, commi 3, 5 e 5 bis
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Il delitto di favoreggiamento
dell’immigrazione clandestina – art. 12 TUI
1. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, in violazione delle disposizioni del
presente testo unico, promuove, dirige, organizza, finanzia o effettua il trasporto di
stranieri nel territorio dello Stato ovvero compie altri atti diretti a procurarne illegalmente
l'ingresso nel territorio dello Stato, ovvero di altro Stato del quale la persona non è
cittadina o non ha titolo di residenza permanente, è punito con la reclusione da uno a
cinque anni e con la multa di 15.000 euro per ogni persona.
2. Fermo restando quanto previsto dall'articolo 54 del codice penale, non costituiscono
reato le attività di soccorso e assistenza umanitaria prestate in Italia nei confronti degli
stranieri in condizioni di bisogno comunque presenti nel territorio dello Stato.
3. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, in violazione delle disposizioni del
presente testo unico, promuove, dirige, organizza, finanzia o effettua il trasporto di
stranieri nel territorio dello Stato ovvero compie altri atti diretti a procurarne illegalmente
l'ingresso nel territorio dello Stato, ovvero di altro Stato del quale la persona non è
cittadina o non ha titolo di residenza permanente, è punito con la reclusione da cinque a
quindici anni e con la multa di 15.000 euro per ogni persona nel caso in cui:
Il delitto di favoreggiamento
dell’immigrazione clandestina – art. 12 TUI
a) il fatto riguarda l'ingresso o la permanenza illegale nel territorio dello Stato di cinque o più
persone;
b) la persona trasportata è stata esposta a pericolo per la sua vita o per la sua incolumità
per procurarne l'ingresso o la permanenza illegale;
c) la persona trasportata è stata sottoposta a trattamento inumano o degradante per
procurarne l'ingresso o la permanenza illegale;
d) il fatto è commesso da tre o più persone in concorso tra loro o utilizzando servizi
internazionali di trasporto ovvero documenti contraffatti o alterati o comunque
illegalmente ottenuti;
e) gli autori del fatto hanno la disponibilità di armi o materie esplodenti.
3-bis. Se i fatti di cui al comma 3 sono commessi ricorrendo due o più delle ipotesi di cui alle
lettere a), b), c), d) ed e) del medesimo comma, la pena ivi prevista è aumentata.
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29/03/2016
Il delitto di favoreggiamento
dell’immigrazione clandestina – art. 12 TUI
3-ter. La pena detentiva è aumentata da un terzo alla metà e si applica la multa di 25.000
euro per ogni persona se i fatti di cui ai commi 1 e 3:
a) sono commessi al fine di reclutare persone da destinare alla prostituzione o comunque
allo sfruttamento sessuale o lavorativo ovvero riguardano l'ingresso di minori da
impiegare in attività illecite al fine di favorirne lo sfruttamento;
b) sono commessi al fine di trame profitto, anche indiretto.
3-quater. Le circostanze attenuanti, diverse da quelle previste dagli articoli 98 e 114 del
codice penale, concorrenti con le aggravanti di cui ai commi 3-bis e 3-ter, non possono
essere ritenute equivalenti o prevalenti rispetto a queste e le diminuzioni di pena si
operano sulla quantità di pena risultante dall'aumento conseguente alle predette
aggravanti.
3-quinquies. Per i delitti previsti dai commi precedenti le pene sono diminuite fino alla
metà nei confronti dell'imputato che si adopera per evitare che l'attività delittuosa
sia portata a conseguenze ulteriori, aiutando concretamente l'autorità di polizia o
l'autorità giudiziaria nella raccolta di elementi di prova decisivi per la ricostruzione
dei fatti, per l'individuazione o la cattura di uno o più autori di reati e per la
sottrazione di risorse rilevanti alla consumazione dei delitti.
Il delitto di favoreggiamento
dell’immigrazione clandestina – art. 12 TUI
4-ter. Nei casi previsti dai commi 1 e 3 è sempre disposta la confisca del mezzo di
trasporto utilizzato per commettere il reato, anche nel caso di applicazione della pena
su richiesta delle parti.
5. Fuori dei casi previsti dai commi precedenti, e salvo che il fatto non costituisca più grave
reato, chiunque, al fine di trarre un ingiusto profitto dalla condizione di illegalità dello
straniero o nell'ambito delle attività punite a norma del presente articolo, favorisce la
permanenza di questi nel territorio dello Stato in violazione delle norme del presente
testo unico, è punito con la reclusione fino a quattro anni e con la multa fino a lire trenta
milioni. Quando il fatto è commesso in concorso da due o più persone, ovvero riguarda la
permanenza di cinque o più persone, la pena è aumentata da un terzo alla metà.
5-bis. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque a titolo oneroso, al fine di
trarre ingiusto profitto, dà alloggio ovvero cede, anche in locazione, un immobile
ad uno straniero che sia privo di titolo di soggiorno al momento della stipula o del
rinnovo del contratto di locazione, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni. La
condanna con provvedimento irrevocabile ovvero l'applicazione della pena su richiesta
delle parti a norma dell'articolo 444 del codice di procedura penale, anche se è stata
concessa la sospensione condizionale della pena, comporta la confisca dell'immobile,
salvo che appartenga a persona estranea al reato. Si osservano, in quanto applicabili, le
disposizioni vigenti in materia di gestione e destinazione dei beni confiscati. Le somme di
denaro ricavate dalla vendita, ove disposta, dei beni confiscati sono destinate al
potenziamento delle attività di prevenzione e repressione dei reati in tema di
immigrazione clandestina.
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29/03/2016
Cass., 28 febbraio 2014, n. 14510 (Haji)
L’imputato era membro di un'associazione criminale operante in Libia, che aveva lo
scopo di favorire per motivi di lucro l'ingresso illegale di cittadini extracomunitari
in Italia, ed era stato coinvolto nel trasporto di clandestini che erano stati
trasbordati da una motonave, che aveva compiuto la prima parte del viaggio su
un gommone del tutto inadeguato che era stato poi soccorso da una nave
battente bandiera liberiana che aveva portato i passeggeri fino al porto di
Pozzallo, in Sicilia.
Veniva rilevata la mancanza di giurisdizione, trattandosi di fatto commesso oltre il
limite delle acque territoriali nazionali (di dodici miglia marine dalla costa),
secondo quanto stabilito nell'art. 97 della convenzione di Montego Bay e
dall'art. 19 della convenzione di Ginevra, entrambe ratificate dallo Stato italiano.
Parimenti per il reato di cui all'art. 12 d.lgs. 286/1998 si riteneva trattarsi di
condotta commessa in acque internazionali e maltesi, non potendosi ravvisare
come consumato nel nostro Stato neppure un segmento della condotta illecita
intesa in senso naturalistico, così da potere ritenere la giurisdizione italiana
secondo il disposto dell'art. 6 cod.pen., essendosi esaurita in acque
extraterritoriali ogni condotta ascrivibile all'indagato.
Cass., 28 febbraio 2014, n. 14510 (Haji)
IL CASO: la condotta illecita dispiegata dalla c.d. nave madre che salpi dalle coste
dell'Africa con a bordo gli immigrati si esaurisce nelle acque extraterritoriali,
mentre le condotte terminali dell'azione criminosa conducente alla realizzazione
del risultato (sbarco dei clandestini sul nostro territorio) sono di fatto riportabili
all'attività lecita di navi intervenute doverosamente a soccorso dei naufraghi.
«…nella gestione di questo squallido traffico di esseri umani è stato accertato, con alto margine di
affidabilità, la serialità del coinvolgimento di una nave madre proveniente da paesi dell'area nord
africana che mentre attraversa le acque internazionali viene affiancata da più piccole imbarcazioni,
senza bandiera, cui viene rimessa, nella pianificazione complessiva, la realizzazione del risultato
(sbarco sulle coste italiane) non prima che venga operato il trasbordo dei migranti e che venga lanciata
la richiesta di aiuto, più che giustificata in ragione delle condizioni del natante e delle condizioni del
mare. Tale procedura non può che apparire come il frutto di un accorto disegno, rivolto a
preservare il natante principale ed il suo equipaggio da possibili attività di captazione
investigativa ad opera delle forze dell'ordine dei paesi europei, tenendolo al riparo dall'esercizio
della giurisdizione nei paesi di approdo, con ciò aumentando in modo esponenziale il rischio
fatto correre ai trasportati (in ragione dell'insicurezza dei mezzi navali utilizzati per affrontare un
mare molto impegnativo, nella seconda parte del viaggio in acque territoriali), rischio
opportunamente strumentalizzato, per provocare l'intervento dei servizi di soccorso in mare
degli stati europei costieri ed in particolare dell'Italia, in osservanza di una strategia criminale
mirante a fare apparire lo sbarco come il risultato dell'ultimo segmento di attività, riconducibile
all'opera dei soccorritori, scriminata dallo stato di necessità».
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29/03/2016
Cass., 28 febbraio 2014, n. 14510 (Haji)
La condotta dei trafficanti non può non essere valutata nella sua unitarietà, senza frammentazioni e
si deve considerare mirata ad un risultato che viene raggiunto con la provocazione e lo
sfruttamento di uno stato di necessità.
La condotta posta in essere in acque extraterritoriali si lega idealmente a quella da consumarsi in acque
territoriali, dove l'azione dei soccorritori nella parte finale della concatenazione causale può
definirsi l'azione di un autore mediato, costretto ad intervenire per scongiurare un male più grave
(morte dei clandestini), che così operando di fatto viene a realizzare quel risultato (ingresso di
clandestini nel nostro paese) che la previsione dell'art. 12 d.lgs. 286/1998 intende scongiurare. Il
nesso di causalità non può dirsi interrotto dal fattore sopravvenuto (intervento dei soccorritori)
inseritosi nel processo causale produttivo dell'evento poiché non si ha riguardo ad evento
anomalo, imprevedibile o eccezionale, ma a un fattore messo in conto dai trafficanti per
sfruttarlo a proprio favore e provocato.
La giurisdizione dello stato italiano va riconosciuta, laddove in ipotesi di traffico di migranti dalle
coste africane alla Sicilia, questi siano abbandonati in mare in acque extraterritoriali su natanti
del tutto inadeguati, onde provocare l'intervento del soccorso in mare e far sì che i trasportati
siano accompagnati nel tratto di acque territoriali dalle navi dei soccorritori, operanti sotto la
copertura della scriminate dello stato di necessità, poiché l'azione di messa in grave pericolo
per le persone, integrante lo stato di necessità, è direttamente riconducibile ai trafficanti per
averlo provocato e si lega, senza soluzione di continuità, al primo segmento della condotta
commessa in acque extraterritoriali, venendo così a ricadere nella previsione dell'art. 6
cod.pen. L'azione dei soccorritori, che di fatto consente ai migranti di giungere nel nostro territorio è da
ritenere in termini di azione dell'autore mediato, operante in ossequio alle leggi del mare, in uno stato
di necessità provocato e strumentalizzato dai trafficanti e quindi a loro del tutto riconducibile e quindi
sanzionabile nel nostro Stato, ancorché materialmente questi abbiano operato solo in ambito
extraterritoriale
Art. 22 TUI
Lavoro subordinato a tempo
determinato e indeterminato
12. Il datore di lavoro che occupa alle proprie dipendenze lavoratori stranieri privi del
permesso di soggiorno previsto dal presente articolo, ovvero il cui permesso sia scaduto
e del quale non sia stato chiesto, nei termini di legge, il rinnovo, revocato o annullato, è
punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa di 5000 euro per ogni
lavoratore impiegato.
12-bis. Le pene per il fatto previsto dal comma 12 sono aumentate da un terzo alla metà:
a) se i lavoratori occupati sono in numero superiore a tre;
b) se i lavoratori occupati sono minori in età non lavorativa;
c) se i lavoratori occupati sono sottoposti alle altre condizioni lavorative di particolare
sfruttamento di cui al terzo comma dell'articolo 603-bis del codice penale.
12-ter. Con la sentenza di condanna il giudice applica la sanzione amministrativa accessoria
del pagamento del costo medio di rimpatrio del lavoratore straniero assunto illegalmente.
12-quater. Nelle ipotesi di particolare sfruttamento lavorativo di cui al comma 12-bis, è
rilasciato dal questore, su proposta o con il parere favorevole del procuratore della
Repubblica, allo straniero che abbia presentato denuncia e cooperi nel procedimento
penale instaurato nei confronti del datore di lavoro, un permesso di soggiorno ai
sensi dell'articolo 5, comma 6.
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Art. 603-bis c.p.
Intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro
Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque svolga un'attività organizzata di
intermediazione, reclutando manodopera o organizzandone l'attività lavorativa
caratterizzata da sfruttamento, mediante violenza, minaccia, o intimidazione,
approfittando dello stato di bisogno o di necessità dei lavoratori, è punito con la
reclusione da cinque a otto anni e con la multa da 1.000 a 2.000 euro per ciascun
lavoratore reclutato.
Ai fini del primo comma, costituisce indice di sfruttamento la sussistenza di una o più delle
seguenti circostanze:
1) la sistematica retribuzione dei lavoratori in modo palesemente difforme dai contratti
collettivi nazionali o comunque sproporzionato rispetto alla quantità e qualità del lavoro
prestato;
2) la sistematica violazione della normativa relativa all'orario di lavoro, al riposo settimanale,
all'aspettativa obbligatoria, alle ferie;
Art. 603-bis c.p.
Intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro
3) la sussistenza di violazioni della normativa in materia di sicurezza e igiene nei luoghi di
lavoro, tale da esporre il lavoratore a pericolo per la salute, la sicurezza o l'incolumità
personale;
4) la sottoposizione del lavoratore a condizioni di lavoro, metodi di sorveglianza, o a situazioni
alloggiative particolarmente degradanti.
Costituiscono aggravante specifica e comportano l'aumento della pena da un terzo alla metà:
1) il fatto che il numero di lavoratori reclutati sia superiore a tre;
2) il fatto che uno o più dei soggetti reclutati siano minori in età non lavorativa;
3) l'aver commesso il fatto esponendo i lavoratori intermediati a situazioni di grave
pericolo, avuto riguardo alle caratteristiche delle prestazioni da svolgere e delle
condizioni di lavoro.
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Cass., 4 febbraio 2014, n. 14591
In tema di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro, il reato di cui
all'art. 603 bis, cod. pen., punisce tutte quelle condotte distorsive del
mercato del lavoro, che, in quanto caratterizzate dallo sfruttamento
mediante violenza, minaccia o intimidazione, approfittando dello stato di
bisogno o di necessità dei lavoratori, non si risolvono nella mera
violazione delle regole relative all'avviamento al lavoro sanzionate
dall'art. 18 del D.Lgs. 10 settembre 2003, n. 276.
(Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto integrato il requisito della
intimidazione nella rinuncia dei lavoratori stranieri, privi di adeguati
mezzi di sussistenza, a richiedere il pur irrisorio compenso pattuito con
l'agente, per il timore di non essere più chiamati a lavorare).
Art. 600 c.p.
Riduzione o mantenimento in schiavitù o in servitù
1) Chiunque esercita su una persona poteri corrispondenti a quelli del
diritto di proprietà ovvero chiunque riduce o mantiene una persona
in uno stato di soggezione continuativa, costringendola a prestazioni
lavorative o sessuali ovvero all'accattonaggio o comunque al
compimento di attività illecite che ne comportino lo sfruttamento
ovvero a sottoporsi al prelievo di organi, è punito con la reclusione
da otto a venti anni.
2) La riduzione o il mantenimento nello stato di soggezione ha luogo
quando la condotta è attuata mediante violenza, minaccia, inganno,
abuso di autorità o approfittamento di una situazione di vulnerabilità,
di inferiorità fisica o psichica o di una situazione di necessità, o
mediante la promessa o la dazione di somme di denaro o di altri
vantaggi a chi ha autorità sulla persona.
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Art. 601 c.p.
Tratta di persone
1) È punito con la reclusione da otto a venti anni chiunque recluta,
introduce nel territorio dello Stato, trasferisce anche al di fuori di esso,
trasporta, cede l'autorità sulla persona, ospita una o più persone che si
trovano nelle condizioni di cui all'articolo 600, ovvero, realizza le stesse
condotte su una o più persone, mediante inganno, violenza, minaccia,
abuso di autorità o approfittamento di una situazione di vulnerabilità, di
inferiorità fisica, psichica o di necessità, o mediante promessa o
dazione di denaro o di altri vantaggi alla persona che su di essa ha
autorità, al fine di indurle o costringerle a prestazioni lavorative,
sessuali ovvero all'accattonaggio o comunque al compimento di attività
illecite che ne comportano lo sfruttamento o a sottoporsi al prelievo di
organi.
2) Alla stessa pena soggiace chiunque, anche al di fuori delle modalità di
cui al primo comma, realizza le condotte ivi previste nei confronti di
persona minore di età.
Cass., 24 settembre 2010, n. 40045
Ai fini della configurabilità del delitto di tratta di persone (art. 601 cod.
pen.), non è richiesto che il soggetto passivo si trovi già in schiavitù o
condizione analoga, con la conseguenza che il delitto in questione si
ravvisa anche se una persona libera sia condotta con inganno in Italia,
al fine di porla nel nostro territorio in condizione analoga alla schiavitù;
il reato di tratta può essere, infatti, commesso anche con induzione
mediante inganno in alternativa alla costrizione con violenza o
minaccia.
(In applicazione del principio di cui in massima la S.C. ha ritenuto immune
da censure la decisione con cui il giudice di appello ha confermato la
responsabilità, in ordine al delitto di cui all'art. 601 cod. pen., nei
confronti degli imputati, i quali avevano pubblicato su stampa in
Polonia ed altri Paesi dell'Est nonché via internet annunci ingannevoli
di lavoro ben remunerato in Italia assicurando trasferimento, alloggio e
vitto nel luogo di destinazione dove singole cellule smistavano i
lavoratori nei campi e li riducevano in schiavitù).
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La «valvola» dell’art. 18 TUI
Soggiorno per motivi di protezione sociale
1. Quando, nel corso di operazioni di polizia, di indagini o di un procedimento per taluno dei delitti di cui all'articolo 3 della legge
20 febbraio 1958, n. 75, o di quelli previsti dall'articolo 380 del codice di procedura penale, ovvero nel corso di interventi
assistenziali dei servizi sociali degli enti locali, siano accertate situazioni di violenza o di grave sfruttamento nei
confronti di uno straniero ed emergano concreti pericoli per la sua incolumità, per effetto dei tentativi di sottrarsi ai
condizionamenti di un'associazione dedita ad uno dei predetti delitti o delle dichiarazioni rese nel corso delle indagini
preliminari o del giudizio, il questore, anche su proposta del Procuratore della Repubblica, o con il parere favorevole della
stessa autorità, rilascia uno speciale permesso di soggiorno per consentire allo straniero di sottrarsi alla violenza e
ai condizionamenti dell'organizzazione criminale e di partecipare ad un programma di assistenza ed integrazione
sociale.
2. Con la proposta o il parere di cui al comma 1, sono comunicati al questore gli elementi da cui risulti la sussistenza delle
condizioni ivi indicate, con particolare riferimento alla gravità ed attualità del pericolo ed alla rilevanza del contributo offerto
dallo straniero per l'efficace contrasto dell'organizzazione criminale, ovvero per la individuazione o cattura dei responsabili
dei delitti indicati nello stesso comma. Le modalità di partecipazione al programma di assistenza ed integrazione sociale
sono comunicate al Sindaco.
3. Con il regolamento di attuazione sono stabilite le disposizioni occorrenti per l'affidamento della realizzazione del programma a
soggetti diversi da quelli istituzionalmente preposti ai servizi sociali dell'ente locale, e per l'espletamento dei relativi controlli.
Con lo stesso regolamento sono individuati i requisiti idonei a garantire la competenza e la capacità di favorire l'assistenza e
l'integrazione sociale, nonché la disponibilità di adeguate strutture organizzative dei soggetti predetti.
3-bis. Per gli stranieri e per i cittadini di cui al comma 6-bis del presente articolo, vittime dei reati previsti dagli articoli 600 e 601
del codice penale, o che versano nelle ipotesi di cui al comma 1 del presente articolo si applica, sulla base del Piano
nazionale d'azione contro la tratta e il grave sfruttamento degli esseri umani, di cui all'articolo 13, comma 2-bis, della legge
11 agosto 2003, n. 228, un programma unico di emersione, assistenza e integrazione sociale che garantisce, in via
transitoria, adeguate condizioni di alloggio, di vitto e di assistenza sanitaria, ai sensi dell'articolo 13 della legge n. 228
del 2003 e, successivamente, la prosecuzione dell'assistenza e l'integrazione sociale, ai sensi del comma 1 di cui al
presente articolo. Con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, di concerto con il Ministro dell'interno, il Ministro del
lavoro e delle politiche sociali e il Ministro della salute, da adottarsi entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della
presente disposizione, previa intesa con la Conferenza Unificata, è definito il programma di emersione, assistenza e di
protezione sociale di cui al presente comma e le relative modalità di attuazione e finanziamento.
Reati culturalmente motivati e cultural defenses
Cass., 13 aprile 2015, n. 14960
… Il ricorrente si riporta alla questione attinente alla valenza della scriminante putativa
ex art. 51 c.p. per le facoltà consentite dal diritto straniero in quanto avrebbe
compiuto nel territorio italiano attività astrattamente configurabili come reato per il
nostro ordinamento nell'esercizio, tuttavia, di facoltà consentita nel proprio stato di
provenienza. Secondo il ricorrente, al fine di evitare che l'eguaglianza di
trattamento si trasformi in trattamento diseguale se applicato a stranieri, costretti a
sottomettersi a costumi da loro non conosciuti e spesso contrari alle loro abitudini,
La Corte di merito avrebbe dovuto valutare nel caso concreto se il diverso
patrimonio culturale del ricorrente appena giunto in Italia, le sue differenti abitudini
e la sua diversa percezione della liceità o dell'illiceità dei fatti avrebbero potuto
integrare una situazione di scriminante erroneamente supposta. Lo stesso
avrebbe potuto ritenere per errore incolpevole che sussistesse una scriminante —
che nella realtà non esisteva — ma nell'agire trascenderne i limiti, con una forma
di eccesso che esula dalla disciplina dell'art. 55 c.p. ed è riconducibile alla figura
generale dell'art. 59 c. 3, parte 2a, c.p.
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Reati culturalmente motivati e cultural defenses
Cass., 13 aprile 2015, n. 14960
Al riguardo si osserva che in una società multietnica non è concepibile la scomposizione dell'ordinamento in
altrettanti statuti individuali quante sono le etnie che la compongono, non essendo compatibile con l'unicità
della tessuto sociale — e quindi con l'unicità dell'ordinamento giuridico - l'ipotesi della convivenza in un
unico contesto civile di culture tra loro configgenti. La soluzione — costituzionalmente orientata in
relazione alla disposizione dell'art. 3 Cost. Rep., che in unico contesto normativo attribuisce a tutti i
cittadini pari dignità sociale e posizione di uguaglianza nei confronti della legge, senza distinzione, in
particolare, di sesso, di razza, di lingua, di religione, e impegna la Repubblica a rimuovere gli ostacoli di
ordine sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo
della persona umana - civilmente e giuridicamente praticabile è quella opposta, che armonizza i
comportamenti individuali rispondenti alla varietà delle culture in base al principio unificatore della
centralità della persona umana, quale denominatore minimo comune per l'instaurazione di una società
civile.
In questo quadro concettuale si profila, come essenziale per la stessa sopravvivenza della società multietnica,
l'obbligo giuridico di chiunque vi si inserisce di verificare preventivamente la compatibilità dei propri
comportamenti con i principi che la regolano e quindi della liceità di essi in relazione all'ordinamento
giuridico che la disciplina, non essendo di conseguenza riconoscibile una posizione di buona fede in chi,
pur nella consapevolezza di essersi trasferito in un paese diverso e in una società in cui convivono culture
e costumi differenti dai propri, presume di avere il diritto — non riconosciuto da alcuna norma di diritto
internazionale - di proseguire in condotte che, seppure ritenute culturalmente accettabili e quindi lecite
secondo le leggi vigenti nel paese di provenienza, risultano oggettivamente incompatibili con le regole
proprie della compagine sociale in cui ha scelto di vivere.
In tali condotte non è pertanto configurabile una scriminante, anche solo putativa, fondata sull'esercizio di un
presunto diritto escluso in linea di principio dall'ordinamento (Cass., Sez. 6, 26 aprile 2011 n. 26153, ric.
C.), e quindi neppure l'eccesso colposo nella scriminante stessa.
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