le unioni di fatto normative a confronto prof . valerio iorio

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“LE UNIONI DI FATTO:
NORMATIVE A CONFRONTO
PROF. VALERIO IORIO
Università Telematica Pegaso
Le unioni di fatto: normative a confronto
Indice
1
L’EVOLUZIONE DEL CONCETTO DI FAMIGLIA ----------------------------------------------------------------- 3
1.1
1.2
1.3
1.4
1.5
2
LE UNIONI CIVILI IN EUROPA ----------------------------------------------------------------------------------------- 17
2.1.
3
LA FAMIGLIA NELLA COSTITUZIONE ------------------------------------------------------------------------------------------ 3
FAMIGLIA LEGITTIMA E FAMIGLIA DI FATTO. ----------------------------------------------------------------------------- 4
I RAPPORTI TRA I CONVIVENTI ----------------------------------------------------------------------------------------------- 5
LA FAMIGLIA DI FATTO E LA SUA CESSAZIONE -------------------------------------------------------------------------- 12
I REGISTRI DELLE UNIONI CIVILI IN ITALIA E LA PROPOSTA LEGISLATIVA DEI DICO. ---------------------------- 14
PROFILI DI DIRITTO COMPARATO ------------------------------------------------------------------------------------------ 17
LE UNIONI CIVILI IN AMERICA --------------------------------------------------------------------------------------- 41
BIBLIOGRAFIA --------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 47
GIURISPRUDENZA----------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 50
Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
(L. 22.04.1941/n. 633)
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1 L’evoluzione del concetto di famiglia
1.1
La famiglia nella Costituzione
La nostra Costituzione, quando definisce la famiglia come «società naturale fondata sul
matrimonio» (art. 29 Cost.), si riferisce a quanto di più “naturale” esista nell’animo umano: l’unione
tra uomo e donna al fine di condividere una vita di gioie e di lotta per il quotidiano, di successi e di
fallimenti, di amorevole condivisione, diretta, anche se non esclusivamente come un tempo, a
proiettare se stessi in quanto coppia, e non solo come singoli individui, nel futuro, perpetuandosi e
vivendo nei figli.
L’art. 16 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo afferma: “Uomini e donne in età adatta
hanno il diritto di sposarsi e di fondare una famiglia, senza alcuna limitazione di razza, cittadinanza
o religione. Essi hanno eguali diritti riguardo al matrimonio, durante il matrimonio e all’atto del suo
scioglimento. Il matrimonio potrà essere concluso soltanto con il libero e pieno consenso dei futuri
coniugi. La famiglia è il nucleo naturale e fondamentale della società e ha diritto ad essere protetta
dalla società e dallo Stato”
Dunque, costituire ed avere una famiglia e sposarsi è diritto del singolo, consolidato e
riconosciuto a livello universale. Anche gli scopi della famiglia possono ormai darsi per
riconosciuti nella solidarietà, nella comunione di affetti e di intenti e nella possibilità di crescere
emotivamente e culturalmente. Tale diritto è considerato fondamentale per la coppia ma ancor più
per i figli nati dall’unione. Si legga al proposito la Convenzione sui diritti del fanciullo New York
20.11.1989 nel suo preambolo.
La famiglia costituzionalmente protetta è la famiglia costituita, con il vincolo del matrimonio,
dai coniugi legati da legami di unità e collaborazione che non possono essere imposti a soggetti
estranei alla scelta operata dai coniugi stessi. Ciò a dimostrare che la famiglia nucleare corrisponde
al gruppo formato da marito, moglie e figli da loro nati, con esclusione di tutti i parenti ed affini
anche prossimi.
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1.2
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Famiglia legittima e famiglia di fatto.
La medesima Consulta ha tracciato le differenze tra famiglia e convivenze more uxorio
affermando che la differenza sostanziale tra le due formazioni è individuabile nella stabilità e
certezza assente nella seconda, viceversa, fondata sull’affettività senza alcun vincolo o impegno.
Diversamente dal rapporto coniugale, la convivenza more uxorio è fondata esclusivamente sulla
affectio quotidiana – liberamente e in ogni istante revocabile – di ciascuna delle parti e si
caratterizza per l’inesistenza di quei diritti e doveri reciproci, sia personali che patrimoniali, che
nascono dal matrimonio .
“La famiglia di fatto è una famiglia, cioè una formazione sociale retta sull’affectio familiare e
che nasce da una volontà comune delle parti, volta all’educazione dei figli (ove vi siano, che
vengono ritenuti parte della famiglia e non semplicemente figli del padre e della madre casualmente
conviventi), alla convivenza con rapporti sessuali, affectio coniugalis tra i coniugi e filiale tra
coniugi e figli, ove vi siano” (Riccio, 2007, p.24).
A livello comunale a Milano nell’agosto del 2012 è stato istituito il Registro delle Unioni Civili,
che a tutt’oggi conta oltre 650 coppie ed è una sorta di dichiarazione di status.
Recentemente, inoltre, l’Istituto per le statistiche ha pubblicato i risultati «dell’indagine
conoscitiva sulle condizioni sociali delle famiglie in Italia».
L’indagine ha confermato il ruolo sociale della famiglia che entra nel processo di assistenza e
cura delle persone deboli, come soggetto determinante della rete sociale di solidarietà. Così come ha
evidenziato che un numero sempre più elevato di italiani è solo, soprattutto le persone anziane.
Il numero delle persone che non ha una famiglia legittima aumenta progressivamente. La
famiglia che si forma spontaneamente senza vincolo matrimoniale, secondo l’indagine è
estremamente eterogenea, comprendendo situazioni soggettive del tutto differenti. Estremamente
rilevante è il numero di persone che vive solo sia in età matura per una vedovanza o per la
disgregazione di una precedente unione affettiva, matrimonio o unione di fatto, sia, di single
giovani in cerca di un partner.
Il modello tradizionale di coppia coniugata con figli è sempre nettamente prevalente, ma perde
terreno, e non raccoglie più la maggioranza delle famiglie (40,3 per cento) mentre crescono di
importanza nuove forme familiari: single e genitori soli non vedovi, coppie di fatto di celibi e
nubili, coppie in cui almeno uno dei partner proviene da una precedente esperienza coniugale.
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1.3
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I rapporti tra i conviventi
Il libro I, capo IV del codice civile regola i diritti ed i doveri che nascono dal matrimonio. Con il
matrimonio il marito e la moglie acquistano gli stessi diritti e assumono i medesimi doveri. Dal
matrimonio deriva l’obbligo reciproco alla fedeltà, all’assistenza morale e materiale, alla
collaborazione nell’interesse della famiglia e alla coabitazione. Entrambi i coniugi sono tenuti,
ciascuno in relazione alle proprie sostanze, e alla propria capacità di lavoro professionale o
casalingo, a contribuire ai bisogni della famiglia (art. 143 c.c.).
La Giurisprudenza ha escluso l’applicabilità delle norme suddette alla famiglia di fatto; non si può,
tuttavia non considerare le varie aperture giurisprudenziali di volta in volta operate ed in qualche
modo dirette ad estendere la sfera di applicazione delle norme relative ai diritti e doveri dei coniugi
alla famiglia di fatto.
Per quanto riguarda l’obbligo di contribuzione tra familiari di fatto si deve considerare che,
secondo l’orientamento giurisprudenziale dominante, le spese di mantenimento, alloggio e vitto
sostenute da uno dei conviventi a favore dell’altro, costituiscono obbligazioni naturali, ed in quanto
tali sono incoercibili e irripetibili.
Si tratta quindi di un dovere morale e sociale che trova il suo fondamento nella rilevanza che
l’ordinamento attribuisce alla famiglia di fatto quale formazione sociale meritevole di tutela in
relazione agli scopi da essa perseguiti di sviluppo della personalità dei suoi componenti e di
educazione e istruzione della prole.
La Giurisprudenza più recente, tuttavia ha limitato la qualificazione giuridica, delle prestazioni
patrimoniali di uno dei conviventi more uxorio a favore dell’altro quale obbligazione naturale
laddove la prestazione risulti adeguata alle circostanze e proporzionata all’entità ed alle condizioni
sociali del convivente che effettua la prestazione, nonché tra le somme esborsate e i doveri morali e
sociali assunti reciprocamente dai conviventi.
Quanto al regime patrimoniale, nonostante la garanzia dell’eguaglianza tra i conviventi more
uxorio e la pari dignità del lavoro casalingo rispetto a quello professionale siano rilevanti anche per
la famiglia di fatto, non è per essa ipotizzabile l’applicazione del regime della comunione legale dei
beni.
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Non vi sono comunque preclusioni a che i conviventi stipulino un contratto diretto a regolare i
rapporti patrimoniali tra gli stessi, che potrebbe richiamarsi, in tutto o in parte, al regime
patrimoniale della famiglia, come disciplinato dal codice civile.
La Giurisprudenza di legittimità ha ritenuto che i contratti in forza dei quali i conviventi more
uxorio regolano l’assetto dei loro rapporti patrimoniali sono da considerare validi in quanto contratti
atipici, ai sensi dell’art. 1322 cod. civ., sempre che perseguano interessi meritevoli di tutela secondo
l’ordinamento giuridico e non contrastino con norme imperative, con l’ordine pubblico o il buon
costume.
L’accordo delle parti, tuttavia, varrebbe a costituire un rapporto di comunione ordinaria e non
legale come tale privo delle conseguenze esterne tipiche di quest’ultima, quali l’opponibilità ex lege
della proprietà comune nei confronti dei terzi e l’annullabilità degli atti compiuti senza il necessario
consenso dell’altro ex art. 184 cod. civ..
L’assenza in Italia di una legislazione destinata alla c.d. “famiglia di fatto” ovvero quelle delle
convivenze, ha impegnato non di poco la giurisprudenza a rendersi interprete delle istanze sociali in
assiduo flusso. I giudici hanno deciso per adattare istituti, nati per scopi diversi alle esigenze per
conviventi e delle c.d.” famiglie di fatto”. Le pronunzie, naturalmente prive da un nesso sistematico
possono suddividersi tra quelli che si sono interessati di fattispecie riguardanti i rapporti tra i
conviventi e le famiglie di fatto.
La giurisprudenza più risalente argomentando dal presupposto dell’illiceità dell’attribuzioni tra
conviventi perché prive di causa, quindi consentiva al soggetto che le aveva eseguite ed ai suoi
eventuali eredi di ripeterle in ogni momento.
La base di quest’orientamento riposava nel giudizio di riprovevolezza sociale e giuridica in
confronto del fenomeno della convivenza sostituito con il tempo, nella necessità di ricorrere in
alcune circostanze ad una logica indennitaria caratterizzata dallo scopo di compensare gli effetti del
“disonore” derivanti dalla seduzione.
Non sorgono questioni riguardo agli oneri di mantenimento della prole naturale, sia o meno inserita
nell’unione di fatto, dato il principio fissato nell’articolo 148 del C.C. , in rapporto ai genitori
legittimi applicabile anche a quelli naturali, che i predetti oneri sono ripartiti tra i genitori in
proporzione delle rispettive sostanze e secondo la loro capacità di lavoro professionale e casalingo.
Oltre all’obbligo di mantenimento della prole naturale ex art. 148 c.c., non sono ravvisabili, nei
rapporti tra i conviventi, obblighi di contribuzione agli oneri economici del ménage giuridicamente
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coercibili come quelli che vincolano i coniugi, ai sensi dell’articolo 143 c.c. essendo quest’ultimi
legalmente tenuti a contribuire reciprocamente al soddisfacimento dei bisogni della famiglia, con la
conseguente azionabilità .
Si deve comunque rilevare che anche nell’unione di fatto i soggetti coinvolti spontaneamente si
prestano reciproca assistenza materiale e morale, concorrendo a sostenere gli oneri economici della
vita comune. Questi comportamenti del resto sono indispensabili per la stessa sussistenza della
struttura para – coniugale perché se ciò venisse a cessare o per mutuo consenso o per volontà
unilaterale la stessa struttura verrebbe meno nel senso dell’impossibilità di una sua individuazione
in termini di rilevanza sociale per difetto di uno dei suoi requisiti essenziali.
Sempre nel contesto degli oneri di contribuzione, ma sotto il diverso profilo della rilevanza esterna
del rapporto di convivenza rispetto ai terzi, viene in considerazione una particolare questione
riguardante la responsabilità o meno del convivente per le obbligazioni assunte dall’altro per
sopperire alle esigenze del ménage spostando dall’assunto della estensione in via analogica della
norma prevista per la famiglia legittima ed in particolare della comunione legale dei beni alla libera
unione, data la posizione privilegiata della prima nel contesto dell’art. 29 Cost. che si risolve in
un’esclusività di disciplina, e tenuto conto altresì che, in mancanza di un’apposita convenzione tra i
partners disciplinante tale particolare aspetto del rapporto para – coniugale, il regime patrimoniale
della convivenza more uxorio non può che essere, in linea di principio, quello della separazione dei
beni, il problema potrebbe risolversi applicando taluni principi un tempo elaborati dalla dottrina e
dalla giurisprudenza negli anni antecedenti alla riforma del diritto di famiglia per fornire adeguata
soluzione all’analoga questione che si veniva a prospettare anche per i coniugi.
In quell’ambiente normativo in cui vigeva il regime di separazione dei beni, in difetto di referenti
normativi e considerata la circostanza che, fermo restando la posizione preminente del marito come
capo della famiglia, in realtà alla conduzione domestica, cosa che anche oggi avviene, provvedeva
la moglie la quale in tale qualità entrava in rapporto con i terzi contraendo obbligazioni, si ritiene
che gli obblighi pecuniari dalla stessa assunti per soddisfare le necessità familiari avessero l’effetto
di obbligare il marito in quanto la stessa aveva agito come rappresentante di costui in virtù di un suo
mandato tacito. Non sembra dunque, sussistere alcuna remora per l’applicazione di questo principio
anche alla convivenza extramatrimoniale ed in questa prospettiva considerare il convivente
solidalmente responsabile delle obbligazioni assunte dall’altro per il soddisfacimento delle esigenze
del ménage comune, pur essendo rimasto estraneo al compimento dell’atto.
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Bisogna invece escludersi la sussistenza di una responsabilità solidale interna con conseguente
azione di regresso pro quota per il partner che, pur non avendo contrattato con il terzo, una volta
chiamato da costui all’adempimento delle obbligazioni assunte dall’altro convivente soddisfi il
creditore. Vale in questo caso l’osservazione che ricorrendo nella specie un’obbligazione assunta
per soddisfare i bisogni della vita comune, e posto che nei rapporti interni tra i partners gli oneri di
mantenimento e di contribuzione che gravano su entrambi realizzano obbligazioni naturali, va da sé
che una volta sostenuti non ammettono ripetizione della prestazione eseguita.
Peraltro il dovere di natura morale e sociale di assistenza reciproca vincolante i conviventi che,
integra nello spontaneo assolvimento l’adempimento di una obbligazione naturale che trova la sua
causa nel rapporto di convivenza, può assumere ulteriore valenza nel diverso contesto dei riflessi
esterni della relazione para – coniugale quando uno o entrambi i partners risultino legati ad una
famiglia legittima ancora esistente o comunque vincolati da rapporti di natura patrimoniale derivanti
da un pregresso matrimonio sciolto.
Nel diverso caso in cui nella situazione di convivenza risulti coinvolto il coniuge separato obbligato
alla corresponsione dell’assegno, lo stesso dovere morale e sociale di assistenza che vincola i
conviventi dovrà, invece essere considerato irrilevante. Ciò, in quanto, anche a non voler ritenere
illecita la relazione extramatrimoniale instaurata in violazione dell’obbligo di fedeltà, entro i limiti
indicati dalla Corte Costituzionale con sentenza del 18 aprile 1974
continua a permanere tra i
coniugi in stato di separazione, il conflitto di interessi che in questo caso insorge tra i conviventi da
un lato e coniuge avente diritto all’assegno dell’altro non può che essere risolto a vantaggio di
quest’ultimo alla luce del favor matrimonii presente nell’ordinamento, che indubbiamente privilegia
il rapporto legittimo ancora in atto rispetto a quello di fatto.
Quindi, i doveri verso il coniuge separato verranno sempre ad essere prevalenti rispetto a quelli
assunti verso il convivente perché espressione della tutela privilegiata riservata al matrimonio,
pertanto il coniuge obbligato non potrà addurre la sua nuova situazione familiare di convivenza al
fine di ottenere la riduzione della misura del mantenimento degli alimenti dovuti all’altro coniuge in
ragione dell’onere patrimoniale che questi gli comporta.
Il secondo profilo che emerge, sempre nell’ambito del contesto della rilevanza interna e diretta dei
rapporti patrimoniali tra i partners, attiene al regime degli acquisti dei beni acquisiti singolarmente
durante la relazione. Muovendo dalla premessa della inapplicabilità in via analogica alla libera
unione della disciplina concernente la famiglia legittima, e nella specie del regime di comunione
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legale dei beni, perché altrimenti si violerebbe quella posizione di preminenza e preferenza a questa
attribuita dall’art. 29 Cost. negando nel contempo l’originalità e l’autonomia della formazione
sociale atipica “famiglia di fatto” è un dato incontrovertibile che nel sistema non sono rinvenibili
indici normativi o principi generali di cui possa dedursi che dal semplice fatto della convivenza
derivi la comunione degli acquisti, sicché la conclusione da trarsi è che ciascuno dei partners
rimarrà, in linea di principio, proprietario esclusivo dei beni acquistati in proprio nome, su cui
l’altro non potrà avanzare alcuna pretesa di contitolarità.
Con ciò non si intende sostenere che dovrà restare priva di protezione la posizione di chi abbia
contribuito all’andamento del ménage con la propria attività lavorativa e con altri specifici altri
apporti. Invero esigenze di equità e di giustizia sostanziale inducono comunque a ricercare
nell’ambito degli istituti di diritto comune gli strumenti giuridici atti ad assicurare una minima
tutela in questa direzione. Il primo che in questo contesto viene in considerazione deve ravvisarsi
nel ricorso all’autonomia privata, cioè nella possibilità di autoregolamentazione della relazione
extramatrimoniale nei suoi aspetti patrimoniali, talché i partners potranno stipulare tra loro patti di
convivenza giuridicamente vincolanti, ed ivi convenire ad esempio il regime degli acquisti dei beni
in comunione o in separazione durante il ménage, la somministrazione di una somma di denaro
finché dura l’unione e di un’altra quando venga meno, anche per rottura giustificata, il diritto di
abitazione sulla casa adibita a residenza familiare se di proprietà esclusiva di uno dei conviventi,
nonché potranno inserire ogni altra clausola di natura patrimoniale che, nella loro autonomia e
secondo le loro esigenze, vorranno di volta in volta inserire.
Da rilevare che restano comunque esclusi dall’autoregolamentazione gli obblighi di natura
personali, quali fedeltà, coabitazione, assistenza morale, collaborazione, perché oltre ad essere
incoercibili nel senso d’impossibilità di costrizione all’adempimento, difettano del requisito della
patrimonialità, cioè la prestazione che ad essi si riferisce non è suscettibile di valutazione
economica e quindi non può essere dedotta in contratto. Ma il ricorso all’autonomia privata, mezzo
peraltro destinato a rara utilizzazione in quanto sembrerebbe mal conciliarsi con unioni incentrate
sulla spontaneità dei comportamenti e improntate alla libertà da vincoli formali, non dà una
soluzione esaustiva del problema. In questo caso subentra uno strumento indiretto ma comunque
adeguato, di protezione dei diritti patrimoniali dei conviventi individuabile nell’istituto
dell’ingiustificato arricchimento, vale a dire in quel generale principio che vieta l’arricchimento
senza causa di un soggetto a discapito di un altro, in conformità del quale dovrà riconoscersi a
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favore di ciascuno dei partners una potestà sugli eventuali acquisti qualora possano ritenersi frutto
del contributo di entrambi.
Per valutare l’entità del reale arricchimento dell’uno e il corrispettivo impoverimento dell’altro
dovrà valutarsi l’effettiva contribuzione, tenuto conto anche della durata della convivenza, alla
realizzazione degli acquisti; valutazione che risulterà agevole nel contesto di un ménage in cui
entrambi i partners dispongono di mezzi finanziari derivanti da redditi di capitali, di attività
professionali mezzi finanziari derivanti da redditi di capitali, di attività professionali e di lavoro
prestato a terzi.
Nella valutazione dei conferimenti effettuati dai partners durante il rapporto di convivenza dovrà
operarsi questa distinzione:
Prestazioni dirette al normale soddisfacimento dei bisogni del ménage che rappresentano
l’adempimento delle obbligazioni naturali di contribuzione agli oneri familiari e come tali
irripetibili;
Attribuzioni che, tenuto conto delle condizioni economiche e sociali dei conviventi, vanno al di là
della normale contribuzione, sicchè soltanto in riferimento a queste si potrà utilizzare, ricorrendone
i presupposti lo strumento dell’ingiustificato arricchimento.
Alla luce di queste considerazioni si può quindi concludere che lo schema dell’obbligazione
naturale, esattamente adottato dalla giurisprudenza per la soluzione del problema prospettato,
escludendo ogni forma di costrizione e distinguendosi per la spontaneità dell’adempimento, appare
lo strumento di tutela più adeguato alle esigenze e più conforme alle caratteristiche proprie
dell’unione di fatto, che, libera da vincoli formali, sulla spontaneità degli affetti e dell’assolvimento
dei doveri trova il suo esclusivo riferimento.
Infine ultimo aspetto da considerare, sempre con riferimento agli effetti patrimoniali diretti e
indiretti della convivenza more uxorio, viene in considerazione il problema attinente alle prestazioni
lavorative effettuate da un convivente a vantaggio dell’altro e quello della valutazione dell’attività,
generalmente svolta dalla donna, per la cura della casa all’interno delle pareti domestiche. Tali
questioni, non risolvibili in conformità a specifici indici normativi concernenti il rapporto di
convivenza che allo stato dell’attuale legislazione non sussistono, sono state affrontate dalla
giurisprudenza e dalla dottrina in parallelo all’analoga problematica che, prima della riforma del
diritto di famiglia, si prospettava nell’ambito della stessa famiglia legittima.
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D’altra parte con discutibile automatismo nell’equiparare famiglia legittima e unione di fatto, lo
stesso principio della presunzione di gratuità delle prestazioni lavorative giacché eseguite
“affectionis vel benevolentiae “causa , con la conseguente negazione a qualsiasi richiesta di tutela
dei diritti che il convivente assumeva derivanti da tali prestazioni.
Ma nel mutato quadro legislativo determinato dalla legge di riforma questo orientamento
interpretativo non ha trovato più elementi di supporto posto che l’articolo 230 bis, affrontando nel
contesto dei rapporti tra coniugi il problema delle prestazioni di lavoro svolte a vantaggio della
famiglia o dell’impresa, mostra di aver totalmente capovolto quel principio.
In quest’ottica che tende a ridimensionare ed escludere ogni equiparazione tra la posizione del
coniuge e quella del convivente, la tutela di chi presta lavoro all’interno della comunità familiare
fondata su un rapporto more uxorio deve allora essere riconsiderata attentamente, evitando forzature
nella valutazione del dato normativo di cui all’articolo 230 bis, sia nel senso di una sua automatica
applicazione in via d’interpretazione estensiva al fenomeno convivenza, sia nel senso di una totale
irrilevanza del principio che ne sta alla base in relazione ad analoga situazione. E questo principio,
che mostra chiaramente la volontà di ribaltare la regola tradizione della presunzione di gratuità delle
prestazioni lavorative svolte nella comunità familiare, in quello opposto dell’onerosità, non può non
influire in modo determinante sulla soluzione del problema in oggetto, essendo peraltro espressivo
di altro principio di più ampia portata desumibile dall’art. 36 Cost.
Ed è proprio da questa inversione di tendenza che occorre prendere le mosse nel valutare le
caratteristiche giuridiche delle prestazioni lavorative del convivente rese nell’impresa del partner, o
comunque in collaborazione ad altra sua attività professionale; posizione questa che, evitando di
estendere altrove norme dettate per una data situazione, e quindi rispettando la specificità dei
fenomeni in analisi, individui una direzione che non consente più di porre ostacoli ingiustificati alla
tutela di situazioni non meno rilevanti.
La strada che sembra quindi quella percorribile per la soluzione del problema, è data dalla
rivalutazione e applicazione di questo principio della presunzione di onerosità delle prestazioni
lavorative alla libera unione ma fatta sempre salva la prova contraria consistente nella circostanza
che il convivente non abbia inteso adempiere quelle prestazioni con l’animus che caratterizza il
prestatore d’opera chiamato a svolgere determinate mansioni, ma con animus diverso espressione
dell’affectio.
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In questa prospettiva però è opportuno precisare che la prova potrebbe darsi con facilità soltanto in
riferimento al lavoro domestico,sempre che non venga svolto sotto stretto vincolo di subordinazione
tecnica; attività questa che la donna non svolge con spirito di professionalità ed in stato di
subordinazione, ma come manifestazione di affectio verso il proprio nucleo familiare
istituzionalizzato o meno ed, è bene ricordare, costituisce sia nell’uno che nell’altro caso
espressione del dovere giuridico ovvero dell’obbligo naturale di assistenza materiale e di
contribuzione agli oneri del gruppo familiare.
Una particolare importanza dovrà poi attribuirsi sia alla continuità della prestazione, sia alla
circostanza dell’esistenza di un pregresso rapporto di lavoro subordinato all’instaurarsi della
convivenza, essendo in quest’ultima ipotesi ragionevole supporre che il medesimo continui,
sebbene il convivente proprio a causa della relazione abbia rinunciato alla retribuzione e ai diritti di
legge. È quindi evidente che un ruolo fondamentale e primario dovrà assumere, nella soluzione del
problema, l’operato del giudice, che si ritiene debba consistere in una attenta valutazione
comparativa del rapporto che si crea tra situazione lavorativa ed affettiva, per analizzare ciascuna
sia in sé che in relazione all’altra, essendo la situazione globale che si prospetta al suo esame bi
univocamente complessa sia perché la relazione extramatrimoniale influenza diversamente, a
seconda del suo esplicarsi, il rapporto di lavoro, sia perché il rapporto di lavoro tende, per le sue
peculiarità, a rendere in un certo senso impermeabile la relazione more uxorio a considerazioni ad
esso normalmente inerenti .
1.4
La famiglia di fatto e la sua cessazione
Per famiglia di fatto, giurisprudenza e dottrina ormai consolidate intendono una convivenza
stabile e duratura, con o senza figli, tra un uomo e una donna, che si esplica in una comunanza di
vita e di interessi e nella reciproca assistenza morale e materiale.
Secondo la giurisprudenza di legittimità, ciò che conferisce carattere di affidabilità e stabilità alla
famiglia di fatto è la sussistenza di un rapporto di coppia che non sia fondato su investiture esterne,
che non si costituisce con atto formale, bensì su un consenso che si rinnova continuamente e che
rappresenta il fondamento ed il limite del rapporto stesso.
La famiglia di fatto è, in sostanza, l’immagine della famiglia legittima e se ne distingue per i
modi di formazione, pur avendo caratteri, strutture e scopi analoghi se non addirittura identici.
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Gli elementi costitutivi della famiglia di fatto sono quindi due: il primo, di carattere soggettivo,
consiste nell’affectio, ossia nella partecipazione di ognuno dei due conviventi alla vita dell’altro; il
secondo, di carattere oggettivo, è costituito da una stabile convivenza in assenza di formalizzazione.
È ovvio che la famiglia di fatto non possa essere automaticamente equiparata alla famiglia
fondata sul matrimonio, essendo quest’ultimo un vincolo dal quale l’ordinamento giuridico fa
discendere situazioni di diritto, obbligo, potestà, onere, soggezione, di norma inapplicabili a chi,
non volendo o non potendo contrarre matrimonio, intende sottrarsi a tale disciplina. La convivenza
more uxorio rappresenta l’effetto di una scelta di libertà dalle regole costituite dal legislatore per il
matrimonio, donde l’impossibilità, pena la violazione delle regole della libera determinazione delle
parti, di estendere la famiglia di fatto, per la diversità delle situazioni raffrontate, le regole connesse
all’istituto matrimoniale.
Sul piano della legislazione ordinaria, la famiglia di fatto è a tutt’oggi presa in considerazione
soltanto da alcune norme che le attribuiscono limitati effetti giuridici e che sono dislocate
disorganicamente nel nostro ordinamento, senza coordinamento alcuno; norme che, peraltro, al di là
dell’essenziale regolamentazione dei rapporti di filiazione naturale, non sono diretti a tutelare la
famiglia di fatto nelle sue espressioni più rilevanti riguardanti i rapporti tra conviventi o i rapporti
con rilevanza esterna, ma a regolare soltanto aspetti estremamente specifici e per certi aspetti
secondari della famiglia di fatto.
La cessazione di fatto può avvenire per morte di uno dei conviventi o per volontà di uno o di
entrambi i conviventi. Quando la famiglia di fatto cessa per la morte di uno dei conviventi, non
sussiste in capo al convivente superstite alcun diritto successorio (né a titolo universale né a titolo
particolare), a meno che, ovviamente, il partner non l’abbia con testamento designato come erede.
La giurisprudenza è talvolta intervenuta a tutela del familiare di fatto, per sollevarlo da una
condizione assolutamente deteriore nel caso di morte del convivente, rispetto a quella del coniuge e
ciò è avvenuto nel caso di successione nel rapporto locatizio o nell’assegnazione di alloggio di
edilizia popolare economica nonché con riguardo al risarcimento del danno derivante da fatto
illecito che abbia causato la morte del convivente more uxorio.
La famiglia di fatto può cessare anche per atto di volontà di uno o entrambi i conviventi. In
questo caso non sussiste tra ex conviventi alcun diritto al mantenimento o agli alimenti, non
potendo trovare applicazione l’art. 156 cod. civ. che presuppone il vincolo matrimoniale.
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vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
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La giurisprudenza ha però ipotizzato una sorta di compenso a favore del convivente more uxorio
a titolo di ristoro per il sacrificio della sua aspirazione ad un’esistenza autonoma e indipendente,
quale contributo all’attività prestata ed all’apporto fornito alla vita familiare, nonché al fine di
assicurargli un’autosufficienza economica per il tempo successivo alla cessazione del rapporto, che
si configura come adempimento di un’obbligazione naturale purché sia adeguata alle circostanze e
proporzionata all’entità del patrimonio e alle condizioni del soggetto che lo corrisponde.
A seguito della cessazione della convivenza more uxorio, inoltre, così come nel caso di
separazione dei coniugi, il giudice può disporre l’assegnazione in godimento della casa familiare in
favore del genitore che non sia proprietario, comproprietario o titolare di diritti reali di godimento
sulla stessa, qualora ad esso sia affidati i figli minorenni o qualora questi conviva con figli
maggiorenni non ancora autosufficienti per motivi indipendenti dalla loro volontà.
La sentenza della Corte Costituzionale n. 166 del 13 maggio 1998 ha costituito la svolta
giurisprudenziale circa il fondamento dell’applicazione del suddetto principio. Mentre, infatti,
prima della suddetta sentenza l’assegnazione della casa familiare al convivente cui fossero stati
affidati i figli minori si fondava sull’interpretazione analogica o estensiva dell’art. 155, IV comma,
cod. civ., la sentenza della Corte costituzionale n. 166/1998 ha escluso il ricorso all’interpretazione
analogica dell’art. 155 cod. civ., in quanto essa presuppone una similarità di situazioni che tra il
rapporto coniugale e quello di mera convivenza non solo non è presente ma nemmeno è voluta dalle
parti che, scegliendo un rapporto di fatto, hanno dimostrato di non voler assumere i diritti e i doveri
derivanti dal matrimonio.
La Corte ha pertanto ritenuto di affrontare la questione ponendosi sul piano del rapporto di
filiazione e delle norme ad esso relative.
In assenza di prole non spetta al convivente more uxorio l’assegnazione della casa familiare, di
esclusiva o parziale proprietà dell’altro convivente, nel momento in cui venga a cessare la
convivenza.
1.5
I Registri delle Unioni Civili in Italia e la proposta legislativa
dei Dico.
In Italia a livello locale esistono dei registri delle unioni civili.
La registrazione anagrafica della convivenza ha solo un significato simbolico, a meno che il
singolo Comune non decida di aggiungere all’unione diritti reali (ad esempio, accesso agli alloggi
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popolari). I primi comuni a dotarsi di un registro furono Empoli nel 1993 e Pisa nel 1996:
attualmente sono numerose le città italiane che si sono dotate di un registro anagrafico delle unioni
civili. Alcune Regioni italiane hanno approvato statuti che sarebbero favorevoli ad una legge sulle
unioni civili: la Calabria (6 luglio 2004), la Toscana (19 luglio 2004), l'Umbria (2 settembre 2004) e
l'Emilia Romagna (14 settembre 2004).
La maggior parte degli statuti si ricollega alla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea
che all’articolo 9 sancisce, tra i diritti fondamentali della persona, il "Diritto di sposarsi e di
costituire una famiglia". Il secondo Governo Berlusconi (2001-2006), ha impugnato per presunta
illegittimità costituzionale gli statuti della Toscana, dell'Umbria e dell'Emilia Romagna: i primi due
ricorsi sono stati respinti.
La Spezia nel giugno 2006 è stato il primo comune italiano che ha deciso di aprire agli
omosessuali il registro delle unioni civili. La mozione è stata votata da 23 consiglieri comunali su
30. Questo provvedimento ha determinato l'equiparazione amministrativa delle coppie di fatto
(diritto alle case popolari.). Oltre che eccezioni a livello geografico esistono anche delle eccezioni
per alcune categorie di persone. I partner di giornalisti e onorevoli, anche se non sposati, possono
usufruire del trattamento sanitario del partner appartenente a queste categorie, inoltre per gli
onorevoli è possibile lasciare al proprio partner la pensione di reversibilità, anche se tra di loro non
sussiste alcun legame matrimoniale.
Nonostante ciò l'Italia non prevede alcuna legislazione per la regolamentazione delle unioni
civili: i primi disegni di legge in proposito furono presentati nel 1986, grazie all'Interparlamentare
donne Comuniste e ad Arcigay (associazione per i diritti degli omosessuali). La prima proposta di
legge (mai calendarizzata) fu presentata da Alma Agata Cappiello, avvocato e parlamentare
socialista, nel 1988. Dagli anni Novanta è aumentato il numero di proposte di legge per disciplinare
le unioni civili, presentate sia alla Camera che al Senato, così come sono diventati pressanti gli
inviti del Parlamento Europeo alla parificazione dei diritti di coppie gay e coppie eterosessuali. Sin
dall'inizio, il dibattito politico ha registrato da parte della Chiesa cattolica forti obiezioni ed aspre
critiche all'adozione di una legislazione per le unioni civili.
Un significativo disegno legge fu varato dal Governo Prodi l’8 febbraio 2007, presentato dagli
allora ministri Barbara Pollastrini (ministro delle pari opportunità) e Rosy Bindi (ministro della
famiglia). Il testo di legge istituiva i cosiddetti DICO, sigla che sta per Diritti delle persone
conviventi, per le coppie di persone maggiorenni, anche dello stesso sesso, che “convivono
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stabilmente e si prestano assistenza e solidarietà materiale e morale, non legate da vincoli di
matrimonio, parentela, affinità, adozione, affiliazione, tutela”.
Il disegno di legge fu presentato in Senato ma già in commissione giustizia venne accantonato
per far posto a un’altra sigla, tra le grandi contestazioni del centrodestra e della CEI. Anche nel
centrosinistra in molti consideravano i DICO una misura poco incisiva, soprattutto per il lungo
termine che imponeva prima dell’usufrutto di determinati diritti (nove anni), perché rimandava la
questione delle pensioni di reversibilità a una successiva legge sulle pensioni e perché imponeva ai
due contraenti due dichiarazioni separate, negando di fatto il riconoscimento pubblico (CUS).
La sigla sta per Contratto di unione solidale, fu proposta il 10 luglio da Cesare Salvi che allora
era presidente della commissione giustizia del senato. I CUS differivano poco dai DICO, ma
prevedevano una dichiarazione congiunta dei contraenti davanti a un notaio o al giudice di pace, che
avrebbero poi dovuto inserire l’atto in un apposito registro. Inoltre, modificavano il sistema delle
quote nella successione e prevedevano il diritto di successione nei contratti di locazione.
Esattamente come i DICO, però, prevedevano il passaggio di nove anni prima di usufruire dei diritti
e non affrontavano la questione della pensione di reversibilità. Ed esattamente come i DICO
vennero rapidamente accantonati: dalla Commissione Giustizia, dal Parlamento e dal Governo.
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2 Le unioni civili in europa
Nell'Unione Europea il quadro concernente, la legislazione sulle convivenze è oggi molto
variegata. L’importanza delle unioni civili, e l'ampio dibattito sulla parità dei diritti tra eterosessuali
ed omosessuali promosso dai militanti gay, ha fatto si che numerosi Paesi si siano dotati, negli
ultimi anni, di una legislazione per riconoscere e garantire diritti per i componenti dell'unione.
Alcuni Paesi hanno preferito una registrazione come in Belgio e in Lussemburgo , chiamata anche
partnership o coabitazione registrata, che garantisce specifici diritti e doveri anche, o solo, alle
coppie dello stesso sesso. I diritti e doveri possono essere identici, lievemente diversi o molto
diversi da quelli delle coppie normalmente sposate. La registrazione è a volte aperta anche alle
coppie etero non sposate; è il caso del Pacte civil approvato in Francia.
Paesi come Olanda, Belgio e Spagna - oltre ad aver approvato il riconoscimento giuridico delle
coppie non coniugate di qualunque sesso, hanno aperto il matrimonio alle coppie dello stesso sesso,
per realizzare la parità perfetta tra etero e omosessuali.
2.1.
Profili di diritto comparato
La legislazione degli Stati europei è estremamente eterogenea ma essenzialmente diretta a
disciplinare unioni affettive tra coloro che non possono accedere al matrimonio. Esistono, infatti,
delle realtà in cui non vi è alternativa al matrimonio per una coppia eterosessuale, ma è prevista una
diversa formula per la convivenza delle coppie omosessuali, la partnership, il patnernariat, le unioni
domestiche. Così avviene per esempio in Scandinavia, in Germania ed in Inghilterra. Le legislazioni
dei Paesi europei non sempre disciplinano le unioni fuori dal matrimonio; è piuttosto certo che
quasi tutti i Paesi europei, anche adeguandosi alle indicazioni del Parlamento europeo, hanno
predisposto un sistema di regolamentazione per le coppie omosessuali, conferendo loro la facoltà di
formalizzare l’unione affettiva, onde ottenere benefici giuridici.
Il Parlamento europeo, nell’affrontare il tema dei diritti degli omosessuali, ha approvato il giorno
08.02.1994 una Risoluzione che, tra l’altro invita gli Stati membri ad abolire tutte le disposizioni di
legge che criminalizzano e discriminano i rapporti sessuali tra persone dello stesso sesso e, in
particolare, di adoperarsi per eliminare gli ostacoli frapposti al matrimonio di coppi omosessuali
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ovvero ad un istituto giuridico equivalente, garantendo pienamente diritti e vantaggi del matrimonio
e consentendo la registrazione delle unioni, a qualsiasi limitazione del diritto degli omosessuali di
essere genitori ovvero di adottare o avere in affidamento dei bambini (risoluzione dei diritti
fondamentali dell’Unione Europea n . A5-0281/2003).
Il Parlamento europeo aveva raccomandato agli Stati membri di riconoscere, in generale, i
rapporti non coniugali fra persone sia eterosessuali che omosessuali, conferendo agli stessi diritti
riconosciuti alle persone sposate, adottando tra l’altro le disposizioni necessarie per consentire alle
coppie di esercitare il diritto alla libera circolazione nell’Unione.
Nell'Unione Europea la questione delle unioni civili è entrata spesso a far parte di direttive
riguardanti uno dei principi cardine dell'UE: tutti i cittadini dell'Unione hanno gli stessi diritti,
indipendentemente dalla loro origine, nazionalità, condizione sociale, dal loro credo religioso o
orientamento sessuale. Già dal 1994 la Comunità Europea, infatti, ha emanato una risoluzione per la
parità dei diritti degli omosessuali. Nonostante ad oggi si tratti ancora di una declaratoria avente un
valore eminentemente politico, il Parlamento ha ribadito in più occasioni il suo convincimento.
Così, nella Raccomandazione del 16 marzo 2000 sul rispetto dei diritti umani nell'Unione Europea,
esso chiese agli Stati membri di "garantire alle famiglie monoparentali, alle coppie non sposate e
alle coppie dello stesso sesso parità di diritti rispetto alle coppie e alle famiglie tradizionali, in
particolare in materia di legislazione fiscale, regime patrimoniale e diritti sociali". Con la
Risoluzione del 4 settembre 2003 sulla situazione dei diritti fondamentali nell'Unione Europea il
Parlamento ha rinsaldato le sue posizioni. Oltre alla richiesta di favorire il riconoscimento delle
coppie di fatto, eterosessuali od omosessuali (punto 81), ha sollecitato gli Stati membri ad attuare il
diritto al matrimonio e all'adozione di minori da parte di persone omosessuali (punto 77).
- Spagna
In Spagna il matrimonio è aperto alle coppie dello stesso sesso dal 2005. Questo ha rappresentato
un notevole importante passo in avanti, poiché la riforma ha aggiunto il principio della parità degli
effetti del matrimonio a prescindere dall’identità o dalla diversità di sesso dei coniugi. Inoltre le
nuove norme rendono neutre, quanto al genere, le esistenti disposizioni in materia di rapporti tra
coniugi e tra genitori e figli: i termini marito e moglie sono sostituiti da coniuge. Con la legge n.13
del 2005, essa non solo regolamentò le coppie di fatto omosessuali , ma giunse e a equiparare tali
unioni a quelle matrimoniali.
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Alcune regioni (Comunidades autónomas) del Paese riconoscevano già diritti alle coppie di fatto, di
sesso uguale o diverso. È il caso della Catalogna, che il 15 luglio 1998 aveva approvato la legge
sulle coppie stabili (Legge 10/1998, De uniones estables de pareja - Legge sulle unioni stabil),
entrata in vigore il 23 ottobre dello stesso anno. La legge regola diversi aspetti privatistici della
relazione di coppia: prevede la responsabilità solidale per le spese domestiche e per alcuni debiti,
regola l'uso della casa comune e offre benefici nel caso in cui uno dei partner lavori per il governo
catalano. Le coppie omosessuali hanno accesso a questa legge rendendo una dichiarazione con un
atto notarile. Le coppie eterosessuali possono regolamentare il loro rapporto o con un atto notarile,
o automaticamente dopo una convivenza di più di due anni, o automaticamente per le coppie che
convivono e hanno un figlio.
L’art 4 del codigo civil recita:
“Il matrimonio avrà gli stessi requisiti e gli stessi effetti quando entrambi i coniugi siano dello
stesso sesso”.
Per quanto riguarda l’unione stabile eterosessuale, occorre in primo luogo interrogarsi su
quest’aspetto: se la legge sia di applicazione automatica, ossia conseguente al solo fatto della
convivenza, o facoltativa, ossia subordinata a qualche tipo di formalità.
A un primo sguardo la normativa potrebbe apparire applicazione facoltativa, poiché si afferma che
le disposizioni si applicano ad un uomo e ad una donna che abbiano concluso un atto pubblico
manifestando la volontà di regolare il proprio rapporto in base a quanto in esso previsto. Tuttavia, la
stessa norma, stabilisce, ma solo per le coppie eterosessuali, che le norme si applicano anche a chi
abbia convissuto “maritalmente” per un periodo ininterrotto pari a due anni. In questo caso, dunque,
la normativa si applica in modo automatico, non essendo subordinata alla volontà delle parti; non è
neppure necessario che sia trascorso tale periodo minimo se la coppia ha figli comuni, a patto che
essa soddisfi il requisito della convivenza. In queste ipotesi, pertanto, non è richiesta alcuna
formalità, si stabilisce solo che la prova dell’esistenza di un unione stabile non formalizzata può
essere data con qualsiasi mezzo.
Per terminare il patto, non sempre necessario, i conviventi devono essere maggiorenni, di sesso
diverso, e non devono trovarsi in nessuno dei casi che diano luogo ad impedimenti matrimoniali. La
determinazione delle regole applicabili al rapporto di coppia è rimessa all’accordo delle parti, scritto
od orale, in cui possono essere regolati sia i rapporti patrimoniali che quelli personali, come i diritti
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e doveri reciproci; inoltre, nel caso di accordi sull’eventuale separazione non si potrà derogare alla
disciplina minima dettata per legge.
Ancora una volta si propone il tema del rapporto tra autonomia privata e disciplina legale; nel caso
in cui manchi un accordo preventivo fra i conviventi stabili, si applicheranno le regole previste
dall’articolo 3, alla cui stregua i membri della coppia stabile devono contribuire al mantenimento
della casa ed alle spese comuni con il lavoro domestico, con la collaborazione personale o
professionale, non retribuita, alla professione o impresa dell’altra parte, con i frutti della propria
attività o dei propri beni.
Quest’obbligo è proporzionale al proprio reddito. Inoltre viene chiarito i casi in cui sorge l’obbligo
di contribuire alla vita domestica, precisando ulteriormente la nozione di spese comuni: rientrano in
questo ambito le spese necessarie per il mantenimento della coppia e dei suoi figli e quelle per la
conservazione o il miglioramento dell’abitazione o di altri beni di uso comune, al contrario non
sono considerate spese comuni quelle relative alla gestione dei beni propri di ciascuno.
Una volta formata la “coppia stabile”, sarà possibile adottare minori in forma congiunta; in caso di
sopravvenuta incapacità di uno dei conviventi, l’altro è nominato tutore con preferenza rispetto ad
altri soggetti, inoltre i membri di una coppia stabile sono sottoposti all’obbligo di prestarsi gli
alimenti con preferenza rispetto ad ogni altro obbligato. L’art. 9 prevede una serie di benefici di cui
possono godere i membri della coppia, naturalmente riferiti solo alle amministrazioni locali, non a
quelle statali. Può essere concesso un permesso fino a quattro giorni in caso di morte o di malattia
grave del convivente, nonché la riduzione fino a metà della giornata lavorativa in caso di incapacità
fisica del convivente.
L’art. 11 offre una decisione protezione relativamente all’abitazione comune della coppia , infatti il
convivente titolare della proprietà dell’immobile o dei mobili di arredamento di uso ordinario non
può compiere alcun atto di alienazione o di disposizione, se ciò ne compromette l’uso comune,
senza consenso dell’altro o autorizzazione del giudice. Si tratta di un’energica limitazione al diritto
di proprietà: l’atto compiuto senza consenso è annullabile, salvo che, se l’acquisto è avvenuto a
titolo oneroso, l’acquirente fosse in buona fede e l’alienante abbia dichiarato espressamente che
l’immobile non funge da residenza comune della coppia, anche se tale affermazione si riveli non
veritiera. In quest’ultimo caso, tuttavia l’alienante sarà chiamato a rispondere, del pregiudizio
causato al convivente.
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Riguardo allo scioglimento dell’unione stabile, la normativa prevede che l’unione stabile si scioglie
per mutuo consenso, volontà unilaterale, per decesso, separazione di fatto per un anno o per
matrimonio di una delle parti. Quando la convivenza cessa, il convivente che abbia prestato il
proprio lavoro non retribuito, vuoi domestico o collaborando all’attività dell’altro, ha diritto ad
un’indennità ma solo se si è venuta a creare una situazione di scompenso che implica un
arricchimento ingiusto. Se la convivenza ha ridotto la capacità di produrre reddito di uno dei due, o
se vi sono figli comuni, sarà possibile chiedere un assegno di mantenimento. Infine, in caso di
scioglimento per decesso, il convivente sopravvissuto acquista la proprietà degli abiti, dei mobili di
arredamento e degli oggetti dell’abitazione comune. Si prevede poi che durante l’anno seguente alla
morte il sopravissuto abbia diritto ad occupare l’abitazione comune e ad essere mantenuto a spese
del patrimonio del defunto, infine se il defunto era titolare di un contratto di locazione avente ad
oggetto l’abitazione comune, il sopravvissuto ha diritto a subentrarvi.
- Francia : Pacte civil de solidarité
Nell’ordinamento francese la legislazione sulla famiglia di fatto è contenuta all’art.515 -1 il Pacs è:
Due persone fisiche, qualunque sia il loro sesso, possono concludere tra loro un "Patto civile di
solidarietà" per organizzare la loro vita comune. Ma non proprio tutti lo possono stipulare. Non si
potrà avere: tra ascendente e discendente in linea diretta, tra parenti in linea diretta e tra collaterali
fino al terzo grado incluso; tra due persone delle quali un’almeno è vincolata da matrimonio; tra due
persone delle quali una almeno sia già legata da altro Pacs .
Quando sussista un obbligo di prestare assistenza materiale, il contenuto di tale obbligo può essere
determinato dalle parti stesse; inoltre per quanto riguarda lo scioglimento poi, è permesso il recesso
unilaterale, perfino senza preavviso diretto, così come lo scioglimento automatico a seguito di
successivo matrimonio. Altre letture, infine, del patto francese, hanno messo in luce che la
“dematrimonializzazione” della nuova figura, avvenuta nel corso dell’approvazione parlamentare è
riconducibile alla differenza che intercorrerebbe tra eterosessualità e omosessualità, per cui la scelta
compiuta con il Pacs rifletterebbe nell’esperienza giuridica la medesima gerarchia della sessualità
esistente nel campo della morale.
I caratteri istituzionali del Pacs emergono, invece, principalmente con riguardo alla legittimazione
soggettiva. Per la sua conclusione vigono norme speciali rispetto al diritto dei contratti: non
possono concludere un Pacs fra loro, a pena di nullità, ascendenti e discendenti in linea retta, parenti
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in linea retta e collaterale fino al terzo grado, persone di cui una già coniugata, persone di cui una è
già legata da altro Pacs. Il richiamo agli impedimenti matrimoniali è parso sintomo della volontà di
attribuire alla figura la funzione di riconoscimento di un nuovo status familiare, ma ciò si pone in
contrasto con l’interpretazione in chiave meramente contrattuali sta nonché con alcuni caratteri
sostanziali della nuova figura. La “dematrimonializzazione” appare comunque evidente
osservandone il modo di costituzione e di scioglimento: una volta concluso il patto, gli interessati
devono recarsi, alla cancelleria del tribunale del luogo di residenza comune per farne dichiarazione,
e non all’ufficiale di stato civile presso il municipio. In seguito alla presentazione di alcuni
certificati richiesti dalla legge, il cancelliere iscrive la dichiarazione delle parti in un registro,
appone un visto sui due originali del contratto e li restituisce. Secondo la legge, l’iscrizione nel
registro del luogo di residenza conferisce data certa al patto o lo rende opponibile ai terzi, a fronte
di ciò poi è prevista la possibilità di scioglimento unilaterale e ad nutum.
Ai sensi dell’art. 515-4 si afferma che “ i partners legati da un pacte si apportano aiuto reciproco e
materiale” e a ben vedere è questo l’unico obbligo posto dalla legge, ancorché non appaia
immediatamente intuitivo se si tratti di un vero e proprio obbligo giuridico, tanto più che le concrete
modalità dell’adempimento sono rimesse all’accordo delle parti. In ciò risiede la caratteristica più
innovativa del Pacs, poiché la determinazione del tipo o intensità del rapporto fra le parti è rimessa
interamente alle determinazioni contrattuali, sebbene non sia possibile escludere in radice l’obbligo
suddetto. Secondo il Consiglio, se le parti non provvedono alla determinazione dell’obbligo di aiuto
reciproco e materiale, sarà compito del giudice definirne il contenuto secondo le capacità di
ciascuno dei partners. La regola del reciproco aiuto materiale è stata accostata a quella concernente
l’obbligo di contribuzione ai bisogni della famiglia e agli obblighi gravanti sui coniugi; tuttavia la
legge non richiama altri aspetti che regolano i rapporti personali tra i coniugi, così com’è importante
far presente che né la disposizione in esame né altre della stessa legge prevedono alcunché in tema
di rapporti personali.
L’articolo 515-4 secondo comma, prevede poi che “i partners sono obbligati solidalmente nei
riguardi dei terzi per i debiti contratti da uno di loro per i bisogni della vita corrente e per le spese
relative all’alloggio comune” , tuttavia c’è da dire che in Francia, giustificate esigenze di tutela
della privacy non consentono che il terzo sia posto a conoscenza dell’identità del partner unito da un
Pacs con la propria controparte contrattuale, dunque tanto la verifica della situazione patrimoniale
della coppia quanto una successiva azione giudiziale risultano particolarmente gravose.
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Il regime dei beni acquistati a titolo oneroso, la scelta originariamente compiuta dalla proposta del
1997 prevedeva la comunione legale dei beni, soluzione in seguito sostituita da una figura capace di
rilevare maggiormente la diversità del nuovo patto rispetto al matrimonio, sebbene ispirata alla
medesima logica comunitaria. Il regime dei beni dei Pacs è informato, secondo l’articolo 515 -5 alla
presunzione d’indivisibilità, il primo comma afferma che i mobili di arredamento acquistati a titolo
oneroso in seguito alla conclusione del patto, in assenza di diversa volontà delle parti, si
considerano oggetto di comunione ordinaria per metà.
Lo stesso per gli altri beni acquistati a titolo oneroso dopo la conclusione del patto: essi sono
considerati di proprietà comune per metà,la medesima presunzione si applica anche quando non sia
possibile determinare la data dell’acquisto, infine restano esclusi dalla presunzione di comproprietà
i beni ricevuti a titolo di successione o donazione.
È previsto che le parti possono tuttavia regolare i propri interessi in maniera diversa, ancorché
l’esercizio dell’autonomia privata risulti in alcuni casi piuttosto gravoso, nonostante l’apparente
semplicità della legge.
In conclusione : Essendo essenzialmente un contratto patrimoniale non prevede né la fedeltà né
l’obbligo di soccorso e assistenza, ed è sempre modificabile. I doveri e gli obblighi di aiuto
reciproco che instaura tra i contraenti variano secondo le clausole inserite.
In particolare:
•
Beni di proprietà: i beni immobili, i mobili dell’alloggio comune ed i beni mobili come
l’auto sono considerati indivisi per metà, a meno di altre indicazioni. I debiti acquisiti per il
mantenimento della vita comune sono anch’essi solidali.
•
Affitto: in caso di abbandono del domicilio da parte del titolare del contratto d’affitto o di
morte di quest’ultimo, l’altro pacsista ha in genere il diritto di mantenere l’alloggio.
•
Eredità: il lascito dei beni all’altro contraente non è mai automatico ma ne devono essere
ogni volta specificate le modalità attraverso un testamento. Se il patto sussiste da più di due anni, è
prevista una riduzione della tassa di successione.
•
Stato fiscale: dopo tre anni, i contraenti sono oggetto di un’imposizione comune e godono di
alcune riduzioni, alcune delle quali previste anche per chi è regolarmente sposato.
•
Diritti sanitari: se uno dei contraenti è già beneficiario della mutua, anche l’altro lo sarà fin
da subito.
•
Ricongiungimento: possono beneficiarne gli impiegati pubblici.
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•
Ferie: i contraenti possono chiedere le ferie nello stesso periodo.
•
Adozioni: non sono considerate dalla legge, ma in teoria uno dei contraenti può presentare
una domanda d’adozione a titolo personale.
•
Figli: in caso di separazioni, l’affidamento dei figli segue logiche simili a quelle del
concubinato o del matrimonio e non ci sono regole generali. Spesso è materia di lunghi contenziosi.
Il Pacs naturalmente può finire. Un motivo del suo successo sta probabilmente anche nella facilità
con cui si può sciogliere. Il Pacs è oggettivamente un legame light, il matrimonio un legame heavy.
Le possibilità sono tre: per volontà d uno o di entrambi i contraenti, per matrimonio o per morte.
Può accadere, e rappresenta la circostanza più comune, che entrambi i pacsisti decidano di porre
fine alla loro convivenza. In tal caso non fanno altro che seguire una procedura analoga a quella con
cui si erano legati: presentano una dichiarazione alla cancelleria del Tribunal d’Instance del luogo
dove almeno uno di loro ha la residenza. Se invece la decisione è unilaterale da parte di uno dei due
pacsisti, questi non fa altro che notificare la propria decisione al partner inviandone una copia alla
cancelleria del Tribunal d’Instance dove è registrato l’atto iniziale del Pacs, affinché la cosa vi
venga annotata. Il Pacs cessa di esistere nel caso in cui uno dei due pacsisti si sposi. In caso di
decesso, invece, il pacsista superstite invia l’atto di morte all’ufficio che ha ricevuto l’atto iniziale.
La legge prevede che siano gli stessi pacsisti a mettersi d’accordo, procedendo alla liquidazione di
diritti e obblighi. Solo se non si accordano, allora il giudice interviene e decide sulle conseguenze
patrimoniali dello scioglimento.
- Austria
La Corte Europea dei Diritti dell'Uomo è intervenuta, nel 2003, sul caso di un cittadino austriaco
omosessuale, che alla morte aveva designato quale erede il proprio partner. Il compagno però, alla
morte di Karner, si era visto negare l'eredità. La Corte ha stabilito che la coabitazione di partner
dello stesso sesso ha il medesimo valore della coabitazione non registrata, riconosciuta in Austria
per le coppie eterosessuali. Il 16 dicembre 2005 il ministro della Giustizia austriaco, Karin
Gastinger, esponente dell'Alleanza per il futuro dell'Austria, partito politico del centro destra, ha
dichiarato all'Ap austriaca che le coppie gay e lesbiche avrebbero potuto firmare un accordo di
unione alla presenza di un notaio.
Il nuovo governo austriaco ha inizialmente presentato una legge sulle unioni civili che, di fatto,
eguagliava le coppie gay a quelle eterosessuali. La legge è stata fortemente avversata dai partiti
conservatori e della Chiesa e in seguito a tali contestazioni, si è raggiunto un compromesso
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vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
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legislativo su un disegno di legge che istituisce per le coppie omosessuali la possibilità di contrarre
un'unione civile, registrata presso l'anagrafe, lasciando esclusa la possibilità di contrarre matrimonio
e quella di adozione. La legge sulle unioni civili è entrata in vigore il 1º gennaio 2010.
- Belgio e Lussemburgo
In Belgio il matrimonio è aperto alle coppie dello stesso sesso dal 13 febbraio 2003.
Un primo passo per la regolamentazione delle unioni civili è stato fatto il 29 ottobre 1998, quando il
parlamento belga ha approvato la Loi du 23 novembre 1998 instaurant la cohabitation légale sulla
convivenza legale (cohabitation légale). Tale legge è entrata in vigore il 1º gennaio 2000 (Statutory
Cohabitation Contract, 4 gennaio 2000).
Il 20 aprile 2006 è stata approvata definitivamente la legge che consente alle coppie omosessuali
sposate o conviventi l'adozione di bambini.
Sono compresi nell'istituto tutte le coppie senza condizioni riferite al sesso. Per ottenere la
convivenza legale le parti devono non essere legate da un matrimonio o da altra convivenza legale.
La dichiarazione di convivenza è fatta per mezzo di uno scritto consegnato dietro ricevuta
all'ufficiale di stato civile del domicilio comune. Questi, dopo aver verificato che le due parti
soddisfino le condizioni previste dalla legge, annota la dichiarazione nel registro della popolazione.
Alla convivenza si applicano, per analogia, gli articoli del Codice civile riguardanti il matrimonio.
La coabitazione legale, termina per matrimonio di una delle parti, per decesso, per mutuo consenso
o per volontà unilaterale, in quest’ultimo caso una parte può porre termine alla coabitazione legale
attraverso una dichiarazione in tutto simile a quella iniziale, che ha l’effetto di provocare lo
scioglimento del rapporto.
Sarà poi l’amministrazione comunale a notificare all’altra parte, entro otto giorni, la circostanza che
verrà quindi annotata nel registro a tutela di terzi. Una volta concluso il regime di coabitazione,
devono essere trattati gli aspetti riguardanti la regolazione degli aspetti patrimoniali, al riguardo la
normativa belga stabilisce che i beni di cui nessuno dei due sia in grado di provare la proprietà
individuale si presumono appartenenti alla comunione.
- Con la disciplina dettata nel Lussemburgo nel 2004, il Legislatore ha approvato una legge volta a
disciplinare gli effetti giuridici di alcune forme di vita in comune, e secondo la relazione del
progetto di legge, questa nuova disciplina si poneva quale obiettivo quello di riformare il diritto
civile, attraverso la revisione di regole minime di solidarietà e responsabilità fra i partners, il diritto
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della sicurezza sociale e il diritto tributario. Nel linguaggio di questo paese, la convivenza viene
chiamata partenariat, e ai sensi della normativa, la stessa viene intesa come una comunione di vita
di due persone di sesso diverso o dello stesso che vivono in coppia e che hanno reso una
dichiarazione.
Il mantenimento della nozione di “vita di coppia” che non compare né nella definizione francese, né
in quella belga mostra la volontà del legislatore di ammettere alla nuova disciplina unicamente le
unioni la cui natura sia caratterizzata dalla presenza di legami di tipo coniugale; pertanto ne restano
escluse le convivenze tra amici, parenti, ed altre non caratterizzate dalla vita familiare.
Le regole dettate prevedono quindi che gli effetti giuridici del partenariat possano intervenire tra
due persone, a prescindere dal sesso, a condizione che queste abbiano reso una dichiarazione nelle
forme previste, si tratta dunque di regole di applicazione esclusivamente facoltativa, che richiedono
sempre un moto volontario da parte degli interessati. Dunque, si prevede a tal fine che i conviventi
dichiarano personalmente e congiuntamente per iscritto, all’ufficiale di stato civile del comune del
luogo del loro domicilio o residenza comune, il loro partenariat e l’esistenza di una convivenza
relativa agli effetti patrimoniali del loro partenariat, qualora tale convenzione sia stata conclusa fra
loro.
Riguardo agli effetti del partenariat, la legge prevede disposizioni sia inderogabili che derogabili per
volontà delle parti, si prevede innanzitutto che i conviventi che abbiano reso la dichiarazione
possono regolare i loro rapporti patrimoniali tramite apposita convenzione scritta e la stessa può
essere conclusa o modificata in ogni momento ed è soggetta ad un regime di pubblicità affinchè
possa essere opponibile ai terzi. Per quanto riguarda invece le disposizioni inderogabili, viene
stabilito l’obbligo per i conviventi di prestarsi reciprocamente un “aiuto materiale” precisando che
la contribuzione alle spese è resa in proporzione alle rispettive capacità e questo obbligo di
contribuzione presenta una rilevanza esterna, data la responsabilità solidale dei partners nei
confronti dei terzi creditori per i debiti contratti da entrambi o da uno dei due per i bisogni della vita
corrente della loro comunione e per le spese relative all’abitazione comune. La solidarietà viene
tuttavia esclusa qualora si tratti di spese manifestamente eccessive, avuto riguardo al tenore di vita
della coppia, all’utilità dell’operazione e alla buona o mala fede dei terzi contraenti.
È possibile, che le parti prevedano una ultrattività dell’obbligo, anche dopo la cessazione del
rapporto, a titolo di mantenimento. La legge prevede poi, in via eccezionale, che il giudice di pace
possa stabilire a carico di un convivente un dovere di mantenimento nei confronti dell’altro, in
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vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
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proporzione alle necessità di costui e alle sostanze dell’obbligato, salvo il caso di successivo
partenariat o matrimonio del beneficiario.
Passando invece a trattare la cessazione del partenariat, è previsto che questo si scioglie in seguito a
matrimonio, decesso di uno dei partners o dichiarazione resa all’ufficiale dello stato civile del luogo
del domicilio comune, se esiste, o di una delle parti. A tutela dei terzi, la norma prevede che la
dichiarazione di scioglimento sia iscritta, a cura dell’ufficiale di stato civile, nel medesimo registro
contenente la dichiarazione iniziale. Inoltre la legge prevede la possibilità di un intervento del
giudice in seguito alla cessazione del rapporto, attraverso la concessione di misure urgenti e
temporanee giustificate da questa cessazione e relative all’occupazione della residenza comune, alla
persona ed ai beni dei conviventi ed alle obbligazioni legali e contrattuali gravanti su di essi. La
durata massima del provvedimento è fissata dal giudice e non può in ogni caso superare un anno. è
comunque, necessario che la domanda giudiziale sia introdotta non più tardi di tre mesi dalla data di
cessazione degli effetti del partenariat.
- Danimarca e Finlandia
La Danimarca è stato il primo Paese al mondo a dare la possibilità agli omosessuali di
ufficializzare i rapporti di coppia attraverso una unione registrata simile al matrimonio, chiamata
partnership registrata, approvata il 7 giugno 1989, la n. 372 (modificata dalla legge 360/1999). I
contraenti assumono lo status di 'partner registrati', e da alcuni anni possono adottare i figli biologici
del partner ma non accedere all'adozione congiunta. La prima unione registrata al mondo, quella fra
Axel e Eigil Axgil, ha avuto luogo in Danimarca. Nel mese di marzo 2009 la Danimarca ha
approvato l'adozione di figli anche per le coppie gay.
In Finlandia è in vigore dal marzo 2002 una legge per le unioni civili tra persone dello stesso
sesso che garantisce molti dei diritti che acquisiscono le coppie eterosessuali che contraggono
matrimonio civile, a meno che le parti non dispongano diversamente. Tra questi, ad esempio, il
diritto di immigrazione per il partner straniero. Sia la registrazione che la dissoluzione dell'unione si
ottengono allo stesso modo che per il matrimonio. La convivenza si stipula dinnanzi alle stesse
autorità preposte alla celebrazione del matrimonio e lo scioglimento della convivenza fa capo alle
disposizioni previste per il matrimonio. Le leggi sulla paternità, l'adozione e la possibilità di usare
un nome in comune non si applica alle convivenze registrate.
- Svezia
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Le unioni civili tra persone dello stesso sesso sono regolarizzate in Svezia dall'Atto 1994: 117,
decreto 1994: 1431. La legge garantisce molte delle conseguenze del matrimonio, adozione di
bambini inclusa.
La possibilità di ammettere le coppie omosessuali nel matrimonio è stata vagliata in Svezia nel
1978 da una commissione incaricata di sviluppare proposte di legge tese a fronteggiare la
discriminazione di omosessuali. La commissione ritenne prematuro il passo.
Dal 1 gennaio 1988 il Paese si era dotato di una legge che garantiva diritti molto limitati, nel
campo della proprietà sulla casa comune, alle unioni civili. In particolare la legge disciplina le
relazioni giuridiche della coppia (omosessuale o eterosessuale) riguardo la casa comune e i beni
acquistati, per uso comune, nel corso della convivenza. Solo nel 1990 il Governo svedese istituì una
Commissione per valutare l'opportunità di introdurre una legislazione sulle unioni. La Commissione
ha riferito, a favore delle unioni, nel 1993 ma il governo conservatore era diviso. Il Parlamento
allora ordinò la preparazione di un disegno di legge alla Commissione parlamentare permanente
sulle questioni di diritto civile e lo approvò il 7 giugno 1994. Il 2 aprile 2009 il parlamento ha
approvato il matrimonio anche per le coppie gay inoltre potranno le stesse coppie gay ufficializzare
la loro unione anche con la chiesa evangelica luterana, chiesa di maggioranza in Svezia.
La Svezia, dopo l’Olanda, Belgio, Spagna e Norvegia, ha di recente riconosciuto i matrimoni gay.
- Germania
L'istituto giuridico della convivenza registrata (Eingetragene Lebenspartnerschaft) è stato
introdotto in Germania il 16 febbraio 2001 con la legge Gesetz über die Eingetragene
Lebenspartnerschaft[12] - in vigore dal 1º agosto successivo.
Le unioni civili sono ammesse in Germania esclusivamente per coppie omosessuali.
La legge sulla convivenza registrata non equipara a tutti gli effetti la convivenza al matrimonio
pur applicando ai conviventi disposizioni analoghe a quelle contenute nel codice civile tedesco per
la disciplina del matrimonio.
•
Due persone che intendano dare vita ad una convivenza registrata devono dichiarare
reciprocamente, personalmente e in contemporanea, dinanzi all'autorità competente di voler
condurre una convivenza a vita.
•
I conviventi possono scegliere un cognome comune.
•
I conviventi hanno obbligo di assistenza e sostegno reciproco che persiste anche dopo
eventuale separazione.
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La legge assicura pieno riconoscimento alla coppia dal punto di vista contributivo ed assistenziale,
ciascun convivente può beneficiare ed essere inserito nell'assicurazione sulla malattia del compagno
e conferisce gli stessi diritti del matrimonio in materia di cittadinanza (procedura agevolata per
ottenere la naturalizzazione e diritto al ricongiungimento).
L'istituto giuridico è diverso dal matrimonio in materia di filiazione e di adozione. Ai conviventi
non è riconosciuto il diritto di adozione congiunta ed inizialmente non permetteva l'adozione dei
figli del convivente (tale possibilità è stata introdotta dal 2004). È stata introdotta però, una forma di
potestà limitata tanto che i partner possono essere associati alle decisioni che riguardano la vita
quotidiana del bambino e richiedere l'affidamento in caso di morte del genitore naturale.
Al convivente superstite, inoltre, sono attribuiti gli stessi diritti successori che il matrimonio
conferisce ai coniugi, inoltre la legge prevede pensione di reversibilità, permesso di immigrazione
per il partner straniero, reversibilità dell'affitto e l’obbligo di soddisfare i debiti contratti dalla
coppia.
Per ciò che concerne i rapporti personali, la legge prevede l’obbligo di assistenza e di cura reciproca
e l’obbligo di organizzazione della vita in comune, indicato dalla dottrina come un’ipotesi di
diversità rispetto agli obblighi derivanti dalla celebrazione del matrimonio, quale condurre una vita
coniugale sotto lo stesso tetto. Relativamente, all’obbligo di contribuzione si stabilisce che esso può
assumere la forma di contributi finanziari o di lavoro casalingo, e tale obbligo di contribuzione ha
rilevanza esterna in quanto è prevista la responsabilità solidale per i debiti contratti da uno dei due
nell’interesse della partnership. Con riferimento, invece al momento distributivo della ricchezza
familiare è significativo notare come la legge del 2001 non avesse predisposto alcun requisito
legale, prima della modifica del 2004 si rendeva sempre necessaria una scelta espressa da parte dei
partners, al momento della celebrazione, scelta che poteva avere ad oggetto, la comunione, la
separazione o il regime convenzionale.
Per quanto riguarda invece, determinate categorie di beni, come ad esempio l’abitazione o i mobili
che la arredano, è sempre necessario il consenso del coniuge non stipulante nel caso in cui l’altro
intenda disporne.
Un altro aspetto da analizzare riguarda gli effetti della convivenza nei confronti dei figli. Abbiamo
visto come la disciplina tedesca preveda questa figura unicamente alle coppie di persone dello
stesso sesso, quindi la presenza dei figli potrà derivare o da precedenti relazioni di uno dei partner
con persona di sesso opposto o da fecondazione artificiale; la legge tedesca non prevede per i
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partners registrati la possibilità di adozione congiunta, mentre l’adozione del figlio biologico di un
partner ad opera dell’altro è stata ammessa nel 2004.
Tuttavia la legge tedesca prevede l’esercizio congiunto, fra il genitore e il partner, di alcuni attributi
tipici della potestà, in effetti, l’esercizio congiunto della potestà comprende la possibilità di
assumere congiuntamente decisioni riguardanti la vita quotidiana del minore, la sua rappresentanza
legale, la facoltà di compiere qualunque atto sia necessario in caso di pericolo imminente, il diritto
di visita in caso di scioglimento del rapporto. L’esercizio congiunto è possibile solo quando il
partner – genitore risulti unico affidatario del minore, mentre non lo è quando il minore sia stato
affidato congiuntamente ad entrambi i genitori; è utile notare che esso sorge per volontà delle parti
senza che sia necessario il ricorso al giudice o ad un'altra autorità.
È stata poi evidenziata la necessità di rendere più certi e stabili i legami esistenti tra il figlio ed il
partner non genitore, prevedendo a favore del figlio nato da procreazione assistita o adottato da uno
solo dei partners, il diritto al mantenimento o agli alimenti anche nei confronti del secondo,
obiettivo che è stato realizzato attraverso la possibilità di adozione. Infine per quanto riguarda
sempre l’ambito degli effetti personali, rientrano naturalmente quelli di tipo successorio. In questo
campo è previsto che il partner registrato è sostanzialmente equiparato al coniuge nella successione
legittima, inoltre è considerato legittimario, quindi potrà agire per ottenere la quota di riserva come
se si trattasse del coniuge. Il partner sopravvissuto ha diritto di ritenere a titolo di anticipo, i beni
che si trovano nella casa familiare e le donazioni ricevute dal de cuius , ma se concorrono parenti di
primo grado l’anticipo spetterà solo nella misura in cui sia necessario per mantenere un adeguato
tenore di vita. La legge prevede inoltre la possibilità di succedere nel contratto di locazione di cui
era parte unicamente il partner defunto.
Un ultimo aspetto da considerare, riguarda lo scioglimento, la riforma del 2004 ha cancellato il
sistema imperniato sul decorso di un determinato periodo di tempo tra la dichiarazione e lo
scioglimento. Oggi si prevede che la convivenza possa essere sciolta dal giudice se i partners hanno
vissuto separati per un anno, qualora l’istanza sia presentata congiuntamente o il convenuto
acconsenta alla domanda dell’altro e non vi siano motivi per ritenere che la comunione di vita possa
essere ricostituita; se invece si tratta di istanza di una parte soltanto, deve esserci stata separazione
per almeno tre anni. Infine lo scioglimento, può essere pronunciato, anche al di fuori dei
presupposti visti, qualora la prosecuzione del rapporto sia suscettibile di comportare eccessiva
durezza nei confronti del partner che aspiri a liberarsi dal vincolo; ma viene prevista altresì la regola
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opposta, ossia nel caso di procedimento contenzioso non si fa luogo allo scioglimento, sebbene vi
sia stata separazione per tre anni, se esso appare come un onere così impretendibile, a motivo di
circostanze eccezionali, da rendere necessaria la prosecuzione della convivenza, considerate anche
le ragioni dell’istante.
Il diritto al mantenimento sorge solo in capo al partner che dimostri di non essere in grado di
prendersi cura di sé per effetto dell’impossibilità di assumere un impiego remunerativo, in
particolare a causa dell’età o di uno stato di malattia o disabilità. L’importo, inoltre del
mantenimento è espressamente riferito al tenore di vita goduto in costanza del rapporto,e in sede di
scioglimento può essere stabilita l’assegnazione della casa familiare, infine occorre richiamare il
dato per cui nel 2001 mancava qualsiasi regola relativa alla possibilità di un partner di partecipare
alla titolarità o all’aspettativa di una futura pensione di anzianità dell’altro, possibilità che è stata
infine riconosciuta nel 2004.
- Paesi Bassi
In Olanda il matrimonio è aperto alle coppie dello stesso sesso dal 2001.
Per quanto riguarda le unioni civili, già dal 1 gennaio 1998 la legge 5 luglio 1997 permetteva alle
coppie dello stesso sesso, e di sesso diverso di registrarsi in appositi registri comunali delle unioni
civili e ottenere gli stessi diritti delle coppie sposate:
•
i partner sono obbligati alla fedeltà, aiuto e reciproca assistenza
•
sono obbligati a condividere la responsabilità per la cura e mantenimento dei minori
•
vi è obbligo di convivenza
•
a meno che non dispongano altrimenti si instaura un rigoroso sistema di comunione
universale dei beni
•
sui partner grava reciproco obbligo di mantenimento
•
ogni partner ha il diritto di amministrare i beni che costituiscono il suo apporto alla
comunione
•
vi è responsabilità solidale per i debiti contratti in comune
•
vi sono diritti di successione analoghi a quelli del matrimonio
•
i partner possono usare il nome dell'altro
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L'unione registrata si scioglie per la morte di uno dei partner, per assenza o scomparsa di uno dei
partner o per provvedimento di scioglimento del giudice. In caso di separazione è necessario
prevedere l'eventuale corresponsione di alimenti al partner che non avesse risorse sufficienti.
Dal 1 luglio 1999, inoltre, è entrata in vigore una legge danese che autorizza il partner di una coppia
registrata ad adottare il figlio dell'altro partner.
- Portogallo
In Portogallo sono state approvate nel 2001 due leggi che hanno disciplinato, rispettivamente, le
situazioni giuridiche dell’economia comum ("economia comune") e delle União de facto ("unioni di
fatto"). Si tratta della Lei n. 1 6/2001, de 11 de maio, adopta medidas de protecção das pessoas que
vivam em economia commum e della Lei n. 7/2001, de 11 maio, adopta medidas de protecção das
uniões de facto
Le due leggi non si escludono a vicenda.
•
L'economia comune: La definizione economia commum data dalla legge all'art. 2, è
la situazione di persone che vivano in comunione di vitto e alloggio da più di due anni ed abbiano
stabilito un genere di vita in comune basato sull'assistenza reciproca o la ripartizione delle risorse.
La legge si applica a nuclei di due o più persone purché una di queste sia maggiorenne.
La legge prevede diritti riguardo al godimento di ferie, permessi e congedi familiari, diritto di
preferenza nei trasferimenti riguardanti i dipendenti delle pubbliche amministrazioni, applicazione
del regime delle imposte sul reddito, protezione particolare per la residenza in comune e diritto,
nella trasmissione ereditaria, alla casa.
•
L'unione di fatto: La legge regolamenta, secondo l'art. 1
la situazione giuridica di due persone, indipendentemente dal sesso, che vivano un un'unione di
fatto da più di due anni.
I diritti che garantisce la legge sono gli stessi di coloro che vivono in un'economia comune a cui si
aggiunge in caso di morte del convivente benefici economici erogati dal sistema della sicurezza
sociale e pensione al coniuge superstite. L'unione si scioglie per la morte di uno dei due membri,
per il matrimonio di uno dei due membri o per volontà di uno dei due membri. Nell'ultimo caso
deve essere avviata la separazione legale affinché possano essere riconosciuti diritti come nel caso
della separazione matrimoniale.
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I diritti garantiti da entrambe le leggi sono limitati rispetto a quelli che offre il matrimonio. Il giorno
8 gennaio 2010 il parlamento portoghese ha approvato la proposta di legge per regolarizzare il
matrimonio omosessuale, escludendo però la possibilità di adottare figli. Il primo ministro José
Sócrates ha definito la votazione un «momento storico». Il presidente della repubblica Aníbal
Cavaco Silva, membro del partito conservatore, ha deciso di non esercitare il proprio diritto di veto,
che avrebbe potuto essere reso nullo da una nuova votazione favorevole del parlamento sullo stesso
testo, ed ha firmato la legge il 17 maggio 2010.
- Regno Unito e Irlanda
Nel Regno Unito non esiste una legislazione specifica in tema di convivenza tra persone di sesso
diverso, mentre la convivenza tra persone dello stesso sesso ha trovato riconoscimento mediante il
Civil partnership act del 2004.
Nel novembre 2004 il Regno Unito, infatti,ha approvato una legge sulle unioni civili (Civil
Partnership Act ), contenente la disciplina delle convivenze tra persone dello stesso sesso.
La legge si applica in tutto il Regno con alcune differenze sancite in disposizioni distinte per
l'Inghilterra e il Wales, per la Scozia e per l'Irlanda del Nord. Sono presenti anche disposizioni
comuni ai Regni.
Il Civil Partnership Act si costituisce tramite registrazione, con la quale le coppie conviventi
acquistano diritti e doveri delle coppie unite in matrimonio per quanto riguarda successione, tributi,
immigrazione e pensioni.
E' ammessa l'adozione alle coppie dello stesso sesso in Inghilterra e nel Galles.
Vengono, inoltre, riconosciuti diritti e facoltà alle coabitazioni non registrate tra coppie etero
oppure omosessuali.
Il Marriage Same Sex Couples Bill 2013 è il progetto d’iniziativa governativa attualmente in
discussione all’interno della House of Lords.
Se sarà approvato, riconoscerà alle coppie omosessuali la possibilità di accedere all’istituto
matrimoniale.
Il progetto di legge presentato dal governo Cameron lascerà alle diverse istituzioni religiose
del paese la libertà di scegliere se celebrare o meno le unioni omosessuali, salvo alcune eccezioni.
Le coppie omosessuali già unite da una precedente partnership registrata potranno convertire la
propria unione.
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- I contratti di convivenza nell’ordinamento giuridico inglese
Il grande problema nell’ordinamento inglese si pone con le ragazze madri in vista delle quali è
largamente impostata la legislazione sociale per la famiglia.
Una prima e vera impronta di rinnovamento nel diritto di famiglia e sul rapporto genitori-figli
naturali, o illegittimi, viene dalla riforma del diritto di famiglia, la family law reform.
Un dovere di mantenimento, è stato, infatti, riconosciuto a livello legislativo, attraverso le
disposizioni del Children Act del 1989 e del Child Support Act del 1991 esclusivamente nei
confronti dell’eventuale prole nata da un rapporto di fatto, senza che esista alcun obbligo, imposto
dalla legge per i conviventi more uxorio di sostenersi reciprocamente anche dal punto di vista
economico, sia durante la persistenza del rapporto sia, in particolar modo, al venir meno di questo.
Alla luce di tale considerazione, i giudici inglesi, hanno trovato utile apprestare tutta una serie di
rimedi, di carattere equitativo, volti a tutelare la parte debole della relazione coabitativa da tutte
quelle conseguenze negative che potrebbero derivargli da una cessazione di questa. La volontà di
predisporre una serie di cautele risponde, alle esigenze di quei soggetti che potrebbero risentire un
sicuro e grave nocumento dalla cessazione di un rapporto di convivenze, dal quale hanno ricavato il
loro stesso sostentamento economico senza aver provveduto, al contempo a stabilire alcuna
garanzia per il loro futuro al di fuori della coppia. Tale esigenza, è tuttavia da contemperare con la
palese volontà di chi, proprio per non essere sottomesso a tutti i diritti e doveri connessi al
matrimonio, ha scelto di instaurare con il partner un rapporto di mero fatto escludendo, con ciò una
produzione di effetti giuridicamente cogenti, indipendentemente dalla propria volontà, derivanti
dalla relazione coabitativa. Una soluzione mediana tra queste due esigenze potrebbe allora risiedere
in una regolamentazione contrattuale dei diritti e doveri dei conviventi, in modo che, di fronte a una
tutela degli interessi e delle esigenze della parte debole del rapporto non venga meno la libertà
strettamente connaturata alla stessa scelta di convivenza more uxorio.
La convivenza more uxorio, ha comunque assunto nel corso degli anni, una considerevole
importanza sociale, visto il numero crescente di coppie che scegli di non affidare la
regolamentazione della propria relazione alle rigide regole del matrimonio. Questo comporta
tuttavia la necessità, di estendere la tutela e le garanzie che l’ordinamento riconosce in favore di chi
è parte di un rapporto coniugale, anche ai semplici conviventi more uxorio e questo al fine di
parificare nei fatti le conseguenze dipendenti da qualunque tipo di legame sentimentale, soprattutto
se stabile e duraturo negli anni. La maggiore spinta operata dalle Corti inglesi verso l’equiparazione
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degli effetti derivanti dalla convivenza matrimoniale e di fatto ha riguardato, senza dubbio, l’ambito
dei diritti patrimoniali facenti capo ai soggetti coinvolti, attenzione dipesa dall’esigenza di
provvedere ad una specifica esigenza, ossia di rintracciare un eventuale fondamento alle pretese che
ciascun convivente potrebbe avanzare al termine del rapporto, sui beni acquistati e posseduti in
comune nel corso della relazione coabitativa, in modo da tutelare quel soggetto che, potrebbe
ritrovarsi senza alcun diritto sui predetti beni.
Tutte le soluzioni cercate dalla giurisprudenza, mostrano tuttavia un evidente segno di disagio che si
manifesta ogni qualvolta gli stessi giudici si trovino a dover pronunciarsi sui diritti patrimoniali dei
conviventi, al cessare della relazione coabitativa. Da un lato sembra prevalere la volontà di
realizzare un’estensione delle norme proprie del matrimonio anche al rapporto more uxorio,
dall’altra parte le Corti mostrano però un atteggiamento più chiuso, nel porre delle regole in un
ambito che pare richiedere l’intervento del legislatore. Inoltre, è da sottolineare che i numerosi
mutamenti di opinione operati dalle Corti inglesi, con riferimento ai tentativi di regolamentazione
del rapporto di convivenza, derivano inoltre da una ulteriore preoccupazione, perfettamente
condivisa anche dal Parlamento, riguardante la necessità di salvaguardare la stessa scelta di libertà
compiuta da quei soggetti che, con l’instaurare una relazione di fatto, si sono volontariamente posti
al di fuori dei vincoli propri del matrimonio.
La soluzione al problema di conciliare la libertà dei conviventi con la necessità di apprestare,
comunque, determinate regole a salvaguardia delle stesse parti risiede, probabilmente,
nell’opportunità per queste ultime di disciplinare negozialmente i termini dell’unione di fatto,
attraverso un contratto di convivenza. Mediante, dunque, l’utilizzo di siffatte convenzioni, coloro i
quali abbiano deciso di intrattenere una relazione more uxorio possono determinare la natura e
l’estensione dei diritti e doveri reciproci connessi al rapporto di fatto fra loro instaurato
pianificando, inoltre le conseguenze economiche derivanti da una eventuale cessazione della
relazione.
L’impiego contrattuale rende quindi possibile, esaudire due esigenze, da un lato quella per le parti
di restare libere di scegliere se regolamentare e in che modo, la relazione fra loro, dall’altra parte
troveranno soddisfazione tanto le necessità dell’eventuale convivente debole, quanto di quei
soggetti che vorranno tenere al sicuro il proprio patrimonio da possibili pretese che potrebbero
essere avanzate dalla controparte, per il solo fatto di aver convissuto per un certo tempo. In ogni
caso è comunque importante rilevare come, qualunque sia stato l’ordine dato dai conviventi alla
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relazione che li lega, questo sia derivato esclusivamente dalla libera volontà delle parti stesse, senza
alcun intervento di un’autorità esterna alla coppia ed alle sue concrete esigenze, senza quindi che le
responsabilità e i doveri connessi al matrimonio siano imposte dall’alto anche a coloro che hanno
scelto di non legarsi in un rapporto di coniugo.
Al fine dei contratti di convivenza possano essere giuridicamente impegnativi per le parti
contraenti, occorre che, al pari di qualunque altro contratto, contengano in sé ai fini della loro
validità giuridica, quello scambio di prestazioni e di controprestazioni reciproche che, secondo il
termine inglese consideration , rappresenta un presupposto indefettibile del contratto stesso, su
questo punto è però necessario operare delle riflessioni relative, in particolare allo scopo perseguito
dalle parti con l’accordo stipulato.
A questo proposito occorre distinguere a seconda che i conviventi determinino negozialmente
soltanto i termini e le condizioni della propria relazione, ovvero assumano un reciproco impegno
volto ad instaurare e mantenere il rapporto di coabitazione more uxorio. Nel caso in cui, si versi
nella prima ipotesi, ai fini della validità e dell’impegno dell’accordo, sarà sufficiente che entrambe
le parti stabiliscano a proprio carico delle obbligazioni economicamente valutabili al fine di
integrare il requisito della consideration. Se invece, soltanto uno dei conviventi assumerà degli
obblighi nei confronti della controparte, senza che quest’ultima si impegni, a sua volta, al
compimento di una qualsiasi prestazione a fronte del beneficio ricevuto, il contratto dovrà, per
essere vincolante, essere stipulato incorporandolo nello schema formale del contratto.
Per ciò che concerne il contenuto dei contratti di convivenza, l’interesse che normalmente muove
due soggetti tra loro conviventi a stipulare un contratto che regolamenti la propria relazione è
strettamente connesso alla volontà degli stessi di determinare i rispettivi obblighi di natura
patrimoniale. La mancanza, infatti di una previsione legislativa rende quanto mai incerti e privi di
confini netti molti elementi essenziali della vita di coppia. In particolare una , cohabitation contract,
potrebbe rappresentare una sicura garanzia per tutti quei soggetti, titolari di un consistente
patrimonio, nei confronti della controparte che cerchi di ottenere, al cessare del rapporto
coabitativo, una quota del patrimonio stesso. Così come, per converso, un simile accordo, potrebbe
prevedere e determinare i diritti di ciascuna parte sui beni eventualmente acquistati nel corso della
vita trascorsa in comune offrendo, in questo modo, una certezza a colui che è intestatario del bene
stesso di non esserne escluso dal godimento, una volta venuta meno la convivenza. Sempre
mediante un contratto di convivenze, le parti potrebbero prevedere le modalità sulla base delle quali
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entrambi, o anche solo uno di essi, dovranno provvedere al mantenimento ed al sostentamento
reciproco, fissando, allo stesso tempo, anche la misura e i tempi dei rispettivi contributi
nell’interesse della famiglia.
Un ulteriore possibile determinazione contenuta in un contratto di convivenza, è quella secondo la
quale i conviventi stabiliscono, congiuntamente, la porzione dei beni comuni da attribuirsi
all’eventuale superstite dopo la morte dell’altro. Una esigenza, che viene infatti notevolmente
sentita da coloro i quali hanno instaurato una relazione more uxorio è proprio quella di tutelare, in
ogni modo, quel soggetto che, dopo aver trascorso gran parte della propria esistenza in un rapporto
di fatto ed aver contribuito alla realizzazione di un patrimonio comune, si trovi alla morte dell’altro
convivente privo di qualunque diritto di natura successoria sulla quota di proprietà appartenente al
defunto. In Inghilterra a differenza che in Italia le parti possono perfettamente disporre della propria
successione mediante delle intese assolutamente impegnative. Da ciò discende, che i conviventi
hanno la possibilità di determinare, in maniera negozialmente vincolante quei beni, che dopo la
morte di uno di essi, spetteranno all’eventuale superstite, attraverso una disposizione che si colloca
in una posizione mediana tra un contratto di convivenza ed un testamento, del quale ha gli effetti. I
contratti di convivenza, contengono poi solitamente, una serie di disposizioni concernenti la cura ed
il mantenimento dei figli, distinguendo se essi siano stati generati dalle stesse parti contraenti o
piuttosto, siano il frutto di precedenti relazioni. In ogni caso, comunque i conviventi non potranno
in alcun modo sottrarsi ai loro doveri nei confronti della prole, soprattutto alla luce delle
disposizioni estremamente garantistiche dettate dal Children Act del 1989 e dal Child Support Act
del 1991; in particolare i giudici inglesi hanno la possibilità di negare efficacia a tutte quelle
clausole di un cohabitation contract che non risultino appropriate per garantire, nel miglior modo
possibile la condizione dei figli, intervenendo dove fosse necessario, per imporre coattivamente gli
opportuni strumenti di tutela.
- In Irlanda attualmente non c'è nessuna legislazione che regola le unioni civili.
Tuttavia dal 2005 è in esame, in Parlamento, una legge per la regolarizzazione delle unioni anche
tra individui dello stesso sesso denominata Civil Partnership Bill.
- Svizzera
La Svizzera permette l'unione civile tra persone dello stesso sesso, con la Legge federale del 18
giugno 2004 sull'unione domestica registrata di coppie omosessuali.
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Nel referendum nazionale del 5 giugno 2005 indetto contro la suddetta legge, il 58% degli svizzeri
si è pronunciato a favore delle unioni civili, garantendo alle coppie dello stesso sesso gli stessi
diritti e la stesse protezioni riconosciute alle coppie eterosessuali, eccetto:
•
l'adozione di bambini;
•
fecondazione in vitro;
Tuttavia, in termini dello stato di parenti prossimi, imposte, previdenza sociale, assicurazione, e il
possesso comune di un alloggio, alle coppie dello stesso sesso vengono concessi gli stessi diritti
delle coppie sposate.
Il titolo ufficiale dell'unione di persone dello stesso sesso è "EingetragenePartnerschaft".
La legge è stata approvata dal Consiglio nazionale, il 3 dicembre 2003 e dal Consiglio degli
Stati il 3 giugno 2004, con delle minori modifiche.
Il Consiglio Nazionale l'ha approvato nuovamente il 10 giugno, ma i conservatori
dell'Unione Democratica Federale raccolsero le firme per indire un referendum. La legge prese
effetto il 1º gennaio, 2007.
La Svizzera conosce due tipi di unione: quella tradizionale tra uomo e donna, regolata dagli articoli
159 e seguenti del codice civile svizzeroe quella regolata dalla Legge federale sull'unione domestica
di coppie omosessuali del 18 giugno 2004 (LUD), che detta una disciplina speciale per le unioni
registrate tra persone dello stesso sesso, definite persone in unione domestica registrata.
La LUD ha introdotto una serie di modifiche al codice civile svizzero, in virtù delle quali il
partner registrato viene considerato quasi completamente alla stregua di un coniuge.
Il partner, così come il coniuge, è obbligato al mantenimento dell'altro.
Il partner ha gli stessi identici diritti del coniuge alla successione dell'altro, sia in caso di
successione per legge, sia in caso di successione testamentaria quale legittimario, sia per il diritto di
attribuzione in conto quota ereditaria, in proprietà, usufrutto o abitazione a seconda dei casi, della
casa o appartamento in cui vivevano i partner e delle relative suppellettili domestiche che rientrino
nell'eredità.
Inoltre, ai sensi dell'articolo 11 comma 3 della Legge sul diritto fondiario rurale, “Se
l'azienda agricola è attribuita a un erede che non sia il coniuge superstite, questi può chiedere, ove le
circostanze lo consentano, l'attribuzione di un usufrutto su un'abitazione o un diritto d'abitazione,
imputandoli sui suoi diritti. I coniugi possono modificare o escludere tale diritto mediante contratto
concluso per atto pubblico”.
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Tale disposizione si applica anche al partner registrato.
La LUD prevede un regime patrimoniale sostanzialmente corrispondente a una separazione dei beni
salvo l'adozione del criterio di ripartizione proprio del regime di partecipazione agli acquisti
(regime patrimoniale coniugale legale secondo il diritto svizzero, riguardante però solo i coniugi
propriamente detti) da convenire facoltativamente, per il caso in cui l'unione sia sciolta.
Perché si possa contrarre un'unione domestica registrata, occorre “provare di non essere già
vincolati da un'unione domestica registrata o coniugati”, e “Chi è vincolato da un'unione domestica
registrata non può contrarre matrimonio” .
Dal 2001, il Canton Ginevra ha avuto una legge a livello cantonale, "Unione Civile" (in
inglese:Registered Partnership) o "PACS" (PAttoCIvile di Solidarietà).
La legge garantisce la convivenza delle coppie non sposate, dello stesso sesso o del sesso opposto,
dando loro molti diritti, responsabilità e protezione che hanno le coppie sposate.
Tuttavia, la legge non dà i benefici sulle imposte, previdenza sociale, o i premi sull'assicurazione
sulla salute (a differenza della legge federale).
Il 22 settembre 2002, il Canton Zurigo ha approvato una legge di unione delle persone dello stesso
sesso tramite un referendum che va oltre alla legge di Ginevra, ma richieste che le coppie vivano
insieme da sei mesi prima della loro registrazione.
Nel luglio 2004, il Canton Neuchâtel ha approvato una legge sul riconoscimento delle coppie non
sposate.
In Svizzera sono iniziate le discussioni a favore del matrimonio tra persone dello stesso sesso, e
alcuni politici dal Partito Socialista Svizzero, i Verdi e il Partito Liberale Radicale ne sono a favore.
I verdi sostengono il matrimonio tra persone dello stesso sesso, secondo il loro manifesto elettorale
del 2007.
- Repubblica Ceca, Slovenia e Ungheria
La Camera dei deputati della Repubblica Ceca, il 15 marzo 2006, ha approvato una legge sulle
unioni registrate per le persone dello stesso sesso. L'approvazione ha annullato il veto posto dal
presidente Vaclav Klaus, il 16 febbraio 2006, per forti riserve sulla legge. Essa regola l'inizio e la
fine delle unioni registrate fra persone dello stesso sesso, concede il diritto ad avere informazioni
sullo stato di salute del partner, il diritto all'eredità nel caso della morte e obbliga i partner a
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sostenersi finanziariamente. La legge rende possibile l'educazione di bambini nati da precedenti
vincoli eterosessuali, ma non permette l'adozione.
In Slovenia una legge del 22 giugno 2005 garantisce alle unioni civili diritti limitati nel campo
delle relazioni di proprietà e dell'eredità. Tale legge, contestata dal movimento di liberazione
omosessuale, non garantisce alcun diritto di assicurazione, salute e pensionistico. Nel settembre
2009 il governo sloveno ha presentato un disegno di legge che consente alle coppie omosessuali
l'accesso al matrimonio, la legge è ora al vaglio del Parlamento.
In Ungheria una legge del 1996 (Codice civile, art. 578/G) in seguito di una modifica incide sul
diritto di proprietà delle coppie conviventi di omosessuali. In particolare, ogni bene acquistato nel
corso della convivenza è di proprietà dei componenti della coppia in proporzione al contributo dato
all'acquisto. Nel caso il contributo non possa essere determinato, sono ritenuti uguali. Il lavoro
casalingo, inoltre, è considerato come un contributo all'acquisto della proprietà.
Nel dicembre 2007 sono state approvate dal parlamento ungherese le convivenze registrate, ovvero
la possibilità per una coppia, sia eterosessuale sia tra persone dello stesso sesso, di essere registrata
in quanto tale, ottenendo così riconoscimenti in campo patrimoniale ed ereditario; la registrazione
avviene con iscrizione al registro dello stato civile presso l'ufficio dell'anagrafe, per scioglierla è
necessaria una dichiarazione congiunta davanti al notaio.
Dal febbraio 2010 è possibile per le coppie omosessuali stipulare unioni civili, parificate a quelle
eterosessuali, grazie ad un provvedimento del Parlamento che ha emendato il codice civile in tal
senso, l'unione civile non include la possibilità di adozione.
- Islanda
Dal 1996 è in vigore in Islanda un istituto (Legge n. 87 1 luglio 1996 ) noto come unione omologata
che riconosce la registrazione di unioni omosessuali offrendo molti dei diritti delle coppie
eterosessuali unite in matrimonio.
Dal 2000 le coppie gay hanno la possibilità di adottare i figli del partner provenienti da una
precedente relazione; resta però ancora esclusa la possibilità di adottare congiuntamente.
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3 Le unioni civili in America
- Stati Uniti
Negli Stati Uniti l'accesso al matrimonio è competenza tradizionalmente delegata ai singoli Stati,
a patto ovviamente che non si vada in contrasto con la Costituzione federale, cioè con i principi
inviolabili di libertà, eguaglianza e non-discriminazione da essa garantiti.
Il primo Stato a permettere ai gay di contrarre matrimonio è stato il Massachusetts. Dal 17
maggio 2004, infatti, i gay dello Stato possono contrarre matrimonio, grazie a una sentenza a
carattere statale emessa dalla Corte Suprema del Massachusetts nel novembre 2003; Corte che nel
febbraio 2004 ha nettamente rigettato una proposta del Senato dello Stato volta a sostituire
l'apertura del matrimonio con la creazione di unioni civili per coppie omosessuali.
Il secondo Stato in cui il matrimonio tra persone dello stesso sesso è stato riconosciuto è il
Connecticut: nel 2005 sono state introdotte nella legislazione le unioni civili, simili a quelle del
Vermont, che furono però immediatamente portate in tribunale dalle principali organizzazioni gay
statali e federali in quanto forma di segregazione; il 10 ottobre del 2008 la Corte Suprema dello
Stato ha stabilito che il divieto ad usufruire dell'istituzione matrimoniale viola il principio di
eguaglianza dei cittadini presente nella Costituzione, facendo sostituire le unioni civili con
l'apertura del matrimonio alle coppie dello stesso sesso. Nell'aprile del 2009 la decisione è stata
riaffermata a livello legislativo dal parlamento dello Stato, con una legge che definisce il
matrimonio l'unione legale tra due persone, indipendentemente dal sesso dei coniugi.
Un procedimento simile è avvenuto nell'Iowa, dove grazie ad una sentenza della Corte Suprema
statale il divieto per le persone dello stesso sesso di contrarre matrimonio è stato giudicato contrario
alla Costituzione nell'aprile del 2009; lo Stato dell'Iowa è divenuto dunque il terzo in cui tale
possibilità sussiste.
A poca distanza di tempo, nel Maine, è stato varato un disegno di legge che permette alle coppie
gay di unirsi in matrimonio, approvato dal Parlamento e controfirmata dal governatore dello Stato il
6 maggio 2009. A pochi mesi di distanza, tuttavia, la decisione è stata annullata dal referendum
svoltosi il 3 novembre 2009, in cui il 53% dei cittadini ha votato per l'abrogazione della legge.
Il provvedimento più recente è quello New Hampshire, in cui il parlamento ha votato a favore del
riconoscimento legale del matrimonio alle coppie gay il 3 giugno 2009; la legge è entrata in vigore
nello Stato dal 1 gennaio 2010.
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Il primo a rendere legali le unioni civili è stato invece il piccolo Stato del Vermont. Il 26 aprile del
2000 ha assegnato alle unioni gay gli stessi diritti del matrimonio eterosessuale, anche nel processo
di riconoscimento delle coppie. Queste, infatti, formalizzano la loro unione prima presso gli uffici
pubblici delle città e poi davanti ad un giudice di pace, un magistrato o un sacerdote/pastore. La
Corte Suprema dello Stato ha rigettato, il 26 dicembre 2001, un tentativo di abolire la legge.
Nell'aprile 2009 tramite un provvedimento legislativo del Parlamento statale è stata introdotta la
possibilità di contrarre matrimonio vero e proprio tra persone dello stesso sesso, la nuova legge è
divenuta esecutiva il 1 settembre 2009.
Segue la California con una legge aperta anche alle coppie di sesso diverso emanata nello stesso
periodo di quella del Vermont e migliorata nel corso degli anni. Alle coppie in unione civile sono
accordati stessi diritti e responsabilità delle coppie sposate sotto quasi tutti gli aspetti. Il 29 giugno
2005 la Corte Suprema della California ha confermato definitivamente la legge respingendo i ricorsi
di vari conservatori. Il principio della parità giuridica è stato poi tradotto in una regola specifica, ai
sensi della quale
“i registred domestic partners godono dei medesimi diritti, tutele e vantaggi e sono sottoposti ai
medesimi doveri previsti dall’ordinamento, sia che sorgano da leggi, sia che sorgano da regolamenti
amministrativi, da regole dei tribunali, dalle politiche di governo, dal common law o da ogni altro
atto o fonte di diritto, quali sono garantiti e imposti ai coniugi.” A questa fa formulazione fa poi
seguito quella alla cui stregua “nessun ente pubblico in questo stato può discriminare una persona o
una coppia sulla base della circostanza che tale soggetto sia il registred domestic partner piuttosto
che il coniuge o che la coppia sia formata da registred domestic partners piuttosto che da coniugi”
tranne un’ eccezione relativa al diritto alle cure mediche.
La completa equiparazione fra i vari modelli di famiglia comporta che i domestic partner acquistano
la possibilità di richiedere il mantenimento in caso di separazione, il diritto alla copertura sanitaria e
ad ottenere permessi di lavoro, benefici di natura fiscale, la possibilità di assumere determinate
decisioni riguardanti la persona dell’altro membro della coppia e numerose altre posizioni di
vantaggio. In aggiunta a ciò, il domestic partner assume anche i medesimi obblighi previsti in capo
al coniuge, quali, ad esempio la responsabilità per i debiti contratti dall’altro membro della coppia o
il computo anche del proprio reddito al fine di determinare la titolarità di alcune prestazioni
assistenziali. Mentre la definizione di domestic partner non ha subito modifiche, sono stati apportati
però alcuni cambiamenti riguardo le condizioni per procedere alla registrazione ed al modo di
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costituzione; viene precisato che l’esistenza di una domestic partnership registrata costituisce
impedimento alla celebrazione del matrimonio, salvo che si tratti di matrimonio da celebrarsi tra i
due membri della domestic partnership. Tuttavia le modifiche più rilevanti sono state apportate alle
modalità di scioglimento, le quali sono oggi incentrate principalmente su procedure giudiziali simili
a quella di divorzio.
Il New Jersey, a partire dal dicembre 2006, ha legalizzato (con 56 voti favorevoli e 19 contrari alla
Camera bassa e 23 voti favorevoli e 12 contrari al Senato) le unioni civili tra coppie omosessuali.
La legge riconosce alle coppie omosessuali il diritto all'adozione, l'assistenza ospedaliera e i diritti
di successione.
Una situazione peculiare è quella degli stati di New York e Washington, D.C. in cui non è possibile
contrarre matrimonio tra persone dello stesso sesso, ma vengono riconosciuti a livello legale i
matrimoni omosessuali siglati negli altri stati americani o nazioni estere in cui questa possibilità
sussiste.
- Canada
In Canada il matrimonio è aperto alle coppie dello stesso sesso dal 2005. A luglio di questo
anno, infatti, il Parlamento federale approvava la C-38, una legge che riformulava il matrimonio
come unione di due persone. In alcune Province canadesi i gay hanno ottenuto l'autorizzazione a
contrarre matrimonio grazie a varie sentenze federali emesse da massime Corti provinciali come la
Corte d'Appello dell'Ontario e la Corte d'Appello del British Columbia, sentenze pienamente
accettate dal Governo federale che difatti si è impegnato a riformulare le norme sul matrimonio. In
Canada, in base al diritto anglosassone, fanno fede le sentenze delle Corti di Appello. In tal senso i
primi stati in cui le Corti hanno deciso in favore delle coppie gay (con sentenze tutte risalenti
all'inizio del 2004) sono stati Alberta, Nuova Scozia e Quebec.
A livello parlamentare la Nuova Scozia è stato il primo stato canadese a operare in questo senso a
partire dal 4 giugno 2001 con la domestic partnership per persone dello stesso sesso. Tuttavia le
coppie di fatto godevano di quasi tutti i diritti/doveri del matrimonio in quanto registravano la loro
unione di fronte alla stessa autorità e accedevano alle più importanti leggi matrimoniali.
In seguito all’adozione della Canadian Charter of Rights and Freedoms nel 1982 e alle numerose
sentenze che hanno sancito l’obbligo per il legislatore di adeguare l’ordinamento ai principi ivi
sanciti, l’esperienza canadese si è evoluta, infatti, le riforme legislative che hanno fatto seguito
all’intervento della giurisprudenza, in un primo momento si sono basate sull’applicazione della
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definizione di spouse anche alle coppie non sposate; innanzitutto si deve specificare che cosa si
intenda e a chi faccia riferimento con questo termine, ossia una persona di sesso opposto che vive o
che ha convissuto per almeno un anno. Per quanto riguarda la parità di trattamento a prescindere dal
sesso del partner, fin dall’inizio gli interventi legislativi non stati spontanei, ma si sono posti come
inevitabile risposta all’orientamento giurisprudenziale secondo cui l’esclusione delle coppie di
persone dello stesso sesso dall’ambito della norma volta a volta impugnata era incostituzionale.
Successivamente il legislatore ha istituito forme di registrazione della convivenza che comportano
effetti simili al matrimonio, a volte estesi anche alla possibilità di instaurare in modo automatico
vincoli di filiazione. Assai di recente, inoltre,sia i giudici che il legislatore hanno condiviso
l’opportunità dell’apertura del matrimonio alle coppie formate da persone dello stesso sesso,
riconoscendo che il requisito della diversità di sesso costituisce una discriminazione contraria al
principio di uguaglianza. La Corte suprema del Canada ha dichiarato, quindi la compatibilità con la
Costituzione dell’apertura del matrimonio ed il legislatore federale ha pertanto adottato nuove
regole, stabilendo che l’accesso all’istituto deve essere inteso in termini neutri rispetto al sesso dei
nubendi, portando così a compimento il processo di diffusione dei diritti che affonda le proprie
radici nel concetto di uguaglianza sostanziale fatto proprio dalla Corte Suprema del Canada.
Riguardo al tema dell’affidamento dei figli, il diritto di visita e il loro mantenimento, le coppie
conviventi dispongono oggi degli stessi rimedi giuridici normalmente previsti e applicabili alle
situazioni di crisi della coppia coniugata. Per quanto concerne invece la divisione dei beni al
momento della separazione, la normativa prevede che le norme si applichino solo alle coppie
sposate, mentre i conviventi non uniti in matrimonio possono concludere un accordo che dichiari
applicabile alla loro relazione le medesime norme, dunque la disciplina sulla divisione dei beni in
caso di separazione non è automaticamente applicabile, ma è rimessa all’autonoma determinazione
dei conviventi. Anche in tema di adozione si sono verificate trasformazioni, le nuove norme
prevedono che un minore possa essere adottato da un adulto da solo o da due adulti
congiuntamente, questa è evidente si tratti di una previsione ampia che ammette anche l’adozione
congiunta da parte di due persone dello stesso sesso; inoltre per il caso di adozione del figlio del
proprio partner si prevede la regola secondo la quale, un adulto può chiedere di divenire genitore di
un minore congiuntamente con suo padre o madre biologico, ne consegue che il partner dello stesso
sesso può adottare il figlio dell’altro solo se questi è il genitore biologico, non se è genitore
adottivo.
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Per finire, possiamo richiamare il tema delle successioni, e anche in questo campo si sono avute
trasformazioni, prevedendosi provvedimenti più favorevoli alle coppie formate da persone dello
stesso sesso; nelle successioni intestate, infatti, il partner dello stesso sesso può ereditare la porzione
di patrimonio del de cuius riservata per legge al coniuge ed anche nelle successioni testamentarie la
posizione del convivente è stata equiparata a quella del coniuge. Quale ultimo dato, si può ricordare
che il convivente non coniugato, anche dello stesso sesso, che era economicamente dipendente dal
de partner deceduto e che non ha ricevuto una porzione adeguata del patrimonio del de cuius dal
testamento, ha la possibilità di adire il giudice affinchè modifichi la disposizione testamentaria che
non l’ha tenuto in adeguata considerazione.
- America latina
Argentina e Brasile
Buenos Aires ha emanato, nel 2002, la Ley n 1.004 Unión Civil che istituisce un registro delle
unioni civili indipendentemente dal sesso e dall'orientamento sessuale purché la coppia conviva da
più di due anni. La capitale argentina è la prima istituzione dell'America latina ad aver legalizzato le
unioni civili.
Il 15 luglio 2010 il Senato argentino ha confermato la legge già approvata il 5 giugno precedente
dalla Camera che riconosce il matrimonio tra persone dello stesso sesso e consente alle coppie
omosessuali l'accesso all'adozione.
A due anni dal compimento dell’approvazione della legge del “Matrimonio Egualitario”, si sono
sposate più di 6000 coppie, e l’Argentina si é convertita in una meta frequente del turismo
omosessuale mondiale.
In Brasile non esiste un riconoscimento completo delle unioni civili a livello federale, tuttavia le
coppie omosessuali hanno gli stessi diritti di quelle sposate in materia contributiva e assistenziale.
Numerosi stati vietano la discriminazione basata sull'orientamento sessuale e lo stato del Rio
Grande do Sul ha un registro delle unioni civili. In Brasile, inoltre, i cittadini omosessuali hanno il
diritto costituzionale di adottare i bambini e, nel 2005 è successo per la prima volta che una
bambina è stata data in adozione ad una coppia gay nello Stato di San Paolo.
- Uruguay
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In Uruguay, il 1 gennaio del 2008 è entrata in vigore la nuova legge sulle unioni civili, etero e
omosessuali, “La Ley concubinaria Nº 18.246” promulgata dal presidente Tabaré Vazquez dopo
l’approvazione del Parlamento.
Per concubinato s’intende: l'unione di fatto tra due persone in una relazione d'amore di natura
sessuale ed hanno una convivenza di fatto di almeno 5 anni in un ambiente esclusivo e ininterrotto.
Si tratta di una situazione emotiva, unica, singolare, stabile e permanente che ha portato alla
convivenza, che si tratti di persone di sesso diverso o lo stesso. Sono impostati sullo stesso
concubinato impedimenti rapporto che del codice civile per il matrimonio.
Per ciò che riguarda i diritti ed obblighi acquisiti possiamo dire che : a partire del riconoscimento
giudiziale legale la coppia di fatto diventerà una società vera e propria società simile al matrimonio,
e di conseguenza avranno i seguenti diritti:
Di ereditare la proprietà dai loro partner e la sicurezza sociale anche in grado di ricevere le pensioni
statali e benefici.
Di proprietà ed eredità dei diritti. Essi producono le stesse condizioni del matrimonio può essere
richiesto espressamente altro, al momento del riconoscimento.
Alimenti, in caso di scioglimento del matrimonio, e, se necessario per la sopravvivenza di uno dei
conviventi può generare obbligo reciproco di aiuti per un periodo non superiore a convivenza.
Adozione. La legge non garantisce il diritto di adozione congiunta.
Di conseguenza la legge prevede per le coppie che convivono da almeno cinque anni diritti e doveri
simili a quelli del matrimonio, con l’esclusione dell’adozione di minori. Una forma di
discriminazione - gay e lesbiche non possono sposarsi, mentre le coppie di sesso diverso possono
scegliere tra matrimonio e unione civile - ma comunque un passo avanti in materia di diritti civili.
- Messico
In Messico la “Legge di società di Convivenza” é entrata in vigenza nel 2007, mentre il matrimonio
omosessuale é permesso dal 2009 solo a Cittá del Messico, e con possibilità di adozione.
In Brasile, Colombia ed Equador esiste l’unione civile delle coppie gay.
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Giurisprudenza
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