RIVISTA DELL’ASSOCIAZIONE ITALIANA DEGLI AVVOCATI PER LA FAMIGLIA E PER I MINORI 2004/3 L’AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO LE PRASSI NELLE CAUSE DI SEPARAZIONE E DI DIVORZIO DAL PARLAMENTO W W W. A I A F - A V V O C AT I . I T Anno IX-n no 3, settembre-d dicembre 2004 Qadrimestrale; registr. Tribunale Roma n.496 del 9.10.95. Stampa: Tip. Quatrini A. & figli snc, v. S.Lucia 43-47, 01100 Viterbo Poste Italiane spa - Spedizione in A.P. - 70% - DCB Viterbo SOMMARIO Editoriale_ 2 Tutela dei diritti della persona, minore e adulta: esigenza di mantenere distinti i piani della giurisdizione e dell'amministrazione AVV. MILENA PINI L'amministrazione di sostegno_ 4 Finalità della legge 6/04 e valutazioni sulla sua applicazione a un anno dal varo DOTT. DOTT. DOTT. DOTT. DOTT. GIUSEPPE REALE PIERCARLO PAZÈ DANIELA GIANNONE MARCO ROSSI LAURA COSENTINI 58 Una riforma per migliorare la vita quotidiana PROF. PAOLO CENDON 59 La difesa tecnica nel procedimento di nomina dell'amministratore di sostegno INTERVISTA AL PROF. FERRUCCIO TOMMASEO 61 Amministrazione di sostegno. Pregi e difetti DOTT. UBALDO NANNUCCI 66 La formazione dell'amministratore di sostegno: il progetto Cesvot - Comune e Provincia di Firenze AIAF Toscana Le prassi nelle cause di separazione e di divorzio:_ primi risultati degli incontri di studio CSM - ANM - AIAF_ 69 Profili organizzativi e ordinamentali connessi ai procedimenti di separazione e divorzio AVV. ANTONINA SCOLARO 74 Questioni processuali nell'ambito dei giudizi di separazione e divorzio AVV. ENRICO BET 88 Ascolto del minore, affidamento e diritto di vita, esecuzione dei provvedimenti di affidamento e visita AVV. MARINA MARINO 92 Assegnazione della casa coniugale e mantenimento del coniuge e dei figli AVV. MANUELA CECCHI 101 Le prassi nei giudizi di separazione e divorzio avanti i Tribunali lombardi: le conclusioni dei gruppi di lavoro dell'AIAF Lombardia 105 Documento approvato dall'AIAF Lombardia sulle prassi avanti il T.M. 106 Il Protocollo d'intesa siglato a Verona tra il Tribunale, il Comune, i servizi e gli avvocati: un modello di supporto ai rapporti tra genitori e figli nelle separazioni difficili AVV. ALESSANDRO SARTORI E AVV. GABRIELLA DE STROBEL Dal Parlamento_ 116 Il testo unificato che istituisce il Garante dei minori, approvato dalla Commissione infanzia del Senato 124 Prime analisi. La rappresentanza dei minori SEN. AVV. ETTORE BUCCIERO- PROF. MARCO SCARPATI 126 Il DDL 4294/A sulla difesa di ufficio nei giudizi civili e minorili e la modifica degli artt. 336 e 337 c.c., approvato dalla Camera Formazione e iniziative_ ANNO IX - N° 3, SETTEMBRE-DICEMBRE 2004, NUOVA SERIE QUADRIMESTRALE Redazione GALLERIA BUENOS AIRES 1, 20124 MILANO TEL. E FAX 02.29535945 EMAIL: [email protected] WEB: WWW.AIAF-AVVOCATI.IT Direttore responsabile MILENA PINI Comitato di redazione GIAN ETTORE GASSANI NICOLETTA MORANDI ANTONINA SCOLARO Stampa TIPOGRAFIA QUATRINI A. & FIGLI SNC V. S.LUCIA 43-47, 01100 VITERBO Spedizione POSTE ITALIANE SPA SPEDIZIONE IN A.P. - 70% DCB VITERBO EDITORIALE L a riforma del sistema di protezione delle persone prive di autonomia, attuata con la legge n. 6 del 9 gennaio 2004, che in questi giorni compie un anno di vita, e le proposte legislative in materia di rappresentanza e tutela dei minori - vedi il DDL 4294/A sulla difesa d’ufficio nei giudizi civili e minorili e la modifica del 336 e 337 c.c., approvato in data 15 luglio 2004 dalla Commissione Giustizia della Camera, e il Testo unificato che istituisce il Garante dei minori predisposto recentemente dal Comitato ristretto della Commissione speciale in materia d'infanzia e di minori - inducono alcune riflessioni sulla commistione tra giurisdizione e amministrazione, utili per riaffermare la netta distinzione tra le competenze e i TUTELA DEI DIRITTI DELLA PERSONA, MINORE E ADULTA: ESIGENZA DI MANTENERE DISTINTI I PIANI DELLA GIURISDIZIONE E DELL’AMMINISTRAZIONE MILENA PINI * poteri attribuiti dalla Costituzione alla pubblica amministrazione e alla magistratura. Quanto alle riforme legislative in discussione in materia di minori, come ricorda il Dott. Gustavo Sergio, Procuratore della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni di Venezia, nel suo intervento di commento al DDL 4294/A, nella prefazione del Quaderno AIAF n. 2/2004 - pubblicato come supplemento al n° 2 della Rivista , che riporta gli Atti del Convegno di Cagliari “IL GIUDICE E LA PERSONA: famiglia, individui, relazioni”- “la funzione tutelare dell'autorità giudiziaria minorile nel sistema origi- 2 nario del codice civile comprendeva in modo indistinto profili amministrativi e giurisdizionali che l'evoluzione dell'ordinamento ha poi separato. Oggi, dopo la modifica del titolo V della Costituzione (l. cost. 18 ottobre 2001 n. 3), la competenza esclusiva dello Stato in materia di giurisdizione e norme processuali, ordinamento civile e penale, giustizia amministrativa, è distinta da quella altrettanto esclusiva delle Regioni in tema d'interventi e servizi sociali (art. 117 co. 2° lett. l) e co. 4° Cost.).” Questa distinzione di piani è in armonia con il modello processuale previsto dal testo novellato dell'art. 111 Cost., ed in particolare con la funzione di un giudice “terzo”, che “deve applicare regole, non gestire interessi pubblici”, come afferma il Prof. Andrea Proto Pisani, Ordinario di Diritto Processuale Civile all'Università di Firenze, nel suo commento al citato disegno di legge sulla difesa d'ufficio nei giudizi minorili, pure pubblicato nella prefazione al nostro Quaderno, ribadendo la “necessità del superamento della commistione tra giurisdizione e amministrazione”. Ma, avverte Gustavo Sergio, “il progetto di riforma del processo civile minorile in esame pare invece avviato su binari diversi che, nonostante le novità introdotte in tema di difesa tecnica, sembrano confermare i caratteri essenziali della volontaria giurisdizione, di per sé incompatibili con il giusto processo. Ci si riferisce al rapporto del tribunale per i minorenni con i servizi socio sanitari che il disegno di legge … ripropone nei termini tradizionali della volontaria giurisdizione. Perciò il tribunale autoattivandosi quale autorità tutelare su sollecitazione dei servizi sociali (ed avvalendosi degli stessi) adotta misure discrezionali di protezione nell'interesse del minore in quanto incapace.” L'AIAF ha espresso dure critiche al DDL 4294/A approvato dalla Commissione Giustizia della Camera, laddove viola i principi costituzionali del giusto processo, conferendo al giudice minorile il potere di assumere provvedimenti temporanei immediatamente esecutivi, addirittura anteriormente alla proposizione del ricorso, di nominare un curatore speciale al minore sempre, in ogni stato e grado del giudizio e in ogni eventuale procedura comunque connessa; attribuendo la legittimazione attiva e passiva non solo al P.M., e ai genitori, ma anche ai parenti entro il quarto grado e addirittura alle persone che hanno rapporti significativi con il minore, senza alcuna altra precisazione; consentendo che il ricorso possa essere proposto anche verbalmente innanzi al presidente del tribunale, il quale provvede a fare redigere processo verbale, etc. Altrettanto critica è la posizione dell'AIAF sul Testo unificato che istituisce il Garante dei minori, approvato dalla Commissione infanzia del Senato, in quanto vengono attribuiti a questa nuova figura (che SETTEMBRE - DICEMBRE 2004 “svolge la sua attività su tutto il territorio nazionale, in piena autonomia di giudizio ed indipendenza funzionale ed amministrativa e non è soggetto ad alcuna forma di controllo gerarchico”) anche funzioni processuali, potendo persino costituirsi parte civile in procedimenti penali che abbiano, quale oggetto, reati compiuti contro uno o più minori; nominare tutori e curatori di minori; conferire incarichi di difesa processuale dei minori (anche se non vi è stata limitazione della potestà genitoriale!); intervenire in procedimenti civili che abbiano ad oggetto i diritti, le condizioni di vita, il benessere, lo stato e la tutela di uno o più minori, qualora i genitori o gli aventi diritto non abbiano esercitato l'azione, ovvero qualora l'interesse del minore sia in possibile contrasto con quello dei genitori (ma chi lo stabilisce?); intervenire, nell'interesse ed in rappresentanza dei minori e su segnalazione di chiunque vi abbia interesse, nei giudizi di separazione e divorzio giudiziali nei quali l'affidamento dei figli sia oggetto di contesa!!! Una molteplicità di poteri e compiti, in diversi ambiti… o meglio in tutti gli ambiti possibili… un potere decisamente eccessivo, palesemente oltre i limiti costituzionali, che confonde e sovrappone la tutela dei diritti del minore nel processo con l'aiuto al minore sul piano del welfare, le competenze e i poteri attribuiti alla pubblica amministrazione con quelli attribuiti alla magistratura. Analoghe riflessioni critiche investono la nuova legge sull'amministrazione di sostegno, che peraltro costituisce un positivo strumento legislativo, flessibile e rispondente alle specifiche esigenze del singolo caso. Una legge molto attesa, che supera il precedente rigido schema normativo che prevedeva solo gli istituti dell'inabilitazione e dell'interdizione, e consente una graduazione di provvedimenti a favore della persona priva di autonomia, a seconda della sua capacità di intendere e di volere. La legge però è lacunosa nella determinazione dei criteri di applicazione dell'amministrazione di sostegno, piuttosto che degli altri due istituti, che sono rimasti nel nostro ordinamento, e lascia al giudice tutelare un potere discrezionale molto ampio. Ad un anno dal varo della legge 6/04 emergono due preponderanti considerazioni: è una legge che sta trovando larga applicazione, stante il rilevante numero di ricorsi per la nomina di amministratore di sostegno che si registra nei tribunali; si sono affermati due diversi orientamenti giurisprudenziali, in relazione all'applicazione o meno dell'amministrazione di sostegno alle persone totalmente incapaci di intendere e volere. Per quanto si tratti di una legge a forte valenza assistenziale, non si può dimenticare che il concetto di capacità non è un concetto clinico bensì giuridico, che coincide con la consapevolezza dei propri EDITORIALE diritti e la piena facoltà di esercitarli. Come rileva il Dott. Ubaldo Nannucci, Procuratore della Repubblica di Firenze, nell'articolo pubblicato su questo numero, “serie ragioni di perplessità suscita la scelta di affidare al giudice tutelare la decisione di individuare, tra gli atti affidati all'amministratore, quelli che costui ha il potere di compiere in nome e per conto dell'amministrato… Agire in nome e per conto di altri significa averne la rappresentanza: secondo i principi di diritto, la rappresentanza è conferita dalla legge o dall'interessato. Qui invece è conferita dal giudice tutelare, per negozi di volta in volta individuati, anche assai gravi dal punto di vista patrimoniale. Per di più nei confronti di persona che non è totalmente incapace, e al di fuori di qualsiasi controllo collegiale. Si aprono un ventaglio di questioni che è possibile solo accennare. Se si tratta di persona non totalmente priva di capacità di giudizio, perché escluderla del tutto dalla partecipazione a decisioni che la riguardano? E con quale autorità un soggetto - terzo, come va di moda dire, ma in realtà primo, ossia gestore in prima persona degli interessi del minorato - decide di questioni che attengono al patrimonio di questa persona sostituendosi a lei, facendola davvero diventare oggetto di diritto piuttosto che soggetto? E degli eventuali danni che una in ipotesi - improvvida gestione le abbia cagionato, chi ne risponde, l'amministratore? O il giudice? Od entrambi? O nessuno?” Ed ancora, avvertono alcuni magistrati di Torino, “non appare corretto applicare l'amministrazione di sostegno ad una persona totalmente incapace, modificandone lo status, senza le garanzie di una procedura che preveda il pieno contraddittorio e il diritto di difesa”; né attribuire all'amministratore di sostegno compiti e poteri che limitano i diritti costituzionali e le libertà della persona, limiti che sono consentiti solo nel caso dell'interdizione. Il rischio di questo eccessivo potere discrezionale attribuito al giudice tutelare è quello di violare i principi del giusto processo, il diritto alla difesa e il principio del contraddittorio, e di trasformare il ruolo del giudice in quello di un operatore sociale. Le illustrazioni che accompagnano questo numero della Rivista sono tratte dal catalogo dell’ottava edizione della mostra di pittura “Abbasso il grigio!”, che raccoglie le opere degli artisti disabili della Comunità di Sant’Egidio. Ringraziamo la comunità per la collaborazione. Per ulteriori informazioni su Abbasso il grigio!: www.santegidio.org/it/amici/mostra.htm 3 L’AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO FINALITÀ DELLA LEGGE 6/04 E VALUTAZIONI SULLA SUA APPLICAZIONE A UN ANNO DAL VARO GIUSEPPE REALE* FINALITÀ DELLA LEGGE ALLA LUCE DEI LAVORI PREPARATORI E CONSEGUENZE ERMENEUTICHE DEL TESTO DI LEGGE al marzo 2004 ad oggi si sono susseguiti convegni, dibattiti, seminari, articoli, commenti, decreti e reclami che hanno tentato di dare una lettura alla tanto attesa legge istitutiva dell'amministrazione di sostegno. Ritengo, però opportuno, proprio per le diverse letture che si manifestano agli occhi degli opera- D FINALITÀ DELLA LEGGE 6/04 E VALUTAZIONI SULLA SUA APPLICAZIONE A UN ANNO DAL VARO tori, dei settori interessati, tentare di offrire una valutazione esegetica in chiave critica muovendo i primi passi dal dibattito che si è animato dal settembre 2001 al dicembre 2003 in ambito legislativo, con l'obiettivo di tradurre una possibile applicabilità della norma che non ne tradisca la filosofia di fondo che ne ha ispirato il contenuto: una diversa cultura e visione della persona nella sua integralità. Il rischio che ho visto correre in questi mesi è stato quello di assumere per totalizzanti alcune categorie di letture che potevano apparire innovative in tema di applicazione degli istituti dell'interdizione e dell'inabilitazione, ma che si manifestano alla luce della nuova legge come vetuste e lontane dallo spirito che l'ha animata. Sebbene vi sia stato il tentativo negli ultimi anni di mitigare gli effetti dell'interdizione ponendo l'accento sulla cura della persona e rendendo funzionale la gestione patrimoniale a quel primario obiettivo, con probabilità non si è di fatto operato osservando con rigore la necessità di tutelare bisogni, aspirazioni ed aspettative del soggetto, 4 destinatario del provvedimento, spesso valutato lontano dalla sua storia, dal suo ambiente familiare e di vita. Si pensi ai trascurati effetti dell'interdizione rispetto agli istituti a protezione degli interessi familiari e coniugali come voluti ed introdotti dal legislatore del 1975 in tema di comunione legale. Da una ricerca effettuata, pare non emergano provvedimenti di Giudici Tutelari che abbiano considerato l'esclusione dall'amministrazione, dell'interdetto, rispetto al patrimonio in comunione legale ex art. 183 c.c., così trascurando gli effetti che tale omissione possa generare concretamente nell'ambito della famiglia che vede il proprio congiunto colpito dal provvedimento di interdizione. Si pensi al caso di due coniugi, in comunione legale dei beni, che gestivano l'azienda familiare, ed il marito titolare della stessa azienda, acquistata prima del matrimonio, viene interdetto a causa della totale compromissione volitiva e cognitiva generata da un grave incidente automobilistico. Altro sintomo di una cultura giuridica ancora chiusa rispetto alla persona è il non considerare in modo adeguato che la normativa in tema di tutela è stata dettata in considerazione dei soli minori ed estesa agli infermi di mente con solo richiamo. Cosa diversa è la collocazione di un minore rispetto alla collocazione di un anziano, il primo si affaccia alla vita cercando di conoscerla ed apprezzarla, dovendo apprendere criteri di valutazioni, nozioni, informazioni e dati, il secondo ha già vissuto, ha già informazioni, ha già maturato e tradotto aspirazioni, ha doveri e diritti che si connotano diversamente rispetto al minore. Pertanto richiamare l'art. 371 c.c., quale norma cardine, per fondare un'autorizzazione “quadro” che ingabbi l'operato del tutore rispetto ai bisogni e la realtà di un adulto, potrebbe essere limitante e di poca attenzione rispetto alla persona ed al contesto relazionale in cui è vissuta. Vi sono esempi, come quello francese, che potrebbero illuminare gli operatori, rispetto a ciò che può voler significare l'espressione “centralità della persona”. Senza trascurare che l'operatività, nell'ambito degli atti di ordinaria amministrazione, non necessita di autorizzazione giudiziale, pertanto anche in tal senso una autorizzazione quadro che trascuri tale aspetto non può che imporsi quale totalizzante rispetto alla persona e sganciata da SETTEMBRE - DICEMBRE 2004 tutta quella complessa elaborazione dottrinale, frutto di grossi sforzi di cultura giuridica, che ha creato la categoria degli atti di ordinaria e straordinaria amministrazione. La legge 9 gennaio 2004, n. 6 si affaccia, dunque, al panorama della tutela dei soggetti fragili quale forte provocazione a schemi culturali rigidi e vetusti. La norma, infatti, appare quale espressione del valore della persona in una visione olistica della stessa. Cerchiamo però di fondare quanto sopra, sulla base di un percorso dei lavori espressi dalla legislatura in corso, osservando come il legislatore abbia introdotto il nuovo istituto e mantenuto l'interdizione e l'inabilitazione in modo tale da consentirne l'utilizzo nei rispettivi ambiti, così offrendo più strumenti capaci di calzare, con maggiori garanzie, la variegata e complessa realtà dei casi, tensione limite di ogni previsione legislativa. Dai lavori preparatori emerge in modo chiaro che l'intendimento è quello di individuare i settori di operatività dei diversi istituti. Nella 25a sessione, del 25 ottobre 2001, il senatore Gubetti si espresse osservando come indispensabile è “che siano definiti con chiarezza gli ambiti di applicazione di tale istituto rispetto agli istituti già esistenti dell'interdizione e dell'inabilitazione”. Il senatore Fassone nella stessa seduta fa presente “…l'art. 4 del disegno di legge n. 375 consente di definire i rispettivi ambiti di applicazione dell'istituto dell'amministrazione di sostegno, da un lato e dell'istituto dell'interdizione dall'altro, e di evitare quindi i problemi che potrebbero nascere da un'impropria sovrapposizione degli stessi…”. Ancora più significativa è la relazione dell'onorevole Ermanna Mazzoni che nella seduta del 30 gennaio 2002 si esprime: “…tutti i progetti di legge in esame tendono a dare soluzione al problema della cura dei soggetti non pienamente capaci di tutelare i propri interessi, per i quali il codice prevede solo momenti estremi di tutela attraverso gli strumenti dell'interdizione e dell'inabilitazione. Si introduce quindi la figura dell'amministratore di sostegno, cioè un soggetto incaricato dello svolgimento di determinati atti a vantaggio di persone affette da patologie non gravi o da disagi psicologici lievi per le quali non si ritiene opportuno dar luogo ad altre procedure previste dal codice civile…” Ancora l'onorevole Luigi Giacco nella seduta del 20 febbraio afferma: “…l'importanza del provvedimento, atteso da anni da molte famiglie italiane,… la figura dell'amministratore di sostegno L’AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO non lede i diritti fondamentali della persona, garantendo a determinate categorie di soggetti non completamente autosufficienti un'adeguata tutela della qualità della vita, al di là dell'assistenza prestata dai familiari”. In modo altrettanto chiaro l'onorevole Battaglia nella sessione del 28 ottobre 2003 osserva: “Oggi, grazie ai processi di integrazione, abbiamo ottenuto dei risultati in base ai quali la persona può non essere completamente autosufficiente, può non essere completamente padrona di sue scelte autonome in campo patrimoniale e in campo lavorativo, ma non per questo deve essere interdetta. Può essere, ed è questa la funzione dell'amministrazione di sostegno - affiancata da una persona che la sostiene, nel senso che la aiuta ad assumere quelle decisioni, quegli atti che autonomamente non sarebbe in grado di compiere, senza per questo venir meno la sua possibilità di godere dei suoi diritti.” Nella stessa seduta altro intervento, di assoluta chiarezza, che ha permeato i lavori di elaborazione del testo finale è quello dell'onorevole Giuseppe Fanfani, il quale, osservando che la proposta di legge è segno di mutata civiltà, ha sottolineato che trattasi di “…una proposta di legge che si rivolge a tutti coloro che sono portatori di handicap ed hanno una minore funzionalità sia fisica, sia psichica, come gli alcolisti, o coloro che non sanno badare a se stessi per ragioni di età o per altre ragioni.” Nella stessa sessione interviene l'onorevole Franco Grillino che, segnalando l'esistenza di 700 mila casi di “disabili psichici” in Italia, di cui soltanto una piccola parte necessita del grave provvedimento di interdizione, mentre per gli altri non si necessita di una “incapacitazione a 360 gradi”, afferma l'esigenza di “venire incontro a chiunque si trovi in difficoltà nell'esercizio dei propri diritti.” Ancora nella stessa seduta l'onorevole Francesca Martini, esprime lo spirito che ha determinato la legge ed i lavori, precisando che l'amministrazione di sostegno si dovrà rivolgere a “…situazioni per le quali è necessario intervenire in modo più sfumato rispettando la dignità della persona. Pensiamo a molti casi in cui i soggetti sono incapaci di provvedere a loro stessi non perché affetti da infermità mentale, ma perché sono molto anziani o sono affetti da handicap fisici o sono affetti da impedimenti temporanei”. Ancora l'onorevole Giuseppe Fanfani, nell'avvicendarsi degli interventi, coglie e sottolinea un aspetto fondante la legge: “…questa legge ha la capacità di prendere in esame le disabilità minori... creando una forma di assistenza anche sotto il profilo giuridico che, non presupponendo una 5 L’AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO loro incapacità totale o parziale, ma prendendo atto di una inabilità che può assumere gli aspetti più diversi sino a giungere alla semplice inabilità di carattere naturale - che è quella della vecchiaia, sapesse supportare questi aspetti della vita in forma corretta.” Possiamo dunque, da questa prima selezione funzionale dei lavori preparatori, evidenziare come le espressioni usate dai parlamentari “distinzione dei rispettivi ambiti”, “soggetti non pienamente capaci”, “patologie non gravi”, “disagi psicologici lievi”, “categorie di soggetti non completamente autosufficienti”, “aiuto ad assumere decisioni”, “assistenza a persone affette da minore menomazione”, “chiunque si trovi in difficoltà”, “intervenire in modo più sfumato”, “prendere in esame disabilità minori”, “prendere atto di una inabilità”, pongono con sufficiente certezza che l'amministrazione di sostegno, l'interdizione e l'inabilitazione si occupino di ambiti diversi e che non vi siano possibilità teoriche per sovrapposizioni degli istituti se non per gli effetti relativi al compimento di determinati e specifici atti e per alcuni effetti di “preclusione giuridica” che consegue all'adozione del provvedimento di amministrazione di sostegno. È possibile, sulla scorta di quanto sopra evidenziato, affermare che il legislatore abbia voluto prevedere più categorie e strumenti di intervento così da garantire la copertura di tutto il panorama della fragilità della persona, dalla ridotta autonomia fino alla incapacità invalidante. Gli istituti pertanto configurabili sono: 1. Amministrazione di sostegno, ai sensi della l. 9 gennaio 2004, n. 6, permanente o temporanea - ordinaria -. 2. Amministrazione di sostegno temporanea per il compimento di atti urgenti sia diretti alla gestione patrimoniale che alla cura della persona - straordinaria - ai sensi della l. 9 gennaio 2004, n. 6. 3. Amministrazione provvisoria per il compimento di atti urgenti per conservare ed amministrare il patrimonio del soggetto sottoposto a trattamento sanitario obbligatorio ex art. 35, L. 23 dicembre 1978, n. 833. 4. Interdizione piena. 5. Interdizione, con limitazione di alcuni effetti, ammettendo che l'interdetto possa compiere determinati atti di ordinaria amministrazione. 6. Inabilitazione piena. 7. Inabilitazione, con limitazione di alcuni effetti, ammettendo che l'interdetto possa compiere determinati atti di ordinaria amministrazione. 6 AIAF RIVISTA 3/2004 Potrebbe apparire più semplice e meno stigmatizzante rielaborare il contenuto della l. 6/2004 affermando che l'amministrazione di sostegno sia l'unico strumento che il legislatore offre avendolo strutturato in modo da poter estendersi alle più gravi compromissioni delle facoltà cognitive e volitive, ma ritengo che tale lettura non sia aderente né alla ratio della norma, né al dato normativo esaminato in modo coordinato e sistematico. Pare configurabile che una lettura interpretativa della legge che destini l'interdizione e l'inabilitazione ad uscire dal quadro applicativo degli istituti a protezione dei soggetti deboli si fondi sul mancato coordinamento degli art. 1 della legge 6/2004 e gli artt. 404 e 409 del c.c. novellati e sul mancato rilievo della contraddizione che esprimono nel dato testuale. Riporto, per una più immediata comprensione dell'affermazione appena fatta gli articoli 1, 404 e 409: Art. 1 L.6/2004 (finalità della legge) “1. La presente legge ha la finalità di tutelare, con la minore limitazione possibile della capacità di agire, le persone prive in tutto o in parte di autonomia nell'espletamento delle funzioni della vita quotidiana, mediante interventi di sostegno temporaneo o permanente”. Art. 404 c.c. (amministrazione di sostegno) “La persona che per effetto di una infermità ovvero di una menomazione fisica o psichica, si trova nella impossibilità, anche parziale o temporanea, di provvedere ai propri interessi, può essere assistita da un amministratore di sostegno, nominato dal giudice tutelare del luogo in cui questa ha la residenza o il domicilio.” Art. 409 c.c. (effetti dell'amministrazione di sostegno) “ Il beneficiario conserva la capacità di agire per tutti quegli atti che non richiedono la rappresentanza esclusiva o l'assistenza necessaria dell'amministratore di sostegno. Il beneficiario dell'amministrazione di sostegno può in ogni caso compiere gli atti necessari a soddisfare le esigenze della propria vita quotidiana”. La lettura coordinata dei tre articoli richiamati, porta a rilevare che l'espressione dell'art. 404 c.c. “impossibilità, anche parziale o temporanea”, ricomprenda l'impossibilità totale e permanente, rilievo, certamente, da un punto di vista della ricostruzione e significato della frase, corretto, ma non appare altrettanto chiaro il disposto se lo si collega alla previsione dell'art. 409 c.c.. Infatti come può un soggetto impossibilitato totalmente e permanentemente a curare i propri interessi compiere gli atti necessari a soddisfare le esigenze della propria vita quotidiana? SETTEMBRE - DICEMBRE 2004 Affermare, dunque, che l'amministrazione di sostegno soppianti gli istituti dell'interdizione e dell'inabilitazione, alla luce di quanto sopra evidenziato, appare eccessivo e fuorviante rispetto alla finalità della norma. L'espletamento degli atti diretti a soddisfare le esigenze della propria vita quotidiana è presupposto limite per rendere applicabile l'amministrazione di sostegno, laddove tale autonomia sia compromessa, non si può far altro che affacciarsi all'interdizione come legittima soluzione per strutturare un'adeguata protezione del soggetto debole, privato naturalmente di ogni autonomia e capacità. Ritengo possibile sanare la contraddizione evidenziata, leggendo le espressioni utilizzate dal legislatore, graduando l'impossibilità, abbinandovi la temporaneità e la permanenza delle condizioni in cui versa l'individuo, così da collegare in modo pertinente e logico le espressioni di legge. Gli abbinamenti configurabili e gli istituti applicabili sono i seguenti: CONDIZIONE = ISTITUTO APPLICABILE 1) impossibilità parziale temporanea = amministrazione di sostegno; 2) impossibilità parziale permanente = amministrazione di sostegno; 3) impossibilità totale temporanea, con riguardo alla certezza della temporaneità ed alla incertezza clinica sulla permanenza = amministrazione di sostegno; 4) impossibilità quasi totale e permanente non suscettibile di evoluzioni positive = interdizione con limitazione per alcuni effetti; 5) impossibilità totale e permanente senza alcuna possibilità di recupero di alcune funzioni determinanti per consentire il compimento di alcuni atti fondamentali per la vita = interdizione piena Il punto di snodo potrebbe configurarsi proprio nell'ipotesi dell'impossibilità totale temporanea, eccezione ammissibile quale punto di passaggio tra l'istituto dell'amministrazione di sostegno e l'interdizione e ciò per due ordini di motivi: a) la temporaneità dell'impossibilità, b) la maggior duttilità dell'istituto dell'amministrazione di sostegno rispetto all'interdizione. Il Giudice Tutelare, infatti, può graduare il proprio intervento in modo più diretto ed immediato ed anche d'ufficio, rispetto al collegio chiamato a pronunciasi sull'interdizione e l'inabilitazione. La indicata impostazione consentirebbe di evitare il disagio della preclusione al soggetto interdetto, che vede progressivamente migliorare le proprie condizioni, riappropriandosi delle proprie autonomie, di ricorrere personalmente, quindi senza assistenza legale, per ottenere la revoca dell'interdizione con il passaggio all'amministra- L’AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO zione di sostegno. L'amministrazione di sostegno è in questo caso strumento utile e diretto alla tutela della dignità della persona umana, della sua libertà di espressione e di autodeterminazione. La proposta interpretativa appena avanzata può essere letta come traduzione di quei principi, sia del nostro dettato costituzionale che del Trattato dei diritti fondamentali della Comunità europea. L'esclusione di tale impostazione non renderebbe il provvedimento, che negasse l'ammissibilità dell'amministrazione di sostegno per tale ipotesi, solo reclamabile innanzi alla Corte d'appello ed impugnabile in Cassazione, ma impugnabile innanzi alla Corte di Giustizia della Comunità europea, per lesione di principi fondamentali a cui la Comunità e quindi gli Stati aderenti si ispirano. Ritengo che tale graduazione sia configurabile altresì rispetto all'inabilitazione, facendo riferimento alle ipotesi previste dalle norme che giustificano applicabilità dell'istituto stesso, leggendole quali portatrici di esclusioni specifiche dell'amministrazione di sostegno. La lettura della norma che esprime le finalità della legge può acquisire, dunque, una diversa dimensione nella prospettiva indicata. L'amministrazione di sostegno può ritenersi diretta a prestare ausilio in tutte quelle situazioni in cui la fragilità consente al beneficiario di preservare la propria autonomia nel compimento degli atti diretti a soddisfare le esigenze primarie della propria vita quotidiana. Quanto sopra non vuole peraltro trascurare la possibilità che l'amministrato avanzi richieste, manifesti bisogni, aspirazioni, consensi e dissensi; colui che, beneficiario dell'originario provvedimento di amministrazione, perdesse, nell'involuzione della sua autonomia, la capacità di esprimere ciò che la legge indica come dato imprescindibile su cui fondare l'applicabilità dell'amministrazione di sostegno, non potrebbe che approdare al procedimento di interdizione nella sua formula graduata o piena. Quanto elaborato dovrebbe poi essere confortato da dati clinici con il supporto della conoscenza medica, psichiatrica, geriatrica e psicologica. Con riferimento agli anziani, e non solo, si può trovare una interessante elencazione di situazioni chiave in cui convergono le fragilità tipiche anche dell'età avanzata nel testo “Fine serie, riflessioni sulla terza e quarta età” ed. Archetipi 2002, di Fabrizio Cavenna, al capitolo “Il paziente scomodo” dove vengono configurati i seguenti gruppi: “Disturbi mentali organici”, la demenza, i disturbi d'ansia, (fra i quali i disturbi fobici, il disturbo di attacchi di panico, il disturbo ossessivo compulsivo), l'ipocondria, i disturbi dell'umo7 L’AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO re - la depressione, disturbi schizofrenici e deliranti, disturbi di personalità e nevrosi. Come di ausilio è considerare cosa sia da un punto vista clinico la “Terapia di sostegno” che in quanto tale implica la capacità del beneficiario di interagire con chi la pratica. Di particolare interesse risultano le riflessioni del prof. Virginio Oddone, fra gli atti del convegno seminario tenutosi presso il Tribunale di Torino, raccolti e pubblicati dall'associazione Tutori professionisti, Egida ([email protected]), di Torino, il quale esprime in modo chiaro e personale come configurare un esame obiettivo del soggetto debole. Lo schema operativo è così considerato: A. Condizioni di salute, con specifica analisi del complesso morboso che ha determinato la necessità di protezione. B. Problemi psichici e comportamentali, con particolare attenzione alla presenza di eventuali manifestazioni aggressive, di pulsioni molto forti in una qualche direzione, ecc.. C. Abilità residue: cosa il paziente è in grado ancora di fare, eventuali punti di forza per un recupero di competenze, od il mantenimento di un certo livello di operatività autonoma. D. Profilo evolutivo delle patologie e dei problemi psichici, e loro curabilità e/o controllabilità nel tempo, se sia prevedibile un peggioramento progressivo, oppure la situazione sia stabile, ecc.; nel caso di patologie inarrestabili, identificare i parametri di terminalità/accanimeno terapeutico (v. sopra). E. Il contesto ambientale: famiglia, rete famigliare, rete sociale, ecc.; presenza di eventuali conflitti, ecc.. Valutazione anche della sicurezza del luogo ove l'incapace risiede. F. Collocabilità: il soggetto può continuare a rimanere a casa? deve essere messo in una comunità, con quali esigenze di base? G. Risorse disponibili: economiche (inventario), umane “proprie” (famiglia, rete sociale personale), pubbliche. H. Rischi: vittimizzazione in primo luogo (cioè il rischio che la persona diventi o sia stata vittima di reato); di peggioramento delle proprie condizioni; di danno per gli altri (ad es., a causa della sua aggressività); ecc.. Altra conseguenza che discende dal dettato normativo, così come dalla lettura prospettata è la insufficienza delle categorie degli atti di ordinaria e straordinaria amministrazione rispetto agli elementi che privilegiano la persona in una visione e dimensione completa rispetto ad una prospettiva di sola gestione patrimoniale. Sollecitati dalla legge 6/2004 possiamo articolare una più estesa configurazione di categorie di atti: 8 AIAF RIVISTA 3/2004 1) ATTI DI ORDINARIA AMMINISTRAZIONE 2) ATTI DI STRAORDINARIA AMMINISTRAZIONE 3) ATTI RELATIVI ALLA VITA QUOTIDIANA 3.1 DI NATURA PATRIMONIALE a. Svolgere attività lavorativa. b. Riscuotere pensione o rendite. c. Soddisfare esigenze primarie al proprio sostentamento e mantenimento. d. Provvedere ai pagamenti ordinari (utenze gestioni). 3.2 DI NATURA PERSONALE a. Igiene e cura giornaliera della propria persona. b. Igiene e decoro nell'ambiente di vita. 4) ATTI RELATIVI ALLA CURA a. ASPETTO SANITARIO b. COLLOCAZIONE ABITATIVA c. VITA DI RELAZIONE - familiare - di gruppo - di società 5) ATTI PERSONALISSIMI a. matrimonio b. separazione c. divorzio d. testamento e. consenso ai trattamenti sanitari RILETTURA DELLE FINALITÀ DELLA LEGGE ALLA LUCE DELLE MUTATE ESIGENZE STORICHE. NORMATIVA INTERNA ED INTERNAZIONALE. roseguendo nel tentativo di dare alla norma un significato di largo respiro rispetto a letture estreme e spesso sganciate dall'intendimento del legislatore oltre che da una esegesi sistematica del testo di legge, pare opportuno soffermarsi brevemente sulle ragioni che hanno determinato la legge. Almeno quattro sono le ragioni di fondo: 1. La mutata coscienza pubblica rispetto al problema storicamente e gravemente emergente della tutela dei soggetti deboli (anziani, soggetti portatori di handicap, malati mente, soggetti affetti da malattie degenerative…. e l'elenco potrebbe proseguire….). 2. L'inadeguatezza degli istituti dell'interdizione e dell'inabilitazione, data la loro rigidità e data l'impronta storica che li caratterizza quali strumenti, per la maggior parte dei casi, diretti principalmente alla tutela patrimoniale del soggetto colpito dal provvedimento, pur non trascurando i tentativi da parte di alcuni Giudici tutelari di mitigazione, sicuramente innovativi e di grande respiro. 3. Una rilettura degli artt. 2 e 3 del nostro dettato costituzionale, constatando come è mutato il senso di alcuni valori fondamentali: P SETTEMBRE - DICEMBRE 2004 - salvaguardia dei diritti inviolabili dell'uomo; - dignità; - uguaglianza; - libertà; - il diritto alla salute da leggersi nella sua accezione più ampia di SALUS intesa come integrità fisica, psichica, emotiva, relazionale e spirituale. 4. Una forte spinta in ambito internazionale. Esempio cardine lo troviamo nella Convenzione dell'Aja del 13 gennaio 2000, che rappresenta la concreta dimostrazione e testimonianza di quanto sia grave ed urgente, per diversi paesi, di occuparsi in modo adeguato della tutela dei soggetti deboli. La Convenzione nasce per articolare un regime di tutela dei soggetti deboli, sollecitando la cooperazione tra le diverse autorità degli stati aderenti ed individuando i caratteri essenziali che devono contraddistinguere la tutela dei soggetti stessi. Dato rilevante è costituito dal fatto che la Convenzione riconosce l'ammissibilità di un mandato a cui il soggetto interessato può ricorrere, sia mediante apposito contratto sia mediante atto unilaterale, per l'ipotesi futura ed eventuale di sopravvenienza del proprio stato di incapacità o di limitata capacità. La indicata Convenzione, ad oggi non è stata ancora ratificata dall'Italia. Qualora ciò si verificasse il nostro ordinamento potrebbe compiere un ulteriore salto di qualità nel rispetto della persona, della sua autonomia, dei suoi diritti e delle sue legittime aspettative in relazione al suo futuro, evitando indebite ingerenze. Il richiamo alla Convenzione non esclude la considerazione che altre nazioni sia in ambito europeo che extracomunitario, come la Francia, la Germania, l'Austria, la Spagna, il Quebec, con largo anticipo hanno adottato istituti simili all'amministrazione di sostegno italiana, seppur con elaborazioni culturali di tipo diverso da quelle che hanno trovato sbocco in Italia. Ancora importante è richiamare la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea (Nizza 7 dicembre 2000) che nel preambolo si esprime: “Consapevole del suo patrimonio spirituale e morale, l'Unione si fonda sui valori indivisibili e universali di dignità umana, di libertà, di uguaglianza e di solidarietà, l'Unione si basa sui principi di democrazia e dello stato di diritto. Essa pone la persona al centro della sua azione istituendo la cittadinanza dell'Unione e creando uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia”. Ed ancora all'art. 3 rubricato “Diritto all'integrità della persona”: 1. Ogni individuo ha diritto alla propria integrità fisica a psichica. L’AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO 2. Nell'ambito della medicina e della biologia devono essere in particolare rispettati “Il consenso libero e informato della persona interessata, secondo le modalità definite dalla legge,…” Ed ancora l'art. 25 “Diritti degli anziani” “L'Unione riconosce e rispetta il diritto degli anziani di condurre una vita dignitosa ed indipendente e di partecipare alla vita sociale e culturale” e così l'art. 26 “Inserimento dei disabili - L'Unione riconosce e rispetta il diritto dei disabili di beneficiare di misure intese a garantirne l'autonomia, l'inserimento sociale e professionale e la partecipazione alla vita di comunità” Espressioni quelle della Carta, che rivitalizzano quanto già assunto nel nostro dettato costituzionale. Dato non trascurabile, nell'ambito della mutata coscienza e cultura della persona umana e della sua centralità è, almeno per la Regione Piemonte, la legge 8 gennaio 2004, n. 1, dove a chiare lettere si ripropone quanto enunciato nella carta dei diritti fondamentali e cioè il “Riconoscimento della centralità della persona quale prima destinataria degli interventi e dei servizi e del ruolo della famiglia quale soggetto primario e ambito di riferimento unitario per gli interventi e servizi medesimi…” Così esprime: “1. Al fine di favorire il benessere della persona, la prevenzione del disagio e il miglioramento della qualità della vita delle comunità locali, la Regione programma ed organizza il sistema integrato degli interventi e servizi sociali secondo i principi di universalità, solidarietà, sussidiarietà, cooperazione, efficacia ed efficienza, omogeneità ed equità territoriale…” Oltre ai dati normativi regionali, nazionali e sovranazionali non può essere trascurato il fatto che in ambito internazionale altri paesi hanno già percorso altre vie in tema di tutela dei soggetti deboli e fragili, con elaborazioni culturali ed esperienze ultratrentennali, come la Francia e la Germania. Da segnalarsi le esperienze come quelle del Quebec (Canada Francese) dove trova apposita disciplina il mandato in previsione della propria incapacità, istituto rappresentativo dell'intendimento di accogliere la volontà dell'uomo, quale espressione sovrana della libertà dell'individuo e della sua capacità e legittima aspettativa di autodeterminarsi, qualunque siano gli accadimenti che caratterizzano la sua vita1. Come sottolinea Calò2, l'Italia non ha ancora fatto una scelta di campo a favore del principio di autodeterminazione, disciplinando la materia del consenso informato, del testamento biologico e del mandato in previsione della propria futura incapacità. Nella stesura ed elaborazione del testo della legge 6/2004, un'attenzione al diritto 9 L’AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO Daniela Boi, Elisabetta Di Nucci Città, forma, colore Olio su tele, inserti di carta giapponese 2004 comparato avrebbe potuto consentire l'introduzione di istituti e di dati forniti da altre esperienze di altri Stati, così da privilegiare in modo articolato e completo il principio cardine della libertà e della cosciente autodeterminazione. L'unica apertura al riguardo la troviamo nella norma in commento all'art. 408 c.c. (Scelta dell'amministratore di sostegno) primo comma “L'amministratore di sostegno può essere designato dallo stesso mediante atto pubblico o scrittura privata autenticata…” Per supplire a tale vuoto ancora presente nel nostro ordinamento potrebbe soccorrere la configurazione di un TRUST. Come la dottoressa Maria Rosa Spallarossa 3 osserva, direi in modo adeguato, laddove si tratta di soggetti deboli, l'analisi va rivolta anche ai soggetti “non deboli”, nella prospettiva della loro futura incapacità. L'istituzione di un Trust potrebbe predeterminare, a favore del costituente, Settlor, o di un terzo beneficiario, la gestione di un patrimonio e la sua amministrazione in funzione dei bisogni, aspirazioni culturali, personali, di vita (letture, teatro, sport, viaggi, vacanze, cure, collocazione…), così condizionando ed instradando l'intervento dell'autorità giudiziaria e dell'amministratore di sostegno o del tutore, successivi. Lo stesso autore con chiarezza dice: “…il trust permette di valorizzare l'autodeterminazione del soggetto beneficiario non solo per tutto il periodo nel quale egli è nella piena efficienza delle proprie capacità, ma anche di graduarla nella ipotesi di perdita progressiva di capacità fisiche o psichiche”. Sottolinea ancora l'autore, che il trustee potrebbe AIAF RIVISTA 3/2004 essere investito di funzioni giuridiche comunque dirette a garantire adeguata ed elevata qualità della vita ed interventi diretti alla cura della persona, vista in tutta la sua dimensione: corporea, psichica, emotiva, relazionale e spirituale. Quanto sopra esposto non vuol altro che far riflettere sui contenuti profondi della legge, che va vista quale anelito verso la persona, i suoi bisogni e le sue aspirazioni. Una sorta di filosofia personalistica deve permeare la comprensione della legge istitutiva dell'amministrazione di sostegno, quale diretta ad offrire strumenti complessi ed elastici in ausilio dei soggetti deboli che vedono menomate le proprie autonomie, pur conservando la capacità di compiere gli atti necessari a soddisfare le esigenze dettate dalla vita quotidiana. Anche in quest'ottica non si può intendere l'amministrazione di sostegno quale istituto totalizzante e comprensivo anche di ipotesi di protezione a favore di soggetti da interdire o inabilitare. La capacità dialogica è elemento caratterizzante il rapporto discendente dall'amministrazione di sostegno. Il beneficiario va sentito non solo nell'ambito del procedimento, ma nel corso della sua vita e le sue richieste, i suoi bisogni, vanno considerati sia pur compatibilmente con le esigenze di protezione dello stesso. Si può pertanto concludere affermando che la configurazione dei diversi istituti, così come elencati nella prima parte del presente elaborato, offre riquadri importanti con cui operare a favore dei soggetti deboli, considerando le diversità delle fragilità e rispettando i diversi ambiti di applicazione giuridica degli istituti medesimi. CONTENUTO DEL DECRETO, PRIME APPLICAZIONI. OSSERVAZIONI CRITICHE AL DETTATO NORMATIVO IN ORDINE AD ASPETTI SOSTANZIALI a legge 6/2004 osservata nei suoi contesti sostanziali, rispetto a ciò che il decreto di nomina dell'amministratore di sostegno dovrà contenere, delinea un quadro articolato che può, nella sua traduzione pratica, rivelarsi insidioso, rispetto alle finalità della legge stessa, dove l'autonomia dev'essere la regola e le limitazioni l'eccezione. Ma vediamo ciò che la legge indica: “Il beneficiario dell'amministrazione di sostegno può in ogni caso compiere gli atti necessari a soddisfare le esigenze della vita quotidiana” (2° c. art. 409 c.c.). “Il decreto di nomina deve contenere l'indicazione:… 3) dell'oggetto dell'incarico e degli atti che l'amministratore di sostegno ha il potere di compiere L 10 SETTEMBRE - DICEMBRE 2004 in nome e per conto del beneficiario. 4) degli atti che il beneficiario può compiere solo con l'assistenza dell'amministratore di sostegno. 5) dei limiti, anche periodici, delle spese che l'amministratore di sostegno può sostenere con l'utilizzo delle somme di cui il beneficiario ha o può avere la disponibilità.” (art. 405, 5° c.) “Qualora ne sussista la necessità, il Giudice Tutelare adotta anche d'ufficio i provvedimenti urgenti per la cura della persona interessata e per la conservazione e l'amministrazione del suo patrimonio” (art. 405, 4° c.) “Il Giudice Tutelare deve sentire personalmente la persona….. e deve tener conto compatibilmente con le esigenze di protezione della persona, dei bisogni e delle richieste di queste”. (art. 407, 2° c.) “Il beneficiario conserva al capacità di agire per tutti gli atti che non richiedono la rappresentanza esclusiva o l'assistenza necessaria dell'amministratore di sostegno” (art. 409, 1° c.). Ed ancora, quanto all'art. 411 c.c. (Norme applicabili all'amministrazione di sostegno), nella formulazione il legislatore estende l'applicabilità, per quanto compatibili, degli artt. da 349 a 353 c.c. e da 374 a 388 c.c., mentre i provvedimenti cui agli artt. 375 e 376 c.c. sono di competenza del Giudice Tutelare, così come sono estesi, all'istituto in esame, gli artt. 596, 599 e 779 anch'essi per quanto compatibili. Interessanti sono gli ultimi due comma dell'art.411, per cui sono valide le disposizioni testamentarie e le convenzioni in favore dell'amministratore di sostegno, se fatte a favore dei soggetti indicati ivi compresa la nuova figura introdotta, quella della “persona stabilmente convivente”, nonché la previsione per cui il Giudice Tutelare nel provvedimento con il quale nomina l'amministratore di sostegno o anche in un tempo successivo può estendere all'amministrazione di sostegno “effetti, limitazioni o decadenze, previsti da disposizioni di legge per l'interdetto o l'inabilitato” sempre tenendo presente l'interesse del beneficiario. Le norme appena richiamate sono, dunque, l'ambito entro cui muoversi per configurare un'adeguata protezione del soggetto beneficiario con la minore limitazione possibile della capacità di agire. Ora si tratta di stabilire se il decreto deve considerare tutti gli atti in modo analitico elencando quelli che il soggetto beneficiario può compiere con la sola assistenza dell'amministratore, quelli che possono essere compiuti dall'amministratore in rappresentanza dell'amministrato e quelli che vanno autorizzati preventivamente dall'autorità giudiziaria, tenendo ben presente che per quanto non indicato il beneficiario conserva la capacità di agire. L’AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO Oppure configurare un decreto limitandosi ad indicare le categorie di atti di ordinaria e straordinaria amministrazione, prevedendo che gli atti di ordinaria amministrazione possano essere compiuti con la sola assistenza dell'amministratore e gli atti di straordinaria amministrazione dal beneficiario con l'assistenza dell'amministratore e previa autorizzazione giudiziale o dal solo amministratore previa autorizzazione. Nelle prime aperture di amministrazioni di sostegno ho visto depositare diversi decreti, ne prendo in considerazione due a titolo esemplificativo: un decreto dove vi è indicazione specifica di atti ed un altro dove il Giudice Tutelare si riferisce alle categorie degli atti di ordinaria e straordinaria amministrazione con riferimento specifico agli atti di cui all'art. 374 e 375 c.c. I decreti così si esprimono: 1° CASO: “Il Giudice Tutelare Visto il decreto con il quale è stata dichiarata aperta l'amministrazione di sostegno (…dati relativi al decreto e generalità del beneficiario..) Nomina Amministratore di sostegno il sig.…()... Dispone Che l'amministratore di sostegno abbia il potere di compiere, in nome e per conto del beneficiario, gli atti di ordinaria amministrazione, inclusi gli atti di straordinaria amministrazione del suo patrimonio, inclusi gli atti previsti dall'art. 375 c.c., previa per questi ultimi l'autorizzazione del Giudice Tutelare. Dispone Che il beneficiario possa compiere soltanto con l'assistenza dell'amministratore di sostegno, e previa autorizzazione del Giudice Tutelare, gli atti di straordinaria amministrazione del suo patrimonio, inclusi quelli previsti dall'art. 375 c.c., previa autorizzazione del G.T. Dispone Che l'amministratore di sostegno proceda al sistematico incasso delle entrate pensionistiche; al prelievo delle somme necessarie al fabbisogno mensile della beneficiaria e ad apporre sui conti e sui beni del beneficiario il vincolo derivante dal presente provvedimento Dispone Che l'amministratore di sostegno debba riferire al G.T.…etc”. 2° CASO: “Il Giudice Tutelare - Visto il decreto con il quale è stata dichiarata aperta l'amministrazione di sostegno (…dati relativi al decreto e generalità del beneficiario..) 11 L’AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO - Ritenuta l'opportunità che l'Amministrazione di Sostegno provveda a verificare: 1. quali siano le condizioni di vita…..etc Tutto ciò premesso, ribadito che il beneficiario mantiene la capacità di agire per gli atti che non richiedono la rappresentanza esclusiva o l'assistenza necessaria dell'amministratore di sostegno e cioè non espressamente vietati dal giudice tutelare ai sensi degli artt. 404 e ss. c.c. Nomina Amministratore di sostegno del sig.…()... il sig.…()... con i poteri e le funzioni qui di seguito specificate Dispone Che l'amministratore di sostegno abbia il potere esclusivo di compiere, in nome e per conto del beneficiario, previe specifiche autorizzazioni del Giudice Tutelare i seguenti atti: - riscuotere capitali di pertinenza del beneficiario; - acquistare beni, se non nei limiti di spesa di seguito consentiti; - contrarre mutui; stipulare locazioni; - alienare, iscrivere o cancellare ipoteche sui beni del beneficiario; - fare compromessi o transazioni, o accettare concordati; - promuovere giudizi; - accettare o rinunciare ad eredità, legati o donazioni; - dare in pegno o svincolare pegni su beni del beneficiario; - procedere allo scioglimento di comunioni o a divisioni o a promuovere i relativi giudizi sui beni del beneficiario; - procedere ad adempimenti fiscali e amministrativi Dispone che il beneficiario possa compiere solo con l'assistenza necessaria dell'Amministratore di Sostegno i seguenti atti: - assumere altre obbligazioni salvo che queste riguardino l'ordinaria amministrazione; - riscuotere l'importo dei redditi percepiti eccedente l'importo di € 600,00 mensili, nella libera disponibilità del beneficiario; …etc…..” Da una prima osservazione è possibile rilevare che da entrambi i decreti non emergono quali siano le richieste, i bisogni e le aspirazioni del beneficiario, anzi sia nei decreti di apertura che di nomina nulla si indica al riguardo. Vero che la norma non prescrive che il decreto deve essere esplicito al riguardo, ma ritengo che una traduzione di quelle che sono le specifiche richieste, bisogni ed aspirazioni del beneficiario sia doverosa, perché presupposto logico di quanto il Giu12 AIAF RIVISTA 3/2004 dice dovrà disporre. È possibile ritenere che, per non vanificare lo spirito della legge, nonché la filosofia personalistica che la sottende, devono emergere tutti i passaggi logici che sottostanno e reggono il decreto nel dispositivo e pertanto dato che lo stesso deve garantire il soddisfacimento dei bisogni, delle richieste ed aspirazioni del beneficiario, tutto ciò deve risultare in modo espresso, così come espressa deve essere l'indicazione che il G.T. ha indagato in modo completo al riguardo. Si consideri che i bisogni e le aspirazioni del soggetto non necessariamente devono essere verbalmente espressi dal beneficiario, ma possono emergere dal contesto di vita e relazionale del soggetto, nonché della sua storia e trascorsi. In occasione di un evento formativo presso un consorzio di servizi sociali proprio connotando il concetto di doverosità per i servizi di proporre ricorso al G.T. o segnalazione al Pubblico Ministero, osservai come tale doverosità si esplica nella completezza dei dati forniti al Giudice. In altri termini, espressi che il soggetto, per cui appare doveroso il ricorso, dovrebbe essere “contestualizzato” nella realtà personale e relazionale in cui si trova, tutto nella prospettiva di un miglioramento della sua qualità di vita. Indicando poi una traccia, prospettavo, in via schematica, i punti da osservare per offrire in modo completo i dati necessari, perché il giudice possa pronunciarsi sul contenuto dell'amministrazione. Lo schema può essere così espresso: 1. condizioni di vita del soggetto e sua abituale collocazione, con descrizione degli ambienti, anche con riferimento alla sicurezza degli stessi rispetto ai bisogni essenziali dell'assistito; 2. abitudini del soggetto; 3. richieste ed aspettative espresse dal soggetto; 4. notizie e dati relativi alla situazione patrimoniale personale, conosciuti; 5. condizioni di salute e bisogni di cure (possibilmente con idonea e completa documentazione medica). A tal riguardo è opportuno sottolineare la necessità di una reale integrazione dell'intervento dei servizi socio-sanitari sul territorio come condizione essenziale per rendere operativa e tempestiva l'amministrazione di sostegno. L'integrazione dei servizi è essenziale per realizzare programmi di intervento in cui la centralità della Persona sia rispettata. Si osserva che la documentazione medica non è richiesta dalla legge ma è dato imprescindibile per il Giudice Tutelare affinché possa provvedere con rigore e completezza. In ordine alla documentazione medica si suggerisce di far risultare dalla stessa non la sola certificazione della SETTEMBRE - DICEMBRE 2004 6. 7. 8. 9. patologia, ma l'individuazione delle autonomie e competenze del soggetto che discendono da quel determinato quadro clinico; indicare quale sia stato il programma di intervento già attuato a favore del soggetto per cui è proposto il ricorso; indicare quali autonomie il soggetto esprime, quali abilità sono compromesse, e quali autonomie possono essere recuperate; proporre progetti di sostegno sulla base di interventi già in corso, attivati o di possibile attivazione, indicando i costi eventuali e le risorse personali e sociali disponibili; indicare la dimensione relazionale di cui il soggetto dispone. Ritornando alla analiticità a mezzo del decreto in ordine agli atti da individuarsi, si può osservare che la scelta per l'analiticità del contenuto o si presenta in modo completo inserendo tutte le possibilità di atti configurabili nel nostro ordinamento o si corre il rischio di escluderne alcuni per cui può legittimamente configurarsi la capacità del beneficiario rispetto agli atti non indicati. Nel secondo decreto riportato oltre ad una serie di atti, elenco non esaustivo, che l'amministratore di sostegno può compiere da solo previa autorizzazione, si dispone che il beneficiario possa compiere solo con l'assistenza dell'amministratore “i seguenti atti: - assumere altre obbligazioni salvo che queste riguardino l'ordinaria amministrazione; - riscuotere l'importo dei redditi percepiti eccedente l'importo di € 600,00 mensili, nella libera disponibilità del beneficiario;” La genericità dell'espressione “assumere altre obbligazioni” precisando “salvo che queste riguardino l'ordinaria amministrazione” fa chiaramente pensare che l'espressione sia riferita comunque ad atti che rientrino fra quelli di straordinaria amministrazione (v. art. 1173 c.c.), pertanto non appare chiaro perché le “altre obbligazioni” non siano state annoverate fra il primo gruppo di atti, per cui è stato previsto il solo ed esclusivo potere dell'amministratore preventivamente autorizzato. Portiamo due esempi per chiarire quanto sopra evidenziato. Secondo quanto disposto dal Giudice il beneficiario potrebbe costituire una società in nome collettivo con la sola assistenza dell'amministratore, senza bisogno di alcuna autorizzazione preventiva, così come potrebbe stipulare un preliminare di vendita, con la sola assistenza, infatti tale tipo di contratto ha meri effetti obbligatori e non traslativi. Nel caso del preliminare come si potrebbe poi comportare il Giudice innanzi alla L’AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO richiesta di autorizzazione ad adempiere? Se poi si considera il disposto di cui all'art. 411 c.c., che le convenzioni fatte tra il beneficiario e l'amministratore di sostegno se questo è coniuge o parente entro il 4° grado o persona stabilmente convivente, sono, dice la legge, “comunque valide”, quel tipo di atto di straordinaria amministrazione non sarebbe inficiabile. - Ci soffermeremo dopo sugli effetti dell'art. 411 c.c. - e le questioni che sono proponibili data la formulazione dello stesso. Altri due aspetti vanno sottolineati come problematici: quello relativo alle accettazioni di eredità e quello degli adempimenti fiscali. Autorizzare l'accettazione di eredità ad esempio con beneficio di inventario non produce l'effetto di cui agli artt. 471 e 489 c.c. se questi non vengono espressamente estesi, così come consentito dall'art. 411 c.c. ultimo comma, da parte del G.T. Vero è che tale estensione potrebbe sopraggiungere anche d'ufficio, in un tempo successivo al decreto di nomina ed in occasione dell'apertura della successione che vede l'amministrato quale chiamato, ma il rilievo non va trascurato, in difetto il beneficiario potrebbe decadere dal beneficio d'inventario per aver compiuto ad esempio atto dispositivo, senza preventiva autorizzazione, di bene mobile, pur se annullabile ex art. 412 c.c. Problemi si potrebbero poi porre per gli atti dispositivi dei beni ereditari in ordine alla possibilità del G.T. di esprimere parere ex art.747 c.p.c. data la formulazione “Nel caso in cui i beni appartengano a incapaci deve essere sentito il Giudice Tutelare”. In merito al secondo rilievo non si vede perché per gli adempimenti “fiscali” ed “amministrativi” se atti dovuti, questi debbano essere soggetti ad autorizzazione preventiva, così facendo pensare che il G.T. possa in linea teorica negarne l'autorizzazione. Senza avere la pretesa di formulare tutte le osservazioni possibili, forse pare opportuno che nella stesura dei decreti si prendano in esame le categorie degli atti così come articolate nel cap. I del presente elaborato, valutando concretamente la possibilità di concedere la disponibilità di fondi per compiere gli atti di ordinaria amministrazione che per loro natura anche nell'ambito della Tutela non sono soggetti ad autorizzazione. Prevedere poi che alcuni atti di amministrazione ordinaria siano soggetti a preventiva autorizzazione vuol dire di fatto condurre l'amministrazione di sostegno ad essere più penalizzante rispetto all'interdizione. A tal riguardo occorre osservare che il primo decreto appare più aderente e meno problematico, pur se non scevro da possibili critiche, rispetto al secondo, infatti il Giudice Tute13 L’AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO lare ha disposto che l'amministratore di sostegno possa compiere gli atti di ordinaria amministrazione inclusi gli atti previsti dall'art. 374, previa per questi ultimi l'autorizzazione del G.T. e che gli atti di straordinaria amministrazione inclusi di cui all'art 375 c.c. possono essere compiuti dal beneficiario assistito e previa autorizzazione. Aspetto concreto da tener presente è che l'amministratore laddove autorizzato a compiere gli atti di ordinaria amministrazione deve poter disporre di snelli strumenti di pagamento, si pensi all'ordinaria amministrazione rispetto alla gestione di svariate proprietà immobiliari o stabili condotti in locazione da terzi, considerando che lo stesso è tenuto al rendiconto periodico il cui controllo e verifica è del G.T.. A tal riguardo ritengo opportuno evidenziare che gli istituti bancari non possono richiedere sempre l'autorizzazione preventiva a qualsiasi prelievo non potendo sapere e perciò adoperarsi ed interessarsi per conoscere se quella data operazione rientri nell'ambito ordinario. Ciò che la banca può pretendere è di essere certa dell'incarico e della funzione, ogni altra responsabilità rimane in capo all'amministratore o al tutore, solo questi sono ausiliari del Giudice e non l'istituto bancario stesso. Quanto detto vale a maggior ragione per i casi in cui chiamato a svolgere la funzione di tutore o amministratore sia un professionista, non trascurabile al riguardo è la possibilità di operare con sportelli bancari virtuali, sarà il tutore e l'amministratore di sostegno a dover ricondurre la propria attività ad atti di ordinaria amministrazione o ad atti di straordinaria amministrazione, questi corredati delle dovute e prescritte autorizzazioni preventive. Quanto sopra evidenziato può concludersi con due considerazioni: a. essenziale è individuare i reali bisogni, le aspirazioni, sollecitando le richieste del beneficiario quali condizioni imprescindibili per articolare un decreto personalizzato; b. individuare gli atti specifici rispetto ai bisogni dell'amministrato ponendo, al più, quali categorie generali finali gli atti di ordinaria e straordinaria amministrazione, prevedendo ciò che può compiere il beneficiario con l'assistenza dell'amministratore con o senza autorizzazione, e ciò per cui è abilitato l'amministratore con o senza autorizzazione. Per meglio marcare quanto poco adeguato possa essere un decreto comprensivo di tutti gli atti possibili, riporto il testo di una procura generale in nota, osservando come la stessa indichi che l'elenco è meramente esemplificativo e non tassativo. Si tenga poi in considerazione che il decreto di nomina è un decreto suscettibile di integrazioni e modifiche nel tempo, al fine di renderlo il più 14 AIAF RIVISTA 3/2004 aderente possibile alla persona del beneficiario. Prima di procedere all'esposizione degli aspetti che possono apparire problematici in ordine all'applicazione dell'art. 411 soprattutto in tema di testamento e convenzioni, ritengo utile riportare quanto già avanzato nel convegno tenutosi l'8 maggio presso il Tribunale di Torino in tema di inventario ed accertamento patrimoniale, osservando da subito che tra gli elementi essenziali su cui fondare il decreto e le sue successive integrazioni, vi è la necessità di avere certezza del contenuto patrimoniale nella sua “accezione” che vado a configurare. Nell'ambito della disciplina della tutela, l'articolo 362 c.c. prescrive espressamente che il tutore, nei dieci giorni successivi, a quello in cui ha avuto notizia legale della sua nomina, deve procedere all'inventario dei beni del soggetto incapace, termine ordinatorio quello indicato e non perentorio: non mi soffermo sul contenuto dell'inventario quale atto formale e pubblico, a cui si attribuisce, in quanto tale, pubblica fede fino a querela di falso. Intendo però portare l'attenzione al fatto che l'articolo appena richiamato dice “il tutore” compie l'inventario, evidenziando così che al tutore è attribuita la responsabilità dell'accertamento del contenuto patrimoniale del soggetto interdetto. L'art. 363 c.c. prosegue indicando che “l'inventario si fa con il ministero del cancelliere del Tribunale o di un notaio delegato dal giudice tutelare...”; il giudice tutelare, prosegue il secondo comma, può consentire che l'inventario sia fatto senza il ministero del cancelliere o di notaio, se il valore presumibile non eccede euro 7,75. Secondo un orientamento restrittivo, pur aggiornando con riferimento agli indici ISTAT detto importo ad oggi e così per un valore determinato pari ad euro 311,94, di fatto non sarebbe configurabile alcun esonero o meglio nessun tutore potrebbe evitare di ricorrere al ministero del cancelliere o del notaio per tradurre in atto pubblico l'inventario, così legittimando l'assurdo ricorso ad un atto formale il cui costo è superiore o comunque non proporzionato al patrimonio da accertare. È però, possibile addivenire in via interpretativa al superamento di tale impostazione restrittiva, basandosi sul ragionamento che in altri settori la Cassazione ha manifestato sempre in tema di inventario e di funzione di alcuni soggetti quali ausiliari del giudice, data la valenza pubblicistica di alcuni istituti. La Cassazione in tema di eredità giacente ha più volte affermato che il curatore, quale ausiliario del giudice laddove provvede ad accertare il patrimonio ereditario, pur non essendo un pubblico ufficiale, e dichiara ed afferma cosa costitui- SETTEMBRE - DICEMBRE 2004 sce patrimonio dell'eredità, esprime ed enuncia “atti che fanno pubblica fede”. Ancora afferma la Cassazione che il notaio o il cancelliere che procedono alla redazione del verbale d'inventario, non godono di poteri d'imperio né di indagine, ma hanno la sola funzione di certificare ed attestare cosa e quanto rinvenuto in un dato luogo, “...l'attività diretta alla formazione dell'inventario ha carattere meramente descrittivo della situazione patrimoniale, quale risulta dalle carte e dalle note del defunto… e la partecipazione del pubblico ufficiale comporta la prova della verità degli atti da lui compiuti e quindi dell'esistenza delle carte, scritture e note da lui reperite, ma non la rispondenza alla realtà fattuale delle risultanze delle scritture….” (Cassazione 1. 04.1983, n.2626). Poteri d'indagine e di ricerca sono del curatore, il quale esperiti gli accertamenti chiede che vengano tradotti in verbale o comunque informa il Giudice della successione, non venendo comunque meno la valenza pubblicistica delle proprie dichiarazioni. Assunto quanto sopra e traslandolo alla tutela, possiamo affermare con eguale vigore a quello espresso dalla Cassazione che la responsabilità dell'accertamento patrimoniale spetta al tutore e non ad altri. In una sessione del seminario, tenutosi presso il Tribunale di Torino, è stata affermata la valenza pubblicistica degli istituti posti a tutela della persona debole o incapace e proprio sulla base di tale assunto si può qualificare il tutore quale ausiliario del giudice, nella sua attività di accertamento patrimoniale, osservando pertanto che le sue dichiarazioni al riguardo hanno valenza pubblica, fanno pubblica fede. Ne discende, quale naturale conseguenza logica, che l'esclusione dell'inventario mediante il ministero del pubblico ufficiale può configurarsi, non con riferimento al valore del patrimonio ma, alla certezza dello stesso in quanto il verbale d'inventario per atto pubblico nulla aggiungerebbe a quanto accertato dal tutore. Sottolineo ancora che la responsabilità del tutore al riguardo viene avvalorata dalla prescrizione del giuramento relativo alla sincerità dell'inventario. L'inventario, con il ministero del pubblico ufficiale, potrebbe rendersi necessario laddove si rinvengano nel patrimonio arredi e gioielli di particolare importanza e rilevanza economica. Possiamo dunque affermare con sufficiente certezza che non è mai configurabile l'esonero dal compiere l'inventario che comunque va eseguito, si può al più configurare la superfluità dell'ausilio del pubblico ufficiale dove il patrimonio sia certo. L'inventario però non soddisfa ancora la necessarietà di ciò che può essere ricompreso in un accertamento patrimoniale anche letto nell'ottica di un L’AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO recupero di tutto ciò che sia stato indebitamente sottratto al soggetto debole, al soggetto incapace. Procedere all'inventario di un patrimonio già ridotto considerevolmente, da parenti, familiari, vicini, appare più come una farsa, che non come un vero atto di natura cautelare. Non è rara la circostanza di un erede che chiusa la tutela per decesso dell'interdetto, esaminando il rendiconto ne scopre la regolarità formale, ma constata come il parente arrivò all'interdizione già deprivato di rilevanti somme, mai inventariate e dichiarate. Per evitare pertanto una forma di fariseismo giuridico, passatemi l'espressione, è necessario che nella fase di accertamento si proceda a ritroso nel quinquiennio precedente all'interdizione, utilizzando al riguardo gli artt. 428, 591, 775, 1425, 1427 ss, 1448 c.c., in tema di rescissione per lesione, di contratti aleatori. In materia successoria, o meglio per le successioni ereditarie, bisognerebbe procedere alla verifica di pretermissioni o di lesioni di quota della legittima nelle delazioni testamentarie. Anche tale diritto dovrebbe ricomprendersi nella fase di accertamento del patrimonio del soggetto sottoposto a tutela. Così come si dovrebbe verificare l'utilizzo delle disposizioni in tema di divisione disposta dal testatore, nonché delle norme in tema di rescissione della divisione per lesione oltre il quarto così come contemplato dall'art. 763 c.c.. Solo mediante tale attività è possibile pensare ad una tutela sostanziale del soggetto incapace, per ridare al medesimo quanto possa garantire una vita dignitosa e non al limite della povertà. L'attività del tutore, dovrà essere supportata da una perizia, medico-legale, diretta ad accertare il momento in cui le facoltà di raziocinio e volitive dell'interdetto potevano dirsi compromesse. Osservo ancora, per chi nutrisse dubbi sulla lettura offerta, che l'espressione “inventario dei beni”, va letta: “inventario del patrimonio”, nel patrimonio di un soggetto si rinvengono un complesso di rapporti giuridici che sicuramente ricomprendono il diritto di un soggetto di procedere con l'impugnazione di quegli atti che per le circostanze in cui vennero compiuti risultano di chiaro pregiudizio, in altri termini ogni soggetto ha il diritto di agire per la tutela di sè e del proprio patrimonio. Il diritto ad agire per l'annullamento di un contratto, di un atto, per la risoluzione o rescissione di un contratto, sono diritti accertabili e costituiscono sicuramente oggetto da ricomprendersi in un patrimonio. Quanto affermato può connotare il concetto di doverosità di ricorso o segnalazione da parte dei servizi, perché dà contenuto all'espressione “a conoscenza di fatti tali”. In questo, si può configurare la responsabilità del 15 L’AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO tutore, dell'amministratore di sostegno ed in via preliminare di tutti quei soggetti investiti dalla legge quali legittimati e tenuti ad adire l'autorità giudiziaria, senza per questo escludere una diretta responsabilità del Giudice tutelare, dati i poteri di vigilanza e azione d'ufficio prevista, questa ultima, in modo espresso dalla nuova normativa che andiamo commentando. Sotto il profilo patrimoniale, anche l'accertamento a ritroso dovrà essere confortato da puntuali interventi peritali, su incarico d'ufficio o dietro richiesta del tutore o dell'amministrazione di sostegno. Per concludere ritengo importante sottolineare che i procedimenti di volontaria giurisdizione sono retti dal principio inquisitorio e non dal principio della domanda, come per il procedimento contenzioso. Il Giudice è pertanto sganciato da quanto richiesto dal tutore o dall'istante, potendo superare ogni dato su cui è fondato il ricorso proprio in ragione del principio inquisitorio che regge l'intero procedimento. La normativa che ha introdotto l'istituto dell'amministrazione di sostegno, non prevede in modo espresso l'obbligo per l'amministratore di sostegno di procedere all'inventario del patrimonio del beneficiario, limitarsi però a tale constatazione, come più volte è stato ribadito, nel seminario indicato, è fuorviante e contraddittorio rispetto alla necessità di articolare un progetto d'intervento e di sostegno adeguato a favore del beneficiario. Opportuno è ripercorrere il dato normativo al fine di individuare i presupposti che giustificano un adeguato accertamento patrimoniale ed eventualmente un inventario formale e ciò anche alla luce dei graduati abbinamenti propostivi. In via preliminare è essenziale osservare che la legge istituisce, si dice nella rubricazione della stessa in Gazzetta Ufficiale, l'amministrazione di sostegno. Il termine amministrazione ha una valenza esclusivamente patrimoniale, quale logica conseguenza è che non si può compiere alcun atto di amministrazione di un patrimonio se non si conosce il contenuto dello stesso, di quali atti il giudice prevede l'intervento esclusivo dell'amministratore di sostegno in rappresentanza del beneficiario o prevede l'assistenza dell'amministratore, se in via preliminare non ne accerta il presupposto e cioè l'esistenza del patrimonio da amministrare e la cui amministrazione è funzionale alla qualità di vita del beneficiario e per cui la legge si pone a tutela dei suoi bisogni e aspirazioni. L'art. 404 c.c. parla di “interessi”. L'art. 405 c.c. in tema di competenza del Giudice tutelare ad emettere provvedimenti d'urgenza, distingue quelli diretti alla cura della persona, da quelli diretti alla conservazione e l'amministra16 AIAF RIVISTA 3/2004 zione del patrimonio del beneficiario. Osservo da subito che fra gli atti di natura conservativa e cautelare si può annoverare anche l'inventario o comunque l'accertamento del patrimonio che l'amministratore di sostegno dovrebbe essere chiamato a compiere. Osservo ancora che il concetto di conservazione è un concetto che non va letto nella sua valenza negativa e statica, ma nella sua valenza positiva e dinamica a tal punto che anche l'atto di alienazione di un bene può assumere un significato conservativo rispetto all'intero patrimonio. Il Tribunale di Torino in un caso specifico ammise la natura conservativa della singola alienazione rispetto all'intero patrimonio, in via esemplificativa si pensi al manufatto immobiliare cadente ed in pessime condizioni manutentive tali da paventare il serio rischio di danni a terzi ed il progressivo svilimento economico dello stesso ed in assenza di liquidità per gli interventi di ripristino. Atto di natura conservativa è l'apposizione di sigilli, che per la rimozione deve essere seguito da inventario formale. L'art. 407 comma 3° si esprime “Il giudice tutelare provvede, assunte le necessarie informazioni…” e le informazioni devono essere necessariamente anche di natura patrimoniale, in difetto il decreto sarebbe monco, perché di amministrazione non si potrebbe parlare ma, solo di sostegno. Prosegue: “Dispone altresì, anche d'ufficio, gli accertamenti di natura medica e di tutti gli altri mezzi istruttori utili ai fini della decisione”. Quali sono gli altri mezzi istruttori utili? Sicuramente si possono disporre perizie dirette ad accertare il contenuto patrimoniale al fine di verificare l'eventuale maltolto giustificando l'amministrazione di sostegno per promuovere eventuali azioni civilistiche che diversamente il soggetto beneficiario non sarebbe in grado si sostenere. Ricordo il caso di una signora ormai pensionata che colpita da ingravescente demenza senile, consentì delega sui suoi conti ai nipoti, che a colpi di prelievi allora anche di £ 10.000.000 settimanali hanno ridotto la zia quasi in povertà, con sfratto in corso perché morosa, ormai deprivata non solo del patrimonio ma della dignità di una vita decorosa, igienicamente adeguata ed ambientalmente idonea. I nipoti richiesti non ricordavano i motivi dei prelievi, così affermarono e si limitarono ad indicare che la zia era generosa. L'art. 411 (Norme applicabili all'amministrazione di sostegno) afferma che i provvedimenti di cui agli articoli 375 e 376 sono emessi dal giudice tutelare ed ancora all'ultimo comma prevede: “Il giudice tutelare, nel provvedimento con il quale nomina l'amministratore di sostegno, o successi- SETTEMBRE - DICEMBRE 2004 vamente, può disporre che determinati effetti, limitazioni o decadenze, previsti da disposizioni di legge per l'interdetto e l'inabilitato, si estendano al beneficiario dell'amministrazione di sostegno, avuto riguardo all'interesse del medesimo ed a quello tutelato dalle predette disposizioni.” Quanto riportato include sicuramente l'ipotesi dell'inventario e degli accertamenti patrimoniali in genere, norma che va riletta alla luce del percorso ermeneutico che ho rappresentato in tema di inventario di tutela. Ritengo che con tranquillità si possa affermare che un completo provvedimento di apertura di amministrazione di sostegno non possa prescindere da un adeguato accertamento patrimoniale, che per le forme si può spingere fino al formale inventario redatto con il ministero del cancelliere o del notaio. Richiamo la puntuale osservazione della dottoressa Turino che nel citato convegno ha affermato: “La messa a sistema della domiciliarità inderogabilmente:… richiede la definizione dei criteri di reddito e dei limiti di spesa a carico comunale (essendo la possibilità di intervento da parte dell'ente pubblico limitate devono necessariamente tenere conto delle condizioni di povertà o ricchezza del soggetto, garantendo priorità ai meno abbienti)”. Da parte di uno dei nostri Senatori promotori della legge 6/2004, ho sentito affermare che per avere contezza del patrimonio del beneficiario sarà sufficiente sentire le persone legittimate ad intervenire nel procedimento: direi che, assunto quanto sopra, la soluzione prospettata appare riduttiva e lontana dalla complessa e variegata realtà dei casi che la vita propone; il Senatore parlava definendo l'amministrazione di sostegno di diritto mite, elastico, definizioni sicuramente entusiasmanti, ma limitare la fase di accertamento ad una mera richiesta ai parenti o al convivente appare riduttiva e pericolosa se non soddisfa il bisogno di certezza che sottende al nuovo istituto introdotto. Avviandomi alla conclusione di questo breve elaborato non posso evitare di soffermarmi sull'art. 411 c.c. e sulle possibili incongruenze ed effetti della previsione normativa. Il legislatore usando l'espressione “per quanto compatibili” richiama ed estende all'amministrazione gli articoli da 349 a 353 e da 374 a 388 nonché gli artt. 596, 599, 779 c.c. Affermando al 3° comma che “sono in ogni caso valide le disposizioni testamentarie e le convenzioni in favore dell'amministratore di sostegno”, che sia parente entro il quarto grado del beneficiario ovvero sia coniuge o persona che sia stata L’AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO chiamata alla funzione in quanto con lui stabilmente convivente. L'art. 591 c.c. in materia di capacità di testare, enuncia che non sono capaci di testare gli interdetti per infermità di mente e che possono disporre per testamento tutti coloro che non sono dichiarati incapaci dalla legge. Tale disposto non è richiamato dall'art. 411 c.c. e pertanto non applicabile al soggetto beneficiario dell'amministrazione di sostegno a cui è concessa la capacità di testare. Ma ci si può chiedere se il giudice possa escludere la capacità di testare del beneficiario direttamente con un suo provvedimento, o con diversa tecnica. Il fatto che l'art. 411 preveda la validità delle disposizioni testamentarie, in ogni caso, se fatte a favore dei soggetti indicati, consente di configurare l'ipotesi che tale capacità possa essere ablata e che qualora il testatore versasse in condizioni tali da veder compromessa e viziata la sua volontà, che in tema di testamenti deve essere sovrana ed autonoma, il testamento è comunque valido se fatto a favore di quei determinati soggetti, se amministratori di sostegno. Quale tecnica potrebbe usare il G.T. per poter ablare la capacità di testare del beneficiario dell'amministrazione di sostegno? L'art. 411 c.c. ultimo comma prevede che il Giudice tutelare possa, o con il decreto di nomina o successivamente, disporre effetti, limitazioni o decadenze previsti per l'interdetto. In altri termini il G.T. potrebbe, in linea teorica, estendere gli effetti di cui all'art. 591 c.c., ciò però potrebbe far scattare la necessità di segnalare al Pubblico Ministero per l'avvio del procedimento di interdizione, assimilando, con un provvedimento del genere, il beneficiario all'”infermo di mente”. Comunque si voglia risolvere la problematica sollevata, rimane la scelta di campo fatta dal legislatore con l'espressione “sono in ogni caso valide”. A tal riguardo osservo però che tale espressione rende incompatibile la norma (Art. 596 c.c.) per il beneficiario dell'amministrazione di sostegno, perché l'art. 411 c.c. ultimo comma è di portata più ampia, non ponendo i limiti di cui all'art 596 c.c. e quindi le nullità previste. Sempre in tema di testamento v'è da chiedersi se l'amministrato in preda ad una alterazione psichica momentanea decida, nelle sue ideazioni, di formulare un testamento a favore del parente amministratore e si rechi dal Notaio chiedendo di riceverlo in forma pubblica, il Notaio lo potrà ricevere perché comunque la disposizione è fatta salva dalla norma (art. 411 c.c.)? Ed ancora, se si configurasse l'ipotesi dell'amministrato a cui è stata ablata la capacità di testare, può il Notaio con tranquillità ricevere l'atto perché fatto salvo 17 L’AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO nei casi previsti dall'art. 411 c.c.? Ancora da non trascurare, sempre in tema di testamento del beneficiario, la nuova previsione che fa salve le disposizioni di ultima volontà fatte a favore di chi convive stabilmente e riveste l'ufficio di amministratore di sostegno. Il Notaio chiamato a ricevere il testamento a favore di tal soggetto come potrà avere la certezza della stabile convivenza? Convivenza è quella more uxorio, quella omosessuale, quella di due amici che condividono interessi, passioni, ed eventuali comproprietà? E qualora la convivenza cessasse dopo la redazione del testamento, questo è valido comunque?4 Altre problematiche sorgono sul termine “CONVENZIONE” sempre nell'ambito operativo dell'art. 411 c.c., 3°c.. Cosa si intende per “convenzione”? Qui il legislatore ha dato materia di discussione sia per la dottrina che per la giurisprudenza: quando parla di convenzioni, si riferisce a qualsiasi contratto? In dottrina, nel commento all'art. 388 c.c. richiamato dall'art. 411 c.c. si ritiene che il termine convenzione possa essere tradotto “in qualsiasi AIAF RIVISTA 3/2004 atto negoziale”5. Anche per l'ipotesi della “convenzione” vale quanto detto in tema di testamento rispetto all'art. 779, in quanto l'espressione “sono in ogni caso valide” ha portata più ampia dell'articolo richiamato in tema di donazione. Un rilievo ulteriore necessita rispetto al richiamato art. 378 c.c. rubricato “Atti vietati al Tutore ed al Protutore”. La previsione che le “convenzioni”, quindi ogni atto negoziale, fatte a favore dell'amministratore di sostegno che sia parente entro il quarto grado, coniuge o persona stabilmente convivente, sono “in ogni caso valide”, vanifica il divieto di cui all'art. 378 c.c., richiamato dall'art. 411 c.c.. Le implicanze dell'art. 411 c.c. sono numerose e di non immediata lettura anche con riferimento alle così dette “preclusioni di diritto”, di cui si trova traccia nei lavori preparatori. Il tema però necessita di un ulteriore elaborazione. * Studio notarile Lobetti Bodoni di Torino, già Giudice Tutelare Onorario presso il Tribunale di Torino sede e sez. distaccata di Ciriè NOTE 1 V. Egida, Raccolta atti Convegni 2003 - 2004 sul tema Amministrazione di sostegno, profili di diritto comparato e progetto di legge 2 Calò, Amministrazione di sostegno. Legge 9 gennaio 2004, n. 6, Giuffrè, Milano 2004, 69. 3 Spallarossa, Trust e soggetti deboli, in Il Trust nel Diritto delle Persone e della Famiglia, Giuffrè, Milano 2003, 143. 4 Marcoz, Riflessioni in tema di amministrazione di sostegno, n. 5-6-7, 15-31 marzo 15 aprile 2004, da “IL NOTARO”, Roma. 5 Stella Richter - Sgroi, Comm., Delle persone e della famiglia, UTET. BIBLIOGRAFIA Senato della Repubblica - 2° commissione permanente (Giustizia D. D. L. n. 375 B Fassone ed altri - Fascicolo di documentazione, ottobre 2003. G. Bonilini - M. Confortini (a cura di), Codice Civile Ipertestuale, UTET, Torino 2004 - aggiornamento. G. Gullotta, L. Prino, F. Zoppas, M. Infannieri, Psicologia, Psicopatologia e devianza nel testamento, Giuffrè, Milano 2003. M. Pronello, Cecità e ordinamenti giuridici, Elessa Morea Editore, Torino 2003. G. Oberto, I Regimi patrimoniali della famiglia di fatto, Giuffrè, Milano 1991. E. Calò, Le convivenze registrate in Europa, Giuffrè, Milano 2000. E.V.Napoli, L'infermità di mente, l'interdizione, l'inabilitazione, Giuffrè, Milano 1995. M. C. Venuti, Integrità della persona e multietnicità, in FAMILIA, rivista di diritto della famiglia e delle successioni in Europa, Giuffrè, n. 3/2003. F. Canova, Fine serie, ed. ARCHETIPI, La Spezia 2002. E. Calò, La pianificazione delle vicende personali e patrimoniali, IPSOA, 2004. E. Calò, Amministrazione di sostegno - Legge 9 gennaio 2004 n. 6, Giuffre, Milano 2004. G. Marcoz, Riflessioni in tema di amministrazione di sostegno, in IL NOTARO, n. 5-6-7/2004 P. Lorefice, L'amministrazione dei beni degli incapaci, CEDAM, 1996. G. Santarcangelo, La volontaria giurisdizione, vol. II, Giuffrè, Milano, 2003. L. Milone, L'amministrazione di sostegno, in Familia, n. 3/2004, Giuffrè, Milano. M.Dogliotti - A. Braun, Il trust nel diritto delle persone e della famiglia, Giuffrè, Milano 2003. U. Morello, L'amministratore di sostegno (dalle regole ai principi), in Notariato, IPSOA, n. 3/2004. 18 SETTEMBRE - DICEMBRE 2004 L’AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO FINALITÀ DELLA LEGGE 6/04 E VALUTAZIONI SULLA SUA APPLICAZIONE A UN ANNO DAL VARO PIERCARLO PAZÈ* LA PROTEZIONE DELLE PERSONE NON AUTONOME 1. LE RAGIONI DI UNA RIFORMA introduzione nel nostro ordinamento dell'amministrazione di sostegno, avvenuta con la legge 9 gennaio 2004 n. 6, risponde ad una necessità da tempo avvertita di più completa tutela giuridica delle persone deboli. Gli istituti tradizionali di interdizione e inabilitazione, finalizzati a limitare la capacità di agire delle persone definite inferme di mente, da tempo apparivano inadeguati a questo scopo. L'assicurare una rappresentanza o un'assistenza ai beneficiari non compensava il pregiudizio prodotto con l'annullare o ridurre rigidamente i loro diritti, senza prendere in considerazione i diversi livelli di infermità. Inoltre la generale privazione della capacità di agire portata dall'interdizione, anche rispetto a quelle attività che la persona poteva continuare a svolgere, urtava con le nuove forme curative trattamentali che puntano a recuperare e potenziare le capacità residue dell'infermo di mente, mentre l'inabilitazione era di scarsissima utilità. Parallelamente queste misure venivano avvertite come dolorose e addirittura rifiutate per l'etichetta che attribuivano agli interessati e che in, qualche modo, ricadeva anche sulle loro famiglie. Finalmente, dopo che da tempo gli altri Paesi europei già vi avevano provveduto, anche l'Italia ha rivisitato l'intera materia. La nuova disciplina, inserita nel libro I, titolo XII, capi I e II del codice civile, introduce la misura dell'amministrazione di sostegno (artt. 404-413 cod. civ.) e apporta dei ritocchi all'interdizione e l'inabilitazione (artt. 414-433 cod. civ.). Le misure, diventate tre, hanno effetti diversi sulla capacità di agire. a. Nell'amministrazione di sostegno la persona menomata o inferma viene sostituita nel compimento di determinati atti e assistita nel compimento di altri atti da un amministratore, mentre conserva la capacità di agire per tutti gli altri atti (art. 405, comma 5, cod. civ.). b. Nell'interdizione la persona abitualmente inferma di mente è sostituita da un tutore nel compimento degli atti che la concernono, con L’ l'eccezione degli atti di ordinaria amministrazione che sia stata autorizzata a compiere senza l'intervento o con l'assistenza del tutore (art. 427, comma 1, cod. civ.). c. Nell'inabilitazione la persona soggetta non può compiere senza l'assistenza di un curatore gli atti eccedenti l'ordinaria amministrazione, ma può essere autorizzata a compiere alcuni atti senza tale assistenza (art. 427, comma 1, cod. civ.). Pertanto il beneficiario nell'amministrazione di sostegno conserva una generale capacità di agire, meno per gli atti per i quali un giudice ha deciso che debbano essere compiuti con la rappresentanza esclusiva o l'assistenza dell'amministratore, mentre il beneficiario dell'interdizione o dell'inabilitazione ha una capacità di agire annullata (nell'interdizione) o ridotta (nell'inabilitazione) in via generale, salvo per gli atti permessi da un giudice. L'amministrazione di sostegno è meno mortificante delle capacità di agire rispetto all'interdizione e può determinare una riduzione della capacità di agire più lieve dell'inabilitazione, per esempio quando l'amministratore è nominato per il compimento di un singolo atto di ordinaria o straordinaria amministrazione. 2. I PRINCIPI CHE ISPIRANO LA NUOVA DISCIPLINA e linee della nuova disciplina rispondono alle moderne concezioni di trattamento delle persone disabili. a. Dall'obiettivo della privazione dei diritti, che riduce l'interdetto a una “non persona”, si passa a dare alla persona un sostegno nelle sue disabilità e a riconoscere le sue capacità residue. b. Tutte le misure di protezione hanno contenuti duttili, adattati nel momento iniziale e in ogni momento successivo alle disabilità diverse e variabili e ai conseguenti bisogni di protezione di ciascuna persona, con la rinuncia a tracciare istituti giuridici uguali per tutti e stabili nel tempo. L'amministrazione di sostegno ha la maggiore flessibilità, poiché consente di ritagliare un vestito disegnato secondo le esigenze della singola persona, offrendole delle aree e dei momenti di protezione come e quando si rivela necessario, senza arrivare mai ad una totale esclusione della sua capacità di agire. c. Si allarga l'area dei beneficiari potenziali delle misure di protezione: essi sono non solo le persone in condizione di abituale infermità di L 19 L’AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO mente, ma anche tutti coloro che, per effetto di un'infermità ovvero una menomazione fisica o psichica, sono privi in tutto o in parte di autonomia nello svolgimento delle funzioni della vita quotidiana (art. 1 legge n. 6/2004), trovandosi per questo motivo nell'impossibilità, anche parziale o temporanea, di provvedere ai propri interessi. In questo modo le misure diventano strumenti delle politiche sanitarie e assistenziali di uno Stato sociale verso i soggetti deboli. d. Nella scelta delle misure e nella determinazione dei loro contenuti ci si deve prefiggere “la minore limitazione possibile della capacità di agire” (art. 1 legge n. 6/2004), assicurando una invasività limitata alle reali necessità della persona. Esse si attivano quando sono necessarie per assicurare ad una persona disabile una protezione di fronte ad un danno attuale o temuto e va preferita la misura più leggera sufficiente a assicurare tale protezione. Perciò non si deve sottoporre ad una misura di protezione chi, affetto da una menomazione o un'infermità che gli impedisce in qualche modo di provvedere a se stesso, è già protetto perché è seguito e curato dai suoi familiari e non è necessario che a suo vantaggio sia attivata una rappresentanza sostitutiva per qualche attività specifica o in via generale. Ciò perfino nei casi più gravi di decadimento progressivo delle facoltà mentali, connotati da perdita della memoria o della capacità critica, indifferenza affettiva, tendenza alla perdita di ogni interesse e riduzione dell'attività motoria fino al totale immobilismo, in persone anziane o in persone colpite dal morbo di Alzheimer. In questo senso devono essere lette le disposizioni che la persona può essere assistita da un amministratore di sostegno (art. 404 cod. civ.) e che le persone possono essere interdette (art. 414 cod. civ.) o inabilitate (art. 415 cod. civ.). Significativa in particolare è la modifica relativa all'interdizione apportata nell'art. 414 cod. civ.: in precedenza le persone in condizione di abituale infermità di mente che le rende incapaci di provvedere ai propri interessi dovevano essere interdette; oggi esse “possono essere interdette” “quando ciò è necessario per assicurare la loro adeguata protezione”. e. Si vuole evitare, anche con una nuova terminologia, che la soggezione alle misure sia avvertita come un marchio negativo che produce sofferenza nei beneficiari e nei loro familiari. La rubrica del titolo XII del libro primo del codice civile, che contiene la materia, parla di “misure di protezione” destinate alle “persone prive in tutto o in parte di autono20 AIAF RIVISTA 3/2004 mia”; i nomi “amministratore” e “amministrazione” hanno un significato neutro che non definisce negativamente il beneficiario mentre il “sostegno” evidenzia la finalità positiva di aiuto alla persona. Purtroppo sono rimasti i vocaboli “interdizione” e “inabilitazione” che mantengono un senso comune di annullamento o limitazione della capacità di agire. L'AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO 1. L'AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO COME MISURA ORDINARIA ivenute tre le caselle delle misure di proD tezione per le persone totalmente o parzialmente prive di autonomia, occorre determinare quale scegliere per ogni situazione. La questione è importante perché l'amministrazione di sostegno, l'interdizione e l'inabilitazione sono disegnate come alternative: si è sottoposti a amministrazione di sostegno, ovvero interdetti, ovvero inabilitati. Se una persona è già interdetta o inabilitata, perché possa applicarsi l'amministrazione di sostegno deve revocarsi l'interdizione o inabilitazione (art. 406, comma 2, cod. civ.) e viceversa si chiude l'amministrazione se, a seguito di interdizione o inabilitazione, si arriva alla nomina di un tutore o curatore (art. 413, comma 4, cod. civ.). Inoltre, se è vero che il legislatore ha previsto degli “scambi” di binari a procedure iniziate (passaggio dalle procedure di interdizione o inabilitazione all'amministrazione di sostegno, art. 418, ult. comma cod. civ.; informazione del giudice tutelare al pubblico ministero perché si proceda ad interdizione o inabilitazione, art. 413, comma 4 cod. civ.) è sempre meglio partire subito verso la destinazione che più risponde ai bisogni della persona interessata. In linea generale l'amministrazione di sostegno va considerata la misura di protezione ordinaria. Essa è la più appropriata perché può essere costruita come risposta ai bisogni più diversi di ogni persona privata o limitata nell'autonomia e perché costituisce la misura di protezione esclusiva per la maggior parte delle situazioni. Non casualmente il legislatore ha collocato la sua disciplina nel codice civile al primo posto (artt. 404-413), precedendo l'interdizione e l'inabilitazione (artt. 414-432) e ha obbligato i responsabili dei servizi sanitari e sociali quando ne ricorrono le condizioni a proporre ricorso o segnalazione per promuoverla (art. 406, comma 3, cod. civ.) mentre non li ha legittimati al ricorso per l'interdizione o l'inabilitazione. SETTEMBRE - DICEMBRE 2004 2. LA PERSONA SOGGETTA AD AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO amministrazione di sostegno è destinata L’ alla persona che, per effetto di una infermità o una menomazione fisica o psichica, si trova nell'impossibilità, anche parziale o temporanea, di provvedere ai propri interessi (art. 410 cod. civ.). I suoi presupposti sono perciò due: la malattia o la menomazione e l'impossibilità conseguente a tale stato di provvedere ai propri interessi. Ciascuno dei presupposti, da solo, non è sufficiente, e il primo deve essere causa del secondo. L'infermità consiste in una compromissione del normale stato funzionale dell'organismo avente la più varia natura (vi rientrano di disturbi della personalità e i disturbi psicotici) e dovuta ai più diversi fattori causali (origine genetica, congenita, da agenti esterni, da malnutrizione o mancanza di cure, psicogena o legata alla senescenza, ecc.) mentre la menomazione comprende mutilazioni, lesioni, condizioni di handicap fisico o psichico. È essenziale che l'infermità o la menomazione siano di natura e portata tale da compromettere, temporaneamente o definitivamente, parzialmente o totalmente, l'autonomia della persona nel provvedere ai propri interessi. L'impossibilità di provvedere può riferirsi sia agli interessi di cura della persona sia a quelli di conservazione e amministrazione del suo patrimonio, sia agli interessi della persona e del patrimonio congiuntamente, come il legislatore esplicitamente ricorda per i provvedimenti urgenti (art. 405, comma 4 cod. civ.). Infatti anche le attività relative al patrimonio devono essere rivolte ad assicurare la migliore qualità di vita della persona ovvero, con felice espressione usata dal legislatore (art. 1 legge n. 6/2004), a tutelarla nell'espletamento delle funzioni della vita quotidiana. 3. LO SPAZIO DEI NUOVI BISOGNI COPERTO DALL'AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO n primo pregio dell'amministrazione di sostegno è che ampia la fascia dei soggetti destinatari di una protezione giudiziaria. Essa infatti occupa spazi che non venivano coperti, e tuttora non possono esserlo, dalle misure di interdizione e inabilitazione, destinate solo alle persone in condizione di abituale infermità di mente. Perciò l'amministrazione di sostegno si applica, anzitutto, alle persone che sono affette da una infermità o menomazione fisica che non le rende in grado, in tutto o in parte o anche temporaneamente, di esercitare i propri diritti o di soddisfare i propri bisogni vitali, rischiando per questo di recare danno a se stesse o di essere danneggiate U L’AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO dai terzi. Vi rientra inoltre una utenza di persone che non si possono definire come abitualmente inferme di mente, secondo i criteri usuali di valutazione, ma sono affette da una menomazione o infermità psichica che si rivela sul versante psichiatrico o sono deboli nella mente per l'età o la malattia o hanno la coscienza di sé indebolita dalla dipendenza dall'uso di sostanze stupefacenti o di alcolici, con danno per loro salute e/o i loro interessi. Alcuni esempi possono indicare le potenzialità della misura, che può essere utilizzata per casi abbastanza comuni: - persone molto semplici che non sanno spendere bene le loro risorse e vengono raggirate; - persone che vivono in condizioni di isolamento sociale e di deterioramento abitativo che bisogna rimuovere, destinando in modo specifico delle loro risorse alle esigenze di cura; - persone deboli che sono incapaci di fare valere i propri diritti (ottenimento di pensioni o indennità di accompagnamento, riscossione di affitti, accettazione delle eredità o ricerca dei beni ereditati presso le banche per evitare che i relativi diritti siano lasciati prescrivere, ecc.); - persone deboli mentali o fragili psicologicamente che hanno bisogno che qualcuno stia loro accanto con funzioni terapeutiche e di aiuto a fare e a gestirsi; - sofferenti psichici che hanno bisogno di un'organizzazione delle cure alla propria persona attraverso una presenza integratrice, che spesso è sufficiente per evitare l'istituzionalizzazione; - persone con disturbi della personalità o con comportamenti disordinati; - persone in condizioni di salute precarie per le quali appare necessario attribuire responsabilità di cura ai parenti, per esempio ad uno dei figli; - alcoldipendenti che indirizzano in prevalenza al bere le risorse, non sono capaci di gestirsi e conducono una vita disordinata; - tossicodipendenti; - e, perché no, i barboni, persone che quasi mai sono interdette e cui nessuno pensa. L'età avanzata di per sé non è una menomazione ma può comportare menomazioni fisiche e psichiche che incidono sull'autonomia, per cui l'anziano talvolta non è più in condizione di provvedere a se stesso e ai propri interessi. L'amministrazione di sostegno può dunque essere una misura di protezione efficace per la persona anziana che non pensa a curarsi o si lascia andare con pericolo per la sua vita quotidiana (non ritira la pensione o gli affitti, non si compra il necessario per mangiare, non pulisce la casa, non paga il canone di locazione o le utenze o le tasse 21 L’AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO con le conseguenze di sfratto per morosità o di interruzione delle utenze o di procedimenti esecutivi, non compra vestiti o non si scalda, rischia di fare saltare in aria l'alloggio perché dimentica il gas aperto, ecc.) o che ha bisogno di assistenza nella gestione del patrimonio per non diventare vittima di raggiri. 4. I CONFINI DELL'AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO CON L'INTERDIZIONE NEL CASO DI ABITUALE INFERMITÀ DI MENTE ualche volta il soggetto che deve fruire di una misura di protezione versa in una condizione di abituale infermità di mente, tale da renderlo incapace di provvedere ai propri interessi. In questo caso fino alla riforma portata dalla legge n. 6/2001 egli doveva essere interdetto. Oggi invece si deve scegliere fra l'interdizione (che può applicarsi alla persona abitualmente inferma di mente) e l'amministrazione di sostegno (che riguarda chiunque si trova in uno stato di infermità o di menomazione psichica, anche nello stato di infermità o menomazione psichica assoluta e più grave), le cui aree risultano sovrapponibili. Dunque due sono le valutazioni prognostiche che possono indirizzare verso l'interdizione: in negativo l'inidoneità in concreto dell'amministrazione di sostegno; in positivo la necessità, nel senso di indispensabilità, di arrivare alla misura più compressiva dell'interdizione per assicurare la protezione richiesta. Al di fuori dei casi in cui, per proteggere talune persone, occorre veramente una limitazione tendenzialmente totale della loro capacità di agire, in tutti gli altri casi la finalità di tutelare le persone prive di autonomia con la minore limitazione possibile della capacità di agire (affermata dall'art. 1 della legge n. 6/2004) fa pendere l'ago della bilancia per l'amministrazione di sostegno1. Si deve pertanto promuovere l'interdizione quando per la protezione della persona inferma di mente e priva di ogni autonomia è necessaria una sua sostituzione tendenzialmente generale e permanente con un tutore. Vi rientra anche l'ipotesi in cui il beneficiario infermo di mente non possa “in ogni caso” compiere gli atti necessari a soddisfare le esigenze della propria vita quotidiana, perché nell'amministrazione di sostegno deve rimanere comunque tale spazio di libertà per l'amministrato (art. 409, comma 2, cod. civ.). Ricadono pertanto nell'interdizione le situazioni più sfortunate e disperate, di particolare gravità e di sicura irrecuperabilità, anche in questo caso valutando la possibilità che il giudice secondo le condizioni diverse di infermità di mente sta- Q 22 AIAF RIVISTA 3/2004 bilisca che l'interdetto eserciti personalmente un qualche residuo diritto compatibile con il suo stato. L'interdizione va però lasciata in un angolino ristretto. Nella gran maggioranza dei casi, poiché non è necessaria una compressione generale di tutte le facoltà, si può e si deve ricorrere all'amministrazione di sostegno. In particolare ciò deve avvenire ogni volta che una persona deve essere sostituita in pochi e determinati atti o si devono compiere a suo favore atti o procedure burocratiche, mentre altri atti non sono necessari in quanto la stessa disabilità funziona da autotutela. In questi casi non c'è ragione per vietare ad una persona atti che comunque non compierebbe (impedire il matrimonio a chi è in coma irreversibile o al demente senile in fase avanzatissima) o per designarle nel tutore un rappresentante per tutti gli affari quando in realtà le attività specifiche necessarie sono ridotte. Seguendo questo criterio, l'amministrazione di sostegno è largamente idonea e sufficiente quando in soccorso dell'infermo di mente occorre provvedere alle seguenti attività: - la riscossione della pensione o di assegni e il prelievo dai risparmi per il pagamento della retta dell'ospizio dell'anziano demente; - lo svolgimento delle pratiche per pensioni o assegni di accompagnamento (per ottenere un qualsiasi beneficio previdenziale, assicurativo o sociale, bisogna fare domande e sapere mettere delle firme); - la stipula di divisioni ereditarie o vendite (il notaio si rifiuta di redigere un atto perché la persona non gli appare capace di esprimere una valida volontà); - l'accettazione di eredità; - la richiesta in giudizio degli alimenti ai parenti. L'amministrazione di sostegno inoltre appare misura idonea e sufficiente nei casi di incapacità assoluta permanente nello stadio terminale della vita (il moribondo per cancro o ictus cerebrale cui altri devono provvedere per tutto), di incapacità assoluta temporanea (la persona in coma profondo per cui occorrono contratti di cura, pagamenti delle prestazioni sanitarie, riscossioni di stipendi) e di mancanze parziali di autonomia (come i soggetti down). All'amministratore di sostegno può essere attribuita la rappresentanza della persona priva di autonomia nel compimento di ogni atto che potrebbe compiere un tutore (come si ricava inequivocabilmente dall'art. 411, comma 4, cod. civ.). Perciò non ricorre più la necessità di procedere alle cosiddette interdizioni sanitarie, pronunciate affinché un tutore dia il consenso infor- SETTEMBRE - DICEMBRE 2004 mato al compimento di atti medici rifiutati dall'interessato, o alle cosiddette interdizioni assistenziali, rivolte ad obbligare una persona non autonoma a una dimora coatta in ospizi di assistenza. Poiché la residua capacità della persona deve in qualche modo essere presa in considerazione in scelte personalissime relative alla salute e alla domiciliarietà, la misura più appropriata e rispettosa per questi casi, che di frequente si ripropongono nella loro drammaticità, non è l'interdizione ma la nomina di un amministratore di sostegno che informi il beneficiario circa gli atti da compiere, lo senta e tenga conto dei suoi bisogni, aspirazioni e richieste, con possibilità per il beneficiario di ricorso al giudice tutelare. Va peraltro considerato che per queste decisioni dovrebbe essere valorizzata fin che si può la capacità di fatto dell'interessato, a prescindere dalla definizione legale del suo status. Che un tutore - e soprattutto un tutore burocratico, quale l'assessore ai servizi sociali di una grande città o un amministratore di sostegno possano sostituire la propria volontà a quella di un cittadino che non voglia curarsi o rifiuti di essere istituzionalizzato, attuando una forma di trattamento coatto, era ed è discutibile e appare addirittura ripugnante nei casi in cui un'interdizione venga pronunciata strumentalmente a tali fini. Quando poi un soggetto si trovi nell'impossibilità assoluta di manifestare qualsiasi volontà, e si sia fuori dell'ipotesi dello stato di necessità che impone un intervento sanitario o di soccorso, è meglio riconoscere un potere di sostituzione ai parenti tenuti ad un compito di assistenza e protezione2. 5. I CONFINI DELL'AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO CON L'INABILITAZIONE amministrazione di sostegno è diventata lo strumento di protezione più idoneo anche per le persone in stato di infermità di mente non grave, che finora venivano inabilitate. Il regresso dell'inabilitazione non merita rimpianti. Nella pratica c'era una disaffezione rispetto a questa misura, ormai caduta in desuetudine per i sordomuti o i ciechi dalla nascita o dalla prima infanzia che non abbiano ricevuto una educazione sufficiente e ritenuta di scarsa utilità per le persone in stato di infermità di mente lieve. Essa è utile praticamente solo per scoraggiare i terzi dal compiere con l'inabilitato degli atti di disposizione immobiliare, che sarebbero annullabili se compiuti senza l'assistenza del curatore e l'autorizzazione del tribunale. Lo stato di inabilitazione non impedisce però che l'interessato sperperi il suo denaro con tanti singoli atti di liberalità o con spese voluttuarie ripetute rientranti nell'ordinaria amministrazione. Soprattutto, l'assistenza L’ L’AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO del curatore non costituisce un accompagnamento alla persona e non assicura il compimento in suo favore di atti che questi non voglia o possa effettuare. Un disabile si danneggia più spesso perché non esercita dei diritti o non adempie dei doveri (non paga le tasse o l'affitto o le bollette, non riscuote la pensione, ecc.) che per il fatto di compiere degli atti patrimoniali dannosi. A tutti questi scopi appare più idonea la protezione assicurata da un'amministrazione di sostegno. Se l'inabilitazione in generale serve a poco, si può ancora continuare ad applicarla a chi, per prodigalità, espone sé o la propria famiglia a gravi pregiudizi economici. Il prodigo che non sia affetto da infermità o menomazione fisica o psichica non può avere un amministratore di sostegno, ma se ha dei patrimoni importanti l'inabilitazione può costituire una remora al perfezionamento di atti di disposizione patrimoniale dannosi con i terzi. LA PROCEDURA DELL'AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO 1. LA COMPETENZA DEL GIUDICE TUTELARE ormalmente la procedura per l'amministrazione di sostegno inizia avanti al giudice tutelare. Anche quando sia promossa nell'ultimo anno prima della maggiore età (art. 405, comma 2, cod. civ.), affinché l'amministratore operi a decorrere dal diciottesimo anno, il ricorso deve essere proposto al giudice tutelare e non al tribunale per i minorenni. Il giudice tutelare viene così rivitalizzato come sportello periferico della giustizia della persona, prossimo ai bisogni e facilmente accessibile. La procedura si svolge davanti al giudice tutelare sia nella prima fase che porta all'istituzione dell'amministrazione, sia nella seconda fase della sua gestione. In ciò essa si differenzia dalla procedura di interdizione e inabilitazione, anch'essa bifasica, che nella prima fase fino alla sentenza di interdizione o inabilitazione si svolge avanti al tribunale ordinario o al tribunale per i minorenni N Antonio Padula, 63 anni Piccola rottamazione poetica Automobiline rottamate, silicone su piano inclinato, cm 40x62x30 23 L’AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO e nella fase di gestione della tutela o curatela diventa competenza del giudice tutelare. La procedura segue il rito definito di camera di consiglio, anche se recepisce alcune regole della procedura contenziosa dell'interdizione (art. 720bis cod. proc. civ.). La procedura è completamente gratuita, proprio perché rivolta a realizzare finalità dello Stato di protezione degli incapaci. Perciò gli atti e i provvedimenti non sono soggetti all'obbligo di registrazione (e dunque al pagamento della tassa di registro) e sono esenti dal contributo unificato richiesto per gli ordinari procedimenti civili (art. 46 bis, disp. att. cod. civ.). Chi vi ricorre deve pagare solo le spese per il rilascio di copia di atti e le spese richieste dall'ufficiale giudiziario per l'esecuzione delle notifiche. 2. I SOGGETTI LEGITTIMATI A PROPORRE RICORSO olti soggetti sono legittimati a proporre azioni formali per promuovere l'amministrazione di sostegno. Due vi sono obbligati quando sono a conoscenza di una situazione che lo impone, il pubblico ministero e i responsabili dei servizi sanitari e sociali; tre altri soggetti ne hanno facoltà, i parenti, i conviventi stabili e l'interessato. Prevedendo una legittimazione concorrente del pubblico ministero e dei responsabili dei servizi sanitari e sociali il legislatore ha voluto che la protezione della persona priva in tutto o in parte di autonomia diventi effettiva. Si è inteso ovviare al fenomeno diffuso dell'inerzia del pubblico ministero relativamente alla promozione di interdizione e inabilitazione, aggiungendo quali titolati all'iniziativa per l'amministrazione di sostegno i servizi che hanno un compito istituzionale di protezione dei soggetti deboli, sono direttamente a conoscenza delle situazioni su cui intervenire e possono meglio farsene portatori. Il pubblico ministero è legittimato a promuovere l'amministrazione di sostegno perché è la parte pubblica che interviene nella cause riguardanti la capacità delle persone (art. 70, comma 1, n. 3, cod. proc. civ.). Il fatto che la persona impossibilitata a provvedere ai propri interessi “può” essere assistita da un amministratore di sostegno non attribuisce al pubblico ministero una mera facoltà di ricorso, dovendo egli attivarsi ogni volta che ne ravvisi le condizioni. La legittimazione ad attivare l'amministrazione di sostegno dei responsabili dei servizi sanitari e sociali direttamente impegnati nella cura e assistenza della persona costituisce una novità in senso assoluto. Di norma i servizi sanitari e sociali hanno solo facoltà o doveri di segnalazione, di denuncia o di referto all'autorità giudizia- M 24 AIAF RIVISTA 3/2004 ria. In questo caso invece i responsabili dei servizi sanitari e sociali, ove a conoscenza di fatti tali da rendere opportuna l'apertura del procedimento, sono tenuti a presentare ricorso direttamente al giudice tutelare ovvero, in alternativa, a procedere alla segnalazione al pubblico ministero (art. 406, comma 3, cod. civ.). I servizi non possono invece ricorrere per promuovere l'interdizione o l'inabilitazione. Gli altri soggetti che possono presentare ricorso per l'amministrazione di sostegno sono i parenti entro il quarto grado (vi rientrano gli ascendenti, gli zii, i cugini primi), il coniuge, gli affini entro il secondo grado (il coniuge di un genitore o di un nonno, i cognati, i generi e le nuore). Ad essi si sono aggiunti i conviventi stabili del beneficiario, che possono meglio rendersi conto dei suoi bisogni. Infine lo stesso interessato, anche se minore di età ma ultradiciassettenne, e anche se interdetto o inabilitato, può proporre ricorso per l'istituzione a suo favore di una amministrazione di sostegno. Il sostegno attraverso una amministrazione diventa così un diritto direttamente esigibile dal beneficiario. Dal fatto che la procedura ha natura di volontaria giurisdizione, si deduce comunemente che le parti private (parenti e affini, coniuge, conviventi, soggetto beneficiario) possono presentare ricorso personalmente o, in alternativa, farsi rappresentare e difendere da un avvocato (richiedendo, se lo vogliono e ne ricorrono le condizioni, il patrocino a spese dello Stato. La questione è però controversa. Invece appare chiaro che i servizi possono depositare al giudice tutelare ricorso per l'amministrazione di sostegno in proprio, senza dovere essere assistiti da una difensore tecnico. 3. IL RICORSO l ricorso per l'amministrazione di sostegno deve indicare, oltre che i dati del ricorrente, le generalità del beneficiario, la sua dimora abituale, le ragioni per cui si richiede la nomina dell'amministratore, il nominativo e il domicilio (se conosciuti) del coniuge, dei discendenti, degli ascendenti, dei fratelli e dei conviventi del beneficiario (art. 407, comma 1, cod. civ.). Essenziale è una esaustiva elencazione delle ragioni per cui si chiede l'amministrazione di sostegno, al fine di individuare i bisogni della persona beneficiaria e i compiti di sostituzione e di assistenza che dovrebbero essere attribuiti all'amministratore. Il ricorso perciò deve illustrare brevemente le infermità o menomazioni della persona eventualmente con il corredo di una I SETTEMBRE - DICEMBRE 2004 documentazione sanitaria, spiegare che per effetto di esse la persona non può provvedere in tutto o in parte ai propri interessi di cura e di buona amministrazione patrimoniale, indicare con chi la persona vive e quale è la sua situazione patrimoniale e reddituale, proporre le attività di sostituzione o di assistenza che potrebbero essere attribuite all'amministratore. Il ricorso non va riempito con altri formalismi, perché sarà poi il giudice tutelare a richiedere le informazioni e a disporre gli accertamenti. Il ricorso presentato dai servizi sanitari o sociali potrebbe essere corredato da una relazione che racconti vicende personali e familiari, condizioni di salute, bisogni e desideri della persona interessata. Il ricorso deve essere depositato nella cancelleria del giudice tutelare del luogo dove la persona interessata ha residenza o domicilio. 4. IL PROCEDIMENTO l procedimento per l'istituzione dell'amministrazione di sostegno segue alcune regole elementari (indicate dall'art. 407 cod. civ. e dall'art. 720 bis cod. proc. civ., che dispone l'applicazione, in quanto compatibili, delle disposizioni degli art. 712, 713, 716, 719 e 720 cod. proc. civ.). Ricevuto il ricorso, il giudice tutelare fissa con decreto il giorno e l'ora dell'udienza in cui devono comparire avanti a lui il ricorrente, la persona proposta come beneficiaria dell'amministrazione e le persone indicate nel ricorso le cui informazioni ritenga utili (artt. 720 bis - 713, comma 1, cod. proc. civ.). Il ricorso e il decreto che dispone la comparizione devono essere portati a conoscenza della persona interessata all'amministrazione, la quale può perciò contraddire e difendersi, e delle persone indicate nel decreto, e comunicati al pubblico ministero (artt. 720 bis - 713, comma 2, cod. proc. civ.). A tale fine essi devono essere notificati, a cura del ricorrente, a mezzo dell'ufficiale giudiziario. Alcuni ritengono però che, come avviene di norma nei procedimenti in camera di consiglio, essendo in gioco interessi pubblici caratterizzati da un'ampia possibilità di azione di ufficio, il ricorso e il decreto debbano essere notificati a cura della cancelleria, che procederà tramite ufficiali giudiziari. Come soluzione intermedia altri propongono che il ricorrente debba provvedere a fare notificare il ricorso e il decreto a mezzo di ufficiale giudiziario al solo beneficiario, mentre la cancelleria provvederebbe a convocare con biglietti di cancelleria gli altri soggetti. Non essendo ancora chiara la modalità, è opportuno che chi ricorre si informi presso ogni tribu- I L’AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO nale sul modo in cui in quell'ufficio si ritiene debbano effettuarsi le notifiche. Il ricorso e il decreto dovrebbero essere notificati in busta chiusa, per non portare il loro contenuto a conoscere di terzi. L'audizione personale della persona cui il procedimento si riferisce è obbligatoria (a meno che la persona sia irreperibile) e, ove occorra, il giudice tutelare deve recarsi nel luogo in cui si trova per sentirla (art. 407, comma 2, cod. civ.). Prima ancora di questa audizione e in ogni momento, parallelamente a ciò che è disposto nella tutela degli interdetti e dei minori (art. 361 cod. civ.), il giudice tutelare può, anche di ufficio, se necessario, adottare i provvedimenti urgenti per la cura della persona interessata e l'amministrazione del suo patrimonio (art. 405, comma 4 cod. civ.). La sola presentazione del ricorso consente dunque che siano assunti subito i provvedimenti necessari urgenti di protezione di una persona non autonoma, ancora prima della sua audizione e precedentemente al decreto di nomina dell'amministratore. 5. LE INFORMAZIONI E GLI ACCERTAMENTI llo scopo di raccogliere i dati utili per la decisione il giudice tutelare procede all'assunzione delle informazioni dal ricorrente, dai parenti e dai terzi citati e provvede, anche di ufficio, per lo svolgimento degli accertamenti di natura medica e gli altri mezzi istruttori ritenuti utili (art. 407, comma 3, cod. civ.). Si deve accertare quale sia la menomazione o infermità che pregiudica il soggetto interessato, quali effetti abbia sulla sua capacità di agire, quali siano le sue residue capacità attuali di agire e come limitarle nel minore modo possibile, quale forma di sostegno gli potrebbe essere utile, come amministrare il patrimonio. Mentre nell'interdizione tradizionale il giudice doveva rivolgersi essenzialmente alla competenza psichiatrica, nell'amministrazione di sostegno è necessario soprattutto conoscere il contesto di vita, accertare le effettive disabilità sociali e le abilità residue o potenziali e definire quale progetto di integrazione sociale si deve sostenere e con quali atti attribuiti all'amministratore si può attuare tale sostegno. Occorre inoltre avere un quadro della situazione reddituale e patrimoniale del soggetto. A questo fine acquistano maggiore importanza le informazioni che pervengono dai parenti e dai servizi. Fra gli accertamenti nei casi più complessi o controversi rientra anche la consulenza tecnica medica. Cambia però il quesito da porre, che nell'articolazione delle domande deve comprendere anche la disabilità e il livello di autonomia resi- A 25 L’AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO dua del beneficiario, gli atti in cui bisogna sostituirlo o è sufficiente assisterlo o che può compiere da solo. Occorre capire non tanto il grado di capacità di intendere e di volere ma ciò che la persona è in grado di fare. 6. L'ISTITUZIONE DELL'AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO ll'esito della raccolta di queste informazioni il giudice tutelare, con decreto emanato entro sessanta giorni dal deposito del ricorso, istituisce l'amministrazione di sostegno e provvede alla nomina dell'amministratore (art. 405, comma 5, cod. civ.). Seguendo il modello delle tutele, il giudice tutelare può anche provvedere con due decreti separati, uno di istituzione dell'amministrazione e l'altro di nomina dell'amministratore. a. La scelta dell'amministratore deve avvenire secondo alcuni criteri predeterminati dalla legge (art. 408, comma 1, cod. civ.). Lo stesso interessato può avere designato l'amministratore in previsione della propria eventuale futura incapacità, designazione che può in ogni momento revocare successivamente. Egli può avere designato l'amministratore anche nel ricorso con cui ha chiesto per sé l'amministrazione o può averne indicato il nome quando è stato sentito dal giudice tutelare. Che l'amministrato abbia come amministratore una persona di sua fiducia, da cui si senta accompagnato, è molto importante per il significato stesso della misura. In mancanza di designazione, o disattendendola per gravi motivi, alla scelta dell'amministratore provvede il giudice tutelare. La nomina di una persona giusta è fondamentale. La sua scelta va fatta “con esclusivo riguardo alla cura e agli interessi della persona del beneficiario”, e quindi rivolta al soddisfacimento di bisogni che possono essere molto diversi ed esigere competenze a attitudini conseguenti. La preferenza va perciò di norma ai parenti e alla persona stabilmente convivente che per consuetudine di vita meglio possono svolgere le attività sostitutive di cura, privilegiando in questo modo la relazione affettiva, o alla persona indicata dal genitore superstite. Possono essere amministratori anche altre persone idonee. Per individuarle e prepararle appare lodevole l'iniziativa di corsi di formazione di amministratori di sostegno, rivolti a volontari, fra i quali il giudice tutelare possa attingere delle persone preparate e disponibili. Una alternativa interessante potrebbe essere seguire le indicazioni della associazioni degli utenti dei servizi, che dovrebbero venire coinvolte. Infine, può essere amministratore una delle per- A 26 AIAF RIVISTA 3/2004 sone giuridiche elencate nel titolo II del libro I cod. civ. (artt. 11-13 cod. civ.): scelta da riservare preferibilmente ai casi in cui l'attività sostituiva è di mera amministrazione di beni. Per l'amministratore di sostegno valgono le cause di incapacità e dispensa previste per il tutore (art. 411, comma 1 cod. civ., che richiama gli artt. 350-353 cod. civ.). b. Il decreto di nomina deve inoltre indicare la durata dell'incarico dell'amministratore, e quindi dell'amministrazione stessa, che può essere a tempo determinato o indeterminato. c. Il decreto determina anche l'oggetto della amministrazione, con l'indicazione degli atti che l'amministratore può o deve compiere in nome e per conto del beneficiario, degli atti che il beneficiario compie solo con l'assistenza dell'amministratore di sostegno e dei limiti di spese che l'amministratore può sostenere con l'utilizzo del denaro di cui il beneficiario dispone. Il giudice tutelare indica i contenuti dell'amministrazione in modo che corrispondano alle sue finalità di protezione, decidendoli di ufficio a prescindere dalle richieste delle parti (art. 407, comma 4, cod. civ.). Egli può disporre che l'amministratore sostituisca o assista il beneficiario nel compimento di qualsiasi atto in cui potrebbe sostituirlo un tutore o assisterlo un curatore. Il solo limite è che non può arrivare a privare il beneficiario di ogni spazio di autonomia perché il beneficiario “può, in ogni caso, compiere gli atti necessari a soddisfare le esigenze della propria vita quotidiana” (art. 409, comma 2, cod. civ.). Il giudice tutelare può anche allargare l'ambito di protezione disponendo che determinati effetti, limitazioni o decadenze, previsti da disposizioni di legge per l'interdetto o l'inabilitato, si estendano al beneficiario dell'amministrazione di sostegno, avuto riguardo all'interesse del medesimo e a quello tutelato dalle predette disposizioni (art. 411, comma 4, cod. civ.). Perciò anche nell'amministrazione di sostegno, quando il giudice tutelare lo dispone ritenendo che ne sia il caso, possono operare divieti, come quelli di contrarre matrimonio o di fare testamento. La giurisprudenza e le scienze sociali dovranno definire correttamente le categorie di atti per cui l'autonomia del soggetto viene ridotta e/o sostituita, sufficientemente chiare per assicurare l'affidamento dei terzi che consultino il registro delle amministrazioni di sostegno su cui vengono trascritte. d. Infine, il decreto di nomina deve prevedere la periodicità con cui l'amministratore di soste- SETTEMBRE - DICEMBRE 2004 gno è tenuto a riferire al giudice circa l'attività svolta e circa le condizioni di vita personale e sociale del beneficiario. La periodicità della relazione perciò è determinata non dalla legge ma dal giudice tutelare in relazione all'oggetto e alla durata dell'amministrazione. L'amministratore non ha, come il tutore, l'obbligo di un rendiconto annuale, ma ha un obbligo di relazione, che può presentare oralmente o redigere per iscritto. Il contenuto della relazione è ridotto rispetto ad un rendiconto relativamente ai dati patrimoniali e reddituali (a meno che il giudice tutelare prescriva un rendiconto) ma si estende alle condizioni di vita personali e sociali. 7. LA GESTIONE ella gestione della amministrazione di sostegno successiva alla sua apertura si devono sottolineare alcuni punti. a. L'amministratore di sostegno presta sempre giuramento (art, 411, comma 1, cod. civ., che richiama l'art. 349 cod. civ.) mentre non deve procedere all'inventario a meno che il decreto lo disponga (ex art. 411, comma 4, cod. civ.). b. Il giudice tutelare segue la gestione attraverso le relazioni che gli pervengono con la periodicità determinata nel decreto istitutivo dell'amministrazione e in ogni momento può convocare l'amministratore di sostegno allo scopo di chiedere informazioni, chiarimenti e notizie sulla gestione dell'amministrazione di sostegno e di dare istruzioni inerenti agli interessi morali e materiali del beneficiario (art. 44, disp. att. cod. civ.). c. I contenuti dell'amministrazione di sostegno possono variare lungo il periodo temporale della sua applicazione. Il giudice tutelare ha infatti dei poteri modificativi di integrare o modificare, in ogni momento e anche di ufficio, le decisioni assunte (artt. 407, comma 4; 411, comma 4, cod. civ.), fino a potere pervenire alla sostituzione dell'amministratore (art. 413, comma 1, cod. civ.) e, in determinate situazioni, al suo esonero, sospensione o rimozione (art. 411, comma 1 cod. civ., che rinvia agli artt. 383-384 cod. civ.). Ogni volta che il giudice tutelare modifica o integra le decisioni assunte, la persona cui il procedimento si riferisce deve essere necessariamente sentita. d. Nell'amministrazione di sostegno è flessibile anche la durata, che inizialmente può essere a tempo determinato o indeterminato (art. 405, comma 5, cod. civ.). Nel primo caso il giudice tutelare può prorogare l'incarico all'amministratore con decreto motivato pronunciato anche di ufficio prima della scadenza del ter- N L’AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO mine (art. 405, comma 6, cod. civ.); nel secondo caso in qualsiasi momento il giudice tutelare può disporre la cessazione dell'amministrazione quando essa si riveli inidonea a realizzare la piena tutela dell'interessato o si determinino altri presupposti per tale cessazione (art. 413, comma 1, cod. civ.). 8. GLI ATTI COMPIUTI NEL CORSO DELL'AMMINISTRAZIONE li atti compiuti nel corso dell'amministrazione di sostegno riferibili al beneficiario hanno un regime diverso a seconda della loro natura. a. Il beneficiario conserva la piena capacità di agire per gli atti non compresi nell'amministrazione (art. 409, comma 1 cod. civ.) e per gli atti necessari a soddisfare le esigenze della propria vita quotidiana (art. 409, comma 2 cod. civ.). b. Per compiere validamente alcuni atti, oggetto dell'amministrazione, il beneficiario deve necessariamente essere assistito dall'amministratore di sostegno (art. 405, comma 6, n. 4 cod. civ.). c. Ci sono poi altri atti, oggetto dell'amministrazione, che il beneficiario non può compiere e che in sua vece può compiere l'amministratore di sostegno quale rappresentante esclusivo (art. 405, comma 6, n. 3 cod. civ.). d. Infine, per il compimento degli atti più potenzialmente pregiudizievoli per il patrimonio che siano compresi nell'amministrazione, e rientrino fra quelli elencati negli artt. 375 e 376 cod. civ., l'amministratore deve essere specificamente autorizzato dal giudice tutelare (art. 411, comma 1, cod. civ.). Se però l'amministrazione è stata istituita per quel fatto specifico (come riscuotere la pensione ogni mese, vendere un bene, ecc.), nel decreto di istituzione è già compresa l'autorizzazione per quell'atto. Sono nulle le disposizioni patrimoniali del beneficiario dell'amministrazione a favore dell'amministratore, anche se fatte sotto nome di interposta persona (art, 411, comma 2, cod. civ.), ma sono valide le disposizioni testamentarie e le convenzioni fatte dall'amministrato a favore dell'amministratore che sia coniuge, parente entro il quarto grado o persona che sia stata chiamata alla funzione in quanto stabilmente convivente (art. 411, comma 3, cod. civ.). G 9. I PASSAGGI DALL'INTERDIZIONE O INABILITAZIONE ALL'AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO alvolta all'amministrazione di sostegno si Tnatura giunge in parallelo con un procedimento di contenziosa relativo all'interdizione o 27 L’AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO inabilitazione. a. Ciò si verifica anzitutto allorché, nel corso di un procedimento proposto avanti al tribunale ordinario per la dichiarazione di interdizione o inabilitazione, appare opportuno applicare all'interessato l'amministrazione di sostegno. In questo caso il giudice istruttore o il tribunale (a seconda della fase) di ufficio o a istanza di parte dispongono la trasmissione del procedimento al giudice tutelare e, con un decreto, possono anticipare i provvedimenti urgenti di amministrazione di sostegno di cui all'art. 405 cod. civ. (art. 418, ult. comma, cod. civ.). Il pubblico ministero e le parti private, ove concordino che la protezione della persona interessata possa essere definita con l'amministrazione, rinunciano agli atti del giudizio di interdizione o inabilitazione e segue l'estinzione del processo (art. 306 cod. civ.). Qualora invece una delle parti insista per la pronuncia di interdizione o inabilitazione, il tribunale provvede con sentenza a respingere o accogliere la domanda originaria. b. Invece nelle ipotesi in cui si voglia istituire l'amministrazione di sostegno per una persona già interdetta o inabilitata devono intervenire due procedure contemporanee: l'una di revoca dell'interdizione o inabilitazione avanti al tribunale; l'altra di nomina dell'amministratore di sostegno avanti al giudice tutelare. In questo caso il pubblico ministero, i soggetti legittimati e lo stesso interdetto o inabilitato propongono istanza al tribunale per la revoca dell'interdizione e dell'inabilitazione e, congiuntamente, ricorrono al giudice tutelare per l'istituzione dell'amministrazione di sostegno (art. 406, comma 2, cod. civ.). Va ricordato che l'interdetto non può chiedere al tribunale la sola revoca della propria interdizione ma la revoca congiuntamente con la richiesta al giudice tutelare di nomina di un amministratore di sostegno. Quando infine sia promosso un procedimento di mera revoca dell'interdizione o dell'inabilitazione (art. 429, ult. comma, cod. civ.), nel corso del giudizio il tribunale può, su istanza di parte o d'ufficio, disporre la trasmissione degli atti al giudice tutelare ove ritenga opportuno che successivamente alla revoca di interdizione o amministrazione il soggetto sia assistito da un amministratore di sostegno. Per dare continuità alla protezione della persona priva di autonomia e evitare sovrapposizioni di istituti diversi, il decreto con cui il giudice tutelare istituisce l'amministrazione di sostegno diventa esecutivo solo dalla pubblicazione della sentenza di revoca dell'interdizione o dell'inabili28 AIAF RIVISTA 3/2004 tazione (art. 405, comma 3, cod. civ.). 10. LA PUBBLICITÀ l fine di assicurare la correttezza delle relazioni con i terzi l'amministrazione di sostegno è soggetta ad un regime di pubblicità: la sua apertura e chiusura sono annotate in margine dell'atto di nascita del beneficiario; i decreti di apertura, di modifica e di chiusura sono iscritti in un apposito registro costituito presso il tribunale (art. 405, commi 7 e 8, cod. civ.). Il terzo, che dall'atto di nascita ha notizia dell'esistenza di una amministrazione, può quando ne abbia interesse conoscere dal registro costituito presso il tribunale quali atti il beneficiario dell'amministrazione può compiere da solo, in quali atti egli deve essere assistito, quali atti devono essere svolti dall'amministratore di sostegno. A L'AMMINISTRATORE, L'AMMINISTRATO E I SERVIZI 1. L'AMMINISTRATORE a finalità dell'amministrazione di sostegno di protezione del più debole si realizza attribuendo all'amministrare lo svolgimento di attività che hanno un rilievo giuridico (pertanto l'amministratore non può confondersi con un “badante”). L'amministratore ha solo i poteri conferiti dal giudice tutelare e non poteri generali di rappresentanza e gestione (art. 405, comma 5, cod. civ.). Egli può compiere determinati atti in nome e per conto del beneficiario, ovvero assistere il beneficiario nel compimento di atti, ovvero congiuntamente sostituire il beneficiario in alcuni atti e assisterlo in altri. I contenuti del mandato non sono però limitati a queste attività di cura e amministrazione con diretto rilievo giuridico. L'amministratore ha un compito più generale di accompagnamento e di comunicazione rivolto al beneficiario, con un occhio generale sulla sua persona. Egli infatti deve tenere conto dei bisogni e aspirazioni del beneficiario e informarlo tempestivamente circa gli atti da compiere (art. 410, commi 1 e 2, cod. civ.), verifica che il beneficiario non compia atti in violazione delle disposizioni (art. 412, comma 2, cod. civ.), informa il giudice tutelare sulla gestione dell'amministrazione e riceve istruzioni inerenti gli interessi morali e materiali del beneficiario (art. 44 disp. att. cod. civ.), chiede al giudice tutelare la revoca dell'amministrazione se non ne ricorrono più i presupposti (art. 413, comma 1, cod. civ.). In questi modi egli può costituire una sponda del beneficiario verso il giudice tutelare, verso i servizi, verso i terzi in genere. Il beneficiario a sua volta ha possibilità di dis- L SETTEMBRE - DICEMBRE 2004 sentire rispetto alle attività dell'amministratore. In questo caso l'amministratore deve tempestivamente informare il giudice tutelare di tale dissenso e il beneficiario può, ricorrendo al giudice tutelare, promuovere un embrionale incidente di esecuzione (art. 410, comma 2, cod. civ.). L'incarico dell'amministratore è gratuito (art. 411 cod. civ., che rinvia all'art. 379 cod. civ.). Egli può ottenere un equo indennizzo per la sua attività e il rimborso delle spese affrontate ma la sua attività non può gravare mai sul bilancio dello Stato (art. 3, comma 3, legge n. 6/2004). 2. L'ATTENZIONE ALLA PERSONA DEL BENEFICIARIO er quanto la cura della persona non sia indicata fra gli oggetti diretti dell'incarico di nomina dell'amministratore di sostegno (art. 405, comma 5, cod. civ.), è evidente che centrale è il raccordo fra la cura della persona del beneficiario e l'amministrazione del suo patrimonio. A ciò conduce il dato testuale di varie disposizioni sparse, che considerano i bisogni, le richieste, le esigenze di protezione, gli interessi della persona, le aspirazioni del beneficiario (artt. 407, comma 2; 408, comma 1; 410, commi 1 e 2, cod. civ.) al fine di realizzare la cura della persona, la conservazione e l'amministrazione del suo patrimonio e la sua piena tutela (artt. 405, comma 4; 413, comma 4, cod. civ.). L'amministratore deve perciò assumere, come criterio principale della sua attività, la destinazione delle risorse alla migliore qualità di vita della persona compatibile con le sue menomazioni. La preoccupazione per la persona come finalità dell'amministrazione di sostegno è confermata da altre norme: - il beneficiario conserva la capacità di agire per tutti quegli atti che non richiedono la rappresentanza esclusiva o l'assistenza necessaria dell'amministratore di sostegno e “può, in ogni caso, compiere gli atti necessari a soddisfare le esigenze della propria vita quotidiana” (art. 409, commi 1 e 2, cod. civ.); - il giudice tutelare deve sentire la persona cui il procedimento si riferisce e tenere conto, compatibilmente con gli interessi e le esigenze di protezione della persona, dei bisogni e delle richieste di questa (art. 407, comma 2, cod. civ.); - l'amministratore deve costantemente informare il beneficiario circa gli atti da compiere (art. 410, comma 2, cod. civ.). La direttiva doverosa di informazione del beneficiario e di presa in considerazione delle sue opinioni non esclude che, in qualche caso, il beneficiario non possa esprimere le sue opinioni e non sia possibile informarlo. Il legislatore ha voluto introdurre delle prassi virtuose di relazione ed ascolto con la persona debole che hanno rilievo e peso diverso a secon- P L’AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO da della condizione del soggetto cui sono destinate. 3. LA COLLABORAZIONE CON I SERVIZI l giudice tutelare può in ogni momento, nel corso di una amministrazione di sostegno, così come nel corso di una tutela o curatela, chiedere l'assistenza degli organi della pubblica amministrazione e di tutti gli enti corrispondono alle sue funzioni (art. 344, comma 2, cod. civ.). La legge non prevede espressamente degli altri collegamenti dell'apparato giudiziario che gestisce le tutele e curatele con i servizi sanitari e sociali pubblici e privati. Tali servizi compaiono invece in due norme relative all'amministrazione di sostegno. a. I responsabili dei servizi sanitari e sociali direttamente impegnati nella cura e assistenza della persona, ove a conoscenza di fatti tali da rendere opportuna l'apertura dell'amministrazione di sostegno, sono tenuti a proporre ricorso al giudice tutelare oppure a fornire notizia al pubblico ministero (art. 407 cod. civ.), svolgendo una funzione di segnalatori all'autorità giudiziaria che potranno proseguire quando la condizione di quella persona si modifichi. Il termine “servizi sanitari e sociali direttamente impegnati nella cura e assistenza della persona” indica i servizi che hanno queste competenze generali, a prescindere dal fatto che la persona per qualsiasi motivo non sia stata ancora presa in carico. b. La presenza dei servizi è implicita anche nel divieto di ricoprire le funzioni di amministratori di sostegno agli operatori dei servizi pubblici o privati che hanno in cura o in carico il beneficiario (art. 408, comma 3, cod. civ.). Il termine operatori sembra riferito in genere a quanti lavorano nei servizi, compresi i loro responsabili. Il divieto, analogo a quello fatto ai legali rappresentanti delle comunità di tipo familiare e degli istituti e a coloro che vi svolgono attività di essere chiamati all'incarico di tutori (art. 3, comma 3, legge n. 184/1983 sull'adozione), è legato alla preoccupazioni di evitare un conflitto di interessi che si poteva configurare e di non snaturare il percorso di amministrazione con un amministratore burocratico formale. L'incompatibilità fra le figure dell'operatore dei servizi e dell'amministratore di sostegno consente inoltre all'amministratore di fare valere i diritti del beneficiario anche nei confronti dei servizi che lo hanno in cura o in carico. A loro volta i servizi trovano nell'amministratore un interlocutore, di cui hanno bisogno per gestire utilmente delle situazioni difficili e per costruire in collaborazione dei progetti di vita per la persona priva di autonomia. Di fatto i provvedimenti di amministrazione di sostegno possono costituire un campo di straordi- I 29 L’AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO naria cooperazione del giudice tutelare e dell'amministratore di sostegno con le politiche dei servizi, instaurando una commistione profonda fra sistema giudiziario, in funzione di garanzia, e sistemi sanitario e socio assistenziale. LE NUOVE INTERDIZIONE E INABILITAZIONE 1. IL RICONOSCIMENTO DELL'AUTONOMIA POSSIBILE PER GLI INTERDETTI E GLI INABILITATI principio della riconoscibilità di una sfera di Idellalautonomia del beneficiario, pensata a misura sua abilità residua, ha contaminato anche il nuovo regime dell'interdizione e dell'inabilitazione. L'interdetto è civilmente una non persona, privata dell'esercizio diretto dei diritti e soggetto passivo delle decisioni di altri, con l'eccezione del diritto politico di voto attivo. Il legislatore si è però accorto che anche una persona gravemente invalidata da una infermità di mente può presentare delle aree di capacità. Perciò ha ora disposto che, in deroga del modello legale astratto, all'interdetto può essere riconosciuta una limitata capacità di agire, senza l'intervento del tutore ovvero con l'assistenza del tutore, rispetto ad alcuni atti di ordinaria amministrazione determinati dal giudice (art. 427, comma 1, cod. civ.). Fra questi atti possono essere significativi lo stipulare un contratto di lavoro e il prestare una attività lavorativa, il riscuotere lo stipendio o la pensione o il ritirare delle somme presso la banca, l'avere la libera disponibilità di un peculio. Anche per l'inabilitato può stabilirsi che possa compiere taluni atti eccedenti l'ordinaria amministrazione senza l'assistenza del curatore (art. 427, comma 1, cod. civ.). 2. LA PROCEDURA a procedura dell'interdizione e inabilitazione rimane bifasica. Prima il tribunale o il tribunale per i minorenni (a secondo che la procedura sia iniziata per un maggiorenne o per un infradiciottenne) con un rito formalmente contenzioso pronunciano sentenza con cui dichiarano la persona interdetta o inabilitata. Successivamente si apre una tutela o curatela presso il giudice tutelare. Le modifiche della procedura apportate dalla legge n. 6/2004 relative alla prima fase avanti al tribunale sono poche ma importanti. La stessa persona che può essere interdetta o inabilitata e le persone stabilmente con lei conviventi possono promuovere il giudizio di interdizione o inabilitazione (art. 417 cod. civ.). a. Il pubblico ministero può provvedere a promuovere il giudizio di interdizione o inabilitazione anche a seguito di informazione e sollecitazione del giudice tutelare, il quale abbia ritenuto che L 30 AIAF RIVISTA 3/2004 l'amministrazione di sostegno si riveli inidonea a realizzare la piena tutela del beneficiario (art. 413, comma 4, cod. civ.). b. Nel corso del giudizio di interdizione o inabilitazione anche l'abilità residua dell'interessato deve formare oggetto dell'indagine. Il tribunale poi, quando la con la sentenza pronuncia l'interdizione o inabilitazione, deve individuare questi spazi di autonomia possibile e prendere in considerazione la questione nella motivazione (art. 427, comma 1, cod. civ.). c. La nomina del tutore o del curatore provvisorio ovvero la sentenza che dichiara l'interdizione o l'inabilitazione determinano la cessazione dell'amministrazione di sostegno (art. 413, comma 4, cod. civ., norma cui deve attribuirsi una portata generale in tutte le situazioni in cui potrebbe verificarsi sovrapposizione delle misure). Anche successivamente, nel corso di una tutela o curatela, può richiedersi l'allargamento della capacità di agire dell'interdetto o inabilitato (art. 427, comma 1, cod. civ.). Infatti oggi varie forme di infermità di mente sono reversibili o si può con terapie alleviarne gli effetti, per cui con il miglioramento delle condizioni della persona occorre anche attenuare il regime originario più severo stabilito dalla sentenza di interdizione o inabilitazione. Possono farne richiesta il pubblico ministero, il tutore o il curatore, nonché le persone che sono legittimate a proporre ricorso per l'interdizione e l'inabilitazione. Possono chiederlo anche l'interdetto o inabilitato, in analogia al fatto che essi possono chiedere per sé la revoca della condizione di interdizione o inabilitazione per essere sottoposti all'amministrazione di sostegno (art. 406, commi 1 e 2, cod. civ.). Siccome rimane fermo lo status di interdizione o inabilitazione, la richiesta deve essere proposta al giudice tutelare. Il giudice tutelare, dopo avere sentito l'interessato, con decreto assume i provvedimenti attenuativi del regime precedente e può variarli nel tempo al modificarsi delle condizioni dell'interessato. Il decreto deve essere annotato nel registro delle tutele o curatele al fine di assicurare la pubblicità verso i terzi. Nel corso della tutela l'interdetto ha anche capacità processuale di proporre al tribunale, con l'assistenza di un difensore, istanza di revoca della sua interdizione, chiedendo congiuntamente al giudice tutelare di essere sottoposto ad amministrazione di sostegno (art. 406, commi 1 e 2, cod. civ.). * Procuratore della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni del Piemonte e della Valle d'Aosta, Torino SETTEMBRE - DICEMBRE 2004 L’AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO FINALITÀ DELLA LEGGE 6/04 E VALUTAZIONI SULLA SUA APPLICAZIONE A UN ANNO DAL VARO DANIELA GIANNONE* PRESUPPOSTI DELL'ISTITUTO E POTERI DELL'AMMINISTRATORE on la legge 9.1.2004 n. 6, in attuazione di una riforma nella materia da tempo auspicata, ha trovato ingresso nel nostro ordinamento l'istituto dell'amministrazione di sostegno. L'indubbia portata innovativa dell'intervento legislativo risiede nella specifica previsione di una protezione giuridica a quei soggetti che, nel dualismo interdizione-inabilitazione, ne sarebbero rimasti privi, consentendo di operare nei confronti di una fascia più ampia di individui, con modalità flessibili e graduate a seconda della difficoltà\disabilità presentate. La ratio della nuova normativa consiste precisamente nella “finalità di tutelare con la minore limitazione possibile della capacità di agire, le persone prive in tutto o in parte di autonomia nell'espletamento delle funzioni della vita quotidiana, mediante interventi di sostegno temporaneo o permanente”1: da ciò consegue il carattere residuale della misura interdittiva, attesa la priorità applicativa assegnata dal legislatore al nuovo istituto (sempre che, naturalmente, ne sussistano i presupposti). Il tema dei presupposti dell'amministrazione di sostegno verrà di seguito esaminato attraverso il necessario raffronto con quelli che fondano il provvedimento di tutela, sotto l'aspetto delle condizioni soggettive del destinatario, dei poteri dell'amministratore e del contenuto della gestione patrimoniale. C 1. CONDIZIONI SOGGETTIVE DEI DESTINATARI. a novellata normativa propone un sistema di protezione dell'incapace più articolato e flessibile, in ordine al quale appare rimesso all'interprete, attraverso una valutazione delle peculiarità della singola fattispecie concreta, pervenire all'applicazione dell'una o dell'altra misura; si consideri, infatti, che “l'abituale infermità di mente che rende incapaci di provvedere ai propri interessi”, tuttora richiesta per la pronuncia dell'interdizione, appare prima facie simile all'infermità psichica, anche parziale o temporanea, che rende impossibile provvedere ai propri interessi e costituisce condizione per la nomina dell'amministratore di sostegno. Tuttavia, la previsione, ai fini della pronuncia dell'interdizione, della circostanza che tale misu- L ra sia necessaria per assicurare un'adeguata protezione al soggetto (art.414 c.c.), e non solo per la cura dei propri interessi, viene di fatto a creare una gradazione tra le misure ed una notevole flessibilità operativa fra le stesse. Occorre rilevare, infatti, come quest'ultima chiosa e il riferimento, nell'art. 404 c.c. all'infermità o menomazione anche parziale e temporanea, venga utilizzata da alcuni interpreti come elemento per sostenere che sia applicabile l'A.S. anche in presenza di menomazioni totali e per ritenere che i due istituti siano di fatto interscambiabili, salvo doversi ricorrere all'interdizione ove ciò sia reso necessario per assicurare un'adeguata protezione. Si conviene sul fatto che le norme base con le quali si sarebbero dovute disegnare, in modo chiaro ed inequivoco, i presupposti e i contorni dei due istituti, si prestino a letture contrastanti, probabilmente frutto di mediazioni, tuttavia la questione pare risolvibile solo attraverso l'esame dell'intero corpo della legge, che esprime, invero, numerose e chiare norme dalle quali ricavare un'indicazione in senso opposto. In questo senso l'art. 405 n. 3 c.c., che, nel rappresentare il contenuto del decreto, prevede che il Giudice Tutelare debba fare espressa indicazione degli atti - solo quelli - che l'amministratore ha il potere di compiere in nome e per conto del destinatario; ovvero (al n. 4 dello stesso articolo) con l'assistenza dell'amministratore di sostegno, atteso che ex art. 409 c.c. “il beneficiario conserva la capacità di agire per tutti gli atti che non richiedono la rappresentanza esclusiva o l'assistenza necessaria dell'amministratore di sostegno”, come per “tutti gli atti necessari a soddisfare le esigenze della propria vita quotidiana”. Ancora all'art. 410 c.c. si legge: “Nello svolgimento dei suoi compiti l'amministratore di sostegno deve tenere conto dei bisogni e delle aspirazioni del beneficiario. L'amministratore deve tempestivamente informare il beneficiario circa gli atti da compiere, nonché il Giudice Tutelare in caso di dissenso con il beneficiario stesso”. Dal tenore delle norme sopra richiamate è difficile argomentare che l'A.S. possa prescindere da una capacità residua della persona che, invero, parrebbe essere una condizione necessaria e presupposto indispensabile del provvedimento. È peraltro evidente come in tanto le citate previsioni possano avere attuazione in quanto possa esservi un dialogo continuo fra amministrato e 31 L’AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO amministratore. Sul punto, chi invece sostiene l'applicabilità dell'amministrazione anche ai casi di totale compromissione ritiene che le disposizioni citate trovino applicazione eventuale solo ove il soggetto abbia effettivamente una capacità residuale, ritenendo il nuovo istituto compatibile anche con un'ipotesi di incapacità totale: a sostegno di tale tesi viene richiamata la disposizione di cui all'art 414 c.c. nuova formulazione, nella parte in cui subordinerebbe l'applicabilità dell'interdizione, alle sole ipotesi in cui questa sia l'unica inidonea a realizzare un'adeguata protezione dell'incapace. Deve rilevarsi, al riguardo, come gli stessi termini usati dal legislatore siano indicativi: a fronte di “un'abituale infermità che rende incapaci” di cui all'art 414 c.c., l'art. 404 c.c. fa riferimento ad “infermità ovvero menomazione fisica o psichica, di persona che si trovi nell'impossibilità di provvedere ai propri interessi”; l'etimologia del termine impossibilità indica la situazione di un soggetto che non è in grado di attivare le potenzialità di cui dispone. Si osserva come nell'art. 404 c.c. non si parli di incapacità bensì di impossibilità a curare i propri interessi; come l'impossibilità sia concetto che esprime una condizione che ben può coesistere con la capacità di agire, solo temporaneamente paralizzata o diminuita e che può prescindere da un'infermità. Si pensi a puro titolo esemplificativo alla persona immobilizzata per intervento chirurgico, al paraplegico, al politraumatizzato a seguito di un sinistro. Si può a ragione sostenere che l'A.S. rappresenti una terza ipotesi di incapacità legale: un'incapacità relativa in quanto riferita solo ad alcuni atti. Salvo situazioni eccezionali, dietro all' Amministrazione di sostegno c'è una persona capace, al più “inabilitata” a realizzare alcuni atti. Per giungere ad un risultato interpretativo adeguato, occorre completare l'esame di tutti i punti di possibile differenziazione fra l'istituto dell'A.S. e della tutela partendo dai poteri sulla persona, ossia quei poteri che maggiormente caratterizzano i due istituti. 2. POTERI DELL'AMMINISTRATORE: CURA DELLA PERSONA. ll'amministratore sono rimessi alcuni aspetti relativi alla cura della persona, nell'ambito di un generale potere e facoltà di cura, secondo quanto indicato nel provvedimento di nomina (cfr. artt. 405-408-410 cc). Ma quali sono i limiti di tale potere di cura visto che il beneficiario è un soggetto che mantiene capacità di agire? Sul punto è utile un raffronto con la figura del A 32 AIAF RIVISTA 3/2004 tutore, in particolare in ordine agli aspetti che individuano la relazione tutelato\tutore. È pacifico che il tutore (art 357 c.c.) abbia non solo la mera rappresentanza del tutelato (patrimoniale, di amministrazione), ma anche la cura integrale della persona, atteso che egli trae la sua legittimazione da una pronuncia giurisdizionale, che accerta la menomazione della sfera cognitiva e volitiva del soggetto in esame. Da questa premessa discendono dei corollari fondamentali: - il tutore ha il dovere di prendersi cura del tutelato, di reperire un adeguata collocazione (art 371 c.c.) e di individuare modalità di assistenza (c.d. progetto personalizzato) anche contro la volontà del soggetto; - il primo atto della tutela consiste nell'acquisire un progetto personalizzato dal quale ricavare le necessità di cura e collocazione del tutelato; - la gestione patrimoniale acquista un rilievo di strumentalità rispetto alla cura della persona; - il tutore non è arbitro della situazione del tutelato (non ha una delega in bianco), ma deve operare nell'ambito di un quadro autorizzato e controllato dal Giudice Tutelare; - il tutore non può non preoccuparsi di un soggetto dichiarato incapace di gestire i propri interessi perché ne ha, ex lege, la responsabilità. L'interdizione ha, pertanto, l'effetto di rendere giuridicamente rilevante il dovere di preoccuparsi di un altro soggetto (non secondo una generica e indefinibile “presa in carico”), analogamente a quanto compete al genitore nei confronti del figlio minore. Tutto ciò comporta l'individuazione di un potere\dovere del tutore in ordine alla collocazione del tutelato, disciplinata espressamente dagli artt. 371 c.c. e negli artt. 358 c.c. 44 disp.att. c.c., e costituisce il fondamento del potere d'intervento sino ad arrivare alla c.d. collocazione indotta. La tutela, quindi, è l'unico strumento che legittimi una collocazione protratta, anche contro la volontà dell'interessato, perché il soggetto non è stato ritenuto in grado di provvedere a se stesso. Nell'amministrazione di sostegno la situazione è diversa, non solo qualitativamente, ma anche quantitativamente. L'amministratore è al più un rappresentante per taluni atti, quando non un semplice assistente; l'amministratore deve occuparsi della persona dell'amministrato, se ciò sia previsto dal provvedimento del GT e, salvo situazioni di urgenza, non può comprimere la volontà del destinatario. L'amministratore può gestire la cura della persona nei limiti in cui ciò sia previsto dal provvedi- SETTEMBRE - DICEMBRE 2004 mento; tutto quanto va oltre potrebbe anche ritenersi illegittimo, in quanto una più ampia ed indiscriminata applicazione del provvedimento rischierebbe di invadere una sfera riservata a capacità ancora integre. Il Giudice può, al più, prevedere una sostituzione integrale dell'amministratore solo in via d'urgenza e per un periodo di tempo limitato. L'amministratore, pur essendo responsabile solo per gli atti delegati, ha una responsabilità specifica, strettamente connessa alla peculiarità del proprio ruolo: quella di svolgere una funzione di supporto e di mantenere un rapporto dialettico con l'amministrato, tanto da prevedersi un generale dovere di informativa del beneficiario in ordine agli atti da compiere nonché, in caso di contrasto (fra le valutazioni dell'amministratore e quelle dell' amministrato), di scelte o di atti dannosi per l'amministrato ovvero di negligenza del nominato nel perseguire l'interesse o nel soddisfare i bisogni e le richieste del beneficiario, uno specifico procedimento disciplinare innanzi al giudice tutelare (ex art. 406 c.c.). Al di là di questa particolare caratteristica, la responsabilità dell'amministratore rimane nei limiti del mandato individuato dal provvedimento del GT, mandato che non può, a sua volta, superare un certo livello d'invasività sia per gli atti di natura patrimoniale sia, soprattutto, per quelli inerenti alla sfera personale del beneficiario. Tutto ciò colloca l'amministratore in una posizione diversa rispetto alla responsabilità di “cura” di un soggetto incapace, che fa capo al tutore, sebbene il compito di cura, in senso lato, competa all'amministratore (artt. 405, 4° comma, 408, 410 c.c.), quanto meno in termini di monitoraggio della situazione e di sollecito di interventi che si rendano necessari. Ma allora fino a che punto possono spingersi i poteri dell'amministratore? Tale intervento appare attualmente dai confini incerti; ciò significa che soltanto attraverso l'esame dei casi pratici e della giurisprudenza che si formerà su di un numero significativo di essi, potranno aversi risposte più articolate; probabilmente dovrà prevedersi una negoziazione con la persona interessata-capace; certo occorrerà raccogliere le aspirazioni del beneficiario; probabilmente si verificherà l'opposizione di quest'ultimo rispetto ad indicazioni non di suo gradimento; sicuramente sarà difficile elidere, in modo stabile, la volontà del beneficiario in punto collocazione\residenzialità, salvo situazioni connotate dall'urgenza di provvedere (art 405 c.c.). L'urgenza, in generale, è condizione che legittima ciò che in una situazione normale ed ordinaria, non può esserlo, ma proprio per questo deve L’AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO mantenersi in limiti, interpretativi e temporali, rigorosi. Dall'art 405, 4 comma, c.c. pare di poter dedurre che solo in tale caso l'amministratore possa esercitare poteri invasivi legati alla cura della persona, analoghi a quelli del tutore. Si pensi al soggetto portatore di patologia psichiatrica che alterni momenti di lucidità a momenti di delirio e che, in dati momenti di scompenso, si venga a trovare nell'impossibilità di gestirsi, situazione da non confondersi con quella che legittima un TSO, ancorata alla necessità di praticare un trattamento terapeutico. In tale caso potrebbe il Giudice Tutelare, con un'amministrazione di sostegno temporanea, autorizzare anche un collocamento, senza il consenso della persona, in un luogo di cura fino a che si verifichi una situazione di relativo compenso. È evidente come debba utilizzarsi il massimo rigore sia per la durata del provvedimento sia per il monitoraggio delle condizioni del soggetto. Questa è l'unica, (oltre che temporanea) ipotesi in cui possa gestirsi con l'amministrazione un' incapacità anche totale. Finita l'emergenza, l'eventuale dissenso del beneficiario, nuovamente compensato, non potrebbe essere gestito con poteri coercitivi. Una collocazione residenziale protratta, in assenza del consenso del paziente, è configurabile solo nelle situazioni in cui le condizioni del soggetto rivestano i caratteri dell'infermità abituale, rientrandosi, allora, nella fattispecie della tutela caratterizzata dal potere\dovere del tutore di sostituirsi al tutelato. 3. GESTIONE PATRIMONIALE: CONTENUTI E MODALITÀ D'INTERVENTO. legge è chiara nel prevedere da parte delLattial'amministratore solo la gestione di alcuni sia di natura ordinaria che straordinaria; è evidente che, qualora il loro numero aumenti fino a coprire la quasi totalità degli atti, l'amministrazione possa non essere più lo strumento adatto: se l'amministratore non può riferirsi indiscriminatamente a tutti gli atti di gestione patrimoniale, come potrebbe intervenire in situazioni nelle quali il destinatario fosse completamente incapace e, in quanto tale, dovesse essere rappresentato per tutti gli atti da un altro soggetto? Qualora il confine fra gli atti possibili e quelli inibiti fosse marcatamente sbilanciato su questi ultimi, sorgerebbe il problema di rivalutare le condizioni della persona. Non pare condivisibile l'interpretazione secondo la quale l'A.S. potrebbe ugualmente disporsi ove il soggetto sia totalmente incapace ma non abbia 33 L’AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO patrimonio ovvero vi siano pochi atti da compiere (come riscuotere la pensione d'invalidità e indennità di accompagnamento, pagare una retta) dovendosi, in tal caso, procedere a meri e limitati atti di gestione del reddito. La questione pare mal posta, in quanto il presupposto per l'applicabilità dell'AS o dell'interdizione deve individuarsi nelle condizioni personali del soggetto; il criterio discretivo non può certo essere quello del patrimonio, perché in quest'ottica si avrebbe l'effetto paradossale, oltre che inaccettabile, che, a parità di condizioni soggettive, chi ha patrimonio verrebbe interdetto e chi ne è privo, amministrato. Il tentativo di dare alla nuova legge un'interpretazione sistematica impone di sottolineare alcune questioni che, ove non correttamente valutate, potrebbero tradursi in rilevanti CRITICITÀ della normativa: a) La questione legata alle garanzie. L'ambito di esercizio dei poteri dell'amministratore nella cura della persona è questione molto delicata, non solo accedendo all'interpretazione qui seguita, secondo la quale i presupposti per l'istituto devono essere individuati in una parziale compromissione (in tal caso è evidente il limite), ma anche ove si ritenesse che l'A.S. si applichi anche ai casi d'incapacità totale. Sul punto si osserva come per tale via si andrebbe sostanzialmente ad “incapacitare” un soggetto, modificandone lo status, senza le garanzie di una procedura che preveda il pieno contraddittorio e il diritto di difesa; verrebbe così snaturato il presupposto fondamentale che giustifica l'intervento sostitutivo della volontà di un soggetto a quella di un altro, e cioè un'incapacità conseguente a una patologia (infermità abituale) da non confondersi con la mera impossibilità a gestirsi, che abbiamo visto può coesistere con una residua capacità. È giustificata una procedura più agile, informale, celere, di competenza di un organo monocratico anche per l'accertamento, senza difesa tecnica, ove la posta in gioco non sia lo status di una persona ma solo l'intervento su singole facoltà, impregiudicata la residua capacità del soggetto, in primo luogo quanto alle scelte che investono la sfera personale. La questione assume contorni precisi ove si affronti il problema della collocazione e della residenzialità dei c.d. lungodegenti. Senza il consenso del destinatario, l'A.S. non può essere la via per normare e\o regolarizzare questo fenomeno; un intervento sostitutivo della volontà del soggetto può avvenire unicamente attraverso la figura del tutore e, dunque, solo ove vi sia una 34 AIAF RIVISTA 3/2004 situazione di accertata, e totale, compromissione a gestirsi della persona. Con l'A.S. può gestirsi l'emergenza, l'acuzie (analogamente a quanto si faceva con l'amministrazione provvisoria ex art. 35 L. 833\78) per un periodo limitato. Si è detto come per tale via potrebbe gestirsi l'accompagnamento del paziente sottoposto a TSO, al momento della cessazione, in un'ottica di collocazione residenziale limitata nei tempi; ma non può andarsi oltre. Va da sé che con l'A.S. non sia gestibile il consenso informato agli interventi chirurgici. L'A.S. è un bel termine, sarà un istituto utilissimo per quella fascia di persone che grazie a questa normativa avrà finalmente una protezione giuridica, ma un bel termine non deve mettere a posto la coscienza e rendere attuabile qualsiasi intervento sulla persona, anche più invasivo e meno garantistico di quanto sia legittimamente possibile con la tanto vituperata interdizione. La mancanza di rigore in materia di diritti della persona può portare a risultati abnormi e cioè riaprire le porte di istituzioni che si è voluto appartenere alla storia. Un termine può piacere e l'altro essere spiacevole, ma quello che conta è la sostanza che vi sta dietro; gli istituti giuridici sono di per sé neutri, diventano fondamentali i contenuti che vengano loro attribuiti e l'applicazione che ne venga fatta. In materia di libertà personale esiste una riserva di legge; pertanto una qualsiasi limitazione del diritto di autodeterminarsi di una persona, secondo il dettato dell'art 13 Costituzione, è possibile, e legittimo solo ove una legge ne abbia delimitato esattamente i confini: nella legge sull'Amministrazione di Sostegno non individuiamo un superamento di questi limiti. Se in materia penale la libertà personale è giustamente “blindata”, nella materia di cui ci occupiamo le valutazioni non sono differenti, perché interveniamo su quanto ci sia di più delicato: la possibile compressione delle scelte personali in ordine a modalità e luogo in cui vivere. In campo civilistico tali principi trovano puntuale attuazione in materia di trattamenti sanitari obbligatori, ambito in cui opera il massimo rigore nei tempi e nei controlli (giurisdizionali) della limitazione (esclusivamente a scopo terapeutico) del paziente psichiatrico. L'A.S si ribadisce potrà avere un'applicazione utilissima, importante, perché consente di attivare una protezione graduale in situazioni prima non considerate dal diritto, ma ad usarla nelle situazioni di totale incapacità mostra tutta la sua inadeguatezza in termini di: SETTEMBRE - DICEMBRE 2004 - garanzia del diritto di difesa del destinatario, poiché ove il soggetto fosse totalmente compromesso, egli non sarebbe in grado di “contraddire”, con il possibile verificarsi di procedure sommarie e gestioni che privano di fatto il destinatario di ogni facoltà; - chiarezza nei presupposti e nelle procedure che devono essere le prime garanzie per l'utente; il rimettere alla mera discrezionalità del Giudice, se intervenire anche in situazioni di totale incapacità o meno, è scelta che non pare considerata dalla normativa in esame. È importante avere un buon amministratore e un buon Giudice Tutelare ma ciò non basta, non basta neppure al Giudice, che vuole e, deve, avere, nei termini detti, dei confini al suo operare, consapevole della difficoltà dell'essere al tempo stesso “invasore” e “garante” della sfera di un soggetto che non può esplicare a pieno le sue potenzialità. b) l'interpretazione applicativa e il principio dell'affidamento dei terzi. Non si elimina lo stigma per il solo fatto di uti- L’AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO lizzare un termine etimologicamente più protettivo: i destinatari devono essere individuati senza confusione. Accedendo alla tesi che ritiene applicabile l'A.S. anche ai soggetti totalmente incapaci si avrebbe il risultato che un terzo, nell'interloquire con un amministrato, potrebbe legittimamente, dubitare di avere a che fare con un soggetto totalmente incapace, con il risultato che sarà portato a diffidarne e che lo stigma si verificherà ugualmente. Il messaggio per i terzi deve essere chiaro: l'Amministrazione di Sostegno non certifica una totale incapacità, ma solo un'impossibilità, una difficoltà del destinatario del provvedimento. L'amministrato, a sua volta, non deve percepire l'A.S. come uno strumento che lo presenti come un potenziale incapace. Per questi soggetti in difficoltà è stato pensato l'istituto dell'amministrazione di sostegno e non pare che la legge 6\2004, pur con alcune espressioni in apparente contrasto, abbia tradito la finalità di estendere la protezione oltre, ai soggetti totalmente incapaci. * Giudice del Tribunale di Torino, Sezione famiglia Massimiliano Prestandrea, 30 anni Recupero n.1 Incidente in città tappi di birra e filo di ferro su tavola di legno smaltata, cm 40x30 35 L’AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO AIAF RIVISTA 3/2004 FINALITÀ DELLA LEGGE 6/04 E VALUTAZIONI SULLA SUA APPLICAZIONE A UN ANNO DAL VARO MARCO ROSSI* L'AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO: ASPETTI PROCEDURALI a legge 9.1.2004 n 6 prevede una specifica procedura volta alla valutazione della sussistenza o meno dei presupposti necessari per l'apertura di un'amministrazione di sostegno a favore di un soggetto in difficoltà, definito dalla legge “beneficiario”. Il procedimento in oggetto verrà di seguito esaminato nei suoi profili maggiormente innovativi: l'individuazione dei soggetti legittimati a proporre la domanda, l'obbligatorietà o meno di assistenza tecnica nel procedimento, il contenuto del ricorso ed il decreto di fissazione di udienza. L 1. I LEGITTIMATI ATTIVI. art. 3 della predetta legge1 - che ha introdotto l'art. 406 c.c. - individua i soggetti legittimati attivi. La norma, al primo comma, indica come primo legittimato attivo lo stesso potenziale beneficiario2, anche se già interdetto o inabilitato, o se ancora minore. Opera poi un rinvio all'art. 417 c.c. che elenca invece, quali legittimati, in relazione all'amministrazione, il coniuge, la persona stabilmente convivente, i parenti entro il quarto grado, gli affini entro il secondo grado, il tutore, il curatore ed il Pubblico Ministero. Il terzo comma dell'art. 406 c.c. individua, in ultimo, quali legittimati anche i responsabili dei servizi sanitari e sociali direttamente impegnati nella cura e nell'assistenza della persona, istituendo un vero e proprio obbligo, pur mitigato dall'inciso “ove a conoscenza di fatti tali da rendere opportuna l'apertura del procedimento…”3, e dalla locuzione finale della norma, in forza della quale i servizi potrebbero alternativamente “fornirne comunque notizia al Pubblico Ministero”4. Le novità introdotte dalla legge sono pertanto sin qui da indicarsi nella possibilità che lo stesso beneficiario avvii il procedimento a proprio favore, nella modifica apportata in tema di interdizione ed inabilitazione all'articolo 417 c.c. richiamato, come visto, dall'articolo 406 c.c., con l'aggiunta tra i legittimati attivi anche della persona stabilmente convivente, e nella previsione della legittimazione attiva in capo ai responsabili dei servizi sanitari e sociali. Il riconoscimento della legittimazione attiva anche in capo allo stesso beneficiario - significativa innovazione nell'ambito del titolo XII del libro primo del codice civile - riassume bene la “ratio” sottesa alla legge 9/1/2004 n. 6 e va letta L’ 36 unitamente alla disposizione dell'art. 408 c.c., primo comma, secondo capoverso. Chi si trovi in difficoltà, con un'impossibilità anche parziale di provvedere ai propri interessi, e ritenga di poter necessitare del sostegno di un amministratore, può ricorrere direttamente al Giudice Tutelare, rappresentando le proprie difficoltà e richiedendo al giudice la nomina di un amministratore. È anche possibile immaginare una propria futura incapacità di agire e designare, nelle forme indicate dall'art. 408, primo comma, c.c. il proprio amministratore, scegliendo liberamente una persona di fiducia e vincolando anche lo stesso Giudice Tutelare a tale indicazione, fatta salva l'esistenza di gravi motivi. Il legislatore non ha tuttavia previsto, quale legittimato attivo alla proposizione del ricorso, anche il soggetto designato dal beneficiario, che quindi non potrà direttamente avviare il procedimento, ma potrà dare attuazione alla manifestazione di volontà del beneficiario, costituita dalla designazione, ricorrendo all'impulso di una delle categorie legittimate ed in particolare al Pubblico Ministero o ai servizi sanitari o sociali. Si può così cogliere appieno la portata della legge 9/1/2004 n. 6: uno strumento di protezione, con la 'minore limitazione possibile della capacità di agire'5, con possibilità dello stesso beneficiario di azionare il procedimento e di scegliersi l'amministratore. La previsione che estende anche alla persona stabilmente convivente la legittimazione attiva al procedimento ha invece recepito il mutamento avvenuto nel tempo all'interno della nostra struttura sociale, ove situazioni di convivenza si affiancano sempre più allo schema tradizionale costituito dalla famiglia fondata sul matrimonio. Il legislatore ha esteso la legittimazione attiva a favore della persona stabilmente convivente inserendola all'articolo 417 c.c., nelle norme in tema di interdizione e inabilitazione, istituti comportanti anche l'integrale sostituzione della persona, ed ha richiamato tale disposizione all'articolo 406 c.c. per l'amministrazione, strumento di sostegno all'individuo in situazioni connotate dall'impossibilità di cura dei propri interessi6. È chiara quindi l'intenzione del legislatore di introdurre nell'ambito dei diversi istituti una nuova categoria di legittimati attivi costituita dalla “persona stabilmente convivente” con il soggetto in difficoltà, senza operare distinguo, e a prescindere dall'invasività o meno dell'istituto utilizzato, superando così una lacuna in parte anacronistica. SETTEMBRE - DICEMBRE 2004 Il legislatore è stato volutamente sintetico nell'indicare il convivente quale legittimato attivo, ed ha colorato la convivenza di una particolare connotazione parlando di “persona stabilmente convivente”. La mera convivenza, come situazione di fatto, non sarebbe quindi elemento sufficiente per essere annoverati tra i legittimati attivi. Tale situazione di fatto deve, infatti, essere 'stabile', cioè non momentanea od occasionale, connotata in sostanza da elementi di solidità. Risulta particolarmente significativo, in tale contesto, il criterio temporale. Una convivenza significativamente duratura ed in atto al momento del deposito del ricorso non può che ritenersi stabile. È più complesso esaminare la situazione di una convivenza breve - seppur in atto al momento del deposito del ricorso - dove acquisirebbero rilievo altri indici che, a seconda dello specifico caso concreto, potrebbero essere sufficienti a configurare la stabilità del rapporto. Si pensi ad esempio a due soggetti che in funzione della loro convivenza abbiano contratto specifiche obbligazioni, acquistato beni in comune, deciso di gestire i reciproci redditi cumulativamente, connotando così la loro convivenza con elementi di solidità. Sorge poi l'ulteriore problema per il soggetto di fatto stabilmente convivente: dimostrare tale propria qualità, non necessariamente ancorata ad uno specifico dato formale quale ad esempio la comune residenza7. Ulteriore aspetto da affrontare è quello legato alla tipologia di convivenza. Si tratta cioè di capire se il legislatore abbia fatto riferimento alle convivenze more uxorio, o alla stabile convivenza connotata da altre motivazioni8, o se si possa estendere il concetto anche a convivenze diverse, come quelle riscontrabili all'interno di un contesto comunitario. È poco agevole fornire una soluzione univoca, poiché l'unico dato certo è la collocazione sistematica della “persona stabilmente convivente”, nell'ambito dei soggetti legittimati al deposito del ricorso, tra il “coniuge” ed i “parenti entro il quarto grado”. Ove si ritenesse prevalente l'assimilazione della persona stabilmente convivente al coniuge, si dovrebbe circoscrivere la categoria dei conviventi alle sole ipotesi connotate da un rapporto more uxorio. Ove si propendesse per la totale autonomia della categoria costituita dalla “persona stabilmente convivente”, si potrebbe far riferimento alle più diverse situazioni di convivenza. Quanto alla legittimazione in capo ai responsabili dei servizi sanitari o sociali la legge introduce una specifica previsione solo in tema di amministrazione, operando la scelta, per nulla casuale, di non estendere tale possibilità anche in tema di L’AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO interdizione e inabilitazione. L'amministrazione, infatti, rappresenta uno strumento di sostegno, più o meno esteso, a favore della persona in difficoltà, mentre con l'interdizione ed in parte con l'inabilitazione si ha una vera e propria sostituzione a vantaggio del soggetto incapace. Presupposto per la legittimazione dei servizi è che questi siano direttamente impegnati nella cura e nell'assistenza della persona, e che siano “a conoscenza di fatti tali da rendere opportuna l'apertura del procedimento”. I servizi devono quindi essere in possesso di elementi acquisiti in occasione della cura o assistenza alla persona, tali da evidenziare in modo esplicito o anche sintomatico un'impossibilità, anche parziale o temporanea, dell'individuo di provvedere ai propri interessi, in presenza di una infermità o di una menomazione fisica o psichica. In presenza di questi presupposti, i servizi devono attivarsi. Si tratta di un vero e proprio dovere: la norma è esplicita nell'indicare come i servizi “sono tenuti a proporre al giudice il ricorso…”9. Questo dovere, come visto, è solo mitigato dalla valutazione, demandata agli stessi servizi, circa la sussistenza di “fatti tali da rendere opportuna l'apertura del procedimento”10. Quando l'apertura del procedimento risulti opportuna i servizi non possono esimersi dall'attivarsi11. Tale inciso da un lato lascia un margine operativo verso il basso, cioè rispetto a situazioni meno chiare, ma dall'altro non permette ai servizi la possibilità di effettuare scelte nei casi in cui sussistano i requisiti richiesti dalla legge per avviare il procedimento. L'ultimo inciso dell'articolo 406 c.c. si presta poi ad una duplice interpretazione. La norma recita: “[I responsabili dei servizi sanitari e sociali]… sono tenuti a proporre al Giudice Tutelare il ricorso di cui all'articolo 407 o a fornirne comunque notizia al Pubblico Ministero”. È evidente che i responsabili dei servizi hanno la possibilità alternativa di proporre direttamente il ricorso o di darne notizia al Pubblico Ministero perché questi valuti se avviarlo o meno. È, invece, poco chiaro se i responsabili dei servizi debbano o meno “comunque” dare notizia al Pubblico Ministero anche nell'ipotesi in cui decidano di promuovere il ricorso. 2. GLI ALTRI SOGGETTI PRIVI DI LEGITTIMAZIONE ATTIVA. individuazione dei soggetti legittimati attraverso la disciplina dettata dall'art. 406 c.c., non preclude tuttavia la possibilità anche a soggetti non legittimati di attivarsi per ottenere l'avvio di un procedimento di amministrazione12. Infatti, il privato che, pur non rientrando tra le categorie di soggetti legittimati, sia a conoscenza di una specifica situazione meritevole di inter- L’ 37 L’AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO vento, potrà scegliere se segnalare il tutto ai sevizi sanitari o sociali competenti13 (dipartimenti di salute mentale o servizi sociali territoriali) o al Pubblico ministero, o allo stesso Giudice Tutelare. Il procedimento nei primi due casi potrà essere avviato o dai responsabili dei servizi sanitari o sociali, previa presa in carico della situazione, o direttamente dal Pubblico Ministero. La segnalazione al Giudice Tutelare dovrebbe invece comportare la trasmissione della notizia al Pubblico Ministero per l'esercizio dell'azione, non potendo il Giudice Tutelare promuovere di ufficio il procedimento, fatta salva l'ipotesi contemplata dagli articoli 418 u.c. c.c. e 429 u.c. c.c.. IUS POSTULANDI. ndividuati i soggetti che sono legittimati a depositare la richiesta14 o ricorso15 di amministrazione di sostegno, sorge il problema di verificare se sia o meno necessaria l'assistenza tecnica, cioè la presenza di un legale munito di specifica procura, e se solo questi possa depositare la richiesta o il ricorso. Fornire una risposta esaustiva a tale quesito non è un compito particolarmente agevole. È necessario infatti individuare a quale categoria di atti sia riconducibile l'amministrazione di sostegno, se cioè si tratti di un vero e proprio giudizio in cui le parti stanno in causa, dal contenuto e dalla forma contenziosa, o se si tratti di un procedimento di giurisdizione volontaria, ed in tale ultimo caso, se tale procedimento abbia o meno la forma contenziosa, o se verta o meno su questioni attinenti lo stato giuridico di un soggetto. Il procedimento di amministrazione di sostegno è lasciato nell'esclusiva competenza del Giudice Tutelare, che come è noto, provvede sempre e I Antonio Spadavecchia, 49 anni Giro di cappelli Colori ad olio su carta con inserzione di oro in fogli 2004 38 AIAF RIVISTA 3/2004 solo con decreto anche su istanza informale16, in procedimenti sempre ricondotti nell'ambito della volontaria giurisdizione a contenuto non contenzioso. Si potrebbe quindi ritenere che il procedimento di amministrazione possa rientrare nell'ambito dei procedimenti di giurisdizione volontaria. La definizione di tale categoria ha sempre posto alcune difficoltà, come anche l'individuazione esatta dei suoi caratteri peculiari e la delimitazione del suo contenuto. Autorevole dottrina ha ritenuto che il procedimento di giurisdizione volontaria sia diretto “ad attuare per ragioni di pubblico interesse un controllo circa la legalità di un atto e/o l'opportunità di taluni atti acchè i medesimi siano compiuti in modo che non siano lesi o sorpresi gli interessi di alcune categorie di soggetti”17. Il procedimento di volontaria giurisdizione dovrebbe essere connotato da alcune tipiche caratteristiche quali la mancanza della contrapposizione tra le parti in lite e del pieno contraddittorio tra le stesse, l'introduzione della domanda nella forma del ricorso, con possibilità di mutare la domanda nei suoi elementi costitutivi, la mancanza di uno specifico onere della prova a carico di un soggetto, la presenza di vasti poteri istruttori al giudice procedente, l'assenza di una specifica forma o ritualità degli atti, il contenuto del provvedimento conclusivo che non dovrebbe riconoscere uno specifico diritto ad un soggetto in danno ad un altro, il difetto del carattere della cosa giudicata sostanziale18. Le materie in cui si parla di volontaria giurisdizione dovrebbero essere distinte da un'attività di amministrazione che il legislatore ha affidato al giudice per motivi di terzietà e garanzia, concorrendo spesso in misura più o meno evidente un interesse pubblico alla definizione di una situazione che non prevede la sola contrapposizione di parti private19. La stessa Corte di Cassazione ha parlato di provvedimenti amministrativi riferendosi all'attività svolta dal Giudice Tutelare nell'ambito dei decreti autorizzativi emessi ai sensi degli articoli 374 c.c. e 737 c.p.c., atti che diventano efficaci con il decorso del tempo, ma che non hanno attitudine di acquisire efficacia di giudicato, né esplicito, né implicito20. La Corte di Cassazione ha ancora fatto cenno alla natura amministrativa dell'intervento del Giudice Tutelare in riferimento ai procedimenti ex art. 337 c.c.21, orientamento abbracciato anche da alcuni Tribunali per i Minorenni22, e da autorevole giurisprudenza di merito in tema di affidamento di minori ai sensi della legge n. 184/198323. Risulterebbe da ultimo riconducibile ad un'attività amministrativa anche quella disposta sempre dal SETTEMBRE - DICEMBRE 2004 Giudice Tutelare ai sensi dell'art. 371 c.c., pur investendo una materia delicatissima relativa alla vita del minore di età in tutela, estesa dall'art. 424 c.c. anche ai soggetti in stato di interdizione giudiziale24. Fornite la definizione, i caratteri ed il contenuto dei provvedimenti di giurisdizione volontaria, risulta tuttavia complesso individuare con certezza se un procedimento, seppur caratterizzato dagli elementi sopra ricordati, appartenga o meno a questa categoria, poiché da un lato, tale termine non è espressamente utilizzato dal legislatore se non in rari casi, come nell'art. 32 disp. att. c.c.,25 e poiché, dall'altro, non esiste una norma di raccordo generale tra la volontaria giurisdizione ed uno specifico rito, quale quello camerale disciplinato dagli articoli 737 e ss. c.p.c.26. La circostanza della singolare competenza esclusiva del Giudice Tutelare e quanto ora ricordato in tema di giurisdizione volontaria inducono a ritenere, secondo un'opinione che appare prevalente, che sia maggiormente ragionevole affermare che l'amministrazione di sostegno rientri nella categoria dei procedimenti di volontaria giurisdizione. Se si aderisce a questa soluzione non trova applicazione la disposizione di cui all'art. 82 c.p.c., e dunque non è automaticamente utilizzabile il “principio dell'onere del patrocinio”. È utile ribadire che nei procedimenti di giurisdizione volontaria è improprio parlare di parte, come di giudizio, elementi riportati espressamente dalla norma ultima citata. Se si dovesse interpretare l'art. 82 c.p.c. diversamente, estendendolo a tutti i procedimenti, fatti salvi quelli eccettuati, in nessun “procedimento” davanti al Giudice Tutelare la “parte” potrebbe ricorrere senza il patrocinio di un legale, e quindi i genitori dovrebbero essere assistiti nell'ambito dei ricorsi ai sensi dell'art. 320 c.c. o dell'art. 337 c.c., o nei ricorsi ex art. 3 legge n. 1185 del 1967, i tutori ed i curatori dovrebbero conferire delega ad un difensore per ricorrere al loro Giudice Tutelare ai sensi degli articoli 363 c.c., 374 c.c., 371 c.c. e 394 c.c. (solo per ricordare alcune norme), le minori dovrebbero munirsi di legale per ricorrere ai sensi dell'articolo 12 della legge n. 194 del 1978. È necessario fare un ulteriore passo avanti: ritenuta, secondo tale tesi, la riconducibilità del procedimento di amministrazione di sostegno nell'ambito della volontaria giurisdizione è indispensabile capire se si tratti di un procedimento avente natura e forma di volontaria giurisdizione o avente natura di giurisdizione volontaria e forma contenziosa. Si tratta cioè di stabilire se sia o meno utilizzabile la giurisprudenza che estende l'onere del patrocinio e gli effetti dell'articolo 82 c.p.c. anche L’AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO a tutti i procedimenti caratterizzati nella forma da richiami alla disciplina contenziosa. È utile ricordare la lunga elaborazione dottrinale e giurisprudenziale in materia di interdizione e di inabilitazione, procedimenti “diretti a costituire il soggetto nello stato di incapacità per l'esigenza di ordine pubblico di adeguare la situazione giuridica riflettente la capacità della persona a quella reale, e nel contempo tesa a preservare l'incapace dal compimento di atti che potrebbero essergli pregiudizievoli”27. Vi è sempre in questi casi concorrenza dell'interesse pubblico e privato. “La prevalenza dell'uno o dell'altro influisce solo sulla forma del procedimento, che è contenziosa quando ha maggior rilievo l'interesse generale, come in genere i procedimenti attinenti lo status delle persone; in tali casi il contraddittorio formale e la decisione con sentenza soggetta a tutti i mezzi normali di impugnazione sono preordinati al fine di assicurare una maggiore e più ampia tutela di tale interesse”28. Il procedimento di interdizione e inabilitazione è considerato dalla dottrina prevalente29 avente natura di giurisdizione volontaria e forma contenziosa 30, e la giurisprudenza ha affermato il principio secondo cui tale procedimento “ha per oggetto un accertamento sulla capacità di agire che incide sullo status della persona, la cui tutela non può prescindere dal rispetto delle norme in tema di patrocinio delle parti nel giudizio, e segnatamente di quella che impone il ministero di un procuratore legalmente esercente”31. La Corte di Cassazione ha evidenziato che tale procedimento risulta del tutto peculiare per la non disponibilità degli interessi coinvolti, per la posizione dei soggetti legittimati attivi, per i poteri inquisitori del giudice istruttore, per la natura dell'atto conclusivo, una 'sentenza' suscettibile di giudicato, ma revocabile, alla quale viene data una particolare pubblicità32. La forma contenziosa di tale procedimento è stata desunta dal contenuto della pronuncia della Corte Costituzionale n. 87 del 1968 che ha dichiarato la illegittimità costituzionale dell'art. 713 c.p.c. nella parte in cui prevedeva la possibilità di rigettare il ricorso senza istituire il pieno contraddittorio con l'istante, su semplice richiesta del Pubblico Ministero competente. Le osservazioni ora riportate riecheggiano chiare ed illustri posizioni della dottrina in tema di giurisdizione volontaria33, allorché sostiene la non piena idoneità del semplice rito camerale a garantire principi costituzionali relativi alla tutela giurisdizionale, con l'utilizzo di un procedimento scheletrico, privo di una predeterminazione normativa delle forme e dei termini. Si ritiene in sostanza la necessità di garantire il contradditto39 L’AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO rio tra i soggetti del procedimento, l'esercizio della facoltà di prova e la ricorribilità per Cassazione, quali elementi minimi perché il procedimento di giurisdizione volontaria possa rispettare i principi dell'ordinamento. L'esame della giurisprudenza della Corte di Cassazione, seppure in diverse materie, porta a concludere che si possa individuare un principio generale in forza del quale nei procedimenti di volontaria giurisdizione, ove si tratti di diritti sostanziali o di status, si debbano mantenere forme adeguate all'oggetto del procedimento, rientrando tra tali forme anche la difesa tecnica, a prescindere quindi alla forma camerale o speciale del singolo rito34. È pacifico da quanto esposto che il procedimento di interdizione e inabilitazione abbia natura di giurisdizione volontaria e forma contenziosa. Risulta più problematico equiparare sic et sempliciter tali procedimenti a quello di amministrazione e concludere il ragionamento affermando analogamente che anche la forma del procedimento di amministrazione debba essere contenziosa. È necessario verificare preliminarmente se sia o meno applicabile il principio sopra esposto e cioè se nel procedimento di amministrazione di sostegno si verta o meno in materia di status o di diritti sostanziali, ed in particolare se nel procedimento di amministrazione, analogamente a quanto avviene per l'interdizione e l'inabilitazione, si incida sull'integrale capacità di agire di un soggetto, con un provvedimento dichiarativo di un nuovo status. Tale verifica è tutt'altro che agevole, risultandone l'esito imprescindibilmente connesso all'esame di tutto il testo della legge 9/1/2004 n. 6 ed all'individuazione della ratio legis. Il dato testuale della legge non sembra individuare nell'amministrazione di sostegno un procedimento che privi il soggetto integralmente o in misura significativa della propria capacità di agire e men che meno un procedimento all'esito del quale si possa dichiarare uno specifico status giuridico. Tale conclusione appare desumibile, in sintesi, da diversi elementi: dalla dizione utilizzata nell'articolo 404 c.c. che prevede quale presupposto dell'emissione del decreto di apertura del procedimento uno stato di infermità o menomazione fisica o psichica che comporti una impossibilità35 anche parziale o temporanea di provvedere ai propri interessi; dal contenuto dell'articolo 407, comma secondo, c.c. che dispone che il giudice debba tener conto dei bisogni e delle richieste provenienti dal possibile beneficiario36; dall'articolo 409 c.c. che al primo comma recita “il beneficiario conserva la capacità di agi40 AIAF RIVISTA 3/2004 re per tutti gli atti che non richiedono la rappresentanza esclusiva o l'assistenza necessaria dell'amministratore di sostegno”37, e che al secondo comma sottolinea come in ogni caso il beneficiario può “compiere gli atti necessari a soddisfare le esigenze della propria vita quotidiana”; dall'articolo 410, comma primo, c.c. ove viene indicato che l'amministratore deve, quindi ha l'obbligo, di tener conto dei bisogni e delle aspirazioni del beneficiario38; dall'articolo 410, secondo comma, c.c. dal quale si desume che il beneficiario deve essere in grado di interloquire con il proprio amministratore, ricorrendo in caso di contrasto con quest'ultimo al suo Giudice Tutelare; dall'articolo 411 c.c. che richiamando, con espressa e tassativa enumerazione, le disposizioni in tema di tutela applicabili in quanto compatibili all'amministrazione, traccia linee inequivoche (non è necessario l'inventario39, non si procede ai sensi dell'art. 37140, non si ricorre al collegio ai sensi dell'art. 375,…), e da ultimo all'articolo 413 u.c. c.c.. Il Giudice Tutelare, in forza degli articoli 405 c.c. e 407 c.c., all'esito del procedimento di amministrazione, emette un decreto con il quale indica specifiche e limitate aree o categorie di atti per le quali il beneficiario sarà rappresentato dal suo amministratore o per le quali il beneficiario dovrà compiere l'atto unitamente al suo amministratore. Il provvedimento di amministrazione è quindi ritagliato sulle specifiche esigenze del singolo e dovrebbe incidere per sua stessa natura su aspetti limitati della capacità di agire, per permettere il più ampio rispetto del principio fondante l'intera struttura normativa, principio individuabile nell'articolo 1 della legge 9/1/2004 n. 641, norma persa in sede di trasposizione della disciplina in ambito codicistico. Il provvedimento di amministrazione di sostegno non può quindi incidere in modo invasivo sulla capacità di agire e non può essere sussumibile in categorie precostituite quanto agli effetti. Ogni provvedimento, ogni decreto, sarà un unicum per l'unicità che caratterizza le esigenze, le necessità e le peculiarità di ogni singolo individuo. Il provvedimento di amministrazione di sostegno non potrà del pari comprendere ogni categoria di atto e l'intera sfera della capacità di agire del soggetto, senza per ciò solo violare lo stesso disposto normativo. Si tratterà più facilmente di singole e specifiche limitazioni calzate su esigenze particolari rappresentate al giudice o emerse nel corso del procedimento. Risulta possibile sostenere, alla luce di quanto esposto, che il procedimento di amministrazione di sostegno non sia assimilabile, sotto il profilo contenutistico, ad un procedimento relativo allo SETTEMBRE - DICEMBRE 2004 status e che poco abbia a condividere quanto a natura ed effetti con il procedimento dichiarativo dell'interdizione o dell'inabilitazione, se non nella misura in cui intervenga, anche se con modalità completamente diverse, sulla capacità di agire. È dubbio, a questo punto, che si possa ritenere di essere in presenza di una forma contenziosa per il procedimento di amministrazione di sostegno, ed in effetti tale interpretazione è allo stato esclusa da parte della giurisprudenza di merito42, anche se non condivisa pacificamente43. La conclusione esposta apparirebbe altresì sorretta, sia dalla procedura applicata all'intera gamma dei procedimenti già di competenza del Giudice Tutelare, come sopra sommariamente richiamati, sia dalla circostanza che tra i legittimati vi siano anche i servizi sanitari e sociali44, indice di una diretta fruibilità ed accessibilità del procedimento, senza necessità di difesa tecnica, sia dalla circostanza che il Giudice Tutelare debba promuovere di ufficio il procedimento nei casi indicati dagli articoli 418 u.c. c.c. e 429 u.c. c.c., sia dalla difformità del dato testuale esistente tra l'articolo 406, primo comma, c.c. e l'articolo 417, primo comma, c.c.45. È utile chiarire che la possibilità dei soggetti legittimati a ricorrere a questo istituto senza necessità di difesa tecnica non comporta l'elisione delle diverse garanzie presenti nel procedimento di amministrazione di sostegno. Tali garanzie sono desumibili in parte dalle procedure già di competenza del Giudice Tutelare, in parte dalle norme richiamate dall'articolo 720 bis c.p.c. in quanto compatibili ed in parte dai principi generali del nostro ordinamento. È quindi pacifico che, al pari di quanto avviene davanti al Giudice Tutelare nel procedimento ai sensi dell'art. 337 c.c., o nel procedimento ai sensi dell'articolo 3 legge n. 1185 del 1967, o nel procedimento ex art. 384 c.c., solo per citare alcuni dei casi più ricorrenti, tutti i soggetti coinvolti nel procedimento devono essere posti in grado di conoscere pienamente l'oggetto di cui si tratta, rappresentando al giudice le loro posizioni e le loro eventuali istanze. Si osserva, inoltre, che nell'amministrazione di sostegno - proprio anche ai fini di cui sopra - lo stesso legislatore ha tracciato il contenuto del procedimento. Ha indicato agli artt. 405 e 407 c.c. la forma dell'atto introduttivo; all'art. 407, primo comma, c.c. ha specificato il contenuto minimo dello stesso atto; agli articoli 404 c.c. e 712 c.p.c. ha individuato il giudice competente; all'art. 407 c.c. ed attraverso il richiamo all'art. 713 c.p.c., in quanto compatibile, ha evidenziato la necessità per il giudice di fissare l'udienza per L’AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO l'esame e la disciplina relativa alla comunicazione del ricorso46; all'art. 407, secondo comma, c.c. ha specificato la necessità di procedere comunque all'esame del possibile beneficiario; all'articolo 407, terzo comma, c.c. ha precisato l'esigenza di sentire le persone potenzialmente legittimate, ricorrente incluso, soggetti che potrebbero in tale ambito proporre al giudice dei 'temi di prova'; ancora all'articolo 407, terzo comma, c.c. ha indicato la possibilità di approfondire l'istruttoria con l'assunzione di informazioni, con accertamenti di natura medica, e con “tutti gli altri mezzi istruttori utili ai fini della decisione”; all'art. 407 u.c. c.c. ha chiarito la necessità dell'intervento del Pubblico Ministero; all'art. 719 c.p.c. ha specificato i termini per l'impugnazione e da ultimo all'art. 720 bis c.p.c. ha individuato la possibilità di reclamare il provvedimento davanti alla Corte di Appello e di ricorrere per Cassazione47 contro il decreto emesso dalla Corte di Appello. È chiaro che il procedimento così come delineato ha una propria scansione temporale, quantificata anche nell'estensione complessiva, come indicato all'art. 405, primo comma, c.c.48. Risultano quindi superabili, nello specifico caso del procedimento di amministrazione di sostegno, le acute osservazioni provenienti da parte della dottrina in merito alla non piena idoneità del semplice rito camerale a garantire principi costituzionali relativi alla tutela giurisdizionale, poiché da un lato, come visto, la disciplina garantisce la conoscenza del procedimento, individua la procedura - le cui modalità sono regolate in modo espresso e non derogabile -, consente ai soggetti coinvolti di indicare 'temi di prova', e prevede il reclamo alla Corte di Appello o il ricorso per Cassazione, e poiché, dall'altro come illustrato - il procedimento comunque non investe una pronuncia sullo status o sull'integrale capacità di agire di un soggetto. CONTENUTO MINIMO DEL RICORSO. l ricorso deve avere un contenuto ben preciso. Mi riferisco non solo al contenuto minimo previsto dalla legge, ma anche al fatto che la natura del provvedimento di amministrazione comporta per il giudice la necessaria conoscenza della concreta situazione in cui versi il possibile beneficiario. Il contenuto previsto dalla legge è riportato all'art. 407, primo comma, c.c. che dispone come il ricorso debba necessariamente indicare: le generalità del beneficiario, la sua dimora abituale, le ragioni per cui si chiede la nomina dell'amministratore di sostegno, il nominativo ed il domicilio, se conosciuti dal ricorrente, del coniuge, dei discendenti, degli ascendenti, dei fratelli e I 41 L’AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO dei conviventi del beneficiario. La norma appare sufficientemente lineare, ma una lettura attenta della legge nel suo complesso evidenzia la necessità di valutare se procedere o meno al coordinamento del primo comma dell'articolo 407 c.c. con l'articolo 712 c.p.c. richiamato dall'articolo 720 bis c.p.c. ed applicabile in quanto compatibile. L'articolo 712 c.p.c., in forza dell'espresso richiamo, dovrebbe avere una seppur ridotta portata applicativa nell'ambito del procedimento di amministrazione. È necessario precisare che il legislatore non ha scisso gli aspetti sostanziali da quelli procedurali nell'ambito delle norme che vanno dall'art. 404 c.c. all'articolo 413 c.c.49. Il legislatore, eccettuato l'articolo 720 bis c.p.c. non ha introdotto nel codice di procedura civile specifiche previsioni. Diverse disposizioni a valenza procedurale sono di fatto state inserite nel codice civile. La presenza dell'articolo 720 bis c.p.c. ed il richiamo effettuato da questa norma dovrebbero quindi rilevare esclusivamente per gli aspetti procedimentali non regolati dalle norme inserite nel codice civile. L'inciso “in quanto compatibili” dell'articolo 720 bis potrebbe assumere un duplice rilievo: la compatibilità dovrebbe essere valutata sia in relazione al fatto che esistono già altre disposizioni a contenuto procedimentale nel codice civile, sia per la circostanza del richiamo ad articoli del codice di procedura civile nati per disciplinare il procedimento per interdizione e inabilitazione, istituti, come visto, decisamente diversi dall'amministrazione nelle forme e nei contenuti. L'articolo 712 c.p.c. individua la forma della domanda, il criterio per determinare il giudice territorialmente competente, il contenuto del ricorso, l'elencazione dei soggetti i cui dati anagrafici devono essere riportati. Tutti questi elementi sono già disciplinati dalle disposizioni contenute nel codice civile. Gli articoli 406 c.c. e 407 c.c. evidenziano che la domanda va introdotta con ricorso; l'articolo 404 indica il criterio individuante il Giudice Tutelare territorialmente competente; l'articolo 407 c.c. disciplina il contenuto del ricorso, ed indica quali siano i soggetti i cui dati devono essere riportati nel ricorso. Gli unici elementi differenzianti l'articolo 712 c.p.c. dal contenuto delle disposizioni ora citate, consistono nel fatto che la disposizione del codice di procedura civile richiede l'indicazione del nome, del cognome e della residenza delle persone da indicare in ricorso, mentre l'articolo 407 c.c. richiede solo il nominativo ed il domicilio, e la circostanza che l'articolo 712 c.p.c. indichi tra le categorie di soggetti anche gli affini entro il secondo grado ed i parenti entro il quarto. 42 AIAF RIVISTA 3/2004 Il problema, da un punto di vista esclusivamente pratico, potrebbe sembrare di poco rilievo; in realtà diventa discriminante ove si ritenga che il richiamo all'art. 712 c.p.c. comporti la necessità di integrare il contenuto minimo del ricorso. È possibile in sostanza sostenere sia che il richiamo all'articolo 712 c.p.c. debba fermarsi al primo comma di tale norma, e quindi utilizzare la disposizione solo al fine di ribadire quale sia l'atto introduttivo o il criterio di competenza territoriale, come è possibile sostenere che il richiamo vada esteso anche al secondo comma dell'articolo 712 c.p.c., ampliando la categoria dei soggetti prossimi al potenziale beneficiario i cui estremi dovrebbero essere indicati in ricorso con maggiore precisione di quanto richieda l'art. 407 c.c.. Si tratterebbe non solo di indicare il nominativo e il domicilio tra gli altri di discendenti ed ascendenti, ma anche dei parenti entro il quarto grado e gli affini entro il secondo, e per tutti con l'indicazione del nome, cognome e residenza. L'elasticità e l'immediatezza che dovrebbero connotare il procedimento di amministrazione sembrano far propendere più per la prima soluzione, cioè per una reiterazione in ambito processual civilistico di dati già presenti nel codice civile, ritenendo 'non compatibile' l'estensione delle categorie indicate dall'art. 712 c.p.c., secondo comma, in ambito di amministrazione di sostegno per la presenza di una difforme espressa previsione normativa all'interno dell'art. 407 c.c.. ELEMENTI ULTERIORI DEL RICORSO. a particolare natura del procedimento, le indicazioni puntuali contenute nell'articolo 405 del codice civile e la conseguente necessità di un'istruttoria sufficientemente approfondita inducono a dare un contenuto preciso al termine “ragioni” utilizzato dal legislatore. Sarà in sostanza sufficiente indicare i motivi che hanno indotto a chiedere l'amministrazione ma sarebbe opportuno che nel ricorso fossero precisati: 1) le condizioni di vita della persona per la quale si chiede l'amministrazione: dove viva, con chi viva, da chi sia assistita, se lavori o sia beneficiario di pensioni e di che tipo, se sia titolare di conti o depositi, o di altri beni; 2) le eventuali infermità o menomazioni fisiche o psichiche da cui sarebbe affetta la persona per la quale si chiede l'amministrazione, e se sia o meno seguita dai servizi sociali o dai servizi psichiatrici indicando l'assistente sociale o il medico di riferimento e la sede dei servizi sociali o dell'ambulatorio, oltre all'indicazione del medico di base; 3) gli atti che la persona per la quale si chiede l'amministrazione non sarebbe in grado di L SETTEMBRE - DICEMBRE 2004 compiere specificando ad esempio se la persona appaia o meno in grado di utilizzare le entrate mensili, di pagare le spese ricorrenti, di gestire somme di denaro a cadenza mensile o settimanale, ed altro. Sarebbe altresì opportuno che il ricorso contenesse altri elementi non indicati dal primo comma dell'articolo 407 c.c., ma comunque utili ai fini della procedura in esame. Il ricorrente dovrebbe poi specificare le eventuali ragioni di urgenza per l'emissione di un provvedimento ai sensi dell'articolo 405, comma quarto, c.c., indicando ad esempio quali atti pregiudizievoli stiano per essere compiuti dalla persona, o quali atti necessari ed indifferibili, che la persona non può compiere, debbano essere posti in essere a suo favore. Il ricorrente potrebbe, altresì, indicare se il possibile beneficiario abbia o meno già designato un potenziale amministratore ai sensi dell'articolo 408 del codice civile. Il ricorrente potrebbe ancora indicare se il possibile beneficiario sia o meno in grado di muoversi autonomamente per poter essere convocato in Tribunale per l'esame, o se l'esame necessariamente debba essere svolto presso la residenza o la dimora. Il ricorrente potrebbe allegare un certificato indicante i precisi estremi anagrafici del possibile beneficiario e la documentazione medica attestante le esatte condizioni di salute. Ci sono, quindi, molti elementi che non vengono indicati come necessari dalla legge, ma che risultano particolarmente utili per le valutazioni del Giudice Tutelare e per garantire la celerità del procedimento e l'efficacia del provvedimento. IL DECRETO DI FISSAZIONE DELL'UDIENZA. epositato il ricorso, il giudice competente dovrà in primo luogo verificare se esistano o meno le ragioni di urgenza indicate nell'articolo 405 comma quarto. Conclusa questa fase preliminare, il giudice dovrà fare in modo che il soggetto individuato come beneficiario possa avere piena conoscenza del contenuto del ricorso. È necessario che il potenziale beneficiario sappia quali sono i motivi che hanno indotto un terzo ad attivare il procedimento e che possa, ove dissenta da questi, contrapporre le proprie ragioni, ed ove li condivida, confermarli specificando i propri bisogni e le proprie richieste. Si pone il problema di stabilire chi debba procedere alla comunicazione del decreto e del ricorso al beneficiario ed ai terzi indicati nel ricorso stesso, e se i terzi indicati debbano o meno avere, prima dell'udienza, piena conoscenza del contenuto del ricorso. D L’AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO È, infatti, possibile sostenere che il ricorrente debba notificare il ricorso ed il decreto; o che sia la cancelleria del Giudice Tutelare a dover comunicare il contenuto del decreto e del ricorso; o che il ricorrente debba notificare al solo possibile beneficiario, risultando a carico della cancelleria l'onere di comunicare agli altri soggetti; o che la cancelleria debba eseguire la comunicazione al solo potenziale beneficiario, essendo onere del ricorrente far comparire gli altri soggetti terzi indicati in ricorso. La questione non è di facile soluzione e chiaramente la risposta al quesito muta a seconda della posizione adottata in merito alla forma contenziosa o meno del procedimento di amministrazione, procedimento che, come visto, parrebbe meglio corrispondere alla natura di giurisdizione volontaria. Chi, infatti, ritiene che la forma sia contenziosa dovrebbe necessariamente optare per la notifica a cura del ricorrente, che introduce la domanda a tutti i soggetti parti del procedimento, come avviene per l'interdizione o l'inabilitazione. Il giudice nel decreto in cui fissa l'udienza pone a carico del ricorrente l'onere della notifica sia all'interdicendo o all'inabilitando sia alle persone indicate in ricorso le cui informazioni potrebbero risultare utili. Chi, al contrario, ritiene che la forma non sia contenziosa potrebbe abbracciare una delle diverse opzioni sopra indicate. Il dato normativo non offre una soluzione radicale al problema. È infatti necessario richiamare gli articoli 407 c.c. e 713 c.p.c.. Quest'ultima norma, applicabile in quanto compatibile, è nata per disciplinare il procedimento di interdizione e inabilitazione: prevede in sintesi al primo comma il compito del Presidente di nominare il giudice istruttore e fissare l'udienza di comparizione, ed al secondo comma l'obbligo di notifica a cura del ricorrente del ricorso e del decreto alle persone le cui informazioni siano ritenute utili. Il primo comma dell'articolo 713 c.p.c. non risulta compatibile con la disciplina in tema di amministrazione per ciò che concerne la fase presidenziale. Il procedimento di amministrazione si svolge, infatti, davanti al solo Giudice Tutelare. Il primo comma è quindi forse compatibile solo nella parte in cui prevede che il Giudice Tutelare fissi l'udienza di comparizione del ricorrente, del possibile beneficiario e delle altre persone indicate in ricorso le cui informazioni ritenga utili. Si tratta tuttavia di una 'compatibilità' ultronea rispetto alla previsione contenuta nell'art. 407 c.c.. È infatti chiaro che, poiché il Giudice Tutelare deve sentire il beneficiario e gli altri sogget43 L’AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO ti indicati in ricorso, deve necessariamente fissare una o più udienze. Il secondo comma dell'art. 713 c.p.c., che prevede l'onere di notifica a carico del ricorrente, risulterebbe astrattamente applicabile per intero all'amministrazione, salvo confliggere con la ratio dell'amministrazione di sostegno e con la forma non contenziosa del procedimento. La norma risulta compatibile nella parte in cui prevede la notifica del ricorso e del decreto al possibile beneficiario, realizzando l'effettiva e piena conoscibilità da parte di quest'ultimo dell'atto introduttivo del procedimento a proprio favore. Tale previsione non confligge, come sopra visto, neppure con la natura non contenziosa del procedimento, realizzando al contrario una di quelle garanzie necessarie in tema di giurisdizione volontaria. Si tratterebbe in sostanza del solo onere a carico del ricorrente, all'interno di un procedimento rapido e snello, strumento atto a garantire la piena conoscibilità dell'atto prima dell'udienza, a differenza di quanto avviene negli altri procedimenti di competenza del Giudice Tutelare ove la cancelleria provvede ad effettuare la comunicazione50. Risulta più difficile ritenere che l'articolo 713 c.p.c. secondo comma sia compatibile con la disciplina in tema di amministrazione, nella parte in cui prevede l'onere a carico del ricorrente di notificare ricorso e decreto a tutti i soggetti indicati in ricorso le cui informazioni siano ritenute ex ante utili dal giudice. Tale difficile compatibilità emerge dall'esame dell'articolo 407 c.c.. L'articolo 407 c.c. prevede, al secondo comma, l'obbligo del giudice di sentire personalmente il potenziale beneficiario, mentre al terzo comma dispone che il giudice provveda, assunte le necessarie informazioni e sentiti i soggetti indicati nell'art. 406 c.c.. Il terzo comma dell'articolo, prosegue con l'inciso “[il giudice]… in caso di mancata comparizione [dei soggetti di cui all'art. 406] provvede comunque sul ricorso. Dispone altresì anche di ufficio, gli accertamenti di natura medica e tutti gli altri mezzi istruttori utili ai fini della decisione.”, ed al quinto comma indica l'obbligatorietà dell'intervento del Pubblico Ministero nel procedimento. La norma prevede, quindi, che tutti i possibili legittimati attivi siano messi in grado di comparire in udienza, ove lo vogliano, per essere sentiti nell'ambito dell'impiego dei poteri istruttori conferiti al Giudice Tutelare. Questi soggetti non assumono la veste di parte in senso tecnico, non possono formulare una vera e propria domanda51, e vengono sentiti a sommarie informazioni all'interno di un procedimento necessariamente rapido52, pur potendo, 44 AIAF RIVISTA 3/2004 come tutti i soggetti del procedimento, evidenziare al giudice aspetti o circostanze meritevoli di essere approfondite attraverso i poteri istruttori di quest'ultimo. Emerge da quanto esposto che la conoscenza effettiva e completa del ricorso prima dell'udienza da parte dei soggetti legittimati attivi non ricorrenti sia poco compatibile con la forma non contenziosa del procedimento e, in ogni caso, con la funzione da questi rivestita. Sembra risultare quindi maggiormente conforme all'intera architettura normativa la soluzione secondo cui il ricorrente dovrebbe notificare il ricorso introduttivo ed il decreto emesso dal Giudice Tutelare al solo possibile beneficiario, risultando a carico della cancelleria l'onere di comunicare agli altri soggetti con biglietto di cancelleria il contenuto del solo decreto emesso dal Giudice Tutelare, permettendo loro di conoscere la data dell'udienza ed il motivo della stessa. CONCLUSIONI. na lettura critica della legge 9/1/2004 n. 6 evidenzia l'esistenza di molti problemi interpretativi e di alcune incongruenze, forse solo apparenti, che esclusivamente le pronunzie giurisprudenziali, in particolare delle Corti di Appello e della Corte di Cassazione, potranno sciogliere. Spetta ora ai diversi operatori del diritto, alla dottrina ed alla giurisprudenza, ed anche agli operatori del settore sanitario e sociale, dare piena attuazione alla volontà del legislatore, superando gli ostacoli esistenti, senza dimenticare la portata rivoluzionaria di questa legge nell'interesse esclusivo dei soggetti deboli: i veri destinatari della norma. U * Giudice del Tribunale di Torino, Ufficio del Giudice Tutelare SETTEMBRE - DICEMBRE 2004 L’AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO NOTE 1 Verranno nel proseguo citate esclusivamente le norme del codice civile come introdotte dalla legge n. 6/2004. 2 Tale novità riguarda anche il soggetto interdicendo o inabilitando come risulta dalla nuova formulazione dell'art. 417 c.c.. 3 Articolo 406 u.c. c.c. 4 Articolo 406 u.c. c.c. 5 Tale formula è riportata nell'articolo 1 della legge 9/1/2004 n. 6. 6 I presupposti per l'applicazione dell'amministrazione di sostegno sono indicati all'articolo 404 c.c., norma che fa riferimento all'impossibilità di cura degli interessi a seguito di una infermità o menomazione fisica o psichica che pregiudichi l'autonomia del soggetto. 7 È possibile immaginare che l'interessato possa fornire diversi elementi utili dai quali desumere l'effettiva convivenza, a prescindere dal dato formale della residenza, documentando ad esempio la cointestazione di beni significativi, come l'abitazione o un conto bancario di gestione comune ai conviventi, o rappresentando al giudice altre specifiche circostanze. 8 Si pensi ad esempio alla convivenza motivata da semplice amicizia, o connessa ad esigenze di natura economica per il riparto di spese comuni, o connotata da legami di natura affettiva. 9 Si veda l'articolo 406 u.c. c.c. 10 Si veda l'articolo 406 u.c. c.c. 11 Si tratta in sostanza di una “opportunità” connotata da una valenza oggettiva. È quindi importante non confondere il dovere di attivarsi in presenza degli elementi che rendono “opportuna l'apertura del procedimento”, con le valutazioni effettuate dai servizi in relazione alla concreta situazione del potenziale beneficiario. 12 M.F. Christillin, in Raccolta Atti Seminario CSM-EGIDA, 27 marzo, 18 aprile, 8 maggio 2004, pag. 21 e ss. 13 La segnalazione dovrebbe essere indirizzata ai servizi di salute mentale o ai servizi sociali presenti sul territorio in funzione della causa originante la difficoltà, e cioè se la stessa sia conseguente ad una patologia psichiatrica o ad una menomazione fisica o psichica. Il dovere di attivazione dei servizi previsto dalla legge dovrebbe indurre gli stessi, ove non fossero direttamente competenti, a trasmettere la segnalazione ricevuta al servizio realmente competente, trattandosi di una mera ripartizione interna del carico di lavoro, o al Pubblico Ministero per le proprie determinazioni. 14 Termine utilizzato all'art. 405, primo comma, c.c.. 15 Termine utilizzato, tra l'altro, agli articoli 406 c.c. e 407 c.c.. 16 È necessario richiamare in materia l'art. 43 disp. att. al codice civile. 17 A. Jannuzzi, Manuale della Volontaria Giurisdizione, Giuffrè Editore Milano, 2000. 18 ibidem 19 G.Cian - A. Trabucchi, Codice di Procedura Civile Annotato, Cedam, 1999. 20 Cass. Civ. Sez. II, 6 agosto 2001, n. 10822, in Giust. Civ. Mass., 2001, 1551. 21 Cass. Civ. Sez. I, 3 novembre 2000, n. 14360, in Giust. Civ. Mass., 2000, 2504. 22 Tribunale per i Minorenni Perugia, 13 giugno 1997, in Rass. Giur. Umbra, 1998, 17, nota Tarquinio. 23 Pretura Roma, 12 dicembre 1983, in Giust. Civ., 1984, I, 1339. 24 Cass. Civ. Sez. I, 8 ottobre 1979 n. 5195, in Giust. Civ., 1980, I, 115. 25 G.Cian - A. Trabucchi, op.cit., art. 737 c.p.c.. 26 ibidem 27 A. Jannuzzi, op. cit., pag. 7 e ss.. 28 A. Jannuzzi, op. cit., ibidem 29 Vedasi in particolare Carnelutti, Iannuzzi e Mandrioli. 30 M.F. Christillin, in Raccolta Atti Seminario CSM-EGIDA 27 marzo, 18 aprile, 8 maggio 2004, pag. 21 e ss. 31 Cass. Civ. Sez. I, 22 giugno 1994 n. 5967, in Giust. Civ., 1980, I, 115. 32 Cass. ult. cit. 33 Proto Pisani, in R. d. Civ. 90, I, 393 e ss.; Civinini, I procedimenti in camera di consiglio, 1994; Carratta, R. trim. 92, 1049. 34 Cass. Civ. Sez. I, 30 luglio 1996, n. 6900; Cass. Civ. Sez. I, 27 giugno 1997, n. 5770; Cass. Civ. Sez. II, 18 febbraio 1999, n. 1375; Cass. Civ. Sez. I, 10 gennaio 1996, n. 156. 35 Il peso di ogni singola parola per i legislatore dovrebbe essere essenziale. Il termine impossibilità è del tutto difforme dal termine incapacità utilizzato in tema di interdizione o inabilitazione. La dizione utilizzata per individuare le ipotesi di interdizione nell'articolo 414 del codice civile è “abituale infermità di mente” tale da comportare l'incapacità di provvedere ai propri interessi con la contestuale necessità di assicurare alla persona un'adeguata protezione non altrimenti garantibile. Le ipotesi connesse all'inabilitazione sono più articolate. La norma fa riferimento ad una “infermità di mente” che non comporti l'integrale incapacità di provvedere ai propri interessi oppure ad uno stato di prodigalità o abuso abituale di sostanze alcoliche o stupefacenti con grave pregiudizio economico per la persona o per la sua famiglia, oppure alla situazione del sordomuto o cieco dalla nascita o dalla prima infanzia, privi di sufficiente educazione e non del tutto incapaci di provvedere ai loro interessi. Risulta poi poco convincente la posizione dottrinale che di fronte a queste ultime osservazioni ritiene che il legislatore abbia utilizzato impropriamente il termine impossibilità, e che l'interprete evidenziando tali anomalie lessicali, cioè la difformità tra impossibilità ed incapacità, commetta un eccesso di rigore interpre- 45 L’AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO AIAF RIVISTA 3/2004 tativo: qualora, del resto, si opinasse diversamente, vi sarebbe una notevole difficoltà a comprendere la differenza tra il soggetto che per infermità psichica si trova nelle condizioni di dover essere interdetto, poiché incapace di provvedere ai suoi interessi, e l'analoga situazione del soggetto che, sempre incapace, sia invece da sottoporre ad amministrazione di sostegno. 36 Tale norma evidenzia la sussistenza di una buona capacità residua in capo al potenziale beneficiario. 37 Risulterebbe quindi implicita la permanenza di capacità di agire in capo al beneficiario. 38 Tale norma presuppone l'esistenza di un beneficiario non solo con discrete capacità, ma anche in grado di esprimere delle aspirazioni e dei desideri chiaramente rappresentabili e percepibili dal suo amministratore, in un rapporto pienamente dialettico. 39 La mancanza di un atto di inventario de beni, speculare rispetto alla disciplina in vigore in tema di inabilitazione e curatela, evidenzia che l'amministrato dovrebbe avere una capacità tale da poter tutelare autonomamente in misura parziale i propri interessi, quanto meno, al pari dell'inabilitato. 40 Il mancato richiamo al provvedimento in tema di collocazione e scelte fondamentali per il quotidiano dovrebbe dimostrare l'autonomia del beneficiario nell'affrontare tali problemi. 41 L'articolo 1 della legge recita: “La presente legge ha la finalità di tutelare, con la minore limitazione possibile della capacità di agire, le persone prive in tutto o in parte di autonomia nell'espletamento delle funzioni della vita quotidiana, mediante interventi di sostegno temporaneo o permanente”. 42 La posizione esposta, limitatamente allo ius postulandi, risulterebbe, allo stato, condivisa tra gli altri, anche se non univocamente, dal Tribunale di Milano, Palermo, Torino,Cuneo, Alessandria, Ancona, Asti, Alba, Mondovì, Saluzzo. 43 Tali conclusioni in tema di ius postulandi non risulterebbero condivise da altri tribunali tra cui per certo Padova e, Biella. Il Giudice Tutelare di Padova ha emesso un articolato decreto in materia, ed il Giudice Tutelare di Biella ha ritenuto che i servizi sociali dovessero comunque ricorrere al patrocinio legale. 44 Risulta difficile immaginare che i singoli servizi sul territorio debbano necessariamente ricorrere all'assistenza tecnica di un legale ove intendano direttamente promuovere il ricorso, magari per ragioni di urgenza, senza transitare attraverso l'intervento del Pubblico Ministero. 45 La prima norma richiamata dispone che il ricorso per l'amministrazione possa essere “proposto” dai legittimati, mentre la seconda norma prevede che interdizione e inabilitazione possano essere “promosse”. 46 L'articolo 713 c.p.c., come vedremo oltre, deve necessariamente essere applicato, come ricorda l'inciso dell'art. 720 bis c.p.c. 'in quanto compatibile' con la disciplina dettata dagli articoli 404 - 413 c.c. in tema di amministrazione ed in particolare con quanto disposto dall'art. 406 c.c.. 47 La possibilità di ricorrere per Cassazione pone un problema di delicata soluzione relativamente alla necessità di difesa tecnica. Il procedimento di amministrazione di sostegno, secondo una delle tesi esposte, risulterebbe attivabile senza necessità di difesa tecnica, pur prevedendo al contempo la ricorribilità per Cassazione. 48 Il Giudice Tutelare dovrebbe riuscire a provvedere in sessanta giorni. 49 È utile ricordare che l'articolo 407 c.c. è stato rubricato “Procedimento” e di fatto disciplina, almeno in parte, la procedura da seguire nell'amministrazione di sostegno. 50 La cancelleria del Giudice Tutelare nei vari procedimenti di volontaria giurisdizione provvede, su richiesta del Giudice, a comunicare agli interessati la pendenza del procedimento e la data di udienza. Gli interessati, tuttavia, non conoscono sempre e necessariamente a priori il contenuto degli atti che hanno originato la convocazione, ma solo il motivo della stessa. 51 L'unica domanda contemplata nel procedimento è l'accoglimento del ricorso con apertura del procedimento o il rigetto del ricorso con la trasmissione degli atti in archivio o al Pubblico Ministero per l'eventuale avvio di un procedimento di inabilitazione o interdizione. 52 Il legislatore vorrebbe che il giudice chiudesse il procedimento entro sessanta giorni dal deposito del ricorso, come indicato nell'articolo 405 c.c., termine che tuttavia appare avente natura ordinatoria e non perentoria. Luigi Funedda, 41 anni Riccardo Gazzillo, 36 anni Roberto Mizzon, 48 anni Simona Occhipinti, 27 anni Gianni Oriente, 60 anni Nadia Primiani, 44 anni Accoglienza Inaccoglienza acrilici su cartoncini telati fissati a tavola di cm 160x120 46 SETTEMBRE - DICEMBRE 2004 L’AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO FINALITÀ DELLA LEGGE 6/04 E VALUTAZIONI SULLA SUA APPLICAZIONE A UN ANNO DAL VARO LAURA COSENTINI* FINALITA' E RATIO DELLA RIFORMA A rt.1 L.6/2004: “Finalità della legge” “La presente legge ha la finalità di tutelare, con la minore limitazione possibile della capacità di agire, le persone prive in tutto o in parte di autonomia nell'espletamento delle funzioni della vita quotidiana, mediante interventi di sostegno temporaneo o permanente”. Tale esplicita intenzione del legislatore viene sinteticamente riassunta nella modificata rubrica del Titolo XII, non più “Dell'infermità di mente, dell'interdizione e dell'inabilitazione”, bensì “Delle misure di protezione delle persone prive in tutto o in parte di autonomia”. Il Titolo II è quindi suddiviso in Capo I “Dell'amministrazione di sostegno”, e Capo II “Della interdizione, della inabilitazione e della incapacità naturale”. Il legislatore si è con ciò proposto, nei termini esattamente indicati all'art.1, di offrire al soggetto disabile un regime di protezione che gli dia tutti gli strumenti di assistenza e sostegno di volta in volta necessari in funzione del suo deficit, comprimendo il meno possibile quelle aree residuali di capacità e autonomia di cui sia comunque dotato. L'intervento dell'ordinamento a favore della persona disabile è quindi incentrato sul concetto di protezione, là dove sia utile e necessaria, e non più sul concetto di divieto, qual è il significato primo del termine interdizione, ossia di preclusione al compimento di qualunque atto negoziale, esteso indiscriminatamente a qualunque atto di natura sia personale sia patrimoniale. Sembra con ciò abbandonarsi l'impostazione che per tanti anni si è ritenuta alla base dell'interdizione, quando si affermava che l'interesse perseguito dall'ordinamento era in primo luogo di natura pubblica, eliminare il disordine giuridico che si viene a creare se nella realtà giuridica si presume capace di agire un soggetto che in realtà è un incapace, e quindi intervenire con una pronuncia che ne escluda la capacità giuridica, a tutela dei terzi che stabiliscano rapporti con lui; l'interesse soggettivo dell'incapace diveniva quindi oggetto di attenzione e tutela solo dopo l'accertamento e la dichiarazione della sua incapacità, mediante la costituzione dell'ufficio tutelare. Ora invece al centro dell'attenzione è l'incapace, con la sua persona, i suoi bisogni, le sue diffi- coltà, le sue aspirazioni (termine significativo perché richiama il diritto del soggetto ad avere un futuro), e sino a che sia possibile l'ordinamento deve offrirgli strumenti di protezione nelle singole aree e nei singoli momenti in cui si riveli necessario, senza emettere una pronuncia di totale esclusione della sua capacità di agire. Lo strumento dell'A.S. consente di “ritagliare” sulla persona dell'incapace un intervento di protezione che lo assista e lo affianchi in quelle aree e in quei momenti in cui ciò appaia necessario, caratterizzandosi il decreto del G.T. per la flessibilità di un contenuto che avrà l'incidenza e l'estensione che lo stesso giudice riterrà di prevedere in funzione delle necessità di protezione emerse. Così inteso avrebbe potuto avere anche la portata più estesa possibile, idonea a coprire, con maggiore o minore incisività, tutte le aree di deficit presenti nel soggetto, con ciò venendosi a sostituire agli istituti già previsti di interdizione e inabilitazione. Il legislatore tuttavia non ha ritenuto di procedere in tal senso, ma ha mantenuto nel nostro ordinamento, sia l'istituto dell'interdizione, proposto quale estrema ratio (dal combinato disposto degli artt.413 comma 4 e 414 c.c. ne emerge come soluzione necessaria per assicurare adeguata protezione all'infermo di mente incapace di provvedere ai propri interessi, là dove l'amministrazione di sostegno si riveli misura inidonea a realizzare la piena tutela del soggetto), sia l'istituto dell'inabilitazione. Starà all'interprete individuare la non chiara linea di confine tra i tre istituti, ovvero capire sino a che punto è consentito estendere l'ambito d'intervento dell'amministratore di sostegno, quando divenga necessario rimettere integralmente a un tutore la cura della persona e del suo patrimonio, quando sia sufficiente affiancare al soggetto un mero curatore. POTERI DI AMMINISTRATORE DI SOSTEGNO, TUTORE, CURATORE ella ricerca di una linea scriminante tra Amministrazione di Sostegno, Tutela, Curatela, può essere utile guardare preliminarmente ai poteri e ambiti d'intervento che l'ordinamento riconosce all'A.S., al tutore, al curatore. Vengono in considerazione le seguenti norme: Art.357 c.c. “il tutore ha la cura della persona del minore,<dell'interdetto ex art.424 c.c.>, lo rappresenta in tutti gli atti civili e ne amministra i beni N 47 L’AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO Art.405 c.c. comma 5 “Il decreto di nomina dell'amministratore di sostegno deve contenere l'indicazione:1)… 2)… 3) dell'oggetto dell'incarico e degli atti che l'amministratore di sostegno ha il potere di compiere in nome e per conto del beneficiario.. 4) degli atti che il beneficiario può compiere solo con l'assistenza dell'amministratore di sostegno;..” Art.409 c.c. “Il beneficiario conserva la capacità di agire per tutti gli atti che non richiedono la rappresentanza esclusiva o l'assistenza necessaria dell'amministratore di sostegno. Art.394 c.c. “Il minore emancipato <l'inabilitato, ex art.424 c.c.> può con l'assistenza del curatore riscuotere i capitali… può stare in giudizio… Per gli altri atti eccedenti l'ordinaria amministrazione, oltre il consenso del curatore è necessaria l'autorizzazione del giudice tutelare… Per gli atti indicati nell'art.375 c.c. l'autorizzazione deve essere data dal tribunale…” Nel raffrontare le funzioni di tutore e Amministratore di Sostegno, se ne ricava che, se al tutore è riconosciuta la rappresentanza esclusiva del tutelato in tutti gli atti civili e il potere di amministrarne i beni nella loro generalità, con piena libertà di azione nell'individuare i necessari atti da compiere (sia pure sotto il controllo del G.T.), all'A.S. è riconosciuto il potere di compiere (in rappresentanza esclusiva o in assistenza) solo quegli atti che, indicati singolarmente o per tipologie, siano compresi dal G.T. nel decreto di nomina, nella consapevolezza che il beneficiario conserva la capacità di agire per tutti gli atti che non siano stati espressamente menzionati. Nel raffrontare le funzioni di Amministratore di Sostegno e curatore, se ne ricava che, mentre l'A.S. può essere autorizzato al compimento di atti sia in rappresentanza esclusiva del soggetto, sia in sua assistenza, il curatore ha unicamente il potere di affiancare il soggetto solo per gli atti di straordinaria amministrazione esprimendo un consenso, mentre in nessun caso potrà sostituirlo, esprimendo in suo nome una volontà negoziale. AMBITO PERSONALE sorto il dubbio che l'A.S. possa essere incaricato solo di atti di gestione economicopatrimoniale, non inerenti la condizione personale del soggetto, la cura della sua persona, il suo collocamento. Ciò nascerebbe dal mancato richiamo, tra le norme della tutela estese all'A.S., del'art.371 c.c. (“il G.T. delibera sul luogo dove il minore deve essere allevato…”) e dalla previsione, all'art.405 c.c., di adozione di provvedimenti per la cura della persona solo È 48 AIAF RIVISTA 3/2004 come misure urgenti, non richiamate tra i successivi atti specificamente rimessi all'A.S. nel decreto di nomina, atti che si reputerebbero quindi non consentiti come compiti delegabili all'A.S. in via permanente. Non sembra tuttavia che tale interpretazione sia condivisibile. La previsione di una possibile adozione urgente di provvedimenti per la cura della persona nell'immediatezza del ricorso al G.T. sembrerebbe anzi far ritenere che tale è l'intervento primo dell'A.S., il suo compito principale, di certo non escluso anche nel prosieguo ogniqualvolta se ne ravvisi la necessità. La legittimità e doverosità di tale intervento, ove necessario, emerge anche da altre norme, che pongono l'accento su una modalità di protezione che dovrà porre particolare attenzione alle esigenze di cura e agli interessi della persona non solo materiali ma anche morali. Si vedano l'art.405 n. 6 (“…l'A.S. deve riferire al giudice circa l'attività svolta e circa le condizioni di vita personale e sociale del beneficiario…”), l'art.408 (“…la scelta dell'A.S. avviene con esclusivo riguardo alla cura e agli interessi della persona del beneficiario…”), l'art.410 (“…nello svolgimento dei suoi compiti l'A.S. deve tenere conto dei bisogni e delle aspirazioni del beneficiario”), l'art. 44 disp.att. c.c. (“…il giudice tutelare può convocare in qualunque momento… l'A.S. per dargli istruzioni inerenti gli interessi morali e patrimoniali del beneficiario”), l'art.49 bis disp.att. c.c. (che comprende anche i provvedimenti urgenti tra quelli destinati ad essere annotati sul registro di cancelleria). Particolare rilievo si riconosce poi all'art.418 c.c., secondo cui i provvedimenti urgenti di cui al comma 4 dell'art.405 (e tra questi vi sono certamente quelli inerenti la cura della persona) possono essere adottati anche quando, nel corso del giudizio d'interdizione, anziché procedere ad una pronuncia d'interdizione, si ritenga opportuno applicare l'amministrazione di sostegno e trasmettere a tal fine gli atti al giudice tutelare. Il compito di cura della persona non può pertanto ritenersi estraneo ai poteri dell'A.S., data la previsione esplicita di tale ambito d'intervento proprio nel momento in cui si escluda di dare corso ad una pronuncia d'interdizione. In tal senso sono anche le indicazioni che provengono dai lavori preparatori di elaborazione della legge in sede parlamentare; nella seduta del 22.12.2003, nell'esprimere il voto favorevole, un senatore ribadisce che “…la portata dell'articolato si caratterizza per non limitarsi alla tutela degli interessi patrimoniali dei beneficiari del nuovo istituto, essendo lo stesso diretto anche ad assicurare la cura della persona…”. Sotto il profilo della misura di protezione in ambi- SETTEMBRE - DICEMBRE 2004 to personale, può quindi affermarsi che l'Amministratore di Sostegno può avere (ove gli vengano espressamente riconosciuti) analoghi poteri del tutore. Di tali poteri è invece sicuramente privo il curatore, che potrà affiancare il soggetto nel porre in essere atti “eccedenti l'ordinaria amministrazione”, espressione che non può che riferirsi ad operazioni di natura solo patrimoniale. L'attenzione data al tema della cura della persona deriva dalla considerazione che in tale ambito rientra non solo l'operato dell'A.S. in termini di attuazione e controllo di una data soluzione abitativa, assistenziale, sanitaria, che sia adeguata alle esigenze e patologie del soggetto, bensì anche possibili interventi fortemente incisivi e limitativi della libera determinazione del soggetto in aree come i trattamenti sanitari sulla persona o la libertà del domicilio e della circolazione, tutelati anche in ambito costituzionale. Se il soggetto non è consapevole di sé e della propria malattia, l'A.S. potrà quindi essere autorizzato, se necessario anche in contrasto con la volontà espressa (ma viziata) dello stesso, ad inserirlo in contesti sanitari di ricovero, a sottoporlo a cure, ad esprimere il consenso informato ad interventi chirurgici, ecc. AMBITO PATRIMONIALE ome per il tutore, il legislatore ha riconosciuto all'A.S., se espressamente autorizzato, il potere di compiere atti di gestione (in rappresentanza esclusiva, o in assistenza dell'incapace), sia di natura ordinaria, sia di natura straordinaria. Per questi ultimi vi è anzi la singolarità di una disciplina differente rispetto agli atti di straordinaria amministrazione compiuti dal tutore, in quanto, se posti in essere dall'A.S., sono tutti indifferentemente rimessi all'autorizzazione del solo G.T., se posti in essere dal tutore sono rimessi all'autorizzazione del G.T. o del tribunale a seconda della loro tipologia (artt.374 e 375 c.c.). Di tale distinzione non si comprende peraltro la ratio, ove si consideri che la ritenuta necessità di un controllo più ponderato da parte dell'organo collegiale rispetto all'organo monocratico dovrebbe discendere dalla maggiore incisività di un dato atto sul patrimonio del soggetto amministrato, e quindi dalla tipologia dell'atto posto in essere, e non già dal fatto che nel caso concreto l'atto sia posto in essere da un soggetto che abbia la rappresentanza dell'interessato per la gestione dell'intero patrimonio ovvero solo per dati atti individuati (quando comunque, dovendo verificarsi l'opportunità e utilità dell'operazione, non potrà prescindersi dal valutarla nel contesto del restante patrimonio dell'interessato). C L’AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO Netta è la distinzione tra A.S. e curatore, in quanto il curatore può solo assistere il soggetto per atti di straordinaria amministrazione, mentre l'A.S. può sia assisterlo, sia rappresentarlo in via esclusiva, per atti sia di ordinaria sia di straordinaria amministrazione. PRIME VALUTAZIONI CIRCA L'AMBITO DI OPERATIVITA' DI AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO, INTERDIZIONE, INABILITAZIONE iferimenti normativi sono l'art.404 c.c. Amministrazione di sostegno, l'art.414 c.c. Persone che possono essere interdette, l'art.415 c.c. Persone che possono essere inabilitate. L'art.404 c.c., nel delineare il possibile beneficiario di un A.S., indica una persona che, per effetto di un'infermità ovvero di una menomazione fisica o psichica, si trova nell'impossibilità, anche parziale o temporanea, di provvedere ai propri interessi. L'art.414 c.c., nel definire le persone che possono essere interdette, menziona coloro che si trovano in condizioni di abituale infermità di mente che li rende incapaci di provvedere ai propri interessi. L'art.415 c.c. si riferisce all'infermo di mente lo stato del quale non è talmente grave da far luogo all'interdizione, ovvero al soggetto che per prodigalità o abuso abituale di bevande alcoliche o stupefacenti, espone sé o la famiglia a grave pregiudizio economico, ovvero al sordomuto o cieco che non abbiano ricevuto un'educazione sufficiente, salva l'interdizione quando risulta che sono del tutto incapaci di provvedere ai propri interessi. R INFERMITÀ FISICA l dato testuale dell'art.404 c.c. isola quale autonoma fattispecie legittimante la nomina di A.S. la condizione di chi sia portatore di una menomazione solo fisica e non psichica, che ne determini l'impossibilità di attendere ai propri interessi, situazione certamente estranea ad una pronuncia d'interdizione o inabilitazione, che presuppone invece un'infermità mentale. Anche invero la fattispecie del sordomuto o cieco dalla nascita, quale legittimante una pronuncia d'inabilitazione, non sembra rilevi per la menomazione solo fisica ma più che altro per un'indotta menomazione psico-intellettiva, portato di un'educazione insufficiente che non ne abbia stimolato le risorse intellettive e le residue capacità sensoriali, rendendo il soggetto incapace di attendere ai propri interessi. Si può ipotizzare quindi il caso di un soggetto affetto da infermità solo fisica (ma non psichica) che lo costringa a permanere nella propria abita- I 49 L’AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO zione o in struttura di ricovero, ovvero ne renda estremamente difficoltoso l'accesso esterno, o comunque la manifestazione all'esterno della propria volontà. In tali condizioni potrà utilmente nominarsi un A.S., che ne abbia la rappresentanza esclusiva all'esterno, nel tenere rapporti con soggetti terzi, pubblici o privati (ente erogatore di pensione o indennità, istituti di credito, fisco, debitori, creditori, ecc.). La presupposta piena capacità intellettiva del soggetto porta a ritenere che possa procedersi a tale nomina solo su espressa richiesta del soggetto stesso, o comunque mai contro la sua volontà e sino a che tale volontà persista. In presenza di atti di straordinaria amministrazione, quali elencati negli artt.374 e 375 c.c., ovvero anche soltanto per prelievi bancari di particolare consistenza in funzione di esigenze straordinarie (i confini del potere ordinario dell'A.S. saranno indicati dal G.T. nel decreto di nomina), l'A.S. di volta in volta richiederà al G.T. l'autorizzazione ad operare in rappresentanza dell'interessato, e il G.T. si reputa debba preventivamente informarsi, anche con modalità informali, circa la volontà del medesimo in merito all'operazione in oggetto, nei termini che sembrano derivare dal disposto di cui all'art.410 c.c. (tenere conto dei bisogni e delle aspirazioni del beneficiario o ipotizzare un contrasto nel soddisfare i bisogni o le richieste di questi, non può che presupporre che se ne verifichi la volontà quando questa è integra). C'è chi dubita di tale ricostruzione, affermando che un soggetto pienamente capace sotto il profilo intellettivo non possa mai abdicare alla sua capacità, e che pertanto il legislatore non possa aver inteso disciplinare un istituto che consentirebbe al soggetto di rinunciare alla pienezza della propria capacità, quando oltretutto potrebbe trovare nell'ordinamento soluzioni negoziali che gli consentirebbero di demandare il proprio operato a un rappresentante (artt.1387 e ss. c.c.). A confutazione di tale rilievo si osserva tuttavia che, non solo il dato testuale sembra netto nel dare ingresso a tale istituto in presenza di infermità anche solo fisica, ma che, confrontando la soluzione della nomina di A.S. con quella negoziale di una procura speciale o generale, la differenza sembra rinvenirsi nella maggiore garanzia che consegue al rappresentato/amministrato dal fatto che il rappresentante/amministratore debba rispondere del proprio operato non nell'ambito privato del solo rapporto negoziale tra i due soggetti, bensì al giudice tutelare che l'ha nominato. Sembra inoltre che il legislatore abbia inteso comunque sottolineare la valenza di questo intervento, non già come mera modalità di compimento di uno o più specifici atti che nel caso concre50 AIAF RIVISTA 3/2004 to il soggetto sia impossibilitato a compiere (al pari di una procura negoziale), bensì in ogni caso come misura di protezione che accompagnerà il soggetto per tutti quegli ambiti gestionali in cui ne sarà emerso il deficit operativo; ciò si ricava anche dal dettato di cui al n.6 dell'art.405 c.5, ove si impone sempre all'A.S. di riferire al G.T. circa l'attività svolta e le condizioni di vita personale e sociale del beneficiario. Sarà bene far comprendere alla parte istante tale aspetto di periodico rendiconto e costante riferimento a un giudice, onde eventualmente indirizzare il soggetto verso modalità di rappresentanza meramente negoziale per singoli atti, se è questa sola l'esigenza momentanea che vuole soddisfare. ETÀ AVANZATA eggendo i lavori preparatori del nuovo testo normativo, il legislatore sembra intendesse far rientrare tra i possibili beneficiari dell'A.S. il soggetto anziano, inteso quale soggetto debole ed esposto (solo perché anziano e magari solo) a possibili azioni di raggiro, ovvero semplicemente in difficoltà nell'affrontare e gestire operazioni negoziali. Sino alle ultime stesure del progetto di legge l'età avanzata risultava compresa espressamente tra le condizioni che legittimavano la nomina di A.S., e l'esclusione è stata approvata nel 2002 sulla base del rilievo che l'ampia casistica di cui all'art.404 c.c. già doveva ritenersi comprensiva del caso dell'anziano. Nel condividere l'esclusione dell'età avanzata tra i presupposti di per sé soli legittimanti la nomina di A.S., quasi fosse equiparabile a un'infermità o menomazione fisica o psichica, si osserva che, sulla base della definitiva stesura del testo normativo, il soggetto anziano potrà beneficiare di un'Amministrazione di sostegno, solo in quanto effettivamente affetto da infermità fisiche e/o psichiche che ne limitino le capacità esponendolo a situazioni di pregiudizio. In tal caso l'A.S. potrebbe essere autorizzato a una mera assistenza del soggetto, che lo supporti eventualmente nei soli atti di maggiore consistenza economicopatrimoniale. L INFERMITÀ PSICHICA CHE DETERMINI INCAPACITÀ PARZIALE O TEMPORANEA rocedendo nel raffronto tra art.404 e P art.414 c.c., sembra chiara la volontà del legislatore di comprendere tra i potenziali beneficiari dell'A.S. quei soggetti portatori di infermità psichica, che ne determini un'incapacità solo parziale o temporanea di attendere ai propri interessi, residuando spazi o periodi di consapevolezza. SETTEMBRE - DICEMBRE 2004 Tra questi può collocarsi il soggetto affetto da infermità psichiatrica, un soggetto che la scienza medica rifiuta di considerare incapace in via assoluta e permanente, perché spesso la patologia si caratterizza per un'alternanza di momenti più o meno lunghi di compenso e consapevolezza e momenti di totale delirio e scollamento dalla realtà, ovvero perché il deficit non riguarda tanto le capacità intellettive quanto quelle volitive, ovvero infine perché una risposta di emarginazione ed esclusione, quale viene associata all'interdizione, si pone in antitesi con lo stesso progetto e obiettivo di cura. La flessibilità di questo strumento di protezione e la sua modificabilità in tempi anche rapidi, consentendo all'amministrato di compiere in autonomia dati atti ed individuandone altri che compirà con l'assistenza dell'amministratore o rappresentato da questi, lo rendono utilmente sperimentabile in casi di patologie psichiatriche di natura ciclotimia o monotematica, ovvero di patologie schizofreniche residuali o in compenso farmacologico, ovvero di patologie in cui il soggetto, in una situazione di sostanziale integrità intellettiva, presenti deficit volitivi che non gli consentano adeguatezza comportamentale di spesa, e comunque in tutte quelle situazioni in cui il soggetto, psichicamente sofferente, sembra utile possa avere al suo fianco chi, nei momenti di scompenso o delirio, possa sostituirlo ovvero semplicemente affiancarlo, consentendogli invece autonomia nelle fasi di compenso e adeguatezza comportamentale. Tra i soggetti portatori di infermità psichica che ne determini incapacità solo parziale di attendere ai propri interessi possono ritenersi compresi anche soggetti che, affetti da ritardo mentale medio o lieve o da patologie congenite, presentino aree di autonomia valutativa e gestionale, sia per la specificità della malattia, sia a volte perché inseriti in ambiti familiari o assistenziali che ne abbiano valorizzato le residue capacità. Si pensi a chi abbia contezza del denaro e del suo utilizzo, ancorché per importi limitati, che sia autonomo non solo nelle esigenze personali/corporali ma anche nello spazio esterno all'abitazione, abbia capacità di acquisto in autonomia di generi di prima necessità sia pur in contesti guidati e ripetitivi, abbia consapevolezza a grandi linee di concetti quali la riscossione di una pensione, ovvero l'acquisto o la vendita di un bene in termini di scambio di cosa contro prezzo; potrebbero essere quei soggetti che, pur riconosciuti totalmente invalidi, siano nelle condizioni di essere avviati al lavoro ed abbiano acquisito un'autonomia di vita relazionale che li gratifichi. In tutti i suddetti casi di incapacità solo parziale del disabile, operativamente l'A.S. potrebbe L’AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO essere autorizzato ad aprire un conto corrente intestato all'infermo rappresentato dall'A.S., ove vengano accreditate le entrate e disponibilità del disabile e dal quale poter prelevare importi che, nell'ambito di un tetto massimo su base mensile destinato a coprire spese di ordinario mantenimento del soggetto e di gestione dei suoi beni, saranno dall'A.S. versate all'interessato con la periodicità e nella misura compatibile con una capacità di spesa autonoma del soggetto. In presenza di capacità e consapevolezza dell'infermo anche superiori, potrebbero autorizzarsi modalità di accesso al prelievo bancario che si concretizzino in una mera assistenza da parte dell'A.S., oppure, nel rispetto della normativa degli istituti bancari, soluzioni che consentano al soggetto di accedere autonomamente al prelievo bancario sino a un dato importo mensile (è stato possibile realizzarlo tramite specifica tessera di prelievo automatico a importo predefinito), richiedendosi l'assistenza dell'A.S. per prelievi superiori o per atti di straordinaria amministrazione (sottoposti anche all'autorizzazione del G.T. ove rientranti nelle operazioni di cui agli artt.374 e 375 c.c.). In ogni caso, nel rispetto della previsione di cui all'art.409 c.c., secondo cui il soggetto mantiene la capacità di compiere autonomamente gli atti che non siano rimessi alla rappresentanza esclusiva o all'assistenza dell'amministratore, dovrà contemplarsi nel decreto di nomina una formula di sbarramento che rimetta alla specifica autorizzazione del Giudice Tutelare gli atti di straordinaria amministrazione, quali elencati negli artt.374 e 375 c.c., nonché le operazioni che, in funzione della consistenza del patrimonio del soggetto, superino un dato valore economico. Così intesa, l'Amministrazione di Sostegno risulta una misura che da tempo si attendeva. Sino ad oggi nei suddetti casi di infermità mentale la risposta dell'ordinamento oscillava tra interdizione, troppo invasiva e penalizzante, escludendo qualunque possibilità di agire al soggetto anche in quei periodi e in quegli spazi in cui ne avesse avuto capacità, e inabilitazione, troppo poco tutelante in quanto il curatore può solo affiancarsi al soggetto e non può mai sostituirlo anche quando l'acuzie della malattia lo porta a non avere consapevolezza di sé e rimane inattivo, se non oppositivo, di fronte a situazioni personali o patrimoniali che richiederebbero invece il suo operato. L'Amministrazione di Sostegno, differenziandosi dall'inabilitazione proprio per il più ampio potere dell'Amministratore rispetto al curatore, riesce ad essere una risposta di maggiore protezione ed efficacia. Nella pratica si tende a ritenere che l’istituto dell’A.S. assorbirà progressivamente le precedenti 51 L’AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO forme di curatela, potendo ritenersi che l’inabilitazione rimanga istituto residuale per le forme di “prodigalità” estranee a qualunque forma di infermità, anche se l’esperienza sembra indurre a ritenere che difficilmente una condotta di prodigalità di tale intensità da risultare pregiudizievole a sé o alla famiglia sia del tutto estranea a una patologia o fragilità psichica (anche per la persona dedita al gioco d’azzardo, si sente ormai ricondurre la sua condotta a un impulso patologico al gioco). Abbandonandosi un’interpretazione dilatata dell’art.415 c.c. che, onde offrire risposta alle situazioni di cui sopra, rimetteva al curatore poteri di assistenza per ogni prelievo bancario che in funzione dell’entità del patrimonio rivestisse valenza di spesa straordinaria o superasse un dato tetto mensile, potrà forse continuare a pronunciarsi l’inabilitazione quale utile risposta dell’ordinamento nei casi in cui si escluda la necessità di una rappresentanza esclusiva del soggetto anche solo episodica, si escluda parimenti un controllo circa l’utilizzo delle risorse correnti al di là di un qualunque tetto di spesa mensile/annua, ed appaia prudenziale unicamente un affiancamento per le operazioni di straordinaria amministrazione elencate negli artt.374 e 375 c.c.. Per i soggetti solo parzialmente capaci di cui si è detto, estremamente delicato è il tema degli effetti, limitazioni, decadenze che, previsti da disposizione di legge per l’interdetto o l’inabilitato, possa il giudice tutelare estendere al beneficiario dell’amministrazione di sostegno (art.411 c.c.). Se da un lato può ritenersi trovino ingresso a tutela dell’amministrato norme quali l’art.1722 c.c. (per far divenire inefficaci procure a terzi carpite a solo vantaggio del terzo), ovvero l’art.1626 c.c. (per sciogliere contratti locativi in situazioni analoghe), il pensiero va a norme anche più incisive, come le limitazioni in tema di capacità di contrarre matrimonio, di riconoscere figli, di far testamento. Si reputa in proposito che, non potendosi generalizzare ma solo ipotizzare una valutazione attenta e ponderata del giudice tutelare con riferimento ai singolo casi in esame, la nomina di amministratore di sostegno pone il beneficiario in una condizione certamente compatibile con l’integrità di tali capacità e diritti, che potranno essere limitati solo in casi estremi, quando si dovesse riscontrare che la fragilità del soggetto, conseguente alla patologia, lo sta esponendo ad attenzioni o pressioni di terzi del tutto estranee all’interesse del soggetto, ma unicamente motivate da interessi personali e mala fede. Il soggetto disabile ha certamente diritto a una vita affettiva, e in questo ambito 52 AIAF RIVISTA 3/2004 possono ipotizzarsi matrimoni, figli, lasciti testamentari, donazioni, ma ciò da cui lo si vorrebbe preservare sono gli affetti falsi, che lasciano il posto a delusioni cocenti e grande sofferenza. In ogni caso la modificabilità del provvedimento consentirà anche in questo caso al G.T. di seguire il beneficiario nell’arco della sua vita e poter introdurre limitazioni, o revocarle, sulla base delle indicazioni che emergeranno dal suo comportamento e dalle valutazioni degli operatori medico-sanitari-assistenziali. INFERMITÀ PSICHICA CHE DETERMINI INCAPACITÀ TOTALE E PERMANENTE. i confondono i confini delle norme in preSinfermità senza di soggetti in condizioni di abituale di mente… incapaci di provvedere ai propri interessi, situazione propria dell’interdizione, ma che sembra non estranea al disposto di cui all’art.404, là dove la dizione “infermità… psichica che determina l’impossibilità, anche parziale o temporanea, di provvedere ai propri interessi”, non può che comprendere anche un’infermità che determini l’impossibilità totale e permanente di provvedere ai propri interessi. Se tali norme non sono quindi sufficienti a stabilire una linea di confine, sarà necessario guardare altrove, non senza sottolineare che in ogni caso (e proprio per la potenziale sovrapponibilità delle due norme principali) occorrerà procedere ad una forzatura interpretativa, sulla base di criteri ermeneutici, sistematici, che vincano la mera interpretazione letterale. Sembrano delinearsi più linee interpretative che conducono a soluzioni difformi. RICERCA DI UNA POSSIBILE LINEA DI DEMARCAZIONE TRA AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO E INTERDIZIONE CON RIFERIMENTO ALLE RESIDUALI CAPACITÀ DEL SOGGETTO alorizzando i dati normativi di cui agli V artt.405, 409, 410 c.c., si potrebbe sostenere che l’amministrazione di sostegno venga proposto come utile strumento di protezione solo per la persona che, ancorché affetta da un’infermità permanente ed estesa, mantenga un margine residuale pur limitato di autonomia. La previsione di un soggetto amministrato che conservi la capacità di agire per tutti gli atti che non vengono menzionati, e che in ogni caso possa compiere gli atti della vita quotidiana, non viene intesa come facoltà residuale rimessa a chi ne abbia le capacità, ma come necessaria capacità residuale (il soggetto deve poter essere in grado di compiere gli atti quotidiani della vita…). Si prevederà quindi l’interdizione per quel soggetto che, del tutto privo di autonomia, necessiti di un tutore SETTEMBRE - DICEMBRE 2004 non già per singoli atti ma per tutti gli atti inerenti la gestione della sua persona e del suo patrimonio, sia di natura ordinaria sia di natura straordinaria, in quanto nessuno di questi atti può essere compiuto dall’interessato (tra le tipologie soggetti portatori di patologie congenite che ne abbiano determinato oligofrenia grave, soggetti affetti da patologie psichiatriche croniche che li mantengano in condizione di costante scompenso e delirio, soggetti affetti da morbo di Alzheimer o demenza senile in stadio avanzato, soggetti in coma, ecc…). In tal senso sarebbe anche la previsione, in caso di nomina di A.S., di un continuo dialogo tra lo stesso e il beneficiario e la possibilità di un contrasto tra i due, situazioni irrealizzabili se non ipotizzando un margine residuale di consapevolezza del soggetto. Le ragioni di critica a tale orientamento muovono dal rilievo che gli artt.404 e 414 c.c., con riferimento a soggetti affetti da infermità psichiche abituali, non sembrano consentire alcuna differenziazione, né può ritenersi che gli artt.405,409,410 integrino i presupposti legittimanti il ricorso all’A.S., potendo unicamente interpretarsi come norme operative nei limiti in cui il soggetto abbia effettivamente una capacità residuale (si osserva tra l’altro che in merito all’art.410 “L’amministratore di sostegno deve tempestivamente informare il beneficiario circa gli atti da compiere…”, era stato proposto l’emendamento “ove possibile”, poi ritirato affermandosi che era indicazione superflua, cioè ovvia… -così dai lavori parlamentari del Senato in data 23.10.2001). La stessa modifica significativamente apportata alla rubrica dell’art.414 c.c, da “Persone che devono essere interdette” a “Persone che possono essere interdette”, sembra dirci che l’interdizione non viene più intesa come doveroso strumento di tutela per quei soggetti del tutto privi di capacità, ma come necessario strumento di protezione solo quando i restanti strumenti offerti dall’ordinamento si rivelino inidonei a realizzare la piena tutela dell’incapace (art.413 comma 4 c.c.). Se i soggetti incapaci sono interdetti quando ciò è necessario per assicurare loro adeguata protezione, non può che conseguirne che gli stessi non sono interdetti quando l’amministrazione di sostegno si rivelerà misura sufficiente ad assicurargli adeguata tutela. RICERCA DI UNA POSSIBILE LINEA DI DEMARCAZIONE TRA AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO E INTERDIZIONE CON RIFERIMENTO ALLA CONSISTENZA DEL PATRIMONIO DEL SOGGETTO onfrontando in particolare l’art.357 c.c. (“il Cpresenta tutore ha la cura della persona…, lo rapin tutti gli atti civili e ne amministra i L’AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO beni”) e l’art.405 c.c. (che demanda al G.T. di individuare i singoli atti rimessi all’A.P. in rappresentanza esclusiva dell’incapace), sembra che all’A.S. non possa attribuirsi con un’unica espressione la totalità degli atti che si rivelino necessari in tema di cura della persona e gestione del suo patrimonio. Se si procedesse in tal senso si attribuirebbero illegittimamente all’A.S. gli stessi poteri del tutore in assenza di una pronuncia di interdizione. Sulla base di tale considerazione si è pensato che, qualora il soggetto del tutto privo di una sia pur minimale autonomia gestionale sia titolare di sostanze e redditi contenuti (ad esempio percepiti a titolo di sola pensione o indennità), e si presenti quindi la necessità di meri atti di gestione ordinaria di detti redditi (utilizzo delle entrate per far fronte alle spese correnti di mantenimento, assistenza e cura dell’incapace o gestione ordinaria dell’abitazione), affiancati da pochi atti di gestione straordinaria (riscossione di arretrati, premi assicurativi, risarcimenti, vendita di un cespite per avere di che vivere, ecc.), verosimilmente la nomina di un A.S., autorizzato ad agire in rappresentanza esclusiva del disabile solo per detti singoli atti, si riveli soluzione idonea e sufficiente alla completa protezione del disabile, e non sia necessario accedere all’interdizione. Nel caso invece in cui il patrimonio dell’incapace richieda necessariamente, per la sua consistenza e complessità di gestione, svariati e frequenti atti sia di ordinaria sia di straordinaria amministrazione, l’interdizione può apparire una forma di tutela più adeguata, comportando la nomina di un tutore che rappresenti il soggetto in tutti gli atti civili e ne amministri i beni nella sua complessità, con onere di inventario iniziale dell’intero patrimonio e rendiconto del suo agire in tutti gli ambiti in cui si è esplicitato; in tali casi l’operato dell’A.S. potrebbe invece risultare rallentato dalla necessità di acquisire volta per volta le necessarie autorizzazioni anche in ambiti di ordinaria amministrazione. Tale linea interpretativa mostra la sua fragilità ove si consideri la non chiarezza di una distinzione che guardi solo alla consistenza del patrimonio (quando lo stesso è sufficientemente esiguo da ritenersi sufficiente un’amministrazione di sostegno?), e rischia di venire percepita come iniquamente discriminante tra soggetti che, in condizioni paritetiche di incapacità, si reputerebbero “penalizzati” da una pronuncia d’interdizione solo se titolari di un consistente patrimonio. E’ un’interpretazione che si ritiene tuttavia legittima, rispondendo a quella discrezionalità valutativa che il legislatore sembra abbia inteso rimettere al giudice (artt.413 c.4 e 414 c.c.). 53 L’AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO RICERCA DI UNA POSSIBILE LINEA DI DEMARCAZIONE TRA AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO E INTERDIZIONE CON RIFERIMENTO AGLI EFFETTI TUTELANTI DELLE DUE PRONUNCE SUL SOGGETTO e considerazioni che precedono inducono a Ldi differenziazione ricercare anche altrove una possibile linea tra i due istituti. Se l’interdizione può essere correttamente definita come la pronuncia che toglie al soggetto la capacità di agire, e se, ai sensi degli artt. 413 e 414 c.c., si deve procedere all’interdizione quando si rivela la soluzione necessaria per assicurare adeguata protezione all’infermo di mente, si dovrà verificare quando sia necessario togliere al soggetto la capacità di agire al fine di assicurargli adeguata protezione. L’osservazione della realtà e la consapevolezza della portata afflittiva che si accompagna ad una pronuncia d’interdizione, indurrebbe a ritenere che tale intervento residuale si riveli necessario, non tanto quando la capacità di agire del soggetto sia di fatto già inesistente e il soggetto si trovi nell’impossibilità di manifestare all’esterno qualunque espressione di capacità o volontà, ma quando di tali capacità del tutto viziate il soggetto stia facendo un uso gravemente pregiudizievole a sé o agli altri. Sembrerebbe quindi non ravvisarsi la necessità di un’interdizione quando il soggetto, ancorché del tutto privo di capacità intellettive e volitive, mostra di adattarsi supinamente alle condizioni e modalità di vita consentite dall’infermità e proposte da familiari o assistenti, e non si esponga mai all’esterno se non nel rispetto dei canali di protezione eretti intorno a lui. Non esplicitandosi mai alcuna capacità di agire, non sarà necessario ufficializzarne l’inesistenza con una pronuncia d’interdizione, mentre sarà unicamente richiesta una pronuncia del giudice che consenta a chi gli presta assistenza di procedere in suo nome e per suo conto a quegli atti di gestione che richiederebbero la sua firma. Per soggetti quali gli oligofrenici gravi, i portatori di morbo di Alzheimer o demenza senile in stadio avanzato, i soggetti in coma prolungato, ecc, potrebbe quasi dirsi che sia la loro stessa patologia a “tutelarli”, nella misura in cui impedisce loro qualunque modalità di contatto autonomo con la realtà esterna, idoneo a produrre effetti giuridici o negoziali potenzialmente anche pregiudizievoli. Pensiamo invece ad un soggetto che, come espressione della sua infermità mentale, cioè di capacità intellettive e volitive fortemente compromesse, abbia la tendenza a sfuggire alle maglie di assistenza create intorno a lui, si opponga sistematicamente alle soluzioni di cura o collocamento proposte, non impedito nel movimento si ponga all’esterno esponendo a pericoli 54 AIAF RIVISTA 3/2004 sé e gli altri e rifiutando soluzioni di adeguato contenimento, ovvero sia facile vittima di circonvenzioni, ceda a qualunque attenzione affettiva o ricatto psicologico, sottoscriva qualunque atto gli venga sottoposto, esponendosi al pregiudizio di assumere obbligazioni incompatibili con le proprie capacità o le proprie sostanze (e tra queste potrebbero esserci anche obbligazioni coniugali o genitoriali, di cui non abbia alcuna contezza e che derivino da matrimoni o riconoscimenti di figlio estorti, magari al solo fine di acquisire una cittadinanza!). In questi casi verosimilmente non potranno essere elencati tutti gli atti rimessi all’A.S. (che al negativo saranno sottratti al beneficiario), e il solo strumento di protezione efficace sarà una pronuncia di interdizione che, sottraendogli la capacità di agire in qualunque ambito gestionale sia personale sia patrimoniale, gli impedirà di esercitarla a proprio danno, e rimetterà a un tutore ogni decisone inerente la cura della sua persona e dei suoi beni. Tale valutazione non potrà ovviamente che ricavarsi dalla condotta pregressa del soggetto e dovrà trovare in ogni caso il conforto di una diagnosi e prognosi medica. Si auspicherebbe anzi che la discrezionalità riconosciuta al giudice tutelare dall’attuale normativa venga invece a spostarsi più opportunamente sul più corretto terreno medico, trattandosi di valutazioni che devono in ogni caso essere condotte nell’esclusivo interesse del disabile con riferimento alla portata della sua malattia. PROCEDIMENTO PRIME PROBLEMATICHE E IPOTESI INTERPRETATIVE. PROCEDIMENTO DI VOLONTARIA GIURISDIZIONE O CONTENZIOSO a legge in esame non dà alcuna esplicita Lmento indicazione in tal senso, neppure con riferialla necessità o meno che il ricorso sia presentato con il patrocinio di un difensore (la L. 4.4.2001 n.154, nel disciplinare gli “ordini di protezione contro gli abusi familiari”, prevedeva invece esplicitamente una possibilità di ricorso presentato personalmente dalla parte). Vengono in considerazione le seguenti norme: Art.82 comma 3 c.p.c.: “Salvi i casi in cui la legge dispone altrimenti, davanti al tribunale e alla corte d’appello le parti debbono stare in giudizio col ministero di un procuratore…”. Art.405 c.c.: “Il giudice tutelare provvede entro 60 giorni dalla data di presentazione della richiesta alla nomina dell’amministratore di sostegno…” Art.720 bis c.c.: “Ai procedimenti in materia di amministrazione di sostegno si applicano, in SETTEMBRE - DICEMBRE 2004 quanto compatibili, le disposizioni degli artt.712, 713, 716, 719, 720” L’orientamento prevalente, rifacendosi anche alle indicazioni emerse in sede di iter parlamentare di approvazione della legge (vedi relazione di presentazione alla Camera il 30.1.2002, e relazione prof. Paolo Cendon circolata via Internet il 9.1.2004), tende a ritenere si tratti di procedimento di volontaria giurisdizione. Indicazioni interpretative in tal senso ci provengono dalla previsione che tale misura di protezione sia rimessa alla competenza esclusiva del Giudice Tutelare, cui l’ordinamento ha sempre riconosciuto unicamente funzioni di volontaria giurisdizione (autorizzazione ad atti di gestione di beni di minore -art.320 c.c., vigilanza del giudice tutelare sulle condizioni di esercizio potestà genitoriale stabilite dal tribunale -art.337 c.c., compiti di vigilanza, controllo, disciplina su tutele e curatele -art.344 c.c., autorizzazioni in tema di rilascio passaporti minori e interruzione gravidanza minori, convalida T.S.O., ecc.). Tale linea interpretativa non sembra inoltre contrastare con i principi cardine del nostro ordinamento processuale se ci riferiamo alla distinzione tra giurisdizione contenziosa e giurisdizione volontaria. In estrema sintesi, si può affermare che la giurisdizione contenziosa si caratterizza per essere rivolta alla risoluzione di un conflitto d’interessi di più soggetti contrapposti, mediante l’applicazione del diritto oggettivo. La giurisdizione volontaria è invece diretta a valutare l’interesse di un unico soggetto, e se un contrasto emerge può riguardare solo una diversa valutazione di quell’unico interesse e delle modalità di sua tutela. La presenza del giudice, obbligatoria non potendosi altrimenti parlare di “giurisdizione”, è destinata ad una funzione propositiva e autorizzativa ovvero di vigilanza e controllo, e nasce dall’esigenza di soddisfare nel contempo un interesse generale e pubblico connesso all’interesse privato. Nel caso del procedimento d’interdizione, ne è stata affermata (vedi Carnelutti –Diritto e Processo, Satta –Commentario al codice di proc. civ., Iannuzzi -Manuale della Volontaria Giurisdizione) la peculiare natura di procedimento di volontaria giurisdizione (perché diretto non a dirimere un conflitto d’interessi contrapposti ma a valutare e tutelare l’interesse di un singolo), che si svolge tuttavia in forma contenziosa, perché all’esigenza di tutela del singolo si affianca un dominante interesse pubblico, diretto a eliminare quel disordine giuridico che si crea nella collettività quando una persona è titolare di una capacità di agire di cui nei fatti è priva, pregiudicando la L’AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO certezza dei rapporti giuridici di chi si relazioni con lui; detta finalità viene perseguita con una pronuncia che, escludendo la capacità giuridica del soggetto, incide radicalmente sullo status della persona, riportandola dallo status di adulto alla status di minore (ex art.424 c.c., in tema di tutela dell’interdetto operano le norme che disciplinano la tutela del minore). L’opzione processuale contenziosa prevalsa con riferimento al giudizio di interdizione avrebbe quindi trascinato anche il giudizio di inabilitazione, idoneo ad incidere solo in misura parziale sulla capacità del soggetto. Tale ricostruzione consentirebbe di riconoscere alla procedura di nomina dell’amministrazione di sostegno la natura di procedimento di volontaria giurisdizione non solo nella sostanza ma anche nella forma, proprio in quanto, volto ad accertare e tutelare l’interesse del singolo, non incide radicalmente sul suo status, venendo a limitarne la capacità di agire solo con riferimento a specifiche tipologie di atti, e non escludendola nella sua totalità. Ne discende come primo corollario che non sarà necessaria la rappresentanza e difesa tecnica di un legale in sede di proposizione del ricorso, ma unicamente facoltativa, diritto ovviamente riconosciuto anche al soggetto che, indicato come potenziale beneficiario della misura di protezione, non ravvisi di averne necessità e intenda opporsi in termini formali costituendosi con un difensore legale. In ogni caso il richiamo posto dall’art.720 bis c.c. agli artt.712, 713, 716 c.p.c., in quanto compatibili, norme disciplinanti gli aspetti processuali propri di interdizione e inabilitazione (deposito ricorso, instaurazione contraddittorio, opposizione in giudizio del convenuto), induce a ritenere che debbano essere doverosamente salvaguardati il principio del contraddittorio e debba essere posto il soggetto, della cui protezione si discute, in grado di conoscere la domanda svolta nei suoi confronti (e non solo la data di sua convocazione) ed esprimere la propria posizione. La possibilità dello stesso di munirsi di difesa tecnica sarà sempre consentita, non soltanto all’inizio del giudizio ma nel corso dell’intero procedimento, e la previsione di un provvedimento suscettibile in ogni momento di revoca, modifica, integrazione (artt.407 e 413 c.c.), è la garanzia prima di una verifica costante che le limitazioni di capacità attuate rispondano effettivamente alle esigenze e agli interessi del beneficiario. PRESENTAZIONE RICORSO a presentazione del ricorso sembra doversi effettuare direttamente presso la cancelleria del giudice tutelare (così argomentandosi dalla L 55 L’AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO previsione di un decreto del G.T. da emettersi entro 60 giorni dalla data di presentazione della richiesta, e dal disposto dell’art.406 che, menzionando tra i possibili soggetti proponenti i responsabili dei servizi sanitari e sociali, dice “…sono tenuti a proporre al giudice tutelare il ricorso di cui all’art.407..”. L’iscrizione del ricorso non avverrà quindi nel ruolo generale contenzioso della cancelleria centrale, bensì nel ruolo non contenzioso della cancelleria del giudice tutelare. Parimenti si ritiene non possa esserci la fase presidenziale di cui all’art.713 c.c. con trasmissione al P.M., vaglio iniziale di infondatezza, designazione del giudice. In ordine al contenuto del ricorso e alle ragioni che hanno indotto a richiedere la nomina dell’A.S., si richiederà una certificazione medica che non si limiti alla diagnosi della patologia, ma indichi in termini più diffusi l’incidenza della stessa sulle capacità intellettive, volitive e gestionali del soggetto, onde consentire al G.T. di individuare i singoli atti in cui si concretizzerà l’operato dell’A.S. e graduare gli spazi di gestione diretta dell’amministrato. Sarà inoltre necessario indicare la consistenza delle sostanze del beneficiario (cespiti patrimoniali ed entrate), nonché le sue principali esigenze di spesa corrente, onde consentire al G.T., ai sensi dell’art.405 comma 5 n.5, di individuare i limiti periodici delle spese che l’A.S. potrà sostenere utilizzando le disponibilità dell’amministrato. NOTIFICHE/COMUNICAZIONI e da una parte si condivide la natura di volontaria giurisdizione della procedura in oggetto, tuttavia il richiamo, in quanto compatibile, all’art.713 (“…ricorso e decreto sono notificati a cura del ricorrente entro il termine fissato…”), e lo stesso principio costituzionale di cui all’art.111 cost. (“ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti…”), ancor più ove si valuti la potenziale incisività dell’intervento del G.T. sulla capacità di agire del soggetto, sia pure per singoli atti, depone per la necessità di una comunicazione formale e preventiva del ricorso al soggetto nei cui confronti è chiesto l’intervento di protezione. Si dovrà procedere in tempi comunque contenuti, dato il termine di 60 giorni (da reputarsi peraltro ordinatorio) entro il quale deve intervenire la pronuncia del G.T.. Circa le modalità di instaurazione del contraddittorio nei confronti del beneficiario sembrano emergere orientamenti difformi: -notifica a mezzo ufficiale giudiziario a carico della parte istante, sia che agisca con difensore, sia che agisca personalmente (sulla base del- S 56 AIAF RIVISTA 3/2004 l’art.713 c.p.c., comunque richiamato dall’art.720 bis c.p.c.) -notifica a carico della cancelleria, che procederà tramite ufficiali giudiziari nei termini consentiti dall’art.137 c.p.c. -comunicazione con biglietto di cancelleria che, ex art.136 c.c., potrà essere consegnato direttamente, inviato tramite servizio postale (art.45 disp.att. c.p.c), ovvero tramite ufficiali giudiziari Valutandosi la peculiarità di questo procedimento, che da un lato risponde a esigenze di immediatezza, snellezza, facile accessibilità per il privato cittadino di qualunque estrazione sociale, caratterizzato dall’impulso e dall’iniziativa d’ufficio nella parte sia istruttoria sia decisionale, estraneo a rigori formali, ma che dall’altro incide sulle capacità del soggetto, potendo limitarle anche incisivamente, presso il Tribunale di Milano si è ritenuto di optare per una notifica formale, che sarà azionata dal ricorrente, se munito di difensore, mentre sarà attivata dall’ufficio di Cancelleria se il ricorso è presentato dalla parte personalmente. Si oppone a tale soluzione il rilievo che, ove il legislatore ha inteso porre tale onere a carico della Cancelleria, l’ha detto espressamente (vedi artt.22 e 23 L.689/81 in tema di opposizione del privato alle sanzioni amministrative) e che, non potendo trascurarsi gli oneri economici di tale incombente, il giudice prevedrebbe in tal modo arbitrariamente che ciò venga a gravare sullo Stato. Di fronte a tali perplessità, e ribadendosi le possibili difformità interpretative che discendono dal testo legislativo in esame, si auspicherebbero interventi chiarificatori del legislatore (che sempre più, con la formula del richiamo normativo in quanto compatibile, rimette al giudice valutazioni necessariamente interpretative, foriere di possibili diverse “applicazioni” della legge). Si reputa in ogni caso sia a carico della parte ricorrente l’onere di informare i congiunti, quali indicati nell’art.407 c.c., dando prova documentale al G.T. che ciò sia avvenuto (anche con lettera raccomandata). Nelle more della fissazione dell’udienza, il ricorso dovrà essere trasmesso al P.M. perché possa esercitare il suo intervento, che dovrà esplicitarsi in ogni caso con conclusioni formali prima che il G.T. provveda, sulla base dei dati documentali e delle notizie fornite dal ricorrente, se ritenute sufficienti, ovvero all’esito delle ulteriori informazioni acquisite dal giudice. AUDIZIONE DELL’INTERESSATO embra incombente essenziale prima di poter nominare un A.S., anche se l’art.405 comma 3, consentendo in caso di urgenza la nomina di un S SETTEMBRE - DICEMBRE 2004 amministratore di sostegno provvisorio, potrebbe consentire tale pronuncia anche prima dell’audizione dell’interessato, sulla base delle prove documentali o delle informazioni raccolte. In ogni caso per potere confermare la nomina dell’A.S. entro i 60 giorni dal deposito iniziale del ricorso, l’interessato dovrà essere sentito personalmente. Non venendo richiamato l’art.714 c.c., si ritiene che all’audizione non sia obbligatoria la presenza del pubblico ministero. RAPPORTI GIUDIZIO INTERDIZIONE/NOMINA AMMINISTRATORE SOSTEGNO rt.418 comma 3: “Se nel corso del giudizio A d’interdizione o di inabilitazione appare opportuno applicare l’amministrazione di sostegno, il giudice d’ufficio o su istanza di parte, dispone la trasmissione del procedimento al giudice tutelare. In tal caso il giudice competente per l’interdizione o per l’inabilitazione può adottare i provvedimenti urgenti di cui al quarto comma dell’art.405”. La norma, riferendosi al giudice, e utilizzando l’espressione trasmissione del procedimento, che nella procedura civile non sembra trovare una collocazione formale, non offre precise indicazioni circa l’organo (giudice istruttore o collegio) deputato alla valutazione di opportunità dell’amministrazione di sostegno, né circa la forma del provvedimento di trasmissione. Nella genericità e informalità della dizione normativa si è ipotizzato (così il Tribunale di Milano) che, ove dovessero emergere posizioni contrastanti delle parti in giudizio (ricorrente, resistente e pubblico ministero), la suddetta valutazione non possa che provenire dal collegio, trattandosi di materia rimessa alla competenza del giudice in composizione collegiale; in tal caso sarà emessa una sentenza che definirà il giudizio contenzioso, e con separata ordinanza (o decreto motivato, ove si ritenga necessario nominare un amministratore di sostegno provvisorio ed emettere i provvedimenti urgenti di cui all’art.405 comma 4 c.c.) si procederà a trasmettere copia degli atti al giudice tutelare (gli originali rimarranno nel fascicolo del procedimento contenzioso, anche per una possibile fase di impugnazione). Vi è anche tuttavia chi ritiene che tale trasmissione del procedimento, ed ancorché vi sia un contrasto tra le parti, possa avvenire ad opera del G.I., valorizzandosi con ciò lo spirito della legge e le esigenze di celerità e semplificazione cui si uniformerebbe tutta la materia. In ogni caso si ritiene che, qualunque forma venga adottata, il provvedimento che definirà il giudizio contenzioso dovrà essere compatibile con la possibilità di essere impugnato o reclamato. L’AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO Nel caso invece di adesione di tutte le parti del giudizio alla prospettata trasmissione degli atti al G.T. per l’apertura di Amministrazione di sostegno, si è ritenuto legittimo (e in tal senso sta operando il Tribunale di Milano), che le parti rinuncino agli atti del giudizio con reciproca accettazione (Pubblico Ministero compreso), rinuncia che si valuta consentita di fronte all’avvio certo di un procedimento posto comunque a protezione della persona nella diversa sede non contenziosa avanti al giudice tutelare. Ai sensi dell’art.306 c.p.c., il G.I. dichiarerà l’estinzione del giudizio e con la stessa ordinanza (o decreto motivato, ove ritenga necessario nominare un A.S. provvisorio ed emettere i provvedimenti urgenti di cui all’art.405 c.4 c.c.), procederà a trasmettere copia degli atti al giudice tutelare. Si è obiettato da parte di alcuni che le soluzioni di cui sopra conducono tutte ad una chiusura del procedimento d’interdizione, che non potrebbe più essere riaperto nel caso in cui, teoricamente possibile, il giudice tutelare ritenesse non ricorrano i presupposti di nomina di A.S.. Tale preoccupazione indurrebbe a ricercare forme di trasmissione degli atti al G.T. compatibili con un possibile riavvio del procedimento d’interdizione, quali ordinanze di mero rinvio o sospensione del procedimento. A conclusione di queste prime note interpretative, cariche di dubbi e timide ipotesi, si ribadisce l’opportunità e l’urgenza di interventi chiarificatori del legislatore, soprattutto su nodi processuali che espongono inopportunamente il cittadino a soluzioni procedurali anche significativamente differenti a seconda dell’ambito territoriale di riferimento. Si reputa in ogni caso che solo l’applicazione futura di questa nuova normativa nelle fattispecie concrete consentirà di individuare nel tempo le più adeguate risposte interpretative, idonee a realizzare quegli obiettivi di protezione e rispetto della persona priva in tutto o in parte di autonomia quali il legislatore ha voluto e ci ha voluto segnalare. * Giudice del Tribunale di Milano, Sezione diritto di famiglia e tutele 57 L’AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO In questo intervento del Prof. Paolo Cendon, padre del nuovo istituto dell’amministrazione di sostegno, emerge lo spirito della riforma del sistema di protezione delle persone incapaci… e la filosofia del nuovo welfare, verso il potenziamento e ampliamento dei poteri della pubblica amministrazione. I l 22 dicembre 2003, è stato approvato definitivamente dal Senato il provvedimento che introduce in Italia il nuovo e attesissimo Istituto di Protezione Civilistica degli infermi di mente: l’amministrazione di sostegno. E’ una riforma destinata a incidere profondamente sulla quotidianità dei malati psichici. Gli svantaggi della disciplina in vigore sono mol- UNA RIFORMA PER MIGLIORARE LA VITA QUOTIDIANA PAOLO CENDON* teplici: processi onerosi, eccesso di pubblicità, difficoltà di difesa. Soprattutto sono pesanti le conseguenze tecniche: all’interdetto viene impedito di fare ogni cosa. Qualunque contratto da lui stipulato è annullabile, anche il più modesto. E all’inabilitato non va molto meglio. Si tratta di misure “totalizzanti” quasi sempre sproporzionate rispetto alle necessità di protezione del soggetto. Etichette odiose. Spesso inapplicabili. Tra i disabili psichici viventi in Italia, (circa 700.000), solo una piccola parte sta effettivamente così male. Gli altri non sono colpiti fino a quel punto (e poi non sempre e non continuativamente), e per soccorrerli legalmente, quando arriva un momento difficile, non esiste nulla. Come investire una piccola liquidazione quale clausole introdurre in un vitalizio, a chi vendere i mobili di casa, quanto farsi dare per la cessione delle quote di un’azienda? Il disabile psichico (se non ha un famiglia, o se questa non lo ama), resta facile preda per chiunque. Perciò l’amministrazione di sostegno. Il Giudice Tutelare (mettiamo), viene avvertito (dagli opera- Articolo pubblicato su “Plurali- volontariato e autonomia locale”, settembre 2004, supplemento mensile di Aut&Aut a cura del Cesvot, che si ringrazia, con il Prof. Paolo Cendon, per l’autorizzazione alla pubblicazione. 58 AIAF RIVISTA 3/2004 tori, dai vicini di casa, dal Pubblico Ministero) che una persona si trova in difficoltà: allora entra in azione, si informa tramite gli assistenti sociali, dispone eventualmente una perizia, se occorre va a parlare con la persona, consulta chi le sta intorno. Alla fine emetterà un decreto (anticipandone magari una parte in via d’urgenza) con cui nomina l’amministratore di sostegno, indicando quali operazioni potrà compiere “ in nome e per conto” dell’interessato, precisando data d’inizio e fine dell’incarico. Una “filosofia” opposta a quella dell’interdizione. Sul piano dei principi in primo luogo: l’incapacitazione non è più a 360°, ma riguarda solo atti specificamente menzionati; per tutto il resto il beneficiario conserva intatti i suoi diritti. Sul piano della direzione della tutela poi, non è chiaro se le misure tradizionali siano qualcosa che va a pro’ dell’infermo, o non piuttosto della società o della famiglia (bloccare qualcuno che potrebbe dilapidare il patrimonio). Il nuovo provvedimento dovrà essere assunto, invece, tenendo “conto, compatibilmente con l’interesse della persona, dei bisogni e delle richieste di questa”. Sul piano delle garanzie, poi, l’infermo può attivare lui stesso la procedura, nominare un consulente, esigere un rendiconto periodico, pretendere in ogni momento la modifica o la revoca del provvedimento. Sul piano della snellezza procedurale, gli avvocati non servono, tutto è tendenzialmente gratuito. Sul piano dei doveri dell’amministratore, infine: dovrà operare per la miglior felicità del paziente, “con la diligenza del buon padre di famiglia”; altrimenti potrà venir sospeso, rimosso, eventualmente condannato a risarcire i danni. La seconda grande differenza si coglie sul terreno dei destinatari della protezione. L’interdizione riguarda solo gli infermi di mente. Il nuovo strumento è pensato invece, per venire incontro anche ad anziani della quarta età, handicappati sensoriali, alcolisti, tossicodipendenti, soggetti colpiti da ictus, malati, morenti. Inutile dire che tutto ciò (milioni di futuri “clienti” dell’a.d.s.) richiederà uno sforzo organizzativo di prim’ordine; uffici giudiziari potenziati, assistenti sociali capillari, scuole di formazioni, coordinamento fra i servizi, tecnologia e informatica a piene mani. I beneficiari dell’a.d.s. dovranno, nella misura del possibile, contribuire al finanziamento dell’apparato? Si tratterà di un modo diverso di impiegare risorse attualmente investite altrove? E se occorrono invece nuove spese, per il paese varrà la pena di affrontarle? Ecco alcune domande del nuovo welfare che si affaccia per il terzo millennio. * Ordinario di Diritto Privato, Università degli Studi di Trieste SETTEMBRE - DICEMBRE 2004 CACCO Il Tribunale di Padova ha dichiarato la nullità di un ricorso per la nomina di un amministratore di sostegno in quanto non ritualmente proposto a norma dell’art. 82, 3°c., c.p.c., attraverso il ministero di un difensore abilitato. Secondo Lei è necessaria la difesa tecnica nel procedimento di amministrazione di sostegno? TOMMASEO i tratta di procedimento avanti al Tribunale, e la legge ci dice (art. 82 III comma c.p.c.) che nei giudizi davanti al Tribunale è necessario il ministero del difensore. Vi sono, però, degli argomenti che possono concorrere a rendere meno vincolante questa regola: a) Quando era Giudice Tutelare il Pretore credo che nessuno si sia posto il problema se l’ accesso al Giudice Tutelare dovesse avvenire con il ministero del difensore. Si trattava di una giurisdizione volontaria davanti al Pretore.Il ministero del difensore era meno vincolante rispetto a quello previsto dal diritto comune. b) La giurisprudenza è abbastanza ferma nel ritenere che anche nei procedimenti di giurisdizione volontaria sia necessario il ministero del difensore. Però ci sono degli elementi nuovi che è bene non sottovalutare, non tanto ricavabili dalla disciplina dell’ amministrazione di sostegno, e mi riferisco in particolare agli artt. 406 III comma c.c. e 411 ult.comma c.c.. Penso invece alle scelte che il legislatore ha operato nell’ ambito della riforma del processo societario. I procedimenti in camera di consiglio di stretta giurisdizione volontaria sono due e appartengono a due modelli: uno, quello dei procedimenti nei confronti di una parte sola e l’ altro, dei procedimenti nei confronti di più parti e cioè, secondo la terminologia dottrinale, dei procedimenti unilaterali di giurisdizione volontaria e dei procedimenti plurilaterali. Vi è da notare che è considerato unilaterale anche il procedimento nel cui ambito deve essere sentito il P.M.. Solo per i procedimenti unilaterali non è necessario il ministero del difensore. Questa è un’ indicazione che consente di ritenere che, se il ricorso ex. art. 407 c.c. è proposto dallo stesso soggetto beneficiario, ci troviamo di fronte sicuramente ad un procedimento unilaterale, per definizione senza contraddittorio: se è così, il sistema ormai è univoco nel ritenere che il patrocinio non sia necessario. In tutti gli altri casi, invece, è necessaria la difesa tecnica perché vi è indubbiamente S L’AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO un conflitto tra chi fa la richiesta di limitare la capacità di un soggetto e chi tale richiesta subisce. CACCO L’art. 406 III comma c.c. che dispone che i responsabili dei servizi sanitari e sociali direttamente impegnati nella cura e assistenza della persona sono tenuti a proporre ricorso ex. art. 407c.c. e l’ art. 411 ult. comma c.c. che consente al beneficiario dell’ amministrazione di sostegno di presentare ricorso “direttamente”, legittimano, a Suo parere, la tesi della non necesssità della difesa tecnica? LA DIFESA TECNICA NEL PROCEDIMENTO DI NOMINA DELL’AMMINISTRATORE DI SOSTEGNO TOMMASEO art. 406 c.c. individua solamente i soggetti legittimati a proporre il ricorso e, tra questi, vi sono anche i responsabili dei servizi sanitari e sociali. L’ art. 411 ult. comma c.c. quando dice che il beneficiario può presentare “direttamente” ricorso si riferisce non alla domanda introduttiva ma agli atti di gestione che sono certamente di giurisdizione volontaria. La discriminante per la necessità della difesa tecnica è sulla caratteristica volontaria o contenziosa del procedimento: nel caso in cui sia la parte stessa che richiede la nomina dell’ amministratore di sostegno e vi è, quindi, mancanza del contraddittorio, la difesa tecnica non è necessaria. In tale caso è priva di giustificazione l’ applicazione dell’ art. 82 III comma c.p.c.. Sul piano pragmatico, però, sconsiglierei la scelta di non avvalersi del ministero del difensore: L’ INTERVISTA AL PROF. FERRUCCIO TOMMASEO, ORDINARIO DI DIRITTO PROCESSUALE CIVILE, FACOLTÀ DI GIURISPRUDENZA, UNIVERSITÀ DI TRIESTE A CURA DELL’ AVV. PAOLA CACCO* 59 L’AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO AIAF RIVISTA 3/2004 penso al tecnicismo della procedura, al contenuto del ricorso, al problema delle notifiche, ai gravami ecc. La parte economicamente debole può avvalersi della difesa a spese dello Stato, strumento efficace, che può essere disposto, su istanza di parte, dallo stesso giudice in ogni stato e grado del processo. * avvocato in Padova AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO - OBBLIGATORIETA’ DELLA DIFESA TECNICA. È nullo il ricorso ex art. 404 c.c. per la nomina di amministratore di sostegno, presentato da uno dei soggetti legittimati alla presentazione del ricorso stesso, senza l’assistenza di un difensore abilitato. L’art. 82, 3°comma, c.p.c. ha portata generale e si applica a tutti i procedimenti davanti ad un organo giurisdizionale, salvo che la legge disponga altrimenti, né influisce al riguardo la forma speciale o camerale del rito previsto per lo specifico tipo di procedimento, ma il contenuto sostanziale di controversia sui diritti soggettivi o di status delle persone (Tribunale di Padova. Decreto 21.05.2004) Il Tribunale di Padova ha dichiarato la nullità del ricorso presentato dal Responsabile del Settore Interventi Sociali del Comune di Albignasego per la nomina di un amministratore di sostegno in quanto tale ricorso, benché effettuato da uno dei soggetti legittimati ai sensi dell’art. 406 c.c., non è stato ritualmente proposto a norma dell’art. 82 3°c. c.p.c., attraverso il ministero di un difensore abilitato. Tale decisione è stata formulata innanzi tutto sulla scorta di una interpretazione letterale del dato normativo citato, che prevede la possibilità di eccezione al principio generale indicato, volto a consentire la piena ed effettiva esplicitazione del diritto di difesa di cui all’art. 24 Cost, soltanto per i “casi in cui la legge dispone altrimenti”. Nella fattispecie, considera il Giudice Tutelare di Padova, la legge 9.01.2004 non contiene alcuna disposizione che escluda la necessità della difesa tecnica per il procedimento di nomina di amministratore di sostegno. Tale scelta interpretativa risulta a fortiori sostenibile per via analogica sulla base della costante giurisprudenza di legittimità, la quale afferma la necessità della difesa tecnica anche con riferimento a procedimenti diversi, per oggetto o per rito, dai giudizi contenziosi. Particolare rilievo viene conferito dal giudicante alle pronunce della Suprema Corte, relative sia alla declaratoria di nullità insanabile del ricorso sottoscritto da procuratore privo di ius postulandi nel procedimento di interdizione ed inabilitazione (Cass. 14.4.1994 n. 3491 in Giur. It. 1994 I,1967), sia alla declaratoria di nullità del reclamo avverso un provvedimento emesso in camera di consiglio non proposto a mezzo di procuratore abilitato, se non seguito dalla costituzione di altro procuratore abilitato (Cass. 13.5.1991 n. 5320 in Foro It. 1992, I, 2218). Osserva il Giudice Tutelare che la ratio delle decisioni della Suprema Corte risiede nella valutazione della necessità della difesa tecnica in procedimenti, tra i quali non può che intendersi ricompreso quello per la nomina di amministratore di sostegno, con sostanziale contenuto di controversia su diritti soggettivi o di status delle persone. Degno di rilievo sotto il profilo processuale ed ulteriore conferma della coerenza sistematica della decisione in esame, infine, è il richiamo operato all’art. 720 bis c.p.c., quale modificato dall’art. 17 della legge n. 6/2004, in base al quale nei procedimenti in materia di amministrazione di sostegno si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni per i procedimenti di interdizione e di inabilitazione di cui agli artt. 712, 713, 716, 719 e 720 c.p.c. L’espresso riferimento a tali norme processuali ed in particolare il richiamo all’art. 712 c.p.c. risulta decisivo ai fini della questione in esame, non potendosi dubitare, per le ragioni sopra esposte, che il ricorso per interdizione o per inabilitazione debba essere proposto con il ministero di un difensore abilitato. In altri termini, considerato il rimando operato dall’art.720 bis c.p.c.quale espressa conferma dell’analogia tra gli istituti dell’amministrazione di sostegno e quelli dell’ interdizione e dell’ inabilitazione, che parimenti incidono su diritti di rilevanza costituzionale, non può non risultare confermata la correttezza dell’applicazione del principio dell’obbligatorietà della difesa tecnica anche al procedimento per la nomina di un amministratore di sostegno. 60 SETTEMBRE - DICEMBRE 2004 L a legge 9 gennaio 2004 n. 6 che introduce nel codice civile il nuovo istituto dell’amministrazione di sostegno è sicuramente ispirata a grande senso di umanità e di giustizia, e risponde ad una attesa di quella parte non trascurabile della società che deve far fronte a problemi che investono l’intero nucleo familiare per la presenza di persona non pienamente in grado di provvedere a se stessa. Essa va incontro anche ad un diffuso sentimento che considera l’ interdizione come una specie di marchio che distrugge la dignità della persona, quasi cosa totalmente soggetta alla volontà di altri. Per cui il valore dell’istituto quale strumento giuridico previsto a protezione dell’infermo, non alla sua emarginazione, assai spesso si perde, per esser visto piuttosto come ulteriore sanzione che esclude il soggetto dal consorzio degli almeno apparentemente - normali. Non ogni umore che si agiti nell’ambiente sociale merita di essere assecondato. Il legislatore deve saper distinguere tra le ragioni della mente e le sensazioni emotive. Ma il fatto che vi sia nei confronti dell’interdizione questo comune pregiudizio giustifica che il legislatore se ne occupi, e che studi le forme in cui cercar di adeguare gli strumenti alle necessità effettive. Ora il sistema tradizionale ha in sé – aveva, a questo punto - un grave limite. Quello di non consentire vie di mezzo, tra una totale privazione di capacità di compiere qualunque atto giuridicamente valido, e una sorta di capacità quasi piena, salvo che per certi atti per i quali occorreva ed occorre una speciale assistenza. La linea di confine era incerta, non essendo sempre facile distinguere tra capacità piena, semipiena e totalmente esclusa. L’altro limite grave era quello derivante dalla funzione assegnata all’inabilitazione, come strumento di pura conservazione patrimoniale, soprattutto inteso ad evitare pericoli di dispersione, non come mezzo capace di consentire una gestione oculata e redditizia dello stesso patrimonio1. E tuttavia non basta l’eccellenza dei propositi per evitare le confusioni della pratica. E poiché sono poi i pratici che debbono far vivere le leggi, sarà bene che cerchino di individuare linee di interpretazione che preservino l’ispirazione della legge correggendone le possibili incongruenze. La prima domanda che ci si pone è quella di individuare, se vi sono, linee guida per discernere quando si fa luogo ad interdizione – posto che l’istituto è stato mantenuto – e quando ad amministrazione o inabilitazione. Diverse disposizioni sembrano autorizzare il sospetto che il legislatore abbia ritenuto che L’AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO l’amministrazione possa essere applicata indifferentemente sia in caso di totale incapacità che di capacità parziale. Se così fosse, in presenza di persona totalmente incapace, si affiderebbe al giudice la scelta tra interdizione e amministrazione. La legge sembra disinteressarsi del problema, e lo abbandona alla discrezione del giudicante. E’ quel che pare desumersi dall’articolo 404 c.c. (anche parziale, quindi anche se totale). Questa lettura non è accettabile. Se si ritiene che l’interdizione sia istituto di per sé negativo di un complesso di diritti dell’individuo, assistiti da garanzia costituzionale quali beni indisponibili del cittadino (articoli 2 e 3), non può essere affidato al giudice senza precisa individuazione dei presup- AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO. PREGI E DIFETTI posti di legge il sacrificio totale o parziale di questi diritti. Occorre individuare un criterio. E questo non può che ricavarsi dalla stessa logica della legge e dalle sue parole. È la legge stessa che considera incompatibile il sostegno con l’interdizione o inabilitazione, nel senso che ove si debba pronunciare interdizione o inabilitazione non può farsi luogo ad amministrazione di sostegno, e viceversa. Tale rapporto di alternatività risulta chiaramente dall’art. 405, 3° co., c.c., dove è detto che se l’interessato è un interdetto, il decreto diviene esecutivo al momento della revoca dell’interdizione, e dall’articolo 406, 2° co., c.c., dove è detto che se il ricorso riguarda un interdetto o inabilitato, deve esser presentato congiuntamente alla domanda di revoca dell’interdizione o inabilitazione. Occorre dunque, in via di interpretazione, coordinare il sistema, in modo da stabilire quando si debba UBALDO NANNUCCI* Articolo pubblicato su “Plurali - volontariato e autonomia locale”, settembre 2004, supplemento mensile di Aut&Aut a cura del Cesvot, che si ringrazia, con il Dott. Ubaldo Nannucci, per l’autorizzazione alla pubblicazione. 61 L’AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO procedere ad interdizione (o inabilitazione) e quando invece ad amministrazione di sostegno. Ma quand’è che si deve ricorrere all’uno o all’altro istituto? Una linea discriminante deve ravvisarsi in ciò: se la capacità di provvedere ai propri interessi è totalmente esclusa, non può farsi luogo ad amministrazione di sostegno, ma deve pronunciarsi interdizione. Questa conclusione è imposta da varie disposizioni di legge, dalle quali emerge che il legislatore, in tutti i casi in cui ritiene applicabile il nuovo istituto, suppone esistente una certa capacità, sia pure ridotta, di autoamministrarsi da parte del beneficiario: vedasi l’art 409 c.c., laddove afferma che “il beneficiario conserva la capacità di agire per tutti gli atti che non richiedano la rappresentanza esclusiva o l’assistenza necessaria dell’amministratore di sostegno”. E l’articolo 410 c.c. dove è detto che l’amministratore deve tempestivamente informare il beneficiario circa gli atti da compiere, e il giudice tutelare in caso di dissenso; il che vuol dire che il beneficiario deve essere in grado di comprendere ciò che gli si dice e financo di esprimere un dissenso. Imporre queste formalità nei confronti di chi magari non è neppure in grado di riconoscere chi gli parla, sarebbe esibizionismo retorico oltre tutto oltraggioso verso una persona che non capisce nulla di ciò che gli si dice. Ciò significa che l’amministrazione suppone che il soggetto abbia conservato e mantenga una qualche capacità naturale che gli consenta di discernere il senso degli atti che compie intendendone il significato e il valore giuridico. La legge stessa ne fornisce una esemplificazione tassativa laddove al secondo comma stabilisce che il beneficiario in ogni caso può compiere gli atti necessari al compimento della propria vita quotidiana. Se è prescritto legislativamente che il beneficiario in ogni caso può compiere determinati atti, anche dotati di valore giuridico, come acquisto di beni necessari al proprio sostentamento, pagamento di servizi e simili, se ne deve necessariamente concludere che non può disporsi amministrazione di sostegno nei confronti di chi si trova in condizioni tali da rendere del tutto impossibile l’esecuzione e il compimento di tali pur semplici operazioni. Questa lettura è quella che rispecchia d’altronde lo spirito della legge, che ha voluto evitare l’interdizione in tutti i casi in cui lo stato di mente della persona non sia così menomato da renderla inevitabile, ma non nega che quando questa situazione si verifica è all’interdizione che si debba fare esclusivo ricorso. 62 AIAF RIVISTA 3/2004 Se questa prima conclusione mi sembra incontrovertibile, si apre l’altro arduo problema: posto che la capacità naturale non sia totalmente esclusa, come orientarsi nella scelta tra amministrazione e inabilitazione? Su questo terreno non mi voglio avventurare, perché sicuramente superiore alle mie forze. Qualcun altro forse vi si vorrà cimentare, anche per chiarire per quale ragione per gli atti indicati dall’articolo 375 c.c. (394, 3° co., c.c.) per l’inabilitato occorra l’autorizzazione del tribunale su parere del giudice tutelare mentre per l’amministrato sia sufficiente quella del giudice tutelare. Serie ragioni di perplessità suscita la scelta di affidare al giudice tutelare la decisione di individuare, tra gli atti affidati all’amministratore, quelli che costui ha il potere di compiere in nome e per conto dell’amministrato (articolo 405, 5° co., n. 3, e 409, 1° co., c.c.). Agire in nome e per conto di altri significa averne la rappresentanza: secondo i principi di diritto, la rappresentanza è conferita dalla legge o dall’interessato. Qui invece è conferita dal giudice tutelare, per negozi di volta in volta individuati, anche assai gravi dal punto di vista patrimoniale. Per di più nei confronti di persona che non è totalmente incapace, e al di fuori di qualsiasi controllo collegiale. Si aprono un ventaglio di questioni che è possibile solo accennare. Se si tratta di persona non totalmente priva di capacità di giudizio, perché escluderla del tutto dalla partecipazione a decisioni che la riguardano? E con quale autorità un soggetto – terzo, come va di moda dire, ma in realtà primo, ossia gestore in prima persona degli interessi del minorato – decide di questioni che attengono al patrimonio di questa persona sostituendosi a lei, facendola davvero diventare oggetto di diritto piuttosto che soggetto? E degli eventuali danni che una - in ipotesi - improvvida gestione le abbia cagionato, chi ne risponde, l’amministratore? O il giudice? Od entrambi? O nessuno? Affido questi interrogativi alla riflessione comune. Più gravi ancora sono le perplessità se si considera che l’amministrazione può essere disposta anche nei confronti di persona del tutto integra intellettualmente, e solo fisicamente minorata. A qual titolo costei può venire espropriata del diritto di decidere da sola delle proprie sorti e sostanze? E ancora, è ammissibile che queste decisioni vengano prese in assenza di formale consenso dell’amministrato, per definizione non totalmente, o nel caso di infermità fisica, pienamente capace? SETTEMBRE - DICEMBRE 2004 Qui davvero bisognerà che la legge venga sottoposta a scrupolosa opera di cosmesi creativa, piaccia o non piaccia al Ministro della Giustizia, perché essa non si risolva in paternalistico esempio di insidioso scardinamento di principi costituzionali, per tramite di legge ordinaria, secondo una prassi ormai ampiamente diffusa nel costume del nostro legislatore. Mi sia consentito di esprimere viva sorpresa per quanto dice il 6° comma dell’articolo 411 c.c., che dichiara ex lege comunque valide le convenzioni in favore dell’amministratore congiunto. I parenti stretti dell’incapace sono già assurdamente esclusi dal rischio della circonvenzione, per cui il fratello o lo zio che inducono l’infermo a spogliarsi dei suoi beni in loro favore non rispondono di nulla; ora questa stessa immunità sembra estesa ai cugini; l’unico che risponde di circonvenzione, se per caso avesse incautamente autorizzato simili atti, finisce con l’essere il giudice, perché la causa di non punibilità ha carattere strettamente soggettivo. Non comprendo perché non si è approfittato dell’occasione per cancellare l’aberrazione giuridica del 649 c.p.. SUL PROCEDIMENTO. I) previsto che il beneficiario debba essere sentito. Anche perché potrebbe non essere affatto felice di ricevere questa attenzione. Ma, si dice, in caso di mancata comparizione il giudice tutelare decide comunque sul ricorso. Questa norma è grave. Un’ampia dottrina ha sostenuto che l’interrogatorio dell’interdicendo deve considerarsi vera e proprio condicio juris per l’accoglimento della domanda, sia sotto il vecchio che sotto il nuovo codice (Pacifici Mazzoni, Poggeschi, Giunta, Stella Richter, Andrioli, Jannuzzi e Sorace)2. Qualcuno ha anche ritenuto di dissentire, affidandosi all’articolo 715 c.p.c., che stabilisce che il giudice si debba recare ad esaminare l’interdicendo se questi non si presenta per legittimo impedimento. Se ne è dedotto che se non è provato l’impedimento, il giudice può decidere ugualmente. Ma è una interpretazione capziosa. La legge ha voluto dire che se è legittimamente impedito, è il giudice che si deve muovere; se non è, si deve muovere l’interdicendo. E la Cassazione ha detto che anche in caso di rifiuto il giudice si deve recare sul luogo di residenza dell’ostinato soggetto, e solo in questo ultimo caso può procedere oltre. La legge si è in questo caso dimenticata di introdurre una disposizione di cui spesso si è avvertito il bisogno: quella di disporre l’accompagnamento coatto del recalcitrante. Il giudice può È L’AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO disporre TSO, può emettere ordini di protezione, poteva altrettanto utilmente disporre l’accompagnamento di persona che rifiuta di incontrarlo, nei soli limiti necessari per parlarci. È una lacuna che poteva essere evitata. II) rticolo 406 – Il ricorso può essere presentato A anche dai responsabili dei servizi sanitari. La norma desta qualche curiosità. E’ prevedibile un grande afflusso di ricorsi al giudice, sul quale viene di fatto a scaricarsi il compito di decidere preliminarmente se il soggetto è passibile di interdizione, amministrazione od altro. E per quanto il 1° comma dell’articolo 407 c.c. prescriva quale debba essere il contenuto del ricorso, è assai probabile che si rovescerà sul giudice il compito di quella istruttoria minima sulle condizioni di mente della persona cd beneficiata. In tal modo il giudice confonde il proprio ruolo con quello di un operatore sociale. Ciò comporta un ulteriore effetto, che aggrava un vizio di cui già le Procure soffrono. Quello del disimpegno in affari di questo tipo. Occorrerà comunque che qualcuno impartisca direttive ai servizi sociali, ma a questo punto dubito che ciò possa esser fatto dal pubblico ministero che è solo un soggetto che interviene, non un soggetto che promuove. Direttive che chiariscano i presupposti indispensabili per codesta richiesta, con particolare riguardo alla patologia della persona che rende necessaria l’iniziativa, per distinguere tra l’una misura e l’altra; e per evitare che si possa supporre che l’aver promosso la nomina dell’ammi- Opera collettiva La città degli Amici fototessere, tempera su tela, cm.120x210 (misura della base estensibile) 2004 63 L’AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO nistratore valga ad esonerare il servizio dai compiti di assistenza quotidiana che abitualmente, spesso con grande disponibilità e diligenza, svolgono. È corretto che questo compito sia svolto dal giudice? III) uanto poi all’intervento del pubblico ministeQ ro, ritengo che sia essenziale che esso avvenga in via preliminare, ossia prima che – salvo casi di assoluta urgenza – siano adottati provvedimenti di qualsivoglia natura. Ciò quanto meno per consentirgli di esercitare il potere di richiesta preventiva di declaratoria di infondatezza prevista dall’articolo 713 c.p.c., che è richiamato dall’articolo 720 bis delle disp. att.. Pare poi implicito che, quando il ricorso non è proposto dal pubblico ministero, questi non è tenuto ad intervenire all’interrogatorio non rivestendo il ruolo di ricorrente. Ma ciò costituisce un ulteriore fattore di esposizione personale del giudice, di dubbia opportunità. E se è vero che siamo in ambito di giurisdizione volontaria, non si dovrebbe spingere il concetto fino ad annullare il carattere giurisdizionale dell’intervento, che implica comunque una qualche forma di contradditorio tra parti processuali, come di certo non credo possa considerarsi l’assistente sociale3. C’è un’ultima questione, assai seria. Qual è l’ambito dei poteri dell’amministratore? L’articolo 404 c.c. parla della difficoltà dell’infermo di provvedere ai “propri interessi”. Più volte la giurisprudenza ha affermato che l’espressione non va intesa limitatamente ai soli interessi patrimoniali, e di ciò v’è un’eco nella legge all’articolo 405, 4° co., c.c. quando si parla di interventi urgenti per la “cura della persona”. È bene fissare alcuni punti. Se l’amministrazione viene disposta nei confronti di persona pienamente capace, nessuna autorità potrà imporre interventi terapeutici di sorta senza il suo consenso. Violare questa libertà di non curarsi, garantita dalla Costituzione, integra il delitto di violenza privata in concorso se del caso a quello di lesioni o al limite di sequestro di persona. Altrettanto certo deve essere il principio che in nessun caso può considerarsi sintomo di debolezza mentale il rifiuto della cura. Chi non si vuol curare, o si vuol curare con metodi che la scienza ufficiale non approva, esercita un suo sacro diritto di libertà. Ma il problema si fa grave e assai delicato quando esso riguarda persone affette in qualche misura da fragilità mentale. Nei giorni scorsi la stampa ha dato notizia di una donna che è stata inter64 AIAF RIVISTA 3/2004 detta, appunto allo scopo di sottoporla ad una amputazione che non intendeva subire. Ho espresso una vibrata protesta, in una mailing list di dialogo tra magistrati, e pare che ci abbiano ripensato. La questione è di tal peso, da non poter certo essere affrontata qui. Qualche cenno però mi pare doveroso. Mi limito, anche qui, a porre interrogativi. Davvero la persona interdetta – ossia quella totalmente incapace, sia o meno in grado di esprimere una qualche volontà, un desiderio, un segno di attenzione, a volte soltanto un sorriso. Davvero questa persona è pienamente e totalmente inerme nelle mani del suo tutore? E può costui autorizzare qualunque manomissione fisica, sia pure ovviamente con ogni migliore intenzione, sol perché investito di presunzione ex lege di conoscere ciò che è bene per il povero infermo? E come potrà costui dissentire da ciò che la scienza paludata gli presenta come miglior cura possibile? Dunque anche l’amputazione, l’enucleazione di un bulbo oculare, l’intervento spinale ecc. Attenti. Non voglio esplorare ipotetici risvolti penali. Qui bisogna interrogare la propria coscienza. Fin quando si tratta di attenuare sofferenze, di praticare terapie non demolitorie, di usare ogni mezzo per consentire la prosecuzione di una esistenza in condizioni non peggiori di quella vissuta fino a quel giorno, possono essere umanamente accettabili misure che provocano una sofferenza aggiuntiva ma temporanea. Ma valicare questo confine, e infliggere ulteriori menomazioni permanenti dell’integrità del malato, solo per obbedire a personali teoremi filosofici o religiosi, questa non è carità, né senso di umanità. Non spetta a nessuno di noi opporsi al destino segnato di una persona, infliggendo ad essa nuove sofferenze, solo per obbedire a un canone che non è dello Stato, “in dubio semper pro vita”. Ma ancora più incerta è l’attribuzione di poteri di questo tipo al curatore, o all’amministratore. Un apprezzato studioso ha osservato che essendo l’istituto dell’inabilitazione disegnato in funzione della tutela di interessi prettamente economici4, non sussiste alcun elemento normativo che possa escludere il carattere personale del consenso al trattamento medico. Che significa, che in caso di mancanza di tale consenso, nessun trattamento è lecito. Non altrettanto chiara è la situazione per l’amministrato, perché, come si è detto, esso comprende anche la cura della persona, e quindi è istituto previsto specificamente per sopperire anche a necessità personali. E’ bene che si chiarisca, che, proprio perché il presupposto è che la capacità di discernimento non sia totalmente esclusa, ogni trattamento medico suppone non SETTEMBRE - DICEMBRE 2004 L’AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO solo un tentativo di informazione corretta, di ciò che la terapia comporta, ma anche l’accettazione dell’intervento da parte dell’infermo. Al di fuori dei casi del trattamento sanitario obbligatorio, la libertà di non curarsi è legge inderogabile, e nessun giudice tutelare potrà ordinare, in assenza di specifiche previsioni che lo consentano, pratiche mediche deliberatamente rifiutate dal paziente, senza per ciò stesso esporsi, insieme a chi le chiede, alle conseguenze che la legge prevede per ogni violenza morale o fisica. Poiché l’alta ispirazione ideale di questa legge, sta nel porsi come strumento di servizio per i deboli e i meno capaci, è bene che sia chiaro ch’essa non possa divenire di fatto, contro il suo spirito e la sua volontà, strumento di prevaricazione e di violenza proprio verso chi vuol proteggere. * Procuratore della Repubblica di Firenze NOTE 1 V Scardulla, voce Inabilitazione in Enc. Dir 1970, 855 2 Sull’esame dell’inabilitando, v. Scardulla voce Inabilitazione in Enc. Dir 1970, 847: “La dottrina ritiene tale esame fondamentale ed insostituibile ai fini del convincimento del giudice e dell’accertamento della capacità del convenuto (Poggeschi, Il processo di interdizione e di inabilitazione, Milano 1958, 79) e lo considera come una vera e propria condicio juris per l’accoglimento della domanda”(Giunta, Incapacità di agire, Milano 1965, 48). Pacifici Mazzoni, riteneva sotto il vecchio codice, che in tal caso la domanda dovesse essere respinta” Nello stesso senso Stella Richter e Sgroi, in Comm., Utet, secondo i quali l’irreperibilità dovrebbe comportare l’improseguibilità del giudizio (Comm. breve al Codice Civile, Cedam, Cian e Trabucchi, 1988, p. 377 sub articolo 419). Sulla centralità dell’interrogatorio. Il giudice deve procedere personalmente e direttamente (Andrioli Comm. IV, 363; Jannuzzi, Manuale della volontaria giurisdizione, 840). Anche quando rifiuti di comparire il giudice non è esonerato dall’obbligo di recarsi presso di lui per esaminarlo (Cass. 79/4650). Il rifiuto non può essere considerato ficta confessio. Solo quando, recatosi sul posto, non riesca a parlarci per rifiuto o fuga sarà esonerato dall’obbligo di sentirlo. 3 I procedimenti di interdizione e di inabilitazione pur contraddistinti da una peculiare funzione pubblicistica non si sottraggono all’essenziale quanto generale principio processuale della domanda: Corte App. Milano, 7 marzo 2001 4 Giunta, Il consenso informato all’atto medico tra principi costituzionali e implicazioni penalistiche, Riv. It. Dir. Proc. Pen., 2001, 65 L’AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO L a legge sull’amministrazione di sostegno sta avendo in tutto il Paese una larga applicazione, essendo uno strumento che consente misure di sostegno e protezione alle persone anche solo temporaneamente o lievemente incapaci, sotto il profilo fisico o psichico. Immediata conseguenza di questa ampia applicazione è la necessità da parte dei giudici tutelari di poter contare su un numero sufficiente di persone che siano in grado di svolgere il ruolo di amministratore di sostegno, laddove non sia possibile la nomina di parenti o conviventi, che pure necessitano di informazioni e indicazioni per svolgere al meglio tale funzione. LA FORMAZIONE DELL’AMMINISTRATORE DI SOSTEGNO IL PROGETTO ADIUTOR DEL CESVOT E DEL COMUNE DI FIRENZE, IN COLLABORAZIONE CON L’AIAF TOSCANA E ALTRI ENTI E ASSOCIAZIONI 66 Interessante è il progetto di formazione ADIUTOR, proposto recentemente dal CESVOT e dal Comune di Firenze in collaborazione con AIAF Toscana, ASL 10 Firenze, Ordine Dottori Commercialisti di Firenze, Ordine degli Avvocati di Firenze, Ordine Professionale Assistenti Sociali Regione Toscana, ARCI Nuova Associazione Comitato regionale Toscano, ANPAS Comitato Regionale Toscano, Associazione Solidarietà Caritas Onlus. Il progetto che sarà realizzato con la Provincia di Firenze, è stato presentato nel corso di un Convegno promosso a Firenze dal Cesvot lo scorso 14 ottobre, cui hanno partecipato, tra gli altri, il Prof. Paolo Cendon e il Prof. Angelo Venchiarutti, dell’Università Di Trieste. Il progetto si avvarrà dei Fondi FSE per la formazione professionale (misura B1/17 mirata) così come previsto dall’apposito Bando, e prevede due fasi tra loro strettamente collegate e complementari: informazione e formazione. La prima fase mira a realizzare interventi sul territorio, al fine di sensibilizzare la cittadinanza sulla figura dell’amministratore di sostegno, e si articola in seminari aperti ai cittadini che si AIAF RIVISTA 3/2004 svolgeranno nella circoscrizione territoriale del Giudice Tutelare del Tribunale di Firenze, durante i quali verranno somministrati questionari per individuare potenziali partecipanti all’attività formativa. Contestualmente saranno prodotti materiali vari di tipo divulgativo da diffondere tra le cittadinanza ed in modo particolare tra le organizzazioni del non profit. È prevista anche la redazione di una vera e propria Guida sull’amministrazione di sostegno che dovrà recepire tutti i contributi emersi durante il corso del progetto. La seconda fase si prefigge di formare gli operatori delle organizzazioni del non profit a svolgere l’attività di amministratore di sostegno, ed è finalizzata a creare un primo elenco di persone da indicare al Giudice Tutelare; prevede l’organizzazione di due corsi della durata di 50 ore rivolti a 25 allievi tramite i quali trasferire le conoscenze di base che si ritengono necessarie per definire la nuova figura non descritta compiutamente dalla legge. Ogni percorso prevederà tre moduli: descrizione del quadro legislativo e giuridico, approfondimento delle tematiche psico-sociali legate alla figura dell’amministratore di sostegno, gestione del patrimonio della persona assistita. Sarà particolarmente curato lo studio del rapporto tra amministrazione di sostegno e sistema dei servizi socio-sanitari del territorio. SETTEMBRE - DICEMBRE 2004 DEL L’AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO PROGETTO ADIUTOR CESVOT E DEL COMUNE DI FIRENZE MODULO GIURIDICO DEL CORSO DI FORMAZIONE PER AMMINISTRATORI DI SOSTEGNO (CINQUE INCONTRI DI TRE ORE CIASCUNO – REALIZZATI IN COLLABORAZIONE CON L’AIAF TOSCANA) PRIMO INCONTRO L’amministratore di sostegno Chi è - chi lo nomina – su richiesta di chi – per fare cosa – come viene nominato - quali requisiti deve avere - quali sono i suoi doveri, i diritti e le responsabilità- per quanto tempo svolge la sua attività – che differenza c’è tra amministratore di sostegno, tutore e curatore- lo spirito della normativa che ha introdotto questa figura (Avv.Gigliola Montano-Avv.Valeria Vezzosi) SECONDO INCONTRO Capacità/incapacità nel percorso esistenziale della persona Capacità giuridica – capacità di agire – capacità di intendere e di volere – Sufficiente discernimento – situazioni di debolezza (persone minori di età, malate, anziane) e riflessi sul piano della capacità - i diritti delle persone in situazione di debolezza (Avv.Cecilia Adorni Braccesi-Avv.Alessandra Cirri) TERZO INCONTRO Rappresentare ed assistere le persone in situazioni di debolezza Incontro a due voci: psichiatra e avvocato Ascolto ed individuazione dei bisogni e delle aspirazioni del beneficiario dell’amministrazione di sostegno - competenze della persona in situazione di debolezza ed utilizzazione del contributo possibile alla sua migliore rappresentanza o assistenza - decidere per gli altri, decidere con gli altri (Avv. Carla Marcucci-Dott.ssa Gemma Brandi) QUARTO INCONTRO I giudici che si occupano delle persone in situazione di debolezza Tribunale ordinario – Giudice tutelare – Tribunale per i minorenni – Procuratore della Repubblica presso il Tribunale ordinario e presso il Tribunale per i minorenni – competenze e procedure (Avv.Manuela Cecchi-Avv.Marina Lupo) QUINTO INCONTRO Cenni di diritto civile I contratti più ricorrenti: locazioni, compravendita, mutuo, polizze assicurative (Avv.Sandra Albertini-Avv.Alfonsa Brini) 67 LE PRASSI NELLE CAUSE DI SEPARAZIONE E DIVORZIO LE PRASSI NELLE CAUSE DI SEPARAZIONE E DI DIVORZIO: PRIMI RISULTATI DEGLI INCONTRI DI STUDIO CSM - ANM - AIAF MILENA PINI N el luglio 2003 il Consiglio Superiore della Magistratura ha deliberato un’iniziativa di formazione sulle prassi nelle cause di separazione e divorzio, tenendo conto dei risultati cui era pervenuto il gruppo di lavoro costituito presso l’Associazione Nazionale Magistrati, e che erano stati illustrati nel Convegno tenutosi a Roma nel giugno 2003 (“Viaggio nei processi di separazione e di divorzio. Come attuare un processo ragionevole.”). L’obbiettivo era quello di approfondire i nodi critici dei giudizi di separazione e divorzio, e di promuovere e ricercare soluzioni ampiamente condivise da parte di coloro che trattano la materia, anche al fine di realizzare un protocollo metodologico procedimentale e organizzativo. L’incontro di studio si è sviluppato in più sessioni di lavoro (dall’ottobre al dicembre 2003), e strutturato in quattro gruppi che hanno approfondito i seguenti temi: 1. Profili organizzativi e ordinamentali connessi ai procedimenti di separazione e divorzio 2. Questioni processuali nell’ambito dei giudizi di separazione e divorzio, e ruolo del P.M. 3. Ascolto del minore, affidamento e diritto di vita, esecuzione dei provvedimenti di affidamento e visita 4. Questioni di natura economica. Assegnazione della casa coniugale e mantenimento del coniuge e dei figli Ai lavori hanno partecipato 50 magistrati dei tribunali ordinari e per i minorenni, addetti in via esclusiva o promiscua alla trattazione delle cause in materia di famiglia e minori, e 10 avvocati del Direttivo Nazionale dell’AIAF (E. Bet, M. Cecchi, R. D’Agata, V. Fabj, L. Fanni, G. Gassani, M. Marino, M. Pini, A. Scolaro, R. Tiburzi). La partecipazione all’incontro di studio di magistrati e avvocati, operanti presso tribunali di grandi e piccole dimensioni, al nord, al centro e al sud del Paese, ha consentito un interessante confronto tra diverse realtà ed esperienze, ed una ricca elaborazione di riflessioni e proposte, che ha indotto i responsabili della Nona Commissione – Tirocinio e Formazione Professionale- del CSM, a riportare i risultati di questo lavoro in sede decentrata, per un ulteriore confronto con specifiche realtà locali. Nel corso del 2004 si sono quindi tenute numerose iniziative di studio su tali questioni, promosse dagli Uffici decentrati per la formazione del CSM, presso varie Corti d’Appello, tra cui Mila68 no e Salerno, con la collaborazione dell’AIAF. La partecipazione, a livello nazionale e decentrato, degli avvocati dell’AIAF ha contato sotto il profilo della rappresentanza sia associativa, che dei fori di appartenenza, per lo specifico contributo sulle prassi vigenti avanti i diversi tribunali. Pur nella salvaguardia delle personali riflessioni e posizioni, è comunque emersa una chiara e univoca posizione dell’AIAF sulle diverse questioni organizzative e ordinamentali (a favore delle sezioni specializzate; di tempi di trattazione del processo brevi; di una presenza effettiva e fattiva del PM, con sezione specializzata presso la Procura); sulle questioni processuali (salvaguardia del diritto di difesa e del principio del contraddittorio, e cioè dei principi enunciati nell’art. 111 Cost. nov.; uniformità dei procedimenti di separazione e divorzio; salvaguardia del principio di economia nei giudizi, avendo il cittadino l’interesse ad una sollecita risposta di giustizia sulle diverse questioni che possono interessare il conflitto coniugale e familiare); sulle questioni di merito (inerenti l’affidamento dei figli minori e il diritto di visita, l’ascolto del minore e il riconoscimento delle convenzioni internazionali che tutelano i suoi diritti; il mantenimento dei figli e del coniuge economicamente più debole; l’esecuzione dei provvedimenti etc.; questioni che trovano orientamenti giurisprudenziali difformi, anche a secondo della diversa realtà sociale ed economica, e che necessitano di un’attenta trattazione, caso per caso, da parte di un giudice e di un avvocato specializzati in materia). Gli articoli che seguono riportano la discussione e le conclusioni cui sono pervenuti i quattro gruppi che si sono riuniti a Roma nel 2003. SETTEMBRE - DICEMBRE 2004 Q LE PRASSI NELLE CAUSE DI SEPARAZIONE E DIVORZIO uali sono i nodi organizzativi e strutturali che influiscono sulla qualità della risposta di Giustizia che i cittadini ricevono? Da questo interrogativo ha preso le mosse il lavoro del gruppo sui “profili organizzativi e ordinamentali connessi ai procedimenti di separazione e divorzio”, introdotto dalla relazione del Dott. Paolo Martinelli, presidente di sezione del Tribunale di Genova, e coordinato dal Dott. Emilio Curtò, presidente di sezione del Tribunale di Varese. L’indagine ha posto in correlazione diretta e concreta i dati organizzativi, raccolti tramite i questionari che ANM ha distribuito negli uffici giudiziari italiani, con i dati relativi all’andamento e all’esito anche del singolo processo. La prima verifica effettuata ha messo in luce la mancanza di confronti tra le esperienze dei vari uffici giudiziari su un piano di concretezza, anche rispetto alle divergenze interpretative ed alla diversità della prassi che ciascun Tribunale segue. I dati raccolti attraverso i questionari dell’ANM, lungi dal colmare la suddetta mancanza, sono stati usati metodologicamente al fine di formulare domande finalizzate alla ricomposizione delle relazioni tra i vari aspetti, ad esempio, a quale istituzione competano le ricerche aventi ad oggetto gli aspetti organizzativi o quelli giurisprudenziali, se si possa prescindere da alcuni elementi statistici relativi alla durata delle udienze presidenziali o alla percentuale dei procedimenti di separazione, che già nella fase presidenziale si trasformano in separazione consensuale. I grandi temi individuati sono quindi stati: la specializzazione delle sezioni, il numero dei procedimenti sopravvenuti e definiti, i tempi di accesso all’udienza presidenziale e di definizione dei procedimenti contenziosi e dei procedimenti consensuali, la definizione del ruolo del Pubblico Ministero. L’obbiettivo prioritario è stato la realizzazione di un giusto processo attraverso l’equilibrata composizione tra il dato normativo ordinamentale e le esigenze operative degli uffici. Nel corso dei lavori è stato segnalato dal dott. Gustavo Sergio (Procuratore della Repubblica presso il Tribunale per i Minorenni di Venezia) l’invito rivolto dal Capo dello Stato al Consiglio Superiore della Magistratura, in occasione dell’intervento del 29 ottobre 2003, nel corso del quale, trattando della formazione dei Magistrati, si è espresso per la soluzione del preoccupante problema della durata ragionevole dei processi, ed ha sollecitato i Magistrati “a conoscere e applicare quelle cosiddette prassi virtuose che facilitano e velocizzano i tempi del processo” indicando tra gli “indispensabili obbiettivi della formazione quello di favorire la diffusione di prassi omogenee “ed ha sottolineato che il rispetto delle attese dei cittadini debbono spingere il Giudice ad assicurare stabilità e, come talora si dice, prevedibilità delle decisioni e che l’equilibrio tra garanzia del processo e durata del processo passa anche per l’efficiente organizzazione degli uffici”. Il tema centrale dell’analisi è stato “come strutturare la sezione famiglia?” Tale domanda ha evidenziato la necessità di risolvere il preliminare interrogativo se sia necessaria o solo opportuna la trattazione degli affari in PROFILI ORGANIZZATIVI E ORDINAMENTALI CONNESSI AI PROCEDIMENTI DI SEPARAZIONE E DIVORZIO materia di diritto della famiglia da parte di un giudice specializzato. Al riguardo, è stato sottolineato che la specializzazione in tale materia si acquista “sul campo” e che la necessità di conoscenze anche non strettamente giuridiche, rilevanti per la comprensione della controversia, fanno di questa materia una materia speciale. Il dott. Alberto Bucci (Presidente della Sezione Famiglia del Tribunale di Roma) ha evidenziato come il procedimento di separazione e di divorzio “regolato solamente nella fase introduttiva, senza alcuna disposizione relativa alla costituzione delle parti o alle regole dell’istruttoria, deve considerarsi come un vero e proprio procedimento speciale in cui l’operatore, più che l’interprete deve contemperare i principi contenuti nell’art. 111 della Costituzione sul giusto processo, e quelli immanenti nel Codice di Procedura Civile, che a ANTONINA SCOLARO* 69 LE PRASSI NELLE CAUSE DI SEPARAZIONE E DIVORZIO Maria Cantarini, 39 anni Roma barocca Tempere e colori per porcellana su carta, cm 16x 49 70 tali principi fanno riferimento nella configurazione di uno strumento snello, finalizzato a rapide conclusioni, senza paletti che non siano finalizzati alla applicazione della norma costituzionale”. Il gruppo ha concordemente espresso l’opinione che soltanto un Giudice specializzato, preparato e capace non solo tecnicamente, può essere in grado di dominare l’emotività, di interpretare i fatti con distacco e non secondo la propria formazione culturale ed esperienza professionale. Alla specialità della materia consegue l’urgenza della sua trattazione con la conseguente individuazione di criteri di priorità di trattazione, intesa sia nel senso di priorità tra affari della famiglia e affari di altre materie, sia in quello di priorità tra affari all’interno della materia della famiglia, ad esempio, tra separazione e divorzi. È stata quindi individuata la necessità, non solo di fatto, ma anche con una specifica previsione del progetto organizzativo dell’ufficio, di dare un ordine di preferenza nella trattazione degli affari della famiglia. La necessità del tempestivo svolgimento della fase Presidenziale, ha quindi introdotto l’ulteriore problematica circa l’adozione da parte degli uffici di uno specifico progetto di definizione degli affari. Dai dati rilevati dall’ANM il tempo medio del processo è risultato per le cause di separazione giudiziale di anni 1,7, per i divorzi giudiziali di anni 1,4, per le separazioni consensuali di mesi 2,4 e per i divorzi congiunti di mesi 2,5. Il progetto di definizione degli affari è risultato essere praticato in qualche caso solo per gli affari risalenti nel tempo; è però emerso il convincimento che la cadenza dei tempi del processo, se non può essere programmata con riferimento alla durata complessiva dei procedimenti contenziosi, debba essere inserita nel progetto organizzativo dell’ufficio per i procedimenti consensuali ed anche per quelli giudiziali, sia pure limitatamente alla fase presidenziale, in particolare per que- AIAF RIVISTA 3/2004 sti ultimi, con la previsione di una corsia preferenziale per i procedimenti con figli minori; rispetto ai tempi emersi dall’indagine dell’ANM, è stato ritenuto congruo quello dei procedimenti contenziosi, mentre quello dei procedimenti consensuali è stato ritenuto accettabile solo come tempo massimo. TEMPI DI TRATTAZIONE DEI PROCEDIMENTI GIUDIZIALI uanto incidono le questioni processuali e le prassi giudiziarie sulle modalità di lavoro e sull’organizzazione? Le incertezze interpretative generate dalla legge 6/3/1987 n. 74, dalla legge 26/11/1990 n. 353 e dalla legge 20/12/1995 n. 534, hanno determinato il fiorire di prassi giuridiche differenziate; nonostante un altro gruppo si occupasse delle questioni processuali, è stata sentita la necessità di una analisi di tali problematiche, attesa la ricaduta che sull’organizzazione hanno le problematiche attinenti ai tempi processuali e considerato che le soluzioni adottate devono essere in grado di assicurare un ragionevole contemperamento tra efficienza e garanzia. L’opinione del gruppo è stata nel senso dell’applicabilità della norma del procedimento divorzile a quello di separazione; il tempo ragionevole è stato quindi individuato di regola in sessanta giorni, il tempo medio tra udienza presidenziale ed udienza avanti al Giudice Istruttore dovrebbe essere al massimo di uno o due mesi, anche nel caso di coniuge non comparso, attesa la non necessità di notifica dell’ordinanza presidenziale di nomina del Giudice Istruttore e di fissazione dell’udienza davanti a questi, ai sensi dell’art. 4 Legge Divorzio, norma ritenuta sovrapponibile all’art. 709 c.p.c.. Il numero delle udienze presidenziali da tenere settimanalmente (secondo i dati di ANM per i soli procedimenti di separazione di 1,8 per settimana) non può che essere stabilito nell’osservan- Q SETTEMBRE - DICEMBRE 2004 LE PRASSI NELLE CAUSE DI SEPARAZIONE E DIVORZIO za del progetto di definizione degli affari, in quanto dipende naturalmente dai carichi lavorativi. Il gruppo ha messo in evidenza il rilievo assunto, in relazione al carico di lavoro e conseguentemente al numero di cause trattabili nel corso dell’udienza, dalla modalità (quindi la prassi seguita) nell’audizione dei coniugi in fase di udienza presidenziale, nei procedimenti contenziosi e di trasformazione dei procedimenti giudiziali in consensuali. È emerso che la prassi seguita prevalentemente, quantomeno dai Magistrati componenti il gruppo e dai Tribunali (Torino, Bologna e Perugina) presso i quali esercitano gli Avvocati componenti il gruppo, è quella della verbalizzazione delle dichiarazioni rese dai coniugi; voci dissenzienti hanno evidenziato come la funzione dell’audizione dei coniugi in sede presidenziale sia finalizzata esclusivamente al tentativo di riconciliazione e pertanto non dovrebbe trovare attuazione la verbalizzazione delle loro dichiarazioni. In ordine alla consensualizzazione dei procedimenti giudiziali si è operata la distinzione tra fase presidenziale e fase istruttoria; nella prima si è ipotizzata l’immediata cameralizzazione della procedura senza necessità di un’ulteriore comparizione dei coniugi, nella seconda alcuni hanno espresso la preferenza per la prosecuzione del giudizio con l’invito alle parti a precisare le conclusioni (conformi), eventualmente anche con rinuncia al deposito di comparse conclusionali e memorie, per altri, dovrebbe esservi la remissione diretta del fascicolo al Tribunale in camera di consiglio, previa acquisizione, comunque, delle conclusioni del P.M.. In ordine ai procedimenti “consensuali” (separazione e divorzio) e alla procedura di modifica delle condizioni di separazione e di divorzio, è stato affrontato il tema dei trasferimenti immobiliari ed è stata criticata la prassi di conferimento di incarico ad un Notaio al fine di verificare la mancanza di condizioni ostative al trasferimento, mentre è stata preferita la prassi che ritiene sufficiente l’autocertificazione dei coniugi di avere incluso l’immobile oggetto del trasferimento nell’ultima dichiarazione dei redditi, oltre la produzione della documentazione sulla conformità urbanistica dell’atto di provenienza con la specificazione di esonero di responsabilità del Tribunale. Per quanto riguarda i divorzi congiunti, l’opinione del gruppo, in ordine alla composizione del Tribunale, si è espressa in due differenti indicazioni: la prima ritiene che l’audizione dei coniugi debba avvenire davanti al Tribunale in compo- sizione collegiale, la seconda ritiene possibile la delega al singolo Magistrato che poi riferisce al collegio. Tale opinione è stata sostenuta dal dott. Alberto Bucci (trova peraltro applicazione anche presso il Tribunale di Torino) in base alla seguente osservazione: la pienezza del contraddittorio davanti al collegio non ha ragione d’essere in relazione alla semplicità degli accertamenti che devono essere svolti, e dal punto di vista formale la legge prevede che i coniugi siano sentiti dal Tribunale e quindi non appare contra legem la prassi che riservi successivamente al collegio l’esame della sussistenza delle condizioni dell’interesse di figli minori, dopo che la volontà delle parti sia stata raccolta da uno dei componenti del collegio stesso. In ordine al passaggio in giudicato della sentenza di divorzio congiunto si sono discusse due prassi, quella della rinuncia preventiva del coniuge all’impugnazione e l’altra dell’acquiescenza successiva. Per quanto riguarda le procedure di modifica delle condizioni di separazione e di divorzio, l’opinione prevalente si è espressa a favore della collegialità in quanto la collegialità è un valore da perseguire e privilegiare comunque, anche per le maggiori garanzie offerte ed in considerazione della maggiore autorevolezza del giudice collegiale. In ordine ai rapporti con il P.M.: è stata osservata all’unanimità la mera formalità del ruolo dell’ufficio del Pubblico Ministero nelle cause in esame ed è stata affermata quindi la necessità della valorizzazione della sua funzione in ragione degli interessi protetti che ne imporrebbero una presenza più significativa e pregnante all’interno del processo, anche alla luce della normativa internazionale. Il dott. Gustavo Sergio ha sottolineato che la convenzione europea di Strasburgo sull’esercizio dei diritti dei bambini del 1996 – ratificata dalla legge 77 del 2003 valorizzi il potere del P.M. – già previsto in generale dall’art. 79 c.p.c. – prevede il diritto del minore di essere informato e di esprimere la propria opinione nei procedimenti relativi ai rapporti di famiglia che lo riguardano e il diritto di chiedere al giudice la nomina di un rappresentante speciale in caso di conflitto di interesse tra il minore ed i genitori per sollecitare, se del caso, una posizione distinta del figlio minorenne. La trasmissione degli atti al P.M. dovrebbe essere per certi aspetti limitata: dopo la presentazione del ricorso iniziale, dopo la chiusura dell’istruttoria per le conclusioni finali, dopo la pubblicazione della sentenza di divorzio; e per altri versi dovrebbe essere estesa al deposito del ricorso, o di istanza in corso di causa, per la modifica o revisione dei provvedimenti tempo71 LE PRASSI NELLE CAUSE DI SEPARAZIONE E DIVORZIO ranei e urgenti emessi dal Presidente riguardanti la prole, in conformità con le decisioni della Corte Cost. (n. 416/1992, n. 214/1996) che hanno esteso a tutti i procedimenti che comportino provvedimenti relativi ai figli, la necessità dell’intervento obbligatorio del P.M.. Al riguardo, il dott. Gustavo Sergio ha riferito la prassi adottata nel proprio ufficio. In forza di tale prassi – che accoglie le indicazioni interpretative della Corte Costituzionale (sentenza n. 1 del 2002) sul rito camerale minorile ed esalta, tra l’altro, la posizione di parte del P.M. alla luce del novellato art. 111 Cost – il Pubblico Ministero, ricevuta la comunicazione del deposito del ricorso della parte privata nella cancelleria del Tribunale e dell’udienza di trattazione avanti al collegio, interviene con comparsa nella quale sono indicate a) le conclusioni di merito; b) ovvero la riserva di formulare le conclusioni in udienza all’esito della trattazione (in caso di rinvio dell’udienza il Pubblico Ministero, al pari delle parti private, ha l’onere di informarsi sulla data della nuova udienza). Per consentire al P.M., come alle altre parti e nel rispetto del principio della parità di tutti i soggetti del processo, l’esercizio dei propri poteri processuali, il Tribunale, se non decide immediatamente o se non riserva la decisione, ordina il deposito degli atti con avviso che il ricorso verrà esaminato in una camera di consiglio successiva al termine fissato e dispone che il fascicolo, con tutti gli atti, rimanga fino a quella data a disposizione della parti e del P.M. affinché possano rispettivamente depositare eventuali memorie difensive e/o conclusionali e comunque formulare le proprie conclusioni (i fascicoli depositati risultano anche in elenchi- distinti in relazione alle date di scadenza – inseriti in un data base condiviso in rete con la Procura). Sempre nell’ottica di accentuare la posizione di parte del P.M. – ha esposto il dr. Sergio – “quando sono richiesti provvedimenti urgenti la Procura, sempre sulla scorta della sentenza n. 1/2002 della Corte Cost., si è orientata nel senso della applicabilità delle regole di cui al procedimento cautelare uniforme, in particolare quelle dettate dall’artt. 669 sexies co. 2 e 3 c.p.c.”. Tale orientamento, recepito gradualmente nella prassi, “fa si che il giudice o provvede ‘inaudita altera parte’ (senza sentire previamente neppure il P.M.) e fissa con il decreto urgente l’udienza di comparizione delle parti davanti a sé entro un termine non superiore a 15 giorni oppure sente le parti, anche quella pubblica, prima di provvedere”. Come deve essere strutturata la sezione famiglia e come farne una sezione semispecializzata almeno in quei Tribunali che per organico di 72 AIAF RIVISTA 3/2004 Magistrati e per carichi lavorativi lo consentono, tenuto conto della normativa vigente e delle risorse disponibili? La previsione di criteri di priorità e l’adozione di un progetto di definizione degli affari sono momenti organizzativi attraverso cui passa la costruzione di una sezione famiglia; si è quindi tentato di individuare le regole minime al fine di attuare l’esigenza che la trattazione delle cause in materia di diritto di famiglia sia affidata ad un giudice specializzato. La prima opzione organizzativa affrontata ha riguardato la concentrazione delle funzioni presidenziali in capo al solo Presidente ovvero il coinvolgimento di più Magistrati delegati e ancora la diversificazione tra Presidente e Giudice Istruttore; è risultata prevalente l’opinione che ritiene preferibile la concentrazione degli affari su pochi Magistrati della stessa sezione, sia nella fase presidenziale che in quella istruttoria, per favorire la specializzazione, così come si è preferita la diversificazione tra ruolo Presidenziale e quello di Giudice Istruttore per assicurare il pluralismo del giudizio. Da parte dei sostenitori della concentrazione degli affari e della diversificazione delle funzioni (dott. Saverio De Simone, Giudice del Tribunale di Bari) è stato evidenziato che “la scelta di concentrare nel solo Presidente le funzioni disciplinate dagli artt. 708 c.p.c. e 4, comma ottavo, l. Divorzio si ispira, oltre che al rispetto del dettato legislativo – che sottolinea la diversità di funzioni tra Presidente e Giudice Istruttore, - essenzialmente alla necessità di favorire, grazie alla presenza di un Magistrato anziano, dotato di provata esperienza e carisma, non solo la consensualizzazione delle procedure, ma anche la prevedibilità delle decisioni urgenti, prevedibilità che è stata ritenuta un valore da tutelare, al pari, e non di meno, di quello collegato alla revisione delle determinazioni presidenziali da parte del Giudice Istruttore. In definitiva, i valori innanzi delineati, che riflettono la ‘ratio legis’, sono stati ritenuti prevalenti, nell’economia del sistema, rispetto al rischio della possibile frequenza delle istanze di modifica dell’ordinanza presidenziale, che sarebbe sicuramente più contenuta, invece, laddove si concentrino in capo al medesimo magistrato le funzioni di Presidente e di Giudice Istruttore. Unica ipotesi di delega (oltre al caso di impedimento del Presidente), riguarda la trasformazione del rito della separazione contenziosa in consensuale; in tal caso il Presidente del Tribunale, con provvedimento di carattere generale, ha appositamente delegato i Giudici Istruttori della Sezione a svolgere le funzioni dell’udienza presidenziale per poi riferire al Collegio in Camera di Consiglio”. SETTEMBRE - DICEMBRE 2004 LE PRASSI NELLE CAUSE DI SEPARAZIONE E DIVORZIO Da parte dei sostenitori della tesi contraria, sono state evidenziate ragioni di ordine pubblico, quali la limitazione degli organici, la semplificazione e trasparenza della designazione, la speditezza dei procedimenti, l’acquisizione della specializzazione); peraltro, anche da parte dei fautori della diversificazione soggettiva delle funzioni presidenziali e istruttorie, è stato ritenuto che tale scelta favorirebbe la specializzazione. Come dimensionare la sezione famiglia nei Tribunali minori? Il gruppo ha preliminarmente posto attenzione al limite insormontabile della riserva di collegialità e del dato statistico (è un dato di esperienza comune che le cause di separazione e di divorzio, anche se in vertiginoso aumento negli ultimi anni, nei termini percentuali costituiscono sempre una frazione minoritaria del carico lavorativo degli uffici giudiziari) con cui qualsiasi modello organizzativo deve confrontarsi. Traducendo tutto ciò in termini organizzativi, sono stati evidenziati due profili: a) ad occuparsi di tali controversie devono essere almeno quattro Magistrati, di cui almeno due specializzati, Presidente del collegio potrebbe essere o il Presidente del Tribunale, o il Presidente di sezione, o un Giudice anziano; il numero dei componenti consentirebbe le sostituzioni in caso di reclamo su misure cautelari; b) il criterio della specializzazione, indicato dalla circolare del CSM in materia di tabelle organizzative degli uffici come un obbiettivo a cui il modulo organizzativo degli uffici giudiziari deve tendere con priorità in via generale e a cui deve essere quindi parametrato il progetto di lavoro, fin quando sia consentito dalle concrete condizioni operative di ciascun ufficio, non sempre può trovare attuazione piena. Infatti è possibile che delle cause matrimoniali si occupino solo alcuni dei Magistrati addetti al settore civile, non è invece sempre realizzabile il criterio della esclusività delle competenze. Deve pertanto trovarsi un punto di incontro tra l’esigenza della specializzazione e l’esigenza di una organizzazione che per garantire lo svolgimento di un giusto processo deve risultare efficiente. Per realizzare tutto ciò, nei Tribunali Minori occorre individuare materie quanto più affini al diritto di famiglia al fine di realizzare un accorpamento in un’area di competenze omogenea che assicuri la necessaria perequazione dei carichi lavorativi; un’indicazione in tal senso viene direttamente dal CSM che segnala opportuno l’accorpamento a quello della famiglia dei procedimenti relativi alle persone (interdizioni ed inabilitazioni, cittadinanza ed in genere i diritti del- la personalità), i provvedimenti di espulsione dello straniero, i trattamenti sanitari obbligatori, le controversie in materia di pensioni di reversibilità e di TFR per i divorziati, di onore, immagine, identità, etc.; è emersa inoltre la opportunità di attribuire alla sezione famiglia l’esecuzione dei provvedimenti in materia di diritto di famiglia. Nei Tribunali di dimensioni maggiori, sia per organico di magistrati, sia per flussi di affari, è sicuramente realizzabile la costituzione di sezioni specializzate per la trattazione dei procedimenti disciplinati dal Libro Primo del Codice civile; tale realizzazione, in linea con la raccomandazione del CSM, non pone peraltro problematiche molto diverse rispetto ai Tribunali di dimensioni minori, in quanto il carico di lavoro dovrà essere riequilibrato attraverso l’attribuzione di materie affini. Dipenderà poi dalle singole situazioni locali la scelta di assegnare alle Sezione Famiglia solo affari in diritto di famiglia, o di creare all’interno della sezione un settore “tutele” con competenze esclusive, di fatto sarebbe però preferibile trattare la materia tutelare congiuntamente a quella delle separazioni e dei divorzi in quanto ciò consentirebbe una maggiore elasticità e flessibilità operativa, fatta eccezione per la gestione delle tutele, che richiedono un’attenzione quotidiana e costante. L’utilizzabilità dei Giudici Onorari è stata esclusa nella materia del diritto di famiglia. Il gruppo si è espresso nel senso della loro utilizzabilità solo nella trattazione di affari in materia tutelare, anche se la nuova circolare sulle tabelle di organizzazione degli uffici giudiziari per il biennio 2004/2005, pur avendo ampliato la possibilità di utilizzazione dei Got nel ramo civile, ne vieta espressamente l’utilizzazione “in materia di diritto di famiglia, ivi compresi gli affari di competenza del Giudice Tutelare. * avvocato in Torino 73 LE PRASSI NELLE CAUSE DI SEPARAZIONE E DIVORZIO L e questioni di natura processuale inerenti la separazione e il divorzio trovano, come è noto, soluzioni differenti da parte dei giudici di merito, ed è auspicata da tutti una modifica legislativa che, uniformando la procedura dei giudizi di separazione e divorzio, e nel rispetto del diritto alla difesa e del principio del contraddittorio, consenta una maggiore tutela dei diritti dei cittadini. La discussione del gruppo di lavoro si è quindi incentrata su molteplici questioni processuali, relative sia ai giudizi contenziosi che consensuali, e sul ruolo del P.M., partendo dalle relazioni introduttive della Dott.ssa Isabella Mariani, giudice del Tribunale di Firenze, e del Dott. Fabio QUESTIONI PROCESSUALI NELL’AMBITO DEI GIUDIZI DI SEPARAZIONE E DIVORZIO ENRICO BET* Roia, sostituto procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Milano, con l’intento di individuare le prassi maggioritarie, e da condividere. Si riportano le conclusioni cui è pervenuto il gruppo di lavoro, riassunte in sede plenaria nel dicembre 2003 dalla Dott.ssa Franca Mangano, giudice del Tribunale di Roma. L’AVVIO DEL PROCEDIMENTO E LA NATURA CONTENZIOSA O PRECONTENZIOSA DELL’UDIENZA PRESIDENZIALE a discussione tra i partecipanti al gruppo ha fatto emergere una prassi ampiamente maggioritaria secondo la quale tanto nel procedimento di separazione che nel procedimento di divorzio, la costituzione dell’attore deve ritenersi perfezionata con il deposito del ricorso. Pertanto: a) il contenuto del ricorso introduttivo in ambedue i giudizi è disciplinato dall’art. 4, comma 2 della L. 898/1970, sicché alla ‘mera esposizione di fatti sui quali la domanda è fondata’ richiesta dall’art. 706 c.p.c. si sostituisce la L 74 AIAF RIVISTA 3/2004 più dettagliata pretesa enunciata dall’art. 4, commi 2 e 4, cit; b) il ricorso deve essere sottoscritto dal difensore munito di procura; c) il deposito del ricorso perfeziona la costituzione dell’attore, senza nessuna altro onere per quest’ultimo, fermo restando la disposizione dell’art. 706 c.p.c., il cui mancato rispetto comporta la perdita di efficacia della domanda, comunque ritualmente proposta; d) la fissazione di un termine ex art. 163 bis c.p.c. (ridotto della metà) tra la data di notificazione del ricorso e del decreto e l’udienza presidenziale si ritiene pacificamente applicabile al procedimento di separazione. Non si dubita generalmente che tale ricostruzione, peraltro in linea con la giurisprudenza di legittimità (Cass., 24.6.1995 n. 3095; Cass., 8.9.1992 n. 10921), sia uniformemente riferibile alla separazione e al divorzio e che essa realizzi il miglior grado di compatibilità con la disciplina ordinaria del giudizio di cognizione vigente. Tuttavia, da parte di alcuni viene espresso il timore che questa anticipazione imposta all’attore pregiudichi le possibilità conciliative della lite, e che, pertanto, debba ritenersi preferibile una persistente vigenza dell’art. 706 c.p.c. nei giudizi di separazione, con la possibilità di integrare il ricorso, proponendo la richiesta di addebito con le memorie davanti al giudice istruttore. All’opposto si registrano posizioni più rigorose che, in ordine all’ammissibilità della domanda di addebito, richiedono una indicazione quantomeno generica dei fatti sui quali essa si fonda, salva una prassi sufficientemente uniforme che consente che i fatti indicati a fondamento della richiesta di addebito possano usufruire di una più compiuta esposizione entro i termini dell’art. 183 c.p.c. e della completa articolazione dei mezzi istruttori entro i termini dell’art. 184 c.p.c.. LE DOMANDE CUMULABILI ALLA DOMANDA DI SEPARAZIONE E DI DIVORZIO remesso che il ricorso deve essere rispettoso dei contenuti imposti dall’art. 4 comma 2 della L. 898/1970, e che le domande proponibili sono strettamente connesse alle pronunce consequenziali indicate dagli artt. 155 e 156 cod. civ. per la separazione e 5 e 6 della L. 898/1970, non sono generalmente ritenute cumulabili né la domanda di divisione della comunione né quella di restituzione di beni. L’inammissibilità del cumulo di tali domande si fonda, nel giudizio di separazione, sull’art. 191 cod. civ. e sul mancato perfezionarsi del presupposto necessario allo scioglimento della comunione e, nel giudizio di divorzio, sulla diversità P SETTEMBRE - DICEMBRE 2004 LE PRASSI NELLE CAUSE DI SEPARAZIONE E DIVORZIO dei riti cui sono soggette, rispettivamente, la domanda di scioglimento del vincolo matrimoniale e la domanda di divisione della comunione. IL MOMENTO DI INIZIO DEL GIUDIZIO oerentemente con la comune indicazione circa la costituzione dell’attore, esiste una sostanziale convergenza nell’individuazione del momento di inizio del giudizio in coincidenza con il deposito del ricorso. Tanto premesso si conviene che: - il processo deve essere iscritto a ruolo con il deposito del ricorso e non solo dopo il passaggio davanti all’istruttore; - al deposito del ricorso si ricollegano gli effetti giuridici della domanda (competenza, litispendenza, ecc.). Questa ricostruzione è coerente con una concezione unitaria del giudizio di separazione e di divorzio, assistito dalle garanzie giurisdizionali sin dalla fase presidenziale. A partire da questi punti fondamentali, la ricostruzione del giudizio svolta dalla prassi secondo un disegno sostanzialmente unitario si divide in una serie di variabili già individuate dal questionario ANM, rispetto alle quali il lavoro di gruppo ha operato una riduzione a categorie fondamentali di riferimento, limitandosi ad individuarne ragioni teoriche e pratiche e distinguendo tra gli obiettivi perseguiti e quelli raggiunti. C LA NOTIFICA DEI PROVVEDIMENTI PRESIDENZIALI AI SENSI DELL’ART. 709 C.P.C. a tacita abrogazione, per effetto della disciplina del divorzio, della necessaria notifica dell’ordinanza presidenziale contenente i provvedimenti provvisori e la data dell’udienza davanti all’istruttore, nel caso di mancata comparizione del convenuto all’udienza presidenziale (art. 709 c.p.c.) non costituisce una acquisizione totalmente condivisa, pur risultando una prassi applicativa sicuramente maggioritaria e permangono, pertanto, realtà giudiziarie nelle quali il giudizio di separazione si atteggia in forme non completamente uniformi al giudizio di divorzio. L LA COSTITUZIONE DEL CONVENUTO mpiamente maggioritaria è risultata la posizione che riferisce il termine di costituzione del convenuto alla fase del giudizio svolta davanti al giudice istruttore, con una prassi allineata alle indicazioni recenti della Cassazione (Cass., 27.12.2002 n.10914). L’interpretazione opposta che dalla tacita abrogazione dell’art. 709 c.p.c. e dalla conseguente unitarietà del giudizio fa derivare una piena equiparazione dell’udienza presidenziale all’udienza ex A art. 180 c.p.c., benché ritenuta da molti partecipanti al gruppo come dotata di intima coerenza e sistematicità, viene respinta per diverse ragioni. Ragionando con estrema sintesi: a) dal punto di vista pratico si reputa che la forzata costituzione del convenuto prima dell’udienza presidenziale mortifichi le possibilità conciliative della lite, b) dal punto di vista teorico-normativo, anche alla luce di alcune recenti pronunce della Cassazione (n. 10780/96; 1332/00; 2064/00; 11751/01; 10914/02), si ritiene che b1), sebbene il procedimento di separazione sia nel suo complesso di natura contenziosa (cfr. Corte Cost. nn. 151/71 e 201/71) tuttavia sia netta la sua articolazione in due fasi, delle quali la prima, quella presidenziale, non sia intesa quale prima udienza di comparizione ex art. 180 c.p.c. ma sia caratterizzata dalla sua specifica funzione, che è quella diretta all’emanazione dei provvedimenti temporanei ed urgenti, con la conseguenza, ad es., che i termini di decadenza per la formulazione delle domande riconvenzionali andrebbero riferiti alla prima udienza dinanzi al G. I.; inoltre si giudica incompatibile con gli adempimenti dell’art. 180 c.p.c. e, segnatamente con la dichiarazione di contumacia del convenuto non comparso, la facoltà di questa stessa parte di partecipare all’udienza presidenziale senza ministero di difensore, secondo il disposto dell’art. 707, primo comma c.p.c., pur dopo gli interventi della Corte Costituzionale. Le variabili rilevate all’interno di queste opzioni possono ricondursi fondamentalmente a due orientamenti: a) per l’uno la costituzione del convenuto e la tempestiva proposizione delle domande di addebito e di assegno divorzile deve avvenire entro 10 giorni, per l’abbreviazione dei termini, prima dell’udienza davanti al giudice istruttore, b) per l’altro, invece, le medesime preclusioni non operano sino all’udienza medesima. Le ragioni di questa differenziazione poggiano essenzialmente sulla controversa efficacia dell’avvertimento dell’art. 163 n.7 c.p.c. e sulle diverse opzioni concrete che si affidano al decreto di fissazione dell’udienza presidenziale o alla ‘diligenza creativa’ del giudice istruttore per inserire l’avvertimento in questione. In buona sostanza, Cass. 7.2.2000 n. 1332, che ha giudicato manifestamente inammissibile il dubbio di legittimità costituzionale relativo alla omessa previsione nella descrizione del ricorso recante la domanda di divorzio dell’avviso di cui all’art. 163 n. 7 c.p.c., non sembra aver tranquillizzato i 75 LE PRASSI NELLE CAUSE DI SEPARAZIONE E DIVORZIO giudici di merito. Né il contrasto pare acquietato dalle importanti affermazioni contenute nella sentenza in parola circa la non coessenzialità della previsione di termini di decadenza con l’indicazione di un avviso espresso nell’atto introduttivo del giudizio e circa la correlazione dei termini stessi direttamente alla legge, analogamente a quanto avviene per il rito speciale del lavoro. A ben vedere, tuttavia, questa diversa individuazione del momento rilevante per il perfezionamento degli effetti preclusivi stabiliti dalla legge, benché gravida di effetti pregiudizievoli, riconosce come comuni le opzioni interpretative di fondo. Infatti viene condivisa: a) l’opinione secondo cui il rispetto del principio del contraddittorio non esige che la tempestiva costituzione delle parti si ricolleghi al medesimo momento processuale, b) la valutazione, addirittura opposta, secondo cui la posizione del convenuto, stretto tra i tempi ridotti di notifica del ricorso e del decreto e il termine anticipato a comparire, risulterebbe ingiustificatamente compressa nelle sue legittime facoltà di difesa, viceversa ampiamente soddisfatte dalla possibilità del convenuto di operare una scelta processuale circa i tempi di costituzione, c) l’affermazione secondo cui il convenuto, una volta compiuta la scelta processuale di costituirsi all’udienza presidenziale, ossia anticipatamente rispetto allo spirare dei termini imposti dalla legge alla sua costituzione, consuma la sua costituzione facendo maturare tutte le preclusioni, d) la piena assimilazione della fase del giudizio davanti al giudice istruttore alla sequenza procedimentale propria del giudizio di cognizione ordinario (183, 184 c.p.c.), cosicché anche se la tesi che consente la costituzione del convenuto fino all’udienza davanti all’istruttore può apparire meno rigorosa, tuttavia non opera una sistematica destrutturazione del giudizio di divorzio, distinguendone soltanto la fase davanti al Presidente dalla fase davanti al giudice istruttore ma applica tutte le decadenze riferite alle diverse scansioni del giudizio ordinario. LA RICHIESTA DI MODIFICA DEI PROVVEDIMENTI PRESIDENZIALI i ritiene pressoché uniformemente che l’art. 708 ultimo comma c.p.c., il quale subordina, nel giudizio di separazione, la modifica dei provvedimenti provvisori al verificarsi di “mutamenti nelle circostanze”, sia stato abrogato a seguito della L. 74/1987, la quale all’art. 23 prevede l’ap- S 76 AIAF RIVISTA 3/2004 plicazione ai giudizi di separazione, in quanto compatibili, delle regole di cui all’art. 4 L. 898/70, tra le quali rientra la previsione secondo cui “l’ordinanza del presidente può essere revocata o modificata dal giudice istruttore a norma dell’art. 177 del c.p.c.”. Ne consegue un regime di revocabilità dei provvedimenti presidenziali secondo le regole generali relative alle ordinanze, anche per i procedimenti di separazione, a prescindere dalla sopravvenienza di mutamenti della situazione fattuale esistente al momento della pronuncia. La prassi denota una persistenza del presupposto dell’assenza di circostanze nuove essenzialmente nelle motivazioni dei provvedimenti di rigetto. Viceversa, le richieste di modifica sono accolte: a) per circostanze sopravvenute, b) per una diversa valutazione dei fatti preesistenti, c) per l’allegazione di fatti o elementi di prova non prospettati al Presidente, d) per errori evidenti di valutazione in cui si sia incorsi al momento dell’emissione dei provvedimenti provvisori, e) per il progressivo adattamento dei provvedimenti provvisori alle esigenze della famiglia in crisi. Si registra una generale aspirazione alla stabilità dei provvedimenti provvisori, che si ritiene debba essere perseguita: a) attraverso la via ordinamentale legata all’identità del presidente e del giudice istruttore, b) attraverso la via procedimentale che incrementi l’autorevolezza dei provvedimenti provvisori. A tale proposito si insiste da parte dei sostenitori del rito ambrosiano sull’importanza della costituzione del convenuto previamente rispetto alla udienza presidenziale. Tuttavia anche i sostenitori dell’interpretazione opposta consentono che le udienze presidenziali si svolgano con ampi tempi istruttori consentendo rinvii e acquisizione di atti istruttori (Ctu e relazione dei servizi sociali). In ogni caso, una più compiuta motivazione dei provvedimenti provvisori sembrerebbe assicurare più garanzie circa la stessa modificabilità dei provvedimenti stessi. SULLA RECLAMABILITÀ DEI PROVVEDIMENTI PROVVISORI n orientamento condiviso esclude la reclamabilità dei provvedimenti provvisori, perché: a) dal punto di vista pratico il regime di revocabilità degli stessi provvedimenti modulato sull’art. 177 c.p.c. e non sull’art. 708, ult. comma c.p.c. non rende indispensabile questo rimedio, il quale, viceversa, si tradurrebbe in un U SETTEMBRE - DICEMBRE 2004 LE PRASSI NELLE CAUSE DI SEPARAZIONE E DIVORZIO ingiustificato rallentamento dei tempi processuali di definizione del giudizio, b) dal punto di vista teorico normativo soprattutto il disposto dell’art. 189 disp. att. cod. civ. rende inapplicabile il regime cautelare uniforme ai provvedimenti provvisori, per loro stessa natura inidonei a refluire in alcuna sentenza senza perdere d’efficacia. SULL’AMMISSIBILITÀ DELLA PROCEDURA EX ART. 700 C.P.C. ltrettanto maggioritaria la posizione secondo cui il ricorso ex art. 700 c.p.c. non dovrebbe considerarsi ammissibile, essendo già i procedimenti in questione caratterizzati da speditezza e dalla adozione di provvedimenti che anticipano la decisione finale. Sono ben presenti le ragioni di economia processuale ostative all’ammissibilità del 700 c.p.c., ossia: a) i presupposti per l’esperibilità della procedura sono costituiti dalla gravità e irreparabilità del danno; tali presupposti concernono più che altro le necessità della prole, tematiche che sono già oggetto di provvedimenti provvisori, la cui modificabilità svuota di fatto di significato il ricorso alla procedura ex art. 700 cpc, b) il provvedimento ex art. 700 cpc richiesto a tali fini, pertanto, potrebbe non portare a significativi risultati, perché ricadrebbe comunque sotto la disciplina delle revocabilità o modificabilità dei provvedimenti adottati nell’ambito di tale procedura da parte del G.I., c) il rischio più rilevante è che tale procedura crea un “doppio binario”, sia come attività istruttoria, sia come possibilità di proporre reclamo, in questo caso con un effetto “devolutivo” al collegio, che crea diversi problemi, dall’appesantimento delle procedure alla sovrapposizione di decisioni. Va segnalata, tuttavia, una prassi che spesso utilizza il ricorso ex art. 700 cpc quando l’udienza istruttoria è lontana; meglio sarebbe, pertanto, chiedere l’anticipazione dell’udienza adducendo gravi e urgenti motivi. Una proposta tendenzialmente unificatrice che si ispira ad una linea sistematica di riordino dell’utilizzo di questo strumento propone la possibilità di esperire la procedura ex. art. 700 cpc in relazione ad oggetti estranei alle tematiche tipiche dei procedimenti in questione (restituzione beni personali, ecc.). Tuttavia suscita qualche perplessità, in relazione al difetto di strumentalità di tali pronunce rispetto alla decisione definitiva e al regime di inammissibilità del cumulo con la domanda di separazione o di divorzio di domande a contenuto prettamente patrimoniale diverse A da quelle tipiche. LA SENTENZA PARZIALE (NELLA SEPARAZIONE E NEL DIVORZIO) n conformità alla pronuncia della Suprema Corte, si ritiene applicabile anche alla sentenza di separazione la norma divorzile secondo cui, nel caso in cui il processo debba continuare per la determinazione dell’assegno, il Tribunale emette sentenza non definitiva sullo scioglimento o sulla cessazione degli effetti civili del matrimonio. La prassi rileva, tuttavia, che le sentenze non definitive di separazione sono ancora poco frequenti in tutte le sedi, in contrasto con l’orientamento della Cassazione e della dottrina, secondo cui la pronuncia in questione non necessita di istanza di parte in quanto la pronuncia non avviene d’ufficio, ma solo ad istanza di parte. Alcuni giudici richiedono la domanda di entrambe le parti (l’opinione sembra, tuttavia, contrastare con la ratio legis sottesa all’istituto), e non ritengono possibile emettere sentenza parziale in un giudizio contumaciale. I IL MOMENTO DELLA RIMESSIONE DELLA CAUSA AL COLLEGIO on vi è accordo sul momento di remissione della causa al collegio. Analogamente a quanto rilevato dal questionario: a) una parte dei Tribunali ammettono la rimessione della causa al Collegio anche nella prima udienza davanti all’istruttore, b) altri consentono la rimessione all’udienza ex art. 183 c.p.c., c) altri ancora dopo la compiuta articolazione dei mezzi istruttori. Il fondamento teorico-normativo di tali diverse posizioni si ricava: a) dalla ratio della norma che intende favorire il più possibile il formarsi in tempi brevi del giudicato sulla pronuncia di divorzio (e di separazione), b) il rilievo che fino alla scadenza dei termini per la proposizione di eccezioni non rilevabili d’ufficio, il resistente potrebbe proporre l’eccezione di riconciliazione, che impedirebbe la pronuncia in questione (verrebbe meno la presunzione di cui all’art. 3, lett b, L. div., e l’onere della prova della mancata interruzione della separazione ricadrebbe sul ricorrente), c) l’applicazione dei principi generali (artt. 187 e 189 cpc) secondo cui le parti devono precisare interamente le conclusioni di merito (e, quindi, non solo sullo status), e, pertanto, avere la possibilità di dedurre prove (ma alcuni richiedono la conclusione anche nel merito anche prima di aver avuto la possibilità di articolare N 77 LE PRASSI NELLE CAUSE DI SEPARAZIONE E DIVORZIO compiutamente le prove) unitamente alla considerazione che la norma speciale dell’art. 4, comma 9, laddove dispone che la sentenza parziale può essere pronunciata “quando il giudizio deve proseguire” riconosce un potere di valutazione al giudice circa la utilità della sentenza parziale che esige la completa definizione dell’oggetto del giudizio. Tutte le diverse posizioni rilevate circa il momento della rimessione della causa al Collegio adducono il principio di economia processuale: a) perché l’utilità deflattiva e acceleratoria della sentenza parziale è coerente con una adozione quanto più anticipata del relativo provvedimento Si rileva, infatti, per esperienza comune, che spesso la pronuncia della sentenza non definitiva sullo status accelera la definizione dell’intera controversia in quanto le parti, deciso lo status, sembrano psicologicamente più predisposte a raggiungere una soluzione, anche consensuale, sulle altre questioni; in particolare, la rinuncia concorde delle parti ai termini per il deposito delle comparse (prassi comune) comporta l’emissione in tempi brevi della sentenza che decide sullo status, e, di conseguenza, la definizione dell’intero giudizio non subisce ritardi rilevanti; b) perché corrisponde alla finalità di economia di giudizi posticipare la rimessione all’udienza di trattazione, quando, scaduti i termini di cui all’art. 180 cpc, e precisato, anche in esito al tentativo di conciliazione, il thema decidendum, può essere possibile una definizione consensuale della lite o, comunque, la decisione dell’intera controversia, qualora non si debbano assumere mezzi di prova; c) perché si evitano inutili duplicazioni di giudizi nel caso di domande accessorie inammissibili o del tutto sfornite di prova o provate allo stato delle produzioni documentali. Partendo da queste prassi diversificate e approfondendo le ragioni delle contrapposizioni, il gruppo ha tentato di elaborare una prassi condivisa che, seppure non rispondendo a criteri di sistematicità, tuttavia si propone di corrispondere all’aspirazione di uniformità attraverso una applicazione delle disposizioni processuali in questione calibrata sul caso concreto e adeguata all’iniziativa processuale delle parti. Pertanto si distingue: a) il caso in cui i coniugi, concordemente facciano richiesta di una sentenza parziale sul vincolo, nel quale può disporsi la rimessione al Collegio sin dall’udienza ex art. 180 sulle conclusioni delle parti limitate allo scioglimento del vincolo; b) il caso in cui l’istanza di sentenza parziale sia 78 AIAF RIVISTA 3/2004 proposto da un solo coniuge con l’opposizione dell’altro, nel quale la rimessione al collegio non può disporsi prima dell’udienza ex art. 183 c.p.c., con la completa definizione del thema decidendum e dei mezzi istruttori, la cui richiesta dovrà essere reiterata con la precisazione delle conclusioni estesa anche alle pronunce accessorie alla domanda di scioglimento del vincolo. L’OGGETTO DELLA PRONUNCIA nche a tale proposito si registrano prassi difformi. Il giudice pronuncia su tutte le questioni sollevate o solo sullo status, rimettendo la causa sul ruolo per l’ulteriore istruttoria. Coloro (la minoranza) che ritengono compatibile la disciplina speciale dell’art. 4, L. div., con quella generale sulla sentenza parziale di cui agli artt. 277 e 279, 2° co., cpc, ammettono che il giudice, oltre a pronunciarsi sullo status, si pronunci su tutti i punti che è in grado di decidere (e non, quindi, su tutte le domande), rimettendo la causa sul ruolo per l’ulteriori istruttoria sulle domande residue. A SOVRAPPOSIZIONE DEI GIUDIZI DI SEPARAZIONE E DI DIVORZIO n ipotesi di pendenza del giudizio di separazione sulle questioni diverse dallo status (addebito, assetto economico, affidamento figli) e di contemporanea pendenza del giudizio di divorzio, si profilano le seguenti soluzioni: a) riunione dei giudizi; b) pronuncia di cessazione degli effetti civili o di scioglimento del vincolo, definizione delle questioni concernenti i figli, il loro mantenimento, la casa coniugale e sospensione del giudizio per la definizione della questione dell’assegno divorzile fino alla definizione della domanda di addebito, ritenuta pregiudiziale rispetto alla decisione sull’assegno divorzile; c) pronuncia della cessazione della materia del contendere nel giudizio di separazione. Non esistono sul punto ancora prassi consolidate dei singoli uffici, essendo poco frequenti le pronunce di sentenza non definitiva di separazione. Tutte le soluzioni individuate comportano problemi di difficile soluzione, ma, dopo ampia discussione, la maggior parte dei partecipanti concorda nel ritenere preferibile la soluzione sub b), estendendola a tutte le pronunce accessorie alla sentenza di divorzio (e non solo l’addebito), anche se questa soluzione prevede una sospensione non giustificata da una pregiudizialità tecnica in senso stretto di tutte le questioni e anche se la sospensione del giudizio di divorzio potrebbe allungare i tempi della decisione definitiva. La I SETTEMBRE - DICEMBRE 2004 LE PRASSI NELLE CAUSE DI SEPARAZIONE E DIVORZIO preferenza per questa soluzione è motivata anche per esclusione. Infatti, per la soluzione a) si obietta la mancanza di un rapporto di connessione tra il giudizio sulle domande consequenziali alla separazione e il giudizio sulle domande consequenziali al divorzio. Per la soluzione c) si oppone l’irragionevole sacrificio del diritto della parte ad avere un doppio grado di giurisdizione sulle domande accessorie alla pronuncia di separazione. DIVORZIO A DOMANDA CONGIUNTA lavori del gruppo hanno evidenziato una consistente (anche se non totale) propensione per il principio di necessaria assistenza tecnica anche nei procedimenti di divorzio proposti con domanda congiunta. Questa linea si fonda: a) sulla considerazione, di carattere giuridico, che si tratta di un giudizio relativo allo status personale che si conclude con sentenza suscettibile di impugnazione ed al quale deve, quindi, essere riconosciuta una natura sostanzialmente contenziosa, b) sull’osservazione, di carattere pratico e operativo, che grazie all’intervento del legale le condizioni vengono predisposte in modo corretto e soprattutto più completo, così risultando agevolato il compito del tribunale e non essendo necessario che questi intervenga con correttivi e integrazioni nel corso dell’udienza. La linea contraria, che non riconosce cioè la necessità della difesa tecnica, si basa: a) sulla considerazione, in diritto, della pregnante omologia ravvisabile tra il procedimento di divorzio congiunto e quello di separazione consensuale, tale da rendere inspiegabile un trattamento differenziato sul punto in questione e b) sull’osservazione, di carattere concreto, che laddove non vi sia un effettivo contenzioso tra le parti non si possa imporre di far ricorso all’assistenza legale, esponendoli a oneri economici inutili. È stata sollevata l’obiezione che, se il procedimento deve essere inteso di natura contenziosa, allora logicamente si impone la presenza di due legali, ciascuno di questi essendo chiamato a tutelare e garantire gli interessi di una parte. Una soluzione di compromesso è quella di distinguere tra i casi di pronuncia solo sul vincolo (per i quali la presenza del difensore non sarebbe necessaria) e i casi di pronunce anche accessorie per le quali si richiederebbe la presenza dei legali. Tale soluzione espone al rischio, nel caso di assenza di figli minori, di incentivare la creazio- I ne di una regolamentazione sommersa affidata ad accordi privati che potrebbe risolversi in una lesione dei diritti delle parti. L’altra soluzione “condivisa” percorribile potrebbe essere quella di riconoscere: - la necessità di assistenza tecnica; - la sufficienza di un solo legale, comune ad entrambe le parti e loro domiciliatario. Questa opzione applicativa consentirebbe: a) di rispettare il principio secondo il quale, vertendosi in tema di status personale, al procedimento deve essere riconosciuta natura contenziosa, natura che non viene meno in presenza di un accordo in ordine alle condizioni accessorie al divorzio, b) di garantire un pieno esercizio del diritto di difesa, dal momento che l’interesse pubblico è qui forte e determinante, tanto che – ad esempio – pur in presenza di un accordo delle parti la domanda di divorzio ben potrebbe essere respinta qualora il tribunale dovesse verificare l’insussistenza dei presupposti e delle condizioni dell’azione (e, in questa ipotesi, quasi essenziale è che la comunicazione del deposito della sentenza venga fatta al difensore domiciliatario, anche ai fini di una eventuale proposizione dell’appello che non potrebbe essere rimessa alle parti personalmente), c) di contenere i costi della procedura, in quanto un solo difensore non è elemento di per sé contraddittorio nel momento in cui, pure in presenza di una riconosciuta natura contenziosa del giudizio (che si conclude con sentenza, suscettibile di fare passaggio in giudicato), non siano ravvisabili posizioni contrapposte e aspetti in concreto conflittuali, d) di operare una lettura delle disposizioni aderente al testo normativo, dal momento che per il divorzio c.d. congiunto non è stata richiamata la previsione della separazione consensuale di cui all’art. 711 c.p.c. e sembra chiara l’intenzione del legislatore di non coniare un procedimento di mera “omologazione” degli accordi già precedentemente raggiunti dalle parti. TRASFERIMENTI IMMOBILIARI ra i componenti del gruppo si è delineata una maggioranza a favore della possibilità di procedere ai trasferimenti immobiliari in sede di divorzio congiunto; sembra, anche, che dai più sia condivisa la prassi di realizzare il trasferimento a verbale, sottoscritto dalle parti e completato attraverso tutte le attività e le dichiarazioni necessarie per la regolarità dell’atto, e ciò anche per la preoccupazione di non investire il tribunale di eccessive responsabilità e far ricade- T 79 LE PRASSI NELLE CAUSE DI SEPARAZIONE E DIVORZIO re queste ultime sulle parti che debbono produrre documentazione, rendere dichiarazioni sostitutive di atto notorio, ecc.. Pur in presenza di ancora irrisolti nodi problematici, una soluzione di massima condivisa potrebbe prevedere: - la possibilità per i coniugi di perfezionare trasferimenti immobiliari in occasione del divorzio congiunto, utilizzando il verbale di causa e trovando la cessione suggello nella sentenza che riconosca l’avvenuto trasferimento facendo mero rinvio al verbale; - l’esclusione di tale possibilità se i beneficiari del trasferimento siano soggetti terzi (anche figli) rispetto alle parti, in quanto estranei al procedimento ed affatto legittimati ad intervenire nel giudizio, ancorché a tale limitato fine; - l’incarico alle parti di predisporre la relativa nota di trascrizione e di curare, al passaggio in giudicato della sentenza, l’adempimento di tutte le attività necessarie presso le conservatorie. tivi (forse comuni soltanto ai grandi Tribunali) collegati alla necessità di garantire lo “smaltimento” in tempi brevi di un gran numero di procedimenti su domanda congiunta e la concomitante presenza negli Uffici di molte coppie. A tal fine è stata avanzata la proposta di una soluzione condivisa che: - preveda la collegialità effettiva dell’organo giudicante (formazione predeterminata del collegio, seduta collegiale dei tre membri in contemporanea ma comparizione dei coniugi davanti anche solo al giudice relatore / estensore per la raccolta delle firme e della dichiarazione di rinuncia all’impugnazione); - preveda la redazione contestuale della sentenza, sua integrale lettura alle parti prima della loro rinuncia all’impugnazione, sottoscrizione immediata della sentenza da parte del relatore e del presidente, quindi deposito e pubblicazione in tempi brevi. RINUNCIA ALL’IMPUGNAZIONE utti sembrano favorevoli a consentirla, anche se vengono utilizzate modalità diverse (con dichiarazione a verbale, con dichiarazione resa successivamente in cancelleria). Anche per favorire le parti e non imporre loro una pluralità di accessi negli uffici giudiziari, non dovrebbe essere difficile concordare che: - la rinuncia all’impugnazione è possibile; - poiché non è logicamente percorribile la strada di una rinuncia preventiva, la dichiarazione dovrebbe essere fatta dalle parti personalmente, e quindi da loro sottoscritta, nel verbale dell’udienza, dandosi atto del fatto che della sentenza è stata prima data integrale lettura; - l’attestazione di passaggio in giudicato dovrà essere rilasciata dal cancelliere dopo la trasmissione della sentenza agli uffici della Procura generale della Repubblica e la relativa dichiarazione di acquiescenza. I T COMPETENZA COLLEGIALE nettamente prevalsa la tendenza a riconoscere una collegialità “piena”, mentre abbastanza marginale è la prassi che riconosce la possibilità che i coniugi compaiano personalmente davanti ad un giudice “delegato”. Tuttavia, va segnalato, in parte per sdrammatizzare questa questione, che le modalità di svolgimento delle udienze collegiali anche nei Tribunali che non si discostano formalmente dalla collegialità del giudizio prevedono la comparizione dei coniugi davanti ad un solo giudice. Sussistono infatti innegabili problemi organizza- È 80 AIAF RIVISTA 3/2004 CONVERSIONE DEL DIVORZIO DALLA FORMA CONTENZIOSA A QUELLA CONGIUNTA l gruppo è sembrato compatto nel ritenere l’ammissibilità della conversione e non si sono evidenziati “dissidi” profondi e insanabili nell’individuazione delle relative modalità, salvo alcune (modeste) eccezioni. Sarebbe, quindi, abbastanza agevole trovare un punto di incontro che preveda: - l’ammissibilità della trasformazione dalla forma contenziosa a quella congiunta; - la conseguente non necessità di un nuovo ricorso, essendo sufficiente che l’accordo raggiunto sia trasfuso nel verbale del procedimento originario e sia sottoscritto dalle parti; - la trasmissione del fascicolo al P.M. per le sue conclusioni sulle nuove istanze; - la fissazione a breve di un’udienza collegiale in camera di consiglio, per l’espletamento degli incombenti già trattati nel punto che precede. L’immediata rimessione davanti al giudice istruttore che muterebbe la sua veste in quella di giudice delegato dal Collegio per pronunciare il divorzio si coniuga con la posizione (rivelatasi formalmente minoritaria) della delega ad un solo giudice per la comparizione delle parti dei coniugi che hanno presentato domanda congiunta di divorzio e le indubbie utilità che comporta sono apprezzabili soprattutto nelle sedi giudiziarie di maggiori dimensioni. Il vantaggio preminente dato dalla conversione consiste nella possibilità per le parti di rinunciare all’impugnazione e, così, di accelerare il passaggio in giudicato della sentenza e l’acquisizione dello stato libero, oltre che nel non dover SETTEMBRE - DICEMBRE 2004 LE PRASSI NELLE CAUSE DI SEPARAZIONE E DIVORZIO affrontare gli oneri di una nuova iscrizione a ruolo ecc.; quanto al “guadagno” sui tempi per la sentenza, tutto dipenda dall’organizzazione dei ruoli di ogni singolo giudice, ma è ragionevole pensare che sia più semplice trovare spazio per un procedimento congiunto che per una sentenza per così dire normale, anche se da pronunciarsi su conclusioni conformi. QUESTIONI INERENTI I GIUDIZI DI SEPARAZIONE CONSENSUALE E DIVORZIO CONGIUNTO. NATURA DEGLI ACCORDI E REVOCA DEL CONSENSO chematizzando il risultato di discussioni dottrinali e giurisprudenziali, può dirsi che l’accordo di separazione ha come contenuto naturale l’accordo sulla cessazione della coabitazione, il regolamento delle posizioni dei genitori rispetto ai figli e il regolamento delle questioni patrimoniali di cui all’art. 155 cod. civ. rispetto al coniuge non dotato di mezzi propri; L’accordo sulla cessazione della coabitazione è il contenuto minimo della separazione ed è obbligatorio; ugualmente obbligatoria è da ritenersi la regolamentazione dei rapporti economici e non in relazione ai figli, quando vi siano, mentre alla regolamentazione dei rapporti patrimoniali tra coniugi viene riconosciuto un carattere meramente eventuale, di natura contrattuale implicante la applicabilità delle norme sui contratti. Questione ancora aperta è la natura dell’accordo minimo di separazione, e cioè se debba essere ricostruito come accordo (inteso come incontro di volontà convergenti) o come contratto o negozio cui applicare in via analogica le norme in tema di contratti (inteso come incontro di volontà portanti interessi difformi) con la ulteriore conseguenza della applicabilità o meno delle norme sul contratto e quindi sulla possibilità o meno della revoca del consenso. La lettura della norma di cui all’art. 158 cod. civ. consente di escludere la possibilità di un sindacato del Giudice sulle ragioni della separazione o sulle condizioni patrimoniali tra i coniugi (l’unico intervento essendo limitato alla eventuale non omologabilità in caso di pattuizioni difformi dagli interessi dei minori). Secondo l’art. 158 cod. civ. l’accordo di separazione non ha effetto senza l’omologa del Tribunale, che viene considerato un momento giurisdizionale di controllo, qualificato come causa del procedimento di separazione, ovvero ricostruzione dell’accordo come causa della separazione stessa, e dell’omologazione come mera condizione di efficacia della separazione, omologazione che si sostanzia in un controllo di legittimità che il Giudice è chiamato a compiere alla stregua dei principi di ordine S pubblico. Questa seconda teoria si sposa evidentemente con la tesi che pone l’accento sulla rilevanza dell’accordo dei coniugi e lo qualifica come accordo assimilabile ad un contratto, valido di per sé ma condizionato nell’efficacia alla omologazione, così che all’accordo di separazione si applicano le norme in materia di contratti, senza distinguere tra contenuto obbligatorio ed eventuale, ed altresì la irrevocabilità del consenso espresso prima della udienza presidenziale o in detta sede presidenziale. Viceversa, ritenere l’accordo come avente contenuto diverso dal contratto, ritenere inapplicabili le regole contrattuali e porre l’accento sul momento processuale, in sostanza svalutare il momento della autonomia privata, porta a ritenere il consenso revocabile quanto meno sino a che non intervenga il provvedimento di omologa. Come pare emergere anche dai risultati del questionario ANM, in giurisprudenza la tesi della revocabilità del consenso è assolutamente maggioritaria, e riflettere sulla revocabilità del consenso significa analizzare il contenuto degli accordi di separazione che i coniugi possono porre in essere, qualificarli e distinguerli. Il discorso così si allarga dal contenuto della separazione agli accordi patrimoniali che accedono solo eventualmente alla separazione, alla validità di accordi presi in sede di separazione in vista del futuro divorzio; tutti argomenti che passano al vaglio della giurisprudenza, sino ai patti prenuziali che per il nostro diritto positivo e per la giurisprudenza paiono argomenti ancora del tutto futuribili. In particolare sul problema relativo alla configurabilità di accordi patrimoniali (aventi ad oggetto i rapporti tra coniugi, discorso diverso essendo quello che riguarda le pattuizioni sui figli) stipulati in sede di separazione ed in vista del divorzio, si veda la apertura contenuta in Cassazione 8109/2000 che sul punto ha creato un precedente ribadendone in generale la nullità per la illiceità della causa, ma sancendo la non azionabilità della nullità da chi è gravato dell’impegno, riservandola esclusivamente alla “parte debole” che potrebbe essere lesa dalla pattuizione dispositiva. Ci si soffermi a riflettere sui temi cardine che ruotano attorno alla configurabilità dei contratti in vista del divorzio: il diritto potestativo di chiedere la cessazione del vincolo, che mal si concilia coll’affermata indisponibilità dei diritti patrimoniali tratta dall’art. 160 cod. civ., il tipo di controllo operato dal Giudice in sede di procedimento di separazione o in sede di procedimento sul contratto matrimoniale, l’inapplicabilità ai contratti di separazione o di divorzio, della clausola rebus sic stantibus di cui ai procedimenti 81 LE PRASSI NELLE CAUSE DI SEPARAZIONE E DIVORZIO camerali che seguiranno. Strettamente connesso alla questione relativa alla revocabilità del consenso è la questione relativa alla necessaria presenza delle parti alla udienza presidenziale o in camera di consiglio. Evidentemente se la revoca del consenso è efficace, la presenza delle parti che confermino il proprio assenso è necessaria. Sono state quindi affrontate le questioni relative ai procedimenti di modifica delle condizioni di separazione e divorzio che si svolgono nelle forme del rito camerale, per richiamo espresso degli artt. 710 c.p.c. e 9, I° c., L. 898/1970, come modificato dalla L. 74/1987, di cui agli artt. 737 e seguenti c.p.c.. I problemi che si pongono per lo svolgimento del procedimento non sono diversi dai problemi che si pongono in generale quando si utilizza lo strumento processuale semplificato richiamato, con la particolarità tuttavia che l’oggetto del processo è nel nostro caso la trattazione di diritti soggettivi veri e propri sui quali tra le parti si instaura un contenzioso. Uno strumento processuale pensato per risolvere questioni di volontaria giurisdizione pura, intesa come soluzione di interessi, deve così adattarsi alla più difficoltosa trattazione di diritti soggettivi, normalmente ad alta contenziosità. Ne è conferma la giurisprudenza che sancisce la doppia possibilità di adire le forme camerali come le forme ordinarie: in realtà non si tratta solo del problema della conservazione degli atti, da citazione a ricorso, ma dell’affermazione che le modifiche delle condizioni della separazione possono essere chieste in via alternativa con le forme del rito ordinario e con le forme del rito camerale, proprio per il fatto che il procedimento ex art. 710 c.p.c. “configura un procedimento contenzioso che si esplica nel contraddittorio pieno delle parti e si chiude con un provvedimento che pur con la forma del decreto, ha la natura sostanziale di sentenza.”. Sia l’art. 710 che il 9 richiamano per i procedimenti aventi ad oggetto la modifica delle condizioni di separazione e divorzio, il procedimento in camera di consiglio regolato dagli artt. 737 e segg. c.p.c., con due ulteriori indicazioni nel corpo dell’art. 710 c.p.c.: “sentite le parti ed assunti eventuali mezzi istruttori”, ed inoltre con la partecipazione del P. M. quando si tratti di questione concernenti minori secondo quanto stabilito dall’art. 9 della L. 1987/78 di modifica delle legge sul divorzio estesa al procedimento di modifica delle condizioni di separazione con intervento della Corte Costituzionale 416/1992. Le regole processuali vanno pertanto desunte 82 AIAF RIVISTA 3/2004 dagli artt. da 737 a 742 c.p.c. con le integrazioni della necessità del rispetto del principio del contraddittorio e il richiamo ad una fase istruttoria. La deformalizzazione del rito e l’assenza di regole predeterminate in materia di contraddittorio e garanzia del diritto di difesa, che certamente hanno indotto il legislatore a privilegiare questo rito per la sua celerità in materia in cui la definizione del procedimento deve essere rapida, costituiscono tuttavia il limite dell’intervento legislativo e hanno determinato recenti ed importanti interventi della Cassazione. L’atto introduttivo è pertanto il ricorso ai sensi dell’art. 737 c.p.c.: il Presidente, fissa l’udienza di comparizione delle parti, concede termine per la notifica del ricorso e del decreto di fissazione e nomina il Giudice Relatore. Si pone quindi il primo problema relativo all’eventuale termine per la proposizione di domanda riconvenzionale: le risposte al questionario indicano che la stragrande maggioranza dei magistrati ritiene ammissibile la proposizione di riconvenzionale con la comparsa di costituzione e risposta presentata alla udienza in quanto nessun termine preclusivo è ricavabile analogicamente né dall’art. 166 né dall’art. 416 c.p.c., mancando la indicazione di un termine a comparire per la parte convenuta. Vi è tuttavia di più. A tenore della sentenza n. 14022/2000 della S. C. il rito adottato dal legislatore, con l’art. 9 della legge sul divorzio, ai fini della modificazione dell’assegno divorzile, risulta regolato, in via generale, dagli art. 737 e ss. del c.p.c., e, quanto alle forme, in parte risulta disciplinato espressamente da tale normativa, mentre, nella parte non regolata, risulta rimesso nel suo svolgimento alla disciplina concretamente dettata dal giudice la quale dovrà garantire il rispetto del principio del contraddittorio e di quello del diritto di difesa. Da ciò deriva, quanto al procedimento di primo grado, che in esso non vigono le preclusioni previste per il giudizio di cognizione ordinario, con la conseguenza che: 1) potranno essere proposte domande nuove, anche riconvenzionali, in conformità delle direttive dettate dal giudice nella gestione del processo, senza che la loro eventuale mancata proposizione possa impedirne la proposizione in separato giudizio; 2) potranno essere ammesse altresì prove nuove, anche in correlazione con i fatti sopravvenuti dedotti nel corso del processo; fatti che peraltro - anche in questo caso il giudice dovrà e potrà prendere in esame se ed ove dedotti e sempre nei limiti delle domande proposte. Più in particolare trattasi di un procedimento che si svolge nell’interesse delle parti ed anche nel SETTEMBRE - DICEMBRE 2004 LE PRASSI NELLE CAUSE DI SEPARAZIONE E DIVORZIO quale - diversamente da quanto accade nel caso in cui si tratti di modifica dell’assegno di mantenimento di figli minori - vige il principio della domanda e della corrispondenza fra il “chiesto” ed il “pronunciato”, investendo l’officiosità del procedimento unicamente il profilo dell’impulso al suo svolgimento, ed, in certa misura (ai sensi dell’art. 738, comma 3) l’acquisizione di materiale probatorio. Quanto poi al giudizio di secondo grado nascente dal reclamo, fermo restando che quest’ultimo costituisce un mezzo di impugnazione avente carattere devolutivo e come tale ha per oggetto la revisione della decisione di primo grado nei limiti del devolutum e delle censure formulate ed in correlazione alle domande formulate in quella sede, in detto giudizio, mentre possono essere allegati fatti nuovi, non possono essere proposte domande nuove, in quanto queste ultime snaturerebbero la natura del reclamo quale mezzo di impugnazione avente la funzione di rimuovere vizi del precedente provvedimento. Nel corso del procedimento possono senza alcuna preclusione svolgersi domande nuove e riconvenzionali, se tale è la scelta processuale della parte, la quale potrebbe invece sempre decidere di azionare i fatti nuovi e sopravvenuti in altro procedimento di modifica. Non vi è pertanto un onere di allegazione e domanda del fatto nuovo nel processo già in corso e viceversa il fatto nuovo base della domanda nuova può sempre essere azionato. Vi è da ritenere la medesima mancanza di preclusioni riguardo la deduzione del fatto nuovo a sostegno della domanda o dei fatti dedotti dal convenuto per il rigetto della stessa. Quanto precede incontra due limiti. Da una parte vi è il principio del rispetto del contraddittorio e del diritto di difesa in quanto le parti devono essere messe in condizione di replicare sulle allegazioni e di difendersi. Sul punto vi è una importante e recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 9084/2002, che prescrive che nei procedimenti in camera di consiglio debbano essere assicurati l’esercizio del diritto di difesa e la garanzia del contraddittorio specialmente nella formazione della prova, in quanto detto principio generale è stato enunciato dall’art. 111 cost. nella nuova formulazione introdotta con la legge cost. n. 2 del 1999, sia pure con espresso riferimento al processo penale. La Cassazione afferma che il processo deformalizzato in camera di consiglio si sottrae a censure di costituzionalità quando si verta in tema di diritti soggettivi solo quando siano garantiti i diritti di difesa e la garanzia del contraddittorio e che il procedimento non può non essere interpre- tato alla luce del nuovo dettato costituzionale dell’art. 111 Cost.: in particolare si afferma per quanto riguarda la acquisizione delle prove che appare dubbia la costituzionalità dell’assunzione di prove al di fuori del contraddittorio con messa a disposizione del materiale probatorio ai difensori in un momento successivo. Quindi il primo limite alla assenza di preclusioni su domande, allegazione di fatti e assunzione di mezzi istruttori è il rispetto del contraddittorio e della difesa. Il secondo limite è dato dalla necessità che il procedimento abbia un adeguato e ordinato svolgimento nell’ambito dei poteri del regolamento del procedimento propri del Giudice ai sensi dell’art. 175 c.p.c.: è attività propria del Presidente quella di individuare, mediante la fissazione di termini, le fasi del procedimento, distinguendo la fase della individuazione dei fatti costitutivi ed estintivi e la fase della articolazione dei mezzi di prova. Ancora una volta le fasi dovranno contemperare il rispetto della difesa e del contraddittorio: concretamente le allegazioni avverranno o all’udienza a verbale o in memorie richieste dovendosi ritenere che coll’esaurimento della attività della difesa sul punto, le questioni non possano nuovamente essere riaperte. I MEZZI ISTRUTTORI NEI PROCEDIMENTI CAMERALI entite le parti” postula la necessità della comparizione delle parti in Camera di Consiglio (con conseguente deduzione di argomenti di prova dalla mancata comparizione) o solo la esigenza del rispetto del contraddittorio? Quali sono i mezzi istruttori cui l’art. 710 c.p.c. fa riferimento e possono essere essi disposti di ufficio? I mezzi istruttori sono i più disparati ed anche oltre i mezzi tipici. Come emerge dalle risposte al questionario ANM, sono tutti quegli strumenti che fanno parte dell’armamentario probatorio del Giudice della famiglia: c.t.u., relazione degli assistenti sociali, indagini patrimoniali a mezzo della Guardia di Finanza oltre che i mezzi tipici del codice di rito. Quanto alla ufficiosità esiste ormai la possibilità di disporre d’ufficio mezzi di prova sulle condizioni relative al minore, proprio perché non esiste sotto questo profilo una disponibilità delle parti (molteplici sono gli indici: il controllo del Giudice solo su questo aspetto nelle consensuali; la non vincolatività dell’accordo dei genitori ecc.). Quanto ai diritti patrimoniali dei coniugi si pone il problema dell’interpretazione della contestazione della parte quale presupposto per procedere alla indagine di polizia tributaria, da considerare comunque come uno strumento probatorio “S 83 LE PRASSI NELLE CAUSE DI SEPARAZIONE E DIVORZIO da disporsi d’ufficio. Sul punto lo stato della giurisprudenza della S. C. ritiene che il potere del tribunale di disporre indagini anche d’ufficio e di avvalersi della Polizia Tributaria, come prevede espressamente la legge con disposizioni applicabili per identità di “ratio” anche al procedimento di revisione del contributo di mantenimento dei figli, rientra nella sua discrezionalità, e non può essere considerato anche come un dovere imposto sulla base della semplice contestazione delle parti in ordine alle loro rispettive condizioni economiche. L’unico limite a detto potere, che costituisce una deroga alle regole generali sull’onere della prova, è rappresentato dal fatto che il giudice, potendosene avvalere, non può rigettare le richieste delle parti relative al riconoscimento ed alla determinazione dell’assegno sotto il profilo della mancata dimostrazione da parte loro degli assunti sui quali le richieste si basano. In tal caso il giudice ha l’obbligo di disporre accertamenti d’ufficio, avvalendosi anche della Polizia Tributaria. PENDENZA DEI GIUDIZI DI MODIFICA EX ART. 710 CPC E DI DIVORZIO l giudizio di modifica ex art. 710 c.p.c. è proIdimento ponibile o proseguibile in pendenza del procedi divorzio? Introdotto il giudizio di Micaela Vinci, 32 anni Il profumo di un’altra città olio, essenze e fiori secchi su tela, cm.50x70 84 divorzio si tratta di verificare se il procedimento ex art. 710 c.p.c., pendente, debba proseguire o debba esserne dichiarata la improcedibilità, o, ancora, se possa essere iniziato. Il problema si pone da quando, dirimendo un contrasto tra le corti di merito, la Cassazione ha statuito la possibilità per il Presidente in sede di AIAF RIVISTA 3/2004 udienza di emanazione di provvedimenti urgenti, di modificare l’assetto definitivo con la sentenza di separazione. La soluzione giurisprudenziale più recente è quella adottata dalla Corte di Appello di Napoli con pronuncia del 22/03/2000: pendente il procedimento di modifica e introdotto il divorzio non si determina l’improcedibilità del primo procedimento che continua per la regolamentazione delle statuizioni intermedie sino alla pronuncia dei provvedimenti presidenziali, ove venga effettuata, o dei provvedimenti definitivi in sede di divorzio. Evidentemente ciò è vero solo quando vengano chiesti mutamenti di ordine patrimoniale, che attenendo a prestazioni fungibili possono essere modificati anche con effetto retroattivo (dal momento del verificarsi della circostanza nuova), ma non per il diritto di visita o di affidamento che si è consumato per il periodo già trascorso e non è suscettibile di ristoro retroattivo. Diversa la posizione della Cassazione, la quale ammette la possibilità di simultaneus processus tra procedimento di divorzio e procedimento di modifica delle condizioni di separazione. Infine, nel caso di estinzione del procedimento di divorzio con provvedimenti urgenti resi dal Presidente, la loro eventuale modifica va chiesta con le forme di cui all’art. 710 c.p.c.. Viceversa se il divorzio sia stato pronunciato anche senza statuizioni in materia di assegni, la modifica va chiesta colle forme di cui all’art. 9 L 898/1970. Nel procedimento ex art. 710 c.p.c. è prevista la possibilità della emanazione di provvedimenti urgenti in corso di procedimento, mentre analoga previsione non è ripetuta nell’art. 9 L. 898/1970 e si segnala la incongruità della differenza. I provvedimenti provvisori possono essere disposti anche d’ufficio e il provvedimento conclusivo del procedimento è il decreto, che deve contenere la condanna alle spese. Il decreto reso dal Tribunale è sempre revocabile o modificabile dal Tribunale stesso: corollari di tale costante revocabilità sono l’assenza di attitudine al giudicato, la mancata preclusione di dedotto e deducibile (nel senso che possono essere fatti valere non solo motivi sopravvenuti, ma anche motivi preesistenti), la non ricorribilità in Cassazione ex art. 111, II comma Cost.. Il decreto è soggetto a reclamo. Ormai è chiarita la questione sulla decorrenza del termine di impugnazione: i dieci giorni decorrono dalla notifica effettuata alla controparte su istanza di parte e non su impulso della cancelleria, in quanto il termine di dieci giorni previsto dall’art. 739 c.p.c. per la proposizione del recla- SETTEMBRE - DICEMBRE 2004 LE PRASSI NELLE CAUSE DI SEPARAZIONE E DIVORZIO mo contro il provvedimento camerale pronunciato nei confronti di più parti decorre dalla notificazione dello stesso eseguita ad istanza di parte, e non anche dalla notificazione eseguita ad istanza del cancelliere. Il giudizio di reclamo è un giudizio di merito che tuttavia avviene nei limiti dei motivi di gravame: è pertanto illegittimo un provvedimento che riformi un decreto in un punto non oggetto di esame, così come non sono ammesse domande nuove. Possono invece essere allegati fatti nuovi e chieste nuove prove. IL PUBBLICO MINISTERO. LE RAGIONI DELLA SUA PRESENZA NEL PROCESSO ella relazione del ministro guardasigilli sul codice di procedura civile si legge che “quando l’interesse pubblico reclama che l’esercizio dell’azione sia svincolato dalla iniziativa privata” è opportuno che il potere di agire sia affidato non al giudice, per non menomarne l’imparzialità – affermazione di strabiliante attualità alla luce del disposto dell’art. 111 Costituzione – ma al pubblico ministero, trattandosi di un potere di iniziativa più confacente alla funzione di parte. E derogando così “da quella che nel campo civilistico è la regola, consistente nell’esclusiva dipendenza della tutela giurisdizionale dalla volontà dell’interessato”. Negli ordinamenti in cui, come nel nostro, nel campo civilistico vige la regola consistente nella dipendenza della tutela giurisdizionale dalla volontà dell’interessato, le deroghe a tale regola non possono non essere che per casi tassativi, come stabilisce l’art. 69 c.p.c.: “Il pubblico ministero esercita l’azione civile nei casi stabiliti dalla legge”. Lo stesso principio è contenuto nell’art. 2907 cod. civ. ai sensi del quale alla tutela giurisdizionale dei diritti provvede l’autorità giudiziaria anche su istanza del pubblico ministero o d’ufficio, ma solo “quando la legge lo dispone”, come l’art. 75, I c., dell’ordinamento giudiziario che stabilisce che “il pubblico ministero esercita l’azione civile ed interviene nei processi civili nei casi stabiliti dalla legge”. In questo quadro positivo, quando una disposizione concede l’azione “a chiunque vi abbia interesse” deve essere escluso che fra i titolari del relativo potere possa rientrare anche il pubblico ministero, stante il principio della tassatività dei casi in cui il predetto soggetto è legittimato ad esercitare l’azione civile, casi non suscettibili di applicazione analogica o di interpretazione estensiva. È il caso di ricordare come, in applicazione di tale principio, il pubblico ministero non possa impugnare il matrimonio celebrato con intento simulatorio (art. 123 cod. civ.) anche laddove N venga accertata l’esistenza di una condotta delittuosa realizzata da cittadini stranieri con cittadini italiani per finalità di acquisizione di uno status che consenta in prima istanza la regolarizzazione della posizione sul territorio italiano e quindi l’acquisizione della cittadinanza. Quanto all’intervento in causa del pubblico ministero l’art. 70 c.p.c. regola due tipi di intervento: quello obbligatorio e quello facoltativo. Fra le cause nelle quali l’intervento risulta obbligatorio vi sono quelle matrimoniali, comprese quelle di separazione personale dei coniugi (art. 70, co. I, n. 2) c.p.c.) e di divorzio, siano esse contenziose od a domanda congiunta. Alla questione controversa, riguardante la partecipazione del P. M. ai procedimenti a domanda congiunta, la dottrina maggioritaria sembra dare risposta favorevole sulla base dell’assunto che se è vero, come appare, che la funzione principale del pubblico ministero, nel giudizio di divorzio, è quella di garantire il rispetto dei diritti dei figli, non si vede perché di questa garanzia debbono poter usufruire solo le parti che abbiano prescelto il rito contenzioso. L’intervento non deve invece reputarsi necessario nei giudizi in cui si tratti solo di modificare le condizioni della separazione personale, salvo che non si tratti di modifica delle condizioni di separazione riguardanti la prole, come espressamente previsto dalla Corte Costituzionale che, con sentenza del 9 novembre 1992 n. 416, ha infatti dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 710 c.p.c. nella parte in cui non prevede la partecipazione del pubblico ministero al procedimento di modifica dei provvedimenti di separazione personale dei coniugi riguardanti la prole. Con una successiva sentenza la Corte Costituzionale (25.06.1996 n. 214) ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 70 c.p.c. nella parte in cui non prescrive l’intervento obbligatorio del pubblico ministero nei giudizi tra genitori naturali che comportino “provvedimenti relativi ai figli”, nei sensi di cui agli artt. 9 della legge 898 del 1970 (nel testo vigente) e 710 c.p.c. come risulta a seguito della citata sentenza 416/1992. Nei casi in cui l’intervento del pubblico ministero è obbligatorio, lo è tale naturalmente in ogni grado. Occorre tuttavia, per ridare un senso a questa impostazione che rischia per prassi e per progetti di riforma normativa di proporre un giudizio di agonia del pubblico ministero nel processo civile, ridisegnare lo spazio di presenza della parte pubblica nel processo civile. 85 LE PRASSI NELLE CAUSE DI SEPARAZIONE E DIVORZIO IL MOMENTO DELL’INTERVENTO E L’ATTIVITÀ DEL P.M. enuto meno l’obbligo di comunicare al pubblico ministero l’ordinanza presidenziale di fissazione dell’udienza avanti il giudice istruttore, per espresso disposto legislativo, nella disciplina del divorzio, oppure per incompatibilità – dell’art. 709 c.p.c. – con le nuove regole dell’art. 4 legge divorzio, per il giudizio di separazione, ne discende l’applicazione della regola generale dettata dall’art. 71 c.p.c.: “il giudice, davanti al quale è proposta una delle cause indicate nel comma 1 dell’articolo precedente, ordina la comunicazione degli atti al pubblico ministero affinché possa intervenire” mediante comunicazione del decreto di fissazione dell’udienza presidenziale e del ricorso introduttivo. Già nella fase presidenziale, perciò, il pubblico ministero deve intervenire depositando in cancelleria la comparsa di intervento (artt. 1, 2 disp. att. c.p.c. in quanto quest’ultima norma richiama le modalità di intervento previste dall’art. 267 c.p.c. per le parti private): modalità ispirata al criterio generale secondo il quale la tutela degli interessi pubblici affidati al P. M. nel processo civile va perseguita con gli stessi mezzi riservati alle parti. Così nel corso dell’istruttoria il pubblico ministero può produrre documenti e dedurre prove al pari delle parti in causa, però nei limiti delle domande proposte dalle parti (art. 72 comma 2° c.p.c.); ma può anche non intervenire nelle udienze istruttorie senza che da ciò consegua la nullità degli atti a cui non ha assistito. Se però il pubblico ministero, intervenendo innanzi al collegio, non si limita ad aderire alle conclusioni di una delle parti, ma prende proprie conclusioni, producendo documenti e deducendo prove, il presidente, su istanza di parte od anche d’ufficio, può rimettere con ordinanza la causa al giudice istruttore per l’integrazione dell’istruttoria. Ciò è chiaramente previsto dall’art. 3 comma 3° disp. att. c.p.c.. Occorre rilevare come la remissione al giudice istruttore possa avvenire solo nel caso in cui il pubblico ministero produca ulteriori documenti, rispetto a quelli già prodotti, o deduca prove su circostanze nuove o comunque prima non capitolate dalle parti: sempre nei limiti delle domande da queste proposte. Non sarebbe necessario, al contrario, disporre la remissione degli atti in istruttoria qualora il P.M. avesse esibito un rapporto della polizia giudiziaria su un episodio attribuito ad uno dei coniugi contrario alla morale o all’ordine della famiglia, se ciò già risulta da un giudicato prodotto in causa; come non sarebbe necessario se il P.M. avesse formulato capitoli di prova su circostanze che risultano pacifiche in causa. V 86 AIAF RIVISTA 3/2004 Per quanto concerne le conclusioni, il P.M. può aderire semplicemente a quelle prese da una delle parti ovvero, come accade normalmente, il pubblico ministero si limita a precisare le conclusioni apponendo un timbro con la dicitura “nulla oppone”. Anche nel procedimento di separazione consensuale l’intervento del P.M. è del pari richiesto a pena di nullità, a norma dell’art. 70 n. 2 c.p.c. che non distingue tra cause di separazione giudiziale e cause di separazione consensuale. L’art. 738 c.p.c. – in sede di disposizioni comuni ai provvedimenti in camera di consiglio – prescrive che gli atti siano direttamente comunicati al pubblico ministero che stende le sue conclusioni in calce al provvedimento del presidente. IL POTERE DI IMPUGNAZIONE DEL P.M. uando il pubblico ministero ha qualità di interveniente necessario nel processo, e non è perciò legittimato attivo a proporre la relativa domanda, sussiste il divieto di impugnare la sentenza non gravata dalle parti private. Dopo l’introduzione del divorzio, che intervenne direttamente sul quadro normativo preesistente, nei processi di separazione il P.M. continua a non essere legittimato all’impugnazione (art. 72 comma 2° e 3° c.p.c.) mentre nei procedimenti di divorzio può impugnare le sentenze ivi pronunciate ma “limitatamente agli interessi patrimoniali dei minori o legalmente incapaci” (art. 5 comma 5° L. divorzio). Secondo la prevalente interpretazione, quest’ultima disposizione deve essere intesa in termini non restrittivi e si ritiene che siano ricompresi (e quindi siano suscettibili di impugnazione dalla parte pubblica), non solo i capi di sentenza riguardanti il patrimonio della prole, ma anche il se ed il quantum dell’assegno di mantenimento. In ogni caso il limite contenuto nella norma non incide sul potere generale, di fatto raramente utilizzato, conferito al pubblico ministero dall’art. 397 c.p.c. di impugnare per revocazione le sentenze pronunciate senza il suo intervento, o quando queste siano effetto della collusione delle parti posta in essere per frodare la legge. Poiché la norma sui poteri di impugnazione del pubblico ministero non è stata richiamata dall’art. 4 comma 13 L. divorzio (divorzio ad istanza congiunta) si è posto il problema se tale previsione valga anche per le sentenze emesse al termine di questi procedimenti. Anche in tal caso, per motivi di simmetria con il procedimento contenzioso, sembra che il potere – dovere di impugnazione spetti al pubblico ministero sempre limitatamente “agli interessi patrimoniali dei figli minori o legalmente incapaci”. Q SETTEMBRE - DICEMBRE 2004 LE PRASSI NELLE CAUSE DI SEPARAZIONE E DIVORZIO Il riconosciuto potere di impugnazione al pubblico ministero pone il problema del passaggio in giudicato della sentenza di divorzio, che tale dovrebbe diventare decorso un anno dalla sua pubblicazione ai sensi dell’art. 327 c.p.c.. Per quanto attiene ai processi di separazione, non pare che possano sorgere dubbi sull’inapplicabilità della previsione che permette al pubblico ministero di impugnare limitatamente agli interessi dei figli minori, così come previsto per il processo di divorzio, costituendo l’art. 5 comma 5° L. divorzio, un’eccezione alla regola. Come già rilevato, il pubblico ministero risulta interprete e difensore delle istanze pubblicistiche incentrate sulla tutela della famiglia e dei minorenni e, per questa sua funzione, de iure condendo, sarebbe forse opportuno riconoscere al pubblico ministero il potere di impugnazione anche nei giudizi di separazione, dove gli interessi protetti appaiono identici a quelli implicati nei giudizi divorzili. stero dichiarando non luogo a provvedere. * avvocato in Genova IL PROCESSO CIVILE E LA TRASMISSIONE DELLA NOTIZIA DI REATO isulta frequente, nell’esperienza giudiziaria, R che il giudice della separazione e del divorzio si imbatta, nel suo percorso processuale, in fatti costituenti notizie di reato procedibili d’ufficio, soprattutto nei procedimenti caratterizzati da alta conflittualità. In tali contesti, la presenza necessaria nel processo del pubblico ministero costituisce molte volte un fattore di confusione in ordine alla trasmissione della notizia di reato all’ufficio titolare dell’esercizio dell’azione penale, in quanto molti giudici civili ritengono che la presenza necessaria del pubblico ministero costituisca un fattore di esenzione dall’obbligo di denuncia sancito dall’art. 331 co 4° c.p.p.. Invero, proprio la tempistica dell’intervento del pubblico ministero, il quale si limita a conclusioni superficiali ed adesive, senza la consultazione del fascicolo processuale, formulate alla fine dell’istruttoria, consiglia l’immediata trasmissione della notizia di reato per assicurare una risposta immediata in ambito penale, sia essa di natura investigativa o cautelare anche a tutela della presunta parte lesa del reato. L’automatismo della denuncia trova del resto ampia applicazione, di natura anche “deflattiva”, nel procedimento introdotto dalla L. 4 aprile 2001 n. 154 contro le violenze familiari allorché il giudice, richiesto dell’emissione di un ordine di protezione in ambito civile, ravvisando gli estremi di un reato procedibile d’ufficio – solitamente i maltrattamenti in famiglia ex art. 572 c.p. – trasmette gli atti all’ufficio del pubblico mini87 LE PRASSI NELLE CAUSE DI SEPARAZIONE E DIVORZIO I l titolo di questo articolo corrisponde al lavoro svolto nello scorso anno nel gruppo di lavoro al quale ho partecipato, nell’ambito degli incontri organizzati dal Consiglio Superiore della Magistratura sulle prassi nella separazione e nel divorzio, introdotto dalla relazione del Dott. Bruno De Filippis, consigliere della Corte d’Appello di Salerno, e coordinato dalla Dott. Maria Carla Gatto, consigliere della Corte d’Appello di Milano. L’obiettivo, di non poco momento, del gruppo era quello, partendo dalla panoramica delle diverse prassi esistenti nel Paese, di pervenire alla individuazione di interpretazioni normative e prassi che raccogliessero la condivisione dei diversi ASCOLTO DEL MINORE, AFFIDAMENTO E DIRITTO DI VISITA, ESECUZIONE DEI PROVVEDIMENTI DI AFFIDAMENTO E VISITA MARINA MARINO* 88 partecipanti. Il gruppo, proprio in forza della metodologia di lavoro scelta, era composto da magistrati di Tribunale ordinario, presidenti di Tribunale, giudici di Tribunale per i minorenni, consiglieri di Corte di Appello e da avvocati di tre diversi fori, nessuno dei quali aveva scelto il gruppo di lavoro di cui fare parte. Oggetto dell’indagine del gruppo di lavoro, coordinato dalla Dr. Maria Carla Gatto, consigliere della Corte di Appello di Milano, era costituito dall’affidamento dei minori, dal c.d. diritto di visita, dall’ascolto del minore, dall’esecuzione dei provvedimenti inerenti l’affidamento ed il diritto di visita. Tutti argomenti che, chi si occupa di questa materia, ben sa quanto siano problematici, e quanto la loro soluzione presenti difficoltà, anche sotto il profilo processuale, spinose anche perché incidono sui rapporti affettivi tra i componenti della famiglia, in un momento difficile quale quello della definizione della crisi AIAF RIVISTA 3/2004 coniugale. Proprio in considerazione di quanto appena detto, e del pericolo che in queste questioni ciascuno riportasse oltre che le proprie competenze tecniche anche il proprio pensiero e vissuto personale, il raggiungimento dell’obbiettivo proposto poneva indubbie e concrete difficoltà. Tuttavia su quasi tutte le diverse questioni il gruppo è riuscito a raggiungere risultati che hanno raccolto la condivisione dei partecipanti, il che, se solo si tiene conto di quanto gli stessi fossero differenziati tra loro, per esperienza professionale, per provenienza territoriale, per background culturale, è sicuro segno della positività sia della metodologia che del lavoro effettivamente svolto dal gruppo. Va detto che, proprio io, la sera prima di conoscere in quale gruppo avrei lavorato, avevo espresso pubblicamente la speranza di poter lavorare nel gruppo che si occupava degli aspetti processuali, e comunque in qualsiasi gruppo tranne che in questo. Dopo la fine dei lavori debbo riconoscere che questo impegno mi è piaciuto, credo mi abbia consentito di portare un contributo ed un punto di vista caratterizzati non solo dall’esperienza professionale, e dalla mia attenzione a problematiche processuali, troppo spesso disattese laddove si trattano questioni che attengono ai minori, ma anche dalla esperienza dell’attività associativa dell’AIAF, e sicuramente mi ha arricchito di prospettazioni ed osservazioni delle questioni affrontate da angolazioni nuove e diverse, oltre ad avermi consentito di conoscere persone interessanti, sia sotto il profilo personale che tecnico. Nel primo incontro, prima che i partecipanti si dividessero in gruppi di lavoro ci sono state numerose relazioni che individuavano le tesi iniziali sui diversi argomenti; per gli argomenti di cui al presente articolo, il Dott. Bruno De Filippis ha esposto le proprie tesi ed opinioni e quindi, al fine di individuare il punto di partenza e quello di arrivo affronterò i singoli argomenti riportando la tesi iniziale e quella alla quale il gruppo di lavoro è pervenuto. L’ASCOLTO DEL MINORE a relazione introduttiva nell’affrontare il tema dell’audizione del minore, esamina le norme di diritto positivo in materia, per concludere che il legislatore, solo dopo il 1975, ha posto attenzione al problema del riconoscimento del minore quale persona portatrice di autonomi diritti, che (l.898/70 art.4, 5° comma) poteva essere sentita dal giudice “qualora lo ritenesse necessario”; la l.74/87, applicabile in forza dell’art.23 della medesima norma anche alle separazioni, conferma la possibilità per il giudice di sentire i minori qualora ciò L SETTEMBRE - DICEMBRE 2004 LE PRASSI NELLE CAUSE DI SEPARAZIONE E DIVORZIO fosse “strettamente necessario”. Il legislatore italiano è quindi fortemente restio a che i minori vengano ascoltati in giudizio, per valutazioni che vanno dalla valutazione dell’effetto traumatico dovuto all’essere sentito da un giudice, alla attendibilità ed influenzabilità del minore medesimo. Le convenzioni internazionali a partire da quella di New York del 20 novembre 1989, ratificata in Italia con legge del 27 maggio 1991 n. 176, prevede l’obbligo per gli stati firmatari di garantire al minore, capace di discernimento il diritto di esprimere liberamente la propria opinione sulle questioni che lo interessano. L’audizione del minore non potrà mai essere utilizzata come mezzo istruttorio al fine di acquisire elementi sul comportamento dei genitori, e non potrà che avvenire o all’udienza presidenziale o in istruttoria, ma comunque al più presto possibile, per evitare che situazioni particolarmente inopportune, ove non addirittura dannose, si consolidino. Il minore, secondo la relazione del Dott. De Filippis dovrà essere ascoltato senza la presenza dei genitori e degli avvocati di questi, eventualmente alla presenza di esperti. Il gruppo di lavoro ha ritenuto che, anche sotto il profilo linguistico, fosse maggiormente corretto parlare di ascolto del minore anziché di audizione dello stesso, proprio per chiarire che il minore viene sentito dal giudice al fine di dargli la possibilità di esprimere i propri desideri, ma non certo come teste, come informatore privilegiato od altro. Il minore quale titolare di diritti, può essere oggetto di provvedimenti giudiziari indipendentemente dalle richieste di parte, che sono espressione del potere che compete al giudice di assumere provvedimenti d’ufficio, in tema di minori. Dopo l’osservazione che nell’ordinamento italiano, l’ascolto del minore ha una funzione per alcuni versi istruttoria, e comunque residuale, rispetto alle normative internazionali quali tra l’altro la Convenzione di Strasburgo sui diritti dei minori del 25 gennaio 1996 - alla quale il legislatore italiano ha dato una applicazione nella quale ad esempio non ha ricompreso la separazione ed il divorzio tra le procedure alle quali sia applicabile - il gruppo ha sottolineato come la Corte Costituzionale abbia, con la sentenza n.1/2002, sancito che l’ascolto del minore sia un dovere per il giudice in considerazione della percettività immediata dell’art. 12 della Convenzione di New York, pur se anche in questa occasione nessuno ha chiarito se si debba trattare di un ascolto in forma diretta. Lo sforzo maggiore del gruppo è stato quello di rispondere ad una serie di domande di ordine giornalistico a questo riguardo:1) perché? 2) quando? e 3) come? si deve procedere all’audizione del minore. La risposta alla prima domanda discende dalla osservazione che il giudice, o il P.M. - nei casi in cui il PM non sia solo una figura al tempo simbolica e fantasma – possono avere delle perplessità in merito alla correttezza del modo in cui le parti definiscono la situazione della famiglia, e ritengano che i genitori abbiano dato una rappresentazione dei bisogni dei figli minori inadeguata e non rispondente alla realtà. In queste situazioni, allo scopo di comprendere quali siano le effettive esigenze del minori, potrà essere disposta l’audizione dei minori che siano in grado di esprimersi con autonomia di giudizio e discernimento. La compresenza di questi ultimi requisiti è ritenuta essenziale al fine di evitare che da questa esperienza il minore possa trarre elementi di responsabilizzazione e di coinvolgimento indubbiamente negativi. Di conseguenza tutti hanno concordato che, ove solo possa nascere il sospetto di strumentalizzazione dei minori non si dovrà procedere all’ascolto diretto: pertanto non dovrà essere ascoltato il minore portato in udienza da uno dei genitori senza che ne sia stato disposto in precedenza l’ascolto. La seconda domanda ha una risposta immediata: il minore, ove sia opportuno che venga sentito, dovrà essere ascoltato il prima possibile. I casi in cui si debba procedere alla modifica del provvedimento presidenziale per quel che attiene l’affidamento o le modalità di visita, ovvero le ipotesi di procedimento ex art.710 c.p.c o art.9 L.div. suggeriscono la opportunità di procedere all’ascolto del minore se le prospettazioni delle parti sono assolutamente antinomiche e contraddittorie in ordine a quelle che sono le esigenze ed i bisogni dei figli. L’ascolto del minore potrà consentire al giudice di comprendere effettivamente quali bisogni e quali esigenze il minore rappresenta. La terza domanda ha visto il gruppo assolutamente concorde nel ritenere che debba essere totalmente modificata la modalità di verbalizzazione indiretta di quanto detto dal minore, che si riduce quasi sempre a poche frasi, che definire succinte è poco, e che comunque è frutto di una interpretazione delle parole dette dal minore, data dal giudice sulla scorta di schemi linguistici certamente non propri del minore, e che pertanto possono snaturarne la sostanza. Tale verbalizzazione indiretta non consente a quanti non hanno partecipato all’ascolto, ivi compresi il PM, la Corte di Appello in caso di impugnativa, i difensori, di avere un riscontro oggettivo di quello che ha detto il minore, di come lo ha detto, con quali pause, con quali incertezze ovvero certezze, quale sia stato l’atteggiarsi fisico del minore, e così 89 LE PRASSI NELLE CAUSE DI SEPARAZIONE E DIVORZIO via. Pertanto il gruppo ha ritenuto che sarebbe auspicabile se non una videoregistrazione, almeno una fonoregistrazione dell’ascolto in modo che si possa avere direttamente a disposizione il quadro esatto non mediato dall’interpretazione di alcuno. Fino a quando ciò non sarà possibile si dovrà procedere alla verbalizzazione diretta delle parole del minore, riferendo altresì l’atteggiarsi fisico dello stesso, le pause, le reazioni psico-fisiche alle domande, il comportamento e tutto quello che è utile a definire un quadro quanto più preciso del minore. Elementi questi particolarmente utili nell’ascolto dei minori più piccoli, il cui ascolto non è comunque pregiudizialmente escluso. Il gruppo ha sottolineato con forza che il minore non è un testimone, non è soggetto ad un interrogatorio, ma è un soggetto che viene ascoltato perché possa esprimere i propri desiderata e le proprie esigenze delle quali il giudice potrà o no tenere conto. Nell’ipotesi di una pluralità di fratelli che debbano essere ascoltati si è ritenuto che, al fine di evitare soggezioni e condizionamenti, gli stessi debbano, contrariamente a quanto spesso accade, essere sentiti singolarmente, a meno che la situazione concreta e le evidenze processuali suggeriscano di sentirli assieme perché si sostengano. Tutti sono stati concordi nel ritenere necessario che l’ascolto avvenga in assenza dei genitori. Mentre per ciò che attiene la presenza dei difensori, pur avendo verificato che la prassi indica che anche i difensori sono assenti durante l’ascolto, si è considerata questa assenza come eventuale. Deve essere con forza chiarito che comunque, prima dell’inizio dell’ascolto, i difensori dovranno definire in contraddittorio tra loro e con il giudice i campi di indagine che ciascuno intende siano approfonditi, ed in caso di presenza dei difensori il gruppo ha valutato negativamente un contraddittorio diretto con il minore e la formulazione diretta di domande, ritenuto potenzialmente dannoso per il minore, e comunque inutile dato che le domande devono già essere concordate e definite in precedenza. Il gruppo ha altresì sottolineato che sia opportuno formalizzare a verbale la rinuncia delle parti e dei difensori a partecipare all’ascolto, ove questa rinuncia vi sia. All’ascolto dovrà essere presente comunque un cancelliere che provveda su dettatura del giudice alla verbalizzazione. Il minore dovrà essere informato in modo idoneo alle sue capacità di percezione, della finalità del suo ascolto, e del tipo di provvedimento che il giudice dovrà adottare. Deve essere informato del fatto che lui non è né l’unico interlocutore del 90 AIAF RIVISTA 3/2004 giudice, né quello privilegiato, dato che comunque i genitori vengono sempre sentiti e sono loro gli interlocutori privilegiati del giudice: ciò anche per evitare sia le eccessive responsabilizzazioni del minore che il delirio di potenza dello stesso. L’AFFIDAMENTO DEI FIGLI MINORI ella Sua relazione il Dott. De Filippis, dopo avere individuato la norma sostanziale in forza della quale si regola l’affidamento dei figli, e precisamente l’art.155 c.c. che recita: “ il giudice che pronuncia la separazione dichiara a quale dei coniugi i figli sono affidati ed adotta ogni altro provvedimento relativo alla prole, con esclusivo riferimento all’interesse morale e materiale della stessa”, chiarisce come la valutazione dell’interesse del minore sia riservato al “prudente apprezzamento del giudice” e che “nell’esercizio di tale attività, più che la preparazione giuridica del giudice e la sua capacità di astratta interpretazione della legge, avranno importanza le doti di comprensione umana e sensibilità psicologica ed il bagaglio di buon senso e di esperienza specifica”. Il giudice quindi, secondo questa relazione, dovrà considerare sia lo stato psicologico del minore che il pericolo per lo stesso di un prolungamento e di un aggravamento dello stato di conflittualità dei genitori. Le ulteriori norme a disposizione del giudice sono l’art.147 c.c. ed i contenuti della Convenzione di New York del 20 novembre 1989. È utile chiarire come, mentre l’art.155 c.c. parla di esclusivo interesse del minore, la convenzione sovrarichiamata parla di considerazione prevalente dell’interesse del minore; la relazione sceglie la interpretazione della norma nel senso della prevalenza e non esclusività dell’interesse del minore. Viene altresì sottolineato come l’art.155 c.c. faccia riferimento all’interesse morale e materiale del minore, mentre nell’art. 147 c.c. il riferimento alla morale scompare dopo la riforma del 1975. La motivazione di questa differente formulazione è dovuta alla considerazione del fatto che se si definisce la morale come l’insieme dei costumi, pensieri e comportamenti dell’uomo nei confronti di concetti astratti quali il bene ed il male, non si può che riconoscere come tutto ciò sia soggettivo e quindi inutilizzabile come criterio universale, a differenza di quanto avveniva in passato. L’interesse morale viene quindi ridefinito come complemento dell’interesse materiale e come soddisfacimento delle aspirazioni, della sfera affettiva, della dignità e del rispetto del minore come persona. Chiarito cosa si intende con il termine di interes- N SETTEMBRE - DICEMBRE 2004 LE PRASSI NELLE CAUSE DI SEPARAZIONE E DIVORZIO se del minore, l’individuazione del genitore che maggiormente sia in grado di soddisfare tutte le esigenze di cui si è appena detto, consentirà di definire quello dei due genitori più idoneo a svolgere la funzione di affidatario. La valutazione dell’idoneità di un genitore quale affidatario anziché l’altro deve coinvolgere la personalità ed i comportamenti di questi, evitando i pregiudizi e gli apriorismi. La c.d. facoltà di visita non è solamente un diritto, ma anche un dovere, pur se non coercibile. La relazione introduttiva ha messo in evidenza la necessità di garantire ai figli minori contatti periodici (incontri articolati per i fine settimana, per le vacanze estive, per le festività di fine anno, per i periodi feriali) in modo da garantire al minore il mantenimento dei rapporti con il genitore non affidatario, ampi, ma non certo tali da realizzare in fatto un affidamento alternato destabilizzante per il minore. Il diritto di visita non è assoluto e trova il proprio limite nel rispetto dell’interesse del minore, e conseguentemente detto diritto potrà essere sospeso, essere condizionato alla presenza di terze persone, essere impedita la frequenza di determinati luoghi, essere stabilita nel dettaglio la modalità di riaccompagno dei minori. Il gruppo di lavoro è partito dall’osservazione che l’accordo dei genitori incide in maniera determinante sulla valutazione che il giudice è chiamato a fare, dato che laddove non vi siano conflitti e contrapposizioni tra i genitori il giudice ratifica l’accordo senza operare alcuna verifica, il che è in stretta applicazione dell’art.155 comma 7° c.c. che precisa che il giudice pur potendo assumere provvedimenti difformi dalle richieste delle parti è tenuto a tenere in considerazione l’accordo tra le parti. Tale tendenza trova una eccezione laddove si proponga l’affidamento alternato, talvolta utilizzato nelle situazioni in cui uno dei genitori viva all’estero o sia marittimo, dato che dinanzi alla richiesta anche congiunta dei coniugi di un affidamento alternato il giudice effettua una valutazione volta ad accertare che il minore non sia danneggiato da questa alternanza nel senso di smarrire i punti di riferimento abituali con un suo conseguente disorientamento sia dal punto di vista affettivo che psicologico. Il gruppo si è soffermato essenzialmente ad esaminare la problematica posta dal c.d. affidamento congiunto, ed in tal senso ha sottolineato come sotto il profilo normativo, l’esercizio della potestà sulle questioni di maggiore rilevanza rimanga in capo ad entrambi i coniugi, a differenza di quel che accade ai genitori naturali nei confronti dei quali l’affidamento del figlio comporta che l’esercizio della potestà rimarrà in via esclusiva in capo al genitore affidatario, mentre all’altro non sarà riconosciuto altro che un potere di controllo. Le decisioni relative alla vita del figlio dovranno quindi essere assunte dopo un confronto tra i genitori su quelle che sono le migliori scelte da operare nell’interesse del figlio: la bigenitorialità è quindi un indubbio valore, ed è altresì l’obiettivo al quale tendere che potrà realizzarsi con l’affidamento congiunto. Il gruppo di lavoro ha altresì individuato i criteri che consentano di verificare quando e come sia possibile pervenire all’affido congiunto: a) la lontananza tra le abitazioni dei genitori non è stata considerata un ostacolo impeditivo; b) la mancanza di consenso in ordine all’affido congiunto non impedisce che si possa disporre il medesimo, alla condizione che i coniugi manifestino la disponibilità ad una collaborazione in tal senso, ad esempio il desiderio espresso da entrambe le parti ad intraprendere un percorso di mediazione familiare che le aiuti a superare diffidenze e problemi ed a trovare un diverso e nuovo equilibrio, ed in tal caso quindi l’affidamento congiunto si può porre come obiettivo futuro da raggiungere. c) Il vero ostacolo che impedisce di pervenire ad un affidamento congiunto è l’esistenza di una elevata conflittualità che si pone come insuperabile, in quanto l’affidamento congiunto imposto in situazioni di conflittualità, non è mai riuscito a risolvere i problemi, quanto semmai a peggiorarli. La discussione all’interno del gruppo non ha trovato una soluzione condivisa su una questione specifica attinente la regolamentazione o meno delle modalità di incontro tra i figli minori ed il genitore non convivente. A questo riguardo si andava da coloro che ritenevano opportuno determinare le modalità di incontro, come nell’affidamento monogenitoriale, ma a riguardo dovrà essere definita e chiarita, e nessuno è stato in grado di farlo, la reale differenza tra questo e l’affido congiunto, a quelli che ritenevano necessario non definire alcuna modalità di incontro. Quest’ultimi osservavano che ove i genitori non fossero neppure capaci di regolamentare secondo le esigenze di ciascuno e del momento le modalità con cui collaborare, non aveva davvero significato alcuno parlare di affido condiviso, e che sarebbe stato necessario parlare di affido monogenitoriale. Tutto il gruppo è al contrario stato d’accordo nel riconoscere che nel provvedimento che disponeva, o dava atto dell’accordo in ordine all’affido congiunto si dovesse prevedere ad individuare il domicilio del minore anche ai fini dell’assegnazione della casa coniugale, e dei provvedimenti economici. 91 LE PRASSI NELLE CAUSE DI SEPARAZIONE E DIVORZIO Per quel che concerne il problema del pernottamento dei figli con il genitore non affidatario o non convivente, in relazione al quale le risposte al questionario diffuso dall’ANM erano state di segno estremamente vario e differenziato (si andava da tribunali nei quali si consentiva il pernotto anche ai neonati, a tribunali nei quali non si consentiva il pernotto prima dei 14 anni), il gruppo ha ritenuto impossibile ipotizzare una età minima, ma che debba essere possibile prevedere il pernottamento tenendo conto degli impedimenti posti dall’età infante del minore, quali l’allattamento, la dipendenza dalla figura che si occupa del minore e soprattutto in considerazione delle abitudini della famiglia fino all’insorgenza della crisi coniugale. Fino a quando sia impossibile consentire il pernottamento il diritto di visita dovrà essere intensificato, e comunque i provvedimenti relativi al diritto di visita dovranno subire adeguamenti alle esigenze dei minori che si modificano con l’età degli stessi. L’ESECUZIONE DEI PROVVEDIMENTI RELATIVI AI MINORI esecuzione dei provvedimenti relativi ai minori nella relazione del Dott. De Filippis è considerato un problema di non scarsa importanza in quanto frequente e coinvolgente interessi di notevole impatto emotivo, che richiederebbe norme chiare ed efficaci. Il relatore ha altresì osservato come essendo “l’oggetto” dell’esecuzione una persona, questa può manifestare la propria volontà ed opporsi all’esecuzione stessa. Questo dato rende l’esecuzione assolutamente particolare rispetto ai problemi delle altre esecuzioni che non attengono i rapporti tra persone. Storicamente prima della l.74/87 la dottrina discuteva se l’esecuzione in questa materia dovesse avvenire ex art.605 c.p.c. (esecuzione forzata per consegna di beni mobili o rilascio di immobili) ovvero ex art. 612 c.p.c. (esecuzione forza di obblighi di fare) ed altri sostenevano si trattasse di una ulteriore tipologia che definiva l’obbligo di consegna dei minori come un pati. L’orientamento della Cassazione era nel senso di ritenere applicabile all’esecuzione in materia le norme di cui all’art. 612 c.p.c. in considerazione che ciò avrebbe risposto alla duplice esigenza di assicurare al procedimento le garanzie di un processo giurisdizionale da un lato e quella di essere sufficientemente duttile, per tenere conto di esigenze particolari dall’altro. La giurisprudenza di merito aveva individuato altri tipi di soluzioni quali ad esempio “l’esecuzione in via breve” da realizzarsi direttamente sotto il controllo del giudice che quasi sempre è sta- L’ 92 AIAF RIVISTA 3/2004 to individuato nel giudice tutelare ex art.337 c.c. Questa scelta prediletta dalla dottrina, e da una cospicua giurisprudenza di merito, viene criticata in conseguenza della confusione tra i compiti di esecuzione e di vigilanza che si crea in capo al giudice tutelare che ha solo funzione di vigilanza. Dopo la l.74/87 dal momento che essa prevede che, quando il giudizio è in corso, l’esecuzione di questi provvedimenti è compito del giudice di merito, sia nei giudizi di divorzio che in quelli di separazione ex art.23 della medesima norma, rimaneva da risolvere solo il caso in cui l’esecuzione dovesse avvenire a giudizio definito. Una giurisprudenza di merito consistente, ha ritenuto che in tal caso la competenza spetti al Giudice tutelare, anche se questa scelta si pone in contrasto con la lettera della norma che fa riferimento al G.T. solo in caso di applicazione della l.4 marzo 1983 n.184. La esecuzione, quindi a giudizio della relazione introduttiva dovrebbe avvenire “con procedura semplificata e possibilità di ricorrere all’ausilio del servizi sociali”. Il gruppo di lavoro ha sottolineato come le difficoltà indubbie che si incontrano sia in linea teorica che pratica nell’affrontare questa problematica sono date dal fatto che l’esecuzione si può realizzare solo con la collaborazione del minore medesimo e dalla verifica che la stessa esecuzione viene in realtà realizzata per soddisfare l’interesse del minore. Il giudice dell’esecuzione dovrà di conseguenza porsi la domanda se il provvedimento che si accinge ad eseguire sia un provvedimento che realizzi ancora compiutamente gli interessi ed i diritti di quel minore o meno. La prima distinzione che deve essere operata è tra procedimenti in corso e procedimenti definiti. In relazione ai primi il gruppo è stato concorde nel ritenere che giudice dell’esecuzione dei provvedimenti di affidamento e visita sia il giudice del merito, anche se si è avuto modo di apprendere che vi sono tribunali che ritengono che anche in pendenza di giudizio la competenza in materia di esecuzione spetti al G.T., prassi certo non condivisa da alcuno dei componenti del gruppo. La competenza del GT è stata individuata solo in quella della vigilanza al medesimo attribuita dall’art.337 c.c. e dall’art.6 comma 10° l.div. Nel corso del giudizio il GT non ha neppure un potere di vigilanza che gli viene attribuito dall’art.337 c.c., dal momento che in pendenza della causa tale potere compete al giudice del merito. I provvedimenti di separazione e divorzio debbono essere trasmessi a cura del tribunale che li emette al giudice tutelare perché questi possa esercitare la sua funzione di vigilanza, che consiste appunto nel verificare se i provvedimenti emessi dal tribunale vengono adempiuti; per potere fare SETTEMBRE - DICEMBRE 2004 LE PRASSI NELLE CAUSE DI SEPARAZIONE E DIVORZIO questo il GT non ha poteri decisori, bensì solo poteri interpretativi del provvedimento emesso dal tribunale, e di conseguenza il GT non potrà in nessun caso modificare quest’ultimo. Il gruppo ha altresì ritenuto utile procedere al chiarimento di cosa intendeva con modifica: laddove il provvedimento sia indeterminato (il padre vedrà ed avrà con sé il figlio un pomeriggio a settimana) il GT potrà integrare detto provvedimento disponendo che il giorno sia il mercoledì piuttosto che il venerdì, cioè se il compito è quello di specificare il provvedimento nel senso appena indicato, ben potrà provvedervi il GT, ogni altro tipo di intervento deve essere considerato modificativo del provvedimento e quindi inattuabile dal GT. La scelta di ritenere competente per l’esecuzione il giudice del merito in pendenza di giudizio si è fondata sugli artt.10 e 5 della l.div, in considerazione che il giudice del merito sarà più in grado di valutare l’effettiva rispondenza del proprio provvedimento alla situazione complessiva, tramite vari strumenti a disposizione quali la comparizione personale delle parti, l’ascolto del minore, la ctu, i servizi sociali, ed anche quindi di modificarlo al fine di renderlo rispondente agli interessi e diritti del minore e quindi, in quanto tale eseguibile. A ciò si aggiunga che tale scelta è rispondente sia al principio generale di eseguibilità degli obblighi aventi contenuto non patrimoniale a cura del giudice di merito, che alle previsioni normative di cui all’art.669 duodecies c.p.c. e 342 ter c.c. Qualora il procedimento si sia concluso e si ponga il problema dell’esecuzione dei provvedimenti relativi ai minori di natura non patrimoniale non si è ritenuto possibile continuare ad individuare nel giudice del merito il giudice competente per l’esecuzione e ciò in quanto il giudice del merito è una giudice collegiale, mentre il giudice dell’esecuzione è sempre un giudice monocratico, anche perché prevedere la collegialità nei casi di esecuzione comporterebbe notevoli problemi di organizzazione degli uffici con conseguente inefficacia dell’esecuzione che deve essere, specie in questo campo tempestiva. Il gruppo ha, con grande compattezza, ritenuto che non fosse possibile ritenere competente il giudice tutelare, sulla scorta dell’esperienza negativa raccolta dovunque a questi vengano affidati compiti di esecuzione in considerazione dell’abitudine di questo di andare oltre le competenze proprie e di incidere sul provvedimento che avrebbero dovuto applicare per modificarlo. Il giudice dell’esecuzione in questa materia sarà un giudice tabellarmente individuato per l’esecuzione dei provvedimenti di famiglia, in tal modo si garantirebbe la specializzazione in materia del giudice, dato di indubbia importanza, ed anche il rispetto delle norme di rito in tema di esecuzione. Le norme applicabili sono state individuate nell’art.612 c.p.c. anche per la possibilità del giudice dell’esecuzione di individuare la modalità di esecuzione più opportuna e migliore, mentre l’esecuzione nelle forme di cui all’art.605 c.p.c. e dell’esecuzione in via amministrativa sono state ritenute concordemente inapplicabili. Il gruppo ha tenuto a sottolineare ulteriormente che il giudice dell’esecuzione non può in alcun modo modificare il provvedimento che è chiamato ad eseguire e conseguentemente, ove lo stesso verifichi che il provvedimento così com’è sia ineseguibile, non potrà che sospendere l’esecuzione dichiarando l’impossibilità di darvi esecuzione ed in tal caso non rimarrà alla parte interessata che introdurre un giudizio ex art.710 c.p.c. ovvero ex art.9 l. div. Resta inteso che in tali casi, se ne ricorrano gli estremi il GT dovrà trasmettere informativa alla Procura della Repubblica presso il Tribunale ovvero alla Procura della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni per quanto di competenza degli stessi. Nel periodo che intercorre tra la decisione di primo grado e la scadenza del termine per interporre appello la competenza sarà comunque del giudice dell’esecuzione. Il gruppo ha infine sottolineato come una mancata e incoerente risposta del nostro sistema giudiziario in tema di esecuzione rischia di far perdere ogni credibilità all’intero sistema. Invero ogni volta in cui il sistema giustizia non è in grado di provvedere all’esecuzione di un provvedimento tempestivamente, le conseguenze sono devastanti: sia per chi vede i propri diritti riconosciuti in un provvedimento giudiziario rimanere inattuati, sia per chi non adempie ad un provvedimento, dell’autorità giudiziaria e si convince dell’ “eventualità” dei provvedimenti giudiziari con il conseguente rafforzamento della convinzione che l’adempimento può esserci o no senza particolari conseguenze, sia per i minori stessi che, quanto più a lungo rimane inattuato un provvedimento che li riguarda, tanto più a lungo rimangono “ostaggio” dei contendenti, senza voler poi tenere conto del fatto che una decisione definitiva eseguita ha una notevolissima capacità di garantire la tranquillità che discende dalla consapevolezza di aver superato la fase della contesa. * avvocato in Roma 93 LE PRASSI NELLE CAUSE DI SEPARAZIONE E DIVORZIO S ulla base dei dati raccolti tramite i questionari che ANM ha distribuito negli uffici giudiziari, e delle prassi rappresentate all’interno del gruppo da magistrati e avvocati di tribunali italiani di varia grandezza e diversa provenienza geografica, il gruppo di lavoro ha preso in esame alcune questioni di natura economica che si presentano nell’ambito dei giudizi di separazione e divorzio, relative all’assegno di mantenimento per il coniuge e per i figli e all’assegnazione della casa coniugale, alla ricerca di prassi omogenee. La discussione è stata introdotta dalla relazione della Dott.ssa Fiorella Buttiglione, consigliere della Corte d’Appello di Cagliari, e il gruppo di ASSEGNAZIONE DELLA CASA CONIUGALE E MANTENIMENTO DEL CONIUGE E DEI FIGLI MANUELA CECCHI* lavoro è stato coordinato dal Dott. Lorenzo Orilia, giudice del Tribunale di Napoli. L’ASSEGNAZIONE DELLA CASA CONIUGALE A CHI VA LA CASA CONIUGALE ? questione dell’assegnazione della casa Lti diafamiliare-coniugale costituisce uno dei punmaggior conflitto nella fase della separazione, anche in considerazione delle diversità di orientamento tra la Suprema Corte e alcuni giudici di merito, e ciò nonostante la nota pronuncia delle Sezioni Unite. LA NOZIONE DI CASA FAMILIARE econdo il disposto dell’art. 155 c.c. 4° co. Spreferenza, “l’abitazione nella casa familiare spetta, di e ove sia possibile, al coniuge cui vengono affidati i figli”. Pertanto, secondo la giurisprudenza di legittimità, con l’espressione casa familiare deve intendersi il “complesso di beni funzionalmente attrezzato per assicurare l’esistenza domestica della comunità familiare” 94 AIAF RIVISTA 3/2004 (Cass. 22 maggio 1993, n.5793) così che, l’assegnazione ad uno dei coniugi soddisfi “all’esigenza di conservare l’habitat domestico, inteso come centro degli affetti, degli interessi e delle consuetudini in cui si esprime e si articola la vita familiare” (Cass. 22 novembre 1995, n.12083) “nel precipuo interesse della prole minorenne o maggiorenne non autosufficiente” (Cass. 9 settembre 2002, n.13065). ASSEGNAZIONE DELLA CASA CONIUGALE essun dubbio quindi quando vi siano figli minori o maggiorenni non ancora autosufficienti. Nella fattispecie la norma è chiara: Art. 155 c.c. 4°co: “L’abitazione nella casa familiare spetta di preferenza,e ove sia possibile,al coniuge cui vengono affidati i figli.” Art.6 legge divorzio 6°co.: “L’abitazione nella casa familiare spetta di preferenza al genitore a cui vengono affidati i figli o con il quale i figli convivono oltre la maggiore età.” Pertanto, salvi diversi accordi tra le parti, non pregiudizievoli per la prole, la casa coniugale sia in comproprietà che in proprietà esclusiva, spetta al coniuge affidatario o convivente con il figlio minore o maggiorenne non economicamente indipendente. Ma cosa accade quando non vi sono figli o comunque questi abbiano raggiunto la loro autonomia economica? In caso di proprietà esclusiva da parte di uno dei coniugi dell’immobile, il bene ritornerà nella disponibilità dell’esclusivo proprietario. In caso di comproprietà tra i coniugi si sono delineate tre tesi: - Tesi maggioritaria: non assegnazione della casa coniugale - Tesi minoritaria: assegnazione della casa coniugale, in fase presidenziale confermata nella sentenza definitiva - Tesi intermedia: assegnazione provvisoria della casa coniugale in fase presidenziale, non confermata in sentenza definitiva Esaminiamo nello specifico le tre tesi. N TESI MAGGIORITARIA : NON ASSEGNAZIONE DELLA CASA CONIUGALE Corte di Cassazione, dopo varie iniziali Lle aoscillazioni, ha affermato a Sezioni Unite, con sentenze n. 2494/82 e 11297/95, il principio per cui la ratio dell’assegnazione è da ricercarsi esclusivamente nella tutela dell’interesse della prole. Solo questa presenza giustifica il potere del giudice in ordine all’assegnazione della casa coniugale e all’imposizione di sacrifici al titolare di diritti personali e/o reali sull’immobile. Al di fuori di tali ipotesi il giudice manca di potere: SETTEMBRE - DICEMBRE 2004 LE PRASSI NELLE CAUSE DI SEPARAZIONE E DIVORZIO - “In tema di separazione personale dei coniugi, la disposizione dell’art.155 quarto comma cod.civ.(nel testo novellato con la legge 19 maggio 1975 n.151), che attribuisce al giudice il potere di assegnare l’abitazione nella casa familiare al coniuge cui vengono affidati i figli, che non sia il titolare o l’esclusivo titolare del diritto di godimento (reale o personale) sull’immobile, ha carattere eccezionale ed è dettata nell’esclusivo interesse della prole minorenne, sicché essa non è applicabile, neppure in via di interpretazione estensiva, al coniuge non affidatario, ancorché avente diritto al mantenimento; né a quest’ultimo l’abitazione nella casa familiare può essere assegnata in forza dell’art.156 cod.civ., che non conferisce al giudice il potere di imporre al coniuge obbligato al mantenimento di adempiervi in forma diretta e non mediante prestazione pecuniaria” Cass. Civ. Sez. Unite, 23 aprile 1982, n. 2494. In seguito all’intervento legislativo del 1987 in tema di divorzio, la nuova formulazione dell’art. 6 l. n. 898/1970 fece di nuovo sorgere contrasti, ma di nuovo le Sezioni Unite della Suprema Corte confermarono il precedente orientamento: - “Anche nel vigore della legge 6 marzo 1987 n. 74, il cui art. 11 ha sostituito l’art. 6 della legge 1 dicembre 1970 n. 898, la disposizione del sesto comma di quest’ultima norma, in tema di assegnazione della casa coniugale, non attribuisce al giudice il potere di disporre l’assegnazione a favore del coniuge che non vanti alcun diritto - reale o personale - sull’immobile e che non sia affidatario della prole minorenne o convivente con figli maggiorenni non ancora provvisti, senza loro colpa, di sufficienti redditi propri” Cass. Civ. Sez. Unite, 28 ottobre 1995, n. 11297. Questa interpretazione è quella maggiormente seguita dai giudici di merito, che, condividendo l’orientamento delle Sezioni Unite, non mancano di rilevare che laddove vi fosse l’assegnazione della casa in assenza di figli o con figli economicamente indipendenti, il provvedimento assumerebbe una durata indeterminata, tendenzialmente pari alla vita del coniuge assegnatario, mettendo in essere nei confronti del coniuge non assegnatario “una sorta di esproprio senza indennizzo di dubbia legittimità costituzionale” (Cass. Civ. Sez. Unite, 28 ottobre 1995, n. 11297). Si sostiene inoltre che il godimento dell’abitazione coniugale non può essere sostitutivo dell’assegno quando sia possibile una quantificazione monetaria dello stesso: ne consegue che non si può ricorrere all’assegnazione della casa coniugale in comproprietà, al coniuge più debole, in sostituzione o integrazione dell’assegno di mantenimento. In mancanza di figli minori e maggiorenni non economicamente indipendenti, secondo questa tesi maggioritaria, l’assegnazione è dunque possibile solo in caso di accordo tra le parti, rientrando tale pattuizione nell’ambito dei diritti disponibili e, quindi nulla vieta,”che il coniuge nei cui confronti l’assegno venga richiesto dia il proprio assenso anche tacito, a che all’altro coniuge resti assegnata una casa in comproprietà, tenendosi conto del valore economico di tale assegnazione nella liquidazione dell’assegno” (Cass. Civ. Sez. I, 12 gennaio 2000, n. 266. Il contrasto tra i coniugi in ordine all’assegnazione della casa coniugale in comproprietà, deve infine essere risolto nell’ambito della procedura di cui all’ultimo comma dell’art.1105 c.c. relativo al godimento della cosa comune, instaurando un giudizio di divisione, una volta passata in giudicato la sentenza di separazione. TESI MINORITARIA : ASSEGNAZIONE DELLA CASA CONIUGALE IN FASE PRESIDENZIALE , CONFERMATA NELLA SENTENZA DEFINITIVA econdo questa tesi il Presidente, tenuto ad S“opportuni adottare i provvedimenti provvisori ed urgenti nell’interesse dei coniugi e della prole”, deve sempre provvedere in ordine all’assegnazione della casa coniugale, disponendone il godimento a favore dell’uno o dell’altro, così da permettere ai coniugi di vivere separati all’esito della udienza ex art. 708 c.p.c.. Una diversa soluzione, comporterebbe, per i fautori di questo orientamento, costringere le parti a promuovere un giudizio in altra sede, al di fuori del giudizio di separazione e divorzio, dove non vi è lo spazio per far emergere le problematiche del conflitto familiare, e trovare le conseguenti idonee soluzioni. Si rileva altresì che l’art.155 c.c. laddove recita “l’abitazione nella casa coniugale spetta di preferenza, e ove sia possibile, al coniuge cui vengono affidati i figli”, deve essere interpretato nel senso che anche in presenza di figli “è possibile assegnare all’altro coniuge…”, a maggior ragione quindi senza figli o con figli maggiorenni. I criteri di scelta per verificare chi debba essere il beneficiario sono, oltre a quello dello squilibrio economico, anche lo stato di salute, le condizioni personali ecc. in modo da individuare il coniuge che si trova in situazione di debolezza, non solo o non necessariamente di natura economica. Il termine finale del provvedimento di assegnazione, secondo questo orientamento minoritario, 95 LE PRASSI NELLE CAUSE DI SEPARAZIONE E DIVORZIO non sarebbe indeterminato, ma coinciderebbe con lo scioglimento della comunione, ritenendo possibile per le parti anche la richiesta della sentenza parziale di separazione o, con un provvedimento di modifica ex art.710 c.p.c., così da porre rimedio alla situazione di indeterminatezza censurata dalla Sezioni Unite. TESI INTERMEDIA : ASSEGNAZIONE PROVVISORIA DELLA CASA CONIUGALE IN FASE PRESIDENZIALE , NON CONFERMATA IN SENTENZA econdo questa interpretazione seguita da alcuSconiugale ni giudici di merito, l’assegnazione della casa in comproprietà, in assenza di prole minore o maggiore non economicamente indipendente, nella solo fase presidenziale, avrebbe il duplice scopo di allentare il conflitto in atto e evitare la duplicazione di procedimenti. Allontanando il coniuge “più forte”, il conflitto verrebbe risolto portando le parti a cercare una soluzione conciliativa nelle more tra l’udienza presidenziale e la sentenza definitiva. Anche questo orientamento trova conforto normativo nel terzo co. dell’art.708: “Se il coniuge convenuto non comparisce o la conciliazione non riesce, il presidente anche d’ufficio, dà con ordinanza i provvedimenti temporanei ed urgenti che reputa opportuni nell’interesse dei coniugi e della prole”. Ciò non appare in contrasto con le conclusioni elaborate dalle Sezioni Unite della Suprema Corte, poiché l’assegnazione come provvedimento provvisorio ed urgente disposto in fase presidenziale ex art.708 c.p.c. non verrebbe ribadito in sentenza e, la domanda sul punto avanzata da uno dei coniugi, non troverrebbe accoglimento. Il tribunale di Cagliari, nella ricerca di una soluzione alle ipotesi menzionate, ha elaborato due soluzioni adottate in recenti provvedimenti emessi nell’anno 2002, di cui si riportano le motivazioni: a) provvedimento a termine: “…sorge l’orientamento di questo tribunale a disporre, già con provvedimento presidenziale, una assegnazione meramente provvisoria e a termine (o condizionata), non potendo, comunque, essere lasciato senza soluzione il problema del conflitto tra coniugi con riguardo alla casa quando entrambi ancora vi abitano (onde non può condividersi la differente tesi che nessun provvedimento debba essere assunto al riguardo, e che quel problema debba essere risolto alla stregua delle norme sulla comunione: le quali, rispetto all’esigenza di risolvere il conflitto, sono di portata certamente insufficiente). Deve, in definitiva, nella specie, confermarsi il 96 AIAF RIVISTA 3/2004 provvedimento presidenziale che ha consentito alla…di disporre in via esclusiva della casa, stante la sua presumibile maggiore difficoltà di reperire un’altra adeguata soluzione abitativa in tempi brevi; ma con la precisazione che tale disponibilità cesserà nel momento in cui, nell’ambito di un procedimento di divisione giudiziale (salva divisione contrattuale), venga ordinata l’esecutività del progetto di divisione, o vengano decise con sentenza le contestazioni relative al progetto ovvero, in mancanza, nel momento della pronuncia delle ordinanze di vendita o di assegnazione.” b) ordinanza di rilascio Il tribunale di Cagliari sviluppando tale soluzione ritiene ammissibile l’emissione di un provvedimento provvisorio ed urgente “di rilascio”, diverso da quello di assegnazione proprio dell’art. 155 c.c. emesso in fase presidenziale e non confermato nella sentenza che definisce il giudizio. “…Una volta che tale provvedimento sia stato eseguito non si avrà a favore del beneficiario alcun diritto all’uso della cosa in via esclusiva, dovendo invece tale situazione trovare adeguata regolamentazione sulla base delle norme dettate in materia di proprietà o comproprietà dei beni. L’ordinanza di rilascio è da inquadrarsi nell’ambito dei provvedimenti che il presidente può assumere anche d’ufficio in base ad una valutazione di opportunità circa l’interesse dei coniugi e dei figli - art. 4 l.898/70 come modificato dall’art. 8 l. 74/1987- ed ha un effetto limitato al solo rilascio dell’immobile coniugale.” ASSEGNAZIONE DELLA CASA CONIUGALE DI PROPRIETÀ DI TERZI a) La casa coniugale in locazione na volta emesso il provvedimento di assegnazione della casa coniugale in locazione in fase presidenziale, a norma dell’art. 6 comma secondo l.392/78, si ha successione nel contratto di locazione e il coniuge beneficiario ha diritto ad ottenere il trasferimento a suo nome del contratto locativo. Occorre però che il contratto di locazione sia valido ed efficace tra le parti. La Suprema Corte ha puntualizzato che, la successione nel contratto ai sensi del sopra citato art. 6 “…..non modifica la natura del rapporto e la natura del diritto in base al quale il conduttore detiene la cosa locata, ma solo consente a soggetto diverso dall’originario conduttore di sostituirsi nella titolarità del contratto, con attribuzione dei relativi diritti ed assunzioni delle obbligazioni che ne derivano. Ne consegue che il locatore ha diritto alla scadenza ha riottenere la disponibilità dell’immobile, senza che tale suo diritto possa trova- U SETTEMBRE - DICEMBRE 2004 LE PRASSI NELLE CAUSE DI SEPARAZIONE E DIVORZIO re un limite nel provvedimento di assegnazione della casa familiare da parte del giudice” (Cass. 18 giugno 1993, n. 6804) b) La casa coniugale in comodato La casa coniugale può essere anche detenuta dai coniugi in virtù di un contratto di comodato. Capita molto frequentemente che i genitori concedano l’uso dell’alloggio di loro proprietà al figlio/a perché lo adibisca ad abitazione coniugale. In tali casi e, in presenza di figli minori o maggiorenni non autosufficienti, la casa coniugale concessa in comodato deve essere assegnata. Anche nell’ipotesi del comodato si realizza una successione ex lege nel contratto originario: “Qualora la casa familiare, concessa in comodato ai coniugi per il tempo della loro convivenza, in sede di separazione personale degli stessi venga assegnata, ai sensi dell’art. 155 4° co. c.c., al coniuge affidatario dei figli, questi succede nella titolarità del rapporto di comodato, in applicazione analogica dell’art. 6 comma 2, l.n392/1978” (Cass.17 luglio 1996, n.6458). Il provvedimento di assegnazione realizza la cessione ex lege del contratto in capo all’assegnatario, mentre il titolare di diritti sull’immobile potrà eventualmente agire in altre sedi qualora intenda richiedere la restituzione dell’immobile; infatti, l’assegnazione della casa coniugale opera tra le parti del giudizio di separazione e divorzio e non nei confronti dei titolari di preesistenti diritti sull’immobile. Il provvedimento di assegnazione non grava sul diritto del terzo proprietario dell’immobile ad ottenere il rilascio, poiché questi è estraneo alle vicende della separazione. “Il coniuge assegnatario è tenuto a subire ai sensi dell’art. 1810 c.c. gli effetti del recesso del comodante, non essendo opponibile ai terzi il provvedimento di assegnazione, attributivo non di un diritto reale, ma di un diritto atipico di godimento, senza che rilevi il decesso del comodante dopo l’esercizio del diritto di recesso “ (Cass.20 gennaio 1995, n. 929). ASSEGNAZIONE DELLA SECONDA CASA art. 155 c.c. e l’art. 6 l. n. 898/70 non si occupano di tale ipotesi, in quanto si riferiscono solo alla “casa familiare”, e non lasciando spazi ad assegnazioni di immobili con diverse destinazioni. L’ ASSEGNAZIONE DELLE PERTINENZE on potendo la definizione di casa familiare essere limitata ad un habitat ristretto, ma a qualcosa di complessivo con tutte le strutture che lo identificano e gli danno significato ex art. 818 c.c., l’assegnazione delle pertinenze segue quella del bene principale (casa coniugale). N Si può procedere alla non assegnazione solo nel caso in cui detto bene pertinenziale abbia di fatto perduto tale destinazione, per essere stato utilizzato durante il matrimonio per scopi diversi (ad esempio il garage usato come magazzino dell’attività lavorativa), la pertinenza sia autonoma dal punto di vista materiale dal resto dell’immobile coniugale assegnato, e infine, non sia pregiudizievole per il coniuge o per la prole. ASSEGNAZIONE A CIASCUNO DEI CONIUGI DI UNA PORZIONE DELL’ ABITAZIONE FAMILIARE olo nel caso di accordo dei coniugi e di comoda divisibilità dell’abitazione si può procedere all’assegnazione di porzioni divise dell’ex casa coniugale. S TRASFERIMENTI IMMOBILIARI IN SEDE DI SEPARAZIONE CONSENSUALE E DIVORZI CONGIUNTI ali tipi di trasferimenti, là dove vi sia accordo TSuprema tra le parti, sono sempre ammissibili. Anche la Corte ha ormai affermato la validità di tale tipo di clausole in sede di separazione consensuale e divorzio congiunto, sia che venga riconosciuta ad uno o ad entrambi i coniugi la esclusiva proprietà di singoli beni immobili (Cass. 11 novembre 1992, n. 12110), sia che venga realizzato il trasferimento di beni immobili o di quote di tali beni da un coniuge all’altro (Cass.27 novembre 1999, n. 3299), sia che venga previsto l’impegno di uno dei due coniugi a trasferire all’altro successivamente (Cass. 21 dicembre 1987, n. 9500). Detta volontà essendo inserita nel verbale di udienza redatto da un ausiliare del giudice a norma dell’art. 126 c.p.c. e, diretto a far fede di ciò che in esso è attestato, deve ritenersi assuma la forma di atto pubblico ai sensi e agli effetti di cui all’art. 2699 c.c., costituendo, una volta omologato, titolo idoneo per la trascrizione ai sensi e agli effetti di cui all’art.2657 c.c. Le divergenze che si riscontrano nella giurisprudenza di merito non sono relativamente alla possibilità o meno di effettuare tali trasferimenti, bensì in ordine ai controlli formali normativamente previsti. In buona sostanza il “giudice” si chiede se spetti a lui o no il controllo sulle dichiarazioni di conformità urbanistica sull’immobile previste dall’art. 40 L. 47/85, o se debba richiedere in caso di trasferimenti di terreni l’allegazione del certificato di destinazione urbanistica ai sensi dell’art. 18 della stessa legge 47/85, essendo tali adempimenti previsti a pena di nullità del trasferimento stesso. In merito, si registrano due orientamenti. Secondo una prima tesi, maggioritaria nel gruppo di lavoro, il giudice deve effettuare tale control97 LE PRASSI NELLE CAUSE DI SEPARAZIONE E DIVORZIO lo, poiché il trasferimento immobiliare assume validità laddove siano state effettuate dalle parti in udienza o, nel ricorso allegato al verbale di udienza, le necessarie menzioni urbanistiche previste a pena di nullità. Ancora il Tribunale di Cagliari, 2 ottobre 2000, sul punto ha sostenuto che:”Il tribunale, nel recepire la volontà dei coniugi di compiere un trasferimento immobiliare in seno al verbale di separazione consensuale, svolge funzione analoga a quella dell’ufficiale rogante; è perciò nullo il trasferimento se dal predetto verbale non risultino gli estremi della licenza edilizia o della concessione in sanatoria, o la dichiarazione sostitutiva di atto notorio attestante la preesistenza dell’opera al giorno 1 settembre 1967, o ancora se non sia allegata copia della domanda di sanatoria munita degli estremi di avvenuta presentazione, ai sensi dell’art 40 l.47/85”. Secondo altro orientamento, il giudice deve limitarsi a recepire la volontà delle parti in ordine al trasferimento immobiliare, non dovendo effettuare nessun controllo sulla validità dell’atto richiesto, non essendo il trasferimento immobiliare parte del contenuto necessario della separazione, e pertanto non spettando al Tribunale il vaglio sulla validità dell’atto. Si rileva tra l’altro che le parti in caso di mancanza delle necessarie dichiarazioni o della richiesta documentazione, possono ex art. 40 l. 47/85 procedere alla conferma dell’atto, purché l’immobile sia stato regolarmente edificato in base a licenza o concessione edilizia o condonato, se costruito anteriormente all’1.9.67. L’ASSEGNO DI MANTENIMENTO L’ASSEGNO DI MANTENIMENTO A FAVORE DEL CONIUGE remessa la natura diversa dell’assegno di P mantenimento in sede di separazione e di divorzio, nonché i criteri per la sua corresponsione (art.156 c.c.- art.5 comma 6 legge div.), nella fase presidenziale l’assegno viene fissato dal Presidente sulla base del tenore di vita dei coniugi così come questi può dedurlo dalle dichiarazioni dei redditi e dalle altre circostanze emerse in sede di comparizione personale dei coniugi. A tal fine, il gruppo di lavoro ha ritenuto, all’unanimità, l’esigenza di inserire nel decreto di fissazione dell’udienza presidenziale, richiamando gli artt. 4 e 23 legge sul divorzio, l’ordine alle parti di produzione delle dichiarazioni dei redditi degli ultimi tre anni. Quando il lasso di tempo tra la presentazione della dichiarazione dei redditi e l’udienza presidenziale è molto ampio, potrebbe essere utile l’ordine del Presidente alle parti di 98 AIAF RIVISTA 3/2004 produrre le buste paga degli ultimi mesi. Qualora queste non ottemperino all’ordine di produzione disposto nel decreto, il Presidente ne potrà trarre argomenti di prova ai sensi dell’art. 116 c.p.c. senza concedere ulteriori rinvii. Il gruppo di lavoro non ha ritenuto opportuno che il Presidente disponga in tale fase indagini tributarie e patrimoniali che ritarderebbero l’emissione dei provvedimenti provvisori ed urgenti. Tale indagine deve essere riservata al G.I.. L’attività istruttoria di accertamento dei redditi può essere svolta dal G.I. attraverso il libero interrogatorio delle parti, o una CTU con quesiti molto precisi e dettagliati, chiedendo chiarimenti su fatti circostanziati, ordinando la produzione di nuovi documenti quali estratti conti bancari personali o di diverso soggetto attraverso il quale si esercita l’attività lavorativa, conto titoli e depositi, contratti di lavoro, locazione, comodato, finanziamento, bilanci di società e quant’altro si ritiene utile, informazioni presso banche, enti di previdenza, uffici del registro, polizia tributaria. Quanto alla determinazione dell’entità dell’assegno, si è sottolineata l’esigenza che il giudice verifichi, laddove sia stata proposta una domanda di assegno di mantenimento da parte del coniuge, pur in presenza di autonome posizioni reddituali o di titolarità di patrimoni, se tra i coniugi vi sia una situazione di “sperequazione”, in modo da poter ristabilire il preesistente, documentato tenore di vita. Inoltre, nel determinare l’assegno il giudice dovrà tenere conto della nuova situazione abitativa del coniuge non assegnatario e degli oneri che a lui faranno carico. Si è altresì rilevata l’esigenza di: - distinguere l’ammontare della quota dell’assegno per il coniuge rispetto a quella dei figli; - far coincidere la decorrenza dell’assegno con la data della domanda e quindi con il deposito del ricorso; - prevedere che l’adeguamento ISTAT nella separazione operi per legge così come nel divorzio ai sensi dell’art.23 l. div. Per quanto concerne i matrimoni di breve durata, l’assegno deve essere valutato caso per caso, avendo riguardo alla sopra accennata natura dell’assegno in sede di separazione e di divorzio, nonché alle aspettative che le parti avevano in funzione del loro matrimonio. Nel caso di donne con capacità e in età lavorativa, sarà applicabile analogicamente la legge sul divorzio, valutando le scelte compiute per accordo anche tacito dagli ex coniugi nell’ottica del matrimonio, nonché il titolo di studio e l’attualità del mercato del lavoro. SETTEMBRE - DICEMBRE 2004 LE PRASSI NELLE CAUSE DI SEPARAZIONE E DIVORZIO L’assegno di mantenimento fissato dal Presidente può essere modificato dal G.I., per mutamenti delle condizioni, ma la sua modifica è possibile anche per una diversa valutazione dei fatti derivante da nuova produzione, allegazione e prospettazione della parte istante la modifica. L’assegno di mantenimento a favore dei figli Il coniuge non affidatario è tenuto a contribuire al mantenimento dei figli, corrispondendo un assegno all’altro coniuge, la cui misura è determinata dal Tribunale avuto riguardo alle condizioni economiche dell’obbligato, assicurando altresì, sia nella separazione che nel divorzio, ai figli il tenore di vita da questi goduto prima della separazione dei loro genitori. Ai sensi dell’art. 147 c.c., deve trattarsi di un assegno che permetta al coniuge affidatario di far fronte alle diverse esigenze dei figli, non riconducibili al mero obbligo alimentare e, che tengano invece conto dell’aspetto abitativo, scolastico, sportivo, sanitario, sociale, dell’opportuna predisposizione di una stabile organizzazione domestica. Per l’individuazione del contributo, il giusto parametro di riferimento è dato, in base al disposto dell’art. 148 c.c., non soltanto dalle condizioni patrimoniali dei coniugi (“rispettive sostanze”), ma anche dalla loro rispettiva capacità di lavoro, professionale e casalingo, valorizzando anche le accertate potenzialità reddituali. In conclusione, poiché i figli non devono essere privati delle utilità di cui beneficiano prima della separazione, anche se si deve tener conto dei maggiori oneri conseguenti alla stessa separazione, il gruppo di lavoro ha rilevato l’esigenza che il giudice accerti e valuti la situazione patrimoniale dei genitori attraverso un’indagine comparativa delle condizioni complessive di entrambi e delle esigenze di vita dei figli. Si tratta di un accertamento da effettuare anche d’ufficio (Cass. Civ. sez.I 22 novembre 2000, n. 15065), tenendo conto del compendio patrimoniale dato dai redditi di lavoro subordinato e/o autonomo, ma anche dal valore dei beni immobili, mobili, quote di partecipazione sociale, utili derivanti da investimenti di capitali, proventi di qualsiasi natura (Cass. Civ.sez.I 3 luglio 1999, n. 6872). L’assegno per il figlio deve essere sufficiente a soddisfare i suoi bisogni di vita e di crescita, in relazione all’età, ed anche in presenza di una situazione familiare particolarmente disagiata, tanto che il diritto al mantenimento del minore non deve dipendere dalla condizione di genitore occupato o disoccupato; il padre o la madre non affidatari disoccupati, ma con capacità lavorativa che incide sulla quantificazione dell’assegno, devono contribuire comunque al mantenimento del figlio (Cass. Sez. I, 19 marzo 2002, n. 3974). Pur tenendo conto del costo della vita nei diversi contesti territoriali, l’assegno non può essere inferiore a 150-200 euro. La misura del contributo può tenere conto di molte circostanze quali: esistenza di figli naturali nati da altra unione, disponibilità della casa coniugale, perdita del posto di lavoro di uno dei due genitori, esistenza o meno di aiuti economici di terzi. Quanto alle spese straordinarie, deve essere posto a carico del genitore non affidatario il contributo al versamento del 50% delle spese mediche e sanitarie non coperte dal SSNN e quelle scolastiche. Per le altre spese, in mancanza di accordo o di ragioni di urgenza, possono essere effettuate dal genitore affidatario, che le richiederà all’altro purché documentate e compatibili con la di lui posizione reddituale. La Suprema Corte ha stabilito che non sussiste obbligo a carico del genitore affidatario di concordare anticipatamente l’ammontare delle spese straordinarie, nei limiti in cui esse non implichino decisioni di maggiore interesse per il figlio (Cass.Civ.sez.I, 5 maggio 1999, n.4459). Quanto a particolari ipotesi di spesa, il gruppo di lavoro è giunto alla conclusione che possono essere così considerate: cure alternative: oneri ordinari se già utilizzate dai genitori prima della separazione; baby sitter: se l’utilizzo è collegato ad una necessità del figlio, quale ad esempio una malattia, costituisce evento straordinario; se si tratta di spesa corrente, perché il genitore affidatario vi deve ricorrere dovendo recarsi al lavoro, costituisce elemento da valutarsi nella determinazione della misura dell’assegno, così come l’asilo e la scuola materna; ticket per spese farmaceutiche minute: spese ordinarie ticket per spese mediche importanti: spese straordinarie lezioni private di sostegno e corsi estivi di studio: spese straordinarie mensa scolastica: spesa ordinaria Si deve inoltre tenere presente che ai sensi dell’art. 211 l. 151/75 gli assegni familiari, che non fanno parte del contributo economico al mantenimento, spettano al coniuge affidatario; si ritiene utile disporre espressamente nel provvedimento sull’assegno di mantenimento, l’obbligo per il genitore obbligato, di versare in aggiunta anche gli assegni familiari, o precisare che nell’importo globale dell’assegno si è tenuto conto anche di questi. La decorrenza di tali assegni coincide con 99 LE PRASSI NELLE CAUSE DI SEPARAZIONE E DIVORZIO quella dell’assegno di mantenimento, e, in caso di recupero coatto per mancata erogazione, il termine di prescrizione è quello decennale, trattandosi di somme indebitamente riscosse da chi non ne era titolare. CESSAZIONE DELL’ OBBLIGO DI MANTENIMENTO Poiché l’obbligo di mantenimento cessa non con il raggiungimento della maggiore età, ma quando il figlio diventa autonomo dal punto di vista economico, potendosi mantenere da solo senza il contributo del genitore con un lavoro conforme al proprio status sociale, occorre valutare la diligenza del figlio negli studi e nella ricerca di un lavoro, poiché in caso di negligenza il contributo non trova giustificazione. I lavori che i figli reperiscono devono avere le caratteriste della stabilità; borse di studio o lavori saltuari non incidono sul diritto alla corresponsione. I contratti a termine, pur non assicurando entrate idonee a far ritenere una persona “indipendente economicamente”, possono risultare sufficienti a soddisfare le esigenze di mantenimento e di svago del giovane; pertanto l’assegno corrisposto dal genitore non affidatario può convertirsi in altre forme di utilità quali la disponibilità della casa coniugale o l’assunzione diretta di alcuni oneri. L’obbligo di mantenimento da parte del genitore non affidatario si ha per dodici mesi, poiché la suddivisione in mesi è solo una facoltà per il giudice. Tale regola può essere derogata solo se il figlio si trasferisce per lunghi periodi presso il genitore non affidatario. MEZZI DI GARANZIA PER IL PAGAMENTO DELL’ ASSEGNO L’art.156 c.c. stabilisce che il giudice della separazione può imporre al coniuge di prestare idonea garanzia reale o personale se esiste il pericolo che egli possa sottrarsi all’adempimento degli obblighi previsti dai precedenti commi e dall’art.155 c.c.. Il comma 5 riconosce la sentenza quale titolo per l’iscrizione ipotecaria ex art. 2818 c.c., mentre il comma 6 prevede che il giudice, su richiesta dell’avente diritto, in caso di inadempimento, può disporre il sequestro di parte dei beni del coniuge obbligato e ordinare ai terzi, tenuti a corrispondere anche periodicamente somme di danaro all’obbligato, che una parte di esse venga versata direttamente agli aventi diritto. È ormai legittimo applicare tutti gli istituti speciali previsti per la tutela dell’assegno di mantenimento del coniuge anche per la prole, nonostante che il legislatore non abbia indicato 100 AIAF RIVISTA 3/2004 espressamente l’applicazione di questi strumenti nell’ambito della tutela dei minori. Titolare dell’azione di recupero è il genitore affidatario, che promuove l’azione nell’interesse della prole. (Cass. Civ. Sez. I, 4 dicembre 1996, n. 10813; Cass. Civ. Sez. I, 14 febbraio 1990, n. 1095; Cass. Civ. Sez. I, 23 dicembre 1992, n. 13630; Cass. Civ. Sez. I, 2 dicembre 1998, n. 12204). * avvocato in Firenze SETTEMBRE - DICEMBRE 2004 LE PRASSI NELLE CAUSE DI SEPARAZIONE E DIVORZIO L’ AIAF LOMBARDIA ha promosso il 15 ottobre 2004 un incontro di studio, riservato ai propri associati (cui hanno partecipato 115 avvocati dei Fori di Milano, Bergamo, Brescia, Busto Arsizio, Como, Cremona, Lecco, Mantova, Monza, Pavia, Varese) per un confronto sulle prassi nei giudizi di separazione e divorzio seguite dai tribunali della Lombardia (distretti delle Corti di Appello di Milano e Brescia). Sono stati costituiti tre gruppi: 1. Questioni ordinamentali, organizzative e processuali inerenti i giudizi di separazione e divorzio 2. Le questioni economiche nei giudizi di separazione e divorzio 3. L’affidamento e l’ascolto dei minori È emerso, come già in sede nazionale negli incontri di studio promossi dal CSM, un difforme orientamento tra i diversi tribunali, sia sulle questioni di natura processuale che di merito, che fa ritenere necessario, nell’interesse dei cittadini, pervenire al più presto a soluzioni più omogenee, nel rispetto dei principi costituzionali. Si riportano le riflessioni e le conclusioni cui è pervenuto ogni gruppo. 1. QUESTIONI ORDINAMENTALI, ORGANIZZATIVE E PROCESSUALI INERENTI I GIUDIZI DI SEPARAZIONE E DIVORZIO GRUPPO DI LAVORO COORDINATO DA MILENA PINI (MILANO) – DONATA PIANTANIDA (MILANO) – MARISA BEDOTTI (MANTOVA) e principali questioni esaminate hanno riguardato: 1. l’esistenza di sezioni specializzate presso i vari Tribunali lombardi; 2. se l’udienza presidenziale sia trattata dal Presidente del Tribunale ovvero da altro giudice su delega del Presidente; 3. i tempi di fissazione dell’udienza presidenziale, a fare tempo dal deposito del ricorso; 4. se il Giudice Istruttore sia Giudice diverso dal Presidente; 5. i termini e le eventuali decadenze per la costituzione del convenuto; 6. il ruolo svolto dal P.M.; 7. i tempi per la pronuncia di sentenza parziale di separazione e di divorzio; 8. la posizione dei Tribunali rispetto al cumulo delle domande. L Rispetto ai temi trattati è stato possibile individuare prassi molto diverse nei vari Tribunali lombardi, ma è stato altresì possibile individuare prassi largamente condivise dai partecipanti. Per quanto attiene la trattazione dei giudizi da parte di giudici specializzati, è emerso che nessun Tribunale lombardo, con l’eccezione di Milano, possiede una Sezione specializzata e tuttavia in molti Uffici la trattazione dei giudizi di separazione e di divorzio è affidata ad alcuni magistrati, sempre gli stessi, che, conseguentemente, garantiscono omogeneità rispetto agli aspetti processuali ed alla scansione temporale del giudizio. E tuttavia se la trattazione dei giudizi di separazione e di divorzio da parte degli stessi giudici ha quale conseguenza l’omogeneità del rito, non sempre l’esistenza, di fatto, di sezioni ovvero di giudici “specializzati” garantisce omogeneità nelle decisioni relative ai provvedimenti presi- LE PRASSI NEI GIUDIZI DI SEPARAZIONE E DIVORZIO AVANTI I TRIBUNALI LOMBARDI denziali. I tempi di fissazione dell’udienza presidenziale variano dai 45 giorni (T. Brescia) ai tre mesi (T.Lecco) o più (T.Milano, dove i tempi delle presidenziali nei giudizi contenziosi sono anche di 6-7 mesi). I partecipanti al gruppo hanno ritenuto condivisibile ed auspicabile che i giudizi di separazione e di divorzio siano trattati da Giudici specializzati che garantiscano non soltanto omogeneità nel rito, ma anche nei provvedimenti, soprattutto di contenuto economico. Rispetto all’udienza presidenziale si sono auspicati tempi rapidi di fissazione, con priorità per le udienze presidenziali nei procedimenti contenziosi. Analogamente si è auspicato che il Giudice Istruttore sia magistrato diverso rispetto al Presidente, non diversamente da quanto accade nella maggior parte dei Tribunali lombardi, con l’eccezione di Milano. Quanto alla procedura, e alla costituzione del convenuto, nei giudizi di separazione e di divorzio, si sono evidenziati due diversi orientamenti: il c.d. “rito ambrosiano” seguito dal Tribunale di CONCLUSIONI DEI GRUPPI DI LAVORO DELL’AIAF LOMBARDIA 101 LE PRASSI NELLE CAUSE DI SEPARAZIONE E DIVORZIO Milano e una incredibile varietà di interpretazioni delle norme procedurali da parte degli altri Tribunali lombardi. Il Tribunale di Milano, come noto, considera l’udienza presidenziale come udienza ai sensi dell’art. 180 c.p.c. e l’udienza avanti al Giudice Istruttore come udienza ai sensi dell’art. 183 c.p.c., e ciò sia in assenza di indicazioni diverse sia tenuto conto del rinvio operato dall’art. 23 della L. 898/70 come modificata dalla L. 74/87. Da qui i termini di costituzione, dieci giorni prima dell’udienza presidenziale, previsti per il convenuto e le relative decadenze. Altri Uffici ritengono la sussistenza di due distinte fasi, riconoscendo all’udienza presidenziale la finalità della conciliazione dei coniugi, e fanno coincidere l’inizio del giudizio con l’udienza avanti al Giudice Istruttore, considerata ai sensi dell’art. 180 c.p.c.. Nell’ambito di tale ultima interpretazione la costituzione del convenuto in sede presidenziale non è un onere, né è prevista decadenza alcuna in difetto. Il convenuto può costituirsi 20 giorni prima dell’udienza avanti al Giudice Istruttore (Tribunale di Brescia e di Busto Arsizio), oppure direttamente all’udienza avanti al Giudice Istruttore (Tribunale di Cremona e di Mantova), mentre presso il Tribunale di Bergamo nel decreto in calce al ricorso viene formulato al convenuto l’invito a costituirsi 10 giorni prima dell’udienza avanti al Giudice Istruttore, che verrà fissata dal Presidente all’esito dell’udienza presidenziale. Ed ancora, il Tribunale di Lecco, pur invitando il convenuto a costituirsi 10 giorni prima dell’udienza presidenziale, non prevede decadenza alcuna in difetto, decadenze che si verificheranno soltanto avanti al Giudice Istruttore. Stante questa varietà di prassi, che crea confusione ed incertezza del diritto, i partecipanti hanno convenuto sull’opportunità di un unico rito che preveda la formulazione di tutte le domande da parte del ricorrente nel ricorso introduttivo del giudizio e la predisposizione da parte del convenuto delle proprie difese 10 giorni prima dell’udienza presidenziale. È rimasta aperta la questione delle decadenze, in quanto da parte di alcuni si è ravvisato quale termine per valutare le decadenze relative alla costituzione del convenuto, l’udienza presidenziale, altri la prima udienza avanti al Giudice Istruttore. Nel caso di costituzione avanti il Giudice Istruttore, è peraltro emersa la necessità che il ricorrente possa integrare le proprie domande nello stesso termine assegnato al convenuto per la sua costituzione, poiché in caso contrario, la posizione del ricorrente risulterebbe penalizzata: a quest’ultimo infatti si richiede di formulare tutte le 102 AIAF RIVISTA 3/2004 proprie domande prima dell’udienza presidenziale, mentre il convenuto può formulare le proprie domande dopo tale udienza, utilizzando quanto emerso sino a quel momento. Quanto al ruolo del P.M., da un lato se ne è constatata l’assenza di fatto, nei giudizi di cui si tratta, e dall’altro si è auspicata una partecipazione analoga a quella del P.G., attraverso pareri motivati da depositare prima delle conclusioni formulate dalle parti, con particolare riguardo alle decisioni da assumere relativamente ai figli minori. Per quanto attiene alle pronunce non definitive, in alcuni Tribunali dette pronunce possono essere richieste alla prima udienza avanti al G.I., in altri sempre avanti al G. I. ma in sede di udienza ai sensi dell’art. 184 c.p.c.. La diversità di prassi determina ovviamente anche una macroscopica differenza nei tempi: avanti al Tribunale di Lecco per esempio, la pronuncia parziale di divorzio può essere ottenuta dopo 4 mesi circa dal deposito del ricorso, a Milano, invece, dopo circa due anni. I partecipanti al gruppo hanno ovviamente auspicato che la remissione al Collegio per ottenere una pronuncia non definitiva possa avvenire già in sede presidenziale, con tempi più brevi possibili, in considerazione della finalità di dette pronunce. Infine è stato rilevato come nella maggior parte dei Tribunali lombardi, con l’eccezione del Tribunale di Milano, non sia ammesso il cumulo delle domande - quali ad esempio l’accertamento delle somme dovute da un coniuge all’altro a titolo di scioglimento della comunione. E tuttavia proprio nell’interesse degli utenti è stata sottolineata l’opportunità di tale cumulo, sempre nel rispetto delle norme attualmente in vigore. 2. LE QUESTIONI ECONOMICHE NEI GIUDIZI DI SEPARAZIONE E DIVORZIO GRUPPO DI LAVORO COORDINATO DA MIRELLA QUATTRONE (COMO) E LUCREZIA MOLLICA (MILANO) ASSEGNO DI MANTENIMENTO i auspica che venga inserito nel decreto presidenziale di fissazione dell’udienza di comparizione dei coniugi l’ordine di produzione della dichiarazione dei redditi degli ultimi tre anni (come è già prassi del Tribunale di Como). Dall’esame delle prassi vigenti presso i Tribunali lombardi emerge che è generalizzata l’attenzione ai redditi dei coniugi e quindi il riconoscimento di un assegno al coniuge economicamente più debole. L’assegno è riconosciuto al coniuge anche in caso di breve durata del matrimonio, attività lavorativa a tempo pieno o part-time, essendo commisurato con il pregresso tenore di vita e il reddito dell’altro coniuge. S SETTEMBRE - DICEMBRE 2004 LE PRASSI NELLE CAUSE DI SEPARAZIONE E DIVORZIO CRITERI DI QUANTIFICAZIONE ASSEGNO PER I FIGLI E PER LA MOGLIE È emersa come buona prassi quella di: a) determinare un contributo a carico anche del coniuge che si dichiara disoccupato, a favore dei figli, per una somma non inferiore ad euro 150,00 per figlio (con aumento proporzionale per ogni figlio in più). b) non creare criteri fissi predeterminati per quantificare gli assegni, dovendosi valutare nello specifico caso i redditi dei coniugi, facendo distinzione tra i redditi da lavoro dipendente, per i quali è sufficiente la documentazione fiscale, e redditi da lavoro autonomo per i quali è spesso necessaria una più approfondita indagine al fine della determinazione effettiva del reddito. VERSAMENTO DIRETTO DELL’ASSEGNO DA PARTE DEL TERZO, NEL GIUDIZIO DI SEPARAZIONE S tito genericamente al datore di lavoro dell’ob- indagini presso la Banca d’Italia - Anagrafe dei conti correnti, non venga considerata richiesta generica ed esplorativa ma diventi mezzo per l’accertamento del patrimonio e dei redditi dell’obbligato. ASSEGNAZIONE CASA CONIUGALE QUANDO NON CI SONO FIGLI, O SONO MAGGIORENNI E AUTONOMI È coniuge più debole anche in tali casi, almemersa la necessità dell’assegnazione al no in via provvisoria in sede presidenziale, al fine di evitare che i coniugi, “autorizzati a vivere separati”, si ritrovino nella stessa casa con tutti i problemi che conseguono (possessorie, cause divisionali, etc). ASSEGNAZIONE CASA IN COMODATO i deve provvedere all’assegnazione della casa coniugale anche se è stata concessa in comodato, secondo il recente orientamento della Cassazione (6.7.2004 n.12309). S arebbe opportuno che l’ordine venisse impar- bligato, evitando così che in caso di licenziamento e di nuovo datore di lavoro si debba nuovamente ottenere l’ordine (con perdita di tempo e di mensilità a favore dell’altro coniuge). SUDDIVISIONE SPESE STRAORDINARIE PER I FIGLI i è concluso per la necessità di togliere le dizioni “straordinarie e da concordare” in quanto ingenerano confusione e conflittualità. Si propone come soluzione la suddivisione in proporzione ai redditi dei genitori, e quindi non sempre al 50%, ma anche eventualmente in proporzioni diverse, delle spese scolastiche e mediche, solo da documentare, oltre spese ludiche e sportive da concordare. Solo in caso di grave conflittualità è stata considerata come risolutiva la proposta di inglobare nell’assegno mensile una quota per le spese scolastiche e mediche. S ACCERTAMENTI GUARDIA DI FINANZA NELLE SEPARAZIONI E DIVORZI L efficace. o strumento è abbastanza utilizzato ma poco Si ritiene utile che sia l’avvocato a fornire al Giudice elementi indiziari e dati di riferimento (studi di settore - redditometro), e che il Giudice sottoponga alla Polizia Tributaria un quesito preciso che eviti la produzione di documentazione facilmente accessibile per la stessa parte (visure Camerali, Conservatorie, P.R.A.), e comporti un’approfondita indagine sulla situazione reddituale e sul tenore di vita del soggetto. Si è sottolineata la necessità di intervenire affinché le 3. L’AFFIDAMENTO E L’ASCOLTO DEI MINORI GRUPPO COORDINATO DA FRANCA ALESSIO (LECCO) E CINZIA CALABRESE (MILANO) L’AFFIDAMENTO DEI FIGLI ella stragrande maggioranza dei casi, l’affidamento congiunto dei figli ad entrambi i genitori viene disposto solo sull’accordo delle parti o a seguito di perizia psicologica, che lo suggerisca. In alcuni Tribunali è prassi disporre l’affidamento congiunto solo per i figli adolescenti, ma in ogni caso tale disposizione non viene mai adottata in sede di provvedimenti presidenziali, ma solo dal giudice istruttore. Raramente viene disposta una perizia in sede presidenziale, fatta eccezione per il Tribunale di Lecco. In altri Tribunali, di “confine” (Varese, Como), l’affidamento congiunto viene utilizzato quando la madre è extracomunitaria e si teme che possa espatriare con il figlio. La migliore prassi è risultata quella di non imporre l’affidamento congiunto, ma di tener conto della libera decisione dei coniugi; si è anche evidenziato come il ruolo degli avvocati sia decisivo nel suggerire, ove possibile, ai coniugi di richiedere l’affidamento congiunto o a uno dei due di acconsentire alla richiesta in tal senso formulata dall’altro, perché spesso tale soluzione evita il protrarsi di un dannoso contenzioso. Non risulta in nessun caso opportuno che l’affidamento congiunto venga imposto dal giudice, per obbligare i genitori a collaborare nella cura e nell’educazione del figlio; sono emerse critiche e controindicazioni all’affidamento congiunto “terapeutico”. N 103 LE PRASSI NELLE CAUSE DI SEPARAZIONE E DIVORZIO Per quanto riguarda l’affidamento alternato, è risultata essere una prassi assai rara; per lo più si tratta di casi di affidamento congiunto, con particolari modalità di rapporto con il genitore non convivente, anche se ci sono casi in cui i genitori si alternano nella ex casa coniugale per accudire i figli con cadenza settimanale. Quanto all’affidamento ai servizi sociali, si tratta di una prassi adottata esclusivamente dal Tribunale di Milano e non condivisibile, perché non prevista dalla legge, né in tema di separazione, né in tema di divorzio, dove si parla esclusivamente di affidamento all’uno o all’altro genitore o di affidamento extra familiare. Di fatto si tratta di un provvedimento limitativo della potestà che può essere assunto solo dal Tribunale per i Minorenni. È altresì emersa l’esigenza che l’avvocato e il giudice suggeriscano a genitori in conflitto l’opportunità di rivolgersi a un mediatore o a un centro di mediazione, purché si tratti di un suggerimento e non di una imposizione, che contrasterebbe con i principi della mediazione. Si è infine escluso che nel caso di nomina di un CTU, psicologo, possa allo stesso essere conferito un incarico di mediatore, in quanto i ruoli del consulente psicologo e del mediatore sono nettamente diversi. DIRITTO DI VISITA er quanto riguarda il pernottamento del figlio presso il genitore non affidatario, è emerso che, per prassi ormai consolidata, si tende a non predefinire l’età in cui il figlio può dormire presso il genitore non affidatario, ed è opportuno favorire, laddove possibile, il pernottamento del figlio anche in tenerissima età. Sull’esecuzione dei provvedimenti relativi all’affidamento e alle modalità di visita, si ritiene che in mancanza del giudice di merito, cui spetta la competenza in pendenza di giudizio, sia opportuno rivolgersi al Giudice Tutelare, cui spetta la vigilanza sull’esecuzione delle condizioni della separazione e del divorzio relative ai minori, e che potrà nominare un CTU o chiedere l’intervento dei servizi sociali per l’accertamento della situazione del minore e dei rapporti con i genitori. P ASCOLTO DEL MINORE nche a tale proposito si è riproposta la necessità di istituire le sezioni specializzate presso ogni tribunale, con giudici dotati di competenza e maturità tali da poter svolgere questo delicato compito. Si è concluso che il minore di almeno 14 anni debba essere ascoltato il più presto possibile e quindi dal Presidente prima dell’adozione dei provvedimenti temporanei e urgenti, mentre il A 104 AIAF RIVISTA 3/2004 minore di 14 anni dovrebbe essere ascoltato dal Presidente con l’aiuto di uno psicologo, solo al fine di informare il minore e sentire il suo parere, senza escludere la possibilità di richiedere una consulenza tecnica. Comunque l’ascolto del minore deve rappresentare solo uno degli elementi del giudizio e non certo l’unico criterio di giudizio, nella consapevolezza che spesso quello che il minore esprime non è il frutto di una sua libera scelta, ma può essere determinato dal desiderio di difendere il genitore che gli appare il più colpito dalla separazione, dandogli in premio la sua stessa persona, oppure sia il frutto di un condizionamento che, in vari modi, può essere determinato da uno dei genitori, ovvero una scelta di comodo per contrastare il genitore più presente e vigile, che gli impone maggiori limitazioni. Il Presidente, sia che senta direttamente il minore, sia che si avvalga di un ausiliario, lo farà in assenza dei genitori e degli avvocati, anche se in ogni caso l’audizione dovrà essere preceduta da un colloquio con i genitori, assistiti dai rispettivi avvocati e dovrà essere possibilmente video registrata. In ogni caso l’ascolto del minore non dovrebbe mai essere un colloquio clinico, né un esame psicologico, ma solo l’occasione in cui un soggetto esprime, davanti all’autorità che deve decidere il suo futuro, le proprie aspirazioni, esercitando quindi i diritti di personalità, che gli competono. SETTEMBRE - DICEMBRE 2004 LE PRASSI NELLE CAUSE DI SEPARAZIONE E DIVORZIO DOCUMENTO APPROVATO DAL CONSIGLIO DIRETTIVO DELL’AIAF LOMBARDIA SULLE PRASSI DA SEGUIRE AVANTI IL TRIBUNALE PER I MINORENNI In occasione dell’incontro con l’Associazione Nazionale Magistrati Minorili – sez. Milano e il Presidente del Tribunale per i Minorenni di Milano, Dott.ssa Livia Pomodoro L’AIAF LOMBARDIA ferme restando le note posizioni dell’AIAF nazionale a favore dell’istituzione di sezioni specializzate in materia di famiglia e minori, quanto meno in materia civile, presso il tribunale ordinario, al quale trasferire le competenze oggi attribuite al tribunale per i minorenni, ritenendo comunque necessario nell’immediato, in attesa del varo delle modifiche legislative quanto alla competenza, applicare ai giudizi minorili i principi dell’equo processo, garantiti dall’art. 111 Cost. novell., e ribadendo quindi le posizioni e richieste già avanzate da tempo, chiede che vengano applicate in tutti i procedimenti civili avanti il tribunale per i minorenni le seguenti regole minime, compatibili con la natura della giurisdizione civile minorile, idonee a garantire il principio del contraddittorio e il diritto di difesa delle persone coinvolte in giudizio: 1. A seguito del deposito in cancelleria di un ricorso, il Giudice dispone immediatamente, con decreto steso in calce, la comparizione delle parti ordinando alla Cancelleria di dare avviso alle medesime con congruo anticipo della convocazione, del tipo di procedura aperta, della possibilità di farsi assistere da un difensore, di prendere visione degli atti ed estrarne copia nonché di presentare memorie o documenti. Nel caso di iniziativa esercitata dal Pubblico Ministero o d’iniziativa di ufficio nei casi previsti, il decreto è notificato dalla Cancelleria insieme a copia dell’atto con cui l’iniziativa è stata esercitata e contiene gli avvisi sopra indicati. 2. All’udienza di comparizione il Giudice ascolta le parti, acquisisce le eventuali comparse e memorie, dispone in ordine alle istanze. 3. Nell’ambito dei procedimenti, laddove vi sia una richiesta delle parti, è data preferenza alla nomina di CTU in alternativa all’incarico ai servizi sociali 4. Laddove vengano incaricati i servizi sociali, è consentito agli stessi di mantenere una comunicazione con i difensori delle parti, laddove costituite, salvi i casi gravi in cui si renda necessario il segreto d’ufficio a tutela del minore 5. Al momento del deposito della relazione dei servizi sociali, ne è data comunicazione ai genitori o ai loro difesori, se costituiti, con avviso che può essere estratta copia e presentata memoria, salvi i casi gravi in cui si renda necessario il segreto d’ufficio a tutela del minore. Le parti e i loro difensori hanno sempre facoltà di esaminare gli atti del procedimento e di estrarne copia. Sono fatte salve le limitazioni previste per legge; in tal caso gli atti coperti da segreto sono inseriti all’interno del fascicolo in busta chiusa con l’indicazione del tipo di atto. 6. All’esito dell’acquisizione di tutte informazioni e acquisito il parere obbligatorio del Pubblico Ministero, il Giudice dà avviso alle parti, o se costituite ai loro difensori, del termine entro il quale possono depositare memorie e note conclusive. Le parti possono sempre chiedere la discussione orale e il difensore presenzia in Camera di Consiglio al momento della discussione. La decisione viene comunicata alle parti, o se costituite ai loro difensori, con l’indicazione delle modalità e del termine per presentare eventuale reclamo. 7. Nei procedimenti aventi ad oggetto l’affidamento di figli naturali, laddove i genitori raggiungano un accordo anche in merito alle questioni di natura economica, è inserita nel verbale di udienza, la precisazione che tale accordo non ha efficacia esecutiva, e che dovrà essere adito il tribunale ordinario ai fini dell’esecutività dell’accordo di natura economica. 8. Nei procedimenti aventi ad oggetto l’affidamento di figli naturali, e la sospensione e decadenza della potestà, laddove si ritenga necessario l’affidamento del minore al Comune, vengano esplicitati nel provvedimento del tribunale per i minorenni: - i poteri dell’affidatario - i compiti dei servizi sociali - i compiti e poteri del collocatario, genitore o terzo - la regolamentazione del diritto di visita al minore da parte di uno o di entrambi i genitori, sia nel caso in cui sia concordata tra i genitori, sia nel caso in cui sia ritenuta dai servizi quella più opportuna al caso 9. Nel decreto che definisce il giudizio sia esplicitamente indicato che trattasi di provvedimento definitivo; diversamente indicare che trattasi di provvedimento provvisorio Milano, 25 novembre 2004 Consiglio Direttivo dell’AIAF LOMBARDIA 105 LE PRASSI NELLE CAUSE DI SEPARAZIONE E DIVORZIO N ei giorni 5 e 6 novembre 2004 si è tenuto a Verona un convegno nazionale sul tema “Seperazioni difficili: professionalità a confronto nel lavoro con genitori e figli” in esito al quale è stato sottoscritto il “PROTOCOLLO D’INTESA” che viene di seguito riprodotto che rappresenta certamente un rilevante passo avanti nei rapporti fra Magistratura, Servizi Sociali del Comune e delle ULSS competenti e Avvocatura che si occupa delle problematiche familiari e minorili. Il testo del Protocollo dà conto dell’impegnativo confronto svoltosi tra le varie professionalità per individuare strumenti condivisi per dare ai soggetti coinvolti nelle vertenze familiari risposte o UN MODELLO DI SUPPORTO AI RAPPORTI TRA GENITORI E FIGLI NELLE SEPARAZIONI DIFFICILI ALESSANDRO SARTORI E GABRIELLA DE STROBEL* 106 soluzioni che consentano più agevolmente di superare la fase del conflitto e raggiungere un nuovo equilibrio di vita. L’AIAF Sezione Veneto ha partecipato attivamente alla elaborazione del Protocollo già organizzando anni addietro ben sette Seminari di Formazione Interdisciplinare fra tutti gli operatori coinvolti nei procedimenti di separazione e di divorzio, contribuendo a creare uno spirito nuovo di valorizzazione delle rispettive figure professionali, nonché dei rispettivi ruoli e funzioni. Si era cercato allora di trovare strumenti e soluzioni al fine condividere la strategia per calmierare le sofferenze dell’incertezza vuoi dell’utente, vuoi dell’operatore. Tutti gli operatori (avvocati, giudici, componenti dei vari servizi sociali, etc.) condivisero la convinzione di doversi tenere allenati all’umiltà dell’approccio alle problematiche della patologia familiare e di applicarsi costantemente ai con- AIAF RIVISTA 3/2004 fronti interdisciplinari per cercare di evitare il propagarsi dei conflitti e dei malesseri familiari, che ricadevano (e ricadono) sugli adulti e, soprattutto, sui figli, anche con un rilevante costo sociale. Ci si convinse di cercare di realizzare una strategia preventiva per limitare i conflitti familiari, convinti che l’allora generalizzato sistema di conduzione delle vertenze non fosse più adeguato a dare certezze e a consentire un sereno affidamento alla giustizia. Quell’inizio di confronto ha portato ad una sempre maggior condivisione per realizzare lo scopo sempre più avvertito di offrire alle persone coinvolte nei procedimenti di separazione o divorzio risposte il più possibile certe sia sul piano delle procedure, che dei risultati e delle decisioni. Il modello adottato si è andato sempre più evolvendo senza dimenticare che le persone coinvolte nei fenomeni di disgregazione familiare reagiscono frequentemente alla sofferenza che ne deriva cercando di sfogare i propri rancori (il proprio “lutto”) anziché metabolizzarli, per cui appariva sempre più necessario cercare di capire le ragioni di quella sofferenza e del disagio conseguente intervenendo nel momento della disgregazione come stimolo per condurre la coppia attraverso la fase della sua trasformazione, per indurre i singoli componenti in crisi a capire sia le ragioni dell’altro, sia, soprattutto, l’esigenza di preservare i figli dal dissenso e dal baratro della litigiosità, valorizzando a tal fine le rispettive figure genitoriali, realizzando le così dette “tre C” (Comunicazione per consentire la Collaborazione e giungere possibilmente alla Condivisione dei problemi relativi ai figli e garantirne la crescita più sana e serena possibile). Sono state a tal fine sempre più valorizzate le garanzie da mettere in atto nel rapporto fra i giudicanti, i servizi e le parti rappresentate dalla nostra categoria, la quale non deve certamente cessare di esercitare la propria capacità critica continuando, anche attraverso la verifica della pratica quotidiana, ad assumere una funzione di stimolo (assieme a tutte le altre categorie con cui è stato condiviso questo percorso) per una legislazione sempre più adeguata all’esigenza della miglior soluzione dei problemi delle famiglie in crisi e per una interpretazione delle norme che possa sempre più portare a “buone decisioni” nel rispetto del giusto processo. A tal fine rilevante appare il “tavolo di lavoro comune” (cui continueranno a partecipare tutti i soggetti che hanno sottoscritto il “Protocollo di Intesa”) per monitorare il funzionamento e l’applicazione del Protocollo stesso. Si suggeriranno tutte le più adeguate integrazioni SETTEMBRE - DICEMBRE 2004 LE PRASSI NELLE CAUSE DI SEPARAZIONE E DIVORZIO e/o modifiche, per renderlo sempre più valido e consentire sempre più risposte ferme e sicure a chi chiede aiuto e consiglio. Il “modello veronese” non presume certo di essere perfetto, né chi l’ha sottoscritto (e, ovviamente, tra costoro, i legali dell’AIAF VENETO) intende autoreferenziarsi. Per quanto riguarda gli avvocati la riprova del loro impegno professionale per risolvere pacificamente i conflitti familiari è data dalle statistiche che sono state presentate nel Convegno da cui risulta, appunto, che le domande di separazione sono presentate al 75% circa in modo consensuale, non sottacendo che più della metà dei restanti casi iniziati in contenzioso terminano con un accordo e con una decisione assunta su concordi conclusioni delle parti. Il che, comunque, conferma e prova l’impegno di cui i legali si fanno carico per aiutare le parti a risolvere i loro problemi personali anche e soprattutto per evitare ai figli la devastante esperienza del conflitto tra i loro genitori. L’AIAF VENETO auspica che il rilevante lavoro svolto, di cui il Protocollo dà conto, possa essere utile per tutti i Colleghi iscritti all’Associazione. * avvocati in Verona PROTOCOLLO D’INTESA TRA - TRIBUNALE C.P DI VERONA - COMUNE DI VERONA - ULSS 20: CONSULTORI FAMILIARI, SERVIZIO DI NEUROPSICHIATRIA INFANTILE E PSICOLOGIA DELL’ETÀ EVOLUTIVA CON L’ADESIONE DI: - AIAF (ASSOCIAZIONE ITALIANA AVVOCATI PER LA FAMIGLIA E PER I MINORI) – VENETO - OSSERVATORIO SUL DIRITTO DI FAMIGLIA – SEZ. VERONA PREMESSA Negli ultimi dieci anni si è assistito ad un progressivo aumento del fenomeno della disgregazione familiare e quindi del numero delle separazioni e dei divorzi di coppie con figli. Ne è conseguito un forte incremento delle situazioni di grave conflittualità tra i coniugi rispetto all’affidamento ed alla relazione con i figli stessi. A questo fenomeno si aggiunge la crescente presenza di nuclei costituiti da partners con figli propri e con figli della nuova coppia: “famiglie ricomposte”. Questo quadro trova ampia conferma anche nella realtà veronese. In tale contesto è indubbio che le Istituzioni, anche nel rispetto delle Convenzioni Internazionali, debbano farsi carico del disagio del minore e della sua famiglia. D’altro canto, dal confronto tra le varie professionalità che si misurano quotidianamente con il conflitto familiare (magistrati, operatori socio-sanitari, avvocati, ecc.), sia pure da diverse prospettive, emerge l’esigenza comune di individuare strumenti condivisi per dare ai soggetti coinvolti risposte o soluzioni che consentano di superare la fase del conflitto e raggiungere un nuovo equilibrio di vita. L’approcciarsi in modo diretto al disagio della famiglia in fase di separazione o divorzio impone inoltre a tutte le figure professionali interessate un modo di operare che tenga conto del tasso di sofferenza e di disagio degli adulti e soprattutto dei minori. Obiettivo primario di tutti è fare in modo che i genitori possano continuare a svolgere il loro ruolo, evitando che le loro difficoltà e conflitti si ripercuotano sul minore. La legislazione nazionale e internazionale si è evoluta nel senso del pieno riconoscimento del diritto del minore coinvolto come soggetto avente diritto ad una crescita e ad uno sviluppo corretto e compiuto come sopra richiamati, ed è quindi necessario che gli operatori giuridici e dei servizi pongano attenzione particolare alla sua tutela. Si richiamano in particolare: - gli articoli 29-30-31 della Costituzione che riguardano i principi ispiratori della legislazione familiare; - gli articoli 143 e 147 del Codice Civile introdotti dalla riforma del diritto di famiglia del 1975 che san107 LE PRASSI NELLE CAUSE DI SEPARAZIONE E DIVORZIO - AIAF RIVISTA 3/2004 ciscono l’uguaglianza rispetto alla responsabilità genitoriale e la rilevanza dell’interesse del minore”; la L. 898/70 sulla “disciplina nei casi di scioglimento del matrimonio” e successive modifiche (436/78 e 74/87); gli articoli del Codice Civile (155,158 e 344) che prevedono la possibilità di collaborazione tra il Giudice e i Servizi Sociali; la legge 154/01 (art. 342 bis e segg. del Codice Civile); l’articolo 23 del DPR 616/77 che stabilisce il trasferimento di competenze relative ai minori dallo Stato alle Regioni; la L. 405/75 e la L.R. 28/77 (art. 2) sull’istituzione dei Consultori Familiari che prevede la collaborazione con gli organi giudiziari nei riguardi della famiglia e della problematica minorile; la legge quadro 328/2000 per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali; il DPCM del 29.11.01 area integrazione socio-sanitaria (LEA); la Convenzione di New York sui diritti del fanciullo del 20.11.1989 ratificata con la legge n. 176/91; la Convenzione di Strasburgo sull’esercizio dei diritti dei minori, del 25 gennaio 1996 – ratificata con L. 77/2003; Nella realtà veronese, tutte le Istituzioni e le professionalità coinvolte, (Tribunale Civile Sezione Famiglia, Consultori Familiari, Servizio di Neuropsichiatria Infantile e Psicologia dell’Età Evolutiva (NPIPEE), Servizi Sociali Comune di Verona, Avvocati AIAF), pur con ruoli, competenze e mandati diversi, hanno iniziato un percorso comune, che ha preso avvio dalla realizzazione, nel 1997, di Seminari di Formazione Interdisciplinare. A questa esperienza è seguita la formazione di un tavolo di lavoro e confronto costante, cui hanno aderito anche gli avvocati iscritti al “Osservatorio sul Diritto di Famiglia”, di più recente costituzione. Parallelamente, i Consultori Familiari delle tre ULSS della Provincia di Verona, hanno mantenuto un costante confronto con i magistrati della Sezione Famiglia, che ha consentito di definire una prassi omogenea di collaborazione su tutto il territorio. I Magistrati della Sezione Famiglia, in quest’ottica, hanno maturato la consapevolezza:che l’attività del Giudice Minorile è diretta a valutare capacità affettive – educative e relazionali e ad intervenire su rapporti umani per indirizzarli alla realizzazione del diritto del minore, alla costruzione della sua personalità e alla libera espressione delle sue potenzialità;che allo scopo è necessario costruire un procedimento con formule adeguate al compito del Giudice, e rispettose del diritto alla difesa e al contraddittorio di tutte le parti coinvolte e dello stesso minore;che il Giudice deve quindi utilizzare conoscenze e scienze che appartengono a diverse professionalità per la individuazione delle capacità dei genitori e del bisogni dei minori, che le decisioni che il giudice è chiamato ad adottare sono inevitabilmente sottoposte a continue revisioni in conseguenza dell’evolversi delle risorse dei genitori e delle esigenze dei minori. I Servizi Sociali e Socio-Sanitari del territorio, parallelamente, hanno sviluppato il loro ruolo di ausiliari del Giudice, definendo al loro interno, nelle diverse competenze, procedure privilegiate, modalità di intervento, anche con l’utilizzo di nuovi strumenti come la mediazione familiare. È stato inoltre incrementato il lavoro di rete tra Servizi, nell’ottica di una presa in carico globale delle situazioni, nell’interesse del minore. Nel 1994 si è costituito in via sperimentale un gruppo di lavoro permanente composto da: Servizi sociali del Comune di Verona, Consultori Familiari e Servizio di Neuropsichiatria Infantile e Psicologia dell’Età Evolutiva dell’ULSS 20, per l’analisi delle richieste provenienti dal Tribunale Civile, con i seguenti obiettivi: - individuare un punto di riferimento unico e specifico per le richieste inviate dal Tribunale: richieste di informazioni, di intervento, ecc., razionalizzando la distribuzione del lavoro tra i vari Servizi, in base alle specifiche competenze, anche attraverso un’unica segreteria, evitando così dispersioni e ritardi. - migliorare la collaborazione tra Tribunale Civile e Servizi Socio Sanitari oltre che tra i vari Servizi stessi, attraverso la ricerca di un linguaggio comune e di un lavoro in rete. Gli Avvocati aderenti all’AIAF, sez. Veneto, si sono adoperati per una sempre maggiore diffusione e applicazione delle norme di comportamento professionale stese dall’Associazione. AIAF e Osservatorio della Famiglia hanno inoltre promosso, insieme e separatamente, aggiornamenti continui e specializzati sulle problematiche minorili, sulle novità legislative, sempre con l’ottica del confronto interdisciplinare. Alla luce di quanto esposto nella premessa, da ritenersi parte integrante, il Tribunale Civile di Verona, Sezione I^ specializzata per la trattazione della famiglia - il Comune di Verona - l’ULSS 20 – con l’adesione dei Legali rappresentati dall’AIAF e dall’Osservatorio della Famiglia - rilevata l’utilità e l’efficacia di una collaborazione per raggiungere gli obiettivi comuni di tutela della famiglia e dei minori, sono addivenuti a realizzare il seguente Protocollo d’Intesa sulle reciproche modalità di collaborazione in base alle rispettive funzioni e competenze. 108 SETTEMBRE - DICEMBRE 2004 LE PRASSI NELLE CAUSE DI SEPARAZIONE E DIVORZIO PROTOCOLLO 1. TRIBUNALE CIVILE DI VERONA È operativa, come da specifica previsione tabellare, la sezione dedicata alla trattazione in via esclusiva dei procedimenti per separazione personale e per divorzio con cancelleria addetta in via esclusiva agli adempimenti relativi ai procedimenti in tema di diritto di famiglia e delle persone.Le funzioni di Giudice tutelare, con specifico riferimento all’attività di vigilanza prevista dall’articolo 337 cc sull’attuazione dei provvedimenti adottati sia dal TM sia dal Tribunale ordinario, sono svolte dai magistrati appartenenti alla sezione famiglia. Nei procedimenti in cui sono coinvolti minori, i magistrati addetti alla trattazione, nel pieno e indipendente esercizio della funzione giurisdizionale di cui sono esclusivi titolari: - promuovono la mediazione familiare offrendo la necessaria informazione e, ove le parti intendano avvalersene, sospendono il giudizio. - dispongono l’intervento dei servizi sociali e sanitari per acquisire le indispensabili notizie in ordine alla situazione, personale e sociale, delle parti, alla condizione socio-ambientale, psicologica ed affettiva del minore, allo stato delle relazioni, al fine acquisire gli elementi necessari alla adozione delle decisioni in tema di affidamento, collocamento del minore e relazione con il genitore non convivente; - provvedono allo espletamento di consulenze tecniche laddove la complessità della condizione personale, delle relazioni instaurate, la profondità del conflitto siano tali da non consentire un proficuo spazio di intervento dei servizi e richiedano accertamenti più approfonditi; - dispongono, una volta che le parti abbiano acquisito consapevolezza delle necessità dei figli, percorsi di sostegno personale, alla loro genitorialità e per i loro bambini, per restituire ai minori coinvolti condizioni più equilibrate e serene per il loro adeguato sviluppo, e per assicurarne la permanenza. 2. SERVIZI SOCIO-SANITARI: a) È costituito tra il Comune di Verona e l’ULSS 20 – Consultori Familiari e Servizio di Neuropsichiatria Infantile e Psicologia dell’Età Evolutiva - un Gruppo di lavoro permanente composto da un rappresentante di ciascun servizio che si riunisce ogni tre settimane circa presso la sede del Settore Sociale dell’ULSS 20. Ogni membro rappresenta il Servizio di appartenenza con funzioni di referente per gli operatori del suo Servizio e portavoce dello stesso all’interno del Gruppo. La Segreteria del Gruppo è quella dei Consultori Familiari presso il Settore Sociale dell’ULSS 20 b) Il Gruppo prende di volta in volta in esame le richieste pervenute alla Segreteria dal Tribunale Civile nell’arco di tempo tra un incontro e l’altro e procede all’assegnazione dei casi ai singoli Servizi ritenuti competenti. c) Per l’attribuzione dei casi il Gruppo segue i seguenti criteri: Vengono assegnate ai Consultori Familiari le situazioni in cui sono richiesti e/o ritenuti opportuni: - Interventi sulla conflittualità della coppia per attenuarne le tensioni; - Mediazione familiare; - Valutazioni e/o sostegno alle capacità genitoriali, con possibilità, nei casi che lo richiedono, di attuare incontri fra bambino/i e genitore non affidatario alla presenza di un educatore con funzione facilitante; - Profili di personalità degli adulti; - Presa in carico terapeutica della coppia e/o del singolo. Vengono assegnate alla NPIPEE le situazioni in cui sono richiesti e/o ritenuti opportuni: - Profili psicologici di minori e/o valutazioni diagnostiche psicologiche e/o neuropsichiatriche infantili; - Valutazioni sulle relazioni tra genitori e figli; - Monitoraggio periodico sui minori; - Presa in carico terapeutica dei minori; - Consulenza e supporto terapeutico ai genitori. Vengono assegnate ai Servizi Sociali del Comune le situazioni in cui sono richiesti e/o ritenuti opportuni: - Valutazioni delle situazioni di pregiudizio, maltrattamento, trascuratezza di minori e, per questi casi, indagini socio-ambientali e monitoraggio dell’evoluzione anche in ordine a particolari programmi che prevedono ad esempio incontri protetti genitori-figli; - Valutazione e attivazione di risorse extra-familiari e/o dell’ambito parentale. d) Alla fine di ogni incontro del Gruppo la segreteria provvede ad inviare: - Al Tribunale Civile una comunicazione della riunione effettuata con l’elenco delle situazioni esaminate e l’indicazione dei Servizi cui sono state assegnate le richieste. - Ai Servizi interessati una comunicazione dell’assegnazione del caso accompagnata da tutto il materiale allegato dal Tribunale Civile alla sua richiesta. Nel caso in cui sia stata fatta un’assegnazione congiunta a più Servizi verranno segnalati tutti i Servizi Coinvolti. Nel caso in cui una situazione sia già stata seguita in precedenza da un altro Servizio questo verrà pure indicato. e) Situazioni particolari: 109 LE PRASSI NELLE CAUSE DI SEPARAZIONE E DIVORZIO AIAF RIVISTA 3/2004 Nel caso in cui l’assegnazione da parte del Gruppo sia stata fatta ad un unico Servizio, questo, se nel corso del suo intervento lo ritiene opportuno, può richiedere la collaborazione di un altro Servizio inviando una richiesta scritta allo stesso e per conoscenza al Gruppo di lavoro. Nel caso in cui il Servizio incaricato, nel corso della conoscenza diretta della situazione, ritenga di non essere competente, provvederà ad informare il Gruppo di lavoro motivando la propria posizione. Il Gruppo di lavoro, riesaminata la situazione alla luce degli elementi evidenziati, provvederà ad una diversa assegnazione, previa valutazione di opportunità. Per i casi particolarmente urgenti il responsabile dei Consultori Familiari provvederà ad individuare il servizio competente per consentire un primo intervento, salvo poi il successivo esame del caso da parte della Commissione. f) Tempistica: I Servizi incaricati si impegnano a fornire al Tribunale una prima relazione per quanto possibile entro quattro-sei mesi dalla ricezione dell’incarico, nel caso di situazioni non conosciute dal Servizio ed entro tre mesi, nel caso di situazioni già in carico al Servizio stesso. In caso sia necessaria una proroga dei tempi il Servizio fornirà comunque al Tribunale una informativa sullo stato dell’intervento e sulle problematiche emerse. 2.A. ULSS 20. CONSULTORI FAMILIARI I Consultori familiari operano su due livelli: 1-Valutazione 2- Intervento Valutazione La Valutazione è un percorso che si attiva su mandato dell’Autorità Giudiziaria. Gli operatori (psicologo e assistente sociale) si propongono di osservare e conoscere la situazione familiare per formulare, possibilmente in accordo con la coppia di genitori, un’ipotesi di intervento mirato alla prevenzione del disagio e alla tutela del minore. In particolare gli operatori approfondiscono: - le condizioni psicologiche e sociali di entrambi i genitori; - le relazioni tra genitori, tra questi e i figli e tra i figli; - la capacità del padre e della madre di esercitare le funzioni genitoriali; - la funzione della rete familiare e dell’eventuale famiglia ricomposta; - l’inserimento socio-ambientale dei genitori e dei figli. La durata media di questo percorso è di circa quattro-sei mesi, dalla ricezione dell’incarico, salvi casi particolari. Si prevede una serie articolata di interventi rivolti ai genitori, ai figli ed al contesto familiare allargato, che possono prevedere a seconda dei casi e della valutazione di opportunità fatta dagli operatori: colloqui, visite domiciliari, incontri di osservazione, applicazione di test, incontri con agenzie del territorio e con altri servizi ecc. La valutazione si conclude con l’invio di una relazione al Tribunale Civile i cui contenuti sono restituiti anche ai soggetti interessati. Intervento L’intervento è un percorso di sostegno e di accompagnamento rivolto alla coppia genitoriale ed ai figli, effettuato dagli operatori del Consultorio familiare (psicologo- assistente sociale, educatore), sulla base dei bisogni emergenti da parte degli utenti in carico e delle loro risorse disponibili. L’obiettivo è creare le condizioni che consentano a ciascun genitore di recuperare e ridefinire il proprio ruolo genitoriale, affinché i figli possano mantenere un legame costruttivo con entrambi i genitori e i nuclei familiari (fratelli, nonni, etc) Si - possono in tale contesto attivare: percorsi di sostegno alla genitorialità individuali e/o di coppia percorsi di Mediazione familiare, ove sussistano le condizioni di fattibilità, incontri facilitanti allo scopo di garantire al genitore non affidatario di riprendere e/o mantenere con costanza il rapporto con i figli, - monitoraggio periodico dell’evoluzione della situazione - su richiesta degli interessati, prese in carico psicoterapeutica di uno o entrambi i genitori (tenendo conto che le situazioni di tutela minorile usufruiscono di una procedura privilegiata, occorre comunque precisare che la presa in carico terapeutica della coppia e/o dei singoli può avvenire compatibilmente con la disponibilità delle risorse professionali esistenti e con i tempi operativi interni). Non è possibile per tali interventi stabilire a priori la durata del percorso. È prevista una serie articolata di modalità operative, valutate opportune dagli operatori a seconda dei casi, quali in particolare: colloqui, visite facilitanti alla presenza dell’educatore, incontri con altre agenzie del territorio, con altri Servizi, gruppi d’auto-mutuo aiuto. Gli operatori comunicano in ogni caso al Tribunale Civile il progetto di intervento, riservandosi anche di segnalare l’intrattabilità del caso 110 SETTEMBRE - DICEMBRE 2004 LE PRASSI NELLE CAUSE DI SEPARAZIONE E DIVORZIO 2.B. ULSS 20. NEUROPSICHIATRIA INFANTILE E PSICOLOGIA DELL’ETÀ EVOLUTIVA Il Servizio NPIPEE dell’ULSS 20 svolge attività clinica e di consulenza su richiesta del Tribunale Civile nell’ambito della tutela del minore, in collaborazione con gli altri Servizi ULSS e con i Servizi Sociali Comunali. Le richieste di valutazione provenienti dal Tribunale Civile vengono accolte e assegnate all’operatore di competenza, NPI o Psicologo, attivando una procedura privilegiata che prevede l’assegnazione in tempi più celeri rispetto alla procedura standard. INTERVENTI PREVISTI: a) valutazione e diagnosi si rivolge sempre al bambino/ragazzo considerato all’interno del nucleo familiare e/o ambientale e si propone di analizzare: - le dinamiche relazionali nei confronti dei genitori; - la personalità e il suo sviluppo psicologico affettivo; - la presenza di indicatori psico patologici pregressi e/o attuali; - gli elementi di conflittualità a carattere evolutivo che pur non rientrando all’interno di un quadro strutturato, si configurano come fattori di rischio di patologia psichica o psico relazionale. La valutazione e diagnosi si articola attraverso: - visita NPI e/o colloquio psicologico clinico con il bambino, colloqui con i genitori e/o con il nucleo familiare, sedute di osservazione e gioco - test, esami strumentali, colloqui con Assistenti sociali, Insegnanti etc., a discrezione dell’operatore e a seconda della problematica emersa e della condizione psicologica del minore. Al termine del percorso valutativo/diagnostico e prima dell’invio dell’elaborato scritto al Tribunale Civile, l’operatore referente renderà noto ai genitori l’esito dell’approfondimento effettuato e il contenuto della relazione. Si prevede per le situazioni non conosciute dal Servizio, dal primo atto espletato alla fine della valutazione comprensiva della relazione, un tempo di circa 4/6 mesi. Presa in carico Può avvenire: - a conclusione della fase di valutazione e diagnosi come programma terapeutico proposto dall’operatore ai genitori e comunicato per iscritto nella relazione al Tribunale. - quando il Giudice recepisce le indicazioni formulate da un esperto a seguito di CTU. Il programma terapeutico può avvalersi di diverse modalità di intervento, a seconda della situazione, quali colloqui periodici con il minore e/o con i genitori, consultazioni terapeutiche con i genitori, psicoterapia, terapia psicomotoria o occupazionale, riabilitazione neuropsicologica, terapia farmacologica,, interventi di collegamento con Enti ed Istituzioni. Non è possibile per tali interventi stabilire a priori una durata che in ogni caso non è generalmente inferiore ai 6 mesi-un anno. Questi interventi potranno essere sostenuti compatibilmente con la disponibilità delle risorse professionali esistenti e con i tempi operativi interni. 2.C. COMUNE DI VERONA - SERVIZI SOCIALI Il Comune di Verona, relativamente alle situazioni di separazioni coniugali conflittuali inviate dal Tribunale Civile, interviene nei casi nei quali si ravvisano elementi di pregiudizio per i minori, escludendo quindi le situazioni di difficoltà e sofferenza, esito “ diffuso “ di separazioni coniugali difficili, per le quali l’intervento è di competenza dell’Ulss n. 20 - Consultori Familiari. Con “ situazione di pregiudizio per il minore “ si intendono tutte quelle situazioni nelle quali è necessario indagare se la condotta o la situazione dei genitori ponga a rischio l’equilibrata crescita del minore o abbia già provocato danni; si tratta quindi di situazioni per le quali l’autorità giudiziaria ha necessità di valutare se emettere prescrizioni o provvedimenti a tutela dei minori. La conoscenza e l’approfondimento di tali situazioni viene effettuata, innanzi tutto, attraverso l’indagine socio-ambientale. Indagine socio-ambientale: L’indagine socio-ambientale richiesta dall’autorità giudiziaria al Servizio Sociale del Comune di Verona ha come scopo quello di valutare se esistono condizioni di pregiudizio per i minori presenti nel nucleo familiare, segnalate o riportate all’autorità giudiziaria stessa o emerse nel corso dell’iter giudiziario. L’indagine, in relazione alla complessità della situazione, comprende una parte di analisi descrittiva delle seguenti aree: - situazione personale e sociale dei genitori, con eventuale riferimento alla loro storia individuale e di coppia 111 LE PRASSI NELLE CAUSE DI SEPARAZIONE E DIVORZIO AIAF RIVISTA 3/2004 - situazione dei minori presenti nel nucleo, con riferimento anche ai diversi contesti di vita, in particolare quello scolastico - rapporto genitori –figli in ordine agli aspetti educativi, di cura, accudimento e inserimento sociale - rete parentale di sostegno - rete sociale di sostegno - relazione fra famiglia e servizi sociali e una parte valutativa che mette in relazione i fattori di rischio/ criticità evidenziati, anche con l’apporto di valutazioni di altri servizi e di diverse professionalità (quando richiesto), con i fattori protettivi/ capacità del nucleo e le risorse del contesto parentale e sociale. La valutazione si conclude con eventuali proposte a tutela dei minori che possono eventualmente prevedere l’attivazione di risorse nell’ambito parentale o extrafamiliare. Strumenti: - colloqui con utenti - visite domiciliari - incontri con istituzioni, agenzie del territorio che mantengono rapporti significativi con il bambini e la famiglia, con particolare riguardo all’ambito scolastico-educativo - collaborazioni con i servizi dell’Ulss 20 per le specifiche competenze. Tempi necessari al servizio per l’espletamento dell’incarico: mediamente 4-6 mesi Presa in carico e monitoraggio: La presa in carico della situazione può avvenire - su richiesta degli interessati, già durante la fase di indagine sociale o a conclusione di questa. Di tale evoluzione verrà informato il giudice. In questo caso il monitoraggio della situazione farà parte del progetto condiviso con la famiglia. - su disposizione dell’autorità giudiziaria Presa in carico e monitoraggio disposti dall’autorità giudiziaria: Con la presa in carico disposta dall’autorità giudiziaria, il servizio sociale condividendo, per quanto possibile, con gli utenti una progettualità volta a superare le criticità emerse, mette in atto interventi per favorire l’evoluzione positiva della situazione di vita dei minori. Il servizio sociale può predisporre l’attivazione di servizi di supporto al nucleo quali ad esempio appoggi socio- educativi domiciliari o presso strutture, compatibilmente con le risorse disponibili e con la situazione anche economica del nucleo familiare. A seguito della presa in carico, il servizio sociale per il tempo stabilito come necessario dall’autorità giudiziaria, procede al monitoraggio dell’evoluzione della situazione sociale dei minori, rispetto ai quali esplica l’incarico. Il monitoraggio ha lo scopo di verificare periodicamente che l’adeguatezza della situazione di vita raggiunta dai minori con la presa in carico del nucleo, venga mantenuta nel tempo e a programmare nuovi interventi, se necessario. Visite protette: Su incarico dell’autorità giudiziaria, qualora sussista la necessità di proteggere i minori da comportamenti pregiudizievoli dei genitori, il servizio sociale organizza e supervisiona visite genitori-figli in ambiente protetto, alla presenza di personale educativo convenzionato con l’ente. (Escluse le visite protette effettuate dai Consultori Familiari per le specifiche competenze) Esecuzione di provvedimenti a tutela del minore: Il Servizio Sociale del Comune di Verona provvede all’ esecuzione di eventuali provvedimenti disposti dall’autorità giudiziaria a tutela dei minori (es. allontanamenti) Esprimono la loro adesione al Protocollo di Intesa gli Avvocati aderenti all’AIAF e all’Osservatorio per la Famiglia e, auspicando una maggior valorizzazione della loro funzione di difesa nell’ambito della vigente normativa, assumono i seguenti impegni: 1) Assumere l’incarico con l’obiettivo di aiutare la parte a confrontare le proprie aspettative/pretese con il dettato normativo e con gli orientamenti giurisprudenziali, offrendo soluzioni che meglio la preservino dal disagio che sta vivendo, aiutandola anche a comprendere le ragioni dell’altra parte, svolgendo in tal modo una prima opera di mediazione. 2) Farsi carico di fare emergere in via prioritaria le esigenze della prole, nel tentativo di salvaguardare entrambe le figure genitoriali, stimolando nei genitori la consapevolezza che, malgrado i loro dissensi, non cesseranno di essere tali e come tali dovranno continuare a comportarsi nell’esercizio dei loro diritti-doveri al fine di una corretta valutazione delle esigenze morali e patrimoniali correlate al 112 SETTEMBRE - DICEMBRE 2004 LE PRASSI NELLE CAUSE DI SEPARAZIONE E DIVORZIO rapporto con i figli. 3) Prima di dar corso ad un procedimento contattare la controparte invitandola a confrontarsi stragiudizialmente con l’assistenza di altro legale per cercare una soluzione concordata. Promuovere a tal fine, con spirito di trasparente collaborazione, incontri e scambio di ogni documentazione atta a favorire l’intesa. 4) Farsi comunque carico di avvalersi di una competenza interdisciplinare servendosi, d’accordo con l’altra parte, di consulenti pubblici e/o privati per una migliore identificazione degli interessi delle parti e della prole, evitando di ricorrere unilateralmente a consulenze o perizie di parte. 5) Esaurita la possibilità di raggiungere un’intesa, nel caso in cui si debba promuovere un’azione giudiziaria, cercare di contenere l’atto introduttivo ed eventualmente la comparsa di risposta, evitando di acuire irrimediabilmente il conflitto, al fine di consentire una ripresa di tentativi di definizione conciliativa della vertenza, da privilegiare anche provocando l’intervento ad hoc del Giudicante. 6) Nell’ambito del confronto giudiziale invocare (e attenersi) nei confronti delle parti e di tutti i soggetti coinvolti a qualsiasi titolo un puntuale rispetto del “Giusto Processo” e del contraddittorio affinché sia garantito un corretto esercizio del diritto alla difesa. Viene istituito un Osservatorio Permanente ed un tavolo di lavoro comune cui parteciperanno tutti i soggetti che sottoscrivono il presente Protocollo con l’obiettivo di monitorare il funzionamento e l’applicazione del Protocollo stesso, suggerire integrazioni e/o modifiche, promuovere un costante e continuo confronto interprofessionale e ogni altra attività connessa di aggiornamento e formazione. A tal fine il tavolo di lavoro si riunirà periodicamente ogni due mesi. 113 LE PRASSI NELLE CAUSE DI SEPARAZIONE E DIVORZIO AIAF RIVISTA 3/2004 data 10 novembre 2004 è stato pubblicato dall’ISTAT l’Annuario statistico 2004, che Ial naggiorna le conoscenze sulla realtà italiana e ne misura l’evoluzione. I dati si riferiscono 2003 e sono accompagnati da un confronto con i quattro anni precedenti. Dal sito http://catalogo.istat.it/asi2004/PDF/Cap6.pdf (cfr tavole in basso) si rilevano in materia di famiglia e minori questi dati. PERSONE – FAMIGLIA – SEPARAZIONI - DIVORZI Nel 2002 si è registrato un aumento, nei confronti dell’anno precedente, sia del numero delle separazioni (+4,9 per cento) che dei divorzi (+4,5 per cento), pari rispettivamente a 79.642 e 41.835 unità. Ogni 100 mila abitanti si hanno 140 separazioni e 73 divorzi. Nel 2002 le separazioni consensuali sono state 69.076, pari all’86,7 per cento del totale delle separazioni concesse, quelle giudiziali 10.566 (13,3 per cento). Il numero di figli minori di 18 anni coinvolti è stato 59.480 nelle separazioni e 19.356 nei divorzi. La maggior parte di essi continua a essere affidata alla madre: circa l’85 per cento nei casi di separazione e l’84 per cento in quelli di divorzio. Tavola 6.6 - Procedimenti civili di separazione personale dei coniugi per modalità di esaurimento e regione Anno 2002 ANNI REGIONI 1998 1999 2000 2001 Senza separazione 6.213 6.477 8.699 9.726 Con separazione -------------------------------------------------------------------------Omologazione Accoglimento Totale 53.613 55.335 62.206 66.032 Totale 9.124 9.580 9.763 9.858 62.737 64.915 71.969 75.890 68.950 71.392 80.668 85.616 847 33 1.528 117 90 27 643 261 208 649 551 95 312 1.201 216 56 1.265 683 78 304 1.181 338 10.566 4.286 2.159 4.121 8.214 254 14.768 1.285 660 625 5.906 2.054 2.750 6.415 5.855 1.131 1.805 10.636 1.376 256 5.215 3.510 189 1.286 4.819 1.918 79.642 41.646 19.427 18.569 9.037 314 15.999 1.501 829 672 6.249 2.237 3.023 7.086 6.242 1.152 1.915 11.612 1.571 337 6.695 4.636 219 1.473 5.985 1.985 89.268 45.446 20.921 22.901 2002-PER REGIONE Piemonte Valle d'Aosta Lombardia Trentino-Alto Adige Balzano-Bozen Trento Veneto Friuli-Venezia Giulia Liguria Emilia-Romagna Toscana U mbria Marche Lazio Abruzzo Molise Campania Puglia Basilicata Calabria Sicilia Sardegna ITALIA Nord Centro Mezzogiorno Fonte: Separazioni personali dei coniugi (R) 114 823 60 1.231 216 169 47 343 183 273 671 387 21 110 976 195 81 1.480 1.126 30 187 1.166 67 9.626 3.800 1.494 4.332 7.367 221 13.240 1.168 570 598 5.263 1.793 2.542 5.766 5.304 1.036 1.493 9.435 1.160 200 3.950 2.827 111 982 3.638 1.580 69.076 37.360 17.268 14.448 SETTEMBRE - DICEMBRE 2004 LE PRASSI NELLE CAUSE DI SEPARAZIONE E DIVORZIO Tavola 6.7 - Figli affidati nelle separazioni personali dei coniugi e negli scioglimenti e cessazioni degli effetti civili del matrimonio (divorzi) per tipo di affidamento - Anni 1998-2002 (a) (valori assoluti e composizioni percentuali) Tipo di affidamento Valori assoluti ANNI Al padre Alla Congiunto/ madre alternato Composizioni percentuali A terzi Totale AL padre Alla Congiunto/ madre alternato A terzi Totale 0,5 0,5 0,7 0,5 0,5 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 0,6 0,7 0,7 0,7 100,0 100,0 100,0 100,0 SEPARAZIONI PERSONALI DEI CONIUGI 1998 1999 2000 2001 2002 2.194 2.226 2.372 2.593 2.426 42.319 43.373 44.421 48.966 50.504 1.800 1.888 4.113 5.402 6.238 235 218 323 254 312 46.548 47.705 51.229 57.215 59.480 4,7 4,7 4,6 4,5 4,1 90,9 90,8 86,7 85,6 84,9 3,9 4,0 8,0 9,4 10,5 SCIOGLIMENTI ECESSAZIONI DEGLI EFFETTI CIVILI DEL MATRIMONIO 1998 1999 2001 2002 949 997 1.189 1.254 13.504 13.872 15.290 16.254 324 365 1.889 1.699 100 108 122 149 14.877 15.342 18.490 19.356 6,4 6,5 6,4 6,5 90,8 90,4 82,7 84,0 2,2 2,4 10,2 8,8 Fonte: Scioglimenti e cessazioni degli effetti civili del matrimonio (R); Separazioni personali dei coniugi (R) (a) Sono compresi i figli legittimi (nati dall’attuale matrimonio o da matrimonio precedente), legittimati e adottivi. Tavola 6.6 - ProcedimentI di scioglimento e di cessazione degli effetti civili del matrimonio (divorzi) per modalità di esaurimento e regione - Anno 2002 ANNI REGIONI 1998 1999 2000 2001 Esauriti senza Esauriti con sentenza di scioglimento e di cessazione sentenza di -------------------------------------------------------------------------scioglimento Scioglimento Cessazione degli Totale e cessazione del matrimonio (a) effetti civili (b) 1.920 1.845 1.828 1.859 5.935 6.090 6.690 7.190 Totale 27.575 28.251 30.883 32.861 33.510 34.341 37.573 40.051 35430 36.186 39.401 41.910 4.030 140 6.642 411 190 281 2.962 958 1.270 3.153 2.314 423 196 3.124 612 102 1.686 1.201 143 509 2.081 595 33.812 19.626 7.257 6.929 5.065 171 8.085 160 341 419 3.548 1.358 1.656 3.800 3.006 514 951 4.106 114 122 2.181 1.388 149 568 2.334 753 41.835 24.443 9.183 8.209 5.265 190 8.284 859 421 438 3.662 1.425 1.684 3.910 3.125 519 989 4.798 775 141 2.340 1.545 153 600 2.489 759 43.512 25.279 9.431 8.802 2002 - PER REGIONE Piemonte Valle d'Aosta Lombardia Tre ntino-Alto Adige Bolzano-Bozen Trento Veneto Friuli-Venezia Giulia Liguria Emilia-Romagna Toscana Umbria Marche Lazio Abruzzo Molise Campania Puglia Basilicata Calabria Sicilia Sardegna ITALIA Nord Centro Mezzogiorno 200 19 199 99 80 19 114 67 28 110 119 5 32 92 61 19 159 151 4 32 155 6 1.677 836 248 593 1.035 31 1.443 289 151 138 586 400 386 647 692 91 161 982 102 20 495 181 6 59 253 158 8.023 4.817 1.926 1.280 Fonte: Scioglimenti e cessazioni degli effetti civili del matrimonio (R) (a) Sentenze riferite a matrimoni celebrati con rito civile. (b) Sentenze riferite a matrimoni celebrati con rito religioso. 115 DAL PARLAMENTO GARANTE DEI MINORI COMMISSIONE SPECIALE IN MATERIA D’INFANZIA E DI MINORI Mercoledì 21 luglio 2004 - 35a Seduta Presidenza del Presidente BUCCIERO La seduta inizia alle ore 20,35. IN SEDE REFERENTE (1916) RIPAMONTI. - Istituzione del difensore civico dei minori (2461) GUBERT ed altri. - Istituzione del Garante nazionale per l’ infanzia e l’ adolescenza (2469) ROLLANDIN ed altri. - Istituzione di un Garante nazionale per l’ infanzia e l’ adolescenza (2649) BUCCIERO e Antonino CARUSO. - Norme quadro per la istituzione dei difensori dei minori e altre norme a tutela degli stessi (2703) Vittoria FRANCO ed altri. - Istituzione del Garante per i diritti dell’infanzia e dell’adolescenza (Seguito dell’esame e rinvio) Riprende l’esame sospeso nella seduta del 6 aprile 2004. Il PRESIDENTE informa la Commissione che il Comitato ristretto ha completato i propri lavori, elaborando un apposito testo unificato per i disegni di legge nn. 1916, 2461, 2469, 2649 e 2703, pubblicato in allegato al resoconto della seduta odierna. Invita quindi il relatore Mugnai ad illustrare il testo unificato predisposto dal Comitato ristretto. Il relatore MUGNAI (AN) evidenzia preliminarmente che il testo normativo in esame individua un’apposita figura istituzionale, denominata garante dei minori, al quale sono attribuiti poteri di controllo, ispettivi, di intervento e di rappresentanza, poteri consultivi, promozionali e di informazione, di analisi e di studio, nella prospettiva della piena valorizzazione delle esigenze connesse alla tutela dei diritti dei minorenni, in attuazione dei principi enunciati dalle convenzioni internazionali emanate negli ultimi anni in materia di infanzia. In particolare, il testo unificato approvato dal Comitato ristretto all’articolo 1 istituisce il garante nazionale dei minori, salvaguardando l’indipendenza funzionale ed amministrativa dello stesso, essenziale per il corretto ed efficace espletamento delle funzioni di protezione dei minori. All’articolo 2 viene attribuito alle regioni il potere di istituire figure di garanti regionali, ai quali è conferito il compito di svolgere la propria attività in piena autonomia, nell’ambito territoriale di rispettiva competenza - articolo 2 comma 2 -. Al fine di salvaguardare l’omogenea tutela dei diritti dei minori in ambito nazionale, viene attribuito al garante nazionale un compito di coordinamento e di collaborazione funzionale con i garanti regionali, da espletare attraverso un’apposita struttura organizzativa istituita presso i suoi uffici -articolo 2 comma 3. La delicatezza ed il rilievo delle competenze attribuite al garante nazionale - prosegue il relatore hanno comportato la necessità di configurare requisiti rigorosi per la nomina dello stesso, incentrati da una parte sulla specchiata moralità del candidato e dall’altra sulla specifica e comprovata esperienza e competenza dello stesso nelle materie inerenti alla difesa dei diritti dei minori e della famiglia - articolo 3 comma 1-. Il regime delle incompatibilità, previsto al comma 2 dell’articolo 3, è volto ad evitare che l’espletamento di eventuali attività lavorative o politiche da parte del soggetto a cui è attribuito l’incarico di garante 116 SETTEMBRE - DICEMBRE 2004 DAL PARLAMENTO possa da una parte compromettere la continuità dell’operato dello stesso per la difesa dei minori e dall’altra diminuirne la piena indipendenza e imparzialità. In particolare, si stabilisce che la carica di Garante dei minori è incompatibile con l’esercizio di qualsiasi incarico lavorativo subordinato, professionale o autonomo, prevedendo altresì che lo stesso garante non possa ricoprire cariche politiche, sindacali o associative. Qualora dipendente pubblico o privato il Garante, per tutta la durata del mandato, è collocato in aspettativa senza assegni e non può conseguire promozioni se non per anzianità. L’alto rilievo delle attività espletate dal garante ha reso opportuno l’attribuzione del potere di nomina dello stesso al Presidente della Repubblica, che lo sceglie tra una terna di nominativi, previamente individuati d’intesa dai Presidenti di Camera e Senato. Il garante nazionale, il cui mandato dura quattro anni - ai sensi dell’articolo 5- può nominare quattro collaboratori di comprovata esperienza e competenza, che possano assicurare adeguati standard di efficienza all’ufficio direzionale del garante. L’articolo 7 del testo unificato in esame - prosegue il relatore - attribuisce al garante tutti i poteri necessari allo svolgimento delle proprie funzioni, tra i quali quelli ispettivi, di inchiesta, di sopralluogo, di interpello, e, nel corso di indagini inerenti al mancato rispetto di uno dei principi della Convenzione di New York sui diritti dell’Infanzia, quello di richiedere alle forze di polizia l’esecuzione di ispezioni presso gli uffici della Pubblica Amministrazione. La struttura amministrativa di cui il garante dispone consta di un organico di quaranta unità, composto da dipendenti dello Stato e di altre amministrazioni pubbliche, collocati fuori ruolo - ai sensi dell’articolo 8 comma 3-. Il personale distaccato presso il Garante nazionale dei minori conserverà il trattamento economico riconosciuto nelle amministrazioni di provenienza, mentre al titolare della carica di garante nazionale viene riconosciuta una indennità di carica pari a quella spettante ai membri del Senato della Repubblica. Ai garanti collaboratori di cui all’articolo 6 è riconosciuta una indennità pari all’80 per cento dell’indennità spettante al Garante nazionale. Il comma 4 dell’articolo 8 - prosegue il relatore - demanda l’individuazione della disciplina inerente al funzionamento e all’organizzazione dell’ufficio ad un decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro per la solidarietà sociale, sentito il Garante medesimo. Al Garante, al fine di salvaguardare e tutelare i bisogni, i diritti e gli interessi dei minori anche solo temporaneamente presenti sul territorio nazionale, sono attribuite funzioni di vigilanza sulla attuazione dei principi inerenti i diritti e gli interessi dei minori sanciti dalla Costituzione della Repubblica, dalle Convenzioni Internazionali, dalle normative dell’Unione Europea e dalle leggi nazionali e regionali, compiti di promozione dei diritti dei minori, poteri consultivi - rivolti al Parlamento, al Governo o agli enti e che si sostanziano anche nell’espressione di un parere obbligatorio sul Piano nazionale di azione e di interventi per la tutela dei diritti e lo sviluppo dei soggetti in età evolutiva e su ogni altro strumento di politica nazionale per l’infanzia - poteri di segnalazione ad organismi internazionali di eventuali violazioni dei diritti dei minori, di analisi e monitoraggio sulla situazione dei fanciulli - lettera f) - poteri di indirizzo verso le autorità competenti, da esprimere attraverso raccomandazioni, volte ad assicurare la conformità delle loro azioni e disposizioni al superiore interesse dei minori, poteri di intervento sulle questioni attinenti ai minori trattate dagli organi legislativi ed amministrativi, di promozione della partecipazione dei minori nelle questioni e decisioni che li riguardano, di cooperazione con tutti gli organismi nazionali ed internazionali, le associazioni, gli enti locali o funzionali che si occupano, anche incidentalmente, della promozione e della tutela dei diritti dei minori, nonché con i servizi sociali, con le amministrazioni regionali e locali, e con tutte le associazioni e gli organismi che lo richiedano, al fine di avviare programmi di assistenza tecnica per il sostegno, il recupero e la tutela di minori in situazione di disagio, poteri di iniziativa presso gli organismi di tutela dei diritti umani, volti a segnalare ogni presunta violazione dei diritti dei minori e poteri di collaborazione con le università, per la promozione di corsi di laurea, scuole specialistiche, master, insegnamenti, seminari, ricerche, studi, borse di studio e quant’altro possa servire alla diffusione della cultura dei diritti dei minori. Al comma 2 dello stesso articolo 9 - prosegue il relatore - vengono individuate le funzioni di tipo “istituzionale” del garante nazionale, il quale provvede ogni anno, alla convocazione dei garanti regionali, al fine di confrontare le diverse esperienze e di coordinare le linee di azione per i biennio successivo, partecipa alle riunioni dell’Osservatorio nazionale sull’infanzia e l’adolescenza e collabora con lo stesso e con il Centro Nazionale di Documentazione e Analisi per l’Infanzia e l’Adolescenza di Firenze, esercita le funzioni previste dall’art. 12 della Convenzione Europea sull’esercizio dei diritti dei fanciulli, è membro del Comitato interministeriale di coordinamento per la lotta alla 117 DAL PARLAMENTO AIAF RIVISTA 3/2004 pedofilia costituito presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento per le pari opportunità, produce studi, rapporti e relazioni, provvedendo alla loro pubblicazione e diffusione presso i principali organi di informazione ed infine presenta ogni due anni al Parlamento e al Governo una relazione sulla propria attività, che contiene altresì proposte di iniziative da adottare per promuovere e incrementare la tutela dei diritti dell’infanzia e il miglioramento delle condizioni dei minori. L’articolo 10 del testo unificato in esame si sofferma sui poteri ispettivi ed investigativi del garante, che prende in esame denunce, segnalazioni e reclami relativi a violazioni dei diritti di minori, pervenutegli sotto qualsiasi forma, si occupa dei casi di minori a rischio di violazione dei propri diritti o vittime della violazione dei propri diritti, delle quali sia venuto a conoscenza, avvia attività investigative, inchieste e indagini necessarie ad accertare lo stato in cui versa un minore al fine di prevenire la lesione della sua posizione soggettiva, esercita poteri ispettivi, che può attivare, senza obbligo di preavviso, in tutti i luoghi in cui siano ospitati dei minori, fra i quali gli istituti di accoglienza, di educazione e scolastici pubblici o privati, le case famiglia, le comunità, i luoghi di detenzione e gli ospedali, può chiedere tutte le informazioni riguardanti uno o più minori esistenti presso le pubbliche amministrazioni, nonché ottenere copia di tutti i documenti o gli atti che riguardano situazioni relative ai diritti dei minori, può udire liberamente un minore anche senza la presenza degli esercenti la potestà, la tutela o l’amministrazione di sostegno - previa emanazione di un provvedimento motivato da notificarsi agli interessati - può verificare le condizioni e gli interventi relativi all’accoglienza e all’inserimento dei minori stranieri anche non accompagnati. L’articolo 11 - prosegue il relatore - inerisce ai poteri di intervento in giudizio e di rappresentanza processuale del garante. Queste funzioni si sostanziano nella facoltà di rappresentare, in un giudizio penale o amministrativo, gli interessi dei minori, o anche nei procedimenti giudiziari che abbiano ad oggetto le condizioni di vita, il benessere, l’abitazione, lo stato e comunque la tutela di uno o più minori. Il sopracitato articolo 11 legittima inoltre il garante ad intervenire, nell’interesse ed in rappresentanza dei minori e su segnalazione di chiunque vi abbia interesse o del Tribunale, nel corso di procedure di separazioni giudiziali, nelle quali l’affidamento dei figli sia oggetto di contesa, attribuendo altresì allo stesso il potere di nominare, qualora risulti necessario nello svolgimento delle sue funzioni, tutori, curatori e rappresentanti di un minore. Al garante viene conferita la facoltà di avviare tutte le azioni e le procedure ritenute necessarie per la tutela dei diritti di un minore, privilegiando sempre, qualora possibile, la conciliazione bonaria dei conflitti. A tale figura spetta inoltre il compito di favorire, ove possibile ed in collaborazione con i Tribunali per i minorenni, la mediazione penale nei procedimenti in cui un minore sia parte. L’articolo 12 contiene una disposizione di delega alle regioni, relativamente alla regolamentazione dell’attività dei garanti regionali, mentre l’articolo 13 contempla poteri sostitutivi dell’Esecutivo, da attivarsi nel caso in cui entro un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge, il garante regionale non sia stato istituito presso tutte le regioni. L’articolo 14 - prosegue il relatore - istituisce presso il Garante Nazionale e presso ciascuno dei Garanti regionali le Commissioni consultive del garante, i cui membri sono costituiti da tre rappresentanti delle associazione di tutela dei diritti dei minori più rappresentative. Con l’articolo 15 viene istituita la Conferenza Nazionale dei Garanti, composta dal Garante nazionale e dai garanti regionali, nonché da dieci rappresentanti delle associazioni di protezione dei minori maggiormente rappresentative, designati dall’Osservatorio nazionale sull’infanzia e l’adolescenza. La Conferenza individua le linee generali di attuazione dei diritti dei minori, verifica il grado di attuazione dei diritti degli stessi a livello nazionale, esegue il censimento delle risorse istituzionali e del volontariato e ne verifica la capacità d’interazione, introduce forme di costante scambio di dati e di informazioni sulla condizione dei minori, predispone gli elenchi delle persone idonee e disponibili ad assumere la funzione di tutori e curatori speciali dei minori, curandone altresì la formazione continua e l’aggiornamento, elabora ed analizza proposte di legge che saranno poi presentate al Parlamento o al Governo dal Garante nazionale, esprime parare obbligatorio sulla relazione biennale prevista dalla lettera f) del secondo comma dell’art. 9 della presente legge. Il PRESIDENTE propone di assumere come testo base, per il prosieguo dei lavori, il testo unificato predisposto dal Comitato ristretto, illustrato dal relatore Mugnai. La Commissione conviene con tale proposta. Il seguito dell’esame è quindi rinviato. 118 SETTEMBRE - DICEMBRE 2004 DAL PARLAMENTO TESTO UNIFICATO PREDISPOSTO DAL COMITATO RISTRETTO PER I DISEGNI DI LEGGE NN. 1916, 2461, 2469, 2649 e 2703 Istituzione del Garante dei minori Art. 1 - Istituzione del Garante dei minori 1. In attuazione dei principi della Convenzione di New York sui diritti del fanciullo del 20 novembre 1989, resa esecutiva con legge 27 maggio 1991, n. 176, e della Convenzione Europea sull’esercizio dei diritti dei fanciulli, fatta a Strasburgo il 25 gennaio 1996 e resa esecutiva ai sensi della legge 20 marzo 2003 n. 77, è istituito il Garante nazionale dei minori (d’ora innanzi Garante nazionale). 2. Il Garante nazionale esercita l’attività di difesa dei diritti dei minorenni, avendo quale regola il loro superiore interesse. Svolge la sua attività su tutto il territorio nazionale, in piena autonomia di giudizio ed indipendenza funzionale ed amministrativa e non è soggetto ad alcuna forma di controllo gerarchico. Art. 2 - Garanti dei minori regionali 1. Le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, in attuazione delle Convenzioni internazionali citate all’articolo 1 ed in conformità con quanto disposto dalla presente legge, istituiscono con proprie leggi i garanti regionali dei minori, reperendo nei propri bilanci i fondi necessari a garantire le loro attività. 2. I Garanti dei minori istituiti ai sensi del primo comma operano, con riferimento al territorio di rispettiva competenza, in piena autonomia e senza vincoli di subordinazione gerarchica, mantenendo un rapporto paritetico di consultazione, di coordinamento e di collaborazione con il garante nazionale dei minori e con gli altri garanti regionali. 3. Il Garante nazionale provvede ad instaurare rapporti di collaborazione funzionale con i garanti regionali, finalizzati all’organizzazione dell’assistenza, difesa e promozione dei diritti dei minori in maniera omogenea sul territorio nazionale. A tal fine presso i suoi uffici è istituita una segreteria per il coordinamento delle azioni e delle ricerche dei garanti dei minori. Art. 3 - Requisiti per la nomina del Garante dei minori 1. Il Garante nazionale dei minori è scelto fra persone di specchiata moralità che siano in possesso di specifica e comprovata esperienza e competenza nelle materie inerenti la difesa dei diritti dei minori e della famiglia. 2. La carica di Garante dei minori è incompatibile con l’esercizio di qualsiasi incarico lavorativo subordinato, professionale o autonomo, e il Garante non può ricoprire cariche politiche, sindacali o associative. Qualora dipendente pubblico o privato il Garante, per tutta la durata del mandato, è collocato in aspettativa senza assegni e non può conseguire promozioni se non per anzianità. 3. Il Garante nominato dispone di trenta giorni per risolvere ogni eventuale situazione di incompatibilità esistente o insorta durante il suo mandato. 4. Il Presidente della Repubblica, con proprio decreto, dichiara l’avvenuta decadenza del Garante per mancata osservanza del disposto di cui al comma precedente. 5. Le regioni stabiliscono con legge i requisiti per la nomina dei garanti regionali, nel rispetto dei principi stabiliti nei commi precedenti. Art. 4 - Nomina del Garante Il Garante nazionale è nominato con Decreto dal Presidente della Repubblica, scelto tra tre nominativi sottopostigli d’intesa dai Presidenti della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica. Art. 5 - Durata del mandato del Garante 1. Il Garante nazionale ha un mandato di quattro anni, rinnovabile una sola volta. 2. Le regioni stabiliscono con legge la durata del mandato dei garanti regionali. 3. Il Garante nazionale può essere revocato, per gravi e comprovati motivi di ordine morale, con decreto del Presidente della Repubblica. Art. 6 - Ufficio del Garante nazionale 1. Il Garante nazionale nomina, con atto motivato, entro trenta giorni dall’insediamento, quattro collaboratori, di comprovata esperienza e competenza, che compongono, con lui, l’ufficio direzionale 119 DAL PARLAMENTO AIAF RIVISTA 3/2004 del Garante. Ai garanti collaboratori possono essere affidati specifici settori di competenza dell’Ufficio direzionale. Nella nomina dei collaboratori il Garante cura e garantisce che siano assicurate le competenze giuridiche, psicologiche, sociologiche, pedagogiche e sanitarie all’interno dell’ufficio direzionale. 2. I componenti dell’ufficio direzionale decadono con le dimissioni o la cessazione del mandato del Garante nazionale, pur restando temporaneamente in carica fino alla nomina del nuovo Garante. 3. Per i collaboratori valgono le medesime incompatibilità e condizioni di eleggibilità stabilite per il Garante nazionale. Art. 7 - Poteri del Garante Nazionale 1. Al Garante nazionale sono attribuiti dalla presente legge tutti i poteri necessari allo svolgimento delle proprie funzioni, tra i quali quelli ispettivi, di inchiesta, di sopralluogo, di interpello, e, nel corso di indagini inerenti il mancato rispetto di uno dei principi della Convenzione di New York sui diritti dell’Infanzia, quello di richiedere alle forze di polizia l’esecuzione di ispezioni presso gli uffici della Pubblica Amministrazione. 2. Il Garante può avvalersi, per lo svolgimento delle proprie funzioni, degli uffici e del personale dei servizi sociali dello Stato, delle Regioni e degli enti locali. Art. 8 - Organizzazione amministrativa del Garante Nazionale 1. Al Garante nazionale è riconosciuta una indennità di carica pari a quella spettante ai membri del Senato della Repubblica. Ai garanti collaboratori di cui all’art. 6 è riconosciuta una indennità pari all’80 per cento dell’indennità spettante al Garante nazionale. 2. Il Garante nazionale ha sede in Roma. 3. Alle dipendenze del Garante nazionale è posta una struttura amministrativa composta da dipendenti dello Stato e di altre amministrazioni pubbliche, collocati fuori ruolo, determinato nella misura di quaranta unità. Il Garante nazionale dispone altresì di una segreteria tecnica, formata da non più di 15 persone esperte nelle materie di cui alle attività dell’ufficio, assunte con contratto a termine di diritto privato. 4. L’organizzazione ed il funzionamento dell’ufficio, della segreteria tecnica e della struttura amministrativa del Garante nazionale sono stabiliti, entro sei mesi dalla nomina del primo Garante nazionale, con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro per la solidarietà sociale, sentito il Garante medesimo. 5. Il personale distaccato presso il Garante nazionale dei minori conserva il trattamento economico riconosciuto nelle amministrazioni di provenienza. 6. Ai dipendenti pubblici e privati della struttura amministrativa del Garante nazionale è riconosciuta la qualifica di pubblici ufficiali; sono vincolati dal segreto d’ufficio sulla documentazione da loro visionata e sulle situazioni personali di cui vengono a conoscenza nello svolgimento delle loro funzioni. 7. Le spese di funzionamento dell’ufficio del Garante nazionale, nonché quelle della sua struttura amministrativa e tecnica sono a carico del bilancio dello Stato. Art. 9 - Funzioni pubbliche del Garante dei minori 1. Al Garante, al fine di salvaguardare e tutelare i bisogni, i diritti e gli interessi dei minori anche solo temporaneamente presenti sul territorio nazionale, sono attribuite le seguenti funzioni, che esercita nell’ambito territoriale di propria competenza: a) vigilare sulla attuazione dei principi inerenti i diritti e gli interessi dei minori sanciti dalla Costituzione della Repubblica, dalle Convenzioni Internazionali, dalle normative dell’Unione Europea e dalle leggi nazionali e regionali; b) favorire la diffusione e la promozione dei diritti dei minori sviluppando la conoscenza dei diritti e dei principi indicati dalla Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia e dei suoi Protocolli opzionali; c) fornire consulenze e pareri al Parlamento, al Governo o agli enti che amministrano il territorio di sua competenza, circa le iniziative anche legislative, gli atti e le decisioni che possono influire sui diritti dell’infanzia; d) esprimere un parere motivato obbligatorio sul Piano nazionale di azione e di interventi per la tutela dei diritti e lo sviluppo dei soggetti in età evolutiva e su ogni altro strumento di politica nazionale per l’infanzia; e) segnalare al Comitato delle Nazioni Unite sui diritti dell’Infanzia istituto dalla Convenzione di New 120 SETTEMBRE - DICEMBRE 2004 DAL PARLAMENTO York del 20 novembre 1989, ogni violazione dei diritti dei minori avvenuta nel territorio nazionale; f) raccogliere dati e avviare progetti di ricerca sulla situazione dei minori e la tutela dei loro diritti; g) inoltrare raccomandazioni ad ogni autorità competente, al fine di assicurare la conformità delle loro azioni e disposizioni al superiore interesse dei minori; h) intervenire sulle questioni attinenti i minori trattate dagli organi legislativi ed amministrativi, promuovendo emendamenti e riforme all’esclusivo fine di armonizzare la legislazione del territorio di sua competenza, le politiche e le prassi amministrative nazionali e locali, con le convenzioni sui diritti dell’infanzia; i) promuovere la partecipazione dei minori nelle questioni e decisioni che li riguardano; j) mantenere costanti rapporti di consultazione e collaborazione con tutti gli organismi nazionali ed internazionali, le associazioni, le ONG e gli enti locali o funzionali che si occupano, anche incidentalmente, della promozione e della tutela dei diritti dei minori; k) cooperare con i servizi sociali, con le amministrazioni regionali e locali, e con tutte le associazioni e gli organismi che lo richiedano, al fine di avviare programmi di assistenza tecnica per il sostegno, il recupero e la tutela di minori in situazione di disagio; l) ricorrere alle Commissioni e ai Tribunali per la tutela dei diritti umani al fine di segnalare ogni presunta violazione dei diritti dei minori; m) promuovere con le Università e gli Istituti di ricerca pubblici e privati, corsi di laurea, scuole specialistiche, master, insegnamenti, seminari, ricerche, studi, borse di studio e quant’altro possa servire alla diffusione della cultura dei diritti dei minori. 2. Il Garante nazionale: a) provvede ogni anno alla convocazione dei garanti regionali, al fine di confrontare le diverse esperienze e di coordinare le linee di azione per il biennio successivo; b) partecipa alle riunioni dell’Osservatorio nazionale sull’infanzia e l’adolescenza e collabora con lo stesso e con il Centro Nazionale di Documentazione e Analisi per l’Infanzia e l’Adolescenza di Firenze; c) esercita le funzioni previste dall’art. 12 della Convenzione Europea sull’esercizio dei diritti dei fanciulli; d) è membro del Comitato interministeriale di coordinamento per la lotta alla pedofilia (CICLOPE) costituito presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento per le pari opportunità; e) produce studi, rapporti e relazioni, provvedendo alla loro pubblicazione e diffusione presso i principali organi di informazione; f) presenta ogni due anni al Parlamento e al Governo una relazione sulla propria attività, che contiene altresì proposte di iniziative da adottare per promuovere e incrementare la tutela dei diritti dell’infanzia e il miglioramento delle condizioni dei minori. Art. 10 - Funzioni di indagine, ispettive e di controllo Il Garante, nell’interesse dei minori, dispone dei poteri necessari per svolgere le seguenti attività: a) prendere in esame denunce, segnalazioni e reclami relativi a violazioni dei diritti di minori o relative a minori in situazione di rischio di violazione dei propri diritti, pervenutegli sotto qualsiasi forma o presentategli direttamente da qualsiasi persona fisica, sia maggiorenne che minorenne, o da qualsiasi ente o persona giuridica, provvedendo altresì a segnalare i casi ai garanti regionali territorialmente competenti per le determinazioni necessarie; b) prendere in esame, al fine di provvedere alla loro soluzione o alla segnalazione agli uffici competenti, situazioni di minori a rischio di violazione dei propri diritti, o vittime della violazione dei propri diritti, delle quali sia venuto a conoscenza; c) avviare e svolgere investigazioni, inchieste e indagini necessarie ad accertare lo stato in cui versa un minore, al fine di prevenirne la violazione dei diritti; d) ispezionare, senza obbligo di preavviso, tutti i luoghi in cui siano ospitati dei minori, fra i quali gli istituti di accoglienza, di educazione e scolastici pubblici o privati, le case famiglia, le comunità, i luoghi di detenzione e gli ospedali, ed ottenere da questi, senza indugio e alcun onere economico, tutta la documentazione di cui faccia richiesta; e) chiedere tutte le informazioni riguardanti uno o più minori esistenti presso le pubbliche amministrazioni, organismi, enti o persone giuridiche nonché ottenere senza indugio copia di tutti i documenti o gli atti che riguardano situazioni relative ai diritti dei minori; f) udire liberamente un minore. Qualora ritenga di dover operare senza la presenza degli esercenti la potestà, la tutela o l’amministrazione di sostegno, il garante emette un provvedimento motivato da 121 DAL PARLAMENTO AIAF RIVISTA 3/2004 notificarsi agli interessati. Qualora il minore ne faccia richiesta egli può essere assistito da un legale o da una persona di sua fiducia; g) verificare le condizioni e gli interventi relativi all’accoglienza e all’inserimento dei minori stranieri anche non accompagnati. 2. Il Garante, al fine di tutelare i diritti di un minore, può disporre, attraverso i funzionari del proprio ufficio, ovvero anche attraverso i funzionari dei servizi sociali degli enti locali, che vengano effettuate indagini e ispezioni. Art. 11 - Intervento in giudizio del garante e suoi poteri di rappresentanza processuale 1. Il garante dei minori, nel territorio di propria competenza, può esercitare le seguenti attività: a) rappresentare, in un giudizio penale o amministrativo, gli interessi dei minori; b) rappresentare gli interessi dei minori nel corso di procedimenti civili, penali e amministrativi, che abbiano ad oggetto le condizioni di vita, il benessere, l’abitazione, lo stato e comunque la tutela di uno o più minori. Ciò può avvenire anche indipendentemente dall’azione intrapresa dai genitori, in quei procedimenti nei quali l’interesse del minore possa essere in contrasto o in concorrenza con quello da essi rappresentato; c) intervenire, nell’interesse ed in rappresentanza dei minori e su segnalazione di chiunque vi abbia interesse o del Tribunale, nel corso di separazioni giudiziali nel quale l’affidamento dei figli sia oggetto di contesa di controversa soluzione; d) nominare, quando risulta necessario nello svolgimento delle sue funzioni, tutori, curatori e rappresentanti di un minore; e) avviare tutte le azioni e le procedure ritenute necessarie per la tutela dei diritti di un minore, privilegiando sempre, qualora possibile, la conciliazione bonaria dei conflitti. Qualora esse possano avere implicazioni giudiziarie, tali procedure devono svolgersi in collaborazione con le autorità competenti; f) favorire, ove possibile ed in collaborazione con i Tribunali per i minorenni, la mediazione penale nei procedimenti in cui un minore sia parte. Art.12 - Delega alle regioni 1.Le regioni, nel regolamentare l’attività dei garanti di propria competenza, determineranno: a) l’articolazione territoriale della sede del garante regionale; b) l’organizzazione degli uffici del garante; c) i requisiti professionali del personale addetto agli uffici del garante, prevedendo anche forme di formazione ed aggiornamento continuativo nelle materie di competenza del garante stesso; d) le modalità di funzionamento degli uffici e gli orari minimi di apertura al pubblico degli stessi; e) i compensi per il garante regionale; f) i procedimenti di nomina del garante regionale. Art. 13 - Poteri sostitutivi 1. Qualora, decorso un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge, il garante non sia stato istituito presso tutte le regioni, il Presidente del Consiglio dei Ministri, provvede ad assegnare alla regione inadempiente un termine di tre mesi per provvedere. 2. Decorso inutilmente il termine ultimo di cui al comma precedente, il Governo, sentito il presidente della regione inadempiente, è delegato ad emanare entro i tre mesi successivi, uno o più decreti legislativi per l’istituzione del Garante regionale nel rispetto dei principi delineati dalla presente legge. 3. In caso di esercizio del potere sostitutivo le disposizioni resteranno in vigore fino alla data di entrata in vigore della legge regionale. Art. 14 - Commissione consultiva del Garante 1. Presso il Garante Nazionale e presso ciascuno dei Garanti regionali sono istituite le Commissioni consultive del garante. 2. Sono membri della Consulta tre rappresentanti delle associazioni di tutela dei diritti dei minori maggiormente rappresentative. 3. La composizione è stabilita dal Garante con proprio regolamento da emettersi entro sei mesi dalla prima nomina. 4. La Commissione, che si riunisce almeno una volta l’anno, ha il compito di esprimere pareri, consulenze e suggerimenti nell’interesse dei minori al fine di migliorare l’attività del garante. 122 SETTEMBRE - DICEMBRE 2004 DAL PARLAMENTO Art. 15 - Conferenza Nazionale dei Garanti 1. È istituita la Conferenza nazionale dei Garanti dei minori, con sede presso il Garante nazionale. 2. La Conferenza è composta dal Garante nazionale e dai garanti regionali. 3. Sono membri della Conferenza dieci rappresentanti delle associazioni di protezione dei minori maggiormente rappresentative, designati dall’Osservatorio nazionale sull’infanzia e l’adolescenza. 4. La Conferenza svolge le seguenti funzioni: a) individua le linee generali di attuazione dei diritti dei minori; b) verifica il grado di attuazione dei diritti dei minori a livello nazionale; c) esegue il censimento delle risorse istituzionali e del volontariato e ne verifica la capacità d’interazione, anche individuando specifiche ed interessanti forme di sperimentazione; d) individua forme di costante scambio di dati e di informazioni sulla condizione dei minori; e) predispone gli elenchi delle persone idonee e disponibili ad assumere la funzione di tutori e curatori speciali dei minori, curandone altresì la formazione continua e l’aggiornamento; f) elabora ed analizza proposte di legge che saranno poi presentate al Parlamento o al Governo dal Garante nazionale ai sensi dell’art. 9 comma 1 lettera h); g) esprime parere obbligatorio sulla relazione biennale prevista dalla lettera f) del secondo comma dell’art. 9 della presente legge. Art. 16 - Copertura finanziaria 1. All’onere derivante dall’attuazione della presente legge, valutato in 40 milioni di Euro annui, si provvede mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 2004-2006, nell’ambito dell’unità revisionale di base di parte corrente “Fondo speciale” dello stato di previsione del Ministero dell’Economia e delle Finanze per l’anno 2004, allo scopo parzialmente utilizzando l’accantonamento relativo al medesimo Ministero. 2. Il Ministro dell’economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni. PERICOLOSA E NON CONDIVISIBILE L’ATTRIBUZIONE AL GARANTE DEI MINORI DI POTERI DI INTERVENTO GIUDIZIARIO, PER RAPPRESENTARE IL MINORE, IN SOSTITUZIONE DEI GENITORI Il testo unificato del ddl in materia di Garante dei minori, approvato dalla Commissione infanzia del Senato attribuisce al Garante una molteplicità di poteri e compiti, in diversi ambiti… o meglio in tutti gli ambiti possibili… un potere decisamente eccessivo! Concordo con Livia Pomodoro, Presidente del Tribunale per i Minorenni di Milano, che in occasione di un incontro a Milano su questo tema, alla presenza dell’On.le Antonino Caruso, Presidente della Commissione Giustizia del Senato, ha affermato che “non giova a nessuno continuare a parlare di difensore dei minori, curatore dei minori e garante dei minori, se non ci indicano le competenze di ciascuno e in che modo potrebbero davvero aiutare il minore”, e se è vero che “il minore nel processo ci deve essere, è nel processo che vanno tutelati i suoi diritti, mentre l’aiuto al minore deve essere assicurato dal welfare”. Il testo unificato invece riconosce al Garante (che “svolge la sua attività su tutto il territorio nazionale, in piena autonomia di giudizio ed indipendenza funzionale ed amministrativa e non è soggetto ad alcuna forma di controllo gerarchico”) anche funzioni processuali, potendo persino costituirsi parte civile in procedimenti penali che abbiano, quale oggetto, reati compiuti contro uno o più minori; nominare tutori e curatori di minori; conferire incarichi di difesa processuale dei minori (anche se non vi è stata limitazione della potestà genitoriale!); intervenire in procedimenti civili che abbiano ad oggetto i diritti, le condizioni di vita, il benessere, lo stato e la tutela di uno o più minori, qualora i genitori o gli aventi diritto non abbiano esercitato l’azione, ovvero qualora l’interesse del minore sia in possibile contrasto con quello dei genitori (ma chi lo stabilisce?); intervenire, nell’interesse ed in rappresentanza dei minori e su segnalazione di chiunque vi abbia interesse, nei giudizi di separazione e divorzio giudiziali nei quali l’affidamento dei figli sia oggetto di contesa (inammissibile ingerenza nella vita delle famiglie, su segnalazione di generici terzi estranei… a salvaguardia di chi? Del minore? O non piuttosto di un concetto di famiglia perfetta-soggetto superpartes che annienta anche i diritti dei singoli e la potestà dei genitori?). Decisamente troppo… Urge chiarezza e un richiamo ai confini tracciati dalla Costituzione tra le competenze e i poteri della pubblica amministrazione e quelli attribuiti alla magistratura, ricordando che le limitazioni dei diritti e delle libertà dei cittadini, e della potestà genitoriale, spettano, laddove sussistano i gravi motivi previsti dalla legge, esclusivamente all’autorità giudiziaria Milena Pini 123 DAL PARLAMENTO IL GARANTE DEI MINORI E LA POSSIBILITÀ DI RAPPRESENTANZA DEI MINORI ETTORE BUCCIERO* L a nascita del nuovo istituto del garante dei minori sta occupando le attività della Commissione da me presieduta. È stata mia intenzione fin dal momento in cui ho presentato, insieme al Collega Antonino Caruso, un disegno di legge in materia, evitare la nascita di un istituto prettamente politico, dai compiti e con un ruolo di mera rappresentanza politica degli interessi dei minori. La discussione che è nata nei mesi scorsi in Commissione Infanzia del Senato e nei convegni a cui ho preso parte mi ha convinto che non dovevamo fermarci ad un garante di facciata, ma dovevamo cogliere l’occasione per provare a ridisegnare la presenza del minore e dei suoi interessi non solo nei palazzi della politica, ma anche nei luoghi ove si decide il futuro di singoli bambini, la cui voce resta troppo spesso inascoltata. IL TESTO UNIFICATO DEL DDL IN MATERIA DI GARANTE DELL’INFANZIA. UNA PRIMA ANALISI MARCO SCARPATI* 124 L a predisposizione, da parte della Commissione infanzia del Senato (Relatore il senatore Mugnai) del testo unificato del ddl in materia di Garante dell’infanzia, ha comportato un importante salto di qualità nel dibattito sulla difesa dei diritti dei minori. La base del disegno risente grandemente del testo AIAF RIVISTA 3/2004 È proprio per questo che, anche a seguito degli incontri con alcuni garanti stranieri che ci hanno stimolato nell’ipotizzare la possibilità di un intervento processuale dei garanti, abbiamo deciso di prevedere nella legge che il garante possa assumere ruoli di rappresentanza dei minori nei processi che li riguardano. Quello che stiamo andando a disegnare (e che si sta delineando nel testo unificato predisposto dal collega senatore Mugnai e approvato dal comitato ristretto) è un garante di assoluta indipendenza, libero di rappresentare in ogni sede l’interesse dei minori e che, se del caso, può rappresentare tale interesse anche nelle sedi giudiziarie ove esso rischia di essere vulnerato. Un garante che rappresenti non solo l’interesse generale dei minori, ma, proprio nella corretta interpretazione della Convenzione di New York del 1989, possieda le capacità di dare corpo a tale interesse anche nei casi di singoli minori la cui voce, oggi, è spesso assente nei procedimenti che li riguardano. Una scommessa certamente difficile e che chiede un impegno non solo della politica, ma anche di ognuno degli attori del processo, dal giudice all’avvocato. È per questo che spero che i colleghi avvocati, ed in particolare modo i colleghi dell’AIAF, vogliano aiutarci con critiche e suggerimenti, nelle scelte legislative che ci attendono. * Presidente della Commissione speciale infanzia del Senato della Repubblica del ddl a firma Bucciero e Antonino Caruso, presidenti rispettivamente delle Commissioni Infanzia e Giustizia del Senato, pur contenendo gran parte delle prerogative che gli altri DDL avevano prospettato. Il Garante (la scelta di questo nome non è dovuta solo al fatto che esso appare nella maggioranza dei disegni di legge presentati, ma piuttosto dalla volontà di delineare una figura nuova, difensore sia dei diritti dei minore collettivamente considerati che dell’interesse di ogni singolo minore) si contraddistingue per una presenza sia nazionale che regionale. La scelta territoriale è stata certamente dettata dalla necessità di permettere che il Garante possa difendere i diritti dei minori in maniera capillare, attraverso strutture territoriali fra loro autonome e indipendenti, ma ugualmente collegate e coordinate. Al Garante nazionale è riconosciuta ampia autonomia sia funzionale che territoriale e non è gerarchicamente sottoposto ad alcun organo dello SETTEMBRE - DICEMBRE 2004 Stato. È nominato dal Presidente della Repubblica, che lo sceglie sulla base di una rosa di tre nomi segnalatigli dai Presidenti dei due rami del Parlamento e dura in carica per quattro anni, rinnovabili una sola volta. La persona nominata deve avere alti e riconosciuti requisiti professionali nella materia della difesa dei diritti dei minori e non può ricoprire incarichi politici di alcun tipo. Egli appena nominato, dovrà a sua volta designare i membri dell’ufficio direzionale del garante (complessivamente altre 4 persone) avendo attenzione a coprire, con tali nomi, tutti i campi di attività del suo ufficio (e cioè quello giuridico, medico, psicologico, pedagogico e sociologico). La grossa novità sta nei poteri che gli vengono assegnati. Egli ha poteri ispettivi, di inchiesta, di sopralluogo, di interpello, e, anche se limitatamente alle indagini inerenti il mancato rispetto di uno dei principi della Convenzione di New York sui diritti dell’Infanzia, quello di richiedere alle forze di polizia l’esecuzione di ispezioni presso gli uffici della Pubblica Amministrazione. Inoltre al Garante sono riconosciute svariate funzioni di intervento nella predisposizione di atti normativi, di atti amministrativi e, in generale, gli sono affidati poteri di controllo ed ispettivi nella materia dei diritti dei minori, oltre a poter organizzare corsi universitari e a stimolare la formazione permanente nei temi che caratterizzano la sua attività. Di grosso interesse anche le funzioni processuali che sono riconosciute a tutti i garanti, nell’ambito territoriale di competenza. Durante le audizioni parlamentari, infatti, i garanti stranieri uditi avevano sottolineato l’importanza di assegnare al garante anche tali funzioni, proprio per evitare che le sue capacità di intervento si scontrassero con la necessità di dover contare sulle collaborazioni con organismi che non sempre, nella pratica, hanno voglia e capacità di coordinarsi con lui. Da questo una serie di funzioni che portano a delineare un nuovo ruolo del minore nei processi che lo riguardano. Se la prima stesura destava alcune perplessità dovute alla vaghezza delle previsioni, a correggere tale possibile errore ha pensato il Presidente della Commissione, sen. Bucciero che ha presentato alcuni emendamenti che delineano con maggiore precisione il ruolo processuale del Garante (soprattutto avendo riguardo ai procedimenti civilistici). Innanzitutto il garante può impugnare, avanti alla giustizia amministrativa, provvedimenti ed atti della Pubblica Amministrazione che possono ledere i diritti e gli interessi dei minori, e costituirsi parte civile in procedimenti penali che DAL PARLAMEMTO abbiano, quale oggetto, reati compiuti contro uno o più minori. Se necessario alle sue funzioni egli può nominare tutori e curatori di minori. Ancora: il DDL prevede di conferire al Garante anche funzioni di difesa processuale dei minori. Egli può intervenire, nell’interesse dei minori, nel corso di procedimenti civili, che abbiano ad oggetto i diritti, le condizioni di vita, il benessere, lo stato e la tutela di uno o più minori, qualora i genitori o gli aventi diritto non abbiano esercitato l’azione, ovvero qualora l’interesse del minore sia in possibile contrasto con quello dei genitori. Il DDL specifica che qualora sia prevista dalla legge la costituzione in giudizio del minore con un proprio difensore, al garante è possibile il solo intervento ad adiuvandum. Il Garante, nell’interesse ed in rappresentanza dei minori e su segnalazione del Tribunale o di chiunque vi abbia interesse, può anche intervenire nel corso di separazioni giudiziali nel quale l’affidamento dei figli sia oggetto di contesa di controversa soluzione. Il DDL prevede la costituzione di organi consultivi e di coordinamento dell’attività dei garanti oltre alla possibilità di esercizio di poteri sostitutivi da parte del Governo nazionale nel caso di inerzia delle regioni nella costituzione degli organismi di garanzia regionali. Fabio Lo Surdo, * Presidente ECPAT-Italia Underground (dedicato a Italgas, Telecom, Fastweb etc…) chine e oro in foglia su carta, cm.58x77 2004 125 DAL PARALAMENTO AIAF RIVISTA 3/2004 DIFESA D’UFFICIO NEI GIUDIZI CIVILI E MINORILI In data 15 luglio 2004 la Commissione Giustizia della Camera ha approvato il DDL 4294/A sulla difesa di ufficio nei giudizi civili e minorili e modifica del 336 e 337 c.c. In data 16 luglio è stato trasmesso al Senato, e assegnato (S. 3048) alle Commissioni riunite 2ª (Giustizia), Commissione speciale in materia d’infanzia e di minori in sede referente SENATO DELLA REPUBBLICA XIV LEGISLATURA N. 3048 DISEGNO DI LEGGE presentato dal Ministro della giustizia (CASTELLI) (V. Stampato Camera n. 4294) approvato dalla Camera dei deputati il 15 luglio 2004 Trasmesso dal Presidente della Camera dei deputati alla Presidenza il 16 luglio 2004 Disciplina della difesa d’ufficio nei giudizi civili minorili e modifica degli articoli 336 e 337 del codice civile in materia di procedimenti davanti al tribunale per i minorenni Art. 1. 1. Nei procedimenti di cui alla legge 4 maggio 1983, n. 184, e successive modificazioni, nei quali siano interessate più parti private, queste non possono stare in giudizio se non con il ministero o l’assistenza di un avvocato. Nell’avviso di cui al comma 2 dell’articolo 10 della legge 4 maggio 1983, n. 184, e successive modificazioni, oltre l’invito a nominare un difensore di fiducia e l’avvertimento che in mancanza il difensore sarà nominato d’ufficio, deve essere contenuta una succinta informazione in ordine alle condizioni per l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato previste dagli articoli 74, 76 e 77 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, con l’avvertenza che, ove non ricorrano le condizioni per tale ammissione, le parti hanno L’AIAF esprime una valutazione fortemente critica del DDL 4294/A sulla difesa di ufficio nei giudizi civili e minorili e modifica del 336 e 337 c.c., l’obbligo di retribuire il difensore nominato d’uffiapprovato in data 15 luglio 2004 dalla Commissione Giustizia della Camera. cio. Con lo stesso atto è nominato al minore un I commenti critici al DDL espressi dall’AIAF, dal Prof. Avv. Andrea Proto curatore speciale che lo rappresenta, a titolo graPisani, Ordinario di Diritto Processuale Civile presso l’Università di Firen- tuito, per ogni grado e per ogni fase del giudizio e ze, dal Dott. Gustavo Sergio, Procuratore della Repubblica presso il Tribuper tutte le eventuali procedure connesse. nale per i minorenni di Venezia, dal Prof. Avv. Alberto Figone, docente all’Università di Genova, sono pubblicati sul Quaderno n.2/04, pubblica- 2. Le parti private possono chiedere al giudice to come supplemento al n° 2/2004 della Rivista, che riporta gli Atti del competente, anche al fine di promuovere i giudizi di Convegno tenutosi a Cagliari sul tema “IL GIUDICE E LA PERSONA: fami- cui alla legge 4 maggio 1983, n. 184, e successive glia, individui, relazioni”, aggiornato con l’esame e le valutazioni critiche modificazioni, l’ammissione al patrocinio a spese dei più recenti testi di proposte legislative in materia di famiglia e minori. dello Stato. Il giudice decide ai sensi dell’articolo 126 SETTEMBRE - DICEMBRE 2004 DAL PARLAMENTO 74, comma 2, del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115. 3. La scelta del difensore d’ufficio è effettuata tra gli avvocati iscritti in uno specifico elenco predisposto dal locale Consiglio dell’Ordine degli avvocati, ha efficacia dal momento della nomina e viene meno automaticamente con la comunicazione della parte al giudice della nomina di un difensore di fiducia. 4. La nomina del difensore d’ufficio è valida per ogni grado e per ogni fase del giudizio e per tutte le eventuali procedure, comunque connesse. 5. Per quanto non previsto dal presente articolo si applicano le disposizioni stabilite dal testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, e successive modificazioni, in quanto compatibili. Art. 2. 1. L’articolo 336 del codice civile è sostituito dal seguente: «Art. 336. (Forma della domanda, udienza di comparizione e provvedimenti urgenti). – I provvedimenti di cui agli articoli precedenti sono chiesti con ricorso al giudice competente. Il ricorso può essere proposto anche verbalmente innanzi al presidente del tribunale, il quale provvede a fare redigere processo verbale. Il ricorso o il processo verbale deve contenere: 1) l’indicazione dell’ufficio giudiziario; 2) il nome, il cognome, la residenza o il domicilio eletto del ricorrente nella circoscrizione del giudice adito; 3) l’oggetto della domanda, con concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto che ne costituiscono fondamento; 4) l’indicazione dei mezzi di prova, e in particolare l’indicazione del nome e del cognome delle persone informate dei fatti, nonché dei documenti che si offrono in comunicazione. Il presidente, entro tre giorni dal deposito del ricorso o dalla redazione del processo verbale, nomina il giudice istruttore, fissa l’udienza di comparizione delle parti davanti a questo e nomina al minore che ne sia privo un curatore speciale che lo rappresenta, a titolo gratuito, in ogni stato e grado del giudizio e in ogni eventuale procedura comunque connessa. Tra la data del deposito del ricorso o della redazione del processo verbale e l’udienza di comparizione non devono intercorrere più di quaranta giorni. Su istanza motivata del ricorrente, detto termine può essere ridotto alla metà. Il ricorso o il processo verbale, unitamente al decreto di fissazione dell’udienza, deve essere notificato ai controinteressati, entro cinque giorni dalla data di pronuncia del decreto. Tra la data di notificazione e quella dell’udienza di comparizione deve intercorrere un termine non minore di quindici giorni. In caso di urgenza, anche anteriormente alla proposizione del ricorso, il presidente può adottare provvedimenti temporanei, immediatamente esecutivi tenuto conto dell’interesse del minore. Con il decreto mediante il quale fissa la comparizione delle parti ai sensi dell’articolo 669-sexies del codice di procedura civile, il presidente nomina un curatore speciale del minore, a cui il decreto è comunicato dalla cancelleria. Il curatore speciale rappresenta il minore a titolo gratuito». Art. 3. 1. L’articolo 337 del codice civile è sostituito dal seguente: «Art. 337. (Legittimazione e difesa). – La legittimazione attiva spetta al pubblico ministero, ai genitori, ai parenti entro il quarto grado e alle persone che hanno rapporti significativi con il minore. La legittimazione passiva spetta al pubblico ministero, ai genitori, al minore e alle persone che hanno rapporti significativi con il minore. Le parti private non possono stare in giudizio se non con il ministero o con l’assistenza di un avvocato. Le parti private possono chiedere, in qualsiasi momento, anche prima della proposizione del ricorso, al giudice competente, l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato. Qualora il ricorrente non abbia nominato un difensore di fiducia, il presidente, con il provvedimento di cui al secondo comma dell’articolo 336, nomina un difensore d’ufficio. Con successivo decreto il presidente nomina ai controinteressati un difensore d’ufficio qualora gli stessi, costituitisi, non abbiano provveduto alla nomina di un difensore di fiducia. Contestualmente alla nomina del difensore d’ufficio, il presidente informa le parti, a pena di nullità, delle condizioni per l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, previste dagli articoli 76 e 77 del 127 DAL PARLAMENTO AIAF RIVISTA 3/2004 testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, avvertendole che, ove non ricorrano le condizioni per tale ammissione, hanno l’obbligo di retribuire il difensore nominato d’ufficio. La scelta del difensore d’ufficio è effettuata tra gli avvocati iscritti in uno specifico elenco predisposto dal locale Consiglio dell’Ordine degli avvocati, ha efficacia dal momento della nomina e viene meno automaticamente con la comunicazione della parte al giudice della nomina di un difensore di fiducia. La nomina del difensore d’ufficio è disposta, con le stesse modalità di cui ai commi precedenti, in ogni altro caso in cui un soggetto acquista la qualità di parte nel corso del procedimento. La nomina del difensore d’ufficio è valida per ogni grado e per ogni fase del giudizio e per tutte le eventuali procedure, comunque connesse. Per quanto non previsto dal presente articolo si applicano le disposizioni stabilite dal testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, e successive modificazioni, in quanto compatibili». Art. 4. 1. Dopo l’articolo 337 del codice civile sono inseriti i seguenti: «Art. 337-bis. – (Costituzione delle parti). – Le parti si costituiscono depositando in cancelleria il ricorso o il processo verbale e il decreto di fissazione dell’udienza, con la relazione di notificazione, unitamente alla procura, oppure presentando tali documenti al giudice in udienza. Art. 337-ter. – (Procedimento). – All’udienza di prima comparizione il giudice, verificata l’avvenuta notifica e la regolare instaurazione del contraddittorio, con ordinanza, conferma o revoca i provvedimenti adottati dal presidente. La mancata conferma comporta la inefficacia dei medesimi. Nel corso del giudizio, il giudice, nell’interesse del minore, può adottare, con ordinanza, provvedimenti provvisori, dichiarandoli immediatamente esecutivi in caso di urgenza. Tali provvedimenti sono modificabili e revocabili in corso di causa dallo stesso giudice che li ha pronunciati e perdono efficacia con la pronuncia della sentenza di cui all’articolo 337-quinquies, terzo comma. Avverso i provvedimenti provvisori pronunciati in corso di causa dal giudice può essere proposta, entro quindici giorni dalla loro comunicazione, istanza di modifica o di revoca al collegio di cui fa parte il giudice che li ha pronunciati; il collegio decide, con ordinanza, entro sessanta giorni, sentite le parti; l’ordinanza deve essere depositata in cancelleria entro venti giorni dalla decisione ed è notificata d’ufficio alle parti private e comunicata al pubblico ministero nel testo integrale. Il giudice procede anche d’ufficio nella ricerca delle prove e decide nell’esclusivo interesse del minore, anche indipendentemente e in difformità rispetto alle richieste formulate dalle parti. Il giudice, se ammette delle prove d’ufficio, avverte, sotto pena di nullità, le parti della data della loro assunzione, salvo che, in relazione all’oggetto della prova o alla personalità del soggetto da escutere, il giudice ritenga che la presenza delle parti stesse possa influire sulla genuinità della prova. Per gli stessi motivi, il giudice può disporre l’allontanamento delle parti precedentemente ammesse. L’esistenza di sommarie informazioni ottenute dal giudice, nonché delle relazioni del servizio sociale, deve essere comunicata immediatamente alle parti, le quali hanno il diritto di prenderne visione, di estrarne copia e di replicare nel termine perentorio di quindici giorni dalla comunicazione. L’acquisizione al fascicolo processuale di qualsiasi informazione, atto o documento deve essere immediatamente comunicata alle parti le quali hanno il diritto di prenderne visione, di estrarne copia e di replicare nel termine perentorio di quindici giorni dalla comunicazione. Il giudice può disporre che sia sottoposta al vincolo del segreto l’indicazione del luogo in cui il minore si trova. Se viene disposta consulenza tecnica d’ufficio, alle parti deve essere comunicata, a pena di nullità, la data dell’inizio delle relative operazioni, avvertendole della possibilità di nominare propri consulenti. Il giudice, con decreto motivato, vieta la conoscenza di atti e documenti acquisiti al processo, non rilevanti ai fini della decisione, in presenza di un grave pregiudizio per il minore o per i terzi. Art. 337-quater. (Audizione del minore). – Il minore che abbia compiuto gli anni dodici ed eventualmente il minore di età inferiore, in considerazione della sua capacità di discernimento, deve essere sentito e il giudice deve prendere in considerazione la sua opinione, tenendo conto dell’età e del suo grado di maturità. Il giudice può disporre che il minore sia sentito con audizione protetta, in locali a ciò idonei, anche fuori dell’ufficio giudiziario, e che la medesima, oltre che verbalizzata, sia registrata con mezzi audiovisivi. Art. 337-quinquies. (Decisione e ricorso). – Terminata la fase istruttoria e di trattazione, il giudice 128 SETTEMBRE - DICEMBRE 2004 DAL PARLAMENTO rimette la causa al collegio, fissa, non oltre sessanta giorni, la data dell’udienza collegiale e ne dà avviso alle parti, le quali possono, entro dieci giorni dalla comunicazione dell’avviso, chiedere la discussione orale davanti al collegio. Fino a cinque giorni prima dell’udienza le parti hanno facoltà di depositare memorie difensive. Qualora una delle parti ne faccia richiesta, il collegio può assegnare un termine non superiore a venti giorni per le memorie e un successivo termine di dieci giorni per le repliche. Esaurita la discussione, il collegio trattiene la causa in decisione. La sentenza che definisce la causa e che può essere dichiarata immediatamente esecutiva è depositata in cancelleria nel termine di quindici giorni dall’udienza, ovvero dalla scadenza del termine per il deposito delle memorie di replica ed è notificata d’ufficio nel testo integrale al pubblico ministero e alle parti del giudizio. Le parti possono proporre ricorso dinanzi alla sezione per i minorenni della corte d’appello, entro il termine di trenta giorni dalla notificazione della sentenza. Il ricorso deve essere sottoscritto dalla parte personalmente e non può essere fondato su motivi di legittimità non dedotti in primo grado, salve le ipotesi di nullità assoluta. Se vi sono ragioni di urgenza, le sentenze pronunciate in primo e in secondo grado possono essere dichiarate immediatamente esecutive d’ufficio o su richiesta di parte. Al giudizio in grado di appello si applicano le disposizioni dettate per il giudizio di primo grado, in quanto compatibili. Avverso la sentenza pronunciata in grado di appello, le parti possono proporre ricorso per cassazione entro il termine di trenta giorni dalla notificazione. La sentenza divenuta definitiva può essere modificata o revocata per circostanze sopravvenute ovvero per motivi non conosciuti nel precedente giudizio. Art. 337-sexies. – (Vigilanza). – Sull’osservanza delle condizioni stabilite per l’esercizio della potestà e per l’amministrazione dei beni vigila uno dei componenti del collegio che le ha adottate delegato dal collegio stesso. Art. 337-septies. – (Esecuzione). – L’esecuzione dei provvedimenti ha luogo, d’ufficio, con le modalità stabilite dal giudice che li ha pronunciati. L’esecuzione delle ordinanze è curata da uno dei componenti togati del collegio che le ha pronunciate delegato dal collegio stesso. Il giudice incaricato per l’esecuzione può essere coadiuvato da un esperto, può pronunciare i provvedimenti necessari, anche di modifica delle modalità esecutive, e può sospendere l’esecuzione rimettendo in tale caso gli atti al collegio. Art. 337-octies. (Poteri dei difensori). – In tutti i procedimenti previsti dagli articoli 330 e seguenti, i difensori, di fiducia o d’ufficio, possono compiere e ricevere, nell’interesse delle parti, tutti gli atti del processo che non sono espressamente riservati alle parti stesse». 2. Dall’attuazione del presente articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri per il bilancio dello Stato. Art. 5. 1. Ai procedimenti disciplinati dalla legge 4 maggio 1983, n. 184, e successive modificazioni, nonché ai relativi giudizi di opposizione, pendenti alla data di entrata in vigore della presente legge, continuano ad applicarsi le disposizioni processuali vigenti anteriormente alla data di entrata in vigore del decreto-legge 24 aprile 2001, n. 150, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 giugno 2001, n. 240. 2. Ai procedimenti di cui all’articolo 336 del codice civile pendenti alla data di entrata in vigore della presente legge continuano ad applicarsi le disposizioni processuali vigenti anteriormente alla data di entrata in vigore del decreto-legge 24 aprile 2001, n. 150, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 giugno 2001, n. 240. Art. 6. 1. Per quanto non previsto dalla presente legge si applicano le disposizioni del codice di procedura civile, in quanto compatibili. Art. 7. 1. La presente legge entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale. 129 FORMAZIONE E INIZIATIVE AIAF SICILIA - MESSINA CORSO DI FORMAZIONE ED AGGIORNAMENTO PROFESSIONALE SUL DIRITTO DI FAMIGLIA FEBBRAIO – LUGLIO 2005 PROGRAMMA (IN 18.2.2005 Avv. Francesco Marullo e Docente scuola siciliana di servizio sociale Questioni di etica e di deontologia professionale nei giudizi inerenti le relazioni familiari. Metodologia e ruolo del servizio sociale. 4.3.2005 Avv. Luisella Fanni - Operatore Ce.S.V. di Messina Psicologo Asl 5 di Messina Procedimento civile davanti al Tribunale per i Minorenni. Ablazione e limitazione della potestà genitoriale (aspetti processuali e tecniche difensive). Affidamento. Adozione ed affido – presupposti ed impugnazione. Il ruolo del volontariato nella promozione dell'affidamento familiare (l'esperienza di Messina). 23.3.2005 Avv. Milena Pini Responsabilità civile nelle relazioni familiari. FASE DI DEFINIZIONE) 29.4.2005 Dott.ssa Rose Galante Mediazione di conflitti in una prospettiva psicodinamica. Famiglia disturbata e famiglia traumatizzata (casi pratici e tecniche operative). Il ruolo dell’avvocato. 6.5.2005 Prof. Avv. Michele Sesta e Dott. Felice Lima La legge sulla procreazione assistita e la coerenza al dettato costituzionale. (primo vaglio giurisprudenziale). 27.5.2005 Avv. Marina Marino e Docente Facoltà di Scienze Politiche indirizzo giuridico Diritto internazionale privato e relazioni familiari. Sottrazione di minori. Sentenza di nullità ecclesiastica e rapporti tra coniugi. Matrimoni tra persone di nazionalità diverse. 16.6.2005 Avv. Gian Ettore Gassani e Operatore scuola di formazione Giustizia minorile presso il Tribunale per i minorenni di Messina Crisi familiare e tutela penale (ordine di protezione maltrattamenti e abusi - inosservanza degli obblighi). Specialità del procedimento penale minorile. 1.4.2005 Dott.ssa Gloria Servetti Assegno di mantenimento e divorzile (natura e funzione criteri di quantificazione- accertamento dei redditi e dei patrimoni (casi pratici e tecniche difensive). Profili previdenziali. Tutele post divorzio. Tutela. Misure cautelari ed esecutive. Assegnazione della casa coniugale . 1.7.2005 Modificabilità dei provvedimenti (casi pratici e tecniche Avv. Manuela Cecchi difensive). Amministratore di sostegno. Tutela della persona (tutela, Anna Galizia Danovi curatela, emancipazione). Affidamento e mantenimento del minore ( congiunto ed esclusivo). Ascolto del minore. Curatore del minore. Tutela ed esecuzione dei provvedimenti. (Casi pratici e 7.7.2005 tecniche difensive). Prof. Dott. Giacomo Oberto e Notaio M.F.Puglisi Famiglia di fatto. Tutela ed autonomia negoziale dei coniugi. I contratti della crisi coniugale. Separazione di fatto. Profili 15.4.2005 tributari e fiscali. (casi pratici e tecniche operative). Prof. Avv. Alberto Figone Filiazione naturale – riconoscimento e dichiarazione giudiziale di paternità e maternità. Profili medico legali. (attività istruttoria e tecniche difensive). Per le iscrizioni : Avv. Cinzia Fresina - Responsabile AIAF SICILIA - Messina Viale Regina Elena 137 Messina - Tel. 090 363500 130 FORMAZION E INIZIATIVE SETTEMBRE - DICEMBRE 2004 AIAF LOMBARDIA COLLABORAZIONE CON LA CAMERA TRIBUTARIA DI E CON IL PATROCINIO DELL'ORDINE DEGLI AVVOCATI DI IN MILANO MILANO CORSO QUESTIONI FISCALI NEI PROCEDIMENTI DI DIRITTO DI FAMIGLIA LA LETTURA DELLA DICHIARAZIONE DEI REDDITI E L’INDIVIDUAZIONE DEL REDDITO APRILE - GIUGNO 2005 MILANO, VIA FRANCESCO SFORZA, 23 - AULA MAGNA DELL'UFFICIO DEL GIUDICE DI PACE PROGRAMMA 13 aprile 2005 - ore 14.30 Inaugurazione del corso con la partecipazione di Avv. Paolo Giuggioli, Presidente Ordine degli Avvocati di Milano Avv. Patrizio Tumietto, Presidente Camera Tributaria di Milano Avv. Milena Pini, Presidente AIAF LOMBARDIA Norme generali sulla dichiarazione dei redditi. Identificazione dei dati anagrafici del soggetto passivo d'imposta - Oneri deducibili. Lettura relativo quadro di dichiarazione. - Lettura del quadro di liquidazione d'imposta e individuazione del reddito dichiarato. Reddito dei fabbricati. Lettura del quadro di dichiarazione e problematiche connesse. Avv. Luciana Tullia Bertoli, Camera Tributaria di Milano Il Modello CUD Avv. Caterina Lattuada, Camera Tributaria di Milano 18 maggio 2005 ore 14.30 La richiesta all'Agenzia delle Entrate di copia della dichiarazione dei redditi, dei contratti di compravendita e locazione. - Comparazione fra rendita catastale e valore di mercato. - Accertamento da parte dell'Agenzia delle Entrate, in particolare nei casi di interposizione fittizia. Poteri dell'Ufficio Dott. Donato Serini, Dirigente dell'Agenzia delle Entrate, Milano Le indagini reddituali e patrimoniali su richiesta del Tribunale Col. Federico D'Andrea, Guardia di Finanza di Milano 20 aprile 2005 - ore 14.30 Questioni fiscali inerenti beni immobili - I soggetti passivi 8 giugno 2005 ore 14.30 dell'ICI e problematiche connesse. Il reddito d'impresa. Identificazione del reddito nell'ambito di Dott.ssa Silvia Brandodoro, Dirigente del Comune di Milano società di capitali. Linee generali di orientamento nella I trasferimenti immobiliari, in ambito di separazione e lettura di un bilancio per Srl e Spa divorzio. Avv. Patrizio Tumietto, Presidente Camera Tributaria di Milano Notaio Dott. Domenico Cambareri, Presidente Associazione Gli accertamenti patrimoniali e reddituali della Guardia di Sindacale Notai Lombardia Finanza. Poteri e ambiti di operatività. Risultati 4 maggio 2005 ore 14.30 conseguibili Lettura dei quadri relativi a redditi di partecipazione, redditi Col. S.T. Dott. Giancarlo Pezzuto, Capo Ufficio Addestramento di capitale, redditi di lavoro dipendente, redditi di lavoro e studi Polizia Tributaria della Guardia di Finanza autonomo, reddito d'impresa delle persone fisiche. Identificazione del reddito dichiarato nell'ambito di impresa individuale, impresa familiare, società di persone, azienda coniugale. Avv. Luciana Tullia Bertoli, Camera Tributaria di Milano Il corso è riservato agli Avvocati, con un massimo di 80 partecipanti Quota di partecipazione: euro 450,00 + IVA. Soci AIAF (in regola con la quota 2005): euro 350,00 + IVA LE ISCRIZIONI DEVONO ESSERE EFFETTUATE ENTRO L’8 APRILE 2005 mediante bonifico bancario sul c/c 20899 intestato a AIAF LOMBARDIA - Cin T - ABI 01005 - CAB 01603, e successiva comunicazione del bonifico e della scheda di iscrizione (da richiedere via fax o scaricare dal sito internet www.aiaf-avvocati.it/lombardia), e da inviare alla segreteria AIAF LOMBARDIA via fax al n. 02 29535945 Ai partecipanti verrà rilasciato un attestato di frequenza, purché presenti per l'intera durata del Corso Galleria Buenos Aires 1, 20124 Milano - tel. 02.29531352 o fax 02.29ÿ535945 web: www.aiaf-avvocati.it/lombardia - email: [email protected] 131 FORMAZIONE E INIZIATIVE AIAF RIVISTA 3/2004 AIAF ABRUZZO CONSIGLIO DELL'ORDINE DEGLI AVVOCATI DI PESCARA FONDAZIONE "FORUM ATERNI" LA TUTELA PENALE DEL MINORE PESCARA, APRILE-MAGGIO 2005 TRIBUNALE DI PESCARA - SALA “E. ALESSANDRINI” Sabato 2 aprile 2005 Introduzione: Avv. Mariacarla Serafini, Presidente Regionale AIAF Abruzzo 1) Reati sessuali ed abuso: corruzione di minore, violenza sessuale, prostituzione minorile, pornografia minorile. Dott. Nicola Trifuoggi, Procuratore della Repubblica di Pescara Sabato 9 aprile 2005 2) Maltrattamenti, abuso dei mezzi di correzione, sottrazione di minore, abbandono di minore, violazione degli obblighi di assistenza familiare. Dott. Angelo Bozza, Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Pescara Sabato 16 aprile 2005 3) Il procedimento penale: Audizione protetta e incidente probatorio. Attività investigativa di riscontro. Tecniche di valutazione della attendibilità del minore. Misure provvisorie nell’interesse del minore. Dott.ssa Paola Ortolan, Procuratore della Repubblica di Milano Sabato 30 aprile 2005 4) L’assistenza del minore e la difesa tecnica: Il difensore e il curatore speciale del minore dopo la legge n. 77/2003. Rapporti tra difensore e servizi sociali. Mediazione penale. Avv. Ada Odino, Avvocato in Genova Sabato 7 maggio 2005 5) Le misure di protezione del minore vittima di abusi familiari: La misura cautelare dell’allontanamento dalla casa familiare ex art. 282 c.p.p. I provvedimenti di competenza del Tribunale dei minori. Gli ordini di protezione contro gli abusi familiari disposti dal giudice civile. Avv. Franca Mina, Avvocato in Torino Il presente corso è valido per l’iscrizione nell’Albo degli Avvocati d’Ufficio. 132 IN LIBRERIA STEFANIA CREMA, FABIO ROIA LA TUTELA DELL'INFANZIA EDIZIONI UNICOPLI, OTTOBRE 2004 Parlare oggi di violenza ai minori, nelle sue varie tipologie di maltrattamento fisico, psicologico, trascuratezza e abuso sessuale, significa perfezionare e affinare le conoscenze di diverse discipline, per garantire una efficace multi- e interdisciplinarietà nella tutela di bambini vittime di violenza. Significa porre in campo una sinergia di interventi per attuare azioni di prevenzione, di individuazione precoce delle situazioni a rischio, di rapida ed efficace presa in carico delle situazioni familiari difficili e di protezione del bambino. L'esperienza, la sperimentazione di prassi di intervento, l'integrazione tra professionisti di ambito giuridico e psico-sociale applicata a numerosi casi giudiziari, sono alla base di questo volume che costituisce un utile strumento di lavoro per coloro che intervengono nella vicenda familiare dell'abuso sessuale e/o fisico commesso su un minore. Il testo è suddiviso in due parti. La prima, ad opera di Stefania Crema, avvocato, criminologa e docente universitaria, raccoglie la normativa nazionale e internazionale sulla tutela dell'infanzia, che viene esposta e commentata dall'Autrice. Fabio Roia, magistrato, pubblico ministero della Procura di Milano, che da anni si occupa di reati di abuso, sfruttamento e maltrattamenti commessi in danno di minori, è invece l'autore della seconda parte, che approfondisce il tema della violenza domestica sotto il profilo sostanziale e processuale. Particolarmente interessante e utile risulta la parte pratica dedicata alle tecniche di investigazione per riconoscere i segnali di disagio del minore abusato e alle varie fasi delle indagini (audizione del minore in sede di incidente probatorio, consulenza tecnica medico-legale-ginecologica, accertamento psicologico-psichiatrico), da cui emerge l'esperienza, la competenza e la sensibilità di Roia nella trattazione di questi casi giudiziari. 133 AIAF RIVISTA 3/2004 Adriana Ciciliani, 48 anni Le finestre del cuore 12 passe-partout recuperati di cm.42,5x32,5 134 AIAF COME ADERIRE ALL’AIAF ED ABBONARSI ALLA RIVISTA Potranno essere soci dell’AIAF tutti gli avvocati, regolarmente iscritti all’ordine di appartenenza, che esercitano la professione con continuità o prevalentemente nel settore del diritto di famiglia e dei minori. [Statuto, art. 3] La quota associativa per l’anno 2005 è di Euro 130,00 e dà diritto a partecipare alle iniziative AIAF oltre che a ricevere annualmente: Z numeri di AIAF - Rivista dell’Associazione Italiana degli Avvocati per la Famiglia e per i minori 3 2 Z numeri di AIAF - Quaderni, un ampio e qualificato approfondimento sui temi più attuali. Z CD-ROM, che raccoglie l’archivio con tutti i numeri arretrati della rivista dal 1999 ed i nuovi quaderni con i testi completi dei vari contributi, nonché gli indici per numero, per autore, per tipologia. 1 I soci riceveranno tutti i prodotti a partire dalla data di iscrizione e fino al n° 1 della rivista dell’anno successivo. La richiesta di iscrizione va presentata contattando il responsabile regionale o distrettuale competente per territorio (l’elenco completo è riportato in fondo). Ora anche chi non è socio può ordinare i nostri prodotti editoriali: Z Abbonamento annuale ad AIAF - Rivista dell’Associazione Italiana degli Avvocati per la Famiglia e per i minori (3 numeri della rivista + 2 numeri dei quaderni + 1 CD-ROM AIAF) EURO 90,00 Z Acquisto del CD-ROM con l’archivio storico della Rivista EURO 30,00 (spese di spedizione incluse) Si può sottoscrivere l’abbonamento oppure ordinare il CD-ROM: Z Compilando il modulo online disponibile sul sito www.aiaf-avvocati.it Z Compilando il modulo in calce ed inviandolo via fax alla redazione della rivista È possibile effettuare il pagamento mediante bonifico bancario sul conto corrente bancario dell’AIAF Nazionale (indicato in calce). Per dettagli e aggiornamenti sulle proposte: www.aiaf-avvocati.it Modulo di sottoscrizione/prenotazione - riservato ai non-soci da inoltrare a: Redazione AIAF (Direttore avv. Milena Pini - fax: 02.29535945) [il modulo può essere anche compilato online sul sito www.aiaf-avvocati.it] Cognome e Nome / Nome Ente _____________________________________________________________________ Indirizzo ______________________________________________________________________________________ CAP___________ Città __________________________________________________________________________ Professione ____________________________________________________________________________________ Dati per l’eventuale fatturazione: Intestazione ____________________________________________________________________________________ Indirizzo ______________________________________________________________________________________ CAP___________ Città _____________________________________ p.IVA _______________________________ Ho effettuato il pagamento complessivo di Euro _____ mediante bonifico bancario (di cui allego copia) a favore dell’AIAF sul conto corrente: BBAN F 03002 03390 000001195930 AIAF AIAF AIAF RIVISTA 3/2004 AIAF - ORGANI STATUTARI Consiglio di Presidenza Marino Marina (rappresentante legale) Fanni Luisella Dionisio Antonio Comitato Direttivo Centrale Presidenti delle sezioni regionali: Abruzzo: Calabria: Campania - Napoli: Campania - Salerno: Emilia Romagna: Friuli Venezia Giulia: Lazio: Liguria: Lombardia: Marche: Piemonte: Sardegna: Sicilia: Toscana: Umbria: Veneto: Serafini Maria Carla Mendicino Stefania Delcogliano Erminia Gassani Gian Ettore Fabj Ada Valeria Montemurro Maria Marino Marina Figone Alberto Pini Milena Pelamatti Cagnoni Anna Scolaro Antonina Fanni Luisella D’Agata Remigia Cecchi Manuela Tiburzi Maria Rita Sartori Alessandro viale Leopoldo Muzii 100, 65123, Pescara; tel 085.4214275, fax 085.4229715; [email protected] via del mare, 88040, Lamezia Terme (CZ); tel. 0968.51003; [email protected] via Scipione Capece 3/c, 80121, Napoli; tel. 081.640726 - 0824.312909 corso Vittorio Emanuele 203, 84122 Salerno; tel. e fax 089.220254; [email protected] via Garibaldi 5, 40124, Bologna; tel 051.581706, fax 051.581329; [email protected] via Nazario Sauro 3, 33100, Udine; [email protected] viale Mazzini 9 -11, 00195, Roma; tel 06.3202351, fax 06.3202345; [email protected] piazza Leonardo da Vinci, 2/3, 16146 Genova; tel 010.367908, fax 010.367908 Galleria Buenos Aires 1, 20124, Milano; tel 02.29525195, fax 02.29531352; [email protected] via Calatafimi 2, 60121, Ancona; tel 071.202108, fax 071.200972; [email protected] corso Re Umberto 28, 10128, Torino; tel 011.5617102, fax 011.5617188; [email protected] via Deledda 39, 09127, Cagliari; tel.070.663904, fax 070.663904; [email protected] via Eleonora d’Angiò 2, 95125, Catania; tel 095.505305, fax 095.508660; [email protected] via Bonifacio Lupi 14, 50129, Firenze; tel 055.494284, fax 055.486912; [email protected] viale Indipendenza, 06124, Perugia; tel 075.5726151, fax 075.5726151; [email protected] via Dominutti 20, 37135, Verona; tel 045.8011711, fax 045.8002752; [email protected] Componenti eletti: Abram Daniela Alessio Franca Bet Enrico Bond Lorenza Cacco Maria Paola Dama Rosanna De Strobel Gabriella Dionisio Antonio Geraci Diego Macis Valentina Maggiano Liana Marcucci Carla Marinucci Anna Mirto Caterina Montano Maria Gigliola Morandi Nicoletta Pacciarini Anna Maria Pomarici Costanza Quattrone Mirella via Barberia 14, 40100 Bologna; tel. 051.583338 via Roma 45, 22053, Lecco; tel 0341.282181, fax 0341.286164; [email protected] p.zza della Vittoria 11/16, 16121, Genova; tel 010.5959159-010.580117, fax 010.5760014; [email protected] via D’Azeglio 27, 40123, Bologna; tel 051.6486123, fax 051.6565579 via Longhin 121, 35129, Padova; tel 049.774276, fax 049.776909; [email protected] viale Costituzione Is.G/1, 80143, Napoli; tel 081.7879271, fax 081.7879274 via Santa Chiara 15, 37129, Verona; tel 045.594301, fax 045.8011023 c.so Vittorio Emanuele 92, 10121 Torino; tel. 011.5613742, fax 011.5613982; [email protected] via D’Annunzio 62, 95129 Catania; tel. 095.552183, fax 095.445011; [email protected] via Rossini 61, 09128, Cagliari; tel.070.41082, fax 070.485101; [email protected] via Assarotti 10/18, 16122 Genova; tel. 010.8313041, fax 010.816805; [email protected] via Francesco Carrara 28, 55100 Lucca; tel. 0583.495616, fax 0583.490484; [email protected] piazza Duomo 11 / B, 07100, Sassari; tel e fax 079.235548; [email protected] via Agrigento 61, 90141, Palermo; [email protected] piazza Benamozegh 17, 57123, Livorno; tel 0586.891084, fax 0586.899857; [email protected] viale Carso 51, 00195, Roma; tel. 06.3720292, fax 06.37352806; [email protected] via Marconi 3, 06012 Città di Castello (PG); tel. 075.8554434, fax 075.8554434; [email protected] via Lucrezio Caro 38, 00193, Roma; tel 06.3244839, fax 06.32609700 via Varese 67, 22100, Como; tel 031.272461, fax 031.271647; [email protected] Collegio dei probiviri Ferraris Giovanna Lupo Marina Pozzi Angela 136 via Manzoni 3, 21100, Varese; tel 0332.234601, fax 0332.835255; email [email protected] corso Italia 29, 50123 Firenze; tel. 055.286207, fax 055.2645821; [email protected] via Rubbiani 1, 40124, Bologna;tel 051.580096, fax 051.580759