da questo indirizzo - Solidarietà Famiglia

Il Trauma, Il Distrbo post
traumatico da stress,
progettazione di una risposta
Dr.ssa Maria Pia Chirizzi
INDICE
INTRODUZIONE....................................................................... 4
CAPITOLO I: EVOLUZIONE STORICA DEL CONCETTO DI TRAUMA
1. CENNI STORICI……………………………………………………………………...10
2. EVOLUZIONE DEL CONCETTO DI TRAUMA IN PSICHIATRIA………12
3. IL CONCETTO DI TRAUMA………………………………………………………19
4. SEGNALI TIPICI DI TRAUMA PSICHICO……………………………………24
CAPITOLO II: IL DISTURBO POST-TRAUMATICO DA STRESS
1. L’INSORGENZA DEL DPTS COME CATEGORIA DIAGNOSTICA……28
2. diagnosi e clinica del DPTs……………………………………………….31
3. EPIDEMIOLOGIA E FATTORI DI RISCHIO E PROTETTIVI
DEL DPTS……………………………………………………………………………..39
4. LA FISSAZIONE SUL TRAUMA………………………………………………..43
5. L’ESPERIENZA INTERNA NEI TRAUMI PSIChICI E NELLO STRESS
POST- TRAUMATICO……………………………………………………………….48
1
CAPITOLO III: TRAUMA,DISSOCIAZIONE E NEUROBIOLOGIA DEL
DPTS
1. TRAUMA E DISSOCIAZIONE
1.1 RULO DEL SISTEMA DI ATTACCAMENTO NELLA RISPOSTA ai
TRAUMI…………………………………………………………………………….......... 54
1.2 DISSOCIAZIONE ED ELABORAZIONE NEL DPTs……………………….59
2. NEUROBILOGIA DEL DPTS
2.1 fisiologia della RISPOSTA AL PERICOLO………………………….70
2.2 aspetti neurobilogici del dpts E MEMORIA……………………..72
Capitolo iv: un approccio generale al trattamento
Del dpts
1. Principi fondamentali del trattamento..............................78
2. terapie e trattamenti specifici per il dpts..........................84
- I trattamenti di stampo cognitivo-comportamentale
84
- EMDR (Eye movement desensitisation and reprocessing)
87
- la terapia psicofarmacologica
88
Capitol v: progettazione di una risposta psicosociale al
disastro
1. Le risposte psicosociali al disastro..................................... 91
2. L’AqUILA: RISULTATI PRELIMINARI DELLO STUDIO
Passi-cometes sulle conseguenze a medio termine
della popolazione dopo il terremoto del 6 aprile 2009….. 95
3. IL PROGETTO “SI PUÒ fARE”:...........................................................100
Conclusioni………………………………………………………………….112
2
RONGRAZIAMENTI………………………………………………………….114
BIBLIOGRAFIA………………………………………………………………..115
<< Da quel momento in avanti ci saranno nella tua vita un “prima” e un “dopo”.
“Prima” che capitasse questo evento probabilmente credevi che il mondo fosse giusto e
che tutto avesse un significato. “Dopo”, di colpo, senti di non avere più il controllo
della tua vita e di ciò che capita intorno a te. Ti senti vulnerabile e il tuo mondo non è
più sicuro. È difficile dare un senso a quello che verrà: il significato della vita che era
presente solo pochi attimi prima non c’è più, nulla è più giusto né equo>>.
F. Cagnoni, R. Milanese “Cambiare il passato. Superare le esperienze traumatiche con la terapia strategica.”
3
INTRODUZIONe
Usando una definizione, apparentemente razionale, possiamo definire il
trauma come “azione interrotta”1. Un’azione interrotta in una situazione di
pericolo per la vita, nella quale dobbiamo assolutamente agire, ma di
fronte alla quale non siamo in grado d’intervenire, per motivi interni o
esterni, e diveniamo prigionieri della situazione di pericolo. Ma almeno
interiormente tentiamo tutto ciò che esternamente appare impossibile.
Mobilitiamo numerose riserve di energia. Una cascata di neurormoni ci
permette addirittura di diventare insensibili al dolore nel giro di breve
tempo. Le nostre sensazioni cambiano, la percezione temporale si prolunga
e frazioni di secondi possono diventare, nella percezione interna, minuti o
addirittura ore. Così, molte vittime di trauma, si ritrovano a fare i conti con
un nuovo modo di percepire la realtà. I sopravvissuti ad una catastrofe si
1
G. Fischer, Nuove vie per uscire dal Trauma, Primo soccorso per combattere gravi stress psichici, ediz. Del Cerro,
2009, pag. 16.
4
sentono come se avessero visto un altro mondo. Un impatto che sembra
aprire uno spartiacque tra il <<prima>> e il <<dopo>>, quasi fosse impossibile
ricreare un continuum nella propria esistenza. Non è un caso infatti che
molte vittime di esperienze estremamente dolorose ripetano la stessa frase:
Non siamo e non saremo mai più gli stessi>>. E, ascoltando molti cittadini
<<
aquilani e persone che hanno vissuto direttamente l’esperienza traumatica
del Terremoto del 6 Aprile 2009, me compresa, sembra sia stata vissuta
proprio questa sensazione: la consapevolezza che tutto ciò che prima
avevamo considerato sicuro e scontato può improvvisamente cambiare,
non c’è più nessuna garanzia e certezza.
Ogni volta che parliamo di trauma psicologico, ci riferiamo alle
manifestazioni psichiche di un’esperienza particolarmente negativa (in una
circostanza, ambito o relazione) da cui derivano una disorganizzazione e
una disregolazione del sistema psicobiologico della persona. La
consistenza e il grado di questa specifica esperienza dipendono dalla
vulnerabilità e dalla resilienza individuale e, pertanto, la reazione psichica
ai traumi è prevalentemente soggettiva.
Il trauma psicologico è una reazione psichica – da intendere come una
ferita causata da un fattore traumatico (stressor) – che comporta
primariamente l’essere sopraffatti da emozioni molto dolorose e
intollerabili, e tutto il coinvolgimento della persona per poterle gestire.
Disorientamento, perdita del controllo , comportamento di fuga , sono gli
scenari del disagio traumatico. Questi scenari possono risolversi e
scomparire, apparentemente, continuando tuttavia ad avere conseguenze
psicopatologiche nel comportamento e nella personalità, oppure, diventare
5
permanenti nella sofferenza dei sintomi significativi del Disturbo Posttraumatico da Stress (DPTS) e del Disturbo Acuto da Stress (DAS).
Le manifestazioni psicopatologiche di un’esperienza traumatica possono
derivare da ognuno o da entrambi i seguenti stressors:
- da un evento stressante e di natura violenta (morte, lesioni, minacce
all’integrità fisica e psicologica);
- da una serie di microtraumi relazionali avvenuti nelle prime fasi dello
sviluppo emotivo (separazioni precoci, maltrattamento, trascuratezza
psicologica, carenza di sintonizzazione affettiva), che si sono
stabilmente ripetuti nel tempo, compresa l’adolescenza.
In questo mio elaborato la prima parte è dedicata all’evoluzione storica
del concetto di Trauma, interpretando il DPST come risultante di una
complessa interconnessione di processi psicologici, biologici e sociali, che
varia a seconda del livello di maturità di chi subisce il trauma, nonché
della durata di esposizione al trauma stesso, e alla storia del Trauma in
Psichiatria. In particolare lo studio delle risposte emotive ai disastri ha
avuto inizio con le osservazioni sulla più antica calamità non naturale: la
guerra. Durante la Guerra Civile si riteneva che le vittime di traumi
soffrissero di “nostalgia”. Un gran numero di soldati riferiva sintomi come
debolezza diffusa, palpitazioni e dolore toracico. I medici usavano termini
come “cuore da soldato”, “cuore irritabile”, e “sindrome da affaticamento”
per descrivere quelle che ritenevano condizioni biologiche derivanti dallo
stress fisico subito dai soldati. Nelle prime guerre di questo secolo i medici
osservarono un insieme di sintomi correlati all’esposizione ad eventi
traumatici. Successivamente, durante la Seconda Guerra Mondiale, i
medici usavano comunemente termini come “shock da proiettile”, “fatica
6
da battaglia” e “nevrosi di guerra” per descrivere i soldati che lamentavano
affaticamento, spossatezza ed ansia; il termine “thousand-mile stare” era
usato per descrivere il soldato di fanteria esausto sull’orlo del collasso.
Lo studio di altri eventi disastrosi cominciò da queste osservazioni e, lo
sviluppo di strumenti diagnostici standardizzati, ha poi facilitato la
realizzazione di studi controllati sistematici sul DPTS in un’ampia gamma
di popolazione colpite da eventi traumatici e disastri.
Nella seconda parte si fa riferimento allo sviluppo del DPTS come entità
diagnostica nella terminologia psichiatrica, avvenuto nel 1980. La diagnosi
di DPTS ha ridato vigore all’idea che molti sintomi <<nevrotici>> non siano
la conseguenza di qualche misteriosa irrazionalità a base genetica, ma
siano invece la conseguenza dell’incapacità delle persone di risolvere
esperienze reali che hanno sconvolto la loro capacità di reazione2. Da un
certo punto di vista, un’esperienza non esiste fino a quando non può essere
nominata e collocata entro categorie più vaste. Aver riconosciuto la
categoria diagnostica del DPTS è stato un primo passo fondamentale che
ha reso possibile dare un nome agli effetti delle esperienze più dolorose sul
corpo e sulla psiche, aprendo così lo spazio per la ricerca sistematica di
come le persone si trovino a essere sconvolte dal trauma, di come individui
diversi organizzino il ricordo di tragiche esperienze nel corso del tempo, e
di come sia possibile alleviare le loro sofferenze.
Nel terzo capitolo si farà riferimento alla correlazione del trauma cronico
con i disturbi dissociativi, le somatizzazioni e una grande varietà di
comportamenti autolesionisti (per es. disturbi alimentari, tentativi di
2
Bessel A. van der Kolk, Alexander C. McFarlane, Lars Weisaeth, “Stress traumatico. Gli effetti sulla mente, sul corpo e
sulla società delle esperienze intollerabili”, ediz. Ma.Gi srl, 2004, pag. 20.
7
suicidio,…). Inoltre vi è una forte relazione tra trauma e su come questo
coinvolga il Sistema Nervoso Centrale, coinvolto nell’integrazione della
percezione, della memoria e dell’attivazione (arousal), nonché l’impatto di
queste strutture cerebrali sui pattern dell’elaborazione delle informazioni
del DPTS. Alcune ricerche sugli individui traumatizzati hanno dimostrato
che i ricordi traumatici sono qualitativamente diversi dai ricordi di eventi
comuni, e che l’amnesia può coesistere con ricordi estremamente intense.
Alcuni ricercatori hanno studiato in che modo il trauma influenza la
capacità
dell’individuo
di
percepire
e
assimilare
un’esperienza
insopportabile: l’eccitamento e le risposte dissociative durante il trauma
inducono la frammentazione dell’esperienza3.
Il quarto capitolo farà riferimento ai trattamenti e alle diverse teorie sul
DPTS. L’obiettivo generale della terapia di un paziente traumatizzato è
aiutarlo a passare da una condizione in cui si sente perseguitato dal passato
e in cui interpreta l’emergere di stimoli emozionali come una
riproposizione del trauma, a una condizione in cui è pienamente presente
nell’hic et nunc, capace di far fronte alle necessità del momento sfruttando
appieno il suo potenziale. L’elemento fondamentale della psicoterapia del
DPTS è l’assimilazione dell’inaccettabile, dell’incomprensibile e del
terrificante. Il trauma deve essere personalizzato come un aspetto integrato
della propria storia personale.
L’ultimo capitolo valuterà l’importanza di un supporto sociale in fase di
intervento avuto per cercare di ridurre il disagio nei sopravvissuti a un
disastro. A tal proposito si farà riferimento all’esperienza terrificante che
3
Bessel A. van der Kolk, Alexander C. McFarlane, Lars Weisaeth, “Stress traumatico. Gli effetti sulla mente, sul corpo e
sulla società delle esperienze intollerabili”, ediz. Ma.Gi srl, 2004, pag. 3-5.
8
ha vissuto la città dell’Aquila la notte del 6 aprile 2009, esponendo i
risultati di una ricerca sulle conseguenze a medio termine sullo stato di
salute della popolazione Aquilana (Studio Passi-CometeS, 2011). E infine,
farò riferimento alla mia esperienza come “Operatore di Prossimità”, in un
progetto finanziato dal Fondo dell’Osservatorio Nazionale per il
Volontariato – Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali (ex legge
266/1991), ideato dall’Associazione Solidarietà Famiglia Onlus L’Aquila.
CAP. I
EVOLUZIONE STORICA DEL
CONCETTO DI TRAUMA
9
1. CENNI STORICI
Il concetto di trauma è un concetto antico che fin dalla fine del XIX
secolo ha sfidato gli operatori della salute mentale; eventi notevoli o
vissuti come tali, erano in grado di provocare profondo disagio
nell’individuo colpito. Verso la fine del XIX sec. il neurologo Oppenheim
iniziò a parlare di “nevrosi traumatica” per spiegare una serie di reazioni
psicologiche e fisiche quali paralisi e amnesie. L’avvento dei trasporti di
massa nell’epoca vittoriana portò alla comparsa di disastri a essi legati;
risposte sintomatiche che sembravano eccessive per un incidente venivano
spiegate come effetti di un danno diretto alla colonna vertebrale e nacque
così il concetto di “railway spine”. Ben presto, tuttavia, l’idea di trauma
come lesione organica andò dissolvendosi. La nevrosi traumatica non era
una “vera” malattia bensì una specie di “messa in scena” del paziente che
sperava di ottenere un risarcimento. Sulla scia di questa concezione, anche
l’incremento delle reazioni post traumatiche tra i soldati della prima guerra
mondiale, venne tradotto nel desiderio di quest’ultimi di allontanarsi dal
10
fronte. Il termine “nevrosi traumatica” lasciò il posto a quello di “nevrosi
di guerra”4.
Nel 1915 Charles Samuel Myers, psichiatra militare britannico, fu il
primo ad utilizzare il termine “shock da granata” nella letteratura medica e
ad affermare che dal momento che questa veniva riscontrata anche in
soldati mai esposti al fuoco, le cause erano puramente emotive, scartando
così l’ipotesi di un’origine organica del disturbo. Enfatizzò inoltre la
somiglianza tra lo shock da granata e l’isteria.
Tra il 1909 e il 1911 Edouard Stierlin, psichiatra svizzero, condusse due
ricerche su vittime del terremoto di Messina del 1908 e di un disastro
minerario nel 1906 da cui rilevò come una proporzione sostanziale di
vittime sviluppava sintomi post traumatici duraturi. Per esempio, in
seguito al terremoto di Messina, in cui persero la vita 70.000 abitanti, il
25% dei superstiti rimase affetto da disturbi del sonno e incubi. Stierlin
attribuì l’origine di tali sintomi alle emozioni violente vissute dalle vittime
durante questi eventi. Affermò inoltre che la “nevrosi traumatica” è l’unico
complesso di sintomi psicogeni per il quale non è necessaria una
predisposizione psicopatologica. Tale ipotesi fu oggetto di discussione con
Kraepelin che considerava poco frequente e atipica la nevrosi traumatica
che aveva come origine la paura vissuta dal soggetto.
Tra la fine dell’800 e gli inizi del ‘900 un gruppo di studiosi alla
Salpetriere condussero una serie di studi sull’origine dell’isteria ed in
particolare sul rapporto tra isteria e traumi sessuali subiti dal paziente
nell’infanzia, con la conseguente polemica sui “falsi ricordi”, il rifiuto
4
Vedi www.airplivorno.com “Il concetto di disturbo post-traumatico da stress in età evolutiva e il ruolo dei processi
mnestici”.
11
dell’origine traumatica dell’isteria e l’individuazione della simulazione e
della suggestionabilità come basi dell’isteria5.
2. EVOLUZIONE DEL CONCETTO DI TRAUMA IN psichiatria
In ambito psicoanalitico, tra le varie posizioni, predominava l’idea di
trauma interno: la causa delle nevrosi traumatiche risiedeva nei conflitti
intrapsichici profondi dell’individuo. Autori come Sandor Ferenczi,
tuttavia, si discostarono da questa teoria e riaffermarono, nella genesi dei
disturbi, la centralità del momento traumatico6.
Il neurologo Jean-Martin Charcot (1887) descrisse come lo choc nerveux
dovuto a un trauma fosse in grado di mettere il paziente in uno stato
mentale simile a quello indotto per mezzo dell’ipnosi. Questo stato,
cosiddetto
<<
ipnoide
>>
, veniva ritenuto una condizione necessaria di ciò
che Charcot chiamava << autosuggestione istero-traumatica >>. In tal modo,
Charcot fu il primo a descrivere sia i problemi della suggestionabilità di
questi pazienti che la natura dissociativa degli attacchi isterici, risultanti
dall’avere subito un’esperienza insopportabile.
5
Vedi www.paduaresearch.cab.unipd.it “Disastro del Vajont: conseguenze a lungo termine sulla salute psichica e fisica
dei sopravvissuti”.
6
Vedi www.airplivorno.com, “Il concetto di disturbo post-traumatico da stress in età evolutiva e il ruolo dei processi
mnestici”.
12
- PIERRE JANET: L’ELABOARZIONE PSICOLOGICA DEL TRAUMA
In linea con la mentalità prevalente di quei tempi Pierre Janet riteneva
che la consapevolezza del sé fosse il fulcro della salute psicologica. Nelle
sue ricerche, P. Janet osservò come i pazienti isterici non fossero in grado
di avvalersi dei propri processi interni come riferimenti per l’adattamento.
L’autore riteneva che l’essere in contatto con il proprio passato, in
concorso con l’avere percezioni precise delle situazioni attuali, determini
se la persona sia in grado o meno di rispondere in maniera adeguata allo
stress. Janet coniò il termine
<<
subconscio
>>
per riferirsi all’insieme dei
ricordi che formano gli schemi mentali che guidano l’interazione tra
persona e ambiente. In quest’ottica, un’adeguata categorizzazione e
assimilazione dei ricordi delle esperienze passate consentono a una
persona di sviluppare schemi di significato che la preparano a far fronte ai
problemi del futuro. Janet ipotizzò che la stimolazione emotiva estrema,
ovvero “emozioni veementi”, producesse un’incapacità di assimilare i
ricordi traumatici; questi vengono separati (dissociati) dallo stato cosciente
e dal controllo volontario affermando, che le persone sono
<<
incapaci di
fornire il resoconto che chiamiamo memoria narrativa, eppure continuano
a dovere far fronte alla situazione difficile
>>.
Ne consegue una
<<
fobia
della memoria >> che impedisce l’integrazione degli eventi traumatici nella
coscienza; le tracce mnemoniche del trauma rimangono latenti sotto forma
di
<<
idee fisse
>>
inconsce che non possono essere abbandonate fintanto
che non vengono trasformate in una narrazione personale; al contrario,
continuano
a
interferire
sotto
forma
di
percezioni
terrificanti,
preoccupazioni ossessive e riesperienze somatiche come le reazioni da
13
ansia. Janet ipotizzò che gli sforzi per mantenere i ricordi traumatici
frammentati fuori dalla coscienza attiva prosciugassero l’energia psichica
di questi pazienti, cosa che, a sua volta, interferiva con la capacità di
impegnarsi in azioni che richiedono concentrazione e creatività, nonché di
imparare dall’esperienza. Se gli elementi dissociati del trauma non
vengono integrati nella coscienza personale, è probabile che il paziente
subisca un lento declino delle sue capacità personali e professionali7.
Nonostante i numerosi lavori di Janet e la profonda influenza che ha
esercitato sui suoi contemporanei e sugli psichiatri della generazione
successiva, la sua eredità è caduta ben presto nell’oblio. I suoi lavori sul
trauma, sulla memoria e sul trattamento degli stati dissociativi non è stato
integrato con le conoscenze contemporanee del DPTS fino a quando non si
è riscoperto il ruolo della dissociazione nella genesi del DPTS, negli anni
Ottanta.
- IL TRAUMA: DA S. FREUD AD A. KARDINER
La nozione di trauma è molto presente nell’opera di Freud, anche se
caratterizzata da una complessa evoluzione che qui brevemente sintetizzo.
Freud e Breuer (1892-1896) inizialmente seguirono il pensiero di Janet
per cui la dissociazione è alla base dell’<< isteria ipnoide >>, conseguenza di
eventi traumatici nell’infanzia. Nel 1896 Freud definisce il trauma come
<<
un’eccitazione del sistema nervoso centrale, che questo non è riuscito a
liquidare a sufficienza mediate reazione motoria>>8. Per Freud e Breuer, il
7
Bessel A. van der Kolk, Alexander C. McFarlane, Lars Weisaeth, “Stress traumatico. Gli effetti sulla mente, sul corpo e
sulla società delle esperienze intollerabili”, ediz. Ma.Gi srl, 2004.
8
F. Cagnoni, R. Mlanese, “Cambiare il passato. Superare le esperienze traumatiche con la terapia strategica”, Adriano
Salani Editore S.p.A. Milano, 2009, pag. 13.
14
trauma vissuto dal paziente “è una fissazione”; credevano che qualcosa
diventi traumatico perché si dissocia e rimane al di fuori della
consapevolezza attiva. In seguito Freud (1896) sviluppò il concetto di
“isteria da difesa” per cui non sono i ricordi del trauma in età infantile ad
essere dissociati, ma vengono rimossi impulsi sessuali e aggressivi nel
bambino che ruotano intorno al complesso di Edipo e che minacciano
l’Ego. In sostanza si pone l’enfasi sull’esperienza soggettiva e la realtà
intrapsichica, eclissando l’interesse per la realtà esterna. In un primo
momento vennero definiti da Freud traumi solo quelli di natura sessuale;
fu solo dopo essersi reso conto che molti ricordi traumatici raccontati dalle
sue pazienti
<<
isteriche
>>
non erano realmente accaduti che Freud
abbandonò la sua rigida teoria della seduzione, rinunciando a cercare un
evento primario reale, introducendo nuovi concetti e variabili in grado di
modificare la percezione dell’evento traumatico (per es. quello di fantasia):
egli, quindi, considerò tali episodi come psichicamente costruiti e diede
importanza non tanto ad eventi reali, quanto ad eventi così come si
configurano nella mente (memoria) del soggetto. La realtà esterna in
quanto tale perde progressivamente di importanza. La scena traumatica
viene sostituita dal desiderio: con questo la realtà esterna mantiene una sua
rappresentazione, ma tramite una sua interiorizzazione.
Il contatto con la Prima Guerra Mondiale e le osservazioni sulle nevrosi
belliche non portarono Freud ad una integrazione, ma allo sviluppo di due
modelli distinti del trauma: il modello della “situazione insopportabile” e
il modello “dell’impulso inaccettabile”, in cui è possibile produrre i
sintomi per mezzo dell’immobilizzazione dei meccanismi di difesa. Freud
ipotizzò, ad esempio, che la coazione a ripetere fosse una funzione della
15
repressione stessa; poiché la memoria viene repressa, il paziente, per Freud
è costretto a ripetere il materiale rimosso come un’esperienza attuale
<<
invece di ricordarlo come qualcosa appartenente al passato>>. Dunque, per
il padre della Psicoanalisi
<<
le nevrosi traumatiche offrono chiari indizi
che alla loro base vi è una fissazione al momento dell’incidente
traumatico >>.
Nel 1925, in Inibizione, sintomo e angoscia, Freud descrive un’angoscia
come segnale dell’aspirazione da parte dell’Io a evitare esperienze
traumatiche, e un’angoscia automatica, o traumatica, o psicotica,
caratterizzata da un apparato psichico sottoposto a una quantità non
dominabile di eccitazioni: si tratta di un’angoscia estrema, primitiva,
descrivibile solo in termini economici di
<<
trauma puro>>, evento brutale
che tende a rimanere iscritto nella psiche, senza significato e senza storia.
Essenza della situazione traumatica viene a essere l’impotenza dell’Io, che
appare incapace di controllo perché non ha la possibilità di fare riferimento
a una sua primitiva esperienza di impotenza che sia stata discretamente
separata. L’evento brutale attuale non può avere significato se rimane
estraneo, così come in passato alcuni eventi possono essere rimasti estranei
e non integrati9.
L’importanza della realtà esterna e degli eventi del trauma non percorre
solo l’opera di Freud, ma anche il pensiero di molti psicoanalisti.
A partire dal 1923, Abram Kardiner, inizialmente cercò di elaborare una
teoria sulle nevrosi da guerra, basandosi sulla teoria di Freud precedente,
ma fallì. In seguito, con lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, in
9
Luigi Pavan, Davide Banon, “TRAUMA, VULNERABILITA’, CRISI. Il trattamento della crisi emozionale”, Bollati
Boringheri, 1996, pag. 50-57.
16
“The traumatic neuroses of war” (1941) descrisse le reazioni dei soldati
statunitensi che aveva in cura, evidenziando come chi era affetto da
nevrosi traumatica presentava una “fisionevrosi”, ovvero una attivazione
fisiologica, che comporta un abbassamento della soglia di stimolazione che
si manifestava in una eccitazione fisiologica estrema.
A parte le alterazioni fisiologiche, Kardiner osservò che la
sindrome
<<
traumatica patologica>> consiste in un’alterazione nella concezione del sé
in relazione al mondo, sulla base della fissazione del trauma e di una vita
onirica atipica, caratterizzata da irritabilità cronica, reazioni d’allarme e
reazioni aggressive particolarmente irruente. Il paziente rimaneva
<<
bloccato>> nel trauma, e spesso aveva il cosiddetto << sogno di Sisifo
>>
,
ovvero un senso di impotenza che lo portava a restare in disparte, anche se
prima della sua esperienza bellica aveva agito in modo normale. Più di
quaranta anni dopo, Tichener (1986) avrebbe riscoperto questo fenomeno,
chiamandolo << declino post-traumatico >>
10
Durante la Seconda Guerra Mondiale vennero elaborate nuove tecniche
per la psichiatria di prima linea e vennero fatte ricerche sui fattori
protettivi come l’addestramento, la coesione di gruppo, la disciplina, la
motivazione. L’esercito degli USA inaugurò la pratica di sedute
postoperative di gruppo in caso di stress11.
La tendenza a considerare i sintomi del disturbo post-traumatico come
una “normale risposta” ad un evento traumatico ha costituito un ostacolo
allo sviluppo della ricerca in quest’ambito. In seguito agli effetti della
Seconda Guerra Mondiale, e alla comparsa di una problematica
10
Bessel A. van der Kolk, Alexander C. McFarlane, Lars Weisaeth, “Stress traumatico. Gli effetti sulla mente, sul corpo
e sulla società delle esperienze intollerabili”, ediz. Ma.Gi srl, 2004, pag. 71.
11
Ibidem, pag. 72-73.
17
completamente nuova, perlomeno per l’ampiezza e per la gravità degli
eventi, che erano i campi di concentramento e di sterminio da parte dei
nazisti, dove milioni di ebrei e altre popolazioni considerate come “sotto
uomini” furono deportati e subirono situazioni gravemente traumatiche
tanto da costituire la così detta “sindrome dei deportati” o “sindrome da
campo di concentramento”12, la prima edizione del DSM (1952) introdusse
nella classificazione dei disturbi mentali le “reazioni acute da stress”,
anche se poi la seconda edizione del 1968 non le comprese. Entrambe le
versioni non tennero comunque conto della possibile cronicità del disturbo.
E’ con la Guerra del Vietnam che la psichiatria riportò l’attenzione ai
disturbi post-traumatici e ai loro possibili effetti a lungo termine. Pertanto
nel 1980 il DSM-III introdusse la sindrome post-traumatica da stress: gli
autori finirono con il cancellare il concetto di nevrosi, che aveva
implicazioni di tipo psicodinamico, per sostituirlo con quello di stress che
sembrava essere più neutrale, applicando poi questa sindrome non solo alle
scomparse nevrosi traumatiche e di guerra, ma a una serie di numerosi altri
eventi catalogati e ritenuti appunto come traumatici13.
Dal 1980 ad oggi l’aumento delle conoscenze su questo disturbo ha
portato ad un’evoluzione dei criteri diagnostici fino alle definizioni più
recenti del DSM-IV e dell’ICD-10. Infatti, mentre nella letteratura dei primi
anni Ottanta si faceva riferimento prevalentemente alle conseguenze
psicologiche di soggetti esposti ad operazioni di guerra (dal Vietnam in
poi), da un decennio circa le situazioni potenzialmente in grado di
permettere lo sviluppo del DPTS sono andate via via aumentando: al
12
13
Idem.
Vedi www.nicolalalli.it “Trauma psichico e stress: una revisione critica del PTDS”.
18
momento, nel DSM-IV si fa riferimento a situazioni traumatiche in grado
di costituire una grave minaccia per il singolo o per la collettività, e che
vanno dalle alluvioni ai terremoti, dagli omicidi di massa agli attentati,
dagli stupri agli abusi sessuali infantili14.
3. IL CONCETTO DI TRAUMA
La parola trauma deriva dal verbo greco τραῦμα, che significa
<<
perforare>>,
<<
danneggiare>>,
<<
ledere>>,
<<
rovinare>> e contiene un
duplice riferimento a una ferita con lacerazione, ed agli effetti di un urto,
di uno schock violento sull’insieme dell’organismo. Ampliamente diffuso
nell’ambito delle discipline medico chirurgiche, durante il XVIII sec. il
termine è stato adottato dalla psichiatria e dalla psicologia clinica che
indicano con esso la sopraffazione del soggetto da parte di uno stimolo
eccesivo che lo rende privo di difese e incapace di reagire15. Il Grande
Dizionario Garzanti della lingua italiana definisce il trauma una “lesione
determinata dall’azione violenta di agenti esterni: le ferite, le contusioni, le
ustioni sono traumi” e il trauma psichico “un’emozione che incide
profondamente sulla personalità del soggetto”. Per il dizionario di
psicologia curato da Pièron (1964) il trauma psichico è
<<
un’emozione
violenta capace di modificare in modo permanente la personalità di un
14
Carol S. Fullerton, Robert J. Ursano, “ Disturbo post-traumatico da stress. Le risposte acute e a lungo termine al
trauma e al disastro”, ediz. Italiana a cura di Roberto Brugnoli, Centro Scientifico Editore, Torino, 2001, pag. XII.
15
Bessel A. van der Kolk, Alexander C. McFarlane, Lars Weisaeth, “Stress traumatico. Gli effetti sulla mente, sul corpo e
sulla società delle esperienze intollerabili”, ediz. Ma.Gi srl, 2004, pag. xv.
19
individuo
sensibilizzandolo
alle
successive
analoghe
esperienze
emotive>> .
16
Il concetto di trauma psichico rimanda a una condizione d’impotenza
dinanzi a un’esperienza sconvolgente e incontrollabile che provoca un
flusso di sensazioni incontenibili, travolge le normali difese dell’individuo
imponendo la messa in atto di difese patologiche. La traumaticità di un
evento può essere pienamente valutata solo tenendo conto di un insieme di
variabili che comprende l’ampiezza, l’intensità e la precocità del trauma, le
caratteristiche
temperamentali
dell’individuo,
la
personalità,
le
caratteristiche dello stile di attaccamento, gli aspetti di vulnerabilità e
resilienza, e infine la capacità di contenimento e di elaborazione della rete
di relazioni affettive e sociali. Ciò vuol dire, dunque, che di fronte al
medesimo evento traumatico, o a eventi traumatici simili, non tutte le
persone reagiscono in modo analogo. Anche uno stesso soggetto, in
momenti diversi della sua vita, può mettere in atto strategie di reazioni
differenti.
Schematicamente gli eventi traumatici si possono collocare all’interno di
tre principali categorie:
 le catastrofi naturali (inondazioni, uragani, terremoti,…)
 gli incidenti in cui può essere coinvolta una componente umana che
involontariamente può causare l’evento (incidenti automobilistici,
aerei,…)
 i traumi volontariamente ed intenzionalmente provocati da uomini su
altri uomini (abusi, tortura, guerre,…).
16
Vedi www.cir-onlus.org, “Progetto VI.TO.: cos’è la tortura”.
20
Si può considerare il trauma da due diversi ma complementari punti di
vista:
 se si considera l’aspetto oggettivo, si valuta prevalentemente la
drammaticità intrinseca all’evento. Esistono eventi come l’abuso o la
tortura, per esempio, che sono esperienze dolorose e insostenibili per
chiunque le subisce, e che si connotano come esperienze
oggettivamente traumatiche;
 se si considera la dimensione soggettiva, invece, l’attenzione si
sposta dall’evento al soggetto dell’evento. In questo caso sono
decisivi i processi affettivi e cognitivi, ossia il modo individuale di
elaborare l’evento traumatico. Tutte le possibili condizioni delle
risposte al trauma dipendono dal modo in cui il soggetto mentalizza
le emozioni dell’evento traumatico, dal modo in cui le elabora e
reagisce ad esse. L’esperienza traumatica mette quindi in moto le
dinamiche soggettive del sistema di ricerca di aiuto, di conforto e di
protezione: vale a dire il sistema di attaccamento e il modello
operativo interno che lo regola17. La resilienza al trauma ha molto a
che fare con la presenza e la qualità del sostegno esterno e con la
capacità di chiedere e di ricevere aiuto.
Il trauma viene quindi oggi considerato come un’entità complessa e
multifattoriale, in cui possono rientrare anche molti eventi che fanno parte
delle esperienze umane comuni, ed il cui ruolo nell’influenzare il
manifestarsi di fenomeni psicopatologici sembra condizionato in modo
molto importante da fattori predisponenti individuali. La comprensione del
17
Bessel A. van der Kolk, Alexander C. McFarlane, Lars Weisaeth, “Stress traumatico. Gli effetti sulla mente, sul corpo
e sulla società delle esperienze intollerabili”, ediz. Ma.Gi srl, 2004, pag. XVI.
21
concetto di trauma è comunque ancora in divenire. Rimane aperto il
problema di fornire una definizione chiara, valutando sia il peso delle
caratteristiche oggettive di un evento che la diversa percezione soggettiva
secondo la quale uno stesso evento può essere vissuto da individui
differenti18.
Oggi, accanto a una concezione del trauma prevalentemente freudiana
come evento che irrompe bruscamente nella vita del singolo, causando la
lacerazione di una barriera protettiva normalmente efficace contro gli
stimoli eccessivi, si fa strada la considerazione del trauma come disturbo
precoce della relazione tra il bambino e la figura di attaccamento. In questa
prospettiva lo scudo protettivo non si colloca più a livello dell’individuo,
ma a livello della relazione con un ambiente facilitante che attraverso le
funzioni di sostegno avvolgente (holding), favorisce lo stabilizzarsi di un
senso di continuità e di coerenza dell’esperienza e permette di sostenere gli
stati mentali dolorosi e di attribuire significato agli eventi di vita
stressanti19.
Una delle problematiche che sorge è la relazione tra l’esperienza definita
traumatica e l’esperienza definita stressante20. Il termine evento stressante
18
L. Belloni, P. Castrogiovanni, M. Mantero, G. Miscettola, “Il Disturbo Post-Traumatico Da Stress”, Pacini Editore
S.p.A. – Pisa, 2002, pag. 18.
19
Bessel A. van der Kolk, Alexander C. McFarlane, Lars Weisaeth, “Stress traumatico. Gli effetti sulla mente, sul corpo
e sulla società delle esperienze intollerabili”, ediz. Ma.Gi srl, 2004, pag. xv.
20
Stress: dal latino strictus (letteralmente <<serrato>>, <<compresso>>), è apparso per la prima volta nell’ambito della
psichiatria militare e fu utilizzato dall’endocrinologo H. Selye per indicare una reazione aspecifica dell’organismo
(definita in seguito sindrome generale di adattamento) nei confronti di agenti esterni di varia natura (fisica, chimica,
biologica o emotiva). Sempre Seyle fu il primo ad identificare due diverse tipologie di stress, da lui chiamate
rispettivamente distress (o stress negativo) ed eustress (o stress positivo). Il distress si ha quando stimoli stressanti,
ossia capaci di aumentare le secrezioni ormonali, instaurano un progressivo logorio che conduce alla caduta delle
difese psicofisiche. In questo caso le condizioni di stress, e quindi di attivazione dell’organismo, permangono anche in
assenza di eventi stressanti, oppure l’organismo reagisce in maniera sproporzionata a stimoli di lieve entità. L’eustress
,invece, si ha quando uno o più stimoli, anche di natura diversa, allenano la capacità psicofisica individuale di
adattamento; è una forma di energia utilizzata per poter più agevolmente raggiungere un obiettivo. In tale ottica, lo
22
è generalmente utilizzato per indicare la proprietà che ha un avvenimento
di
provocare
una
risposta
sia
biologica
che
comportamentale
nell’individuo, finalizzata ad affrontare l’evento stesso riportando poi
l’organismo ad un nuovo livello di omeostasi. Molte ricerche hanno inoltre
suggerito che l’esposizione ad uno stress possa anche avere delle
conseguenze negative sia fisiche che psichiche. Un approccio basato sul
senso comune ha spesso portato a considerare il trauma come l’estrema
espressione di un evento stressante, ponendo quindi su di un continuum di
gravità questi due tipi di esperienze21. In realtà, nella nosografia del DPTS
gli eventi traumatici sono stati distinti da quelli genericamente “stressanti”:
la definizione più recente22 caratterizza il trauma come un evento che
realmente o comunque nel vissuto e nella percezione soggettiva comporti
una minaccia per la vita o una minaccia grave per l’integrità fisica,
accompagnato quindi da sentimenti di paura intensa, orrore e senso di
impotenza. Questa definizione di trauma è specifica ed esclude quindi una
serie di eventi di vita considerati stressanti che, pur potendo essere molto
gravi e di importante impatto emotivo, non possiedono quelle particolari
caratteristiche, quali ad es. la perdita del lavoro, il divorzio, i problemi
familiari. Pur essendo noto che sia gli eventi traumatici che quelli
stressanti sono associati con conseguenze negative sul piano psicofisico
per l’individuo, una delle differenze principali tra un trauma che comporta
un pericolo per la vita ed altri tipi di condizioni stressanti è che, lo stimolo
stress non andrebbe quindi inteso sempre come una risposta patologica, ma potrebbe essere fisiologicamente utile,
poiché consente all’organismo di adattarsi alle più svariate condizioni. (F. Cagnoni, R. Milanese, “Cambiare il passato.
Superare le esperienze traumatiche con la terapia strategica”), Adriano Salani Editore S.p.A. Milano, 2009, pag. 15-16).
21
L. Belloni, P. Castrogiovanni, M. Mantero, G. Miscettola, “Il Disturbo Post-Traumatico Da Stress”, Pacini Editore
S.p.A. – Pisa, 2002, pag. 19.
22
DSM-IV, Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, 3 edizione, Milano, 1998, pag. 468-469.
23
“stress” viene rimosso, generalmente si alleviano le conseguenze negative
dell’evento stressante stesso, mentre al contrario, gli effetti negativi
dell’esposizione al trauma possono persistere anche per anni dopo che
l’evento traumatico è accaduto, configurando la manifestazione clinica del
DPTS23. L’esperienza del trauma viene rivissuta nel tempo attraverso un
ricordo persistentemente vivido e la memoria del trauma, con l’aumentato
arousal che l’accompagna, contribuisce ad alimentare la serie di
conseguenze psicobiologiche avverse che sono presenti a distanza dal
trauma stesso.
La relazione tra l’esperienza traumatica, lo sviluppo del DPTS ed il
riscontro di anomalie biologiche nei soggetti affetti non sottintende
necessariamente una causalità diretta ma prevede l’integrazione di questi
elementi in un sistema complesso. Sarà comunque necessario verificare
con futuri studi la validità di una distinzione qualitativa del trauma rispetto
ad altri tipi di eventi e probabilmente la ricerca neurobiologica potrà
contribuire ad una migliore comprensione della relazione tra lo stress, il
trauma e le diverse risposte individuali ad essi24.
4. segnali tipici di trauma psichico25
a) L’accadimento di un evento critico che viene vissuto in una
situazione d’impotenza oggettiva e soggettiva.
23
L. Belloni, P. Castrogiovanni, M. Mantero, G. Miscettola, “Il Disturbo Post-Traumatico Da Stress”, Pacini Editore
S.p.A. – Pisa, 2002, pag. 19.
24
Ibidem, pag. 20.
25
G. Fischer, “Nuove vie per uscire dal Trauma, Primo soccorso per combattere gravi stress psichici”, ediz. Del Cerro,
2009, pag. 24-25.
24
b) Ricordi ricorrenti, improvvisi, relativi all’evento, per esempio incubi
o i cosiddetti
flash-back>>, ricordi che affiorano alla mente, nei
<<
quali le scene dell’evento traumatico ricorrono continuamente.
Talvolta affiorano anche soltanto singoli frammenti del trauma, quali
odori, rumori o sensazioni fisiche apparentemente non legati agli
venti.
c) Evitamento di tutto ciò che rievoca o potrebbe rievocare il ricordo del
trauma.
d) Iperattivazione e senso di paura. Il sistema nervoso autonomo, che
regola le funzioni vitali di sopravvivenza dell’individuo, è in un
continuo stato di allerta.
Questi quattro segnali costituiscono un quadro sintomatico definito
“Sindrome basale da disturbo psicotraumatico” (SBDP). Subito dopo un
evento traumatico, la maggior parte delle vittime può presentare questi ed
altri sintomi, quali per esempio grave depressione e dubbi interiori o rabbia
esacerbata.
DECORSO NATURALE DEL TRAUMA
Il decorso naturale del trauma si svolge secondo le tre fasi seguenti:
 Fase di shock. Stato confusionale, incapacità di ricordarsi dati
importanti: sono tutti tratti tipici della fase di shock, che può durare
da un’ora a una settimana. Nella fase di shock acuto il colore della
cute è pallido, il respiro è accelerato e piatto, le vittime hanno uno
sguardo perso e talvolta credono di trovarsi in un altro luogo.
25
 Fase degli effetti. Alla fase sopra descritta si collega la fase degli
effetti traumatici, che può durare fino a due settimane. In questa fase
lo stato di iperarousal è più attenuato, ma le vittime sono
completamente assorbite dagli eventi: devono continuamente
raccontare ciò che è accaduto come se ne fossero ossessionate.
Durante questa fase, insorgono spesso disturbi di addormentamento,
iperarousal, ipervigilanza, paura eccessiva, disturbi mnestici,
difficoltà di concentrazione, incubi e flash-back di eventi traumatici.
 Fase di ripresa. Dopo 14 giorni, talvolta soltanto dopo quattro
settimane, alcune vittime cominciano a riprendersi dal trauma. Non
tutti i pensieri legati all’evento traumatico fanno scattare la paura
assoluta. La vittima recupera l’interesse per la vita normale e per le
altre persone, assume una visione più ottimistica riguardo al proprio
futuro, anche se l’evento traumatico riveste sempre, comunque, la
sua assoluta importanza. È probabile che trascorra altro tempo prima
che la vittima riesca a rielaborare la propria visione del mondo e la
percezione di se stesso, coinvolgendo in questo processo anche gli
eventi traumatici.
26
CAP. II
IL DISURBO POST-TRAUMATICO DA
STRESS
27
“Niente fissa una cosa così intensamente nella memoria
come il desiderio di dimenticarla.”
Michel de Montaigne
1. L’INSORGENZA DEL DpTS COME CATEGORIA DIAGNOSTICA
Negli ultimi decenni, l’impulso a sviluppare una comprensione integrata
degli effetti del trauma sulle funzioni sociali, psicologiche e biologiche in
gran parte ha continuato a derivare dalla partecipazione degli individui
rimasti esposti al trauma, come i reduci della guerra del Vietnam26.
Fu proprio in seguito a quell’atroce conflitto che un numero di soldati
decisamente maggiore rispetto alle guerre precedenti iniziò a manifestare
gravi sintomi di una sindrome che venne per questo definita Post-Vietnam
Syndrome. E’ stato stimato che circa il 25% dei reduci del Vietnam, al
ritorno in patria, svilupparono tutti quei sintomi psicopatologici che oggi
ritroviamo nel Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (DSM)
sotto il nome di Disturbo Post-Traumatico da Stress (DPTS)27. Ad esempio,
descrizioni quali “sogni terrificanti, ansia intensa, ricorrenza delle
26
Bessel A. van der Kolk, Alexander C. McFarlane, Lars Weisaeth, “Stress traumatico. Gli effetti sulla mente, sul corpo
e sulla società delle esperienze intollerabili”, ediz. Ma.Gi srl, 2004, pag. 74.
27
F. Cagnoni, R. Milanese, “Cambiare il passato. Superare le esperienze traumatiche con la terapia strategica”,
Adriano Salani Editore S.p.A-Milano, 2009, pag. 12-13.
28
sensazioni e delle situazioni vissute, fobie varie” oppure “irritabilità,
difficoltà a dormire, reazioni d’allarme esagerate, depressione, difficoltà di
concentrazione, incubi riguardanti l’evento, ricordi continui dell’evento”
comprendono i sintomi presenti nell’attuale nosografia del DPTS28.
Nonostante le evidenze circa l’esistenza di una sindrome clinica
conseguente a traumi di varia natura e gravità, nessuna categoria
diagnostica per disturbi legati ad eventi stressanti appare ancora nella
nosografia statunitense, cioè nel DSM-II29, utilizzato tra il 1968 ed il 980.
Il Disturbo Post-Traumatico da Stress fu infatti introdotto dall’American
Psychiatric Association solo nel 198030. Nella prima definizione
diagnostica del DPTS, una varietà di esperienze traumatiche venivano
considerate situazioni stressanti solo se potevano essere definite
fuori del range della usuale esperienza umana
>>
<<
al di
. In particolare due
problematiche accompagnavano questa definizione31:
 innanzitutto presupponeva che uno stressor potesse essere definito
oggettivamente
come
traumatico
senza
tenere
conto
dell’interpretazione personale degli eventi;
 in secondo luogo, ricerche epidemiologiche hanno dimostrato che
questa casistica di situazioni
fuori dal range di normalità>> (stupri,
<<
incidenti, calamità naturali,…) sono in realtà molto comuni, nei paesi
orientali come in quelli occidentali.
28
L. Belloni, P. Castrogiovanni, M. Mantero, G. Miscettola, “Il Disturbo Post-Traumatico Da Stress”, Pacini Editore
S.p.A. – Pisa, 2002, pag. 14.
29
L. Belloni, P. Castrogiovanni, M. Mantero, G. Miscettola, “Il Disturbo Post-Traumatico Da Stress”, Pacini Editore
S.p.A. – Pisa, 2002, pag. 14.
30
Idem.
31
F. Cagnoni, R. Milanese, “Cambiare il passato. Superare le esperienze traumatiche con la terapia strategica”,
Adriano Salani Editore S.p.A-Milano, 2009, pag. 12.
29
Alla luce di questi problemi, nell’edizione successiva del DSM-IV (1994)
la definizione del DPTS venne rivista in modo che gli eventi non dovessero
essere solo
<<
eccezionali
>>
e includesse invece, nella definizione di
un’esperienza traumatica, la reazione della persona e altre variabili relative
alla valutazione della situazione. Inoltre, nella quarta versione del
manuale, è stato introdotto anche il Disturbo Acuto da Stress per i quadri
di sofferenza che si manifestano entro i 6 mesi dall’esposizione al trauma.
Anche l’altra principale classificazione internazionale, quella delle
Sindromi e Disturbi Psichici e Comportamentali (World Health
Organization,
International
Classification
of
Diseases,
ICD-10)
dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (1992) prevede la Reazione
Acuta da Stress e la Sindrome Post-Traumatica da Stress32.
Il DPTS non è comunque limitato all’ambito della guerra. Anzi, è in
ambito civile che l’attenzione sta crescendo, dove sono numerosi gli eventi
che possono causarlo: alcuni eventi riguardano intere comunità, come
catastrofi naturali (terremoti, alluvioni, erezioni vulcaniche,…); altri
traumi sono collettivi, come disastri aerei, ferroviari, navali, incendi, crollo
di palazzi, stragi e attentati terroristici, sequestri,…; altri eventi traumatici
riguardano ancora singoli individui, tra cui gravi incidenti automobilistici,
violenze, stupro, rapine con violenza. Inoltre, è considerato un trauma
anche l’assistere ad un evento dei tipi su descritti senza necessariamente
esserne coinvolti in modo fisico. Ciò implica che il trauma non è più
percepito come un evento raro o fuori dall’ordinario ma può comprendere
32
W. Yule, “Disturbo post-traumatico da stress. Aspetti clinici e terapia”, ediz. Italiana a cura di M. Biondi, McGrawHill Libri Italia srl, 2000, pag. XVI.
30
anche una serie di situazioni molto comuni e frequenti nella popolazione
generale.
Recentemente, sempre più si è riconosciuta l’esistenza di un DPTS in età
infantile nei bambini esposti a traumi tra cui gli abusi sessuali33.
Nel DSM-IV è stata anche omessa l’affermazione che trauma è ciò che in
pressoché tutti gli individui esposti causerebbe gravi reazioni. Questa
modificazione accredita maggiormente l’idea che il DPTS non sia una
reazione comune a tutti i soggetti esposti ad un determinato evento, ma
presuppone l’esistenza di caratteristiche che rendono differenti coloro che
sviluppano il disturbo da quelli che non lo manifestano e quindi
ridimensiona il primato del trauma nel determinismo del DPTS a favore
dell’importanza della vulnerabilità individuale, individuando nelle
caratteristiche cliniche del disturbo il prodotto dell’interazione tra
individuo e ambiente34.
2. DIAGNOSI E CLINICA DEL DISTURBO POST-TRAUMATICO DA
STRESS
L’attuale impostazione del DSM-IV-TR (quarta versione riveduta del
Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali dell’American
Psychiatric
Association,
2000)
e
dell’ICD-10
(Classificazione
internazionale delle malattie, decima versione dell’Organizzazione
33
Idem.
34
L. Belloni, P. Castrogiovanni, M. Mantero, G. Miscettola, “Il Disturbo Post-Traumatico Da Stress”, Pacini Editore
S.p.A. – Pisa, 2002, pag. 15.
31
Mondiale della Sanità, 2003)35 ha cercato di classificare i disturbi
psicopatologici causati da avvenimenti esterni in tre categorie principali.
I criteri che determinano questa suddivisione sono fondamentalmente
tre: tipologia oggettiva di evento; significatività e gravità della risposta del
soggetto; durata temporale delle conseguenze.
Sono così stati individuati tre differenti tipi di disturbi36:
1. Disturbi
dell’Adattamento
(DA):
sono
disturbi
considerati
clinicamente significativi, ma in genere di lieve o moderata gravità,
con sintomi di tipo per lo più depressivo o ansioso, reattivi ad un
evento emozionalmente significativo con cui sono in rapporto
causale abbastanza definito.
2. Disturbo
Acuto
da
Stress
(DAS):
è
una
manifestazione
psicopatologica acuta conseguente, entro un breve arco di tempo,
all’esposizione a un avvenimento molto grave.
3. Disturbo Post-traumatico da Stress (DPTS): è una manifestazione
psicopatologica di consistente gravità, sovente a lungo termine, con
sintomi in evidente relazione con l’esposizione a un evento
traumatico.
La diagnosi del Disturbo Post-Traumatico da Stress richiede, quindi, che
la persona sia stata esposta ad un evento traumatico in cui erano presenti le
seguenti caratteristiche:
35
F. Cagnoni, R. Milanese, “Cambiare il passato. Superare le esperienze traumatiche con la terapia strategica”,
Adriano Salani Editore S.p.A-Milano, 2009, pag. 17.
36
F. Cagnoni, R. Milanese, “Cambiare il passato. Superare le esperienze traumatiche con la terapia strategica”,
Adriano Salani Editore S.p.A-Milano, 2009, pag. 18.
32
 la persona ha vissuto, ha assistito o si è confrontata con un evento o
eventi che hanno implicato la morte, o minaccia di morte, o gravi
lesioni, o una minaccia all’integrità fisica propria o di altri;
 la risposta della persona comprendeva paura intensa, sentimenti di
impotenza, o di orrore (nei bambini questo può essere espresso con
comportamento disorganizzato o agitato).
I criteri utilizzati dall’ICD-10 e dal DSM-IV per diagnosticare tale
sindrome sono molto simili per quanto riguarda l’identificazione di un
evento minaccioso ritenuto necessario per l’esordio del disturbo, ma
differiscono, come per gli altri disturbi, nell’approccio alla formulazione di
una diagnosi37.
L’ICD-10, infatti, collocando il DPTS all’interno della generale categoria
delle sindromi nevrotiche, definisce tale disturbo come
una risposta
<<
ritardata e/o protratta a un evento stressante o a situazioni (di breve o di
lunga durata) di natura eccezionalmente minacciosa o catastrofica, in
grado di provocare diffuso malessere in quasi tutte le persone>>38.
All’interno del DSM-IV, invece, il DPTS è collocato tra i disturbi d’ansia,
distinguendosi da questi per la presenza di un chiaro evento eziologico; la
diagnosi parte dal presupposto che << in seguito ad una iniziale esposizione
diretta e/o indiretta ad un evento stressante fortemente traumatico, che ha
comportato un pericolo concreto o una grave minaccia all’integrità fisica
propria e/o di altre persone, emerga una risposta, da parte di colui che ne è
coinvolto/a, caratterizzata da una paura intensa, da sentimenti d’impotenza
o di orrore. Nei bambini tale risposta si manifesta spesso con un
37
V. Guidetti, F. Galli, “Neuropsichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza. Approfondimenti”, ediz. Il Mulino, Bologna,
2006, pag. 284.
38
Idem.
33
comportamento agitato o disorganizzato
>>
. Risulta determinante, quindi,
l’importanza data alle risposte individuali.
Nell’ICD-10, inoltre, deve esserci evidenza dell’esordio del disturbo
entro 6 mesi dall’evento, e alcuni sintomi non sono considerati
indispensabili a porre diagnosi (per esempio i sintomi di aumentato
arousal), né viene specificata la durata minima di essi39.
Il DSM-IV, per formulare una corretta diagnosi di DPTS, oltre
all’identificazione di un evento minaccioso e delle risposte individuali,
ritenuti necessari per l’esordio del disturbo (criterio A), richiede la
comparsa di tre raggruppamenti sintomatologici: la risperimentazione del
trauma (criterio B), che include ricordi (flashback) spiacevoli, ricorrenti ed
intrusivi (che comprendono pensieri, immagini e percezioni) ed incubi
notturni; l’evitamento degli stimoli che ricordano l’evento traumatico e
l’attenuazione della reattività generale, che comporta sentimenti di
distacco emozionale o estraniamento dagli altri e marcata diminuzione
d’interesse nelle attività più significative presenti prima del trauma
(criterio C); infine un aumentato arousal (criterio D), indicato dalla
presenza di sintomi quali irritabilità, ipervigilanza, difficoltà nel sonno e
nella concentrazione ed esagerate risposte di allarme. Il quadro
sintomatologico completo deve essere presente per più di 1 mese (criterio
E), e il disturbo deve causare disagio clinicamente significativo o
menomazione del funzionamento sociale, lavorativo o di altre aree
importanti (criterio F)40.
39
40
Idem.
DSM-IV, Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, 3 edizione, Milano, 1998, pag. 468-469.
34
I sintomi che si manifestano immediatamente dopo il trauma e che
durano meno di un mese soddisfano, invece, i criteri per il disturbo acuto
da stress (DAS).
Il DSM-IV, inoltre, utilizza le seguenti specificazioni per indicare
l’esordio e la durata dei sintomi del DPTS:
Acuto: quando la durata dei sintomi è inferiore ai 3 mesi.
Cronico: quando i sintomi durano 3 mesi o più.
Ad Esordio Tardivo: indica che sono trascorsi almeno 6 mesi tra
l’evento e l’esordio dei sintomi41.
Nel soggetto con DPTS è presente uno stato di intorpidimento,
insensibilità o paralisi emozionale-affettiva (numbing). La capacità di
rapporto con le altre persone è compromessa dal senso di distacco ed
estraneamento che il soggetto avverte verso gli altri. Ciò può disturbare
significativamente i rapporti all’interno della famiglia e, più in generale, le
relazioni interpersonali, poiché parenti e amici si sentono rifiutati dal
paziente che appare freddo, distaccato e sembra agire meccanicamente42.
Secondo la letteratura capita che i soggetti con DPTS tentino di liberarsi
dalle spiacevoli esperienze di rivivere l’evento, del distacco dagli altri e
degli attacchi di panico, con l’abuso di alcol e di altre droghe che
utilizzano come “automedicamento” per mitigare i sintomi e dimenticare il
trauma; possono anche presentare un discontrollo degli impulsi, con un
elevato rischio di comportamenti suicidari, soprattutto nel caso di giovani
adulti43.
41
DSM-IV, Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, 3 edizione, Milano, 1998, pag. 470.
G. B. Cassano, A. Tundo, “Psicopatologia e clinica psichiatrica”, ediz. UTET Scienze Mediche, Torino, 2006, pag. 416418.
43
Idem.
42
35
 CRITERI DIAGNOSTICI DEL DPTS PER IL DSM-IV
A. La persona è stata esposta ad un evento traumatico nel quale erano presenti entrambe le
caratteristiche seguenti:
1) la persona ha vissuto, ha assistito, o si è confrontata con un evento o con eventi che
hanno implicato morte, o minaccia di morte, o gravi lesioni, o una minaccia
all’integrità fisica propria o di altri
2) la risposta della persona comprendeva paura intensa, sentimenti di impotenza, o di
orrore. Nota Nei bambini questo può essere espresso con comportamento
disorganizzato o agitato.
B. L’evento traumatico viene rivissuto persistentemente in uno (o più) dei seguenti modi:
1) ricordi spiacevoli ricorrenti e intrusivi dell’evento, che comprendono immagini,
pensieri, o percezioni. Nota Nei bambini piccoli si possono manifestare giochi
ripetitivi in cui vengono espressi temi o aspetti riguardanti il trauma
2) sogni spiacevoli ricorrenti dell’evento. Nota Nei bambini possono essere presenti
sogni spaventosi senza un contenuto riconoscibile
3) agire o sentire come se l’evento traumatico si stesse ripresentando (ciò include
sensazioni di rivivere l’esperienza, illusioni, allucinazioni, ed episodi dissociativi di
flashback, compresi quelli che si manifestano al risveglio o in stato di
intossicazione). Nota Nei bambini piccoli possono manifestarsi rappresentazioni
ripetitive specifiche del trauma
4) disagio psicologico intenso all’esposizione a fattori scatenanti interni o esterni che
simbolizzano o assomigliano a qualche aspetto dell’evento traumatico
5) reattività fisiologica o esposizione a fattori scatenanti interni o esterni che
simbolizzano o assomigliano a qualche aspetto dell’evento traumatico.
C. Evitamento persistente degli stimoli associati con il trauma e attenuazione della reattività
generale (non presenti prima del trauma), come indicato da tre (o più) dei seguenti elementi:
1) sforzi per evitare pensieri, sensazioni o conversazioni associate con il trauma
2) sforzi per evitare attività, luoghi o persone che evocano ricordi del trauma
3) incapacità di ricordare qualche aspetto importante del trauma
4) riduzione marcata dell’interesse o della partecipazione ad attività significative
5) sentimenti di distacco o di estraneità verso gli altri
6) affettività ridotta (per es., incapacità di provare sentimenti di amore)
7) sentimenti di diminuzione delle prospettive future (per es. aspettarsi di non poter
avere una carriera, un matrimonio o dei figli, o una normale durata della vita).
36
D. Sintomi persistenti di aumentato arousal (non presenti prima del trauma), come indicato da
almeno due dei seguenti elementi:
1) difficoltà ad addormentarsi o a mantenere il sonno
2) irritabilità o scoppi di collera
3) difficoltà a concentrarsi
4) ipervigilanza
5) esagerate risposte di allarme.
E. La durata del disturbo (sintomi ai Criteri B, C e D) è superiore a 1 mese.
F. Il disturbo causa disagio clinicamente significativo o menomazione nel funzionamento
sociale, lavorativo o di altre aree importanti.
Specificare se:
Acuto: se la durata dei sintomi è inferiore a 3 mesi
Cronico: se la durata dei sintomi è 3 mesi o più
Ad esordio ritardato: se l’esordio dei sintomi avviene almeno 6 mesi
dopo l’evento stressante.
I principali disturbi, accusati dalla maggior parte dei pazienti sono,
dunque, riassunti dalla cosiddetta
triade sintomatologica>>: intrusioni,
<<
evitamento, ipervigilanza.
Tra i sintomi, in particolare, si possono riscontrare44:
 Flashback: la persona presenta ricordi ricorrenti e intrusivi
dell’evento, che si propongono alla coscienza <<ripetendo>> il ricordo
dell’evento. In rari casi la persona vive stati dissociativi che durano
da pochi secondi a diverse ore, o anche giorni, durante i quali
vengono rivissute parti dell’evento e la persona si comporta come se
stesse vivendo l’evento in quel modo.
44
F. Cagnoni, R. Milanese, “Cambiare il passato. Superare le esperienze traumatiche con la terapia strategica”,
Adriano Salani Editore S.p.A-Milano, 2009, pag. 20.
37
 Incubi che possono far rivivere l’esperienza traumatica durante il
sonno in maniera molto vivida.
 Ottundimento (Numbing): uno stato di coscienza simile allo
stordimento e alla confusione. Di solito, subito dopo l’evento
traumatico, ha inizio una riduzione della reattività verso il mondo
esterno, a cui ci si riferisce come
<<
paralisi psichica>> o
anestesia
<<
emozionale>>. L’individuo può lamentare una marcata riduzione
dell’interesse o della partecipazione ad attività precedentemente
piacevoli o di sentirsi distaccato o estraneo nei confronti delle altre
persone o di avere una marcata riduzione della capacità di provare
emozioni. Può avere un senso di diminuzione
delle prospettive
future (per esempio, non aspettarsi di avere una carriera, un
matrimonio, figli, o una normale durata di vita).
 Evitamento: la persona si sforza volontariamente di evitare pensieri,
sentimenti
o
conversazioni
in
qualche
modo
riconducibili
all’esperienza traumatica.
 Aumentato arousal (Hyperarousal), caratterizzato da insonnia,
irritabilità, ansia, aggressività e tensione generalizzate. Spesso si
manifestano intenso disagio psicologico o reattività fisiologica
quando la persona viene esposta a eventi che assomigliano o
simboleggiano un aspetto dell’evento traumatico (per esempi,
anniversari dell’evento traumatico, ripercorrere la strada dove si è
subita una violenza, ecc.).
Come già anticipato, non tutta la sintomatologia che si manifesta in
individui
esposti
a
un
evento
stressante
38
esterno
deve
essere
necessariamente attribuita a un Disturbo Post-traumatico da Stress. Da un
punto di vista diagnostico, infatti, si parla di Disturbo Acuto da Stress e il
quadro sintomatologico si manifesta entro 4 settimane dall’evento
traumatico e si risolve entro quel periodo di 4 settimane.
Una seconda distinzione va fatta tra il DPTS e i Disturbi
dell’Adattamento. In questo caso è l’intensità dell’evento stressante a fare
la differenza. Nel DPTS l’evento deve avere una natura <<estrema>> (mettere
cioè in pericolo la vita stessa), mentre nel Disturbo dell’Adattamento
l’evento stressante può essere di qualsiasi livello di gravità (ad esempio un
abbandono amoroso o un licenziamento inaspettato).
Infine, è importante distinguere i pensieri intrusivi ricorrenti nel DPTS
(come ricordi, immagini, pensieri veri e propri o percezioni) da quelli
tipici del Disturbo Ossessivo-Compulsivo, che vengono vissuti come
inappropriati e non sono correlati all’esperienza di un evento traumatico.
Secondo alcuni autori i sintomi del DPTS possono manifestarsi associati
a: cambiamenti pervasivi della personalità, sentimenti negativi, quali
depressione e angoscia e disturbi psicosomatici come cefalea, dolori
addominali, asma, psoriasi, ecc., contribuendo a formare un quadro di
disagio clinicamente significativo45.
3. epidemiologia e fattori di rischio e protettivi del DPTS
I primi studi che si sono occupati di DPTS sono stati incentrati su
campioni relativamente ridotti di soggetti che avevano vissuto una
45
V. Guidetti, F. Galli, “Neuropsichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza. Approfondimenti”, ediz. Il Mulino, Bologna,
2006, pag. 285.
39
specifica e comune esperienza traumatica, generalmente estrema, quali ad
esempio i veterani di guerra. Questi studi son stati molto utili per iniziare a
comprendere le caratteristiche del disturbo e la sua prevalenza nei soggetti
a rischio, ma tale approccio è insufficiente per permettere una semplice
estensione delle osservazioni alla popolazione generale.
A questo scopo gli studi epidemiologici rappresentano un valido
strumento che permette di stimare la presenza, le caratteristiche e l’impatto
di uno specifico disturbo nella comunità, fornendo informazioni utili sia
per impostare studi volti a comprendere l’eziopatogenesi ed il trattamento
del disturbo stesso, che per pianificare interventi di prevenzione, interventi
terapeutici ed investimenti economici del servizio sanitario.
Da studi recenti è emerso, per esempio, che giovani adolescenti esposti a
violenze e abusi intra ed extrafamiliari, ad eventi minacciosi per la vita,
come gravi incidenti e disastri naturali, e a malattie croniche, sembrano
mostrare stime elevate del disturbo46.
Se si esaminano gli studi che coinvolgono campioni di soggetti solo di
sesso femminile , la prevalenza del disturbo nel corso della vita sale (dal
12,3% al 13,8%), suggerendo che le donne sviluppino più frequentemente
il DPTS rispetto agli uomini47.
Alcuni autori hanno inoltre valutato la prevalenza del DPTS in relazione
a differenti tipi di trauma. Resnick e coll. Hanno rilevato, in un campione
46
V. Guidetti, F. Galli, “Neuropsichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza. Approfondimenti”, ediz. Il Mulino, Bologna,
2006, pag. 282-283.
47
L. Belloni, P. Castrogiovanni, M. Mantero, G. Miscettola, “Il Disturbo Post-Traumatico Da Stress”, Pacini Editore
S.p.A. – Pisa, 2002, pag. 23.
40
di donne americane, che la prevalenza di DPTS sia nel corso della vita che
nei sei mesi precedenti varia con il tipo di evento traumatico48.
Dalle osservazioni nella globalità delle casistiche oggi disponibili, si
evidenzia che la prevalenza del DPTS oscilla dall’1% al 9% nella
popolazione generale e può raggiungere il 50-60% in sottogruppi di
soggetti esposti a traumi considerati di particolare gravità. Inoltre, gli studi
epidemiologici indicano come il DPTS sia un disturbo frequente, che
interessa soprattutto il sesso femminile, sulla cui prevalenza può influire
anche il tipo di trauma a cui gli individui sono stati esposti49.
Nei primi studi e descrizioni del DPTS è stata data molta enfasi al
primato dell’evento traumatico nell’eziopatogenesi del disturbo e l’attuale
nosografia richiede che trai criteri diagnostici venga compreso il rilievo
anamnestico di un evento di vita traumatico come fattore “scatenante”. È
risultato però evidente dai diversi studi che la percentuale di esposizione a
eventi potenzialmente traumatici nella popolazione supera largamente la
presenza del disturbo, indicando quindi che solo una parte dei soggetti
esposti a traumi, anche di notevole gravità, sviluppa il D PTS. Inoltre il
DPTS non è l’unica possibile conseguenza di un trauma, in quanto in
gruppi di soggetti che hanno subito tale evento sono riportate elevate
percentuali di prevalenza anche di Depressione maggiore, Disturbo di
Panico ed Abuso di Sostanze50. Ciò ha condotto negli ultimi anni a
focalizzare l’attenzione anche su altri fattori di rischio, oltre alle
48
Idem.
49
L. Belloni, P. Castrogiovanni, M. Mantero, G. Miscettola, “Il Disturbo Post-Traumatico Da Stress”, Pacini Editore S.p.A.
– Pisa, 2002, pag. 24.
50
Idem.
41
caratteristiche del trauma, che possano condizionare in modo più
importante la vulnerabilità individuale allo sviluppo del disturbo.
Sono stati evidenziati una serie di fattori, sia di rischio che protettivi,
utili a spiegare la diversità di reazione a un evento di forte impatto
emotivo. Essi sono stati suddivisi in51:
 caratteristiche della situazione traumatica quali: il tipo, il livello
di esposizione, la gravità, la durata e la frequenza del trauma;
 caratteristiche individuali quali: età, sesso, etnicità, fase evolutiva
dello sviluppo, temperamento, stile adattivo, storia personale,
struttura della personalità, quoziente intellettivo, salute psicofisica;
 caratteristiche familiari quali: storia familiare, funzionamento
psicologico di entrambi i genitori, reazione dei genitori al trauma e
sostegno familiare;
 fattori sociali quali: status socioeconomico, ruolo della rete sociale e
trattamenti assistenziali.
È chiaro, quindi, che la presenza e l’utilizzazione di fattori come la
resilience, le abilità di coping skills e il sostegno familiare e sociale
proteggono sia il bambino che l’adolescente dall’eventuale insorgenza del
disturbo. Al contrario, viene sottolineata una serie di fattori di rischio
quali: la prossimità fisica al fattore stressante, il coinvolgimento
emozionale, l’essere di sesso femminile, una scarsa autostima, preesistenti
disturbi psichiatrici, una storia familiare di disturbi mentali, l’appartenenza
51
V. Guidetti, F. Galli, “Neuropsichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza. Approfondimenti”, ediz. Il Mulino, Bologna,
2006, pag. 291.
42
a gruppi sociali svantaggiati, disturbi dell’attaccamento. Tutti questi fattori
hanno un valore predittivo rispetto allo sviluppo successivo del DPTS52.
A livello clinico emerge, quindi, l’importanza di una precoce
individuazione dei fattori sia di rischio sia protettivi, determinanti ai fini
prognostici rispetto agli effetti a breve, medio e lungo termine
dell’esperienza traumatica.
4. la fissazione sul trauma
La maggior parte delle persone che sono state esposte a fattori di stress
traumatico è in qualche modo in grado di riprendere la propria vita senza
essere ossessionata dal ricordo di quel che le è capitato, anche se questo
non significa che l’evento traumatico passi senza lasciare segno. Dopo
essere stata esposta a un trauma, la maggioranza delle persone diventa
sensibile a quell’evento, e il riemergere intrusivo, non intenzionale, dei
ricordi è un modo normale di reagire a esperienze terrifiche. Col passare
del tempo, tuttavia, alcune persone diventano incapaci di assimilare
l’atroce esperienza e iniziano a sviluppare i modelli specifici di evitamento
e iperreattività associati al DPTS. Ciò che distingue le persone che hanno
sviluppato il DPTS da quelle solo temporaneamente stressate è che le
prime iniziano a far ruotare la loro vita attorno al trauma. E’ quindi la
persistenza di ricordi forzati e stressanti, e non l’esperienza diretta
52
Idem.
43
dell’evento traumatico in sé, che dà effettivamente forma alla dimensione
biologica e psicologica del DPTS53.
La sindrome post-traumatica è la conseguenza, quindi, del fatto che il
tempo da solo non sempre è sufficiente a guarire tutte le ferite. Il ricordo
del trauma non viene assimilato e accettato come parte del proprio passato
personale, e inizia invece a esistere indipendentemente dagli schemi
precedenti (viene cioè dissociato)54.
Subito dopo un evento traumatico, quasi tutte le persone subiscono
pensieri forzati su quel che è successo. Queste interferenze le aiutano ad
apprendere
dall’esperienza
e
a
pianificare
attività
reintegranti
(accomodamento); oppure ad accettare gradualmente quel che è successo e
adeguare di conseguenza le loro aspettative (assimilazione)55. In forme
diverse, lo scorrere del tempo modifica i modi in cui il cervello elabora le
informazioni correlate al trauma. Queste vengono assimilate nella
memoria e archiviate come un evento sfavorevole che appartiene al
passato, altrimenti le sensazioni ed emozioni che appartengono all’evento
iniziano a condurre una vita autonoma. Quando le persone sviluppano il
DPTS, la riattualizzazione del trauma conduce alla sensibilizzazione, e con
ogni replica del trauma si giunge a un livello ulteriore di stress. In questi
individui, l’evento traumatico, finisce per avere conseguenze biologiche
secondarie difficili da sovvertire una volta che si sono consolidate56.
53
Bessel A. van der Kolk, Alexander C. McFarlane, Lars Weisaeth, “Stress traumatico. Gli effetti sulla mente, sul corpo
e sulla società delle esperienze intollerabili”, ediz. Ma.Gi srl, 2004, pag. 23.
54
Bessel A. van der Kolk, Alexander C. McFarlane, Lars Weisaeth, “Stress traumatico. Gli effetti sulla mente, sul corpo
e sulla società delle esperienze intollerabili”, ediz. Ma.Gi srl, 2004, pag. 23.
55
Idem.
56
Ibidem, pag. 24.
44
Solitamente, i ricordi di specifici eventi sono richiamati alla memoria
come storie che mutano nel tempo e che non evocano intense emozioni e
sensazioni. Nel DPTS, invece, il passato è rivissuto con un’immediata
intensità sensoriale ed emotiva, che fa si che le vittime abbiano la
sensazione che l’evento stia accadendo di nuovo. Per quanto sembri
paradossale, la capacità di trasformare il ricordo costituisce quindi la
norma, mentre nei casi DPTS l’impatto di un’esperienza dolorosa non
svanisce con il trascorrere del tempo57.
Ci sono sei forme fondamentali che influenzano il modo in cui le
persone con DPTS elaborano le informazioni58:
1. Le vittime di DPTS avvertono persistenti interferenze
di ricordi
legati al trauma, che ostacolano l’orientamento dell’attenzione verso
altre informazioni in entrata. Già Charcot (1887), quando descrisse
per primo i ricordi traumatici, più di cent’anni fa, li chiamò
<<
parassiti della mente>>. Con il tempo, può accadere che, gli iniziali
pensieri intrusivi del trauma possono arrivare a contaminare le
risposte dell’individuo a una serie di altri segnali e rinforzare il
controllo selettivo della rete della memoria traumatica. Le cause
scatenanti i ricordi traumatici forzati possono divenire sempre più
penetranti e generalizzati; anche quelli che dovrebbero essere stimoli
irrilevanti possono suscitare il ricordo del trauma.
2. A volte si espongono in modo compulsivo a situazioni che ricordano
il trauma. Questo fenomeno si può verificare in un ampio stretto di
57
Bessel A. van der Kolk, Alexander C. McFarlane, Lars Weisaeth, “Stress traumatico. Gli effetti sulla mente, sul corpo
e sulla società delle esperienze intollerabili”, ediz. Ma.Gi srl, 2004, pag. 24.
58
Idem.
45
popolazioni traumatizzate (per esempio donne che hanno subito
sevizie possono essere attratte da uomini che le maltrattano o
bambini molestati sessualmente possono finire per prostituirsi una
volta adulti). Freud (1920) pensava che lo scopo di queste iterazioni
fosse il raggiungimento della padronanza della situazione, ma
l’esperienza clinica ha dimostrato che ciò accade di rado. Al
contrario la ripetizione provoca ulteriore sofferenza per le vittime e
le persone a loro vicine, dato che in queste riattualizzazioni del
trauma un individuo può interpretare la parte della vittima, ma anche
quella del carnefice.
3. Tentano attivamente di evitare specifici stimolatori di emozioni
legate al trauma e sperimentano una caduta generale di reattività.
Quando le persone traumatizzate iniziano a essere ossessionate da
riattualizzazioni forzate del loro trauma, solitamente cominciano a
organizzare la loro vita in base al principio di evitare le emozioni
suscitate da quelle interferenze. L’evitamento può assumere
molteplici forme, come per esempio tenersi alla larga da ciò che può
stimolare il ricordo, ingerire medicinali o alcool così da ottundere la
consapevolezza degli stati emotivi stressanti, o far uso della
dissociazione per mantenere le esperienze sgradevole separate dalla
consapevolezza cosciente. Questo evitamento di stimoli specifici è
aggravato da una generale caduta di reattività rispetto a un ampio
insieme di aspetti emozionali della vita. Così molte persone con
DPTS non solo evitano intenzionalmente l’eccitamento emotivo, ma
vanno incontro a un progressivo declino e isolamento, in cui
qualunque stimolo provoca un ulteriore distacco. Sembra che
46
l’iperreattività cronica del DPTS esaurisca sia le risorse biologiche sia
quelle psicologiche necessarie a provare una vasta gamma di
emozioni.
4. Perdono la facoltà di modulare la loro capacità di reazione fisiologica
allo stress in generale, il che porta a un decremento della capacità di
far uso di segnali corporei come direttive per l’azione. Anche se le
persone con DPTS tendono a interagire con l’ambiente attraverso
delle costrizioni emozionali, i loro corpi continuano a reagire a certi
stimoli fisici ed emozionali come se fossero costantemente esposti a
un pericolo mortale. Soffrono di ipervigilanza, di un’esagerata
reattività e di incapacità di percepire la fatica. La ricerca ha
dimostrato che le persone con DPTS soffrono di eccitamento
neurovegetativo condizionato da stimoli legati al trauma, ma i dati
raccolti negli ultimi anni suggeriscono inoltre che molte persone
traumatizzate soffrono di eccitamento fisiologico estremo in reazione
a un’ampia gamma di stimoli. Gli individui tendono a passare
immediatamente dallo stimolo alla risposta, spesso senza rendersi
conto di cosa li abbia turbati. Solitamente provano intense emozioni
negative (paura, ansia, rabbia e panico) come reazioni a stimoli
anche minimi. Di conseguenza, spesso reagiscono esageratamente e
minacciano gli altri, oppure si chiudono e si bloccano. Solitamente,
l’eccitazione neurovegetativa riveste l’importante funzione di
spingere le persone a prestare attenzione a situazioni che possono
essere importanti, ma per quelli che sono cronicamente ipereccitati, il
sistema nervoso autonomo perde questa funzione, e il facile innesco
di reazioni somatiche da stress impedisce loro di affidarsi alle
47
sensazioni fisiche come a un efficace sistema di allarme contro
pericoli imminenti. Ciò interferisce, anche, con la loro capacità di
descrivere con parole i propri sentimenti (alessitimia), e li rende
inclini a reagire al loro ambiente con modalità comportamentali
esagerate o inibite.
5. Soffrono in generale di problemi di attenzione, distrazione e
discriminazione dello stimolo. Studi condotti su bambini indicano
che quando le persone traumatizzate si concedono qualche
fantasticheria, ciò suscita il rischio di far crollare le barriere innalzate
per evitare di essere indotti a ricordare il trauma. Per impedire che
ciò accada, queste persone si limitano e sembrano organizzare la loro
vita in base al principio di non sentire emozioni e di non prendere in
considerazione diverse opzioni riguardo al modo migliore di reagire
a problemi coinvolgenti dal punto di vista emotivo.
6. Soffrono di alterazioni dei meccanismi psicologici di difesa e della
loro identità personale, il che influenza quali nuove informazioni
verranno selezionate come rilevanti. Molti individui traumatizzati,
soprattutto i bambini, tendono a incolpare se stessi per essere stati
traumatizzati; il trauma, inoltre, è spesso associato a un profondo
senso di umiliazione e vergogna. Nel quadro di questo tipo i conflitti,
vengono attivati meccanismi difensivi che hanno il compito di
fornire una qualche conciliazione con una realtà intollerabile.
48
5. L’ESPERIENZA INTERNA NEI TRAUMI PSICHICI E NELLO STRESS
post traumatico59
Le persone che soffrono di ansia, traumi psichici e disturbi posttraumatici da stress possono condividere alcune esperienze soggettive,
inclusa la sensazione di essere sopraffatti, quella di aver subito una
catastrofe, la perdita del senso di sicurezza e la paura di essere feriti e
morire. Nei pazienti con disturbo post-traumatico da stress si osservano
preoccupazioni intense relative ai dettagli associati alle esperienze
traumatiche, preoccupazioni che a volte arrivano fino a un vero e proprio
evitamento fobico. La dissociazione degli affetti, che crea uno stato di
profondo intorpidimento emotivo, è frequente nei disturbi post-traumatici
da stress e variabile negli altri disturbi d’ansia.
Le formulazioni psicodinamiche hanno da sempre sottolineato lo shock,
il senso di helplessness, la vulnerabilità e il terrore specifici del trauma.
L’esperienza traumatica può sopraffare le capacità mentali, disturbare
l’esperienza e l’espressione degli affetti e interferire con la capacità di
simbolizzazione e con la fantasia, contribuendo così al crollo della
capacità di attribuire significato agli eventi. Può anche interferire con il
pensiero e l’elaborazione mentale delle fantasie e dei ricordi connessi al
trauma. Il trauma psichico determina cambiamenti nel senso del sé delle
vittime e nella qualità delle loro relazioni interpersonali. La letteratura
clinica ha sottolineato il ruolo della coazione a ripetere e della ri-
59
PDM, Manuale Diagnostico Psicodinamico, traduz. ital. di F. Gazzillo, R. Pacifico, A. Tagini, 2008, Raffaello Cortina
Editore-Milano, pag. 104-108.
49
esperienza persistente degli eventi traumatici attraverso incubi ricorrenti,
ricordi/flashback e la costrizione a mettere nuovamente in atto i temi
traumatici. Le osservazioni cliniche psicodinamiche hanno anche
sottolineato l’importanza del significato individuale dell’esperienza
traumatica, e il fatto che i traumi psichici possono costituire un
organizzatore mentale. Si è infine scoperto che i ricordi traumatici
cambiano nel corso del tempo.
Sono state fatte delle distinzioni molto importanti tra trauma catastrofico
o da shock, e trauma cumulativo o da sovraccarico emotivo; tra i traumi
che si manifestano nella prima infanzia, nell’infanzia e in età adulta e tra la
natura dell’evento traumatico, il processo traumatizzante e la risposta
soggettiva a esso. La risposta al trauma varia anche a seconda dello stato
fisico e mentale del soggetto, delle risorse della sua personalità e degli
effetti della precedente storia traumatica.
Horowitz (1976) ha identificato otto esperienze soggettive che spesso
seguono un trauma psichico grave:
1) senso di perdita o tristezza;
2) senso di colpa per la propria rabbia o i propri impulsi distruttivi;
3) paura di diventare distruttivi;
4) senso di colpa perché si è sopravvissuti,
5) paura di identificarsi con il ruolo di vittima;
6) vergogna per la sensazione di essere helpless e vuoti;
7) paura che il trauma si ripeta;
8) rabbia intensa diretta contro la fonte del trauma.
Tra le esperienze chiavi rilevanti che possono determinare un trauma
psichico a esordio in età adulta vi sono esperienze di guerra, tortura,
50
violenza sessuale, terrorismo, incidenti che mettono a repentaglio la vita e
la morte inattesa di una persona cara.
Gli stati affettivi connessi ai traumi includono sia sentimenti ingestibili e
soverchianti (compresi rabbia, terrore, e vergogna per essere stati
traumatizzati)
sia
la
dissociazione
degli
affetti
(manifestata
da
ottundimento, senso di vuoto e incapacità di connettere i sentimenti
disturbanti con gli eventi che li hanno generati).
I pattern cognitivi specifici del disturbo post-traumatico da stress sono i
flashback e gli incubi ricorrenti. Il pensiero degli individui traumatizzati
può includere: 1) un senso di tradimento che va al di là dei sentimenti di
perdita della sicurezza presenti in altre condizioni di ansia; 2) un senso di
colpa per le azioni fatte o non fatte, o per essere sopravvissuti mentre gli
altri sono morti (senso di colpa del sopravvissuto); 3) tendenza a
giustificare l’ansia travolgente combinata a un distacco difensivo. Altri
esiti cognitivi del trauma sono l’incapacità di pensare agli eventi
traumatici, inclusa una dissociazione totale, parziale o ricorrente del
ricordo di questi eventi; o, al contrario, la sensazione impotente di non
riuscire a pensare ad altro. È frequente che gli individui traumatizzati
sviluppino teorie su come avrebbero potuto evitare il trauma o che, anche i
risposta a imprevedibili disastri naturali, sviluppino idee relative a come la
colpa dell’accaduto sia da imputare ad altre persone. Queste credenza
possono contrastare l’esperienza terrificante dell’impotenza, poiché
attribuiscono un potere a se stessi o ad altre persone, ma possono anche
diventare la causa del perpetuarsi della sofferenza poiché favoriscono
autocritiche senza fini o tentativi di punire i presunti colpevoli.
51
Alcune funzioni critiche dell’Io, tra cui l’esame di realtà, il giudizio, la
regolazione degli affetti, le difese e l’organizzazione/integrazione della
memoria possono essere influenzate negativamente dal trauma. La
distinzione tra il passato e il presente può essere annullata o sfuocata, così
che il passato è sentito come se stesse accadendo in quel momento.
Gli stati somatici caratteristici dei disturbi post-traumatici da stress
includono irritabilità, disturbi del sonno e tentativi di automedicazione con
abuso di sostanze. Le lamentele psicosomatiche sono frequenti e alcuni
individui traumatizzati si trovano a fare nuovamente esperienza delle
reazioni corporee che si erano manifestate al momento del trauma.
I pattern relazionali possono includere dei cambiamenti nel modo di
rapportarsi con le altre persone, dovuti a una riduzione della fiducia in se
stessi e a un aumento dell’insicurezza, nonché stati di ottundimento, ritiro,
rabbia cronica e senso di colpa.
52
CAP. iii
TRAUMA, DISSOCIAZIONE E
NEUROBIOLOGIA DEL dPTS
53
1. TRAUMA E DISSOCIAZIONE
1.1 ruolo del sistema di attaccamento nella risposta ai traumi
Le persone che soffrono di un disturbo post-traumatico cronico vivono
intrappolate in un terribile dilemma. Manca loro un’adeguata capacità
integrativa e la possibilità di prendere pienamente coscienza di esperienze
e ricordi orribili e al tempo stesso devono portare avanti la loro vita
quotidiana.
L’opzione
più
accessibile
diventa
quella
di
evitare
mentalmente un passato e un presente che restano irrisolti e dolorosi,
mantenendo per quanto possibile una facciata di normalità che, molte volte
però, risulta essere fragile. Ricordi spaventosi possono perseguitare chi è
sopravvissuto a traumi, in particolare quando le risorse fisiche ed
emozionali si esauriscono. Spesso si trovano a combattere deficit nelle
capacità di regolare le relazioni con gli altri e le esperienze interne,
restandone sopraffatti. I deficit di regolazione limitano in modo grave il
livello mentale delle persone traumatizzate, che sembrano incapaci di
54
raggiungere un’adeguata efficienza mentale (definibile come l’equilibrio
tra il livello di energia mentale e la capacità di utilizzare tale energia per
intraprendere azioni mentali e comportamentali adattive), poiché sono
tormentate da azioni ripetitive ma inefficaci e da reazioni che non aiutano
a raggiungere una completa maturità e un’adeguata capacità di affrontare
le vicissitudini e la complessità della vita60.
Fino a quando gli individui riescono a immaginare un modo per evitare
l’inevitabile, o sentono che c’è qualcuno più forte di loro che si prende
cura di loro, sembra che i sistemi psicologici e biologici siano protetti dalla
minaccia della sopraffazione. Gran parte dell’attività umana sembra rivolta
all’elaborazione di idee su come funziona il mondo e a creare ambiente
sociali stabili, più o meno prevedibili, finalizzati alla protezione. Dal punto
di vista evolutivo, questi processi hanno inizio nella fiducia che i bambini
ripongono nelle cure esterne, che forniscono loro una sicurezza di base.
In particolare, in Sviluppi traumatici, per G. Liotti e B. Farina, ciò che,
per maturazione e apprendimento, si sviluppa nell’essere umano - a partire
dalla prima infanzia e potenzialmente per tutto l’arco della vita – è
anzitutto un insieme di disposizioni o tendenze frutto dell’evoluzione. In
questo senso, le disposizioni che progressivamente si sviluppano hanno
una base innata; l’interazione fra le tendenze innate ad agire in direzione di
precise mete biologiche e biosociali da una parte, e dall’altra gli
apprendimenti connessi ai risultati dell’operare di queste tendenze,
compone sistemi chiamati “motivazionali”. Questi sistemi sono in stato di
inattività fino a che specifiche contingenze ambientali o condizioni
60
Onno van der Hart, Ellert R. S. Nijenhuis, Kathy Steele, “Fantasmi nel sè. Trauma e trattamento della dissociazione
strutturale”, Raffaello Cortina Editore, 2011, pag. 9.
55
dell’organismo non li rendono egemoni risvegliandoli a governare,
finalizzandole,
condotta
e
attività
mentale.
Le
risposte
fornite
dall’ambiente sociale alle richieste di cura, codificate in complesse
strutture di memoria e aspettative chiamate Modelli Operativi Interni
(MOI) organizzano le manifestazioni del sistema di attaccamento nella
direzione della sicurezza (quando le risposte alle richieste di cura e
conforto avanzate dal bambino sono state soddisfacenti in modo costante e
prevedibile) oppure nella direzione di diverse forme di insicurezza (note
come stili evitanti, ambivalenti e disorganizzato quando tali risposte sono
state in vari modi insoddisfacenti)61. Quando crescono i bambini diventano
gradualmente più autonomi, ampliando la loro conoscenza di come
funzionano le cose e sviluppando capacità che li aiuteranno a fronteggiare
le minacce esterne. Nel tempo, la prevedibilità e le capacità di controllo si
estendono a includere la capacità di impegnarsi con le persone, le
istituzioni e con i sistemi di valore che forniscono un senso di razionalità,
appartenenza e protezione contro le minacce (Erikson, 1963)62.
L’evoluzione ha fornito ogni specie animale di un sistema che motiva a
cercare scampo – attraverso strategie diverse da specie a specie, ma che
implicano tutte la fuga e la lotta – ogni volta che si incontrino eventi
minacciosi per la vita o per l’incolumità (gli eventi che costituiscono
l’essenza del concetto di trauma secondo la definizione del D SM). In molte
specie di mammiferi e certamente negli uomini, il sistema di difesa si
esprime con quattro risposte fondamentali: fight (lotta), flight (fuga),
61
G. Liotti, B. Farina, “Sviluppi traumatici. Eziopatogenesi, clinica e terapia della dimensione dissociativa”, raffaello
Cortina editore, 2011, pag. 69.
62
Bessel A. van der Kolk, Alexander C. McFarlane, Lars Weisaeth, “Stress traumatico. Gli effetti sulla mente, sul corpo
e sulla società delle esperienze intollerabili”, ediz. Ma.Gi srl, 2004, pag. 301.
56
freezing (immobilità ipertonica con conservata padronanza sulla motilità) e
faint (immobilità ipotonica o cataplettica, con perdita della padronanza
sulla motilità). Complessi pattern emozionali e schemi corrispondenti di
attivazione neurovegetativa accompagnano tali risposte. In una prospettiva
evoluzionista, è possibile ricondurre quasi tutti i sintomi principali del
DPTS all’attivazione del sistema di difesa, che riguarda anche stati
soggettivi problematici come le memorie intrusive, il rivivere il trauma,
l’ottundimento (numbing) e i deficit metacognitivi. Il sistema di difesa,
quando attivato da una minaccia grave alla quale si è sopravvissuti, e
anche da una minaccia mortale alla quale sia esposto un altro con cui si sia
in stretta relazione affettiva, implica per ragioni di adattamento
evoluzionistico una memorizzazione forzata e ripetitiva dell’evento
traumatico. E’ questa la base per le memorie intrusive in cui il paziente
con DPTS rivive il trauma63. Ma, in particolare, per spiegare i fattori di
rischio e i fattori protettivi che influenzano la risposta al trauma,
l’attenzione deve essere rivolta soprattutto al sistema dell’attaccamento il
quale, ha una funzione protettiva che si esercita attraverso la ricerca attiva
di vicinanza a un membro familiare del gruppo sociale (Bowlby, 1969).
Esso svolge la funzione di chiedere aiuto e conforto ai propri simili
durante tutto l’arco di vita, e non solo nell’infanzia. Il sistema di
attaccamento è dunque risvegliato, sostanzialmente, dalla paura e dal
dolore64. L’attivazione di questo sistema potrebbe spiegare, per Liotti,
perché alcune persone, se esposte a traumi, vanno incontro a
un’iperattivazione durevole del sistema di difesa e dunque a un DPTS,
63
G. Liotti, B. Farina, “Sviluppi traumatici. Eziopatogenesi, clinica e terapia della dimensione dissociativa”, Raffaello
Cortina Editore, 2011, pag. 72.
64
Ibidem, pag. 76.
57
mentre altre hanno un’attivazione del sistema di difesa che perdura solo
fino a che perdura l’evento traumatico, e dunque non sviluppano i durevoli
sintomi del DPTS. La variabile principale che media la diversa risposta ai
traumi, patologica oppure non tale, potrebbe infatti essere, per la teoria
evoluzionistica, il diverso stile di attaccamento.
Ogni persona sviluppa, a partire dalla prima infanzia, uno stile
individuale di richiesta di cura e conforto, in funzione delle diverse
risposte fornite al bambino da chi abitualmente lo accudisce. La ricerca
empirica ha identificato quattro stili o pattern di attaccamento: sicuro (B);
insicuro-evitante (A); insicuro-ambivalente (C) e disorganizzato (D).
Se fonte di insicurezza circa la possibilità di ricevere aiuto in situazioni di
paura e dolore, le risposte ottenute dal caregiver durante lo sviluppo della
personalità potrebbero divenire fattori di vulnerabilità capaci di indurre
risposte patologiche ai traumi. Mentre i MOI dell’attaccamento sicuro, in
caso di allarme e dolore, permettono di prevedere facile ed efficace
accesso all’aiuto del caregiver, i MOI degli attaccamenti insicuri limitano
la fiducia di ottenere aiuto e conforto dopo un trauma, riducendo la
capacità di chiederli efficacemente causando, in questo modo, l’attivazione
del sistema di difesa che si esprime come DPTS65. Se un MOI insicuro
ostacola la capacità di chiedere aiuto e conforto, di percepirne la
disponibilità nell’ambiente sociale o di utilizzarli, il rischio di sviluppare
un DPTS aumenta anche in presenza di sostegno sociale offerto alle vittime
di eventi traumatici. Gli studi effettuati sulle conseguenze dell’attacco
terroristico alle torri gemelle di New York hanno evidenziato che i sintomi
65
G. Liotti, B. Farina, “Sviluppi traumatici. Eziopatogenesi, clinica e terapia della dimensione dissociativa”, Raffaello
Cortina Editore, 2011, pag. 76-77.
58
di DPTS sviluppati da persone con precedente storia di attaccamento sicuro
sono significativamente minori rispetto agli individui insicuri. I dati di
alcune ricerche suggeriscono che, fra i diversi tipi di attaccamento
insicuro, quello disorganizzato potrebbe costituire il maggior fattore di
rischio per il DPTS. In accordo con la definizione di trauma fornita dal
DSM-IV, infatti, nella disorganizzazione dell’attaccamento (DA) il
bambino sperimenta emozioni veementi, e allo stesso tempo l’impotenza
dolorosa che caratterizza ogni autentica esperienza traumatica: sintomi di
distacco (detachment) dissociativo, che rimandano all’esperienza di
sentirsi alienati dalle proprie emozioni, dal proprio corpo, dal senso usuale
della propria stessa identità e dal senso usuale di familiarità di realtà
ambientali note, e sintomi di compartimentazione, rappresentati dalla
tipica amnesia dissociativa (incapacità di rievocare importanti notizie
personali, di solito di origine traumatica, troppo estesa o completa per
poter
essere
spiegata,
dal
paziente
stesso,
come
una
normale
dimenticanza), da altre distorsioni della memoria, e dalla coesistenza di
stati dell’io diversi fra loro che i pazienti non riescono a integrare in modo
tale da mantenere un senso di sé unitario e rappresentazioni di sé
sufficientemente coese (per maggiori approfondimenti Liotti, Farina,
2011).
Il senso di sicurezza e prevedibilità dipende dalla capacità individuale di
fare affidamento sull’equilibro tra risorse interne ed esterne. Quando un
individuo non è forte abbastanza da affrontare le minacce esteriori e gli
agenti esterni non riescono a portare soccorso, l’incapacità di agire in
59
modo tale da eliminare la minaccia può provocare una reazione da stress
acuto66.
1.2 DISSOCIAZIONE ED ELABORAZIONE DELL’INfORMAZIONE NEL DPTS
Gli esseri umani sono creature produttrici di senso. Nel momento in cui
si sviluppano, essi organizzano il loro mondo in base a una teoria della
realtà, che in parte è cosciente, ma che in gran parte rappresenta
un’assimilazione inconscia delle esperienze accumulate. Gli schemi
cognitivi, quindi, permettono agli individui di dare un senso all’esperienza
emotivamente rilevante, agendo da ammortizzatori contro il senso si
sopraffazione. Questi schemi interiori funzionano anche come filtri, che
selezionano gli input percettivi rilevanti nel successivo processo di
codificazione e classificazione e costituiscono quindi il percorso lungo il
quale gli individui analizzano le esperienze che stanno vivendo67. Ciò che
costituisce un trauma è cioè qualcosa di strettamente personale e dipende
dagli schemi mentali preesistenti.
Il trauma, come già detto nei precedenti capitoli, è generalmente definito
come un evento della vita del soggetto caratterizzato dall’intensità del suo
impatto, dall’incapacità del soggetto a rispondervi adeguatamente, dalla
viva agitazione e dagli effetti patogeni durevoli che esso provoca
nell’organizzazione psichica del soggetto stesso. In termini economici, il
trauma è caratterizzato da un afflusso di eccitazioni eccessivo rispetto alla
66
Bessel A. van der Kolk, Alexander C. McFarlane, Lars Weisaeth, “Stress traumatico. Gli effetti sulla mente, sul corpo
e sulla società delle esperienze intollerabili”, ediz. Ma.Gi srl, 2004, pag. 301.
67
Bessel A. van der Kolk, Alexander C. McFarlane, Lars Weisaeth, “Stress traumatico. Gli effetti sulla mente, sul corpo
e sulla società delle esperienze intollerabili”, ediz. Ma.Gi srl, 2004, pag. 302.
60
tolleranza del soggetto ed alla sua capacità di dominarlo e di elaborarlo
psichicamente (Laplanche e Pontalis, 1981)68.
Nei soggetti che soffrono di DPTS sono tre i problemi che incidono
sull’elaborazione dell’informazione. Per prima cosa, questi individui
interpretano in modo eccessivo gli stimoli che stanno vivendo come ricordi
del trauma: stimoli di bassa intensità finiscono per avere il potere di
attivare dei ricordi intrusivi del trauma. Secondo, i soggetti affetti da D PTS
soffrono di iperreattività generalizzata e di difficoltà a discriminare ciò che
è rilevante da ciò che non lo è. Terzo, dopo essersi dissociati al momento
del trauma, molti individui traumatizzati continuano a usare la
dissociazione come mezzo per affrontare sia le intrusioni legate al trauma
che le altre esperienze stressanti della vita69.
Nel corso del tempo, infatti, gli studiosi, attraverso l’accumularsi di
osservazioni cliniche, ricerche epidemiologiche e sperimentali, hanno
confermato sempre di più l’ipotesi dell’esistenza di una relazione causale
tra i concetti di trauma psichico ambientale e dissociazione e/o disagio
psichico di origine traumatica70.
La dissociazione è un modo di organizzare l’informazione; essa compare
sia al momento dell’evento traumatico sia a livello post-traumatico, come
conseguenza a lungo termine dell’esposizione traumatica. La dissociazione
ha a che fare con una “compartimentazione dell’esperienza”: gli elementi
di un trauma non vengono infatti assimilati in un insieme unitario o in un
68
Vedi www.animamea.splinder.com, “Biologia e Disturbo post-traumatico da stress”.
Bessel A. van der Kolk, Alexander C. McFarlane, Lars Weisaeth, “Stress traumatico. Gli effetti sulla mente, sul corpo
e sulla società delle esperienze intollerabili”, ediz. Ma.Gi srl, 2004, pag. 302.
70
Vedi www.animamea.splinder.com, “Biologia e Disturbo post-traumatico da stress”.
69
61
senso del sé integrato71. Già lo psichiatra britannico C. S. Myers, che
durante la Prima Guerra Mondiale coniò l’espressione <<shok da granata >>,
ipotizzò che l’essenza della traumatizzazione consistesse nel fatto che gli
individui sono incapaci di integrarla nei loro stati normali della
personalità. Al contrario, questi ricordi traumatici vengono immagazzinati
separatamente dagli altri ricordi, in stati della personalità separati
(“personalità
emotiva”).
Negli
individui
traumatizzati,
le
parti
“apparentemente normali”, sono fissate nel cercare di portare avanti una
vita normale, sono cioè guidati da sistemi d’azione finalizzati alla vita
quotidiana (per esempio, esplorazione, accudimento, attaccamento) e nel
contempo evitano le memorie traumatiche. Come “parti emozionali della
personalità”, sono fissati in sistema d’azione (per esempio difesa,
sessualità) o sottosistemi (per esempio ipervigilanza, attacco, fuga) che
erano stati attivati al tempo della traumatizzazione. Anche Kardiner
riscontrò il ruolo cruciale giocato dalla dissociazione nei veterani di guerra
traumatizzati da lui studiati. Negli stati di fuga dissociativa un soggetto, se
provocato da uno stimolo sensoriale,
<<
agisce come se l’evento traumatico
originario fosse ancora in corso o mette in atto quelle strategie protettive
che hanno fallito nella situazione originaria
>>
(Kardiner, 1941). Ma fu, in
particolare, P. Janet il primo a studiare in modo sistematico la relazione tra
dissociazione e trauma psicologico. Janet riteneva che la dissociazione
fosse
il fattore
cruciale
che
determina
l’eventuale
adattamento
all’esperienza traumatica. L’intensità di un’<<emozione violenta>>, per lo
studioso francese, dipende sia dallo stato emotivo della vittima al
71
Bessel A. van der Kolk, Alexander C. McFarlane, Lars Weisaeth, “Stress traumatico. Gli effetti sulla mente, sul corpo
e sulla società delle esperienze intollerabili”, ediz. Ma.Gi srl, 2004, pag. 304.
62
momento dell’evento, sia dalla valutazione cognitiva della situazione. Con
una visione sorprendentemente attuale, Janet, considerava che l’unità della
persona fosse il risultato di una laboriosa costruzione, mai definitivamente
compiuta, di sintesi progressive di diversi sistemi mentali organizzati
gerarchicamente, dai più elementari ai più evoluti. La sua idea era che le
violente emozioni suscitate dalle esperienze traumatiche, in proporzione
alla loro intensità, durata e ripetizione, disaggregassero (“désagrégation”)
l’unità della coscienza in distinti sistemi di idee e funzioni dotati di un
proprio senso di Sé72. Janet osservò che alcuni elementi somatosensoriali
del trauma possono riaffacciarsi alla coscienza quando l’individuo si trova
di fronte a qualcosa che ricorda il trauma. Quest’ultimo, quindi, può essere
rivissuto sotto forma di sensazioni fisiche (come attacchi di panico),
immagini visive (flashback, pensieri ossessivi o riattualizzazioni
comportamentali)73.
Secondo Van der Hart, Nijenhuis e Steele, la dissociazione propriamente
detta va intesa non come alterazione dell’esperienza soggettiva ma come
un’abnorme barriera mentale fra gli stati dell’Io, che non hanno più la
normale possibilità di accesso simultaneo alla coscienza e alla memoria.
La barriera dissociativa separa la parte della personalità che appare
relativamente ben adattata al decorso temporale della vita quotidiana da
una o più altre parti fissate per così dire nel passato, e legate a emozioni
soverchianti (“veementi”) correlate ai traumi74. Vengono così distinti tre
72
Onno van der Hart, Ellert R. S. Nijenhuis, Kathy Steele, “Fantasmi nel sè. Trauma e trattamento della dissociazione
strutturale”, Raffaello Cortina Editore, 2011, pag. XVIII.
73
Bessel A. van der Kolk, Alexander C. McFarlane, Lars Weisaeth, “Stress traumatico. Gli effetti sulla mente, sul corpo
e sulla società delle esperienze intollerabili”, ediz. Ma.Gi srl, 2004, pag. 306-307.
74
Onno van der Hart, Ellert R. S. Nijenhuis, Kathy Steele, “Fantasmi nel sè. Trauma e trattamento della dissociazione
strutturale”, Raffaello Cortina Editore, 2011, pag. IX.
63
tipi di dissociazione strutturale a seconda del numero di stati dell’Io o parti
della personalità non integrate:
1) La dissociazione strutturale primaria corrisponde al disturbo
post-traumatico da stress, dove le parti della personalità non
integrate sono due: vi è una divisione della personalità correlata a
traumi tra una singola
ANP
(personalità apparentemente normale)
predominante e una singola
EP
(personalità emotiva) non molto
elaborata né autonoma. Molti bambini e adulti sono incapaci, se
posti di fronte a una minaccia opprimente, di integrare nella
coscienza la totalità di ciò che sta accadendo loro. Alcuni
comportamenti sensoriali ed emotivi dell’evento possono non
essere assimilati nella memoria e nell’identità individuale,
rimanendo isolati dalla coscienza ordinaria e non vengono integrati
in un racconto personale. Questa frammentazione è accompagnata
da stati dell’Io distinti dal normale stato di coscienza. Si tratta,
appunto,
di
una
condizione
di
dissociazione
<<
primaria>>
caratteristica del DPTS, i cui sintomi più drammatici – ricordi
intrusivi fortemente angoscianti, incubi e flaschback – sono
espressione dei ricordi traumatici.
2) La dissociazione strutturale secondaria, che può osservarsi, per
esempio, in alcuni pazienti con disturbo borderline di personalità,
in cui gli stati dell’Io non integrati sono tre, una ANP predominante
e più di una EP. Dal momento che un individuo cade in uno stato
mentale traumatico (dissociato), può verificarsi in lui un’ulteriore
disintegrazione di elementi dell’esperienza personale. Spesso negli
individui traumatizzati come le vittime di incesto, i sopravvissuti a
64
incidenti automobilistici e i soldati sul fronte, è stata descritta una
<<
dissociazione tra l’Io che osserva e l’Io che esperisce
tecniche di distanziamento, di
<<
>>
: queste
dissociazione secondaria
>>
,
permettono agli individui di osservare la propria esperienza
traumatica come spettatori e di limitare dunque la sofferenza e lo
stress, allontanando gli individui dalle sensazioni e dalle emozioni
legate al trauma.
3) La dissociazione strutturale terziaria, tipica dei più gravi disturbi
dissociativi, come il disturbo dissociativo dell’identità, in cui le
parti della personalità non integrate fra loro sono quattro o più: gli
individui sviluppano stati dell’Io distinti in cui dare spazio
all’esperienza
traumatica,
caratterizzate
da
costituiti
specifici
modelli
da
identità
cognitivi,
complesse,
affettivi
e
comportamentali. Alcuni stati dell’Io possono contenere il dolore,
la paura o la rabbia relative a particolari esperienze traumatiche,
mentre altri stati restano inconsapevoli del trauma e dei sentimenti
relativi, continuando a eseguire le funzioni ordinarie della vita
quotidiana.
Con il concetto di dissociazione si intende, quindi, quel processo
disgregativo dell’unitarietà dell’Io, determinato da meccanismi psichici
difensivi, mediante i quali l’individuo fronteggia situazioni che percepisce
come catastrofiche. L’originario valore adattivo di tali meccanismi
difensivi può sfociare in un processo patologico nel momento in cui esso
diventi lo stile difensivo prevalentemente utilizzato dall’individuo, che ne
65
modella il modo di stare al mondo e di affrontare ogni altro evento
stressante nel corso della sua esperienza75.
È stato ipotizzato che gli individui che sviluppano un DPTS non hanno
probabilmente la possibilità di classificare diversi “livelli di realtà” come
separati, seppur in relazione tra loro. In tali individui si crea perciò una
unione tra gli episodi realmente accaduti, ciò che è stato codificato al
momento dell’evento, le conoscenze all’interno delle quali l’evento è stato
integrato, l’interpretazione del significato delle informazioni, le strategie e
il contesto del recupero, i precedenti accessi ai ricordi76. Per dare un
significato a ciò che gli organi di senso catturano dal mondo esterno e
trasportano all’interno del nostro sistema nervoso, ciascuno di noi elabora
una “sintesi personale”77. Le nuove esperienze sono “etichettate” e
categorizzate in base alle esperienze precedenti. Nel momento in cui ci si
trova davanti ad esperienze bizzarre, molto dolorose o spaventose, tali
esperienze potrebbero non essere integrate nella coscienza superiore e
rimanere in uno stato di non elaborazione. Da qui scaturisce la
dissociazione, un meccanismo di difesa collegato alle capacità di rievocare
memorie traumatiche. Questo risulta essere direttamente connesso con
l’impossibilità di elaborare informazioni che superano le capacità mentali
dell’individuo78. Nella quarta edizione del DSM, la nuova diagnosi del
Disturbo da Stress Acuto si concentra sulla dissociazione immediatamente
conseguente al trauma. Nel corso dell’evento traumatico o subito dopo,
75
Vedi www.animamea.splinder.com, “Biologia e Disturbo post-traumatico da stress”.
Idem.
77
Sintesi: processo attraverso cui vengono percepite, connesse e differenziate le diverse componenti dell’esperienza;
la sintesi fornisce l’unità normativa della consapevolezza e della storia dell’individuo. Alterazioni dello stato di
coscienza e sintomi dissociativi possono emergere quando la sintesi è incompleta.
78
Vedi www.animamea.splinder.com, “Biologia e Disturbo post-traumatico da stress”.
76
66
l’individuo manifesta almeno tre dei seguenti sintomi dissociativi: 1) senso
di estraniamento, di intorpidimento, o mancanza di risposta emotiva; 2)
calo di consapevolezza del consenso circostante; 3) derealizzazione
(provare un forte senso di irrealtà o di distacco dalla realtà); 4)
depersonalizzazione (provare un senso di distacco e di estraneità da se
stessi, come se la mente si trovasse al di fuori del corpo); 5) incapacità di
ricordare un aspetto significativo del trauma. La dissociazione di
un’esperienza traumatica si verifica quindi mentre il trauma è in corso. Sia
il DAS che il DPTS sembrano avere origine nella capacità dell’individuo di
avere accesso agli stati dissociativi. Gli individui che hanno imparato
precocemente a usare questo modo di far fronte a una minaccia sembrano
essere particolarmente inclini a usarlo nuovamente durante gli stress acuti.
Ciò impedisce di essere pienamente consapevoli di ciò che sta accadendo e
quindi di
possedere>> l’esperienza. L’incapacità di integrare il trauma
<<
durante lo stadio acuto rende questi soggetti vulnerabili al successivo
sviluppo del DPTS79. Molti clinici che trattano individui traumatizzati
affetti da DPTS hanno notato che, in risposta a determinati stimoli
apparentemente neutri, alcuni soggetti si comportano come se fossero
nuovamente traumatizzati e sperimentano uno stato mentale che sembra
essere quello presente al momento del trauma anche se non ricordano
esplicitamente l’evento traumatico quando si comportano a quel modo. La
dissociazione permette agli individui di mantenere i propri schemi
esistenti, mentre stati separati della mente trattano l’evento traumatico. I
soggetti traumatizzati possono trattenere i loro ricordi dissociati in uno
79
Bessel A. van der Kolk, Alexander C. McFarlane, Lars Weisaeth, “Stress traumatico. Gli effetti sulla mente, sul corpo
e sulla società delle esperienze intollerabili”, ediz. Ma.Gi srl, 2004, pag. 309.
67
stato dell’Io del quale normalmente non sono consapevoli; in questo modo,
una parte della personalità di un individuo può continuare a svilupparsi
senza subire specifiche interferenze da parte del ricordo traumatico80.
Distinguiamo un trauma relazionale, nel caso di eventi dolorosi che
coinvolgono una o poche relazioni interpersonali, da un trauma sociale,
che coinvolge un gruppo ampio quale una comunità o un’intera
popolazione, o che sia potenzialmente condivisibile. I due tipi di trauma
possono, ovviamente, coesistere81. Per definizione un disastro comporta
sofferenze enormi. I danni si estendono oltre gli effetti immediatamente
visibili – come la distruzione delle abitazioni – e sono in ogni caso meno
scontati. I disagi imposti da un disastro potrebbero aggravarsi perché il
disastro può innescare una sequenza di eventi che spingono l’esistenza di
un individuo in una spirale verso il basso.
Dopo una catastrofe naturale, ad esempio, i sopravvissuti devono fare i
conti con molteplici privazioni. Perdite simboliche provocano un intenso
distress psicologico. Alcuni ricercatori hanno identificato uno schema di
reazioni acute da stress che include sintomi dissociativi, ansia, evitamento
e rivissuti dell’esperienza del trauma attraverso i ricordi. I risultati di uno
studio
svolto
dopo
un
grave
disastro
naturale
(l’incendio
di
Oakland/Berkeley, 20 Ottobre 1991, che causò la morte di 24 persone e
distrusse 3135 abitazioni), dimostrarono che le persone che subiscono un
grave disastro, continuano a subire molti cambiamenti stressanti nei mesi
successivi. Sebbene alcuni di questi cambiamenti siano direttamente
correlati al danno materiale provocato dal disastro (la perdita della propria
80
81
Ibidem, pag. 314-315.
Vedi www.animamea.splinder.com, “Biologia e Disturbo post-traumatico da stress”.
68
abitazione), altri cambiamenti si correlano più alle conseguenze
intrapsichiche del confrontarsi con il disastro (i sintomi dissociativi),
piuttosto che al danno materiale. Il risultato più eclatante di questo studio,
infatti, riguarda le evidenze a favore di relazioni significative tra i sintomi
dissociativi comparsi nel periodo immediatamente successivo al disastro e
i cambiamenti di vita stressanti che sopravvengono nei mesi successivi
all’incendio: le persone che presentano un maggior numero di sintomi
dissociativi hanno una probabilità significativamente maggiore di
ammalarsi gravemente o di subire gravi lesioni fisiche nei mesi successivi;
essi subiscono più facilmente di altri anche sostanziali stravolgimenti delle
abitudini alimentari e del ritmo del sonno; inoltre, le loro relazioni con
altre persone possono interrompersi più facilmente e vi è un aumento del
consumo di alcol o di sostanze psicoattive82. Le relazioni tra tutto ciò e i
sintomi dissociativi, per questi ricercatori, appaiono meno ovvie. Ad
esempio, i sintomi dissociativi accertati nel periodo immediatamente
successivo a un disastro possono persistere in molti sopravvissuti, ad
indicare che questi individui non prestano un’adeguata attenzione alle loro
abitudini igieniche e alle loro condizioni ambientali, comportamento che
favorisce un aggravamento della malattia e delle lesioni fisiche e
stravolgimenti dell’alimentazione e del ritmo del sonno. Può darsi che i
sintomi dissociativi impediscano ad alcuni sopravvissuti di coltivare le
loro relazioni interpersonali, da cui deriva la perdita di alcune amicizie83.
Future ricerche, quindi, dovrebbero valutare in che modo le conseguenze
a breve termine di un disastro, comportino ulteriori cambiamenti stressanti
82
Carol S. Fullerton, Robert J. Ursano “Disturbo post-traumatico da stress. Le risposte acute e a lungo termine al
trauma e al disastro”, Centro Scientifico Editore, 2001, pag. 21-32.
83
Ibidem, pag. 32-33.
69
a lungo termine e, identificare i punti critici su cui operare un intervento
che possa rivelarsi efficace per i sopravvissuti a un disastro e altre
situazioni traumatiche.
Sebbene alti livelli di dissociazione siano stati notati i pazienti con DPTS,
in pazienti affetti da disturbo bordeline della personalità e con disturbi di
somatizzazione, il DSM-III ha creato una categoria separata per i disturbi
dissociativi, con l’intento di cogliere meglio quei fenomeni associati
all’oscillazione da parte degli individui tra stati alterni di coscienza.
2. neurobiologia del dpts
2.1 fisiologia della risposta al pericolo
Esiste ormai una vasta letteratura che conferma che in presenza di alcune
situazioni traumatiche, specie se estreme e ripetute nel tempo, si possano
rilevare alterazioni neurologiche e biochimiche.
I sintomi del DPTS possono essere definiti come i risultati di una
successione
di
risposte
biologiche
e
psicologiche,
conseguenti
all’attivazione della reazione di paura e di altre strutture cerebrali84.
L’esposizione ad un evento traumatico porta l’organismo ad organizzare
una risposta di paura, la quale inizialmente coinvolge una risposta
84
Vedi www.animamea.splinder.com, “Biologia e Disturbo post-traumatico da stress”.
70
biologica che attiva il processo di valutazione per organizzare una idonea
risposta comportamentale. La percezione del pericolo trova il suo punto di
partenza negli organi di senso che trasmettono l’informazione al talamo,
quest’ultimo invia efferenze sia direttamente all’amigdala (via rapida) che
alla corteccia, che dopo avere elaborato l’informazione stessa la riinvia
all’amigdala. Dall’amigdala, centro “effettore” della risposta al pericolo,
partono efferenze che guidano la risposta vegetativa, neuroedocrina e
comportamentale al pericolo. L’amigdala riceve due tipi di afferenze: da
un lato proiezioni provenienti dalle aree sensoriali primarie e dalle aree
associative secondarie (via corticale) e dall’altro riceve informazioni
sensoriali provenienti da vari nuclei talamici (via sottocorticale o
talamica). Le due vie, oltre ad essere anatomicamente diverse, svolgono
funzioni differenti nel processo di analisi dell’informazione emotiva. La
via
talamica
diretta
invia
un’informazione
molto
povera
sulle
caratteristiche dello stimolo, anche se sufficiente a provocare una risposta
emotiva
indifferenziata.
Al
contrario,
l’informazione
che
arriva
all’amigdala dalla via corticale è molto dettagliata in relazione alle
caratteristiche percettive e semantiche dello stimolo e serve al soggetto
per formulare una risposta adeguata alla situazione85. Dal momento che
l’input dal talamo arriva all’amigdala prima dell’informazione proveniente
dalla neocorteccia, LeDoux suggerisce che questo primo input sensoriale
dal talamo “prepari” l’amigdala a elaborare l’informazione che arriva
successivamente dalla corteccia. Così, la valutazione emotiva di questo
input sensoriale precede l’esperienza emotiva consapevole. I soggetti
85
L. Belloni, P. Castrogiovanni, M. Mantero, G. Miscettola, “Il Disturbo Post-Traumatico Da Stress”, Pacini Editore
S.p.A. – Pisa, 2002, pag. 103-104.
71
possono attivarsi autonomamente e per via ormonale prima che siano
capaci di valutare consapevolmente ciò a cui stanno reagendo86.
Una delle più immediate risposte dello stress è la scarica del sistema
simpatico che provoca l’incremento della frequenza del battito cardiaco e
della pressione sanguigna (reazione di “attacco o fuga”). Queste reazioni
provocano un incremento generalizzato del flusso sanguigno ed un
aumento della disponibilità di glucosio ai muscoli scheletrici che rende
possibili la fuga da situazioni avverse o, se necessario, una risposta
ottimale alla paura87.
2.2 aspetti neurobiologici del DPts e memoria
Papez (1937) suggerì che un insieme di strutture cerebrali connesse tra di
loro formava un circuito le cui funzioni primarie erano il comportamento
motivato e le emozioni. Questo sistema comprendeva diverse regioni della
corteccia limbica e collegate strutture cerebrali profonde. Il sistema è stato
successivamente ampliato andando a includere altre strutture, e fu
chiamato sistema limbico. Le parti più importanti del sistema limbico sono
l’ippocampo e l’amigdala, localizzate nelle regioni mediali del lobo
temporale88.
86
Bessel A. van der Kolk, Alexander C. McFarlane, Lars Weisaeth, “Stress traumatico. Gli effetti sulla mente, sul corpo
e sulla società delle esperienze intollerabili”, ediz. Ma.Gi srl, 2004, pag 293.
87
Vedi www.animamea.splinder.com, “Biologia e Disturbo post-traumatico da stress”.
88
W. Yule, “Disturbo post-traumatico da stress. Aspetti clinici e terapia”, ediz. Italiana a cura di M. Biodi, ediz. McGrawHill Libri Italia srl, 2000, pag. 125.
72
Per quanto riguarda il versante delle disregolazioni del sistema nervoso
centrale, il riferimento più ricorrente è quello dell’asse ipotalamo-ipofisisurrene (HPA), notoriamente interessato nelle risposte allo stress.
Di tutte le strutture del sistema nervoso centrale, l’amigdala è la più
implicata nella valutazione del significato emozionale degli stimoli in
entrata. Essa è la sede della memoria implicita (o procedurale, si riferisce
al ricordo di capacità acquisite a abitudini, di risposte emotive, azioni
riflesse), e, viene coinvolta da vissuti emotivi intensi che vanno a fissarsi
su questa particolare zona del SNC, dove diventano stabili e duraturi;
questi ricordi, in genere non presenti alla coscienza, possono riemergere di
fronte a stimoli che sono ricollegabili all’evento traumatico. Lesioni a
livello dell’amigdala interferiscono con un’ampia gamma di ricordi dal
forte significato emozionale, tra cui l’evitamento inibitorio, l’eccessiva
reazione d’allarme potenziata dalla paura89.
L’ippocampo è implicato in una grande varietà di meccanismi di
funzionamento mentale. Sede della memoria esplicita (o dichiarativa,
riguarda la consapevolezza cosciente di fatti o eventi accaduti
all’individuo),
una
delle
sue
primissime
funzioni
è
il
ruolo
nell’elaborazione spazio-temporale; questo è, infatti, essenziale per il
consolidamento delle esperienze nella memoria a lungo termine e
l’attivazione dell’amigdala amplifica questo processo90.
In situazioni stressanti, la porzione simpatica del sistema nervoso
autonomo è attiva, e le ghiandole surrenali secernono adrenalina,
noradrenalina e gli ormoni steroidei dello stress. L’attivazione del sistema
89
W. Yule, “Disturbo post-traumatico da stress. Aspetti clinici e terapia”, ediz. Italiana a cura di M. Biodi, ediz.
McGraw-Hill Libri Italia srl, 2000, pag. 126.
90
Idem..
73
nervoso autonomo è altamente correlata all’attività dell’amigdala. Un
trauma acuto porta a un notevole aumento dei livelli di glucocorticoidi; in
condizioni normali il livello di cortisolo è basso, mentre aumenta in
condizioni stressanti, occupando, in questo modo, quasi completamente i
recettori per i glucocorticoidi. Tutto ciò interferisce con il funzionamento
ippocampale sopprimendo l’eccitabilità dei neuroni ippocampali. Una
parziale o completa disattivazione dell’ippocampo può comportare una
menomazione, più o meno grave, della memoria esplicita91. In soggetti con
DPTS si è riscontrato un deficit degli standard neuropsicologici relativi alle
funzioni ippocampali e studi di brain-imaging hanno mostrato una
riduzione del volume dell’ippocampo92. I soggetti con diagnosi di DPTS
hanno dimostrato una varietà di problemi mnesici, tra cui deficit della
memoria dichiarativa, frammentazione dei ricordi (sia personali che legati
al trauma) e alterazioni anche della memoria non dichiarativa e la
disfunzione ippocampale potrebbe rappresentare la base anatomica di
queste alterazioni93.
Una forte emozione determina quindi l’attivazione del sistema
neuroendocrino, il quale reagisce con la messa in circolo di sostanze che
inducono numerosi effetti, tra cui un persistente arousal. In particolare
Charney e coll. (1993) propongono un modello neuronale per lo sviluppo
del DPTS, che si basa sul fatto che diverse regioni cerebrali sono coinvolte
sia nel periodo del trauma originale sia successivamente: il trauma
originale porta all’attivazione della noradrenalina, a livello del locus
91
Vedi www.nicolalalli.it, “Trauma psichico e stress: una revisione critica del DPTS”, 2005.
L. Belloni, P. Castrogiovanni, M. Mantero, G. Miscettola, “Il Disturbo Post-Traumatico Da Stress”, Pacini Editore
S.p.A. – Pisa, 2002, pag. 113.
93
Idem.
92
74
coeruleus, dell’ippocampo, dell’amigdala, dell’ipotalamo e della corteccia
cerebrale,
determinando
ansia,
paura,
ipervigilanza,
iperarousal,
decodificazione dei ricordi traumatici e maggior facilità di risposte
sensitivo-motorie94. Si riscontra anche un aumento del rilascio di
dopamina nella corteccia frontale e nel nucleo accumbens che potrebbero
spiegare alcuni sintomi del DPTS come lo stato di tensione continua, gli
attacchi di panico, l’ipervigilanza e le esagerate risposte di allarme95.
In seguito ad uno stress acuto, inoltre, si verifica un aumentato rilascio di
oppioidi nella corteccia e nell’amigdala e produrrebbe quella analgesia
(riduzione o soppressione della sensibilità del dolore) che viene
sperimentata durante il trauma e che probabilmente facilita la
sopravvivenza in quel momento, così come il successivo appiattimento
emotivo (numbing), tipico del DPTS96. La successiva esposizione a eventi
traumatici determinerebbe un aumento degli oppiodi endogeni che
potrebbe spiegare il cosiddetto addiction to trauma (ricerca compulsiva di
situazioni pericolose) che è facilmente riscontrabile in pazienti affetti da
DPTS, così come in persone che hanno subito traumi psichici, con
conseguente sensazione di calma97.
Anche il sistema serotoninergico sembra essere coinvolto nella risposta
allo stress e avrebbe un ruolo nella patogenesi di alcuni sintomi del D PTS
in rapporto all’attività modulatoria della serotonina (5HT) sul locus
coeruleus, centro noradrenergico fondamentale nelle reazioni di paura.
94
W. Yule, “Disturbo post-traumatico da stress. Aspetti clinici e terapia”, ediz. Italiana a cura di M. Biodi, ediz.
McGraw-Hill Libri Italia srl, 2000, pag. 127.
95
G. B. Cassano, A. Tundo, “Psicopatologia e clinica psichiatrica”, ediz. Utet, 2006, pag. 417.
96
W. Yule, “Disturbo post-traumatico da stress. Aspetti clinici e terapia”, ediz. Italiana a cura di M. Biodi, ediz.
McGraw-Hill Libri Italia srl, 2000, pag. 128.
97
G. B. Cassano, A. Tundo, “Psicopatologia e clinica psichiatrica”, ediz. Utet, 2006, pag. 417.
75
Negli animali sottoposti a uno schock senza possibilità di evitare il trauma
mostrano una diminuzione dei livelli di serotonina nel SNC e che gli
inibitori del riassorbimento della serotonina sono agenti farmacologici
eccezionalmente efficaci nella cura del DPTS98.
Nella letteratura psicologica esiste una quantità di evidenze che indica
una specializzazione degli emisferi cerebrali, specialmente per le
emozioni, che documentano una maggiore sensibilità dell’emisfero destro
nell’elaborazione delle informazioni a forte significato affettivo99.
In uno studio condotto da Rauch e coll. (1996) un risultato sorprendente
fu la marcata lateralizzazione dell’attività dell’emisfero destro. In
contrasto, l’area di Broca – la parte dell’emisfero sinistro responsabile
della traduzione delle esperienze personali i linguaggio comunicabile –
mostrava una significativa diminuzione d’utilizzo d’ossigeno durante
l’esposizione a fattori di ricordo del trauma. Questo probabilmente sta a
indicare che durante l’attivazione di un ricordo traumatico il cervello sta
vivendo>> la sua esperienza: la persona può provare, vedere o sentire gli
<<
elementi sensoriali dell’esperienza traumatica. Il soggetto può anche subire
un impedimento di natura fisiologica nel tradurre quest’esperienza in
linguaggio comunicativo. Quando le vittime di DPTS sono sottoposte a un
ricordo traumatico possono soffrire di terrore muto, stato in cui possono
letteralmente << perdere il contatto con le proprie emozioni >> .
100
98
Bessel A. van der Kolk, Alexander C. McFarlane, Lars Weisaeth, “Stress traumatico. Gli effetti sulla mente, sul corpo
e sulla società delle esperienze intollerabili”, ediz. Ma.Gi srl, 2004, pag. 230.
99
W. Yule, “Disturbo post-traumatico da stress. Aspetti clinici e terapia”, ediz. Italiana a cura di M. Biodi, ediz.
McGraw-Hill Libri Italia srl, 2000, pag. 128-129.
100
Bessel A. van der Kolk, Alexander C. McFarlane, Lars Weisaeth, “Stress traumatico. Gli effetti sulla mente, sul corpo
e sulla società delle esperienze intollerabili”, ediz. Ma.Gi srl, 2004, pag. 238.
76
Nonostante ci sia ancora molto da comprendere, un messaggio appare
chiaro: alcune esperienze traumatiche, in particolari condizioni pre e posttraumatiche, possono esitare in processi di memorizzazione anomali che
tendono a non risolversi spontaneamente. Tali ricordi possono essere
frammentati, non accessibili o parzialmente accessibili. Compito della
terapia, quindi, è anche favorire il processo di verbalizzazione del ricordo
per poterlo “metabolizzare” positivamente.
CAP. IV
UN APPROCCIO GENERALE AL
TRATTAMENTO DEL DPTS
77
I traumi sono sempre diversi perché sopraggiungono
in momenti differenti su strutture psichiche diverse.
B. Cyrulnik
1. I PRINCIPI FONDAMENTALI DEL TRATTAMENTo
Coloro che sviluppano il DPTS si distinguono da chi ha semplicemente
subito uno stress temporaneo per il fatto che i primi si <<si bloccano>> sul
trauma, continuando a riviverlo in pensieri, emozioni, azioni, immagini. La
responsabilità delle complesse alterazioni comportamentali che vanno
sotto il nome di DPTS è da attribuire a queste riesperienze intrusive,
piuttosto che all’evento traumatico in sé (McFarlane, 1988). Una volta
dominati dalle intrusioni del trauma, i soggetti traumatizzati cominciano a
organizzare la loro vita nel tentativo di rifuggire da queste esperienze.
L’evitamento può assumere svariate forme: tenersi alla larga da situazioni,
persone o emozioni che ricordano l’evento traumatico; fare uso di alcol o
78
di sostanze stupefacenti, che ottundono gli stati emotivi stressanti;
ricorrere alla dissociazione per tenere le esperienze sgradevoli separate
dallo stato conscio. La sensazione cronica di impotenza, l’ipereattività
fisiologica e altri cambiamenti relativi al trauma possono modificare
permanentemente la maniera in cui una persona affronta lo stress, alterarne
il concetto del sé e interferire con la sua concezione del mondo in quanto
spazio gestibile.
Un prerequisito per riuscire a pianificare il trattamento in maniera
efficiente, con un obiettivo ben preciso, è la sensazione di relativa
sicurezza e prevedibilità. È stato dimostrato che chi è stato traumatizzato
fatica a sopportare le emozioni intense e a prendere in considerazione idee
potenzialmente disturbanti senza sentirsi sopraffatto (van der Kolk, Ducey,
1989). Questa tendenza interferisce con la capacità di questi individui di
avvalersi delle emozioni come punti di riferimento per le proprie azioni.
Chi è affetto da DPTS vive il proprio mondo interiore come un luogo
pericoloso, ricco di pensieri e sensazioni che ricordano il trauma. Questi
soggetti paiono impiegare le proprie energie per non pensare e non
pianificare. Questo evitamento dei fattori emotivi diminuisce ulteriormente
l’importanza della realtà e, paradossalmente, accresce il loro attaccamento
al passato101.
Lo scopo della terapia dei pazienti traumatizzati è di aiutarli a passare da
una situazione in cui sono ossessionati dal passato e in cui interpretano gli
stimoli che emotivamente ne derivano come un ritorno al trauma, a una
situazione in cui si sentono perfettamente attivi nel presente e capaci di far
101
Bessel A. van der Kolk, Alexander C. McFarlane, Lars Weisaeth, “Stress traumatico. Gli effetti sulla mente, sul corpo
e sulla società delle esperienze intollerabili”, ediz. Ma.Gi srl, 2004, pag. 415.
79
fronte alle contingenze del momento. Per raggiungere questo obiettivo, il
paziente deve riprendere il controllo delle sue risposte emotive e collocare
il trauma entro la prospettiva totale della sua vita, ossia come un evento o
una serie di eventi del passato che ha avuto luogo in un momento
particolare e in un luogo particolare e che non è ragionevole pensare si
ripeta se il soggetto si assume la responsabilità della propria vita102.
L’elemento chiave della psicoterapia di chi è affetto da D PTS è
l’integrazione di ciò che è inaccettabile, terrificante e incomprensibile
entro il concetto di Sé; occorre che gli eventi accaduti che, inizialmente
erano stati vissuti come estranei, siano adesso
personalizzati>> come
<<
aspetti integrati del passato e delle esperienze di vita del paziente (van der
Kolk, Ducey, 1989). Le rigide difese erette inizialmente come misure
protettive di emergenze devono gradualmente allentare la presa della
psiche del paziente, così che gli aspetti dissociati dell’esperienza non
continuino a intromettersi nella vita attuale, portando avanti la
traumatizzazione di soggetti già traumatizzati.
La psicoterapia deve affrontare due aspetti fondamentali del DPTS: il
decondizionamento dell’ansia e l’alterazione
della maniera in cui le
vittime vedono se stesse e il loro mondo ristabilendo la sensazione di
integrità personale e di controllo103. Al di là dell’approccio di riferimento e
delle tecniche che si desidera utilizzare, gli obiettivi che sarebbe
auspicabile raggiungere, sono comuni per tutti104:
102
Idem.
103
Bessel A. van der Kolk, Alexander C. McFarlane, Lars Weisaeth, “Stress traumatico. Gli effetti sulla mente, sul corpo
e sulla società delle esperienze intollerabili”, ediz. Ma.Gi srl, 2004, pag. 415.
104
Vedi www.animamea.splinder.com, “Biologia e Disturbo post-traumatico da stress”.
80
- guidare il paziente a ri-raccontare il trauma nell’hic et nunc,
modificandone la narrazione per giungere all’integrazione ed al
senso di controllo di tale vissuto. Si aiuta il paziente a trovare un
significato a tali eventi; ciò lo mette nella posizione di poter
dominare e gestire i ricordi intrusivi e il disagio;
- riproporre al paziente, in maniera strutturata e con un forte sostegno
psicologico, gli stimoli/segnale collegati al trauma;
- affrontare le difficoltà intra- ed inter-personali dovute alla
“distruzione” delle credenze, delle idee e delle opinioni del paziente;
- lavorare sulle risorse di crescita del paziente portandolo dalla
posizione di “vittima” a quella di “sopravvissuto” ed infine di
“fortificato”;
- spostare l’attenzione dal passato verso il presente ed il futuro;
- sostenere il paziente nel recupero della propria autostima e della
fiducia in sé e negli altri e rafforzarne le relazioni sociali;
- spronare il paziente ad usare tutte le sue risorse per “ricostruirsi”
(usando il suo sistema di credenze, sviluppando la sua capacità di
imparare dalle esperienze negative).
Ovviamente, prima di dare inizio a qualsiasi trattamento, occorre
esaminare con attenzione la storia del paziente; gli elementi da non
trascurare sono la natura dello stressor traumatico, il ruolo del paziente
nell’esperienza traumatica, i pensieri e le emozioni del paziente su ciò che
è stato fatto, l’effetto del trauma sulla vita del paziente e sulla sua
percezione del sé e degli altri, l’esposizione a precedenti esperienze
traumatiche, gli abituali stili di coping, il livello di funzionamento
cognitivo, i particolari punti di forza e le capacità personali, i precedenti
81
psichiatrici, la storia medica, sociale, familiare e lavorativa, le credenze
culturali e religiose105.
Qualunque trattamento di un soggetto traumatizzato deve progredire
secondo il ritmo dettato dal grado di intrusione involontaria del trauma,
nonché dalle capacità dell’individuo di gestire le emozioni intense. I clinici
devono identificare e rispettare le diverse difese psichiche di cui i pazienti
si avvalgono per gestire i ricordi traumatici. Un trattamento efficace deve
procedere per fasi, che dovrebbero contemplare quanto segue (van der
Hart et al.):
1. La stabilizzazione: superare, quindi, la paura delle emozioni relative
al trauma, compresi l’apprendimento e l’identificazione dei
sentimenti mediante la verbalizzazione degli stati somatici.
2. Il decondizionamento dei ricordi e delle risposte traumatiche: la
ripetizione del trauma nell’azione da parte dl paziente è il primo
passo verso il ricordo e la capacità di esprimerlo simbolicamente a
parole, fase che, a sua volta, sia un passo intermedio che il risultato
dell’elaborazione dell’esperienza emotiva.
3. La ristrutturazione degli schemi traumatici personali: una risoluzione
adattiva a un’esperienza stressante consiste in una modificazione
della concezione di sé e degli altri che consente di mantenere
l’attenzione ricolta alle esigenze quotidiane; per far fronte in maniera
efficace agli eventi stressanti, è necessario che quell’esperienza non
si generalizzi alla totalità dell’esistenza, ma venga interpretata
105
Bessel A. van der Kolk, Alexander C. McFarlane, Lars Weisaeth, “Stress traumatico. Gli effetti sulla mente, sul corpo
e sulla società delle esperienze intollerabili”, ediz. Ma.Gi srl, 2004, pag. 416.
82
semplicemente come un terribile incidente che si è verificato in un
luogo e in un momento determinati.
4. Il
ripristino
di
connessioni
sociali
stabili
e
dell’efficacia
interpersonale: si ritiene spesso che una terapia di gruppo di qualche
tipo costituisca la cura di elezione sia per soggetti affetti da trauma
acuto che per quelli affetti da trauma cronico; il compito principale
della terapia di gruppo e dell’intervento comunitario è di aiutare le
vittime a riacquistare il senso di sicurezza e di controllo. In un
gruppo di persone che hanno passato esperienze simili, la maggior
parte dei soggetti traumatizzati riesce prima o poi a trovare le parole
giuste per esprimere ciò che le è successo; come è stato osservato più
di mezzo secolo fa
<<
Elaborando i loro problemi in un gruppo di
dimensioni ridotte, dovrebbero riuscire ad affrontare con maggiore
facilità il gruppo più grande, cioè il loro mondo >> (Grinker, Spiegel,
1945).
5. L’accumulo di esperienze emotive di ripristino: dato che la
riesperienza e l’allontanamento dei ricordi traumatici costituiscono le
principali preoccupazioni psicologiche di chi ha subito un trauma, i
pazienti devono esporsi attivamente alle esperienze che provocano in
loro una sensazione di controllo e di piacere. Le attività fisiche o
artistiche possono essere per i pazienti esperienze immuni dal
trauma, servendo quindi come fonti di nuove gratificazioni.
Nel trattamento di casi di DPTS semplici, è possibile passare da una fase
alla successiva con più facilità, ma in casi di maggiore complessità occorre
ripetere frequentemente la fase di stabilizzazione, dato che la personalità
nel suo complesso può reagire a molti aspetti della vita quotidiana come se
83
fossero riesperienze del trauma106. Se non si riescono ad affrontare i vari
aspetti del trauma in maniera graduale, è probabile che si verifichi
un’intensificazione della sintomatologia post-traumatica. Una volta,
quindi, che le esperienze sono state inquadrate nel tempo e nello spazio, il
paziente può cominciare a distinguere gli stress della vita attuale dal
trauma del passato, facendo così diminuire l’impatto del trauma sulla sua
esperienza presente107.
2. terapie e trattamenti specifici per il DPTS
La maggior parte degli studi in campo clinico riguardanti l’efficacia e
l’efficienza dei vari tipi di trattamento per il DPTS sottolineano
l’importanza dell’utilizzo di terapie integrate, ovvero dell’abbinamento di
terapie psicofarmacologiche e di psicoterapia. In particolare, una recente
review
del
British
Medical
Journal108,
riassume
i
trattamenti
psicoterapeutici utilizzabili per il DPTS in tre principali gruppi: i
trattamenti di stampo cognitivo-comportamentale o puramente cognitivo,
l’EMDR, la terapia psicofarmacologica.
1. I TRATTAMENTI DI STAMPO COGNITIVO-COMPORTAMENTALE
Nella letteratura sul trattamento comportamentale e cognitivo del D PTS
vengono sottolineati tre principali approcci terapeutici:
106
Bessel A. van der Kolk, Alexander C. McFarlane, Lars Weisaeth, “Stress traumatico. Gli effetti sulla mente, sul corpo
e sulla società delle esperienze intollerabili”, ediz. Ma.Gi srl, 2004, pag. 422.
107
Ibidem, pag. 432.
108
F. Cagnoni, R. Milanese, “Cambiare il passato. Superare le esperienze traumatiche con la terapia strategica”,
Adriano Salani Editore S.p.A-Milano, 2009, pag. 180.
84
1) Esposizione, che ha lo scopo di evocare l’ansia e promuovere
l’abituazione. Questa esposizione può avvenire in due modi: in
immaginazione, in cui il soggetto viene invitato a rivivere
l’avvenimento nella propria mente e a raccontarlo al terapeuta;
questa manovra avrebbe l’obiettivo di far percepire al paziente la
propria paura come qualcosa di controllato e per abituarlo ad
utilizzare strategie alternative per arrivare a lavorare sul ricordo
traumatico. Oppure in vivo, in cui al soggetto viene chiesto di
avvicinarsi concretamente e in modo graduale a tutte le situazioni
ansiogene precedentemente evitate in quanto riguardanti il trauma.
2) Tecniche di gestione dell’ansia, che hanno lo scopo di insegnare
all’individuo una varietà di coping skill per gestire l’ansia e altri
sintomi, incluso lo Stress inoculation training (ovvero addestramento
di vaccinazione allo stress), comprendente varie tecniche con
elementi di rilassamento, blocco del pensiero, auto-dialogo guidato,
razionalizzazione, rietichettamento delle sensazioni somatiche
ansiose e giochi di ruolo; il tutto in corrispondenza di immagini e
stimoli ansiogeni.
3) Ristrutturazione cognitiva, che ha lo scopo di modificare i pensieri,
le convinzioni e gli assunti irrazionali. Questi modelli terapeutici
puntano
al
cambiamento
di
quelle
che
vengono
definite
“interpretazioni distorte” e che condurrebbero a una sovrastima delle
minacce reali da parte del paziente che soffre di un DPTS. Per questo
motivo le terapie che si ispirano a tale approccio si basano sul
concetto che il dato informativo inerente al vissuto traumatico debba
essere comunque elaborato, fino a trovare un certo inserimento negli
85
schemi mentali interni. Nel tentativo di assimilare la nuova
situazione si hanno vissuti spiacevoli, aumento dell’arousal,
desiderio di fuga o di evitamento, oltre ad i classici pensieri e ricordi
del trauma. Tutto questo persiste finchè non viene assimilato ed
integrato l’evento traumatico. I funzione di ciò, il soggetto viene
innanzitutto aiutato a riconoscere i propri pensieri automatici e
spontanei legati all’evento traumatico, pensieri che spesso sono
intrusivi, rapidi e istantanei. Attraverso l’allenamento nel percepire i
propri pensieri e i propri atteggiamenti, sia l’evento traumatico che
tutta la sintomatologia legata a esso vengono estremamente
razionalizzati nel tentativo di ristrutturare sia l’impatto dato
dall’evento sia le credenze che stanno alla base della paura.
Attraverso questo lavoro il soggetto dovrebbe modificare i propri
schemi a favore di spiegazioni alternative più realistiche, meno
catastrofiche e più adattive e concrete. Le terapie cognitive
prevedono, dunque, una ristrutturazione cognitiva, basata sulla
restituzione al paziente della capacità di gestire e controllare le
proprie emozioni, i rapporti interpersonali, la propria vita sociale, il
lavoro, etc., con molteplici tecniche come il diario, il dialogo
socratico, le metafore, le tecniche immaginative, etc.
In particolare Horowitz è considerato il più autorevole studioso sul
modello di reazione al trauma. Egli sostiene che il principale slancio
all’interno
del
sistema
cognitivo
per
l’elaborazione
delle
informazioni deriva da una tendenza al completamento, cioè dal
“bisogno psicologico di far corrispondere le nuove informazioni con
i modelli interni basati su informazioni precedenti, e la revisione di
86
entrambi fino al punto di trovare un accordo” (Horowitz, 1982).
Questa tendenza la completamento consente alla mente di accordarsi
con la realtà presente, requisito essenziale per prendere decisioni
efficaci e perché l’individuo sia in equilibrio con l’ambiente.
Horowitz ha sostenuto inoltre che dopo aver subito un trauma, si
verifica un iniziale crying out o reazione di stordimento, seguito da
un periodo di sovraccarico informativo, nel quel i pensieri, i ricordi e
le immagini del trauma non riescono a conciliarsi con gli schemi
cognitivi preesistenti ostacolando la tendenza al completamento.
Come risultato Horowitz sostiene che un certo numero di difese
psicologiche entrano in gioco nel mantenere l’informazione
traumatica a livello inconscio e l’individuo sperimenta allora un
periodo caratterizzato da anestesia affettiva
e negazione nei
confronti dell’evento. Comunque la tendenza al completamento
mantiene le informazioni correlate al trauma in quella che Horowitz
definisce “memoria attiva”. E’ quest’ultima che permette che le
informazioni si facciano strada attraverso le difese e irrompano nella
coscienza attraverso flashback, incubi, pensieri intrusivi, non appena
l’individuo cerca di fondere le nuove informazioni con le concezioni
preesistenti. Secondo Horowitz, questo conflitto tra la tendenza al
completamento da una parte ed i meccanismi psicologici di difesa
dall’altra, fa sì che gli individui oscillino tra fasi caratterizzate da
intrusività e negazione/anestesia affettiva. L’impossibilità ad
elaborare completamente le memorie traumatiche fa sì che esse
stazionino nella memoria attiva sino a cronicizzare il DPTS.
87
2. EMDR (Eye movement desensitisation and reprocessing)
Questa tecnica (letteralmente
con il movimento degli occhi
>>
<<
Desensibilizzazione e rielaborazione
) nasce negli Stati Uniti meno di vent’anni
fa, a opera di Francine Shapiro: si tratta di far eseguire procedure
meccaniche di ricordo e rievocazione delle esperienze negative (in un
protocollo suddiviso in otto fasi), nel tentativo di far abituare ( <<
desensibilizzare
>>
) il paziente ai ricordi traumatici, distraendolo
(rielaborazione attiva del ricordo) facendogli compiere movimenti ritmici
degli occhi, oppure tamburellamenti o stimolazioni sonore. In questa
tecnica si chiede al paziente di immaginare una scena relativa al trauma,
concentrandosi sui pensieri che l’accompagnano e sull’attivazione
psicofisilogica che ne consegue, mentre segue con lo sguardo il dito del
terapeuta che si muove velocemente. La sequenza viene ripetuta fino a
quando il paziente non sente più l’ansia, e a questo punto gli viene
insegnato come adottare un atteggiamento mentale più positivo mentre
continua a immaginare scene legate al trauma e a muovere gli occhi.
L’ EMDR si basa sul presupposto secondo cui traumi o perdite non risolte
possano inibire la normale elaborazione dei ricordi interferendo con i
meccanismi di registrazione e immagazzinamento delle informazioni. Il
<<
trauma>> sarebbe intrappolato nella rete neurale insieme con le emozioni,
convinzioni e sensazioni fisiche in atto al momento dell’evento. Se quindi
si evoca il ricordo traumatico in tutte le sue componenti (visiva, emotiva,
cognitiva e fisica) si stimola il sistema adattivo (ovvero quello funzionale)
spostando il ricordo verso una risoluzione positiva109.
109
F. Cagnoni, R. Milanese, “Cambiare il passato. Superare le esperienze traumatiche con la terapia strategica”,
Adriano Salani Editore S.p.A-Milano, 2009, pag. 185.
88
3. LA TERAPIA PSICOFARMACOLOGICA
La terapia psicofarmacologica viene solitamente consigliata in
abbinamento a una psicoterapia.
Gli obiettivi principali alla base del trattamento farmacologico del DPTS
sono i seguenti110:
- riduzione della frequenza e/o dell’intensità dei sintomi intrusivi;
- riduzione della tendenza a interpretare gli stimoli in ingresso come
ripetizioni dell’evento traumatico;
- riduzione
dell’iperattivazione
psicofisiologica
condizionata
in
risposta a stimoli evocatori dell’esperienza traumatica, e riduzione
dell’iperattivazione generalizzata;
- riduzione del comportamento di evitamento;
- miglioramento dello stato d’umore caratterizzato da depressione e
anedonia;
- riduzione dei sintomi psicotici e dissociativi;
- riduzione degli impulsi auto ed etero-aggressivi.
Nel DPTS, come discusso nel precedente capitolo, sono coinvolti i
sistemi dopaminergici, serotonogergici, GABAergici e oppiatergici.
L’utilizzo
di
farmaci
antidepressivi,
stabilizzatori
dell’umore
e
antipsicotici atipici si è rivelato utile per modulare le emozioni sregolate,
l’irritabilità e la disforia, per contenere i disturbi del comportamento e gli
110
Bessel A. van der Kolk, Alexander C. McFarlane, Lars Weisaeth, “Stress traumatico. Gli effetti sulla mente, sul corpo
e sulla società delle esperienze intollerabili”, ediz. Ma.Gi srl, 2004, pag. 508.
89
atti auto aggressivi, parasuicidari e suicidari, e per mitigare le
somatizzazioni111.
Le categorie di farmaci più utilizzati a questo scopo sono gli inibitori
selettivi della ricaptazione della serotonina, gli antidepressivi atipici, gli
stabilizzatori dell’umore (litio, carbamazepina, acido valproico,…) e gli
antipsicotici
di
seconda
generazione
(risperidone,
olanzapina
e
quetiapina)112.
CAP. V
PROGETTAZIONE DI UNA RISPOSTA
PSICOSOCIALE A UN DISASTRO
111
G. Liotti, B. Farina, “Sviluppi traumatici. Eziopatogenesi, clinica e terapia della dimensione dissociativa”, Raffello
Cortina Editore, 2011, pag. 217.
112
Ibidem, pag. 217-218.
90
“Non dobbiamo cercare di vivere a lungo, ma di vivere bene: giacchè il vivere a
lungo dipende dal destino, il vivere bene dall’animo.
La vita è lunga se è piena;
diviene piena quando l’animo è riuscito a procurarsi il suo bene e ad acquistare il
dominio su se stesso”.
Seneca-lettere a Lucilio
1. LE RISPOSTE PSICOSOCIALI A UN DISASTRO113
Negli ultimi anni è aumentato l’interesse per lo studio delle conseguenze
psicologiche dei disastri; la consapevolezza che i disastri comportano dei
rischi per la salute mentale ha promosso l’attuazione di strategie allo scopo
di ridurre le conseguenze psicosociali.
113
W. Yule, “Disturbo post-traumatico da stress. Aspetti clinici e terapia”, ediz. Italiana a cura di M. Biodi, ediz.
McGraw-Hill Libri Italia srl, 2000, pag. 255-266.
91
I disturbi che seguono un trauma includono il DPTS, la depressione,
l’ansia, l’abuso di alcol e di sostanze, i disturbi dissociativi e i profondi
cambiamenti della personalità con un alto tasso di comorbidità.
Ovviamente, non tutti i soggetti esposti a disastri sono destinati a
sviluppare il DPTS. Raphael (1986) ha concluso che nella prima settimana
dopo il disastro le reazioni da stress sono osservabili nel 20-70% della
popolazione coinvolta e nel 30-40% dopo un anno. Ulteriori riduzioni sono
state osservate dopo due anni, ma il 15-20% della popolazione manifesta
livelli di ansia cronica che rimangono elevati per più di due anni.
Generalmente un disastro è improvviso, imprevedibile, incontrollabile,
minaccia presumibilmente o realmente la perdita di proprietà o della vita
stessa, può danneggiare o distruggere comunità intere e, spesso, dà origine
a conseguenze psicologiche per i sopravvissuti. Inoltre, l’etichetta di
“disastro” influenza sia la quantità di aiuto offerto, sia l’impatto
dell’evento sulla popolazione coinvolta.
Raphael e coll. (1996) affermano che, nel periodo immediatamente
successivo a un disastro, si riscontra la necessità di una risposta umana e
compassionevole in grado di garantire sicurezza e sopravvivenza, e di
promuovere l’accertamento e la cura dei danni fisici. In questo stadio i
soggetti non desiderano o non sono in grado di parlare della loro
esperienza; tuttavia, qualche domanda gentile sarebbe importante per
identificare coloro che necessitano di un intervento psicologico immediato
o i soggetti a rischio di sviluppare reazioni croniche da stress. Se sostenuta,
questa stessa procedura può essere terapeutica, dando inizio ad una serie di
interventi integrati, basati anche su un aiuto pratico che può essere
percepito di maggiore utilità rispetto a una specifica assistenza psicologica.
92
Nelle settimane e nei mesi successivi, le differenti necessità dei soggetti
rimasti coinvolti nel disastro diventeranno evidenti e il supporto
psicosociale deve tentare di modellarsi in base a tali diversità per
incontrare ogni esigenze. I responsabili delle squadre di pronto soccorso o
di salvataggio riconoscono da molto tempo il valore degli incontri dopo un
evento traumatico, incontri fatti di conversazione, sfogo emozionale e calo
della tensione. I principi militari di vicinanza, immediatezza e aspettativa
sono stati trasferiti nel modello del Debriefing per lo Stress da Incidenti
Critici (Critical Incident Stress Debriefing,
CISD)
sviluppato da Mitchell
(1983) con obiettivi simili, ma calibrati per gli operatori dei servizi di
emergenza esposti a stress critici come disastri e incidenti traumatici 114. Le
fasi del debriefing proposte da Mitchell e utilizzate, in grado diverso dai
veri operatori di salute mentale che seguono il modello del CISD includono
i seguenti passaggi, con una durata dell’intervento di 2-3 ore:
1. fase introduttiva: in cui si spiegano le modalità e gli scopi
dell’incontro;
2. fase fattuale: i membri del gruppo devono descrivere i loro ruoli e
compiti durante l’incidente e raccontare alcuni degli avvenimenti dal
loro punto di vista;
3. fase dei pensieri: ognuno esprime il proprio pensiero dominante
durante l’incidente;
4. fase delle reazioni: la più potente emotivamente, si cerca di esplorare
la parte peggiore dell’esperienza e quindi di incoraggiare le persone a
riconoscere le loro reazioni emotive e a esternare i loro sentimenti;
114
Bessel A. van der Kolk, Alexander C. McFarlane, Lars Weisaeth, “Stress traumatico. Gli effetti sulla mente, sul corpo
e sulla società delle esperienze intollerabili”, ediz. Ma.Gi srl, 2004, pag. 464.
93
5. fase dei sintomi: viene chiesto ai membri del gruppo di ricapitolare i
loro sintomi di stress cognitivo, fisico, emotivo e comportamentale
durante e dopo l’evento;
6. fase della formazione: chi conduce l’incontro spiega il perché delle
reazioni avute e come superarle per non esserne schiacciati;
7. fase di relazione: conclude l’incontro e lo riassume assieme ai
progetti eventualmente elaborati.
Tali interventi devono essere fatti da personale esperto che sappia
individuare bene le esigenze dei pazienti distinguendo per esempio tra
vittima e soccorritore e valutando le differenze individuali. Inoltre, per
quei soggetti che presentano reazioni traumatiche da stress più gravi e
prolungate può rendersi necessario un intervento psicologico più specifico.
Nella preparazione di una risposta psicosociale dovrebbero essere
coinvolte molte strutture, inclusi servizi sanitari, servizi sociali, volontari,
in modo da fornire un’ampia gamma di competenze ed esperienze. Alcuni
requisiti fondamentali di un progetto di assistenza psicosociale in seguito
ad un disastro riguardano il fatto che i servizi devono essere
multidisciplinari e “plurirappresentati” e devono fornire assistenza a tutte
le persone potenzialmente coinvolte nel disastro, ma soprattutto alle
vittime dirette, ai parenti in lutto e ai soccorritori; i servizi devono
rispondere prontamente; è importante la formazione di un nucleo operativo
centrale composto da psicologici, psichiatri, volontari, servizi sociali che,
siano in grado di identificare la necessità e attivare l’intera rete dei servizi.
E’importante, quindi, un grande supporto sociale, termine che si riferisce
ai complessi e dinamici processi interpersonali che aiutano a proteggere
l’individuo dall’insorgenza di disturbi fisici e psichici. Nell’ambito della
94
letteratura sullo stress traumatico, parecchi autori115, hanno notato che i
sopravvissuti hanno spesso un irresistibile bisogno di parlare della loro
esperienza. Perciò è necessario avere a disposizione altre persone che
hanno semplicemente voglia di ascoltare, di fornire un supporto di tipo
emozionale e pratico, quando necessario. Naturalmente, accanto a tutto
ciò, è necessario un forte supporto cognitivo; l’esperienza di aver vissuto
eventi
traumatici
fa
emergere
nell’individuo
un’informazione
incompatibile con le sue precedenti concezioni. Se ben condotta,
l’elaborazione emozionale fa si che la persona elabori la nuova importante
informazione all’interno del proprio schema cognitivo. Il tipo di aiuto deve
essere calibrato sui bisogni della persona, sul contesto e il particolare tipo
di evento traumatico che ha generato la situazione di emergenza, ed anche
in base ad una sequenza temporale per cui in genere le vittime hanno
bisogni diversi a seconda del tempo intercorso dall’episodio traumatico. I
professionisti della salute mentale che operano in questo settore devono
poter disporre di una profonda preparazione, di una specifica
comprensione della complessità del trauma psicologico, e di un
atteggiamento verso i pazienti caratterizzato da umanità e compassione.
2. L’AqUILA: RISULTATI PRELIMINARI DELLO STUDIO PASSIcometes sulle conseguenze a medio termine della
popolazione dopo il terremoto del 6 aprile 2009116
115
W. Yule, “Disturbo post-traumatico da stress. Aspetti clinici e terapia”, ediz. Italiana a cura di M. Biodi, ediz.
McGraw-Hill Libri Italia srl, 2000, pag. 59.
116
Per un’analisi più dettagliata vedi “Passi-cometeS. Le conseguenze a medio termine del terremoto del 6 aprile 2009
sullo stato di salute della popolazione”, 2011.
95
Il sisma del 6 Aprile 2009 ha causato, inevitabilmente, un importante
cambiamento del contesto umano, sociale e dell’economia del territorio del
cosiddetto “cratere” aquilano.
L’evento sismico che ha avuto luogo a L’Aquila ha cambiato
radicalmente la vita di una popolazione che tutt’ora è ancora in piena
trasformazione legata alla ricostruzione ed alla creazione di una nuova
organizzazione sociale e umana.
Dopo le prime emergenze che a volte sembrano segnare in modo
esclusivo le catastrofi, ci sono i tempi del “dopo”: le conseguenze
immediate del terremoto, rappresentate dalla perdita di vite umane o da
lesioni dovute a traumi, dalla distruzione delle case e delle strutture che
garantivano, fino al giorno prima lo scorrere della vita quotidiana, hanno
pesato e pesano tuttora sulla ripresa della vita dell’uomo e della
collettività. L’aver vissuto direttamente il dramma della catastrofe, avendo
spesso perduto persone care e conoscenti, la propria abitazione e dovendo
scontare l’incertezza sui tempi necessari per rientrare nella propria casa o
il disperare di riavere la propria casa, l’aver perso in certi casi anche il
lavoro, tutto questo ha messo e mette alla prova i singoli cittadini e la
comunità aquilana. A lungo termine, il peso di malattie mentali e fisiche
che conseguono a tali disastri diventa sostanziale: disturbi da stress posttraumatico, depressione e ansia sono le conseguenze psicopatologiche più
comuni; ma anche si osserva un incremento della patologia organica, come
sintomi medici aspecifici, malattie cardiovascolari e respiratorie, maggior
consumo di sostanze di abuso.
Tra giugno e novembre 2010, la Regione Abruzzo con tutte le sue Asl,
l’Università degli Studi dell’Aquila, con il sostegno del Ministero della
96
Salute e del Centro Nazionale di Epidemiologia, Sorveglianza e
Promozione della Salute dell’Istituto Superiore di Sanità, ha promosso un
programma di monitoraggio – Passi-CometeS – per conoscere le
conseguenze del terremoto sulla salute della popolazione, sulle sue
abitudini e suoi stili di vita, a un anno di distanza dal sisma, per ascoltare
gli aquilani e rispondere ai loro bisogni di salute.
Attraverso un’intervista di 15 minuti circa effettuata dalla Asl, che ha
coinvolto nell’iniziativa mille cittadini nella fascia di età 18-69 anni, ha
svolto uno studio trasversale per rilevare nella popolazione residente
nell’area del sisma informazioni epidemiologiche riguardanti soprattutto i
seguenti aspetti della salute:
- sintomi di depressione e ansia compromessi dall’esperienza del
sisma;
- consumo di farmaci ed eccesso di visite mediche;
- stato di salute percepito;
- caduta di attenzione alla prevenzione individuale: screening,
controllo della pressione arteriosa e del colesterolo;
- comportamenti a rischio: fumo, abitudini alimentari, sedentarietà,
alcol.
CONSEGUENZE IMMEDIATE DOPO IL TERREMOTO
La maggior parte degli intervistati ha vissuto direttamente il momento
del terremoto, il 5% è rimasto direttamente ferito ed il 48% circa ha
dichiarato di aver perso un parente o una persona cara. Al momento della
rilevazione (Giugno-Novembre 2010), quasi un intervistato su 2 non era
ancora rientrato nella propria abitazione, alle prese quindi con le
97
problematiche inerenti l’abitazione, classificata con gravi danni o nella
cosiddetta zona rossa.
La perdita del lavoro rappresenta un evento stressante che si aggiunge ai
diversi problemi causati dal sisma.
Le donne sono state più colpite degli uomini per tali aspetti. Infatti la
percentuale di donne che hanno dichiarato di aver subito gravi perdite
economiche è risultata più elevata.
COSA E’ CAMBIATO UN ANNO DOPO
Sintomi di depressione: prevalenza del 15,7% di sintomi di umore
depresso e anedonia (perdita di interesse o piacere per tutte o quasi tutte le
attività), frequenti nel Disturbo Depressivo Maggiore. Le persone più
colpite sono quelle di sesso femminile, con bassa scolarità, senza un lavoro
regolare e con molte difficoltà economiche.
Attività fisica: risulta completamente sedentario il 39% del campione
mentre nel periodo pre-sisma la stima indicava una percentuale del 19%.
Il controllo della pressione arteriosa e del colesterolo: è aumentata la
percentuale delle persone che dichiarano di aver controllato la pressione
arteriosa dopo il terremoto; 18% rispetto al 10% prima del terremoto;
Screening: il ricorso allo screening risulta su livelli precedenti o
migliori;
Disturbo da stress post-traumatico: prevalenza del 4,1% del disturbo;
dieci volte maggiore di quella rilevata dallo studio ESEMeD (European
Study on the Epidemiology of Mental Disorder). Le persone più colpite
risultano essere quelle con molte difficoltà economiche e quelle affette da
98
una malattia cronica. E’ risultato, inoltre, una comorbilità del disturbo da
stress post-traumatico con episodio depressivo maggiore e di un altro
episodio depressivo.
Conseguenze a medio termine sullo stato di
salute della popolazione aquilana
18%
15,70%
Sintomi di depressione
4,10%
Disurbo da stress posttraumatico
Attività fisica
39%
Controllo della pressione
arteriosa e del clesterolo
COSA POTREBBE ESSERE CAMBIATO UN ANNO DOPO
Abitudine al fumo: dopo il terremoto è stato osservato un aumento dei
fumatori, assieme ad una media più elevata di sigarette fumate al giorno.
Tuttavia, queste differenze non sono tanto grandi da permettere di
escludere che possano essere legate alla variabilità campionaria. Invece, la
differenza della frequenza di ex fumatori rilevata nel campione intervistato
dopo il sisma è statisticamente significativa e difficilmente imputabile alla
variabilità campionaria. Lo studio sembra evidenziare una ripresa
dell’abitudine del fumo di sigaretta dichiarato dal 34% degli intervistati;
Qualità della vita espressa come media dei giorni non in salute: non è
possibile affermare con certezza che la misura della qualità della vita, in
99
relazione dello stato di salute, è peggiore tra i residenti nell’area del
cratere, intervistati dopo il sisma, anche se si osservano indicatori
sistematicamente più elevati nell’area della salute mentale.
Nella risposta alla situazione stressante del sisma è stato rilevato, quindi,
che la frequenza di sintomi depressivi è diventata più alta rispetto alla
situazione pre-sisma e che episodi depressivi maggiori e disturbo da stress
post-traumatico sono più frequenti rispetto alla popolazione italiana.
È aumentata la sedentarietà, fattore di rischio per diabete, malattie
cardiovascolari e altre condizioni croniche inclusa la disabilità.
2. IL PROGETTO “SI PUÒ fARE”: DAI “bISOGNI ALL’AZIONE”
Solidarietà Famiglia è un associazione Onlus, nata nel 1988, a servizio
dei giovani e delle famiglie che opera nel comune dell’Aquila. Dal 2009,
dopo il sisma che ha colpito la città, l’associazione non si è fermata ma ha
dimostrato che anche in condizioni difficili qualcosa si può fare…e da qui
nasce il progetto “Si può fare” (Progetto finanziato dal Fondo
dell’Osservatorio Nazionale per il Volontariato – Ministero del Lavoro e
delle Politiche Sociali, ex legge 266/1991; responsabile dell’associazione e
del progetto Ing. Giorgio Santini). Obiettivo dell’intervento è stato quello
di promuovere una nuova forma di mediazione sociale: attiva, propositiva,
responsabile, all’interno dei quartieri in ricostruzione dell’Aquila e in
quelli nati ex novo dopo il terremoto del 6 aprile 2009. L’assetto sociale
infatti è profondamente cambiato dal 2009 ad oggi: ci sono 20 piccole new
town e una miriade di villaggi costituiti dai cosiddetti MAP (Moduli
100
Abitativi Provvisori) disseminati nella frazioni della città e in tutti i 57
comuni del cratere. Sono nate, insomma, tante piccole comunità, senza più
i punti di riferimento della loro vita precedente, le amicizie, i rapporti di
vicinato, i servizi; tante famiglie sono state catapultate nelle nuove
abitazioni, in grandi quartieri inseriti a loro volta in un contesto urbanistico
differente, e il rischio è di cadere trappola della incomunicabilità.
Solidarietà Famiglia si è impegnata, e si impegna, a restaurare un clima
di fiducia e vicinanza grazie a due sportelli di prossimità, "Punto…si può
fare", (tra cui uno a Bazzano e uno nella zona del Torrione) dove operatori
e volontari si danno da fare per aiutare, ascoltare, informare e orientare le
persone con le più differenti necessità. Gli strumenti del progetto sono
quelli della “mediazione sociale attiva” e dell’ “empowerment”: si intende
promuovere e rafforzare la partecipazione attiva e responsabile dei singoli
e delle famiglie, consolidando i legami sociali per contrastare la nascita o
risolvere le forme di disagio e di esclusione sociale.
La formazione di base per gli operatori (Maria Pia Chirizzi; Consuelo
Del Grande; Maria Laura Saturni) è stata effettuata con un corso dal titolo
“Operatore di Prossimità”, guidato dalla Psicologa Cinzia Raparelli e
l’Assistente Sociale Stefania Tempesta.
Sono stati promossi Gruppi di Auto-Mutuo-Aiuto; attività di
informazione, accoglienza, accompagnamento al soddisfacimento dei
bisogni con interazione con le altre realtà sociali esistenti; percorsi di
mediazione scolastica; animazione territoriale e incontri con i cittadini.
L’idea del progetto si è basata sulla volontà di contrastare le nuove varie
forme di disagio, arginando i rischi di esclusione sociale che possano
101
manifestarsi a seguito di quanto accaduto e dei nuovi assetti socioabitativi-urbanistici.
In sintesi il progetto SI PUÒ FARE ha effettuato in modo continuativo
queste principali tipi di attività:
1) mappatura dei conflitti e rilevamento;
2) accoglienza ed ascolto per favorire la reciproca conoscenza tra
condomini/vicini e l'instaurarsi di rapporti di buon vicinato
3) visite all’interno delle abitazioni al fine di favorire l'acquisizione di
comportamenti corretti nell'uso della casa e degli spazi comuni;
4) promozione percorsi di autogestione dei conflitti di quartiere e di
vicinato
5) promozione percorsi di formazione affinché gli stessi cittadini possano
attivarsi per diventare protagonisti di interventi di mediazione
6) collaborazione con le scuole.
Nella prima parte del progetto si è partiti dal mettere a confronto la
rilevazione di bisogni (in modalità di ricerca intervento - modello
Chunningam - basata sull’ascolto di personaggi chiave e rappresentativi
delle comunità attraverso interviste singole e focus group), su base del
questionario effettuato sulla popolazione abruzzese nel post sisma Report
bisogno sociali Abruzzo e, la predisposizione di questionari di rilevazione
dei bisogni somministrati, dopo adeguata formazione, dai volontari e
operatori di prossimità dell’Associazione ad un campione randomizzato
residenti nelle aree del Torrione e di Bazzano C.A.S.E..
102
È stato pertanto effettuato un confronto tra la situazione presente nelle
zone individuate nel progetto ovvero, zona Torrione e progetto C.A.S.E.
di Bazzano e i risultati ottenuti nel precedente report Regionale.
Il campione individuato nelle due aree è composto da un numero di 44
soggetti di cui il 66% femmine e il 34% maschi. E’ stato rilevato anche lo
stato civile ed il titolo di studio: il 53% coniugato, il 40% celibe, nubile, il
5% vedovo/a e il 2% separato/divorziato; per quanto riguarda il titolo di
studio troviamo il 47% con diploma di scuola superiore, il 29% con laurea,
il 17% con licenza di scuola media e il 7% con licenza elementare (fonte
dati del progetto Si può fare, dott. Cinzia Raparelli – dot. Stefania
Tempesta).
Il questionario che nel report è stato effettuato in autocompilazione su di
un campione di 139 Organizzazioni di Volontariato, segnalate dai Centri di
servizio territoriale dell’Aquila, di Teramo e Pescara associazioni di
volontariato,
(nel nostro caso il questionario è stato compilato alla
presenza e con un supporto dei volontari, con il duplice scopo di
rilevazione dei bisogni e fare da ponte per eventuali richieste e servizi
necessari e quindi promozione delle attività previste nel progetto “si può
fare”). Ovviamente solo parte delle domande sono state inserite nel nostro
questionario con l’obiettivo di valutare le condizioni psicologiche e sociali
e i rapporti interpersonali sia familiari che amicali delle persone presenti
nelle aree del Torrione e di Bazzano C.A.S.E.
Di seguito riporterò solo alcuni dei dati evidenziati, (elaborazione dati
Dott. Cinzia Raparelli; per maggiori approfondimenti consultare progetto
“Si può fare”, Associazione Solidarietà Famiglia Onlus, L’Aquila, 2011)
confrontati in percentuale tra le aree coinvolte nel progetto “Si può Fare”
103
(rappresentate dalle barre azzurre) e quelle coinvolte nel Report bisogni
Sociali Abbruzzo della Commissione progettazione Sociale Straordinaria
emergenza Abruzzo (riportate barre rosse).
In questo grafico è possibile notare come la popolazione attualmente
residente nelle zone del Torrione e di Bazzano C.A.S.E. (rappresentate in
blu) vivano in percentuale maggiore la condizione di isolamento rispetto
alla rilevazione avvenuta sull’intero territorio (in rosso). Isolamento
vissuto sia a livello materiale, soprattutto a Bazzano per la mancanza di
servizi e difficoltà di spostamento, nonché la vicinanza con persone che
non si conoscono e non si intende conoscere; nella zona del Torrione,
invece si ha una situazione diversa, dove, a seguito del sisma, numerose
sono state le attività commerciali che si sono spostate nella zona, a fronte
di edifici e palazzine ancora inagibili e pertanto vuote e prive di vitalità.
104
Oltre il 90% in entrambe i rilevamenti percepisce la presenza di luoghi di
aggregazione sul territorio come poca o molto poca. Nelle aree in
questione inoltre, nonostante la presenza effettiva di alcuni punti di
aggregazione, “tendamica” per Bazzano e parrocchia con tutte le attività
cui ha fatto fulcro a seguito del sisma nella zona del Torrione, la
popolazione sembra non riconoscerne la presenza e questo ci pone, come
previsto dal progetto, nella necessità della promozione di una
“partecipazione attiva”.
105
Si ha la percezione di un ambiente che non è più quello in cui si abitava
e si viveva prima del sisma; o vivere nella propria casa in gran parte dei
casi vuol dire vivere in una zona attualmente “disabitata” tra cantieri e case
distrutte.
L’ascolto
da parte delle istituzione sembra essere carente in un
contesto. A questo si tende a far fronte anche attraverso i nostri “punto…
si può fare” nell’attività di mediazione tra i bisogni del cittadino e le
istituzioni.
106
Alla domanda “Ritiene che la coesione sociale sia un problema
prioritario?” la maggior parte della popolazione lo individua come molto o
abbastanza prioritario.
Alla domanda se si ritiene che si stiano sviluppando forme di
dipendenza (alcol-droga ecc.) tra i giovani colpiti dal sisma, circa la metà
degli intervistati si colloca sul molto e abbastanza: è importante non solo
intervenire sul disagio quanto prevenirlo attraverso attività formative e
ricreative.
107
Possiamo notare come la popolazione sia divisa tra incertezze, poca
speranza ma vi è anche buona parte degli intervistati che non smette di
credere che qualcosa..si può ancora fare e si deve fare.
Gli obiettivi di questo progetto sono stati, nella sua seconda fase di
evoluzione, quelli di:
 promuovere atteggiamenti positivi;
 stimolare la fiducia e la speranza;
 ricostruire i rapporti interpersonali in specie nelle aree di nuova
urbanizzazione;
 facilitare i rapporti dei cittadini con le istituzioni;
 svolgere una efficace azione di mediazione sociale.
Resilienza, deriva dal latino resalio, iterativo di salio, che significa
saltare, danzare. Rappresenta in fisica la capacità di un corpo di resistere
agli urti. In ecologia e biologia, la resilienza è la capacità di autoripararsi
dopo un danno. Ogni persona ha le proprie risorse di resistenza allo stress,
(resilienza), che possono essere raggruppate come caratteristiche di
personalità. Altresì, oltre alle caratteristiche personali, una situazione può
108
essere in grado di neutralizzare gli effetti di un’altra. In questo caso
parleremo di effetto buffer (tampone), mutuando la definizione dalla
chimica : un tampone è una soluzione che aggiunta ad un’altra a Ph acido
o basico, è in grado di riportare il ph intorno a livelli neutri (ph 7). Si può
dire quindi che la soluzione originaria è stata neutralizzata, perdendo
quindi qualunque capacità corrosiva. Il sostegno sociale può avere effetti
di buffer: “la comunità è essere insieme essere vicini” (Casacchia, 2011).
Resilienza non significa negazione o diniego dell’evento traumatico ma
rappresenta la capacità di affrontare gli eventi (coping) evitando reazioni
abnormi e disfunzionali per l’individuo. Altresì, rappresenta la capacità
dell’individuo di riappropriarsi delle proprie reti sociali dopo aver vissuto
un’esperienza traumatica.
Se l'iniziativa progettuale dell’Associazione Solidarietà Famiglia potrà
avere un seguito, si potrà favorire il recupero o lo sviluppo di un senso di
appartenenza ai territori, stimolando la consapevolezza che è possibile
“fare insieme” e migliorare le condizioni sociali e urbanistiche della
comunità aquilana.
109
CONCLUSIONI
L’esperienza del trauma presenta aspetti che non è possibile riprodurre
mediante modelli medici e scientifici, che toccano nel profondo ciò che
significa essere umani: come una persona vede se stessa e le proprie
relazioni con gli altri esseri umani. Il trauma può comportare un gran
numero di conseguenza: può produrre disperazione, abbandono di ogni
speranza oppure essere sublimato in atti superiori di trasformazione
artistica e di azione sociale.
Le tragedie e l’esposizione al trauma si manifestano nella vita
quotidiana, in ogni angolo del pianeta, con una frequenza maggiore di
quanto spesso si suppone: uragani, terremoti, cicloni…aumentano sempre
di più nel corso della nostra esistenza. Per la maggior parte delle persone, i
sintomi psichiatrici post-traumatici sono passeggeri, tuttavia in alcuni gli
effetti della tragedia permangono a lungo dopo che l’evento traumatico si è
compiuto, e le nuove esperienze ricordano loro di continuo l’evento
traumatico del passato.
Grazie all’incremento delle conoscenze sui predittori dell’esito di un
evento traumatico, è oggi possibile prendere in considerazione strategie di
prevenzione per lo stress-post traumatico conseguente ad un evento
disastroso e traumatico. Ed è su questo che bisogna lavorare: la
prevenzione ha l’obiettivo di ridurre in maniera sostanziale sia la
sofferenza umana che il costo umano del trauma e della tragedia. La
prevenzione può essere primaria (preparazione prima dell’evento),
110
secondaria (identificazione e trattamento precoci per limitare l’invalidità)
oppure terziaria (riabilitazione per impedire l’invalidità sociale cronica).
Fortunatamente l’essere umano possiede la facoltà di ricreare il proprio
mondo dopo una catastrofe o comunque un’esperienza dolorosa: l’uomo è
creatore del proprio mondo, o almeno lo può diventare per riuscire, così, a
superare gradualmente l’isolamento interiore e anche quello esterno.
Naturalmente un ruolo importante in tutto ciò è quello di una adeguata
consulenza da parte degli specialisti. Il grande concetto è quello di dare
senso alle cose: dire sì, è successo, ma ce la posso fare e la mia vita
comunque ha un senso lo stesso.
Tutto deve andare avanti, magari con un’ombra interna di malessere,
però sicuramente il concetto è quello della speranza e quindi quello di
andare avanti tutti insieme. Come ha detto l’antropologo aquilano
Antonello Ciccozzi “passato il tempo del cordoglio…il terremoto ha
procurato circa 10mila vivi”…ed è su questo che bisogna puntare per
andare avanti.
111
RINGRAZIAMENTI
Il mio primo ringraziamento va a me stessa perché per la terza volta ho
raggiunto questo traguardo nonostante le “difficili esperienze” che ho
vissuto e affrontato e, al mio compagno che ha “sopportato” la mia
lunaticità.
Un grazie alla Prof. Elisabetta Tozzi per avermi seguito nel percorso del
mio elaborato.
Un grazie di tutto cuore all’Ing. Giorgio Santini, all’Ing. Ernesto Perinetti,
alla Dott. Psicologa Cinzia Raparelli, alla Dott.-Assistente Sociale Stefania
Tempesta che mi hanno dato la possibilità di far parte del progetto “Si può
fare”, facendomi entrare in contatto con realtà molto forti del territorio
aquilano, e alle mie colleghe (Consuelo Del Grande, Maria Laura Saturni,
Gabriella Boianelli, Valeria Palumbo). Poter vivere questa esperienza mi
ha arricchita tantissimo sia emotivamente ma anche professionalmente
perché ho avuto accanto delle “guide” che mi hanno avvicinata alle diverse
problematiche che potrò incontrare nel mio futuro lavorativo e che ci
hanno sostenute, a noi tutte, nel nostro percorso con supporto e grandi
consigli…grazie a voi tutti.
E un grazie ai miei amati genitori che non smettono mai di credere in me.
112
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- www.cir-onlus.org “Progetto VI.To. Cos’è la tortura”.
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-
archiviodietnografia,
Prof.
Annamaria
Fantauzzi,
Rivista
del
Dipartimento di Scienze Storiche, Linguistiche e Antropologiche,
Univeristà degli Studi della Basilicata, anno
pagina.
115
IV nn. 1-2
– 2009, ediz. di