Il Trauma, Il Distrbo post traumatico da stress, progettazione di una risposta Dr.ssa Maria Pia Chirizzi INDICE INTRODUZIONE....................................................................... 4 CAPITOLO I: EVOLUZIONE STORICA DEL CONCETTO DI TRAUMA 1. CENNI STORICI……………………………………………………………………...10 2. EVOLUZIONE DEL CONCETTO DI TRAUMA IN PSICHIATRIA………12 3. IL CONCETTO DI TRAUMA………………………………………………………19 4. SEGNALI TIPICI DI TRAUMA PSICHICO……………………………………24 CAPITOLO II: IL DISTURBO POST-TRAUMATICO DA STRESS 1. L’INSORGENZA DEL DPTS COME CATEGORIA DIAGNOSTICA……28 2. diagnosi e clinica del DPTs……………………………………………….31 3. EPIDEMIOLOGIA E FATTORI DI RISCHIO E PROTETTIVI DEL DPTS……………………………………………………………………………..39 4. LA FISSAZIONE SUL TRAUMA………………………………………………..43 5. L’ESPERIENZA INTERNA NEI TRAUMI PSIChICI E NELLO STRESS POST- TRAUMATICO……………………………………………………………….48 1 CAPITOLO III: TRAUMA,DISSOCIAZIONE E NEUROBIOLOGIA DEL DPTS 1. TRAUMA E DISSOCIAZIONE 1.1 RULO DEL SISTEMA DI ATTACCAMENTO NELLA RISPOSTA ai TRAUMI…………………………………………………………………………….......... 54 1.2 DISSOCIAZIONE ED ELABORAZIONE NEL DPTs……………………….59 2. NEUROBILOGIA DEL DPTS 2.1 fisiologia della RISPOSTA AL PERICOLO………………………….70 2.2 aspetti neurobilogici del dpts E MEMORIA……………………..72 Capitolo iv: un approccio generale al trattamento Del dpts 1. Principi fondamentali del trattamento..............................78 2. terapie e trattamenti specifici per il dpts..........................84 - I trattamenti di stampo cognitivo-comportamentale 84 - EMDR (Eye movement desensitisation and reprocessing) 87 - la terapia psicofarmacologica 88 Capitol v: progettazione di una risposta psicosociale al disastro 1. Le risposte psicosociali al disastro..................................... 91 2. L’AqUILA: RISULTATI PRELIMINARI DELLO STUDIO Passi-cometes sulle conseguenze a medio termine della popolazione dopo il terremoto del 6 aprile 2009….. 95 3. IL PROGETTO “SI PUÒ fARE”:...........................................................100 Conclusioni………………………………………………………………….112 2 RONGRAZIAMENTI………………………………………………………….114 BIBLIOGRAFIA………………………………………………………………..115 << Da quel momento in avanti ci saranno nella tua vita un “prima” e un “dopo”. “Prima” che capitasse questo evento probabilmente credevi che il mondo fosse giusto e che tutto avesse un significato. “Dopo”, di colpo, senti di non avere più il controllo della tua vita e di ciò che capita intorno a te. Ti senti vulnerabile e il tuo mondo non è più sicuro. È difficile dare un senso a quello che verrà: il significato della vita che era presente solo pochi attimi prima non c’è più, nulla è più giusto né equo>>. F. Cagnoni, R. Milanese “Cambiare il passato. Superare le esperienze traumatiche con la terapia strategica.” 3 INTRODUZIONe Usando una definizione, apparentemente razionale, possiamo definire il trauma come “azione interrotta”1. Un’azione interrotta in una situazione di pericolo per la vita, nella quale dobbiamo assolutamente agire, ma di fronte alla quale non siamo in grado d’intervenire, per motivi interni o esterni, e diveniamo prigionieri della situazione di pericolo. Ma almeno interiormente tentiamo tutto ciò che esternamente appare impossibile. Mobilitiamo numerose riserve di energia. Una cascata di neurormoni ci permette addirittura di diventare insensibili al dolore nel giro di breve tempo. Le nostre sensazioni cambiano, la percezione temporale si prolunga e frazioni di secondi possono diventare, nella percezione interna, minuti o addirittura ore. Così, molte vittime di trauma, si ritrovano a fare i conti con un nuovo modo di percepire la realtà. I sopravvissuti ad una catastrofe si 1 G. Fischer, Nuove vie per uscire dal Trauma, Primo soccorso per combattere gravi stress psichici, ediz. Del Cerro, 2009, pag. 16. 4 sentono come se avessero visto un altro mondo. Un impatto che sembra aprire uno spartiacque tra il <<prima>> e il <<dopo>>, quasi fosse impossibile ricreare un continuum nella propria esistenza. Non è un caso infatti che molte vittime di esperienze estremamente dolorose ripetano la stessa frase: Non siamo e non saremo mai più gli stessi>>. E, ascoltando molti cittadini << aquilani e persone che hanno vissuto direttamente l’esperienza traumatica del Terremoto del 6 Aprile 2009, me compresa, sembra sia stata vissuta proprio questa sensazione: la consapevolezza che tutto ciò che prima avevamo considerato sicuro e scontato può improvvisamente cambiare, non c’è più nessuna garanzia e certezza. Ogni volta che parliamo di trauma psicologico, ci riferiamo alle manifestazioni psichiche di un’esperienza particolarmente negativa (in una circostanza, ambito o relazione) da cui derivano una disorganizzazione e una disregolazione del sistema psicobiologico della persona. La consistenza e il grado di questa specifica esperienza dipendono dalla vulnerabilità e dalla resilienza individuale e, pertanto, la reazione psichica ai traumi è prevalentemente soggettiva. Il trauma psicologico è una reazione psichica – da intendere come una ferita causata da un fattore traumatico (stressor) – che comporta primariamente l’essere sopraffatti da emozioni molto dolorose e intollerabili, e tutto il coinvolgimento della persona per poterle gestire. Disorientamento, perdita del controllo , comportamento di fuga , sono gli scenari del disagio traumatico. Questi scenari possono risolversi e scomparire, apparentemente, continuando tuttavia ad avere conseguenze psicopatologiche nel comportamento e nella personalità, oppure, diventare 5 permanenti nella sofferenza dei sintomi significativi del Disturbo Posttraumatico da Stress (DPTS) e del Disturbo Acuto da Stress (DAS). Le manifestazioni psicopatologiche di un’esperienza traumatica possono derivare da ognuno o da entrambi i seguenti stressors: - da un evento stressante e di natura violenta (morte, lesioni, minacce all’integrità fisica e psicologica); - da una serie di microtraumi relazionali avvenuti nelle prime fasi dello sviluppo emotivo (separazioni precoci, maltrattamento, trascuratezza psicologica, carenza di sintonizzazione affettiva), che si sono stabilmente ripetuti nel tempo, compresa l’adolescenza. In questo mio elaborato la prima parte è dedicata all’evoluzione storica del concetto di Trauma, interpretando il DPST come risultante di una complessa interconnessione di processi psicologici, biologici e sociali, che varia a seconda del livello di maturità di chi subisce il trauma, nonché della durata di esposizione al trauma stesso, e alla storia del Trauma in Psichiatria. In particolare lo studio delle risposte emotive ai disastri ha avuto inizio con le osservazioni sulla più antica calamità non naturale: la guerra. Durante la Guerra Civile si riteneva che le vittime di traumi soffrissero di “nostalgia”. Un gran numero di soldati riferiva sintomi come debolezza diffusa, palpitazioni e dolore toracico. I medici usavano termini come “cuore da soldato”, “cuore irritabile”, e “sindrome da affaticamento” per descrivere quelle che ritenevano condizioni biologiche derivanti dallo stress fisico subito dai soldati. Nelle prime guerre di questo secolo i medici osservarono un insieme di sintomi correlati all’esposizione ad eventi traumatici. Successivamente, durante la Seconda Guerra Mondiale, i medici usavano comunemente termini come “shock da proiettile”, “fatica 6 da battaglia” e “nevrosi di guerra” per descrivere i soldati che lamentavano affaticamento, spossatezza ed ansia; il termine “thousand-mile stare” era usato per descrivere il soldato di fanteria esausto sull’orlo del collasso. Lo studio di altri eventi disastrosi cominciò da queste osservazioni e, lo sviluppo di strumenti diagnostici standardizzati, ha poi facilitato la realizzazione di studi controllati sistematici sul DPTS in un’ampia gamma di popolazione colpite da eventi traumatici e disastri. Nella seconda parte si fa riferimento allo sviluppo del DPTS come entità diagnostica nella terminologia psichiatrica, avvenuto nel 1980. La diagnosi di DPTS ha ridato vigore all’idea che molti sintomi <<nevrotici>> non siano la conseguenza di qualche misteriosa irrazionalità a base genetica, ma siano invece la conseguenza dell’incapacità delle persone di risolvere esperienze reali che hanno sconvolto la loro capacità di reazione2. Da un certo punto di vista, un’esperienza non esiste fino a quando non può essere nominata e collocata entro categorie più vaste. Aver riconosciuto la categoria diagnostica del DPTS è stato un primo passo fondamentale che ha reso possibile dare un nome agli effetti delle esperienze più dolorose sul corpo e sulla psiche, aprendo così lo spazio per la ricerca sistematica di come le persone si trovino a essere sconvolte dal trauma, di come individui diversi organizzino il ricordo di tragiche esperienze nel corso del tempo, e di come sia possibile alleviare le loro sofferenze. Nel terzo capitolo si farà riferimento alla correlazione del trauma cronico con i disturbi dissociativi, le somatizzazioni e una grande varietà di comportamenti autolesionisti (per es. disturbi alimentari, tentativi di 2 Bessel A. van der Kolk, Alexander C. McFarlane, Lars Weisaeth, “Stress traumatico. Gli effetti sulla mente, sul corpo e sulla società delle esperienze intollerabili”, ediz. Ma.Gi srl, 2004, pag. 20. 7 suicidio,…). Inoltre vi è una forte relazione tra trauma e su come questo coinvolga il Sistema Nervoso Centrale, coinvolto nell’integrazione della percezione, della memoria e dell’attivazione (arousal), nonché l’impatto di queste strutture cerebrali sui pattern dell’elaborazione delle informazioni del DPTS. Alcune ricerche sugli individui traumatizzati hanno dimostrato che i ricordi traumatici sono qualitativamente diversi dai ricordi di eventi comuni, e che l’amnesia può coesistere con ricordi estremamente intense. Alcuni ricercatori hanno studiato in che modo il trauma influenza la capacità dell’individuo di percepire e assimilare un’esperienza insopportabile: l’eccitamento e le risposte dissociative durante il trauma inducono la frammentazione dell’esperienza3. Il quarto capitolo farà riferimento ai trattamenti e alle diverse teorie sul DPTS. L’obiettivo generale della terapia di un paziente traumatizzato è aiutarlo a passare da una condizione in cui si sente perseguitato dal passato e in cui interpreta l’emergere di stimoli emozionali come una riproposizione del trauma, a una condizione in cui è pienamente presente nell’hic et nunc, capace di far fronte alle necessità del momento sfruttando appieno il suo potenziale. L’elemento fondamentale della psicoterapia del DPTS è l’assimilazione dell’inaccettabile, dell’incomprensibile e del terrificante. Il trauma deve essere personalizzato come un aspetto integrato della propria storia personale. L’ultimo capitolo valuterà l’importanza di un supporto sociale in fase di intervento avuto per cercare di ridurre il disagio nei sopravvissuti a un disastro. A tal proposito si farà riferimento all’esperienza terrificante che 3 Bessel A. van der Kolk, Alexander C. McFarlane, Lars Weisaeth, “Stress traumatico. Gli effetti sulla mente, sul corpo e sulla società delle esperienze intollerabili”, ediz. Ma.Gi srl, 2004, pag. 3-5. 8 ha vissuto la città dell’Aquila la notte del 6 aprile 2009, esponendo i risultati di una ricerca sulle conseguenze a medio termine sullo stato di salute della popolazione Aquilana (Studio Passi-CometeS, 2011). E infine, farò riferimento alla mia esperienza come “Operatore di Prossimità”, in un progetto finanziato dal Fondo dell’Osservatorio Nazionale per il Volontariato – Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali (ex legge 266/1991), ideato dall’Associazione Solidarietà Famiglia Onlus L’Aquila. CAP. I EVOLUZIONE STORICA DEL CONCETTO DI TRAUMA 9 1. CENNI STORICI Il concetto di trauma è un concetto antico che fin dalla fine del XIX secolo ha sfidato gli operatori della salute mentale; eventi notevoli o vissuti come tali, erano in grado di provocare profondo disagio nell’individuo colpito. Verso la fine del XIX sec. il neurologo Oppenheim iniziò a parlare di “nevrosi traumatica” per spiegare una serie di reazioni psicologiche e fisiche quali paralisi e amnesie. L’avvento dei trasporti di massa nell’epoca vittoriana portò alla comparsa di disastri a essi legati; risposte sintomatiche che sembravano eccessive per un incidente venivano spiegate come effetti di un danno diretto alla colonna vertebrale e nacque così il concetto di “railway spine”. Ben presto, tuttavia, l’idea di trauma come lesione organica andò dissolvendosi. La nevrosi traumatica non era una “vera” malattia bensì una specie di “messa in scena” del paziente che sperava di ottenere un risarcimento. Sulla scia di questa concezione, anche l’incremento delle reazioni post traumatiche tra i soldati della prima guerra mondiale, venne tradotto nel desiderio di quest’ultimi di allontanarsi dal 10 fronte. Il termine “nevrosi traumatica” lasciò il posto a quello di “nevrosi di guerra”4. Nel 1915 Charles Samuel Myers, psichiatra militare britannico, fu il primo ad utilizzare il termine “shock da granata” nella letteratura medica e ad affermare che dal momento che questa veniva riscontrata anche in soldati mai esposti al fuoco, le cause erano puramente emotive, scartando così l’ipotesi di un’origine organica del disturbo. Enfatizzò inoltre la somiglianza tra lo shock da granata e l’isteria. Tra il 1909 e il 1911 Edouard Stierlin, psichiatra svizzero, condusse due ricerche su vittime del terremoto di Messina del 1908 e di un disastro minerario nel 1906 da cui rilevò come una proporzione sostanziale di vittime sviluppava sintomi post traumatici duraturi. Per esempio, in seguito al terremoto di Messina, in cui persero la vita 70.000 abitanti, il 25% dei superstiti rimase affetto da disturbi del sonno e incubi. Stierlin attribuì l’origine di tali sintomi alle emozioni violente vissute dalle vittime durante questi eventi. Affermò inoltre che la “nevrosi traumatica” è l’unico complesso di sintomi psicogeni per il quale non è necessaria una predisposizione psicopatologica. Tale ipotesi fu oggetto di discussione con Kraepelin che considerava poco frequente e atipica la nevrosi traumatica che aveva come origine la paura vissuta dal soggetto. Tra la fine dell’800 e gli inizi del ‘900 un gruppo di studiosi alla Salpetriere condussero una serie di studi sull’origine dell’isteria ed in particolare sul rapporto tra isteria e traumi sessuali subiti dal paziente nell’infanzia, con la conseguente polemica sui “falsi ricordi”, il rifiuto 4 Vedi www.airplivorno.com “Il concetto di disturbo post-traumatico da stress in età evolutiva e il ruolo dei processi mnestici”. 11 dell’origine traumatica dell’isteria e l’individuazione della simulazione e della suggestionabilità come basi dell’isteria5. 2. EVOLUZIONE DEL CONCETTO DI TRAUMA IN psichiatria In ambito psicoanalitico, tra le varie posizioni, predominava l’idea di trauma interno: la causa delle nevrosi traumatiche risiedeva nei conflitti intrapsichici profondi dell’individuo. Autori come Sandor Ferenczi, tuttavia, si discostarono da questa teoria e riaffermarono, nella genesi dei disturbi, la centralità del momento traumatico6. Il neurologo Jean-Martin Charcot (1887) descrisse come lo choc nerveux dovuto a un trauma fosse in grado di mettere il paziente in uno stato mentale simile a quello indotto per mezzo dell’ipnosi. Questo stato, cosiddetto << ipnoide >> , veniva ritenuto una condizione necessaria di ciò che Charcot chiamava << autosuggestione istero-traumatica >>. In tal modo, Charcot fu il primo a descrivere sia i problemi della suggestionabilità di questi pazienti che la natura dissociativa degli attacchi isterici, risultanti dall’avere subito un’esperienza insopportabile. 5 Vedi www.paduaresearch.cab.unipd.it “Disastro del Vajont: conseguenze a lungo termine sulla salute psichica e fisica dei sopravvissuti”. 6 Vedi www.airplivorno.com, “Il concetto di disturbo post-traumatico da stress in età evolutiva e il ruolo dei processi mnestici”. 12 - PIERRE JANET: L’ELABOARZIONE PSICOLOGICA DEL TRAUMA In linea con la mentalità prevalente di quei tempi Pierre Janet riteneva che la consapevolezza del sé fosse il fulcro della salute psicologica. Nelle sue ricerche, P. Janet osservò come i pazienti isterici non fossero in grado di avvalersi dei propri processi interni come riferimenti per l’adattamento. L’autore riteneva che l’essere in contatto con il proprio passato, in concorso con l’avere percezioni precise delle situazioni attuali, determini se la persona sia in grado o meno di rispondere in maniera adeguata allo stress. Janet coniò il termine << subconscio >> per riferirsi all’insieme dei ricordi che formano gli schemi mentali che guidano l’interazione tra persona e ambiente. In quest’ottica, un’adeguata categorizzazione e assimilazione dei ricordi delle esperienze passate consentono a una persona di sviluppare schemi di significato che la preparano a far fronte ai problemi del futuro. Janet ipotizzò che la stimolazione emotiva estrema, ovvero “emozioni veementi”, producesse un’incapacità di assimilare i ricordi traumatici; questi vengono separati (dissociati) dallo stato cosciente e dal controllo volontario affermando, che le persone sono << incapaci di fornire il resoconto che chiamiamo memoria narrativa, eppure continuano a dovere far fronte alla situazione difficile >>. Ne consegue una << fobia della memoria >> che impedisce l’integrazione degli eventi traumatici nella coscienza; le tracce mnemoniche del trauma rimangono latenti sotto forma di << idee fisse >> inconsce che non possono essere abbandonate fintanto che non vengono trasformate in una narrazione personale; al contrario, continuano a interferire sotto forma di percezioni terrificanti, preoccupazioni ossessive e riesperienze somatiche come le reazioni da 13 ansia. Janet ipotizzò che gli sforzi per mantenere i ricordi traumatici frammentati fuori dalla coscienza attiva prosciugassero l’energia psichica di questi pazienti, cosa che, a sua volta, interferiva con la capacità di impegnarsi in azioni che richiedono concentrazione e creatività, nonché di imparare dall’esperienza. Se gli elementi dissociati del trauma non vengono integrati nella coscienza personale, è probabile che il paziente subisca un lento declino delle sue capacità personali e professionali7. Nonostante i numerosi lavori di Janet e la profonda influenza che ha esercitato sui suoi contemporanei e sugli psichiatri della generazione successiva, la sua eredità è caduta ben presto nell’oblio. I suoi lavori sul trauma, sulla memoria e sul trattamento degli stati dissociativi non è stato integrato con le conoscenze contemporanee del DPTS fino a quando non si è riscoperto il ruolo della dissociazione nella genesi del DPTS, negli anni Ottanta. - IL TRAUMA: DA S. FREUD AD A. KARDINER La nozione di trauma è molto presente nell’opera di Freud, anche se caratterizzata da una complessa evoluzione che qui brevemente sintetizzo. Freud e Breuer (1892-1896) inizialmente seguirono il pensiero di Janet per cui la dissociazione è alla base dell’<< isteria ipnoide >>, conseguenza di eventi traumatici nell’infanzia. Nel 1896 Freud definisce il trauma come << un’eccitazione del sistema nervoso centrale, che questo non è riuscito a liquidare a sufficienza mediate reazione motoria>>8. Per Freud e Breuer, il 7 Bessel A. van der Kolk, Alexander C. McFarlane, Lars Weisaeth, “Stress traumatico. Gli effetti sulla mente, sul corpo e sulla società delle esperienze intollerabili”, ediz. Ma.Gi srl, 2004. 8 F. Cagnoni, R. Mlanese, “Cambiare il passato. Superare le esperienze traumatiche con la terapia strategica”, Adriano Salani Editore S.p.A. Milano, 2009, pag. 13. 14 trauma vissuto dal paziente “è una fissazione”; credevano che qualcosa diventi traumatico perché si dissocia e rimane al di fuori della consapevolezza attiva. In seguito Freud (1896) sviluppò il concetto di “isteria da difesa” per cui non sono i ricordi del trauma in età infantile ad essere dissociati, ma vengono rimossi impulsi sessuali e aggressivi nel bambino che ruotano intorno al complesso di Edipo e che minacciano l’Ego. In sostanza si pone l’enfasi sull’esperienza soggettiva e la realtà intrapsichica, eclissando l’interesse per la realtà esterna. In un primo momento vennero definiti da Freud traumi solo quelli di natura sessuale; fu solo dopo essersi reso conto che molti ricordi traumatici raccontati dalle sue pazienti << isteriche >> non erano realmente accaduti che Freud abbandonò la sua rigida teoria della seduzione, rinunciando a cercare un evento primario reale, introducendo nuovi concetti e variabili in grado di modificare la percezione dell’evento traumatico (per es. quello di fantasia): egli, quindi, considerò tali episodi come psichicamente costruiti e diede importanza non tanto ad eventi reali, quanto ad eventi così come si configurano nella mente (memoria) del soggetto. La realtà esterna in quanto tale perde progressivamente di importanza. La scena traumatica viene sostituita dal desiderio: con questo la realtà esterna mantiene una sua rappresentazione, ma tramite una sua interiorizzazione. Il contatto con la Prima Guerra Mondiale e le osservazioni sulle nevrosi belliche non portarono Freud ad una integrazione, ma allo sviluppo di due modelli distinti del trauma: il modello della “situazione insopportabile” e il modello “dell’impulso inaccettabile”, in cui è possibile produrre i sintomi per mezzo dell’immobilizzazione dei meccanismi di difesa. Freud ipotizzò, ad esempio, che la coazione a ripetere fosse una funzione della 15 repressione stessa; poiché la memoria viene repressa, il paziente, per Freud è costretto a ripetere il materiale rimosso come un’esperienza attuale << invece di ricordarlo come qualcosa appartenente al passato>>. Dunque, per il padre della Psicoanalisi << le nevrosi traumatiche offrono chiari indizi che alla loro base vi è una fissazione al momento dell’incidente traumatico >>. Nel 1925, in Inibizione, sintomo e angoscia, Freud descrive un’angoscia come segnale dell’aspirazione da parte dell’Io a evitare esperienze traumatiche, e un’angoscia automatica, o traumatica, o psicotica, caratterizzata da un apparato psichico sottoposto a una quantità non dominabile di eccitazioni: si tratta di un’angoscia estrema, primitiva, descrivibile solo in termini economici di << trauma puro>>, evento brutale che tende a rimanere iscritto nella psiche, senza significato e senza storia. Essenza della situazione traumatica viene a essere l’impotenza dell’Io, che appare incapace di controllo perché non ha la possibilità di fare riferimento a una sua primitiva esperienza di impotenza che sia stata discretamente separata. L’evento brutale attuale non può avere significato se rimane estraneo, così come in passato alcuni eventi possono essere rimasti estranei e non integrati9. L’importanza della realtà esterna e degli eventi del trauma non percorre solo l’opera di Freud, ma anche il pensiero di molti psicoanalisti. A partire dal 1923, Abram Kardiner, inizialmente cercò di elaborare una teoria sulle nevrosi da guerra, basandosi sulla teoria di Freud precedente, ma fallì. In seguito, con lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, in 9 Luigi Pavan, Davide Banon, “TRAUMA, VULNERABILITA’, CRISI. Il trattamento della crisi emozionale”, Bollati Boringheri, 1996, pag. 50-57. 16 “The traumatic neuroses of war” (1941) descrisse le reazioni dei soldati statunitensi che aveva in cura, evidenziando come chi era affetto da nevrosi traumatica presentava una “fisionevrosi”, ovvero una attivazione fisiologica, che comporta un abbassamento della soglia di stimolazione che si manifestava in una eccitazione fisiologica estrema. A parte le alterazioni fisiologiche, Kardiner osservò che la sindrome << traumatica patologica>> consiste in un’alterazione nella concezione del sé in relazione al mondo, sulla base della fissazione del trauma e di una vita onirica atipica, caratterizzata da irritabilità cronica, reazioni d’allarme e reazioni aggressive particolarmente irruente. Il paziente rimaneva << bloccato>> nel trauma, e spesso aveva il cosiddetto << sogno di Sisifo >> , ovvero un senso di impotenza che lo portava a restare in disparte, anche se prima della sua esperienza bellica aveva agito in modo normale. Più di quaranta anni dopo, Tichener (1986) avrebbe riscoperto questo fenomeno, chiamandolo << declino post-traumatico >> 10 Durante la Seconda Guerra Mondiale vennero elaborate nuove tecniche per la psichiatria di prima linea e vennero fatte ricerche sui fattori protettivi come l’addestramento, la coesione di gruppo, la disciplina, la motivazione. L’esercito degli USA inaugurò la pratica di sedute postoperative di gruppo in caso di stress11. La tendenza a considerare i sintomi del disturbo post-traumatico come una “normale risposta” ad un evento traumatico ha costituito un ostacolo allo sviluppo della ricerca in quest’ambito. In seguito agli effetti della Seconda Guerra Mondiale, e alla comparsa di una problematica 10 Bessel A. van der Kolk, Alexander C. McFarlane, Lars Weisaeth, “Stress traumatico. Gli effetti sulla mente, sul corpo e sulla società delle esperienze intollerabili”, ediz. Ma.Gi srl, 2004, pag. 71. 11 Ibidem, pag. 72-73. 17 completamente nuova, perlomeno per l’ampiezza e per la gravità degli eventi, che erano i campi di concentramento e di sterminio da parte dei nazisti, dove milioni di ebrei e altre popolazioni considerate come “sotto uomini” furono deportati e subirono situazioni gravemente traumatiche tanto da costituire la così detta “sindrome dei deportati” o “sindrome da campo di concentramento”12, la prima edizione del DSM (1952) introdusse nella classificazione dei disturbi mentali le “reazioni acute da stress”, anche se poi la seconda edizione del 1968 non le comprese. Entrambe le versioni non tennero comunque conto della possibile cronicità del disturbo. E’ con la Guerra del Vietnam che la psichiatria riportò l’attenzione ai disturbi post-traumatici e ai loro possibili effetti a lungo termine. Pertanto nel 1980 il DSM-III introdusse la sindrome post-traumatica da stress: gli autori finirono con il cancellare il concetto di nevrosi, che aveva implicazioni di tipo psicodinamico, per sostituirlo con quello di stress che sembrava essere più neutrale, applicando poi questa sindrome non solo alle scomparse nevrosi traumatiche e di guerra, ma a una serie di numerosi altri eventi catalogati e ritenuti appunto come traumatici13. Dal 1980 ad oggi l’aumento delle conoscenze su questo disturbo ha portato ad un’evoluzione dei criteri diagnostici fino alle definizioni più recenti del DSM-IV e dell’ICD-10. Infatti, mentre nella letteratura dei primi anni Ottanta si faceva riferimento prevalentemente alle conseguenze psicologiche di soggetti esposti ad operazioni di guerra (dal Vietnam in poi), da un decennio circa le situazioni potenzialmente in grado di permettere lo sviluppo del DPTS sono andate via via aumentando: al 12 13 Idem. Vedi www.nicolalalli.it “Trauma psichico e stress: una revisione critica del PTDS”. 18 momento, nel DSM-IV si fa riferimento a situazioni traumatiche in grado di costituire una grave minaccia per il singolo o per la collettività, e che vanno dalle alluvioni ai terremoti, dagli omicidi di massa agli attentati, dagli stupri agli abusi sessuali infantili14. 3. IL CONCETTO DI TRAUMA La parola trauma deriva dal verbo greco τραῦμα, che significa << perforare>>, << danneggiare>>, << ledere>>, << rovinare>> e contiene un duplice riferimento a una ferita con lacerazione, ed agli effetti di un urto, di uno schock violento sull’insieme dell’organismo. Ampliamente diffuso nell’ambito delle discipline medico chirurgiche, durante il XVIII sec. il termine è stato adottato dalla psichiatria e dalla psicologia clinica che indicano con esso la sopraffazione del soggetto da parte di uno stimolo eccesivo che lo rende privo di difese e incapace di reagire15. Il Grande Dizionario Garzanti della lingua italiana definisce il trauma una “lesione determinata dall’azione violenta di agenti esterni: le ferite, le contusioni, le ustioni sono traumi” e il trauma psichico “un’emozione che incide profondamente sulla personalità del soggetto”. Per il dizionario di psicologia curato da Pièron (1964) il trauma psichico è << un’emozione violenta capace di modificare in modo permanente la personalità di un 14 Carol S. Fullerton, Robert J. Ursano, “ Disturbo post-traumatico da stress. Le risposte acute e a lungo termine al trauma e al disastro”, ediz. Italiana a cura di Roberto Brugnoli, Centro Scientifico Editore, Torino, 2001, pag. XII. 15 Bessel A. van der Kolk, Alexander C. McFarlane, Lars Weisaeth, “Stress traumatico. Gli effetti sulla mente, sul corpo e sulla società delle esperienze intollerabili”, ediz. Ma.Gi srl, 2004, pag. xv. 19 individuo sensibilizzandolo alle successive analoghe esperienze emotive>> . 16 Il concetto di trauma psichico rimanda a una condizione d’impotenza dinanzi a un’esperienza sconvolgente e incontrollabile che provoca un flusso di sensazioni incontenibili, travolge le normali difese dell’individuo imponendo la messa in atto di difese patologiche. La traumaticità di un evento può essere pienamente valutata solo tenendo conto di un insieme di variabili che comprende l’ampiezza, l’intensità e la precocità del trauma, le caratteristiche temperamentali dell’individuo, la personalità, le caratteristiche dello stile di attaccamento, gli aspetti di vulnerabilità e resilienza, e infine la capacità di contenimento e di elaborazione della rete di relazioni affettive e sociali. Ciò vuol dire, dunque, che di fronte al medesimo evento traumatico, o a eventi traumatici simili, non tutte le persone reagiscono in modo analogo. Anche uno stesso soggetto, in momenti diversi della sua vita, può mettere in atto strategie di reazioni differenti. Schematicamente gli eventi traumatici si possono collocare all’interno di tre principali categorie: le catastrofi naturali (inondazioni, uragani, terremoti,…) gli incidenti in cui può essere coinvolta una componente umana che involontariamente può causare l’evento (incidenti automobilistici, aerei,…) i traumi volontariamente ed intenzionalmente provocati da uomini su altri uomini (abusi, tortura, guerre,…). 16 Vedi www.cir-onlus.org, “Progetto VI.TO.: cos’è la tortura”. 20 Si può considerare il trauma da due diversi ma complementari punti di vista: se si considera l’aspetto oggettivo, si valuta prevalentemente la drammaticità intrinseca all’evento. Esistono eventi come l’abuso o la tortura, per esempio, che sono esperienze dolorose e insostenibili per chiunque le subisce, e che si connotano come esperienze oggettivamente traumatiche; se si considera la dimensione soggettiva, invece, l’attenzione si sposta dall’evento al soggetto dell’evento. In questo caso sono decisivi i processi affettivi e cognitivi, ossia il modo individuale di elaborare l’evento traumatico. Tutte le possibili condizioni delle risposte al trauma dipendono dal modo in cui il soggetto mentalizza le emozioni dell’evento traumatico, dal modo in cui le elabora e reagisce ad esse. L’esperienza traumatica mette quindi in moto le dinamiche soggettive del sistema di ricerca di aiuto, di conforto e di protezione: vale a dire il sistema di attaccamento e il modello operativo interno che lo regola17. La resilienza al trauma ha molto a che fare con la presenza e la qualità del sostegno esterno e con la capacità di chiedere e di ricevere aiuto. Il trauma viene quindi oggi considerato come un’entità complessa e multifattoriale, in cui possono rientrare anche molti eventi che fanno parte delle esperienze umane comuni, ed il cui ruolo nell’influenzare il manifestarsi di fenomeni psicopatologici sembra condizionato in modo molto importante da fattori predisponenti individuali. La comprensione del 17 Bessel A. van der Kolk, Alexander C. McFarlane, Lars Weisaeth, “Stress traumatico. Gli effetti sulla mente, sul corpo e sulla società delle esperienze intollerabili”, ediz. Ma.Gi srl, 2004, pag. XVI. 21 concetto di trauma è comunque ancora in divenire. Rimane aperto il problema di fornire una definizione chiara, valutando sia il peso delle caratteristiche oggettive di un evento che la diversa percezione soggettiva secondo la quale uno stesso evento può essere vissuto da individui differenti18. Oggi, accanto a una concezione del trauma prevalentemente freudiana come evento che irrompe bruscamente nella vita del singolo, causando la lacerazione di una barriera protettiva normalmente efficace contro gli stimoli eccessivi, si fa strada la considerazione del trauma come disturbo precoce della relazione tra il bambino e la figura di attaccamento. In questa prospettiva lo scudo protettivo non si colloca più a livello dell’individuo, ma a livello della relazione con un ambiente facilitante che attraverso le funzioni di sostegno avvolgente (holding), favorisce lo stabilizzarsi di un senso di continuità e di coerenza dell’esperienza e permette di sostenere gli stati mentali dolorosi e di attribuire significato agli eventi di vita stressanti19. Una delle problematiche che sorge è la relazione tra l’esperienza definita traumatica e l’esperienza definita stressante20. Il termine evento stressante 18 L. Belloni, P. Castrogiovanni, M. Mantero, G. Miscettola, “Il Disturbo Post-Traumatico Da Stress”, Pacini Editore S.p.A. – Pisa, 2002, pag. 18. 19 Bessel A. van der Kolk, Alexander C. McFarlane, Lars Weisaeth, “Stress traumatico. Gli effetti sulla mente, sul corpo e sulla società delle esperienze intollerabili”, ediz. Ma.Gi srl, 2004, pag. xv. 20 Stress: dal latino strictus (letteralmente <<serrato>>, <<compresso>>), è apparso per la prima volta nell’ambito della psichiatria militare e fu utilizzato dall’endocrinologo H. Selye per indicare una reazione aspecifica dell’organismo (definita in seguito sindrome generale di adattamento) nei confronti di agenti esterni di varia natura (fisica, chimica, biologica o emotiva). Sempre Seyle fu il primo ad identificare due diverse tipologie di stress, da lui chiamate rispettivamente distress (o stress negativo) ed eustress (o stress positivo). Il distress si ha quando stimoli stressanti, ossia capaci di aumentare le secrezioni ormonali, instaurano un progressivo logorio che conduce alla caduta delle difese psicofisiche. In questo caso le condizioni di stress, e quindi di attivazione dell’organismo, permangono anche in assenza di eventi stressanti, oppure l’organismo reagisce in maniera sproporzionata a stimoli di lieve entità. L’eustress ,invece, si ha quando uno o più stimoli, anche di natura diversa, allenano la capacità psicofisica individuale di adattamento; è una forma di energia utilizzata per poter più agevolmente raggiungere un obiettivo. In tale ottica, lo 22 è generalmente utilizzato per indicare la proprietà che ha un avvenimento di provocare una risposta sia biologica che comportamentale nell’individuo, finalizzata ad affrontare l’evento stesso riportando poi l’organismo ad un nuovo livello di omeostasi. Molte ricerche hanno inoltre suggerito che l’esposizione ad uno stress possa anche avere delle conseguenze negative sia fisiche che psichiche. Un approccio basato sul senso comune ha spesso portato a considerare il trauma come l’estrema espressione di un evento stressante, ponendo quindi su di un continuum di gravità questi due tipi di esperienze21. In realtà, nella nosografia del DPTS gli eventi traumatici sono stati distinti da quelli genericamente “stressanti”: la definizione più recente22 caratterizza il trauma come un evento che realmente o comunque nel vissuto e nella percezione soggettiva comporti una minaccia per la vita o una minaccia grave per l’integrità fisica, accompagnato quindi da sentimenti di paura intensa, orrore e senso di impotenza. Questa definizione di trauma è specifica ed esclude quindi una serie di eventi di vita considerati stressanti che, pur potendo essere molto gravi e di importante impatto emotivo, non possiedono quelle particolari caratteristiche, quali ad es. la perdita del lavoro, il divorzio, i problemi familiari. Pur essendo noto che sia gli eventi traumatici che quelli stressanti sono associati con conseguenze negative sul piano psicofisico per l’individuo, una delle differenze principali tra un trauma che comporta un pericolo per la vita ed altri tipi di condizioni stressanti è che, lo stimolo stress non andrebbe quindi inteso sempre come una risposta patologica, ma potrebbe essere fisiologicamente utile, poiché consente all’organismo di adattarsi alle più svariate condizioni. (F. Cagnoni, R. Milanese, “Cambiare il passato. Superare le esperienze traumatiche con la terapia strategica”), Adriano Salani Editore S.p.A. Milano, 2009, pag. 15-16). 21 L. Belloni, P. Castrogiovanni, M. Mantero, G. Miscettola, “Il Disturbo Post-Traumatico Da Stress”, Pacini Editore S.p.A. – Pisa, 2002, pag. 19. 22 DSM-IV, Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, 3 edizione, Milano, 1998, pag. 468-469. 23 “stress” viene rimosso, generalmente si alleviano le conseguenze negative dell’evento stressante stesso, mentre al contrario, gli effetti negativi dell’esposizione al trauma possono persistere anche per anni dopo che l’evento traumatico è accaduto, configurando la manifestazione clinica del DPTS23. L’esperienza del trauma viene rivissuta nel tempo attraverso un ricordo persistentemente vivido e la memoria del trauma, con l’aumentato arousal che l’accompagna, contribuisce ad alimentare la serie di conseguenze psicobiologiche avverse che sono presenti a distanza dal trauma stesso. La relazione tra l’esperienza traumatica, lo sviluppo del DPTS ed il riscontro di anomalie biologiche nei soggetti affetti non sottintende necessariamente una causalità diretta ma prevede l’integrazione di questi elementi in un sistema complesso. Sarà comunque necessario verificare con futuri studi la validità di una distinzione qualitativa del trauma rispetto ad altri tipi di eventi e probabilmente la ricerca neurobiologica potrà contribuire ad una migliore comprensione della relazione tra lo stress, il trauma e le diverse risposte individuali ad essi24. 4. segnali tipici di trauma psichico25 a) L’accadimento di un evento critico che viene vissuto in una situazione d’impotenza oggettiva e soggettiva. 23 L. Belloni, P. Castrogiovanni, M. Mantero, G. Miscettola, “Il Disturbo Post-Traumatico Da Stress”, Pacini Editore S.p.A. – Pisa, 2002, pag. 19. 24 Ibidem, pag. 20. 25 G. Fischer, “Nuove vie per uscire dal Trauma, Primo soccorso per combattere gravi stress psichici”, ediz. Del Cerro, 2009, pag. 24-25. 24 b) Ricordi ricorrenti, improvvisi, relativi all’evento, per esempio incubi o i cosiddetti flash-back>>, ricordi che affiorano alla mente, nei << quali le scene dell’evento traumatico ricorrono continuamente. Talvolta affiorano anche soltanto singoli frammenti del trauma, quali odori, rumori o sensazioni fisiche apparentemente non legati agli venti. c) Evitamento di tutto ciò che rievoca o potrebbe rievocare il ricordo del trauma. d) Iperattivazione e senso di paura. Il sistema nervoso autonomo, che regola le funzioni vitali di sopravvivenza dell’individuo, è in un continuo stato di allerta. Questi quattro segnali costituiscono un quadro sintomatico definito “Sindrome basale da disturbo psicotraumatico” (SBDP). Subito dopo un evento traumatico, la maggior parte delle vittime può presentare questi ed altri sintomi, quali per esempio grave depressione e dubbi interiori o rabbia esacerbata. DECORSO NATURALE DEL TRAUMA Il decorso naturale del trauma si svolge secondo le tre fasi seguenti: Fase di shock. Stato confusionale, incapacità di ricordarsi dati importanti: sono tutti tratti tipici della fase di shock, che può durare da un’ora a una settimana. Nella fase di shock acuto il colore della cute è pallido, il respiro è accelerato e piatto, le vittime hanno uno sguardo perso e talvolta credono di trovarsi in un altro luogo. 25 Fase degli effetti. Alla fase sopra descritta si collega la fase degli effetti traumatici, che può durare fino a due settimane. In questa fase lo stato di iperarousal è più attenuato, ma le vittime sono completamente assorbite dagli eventi: devono continuamente raccontare ciò che è accaduto come se ne fossero ossessionate. Durante questa fase, insorgono spesso disturbi di addormentamento, iperarousal, ipervigilanza, paura eccessiva, disturbi mnestici, difficoltà di concentrazione, incubi e flash-back di eventi traumatici. Fase di ripresa. Dopo 14 giorni, talvolta soltanto dopo quattro settimane, alcune vittime cominciano a riprendersi dal trauma. Non tutti i pensieri legati all’evento traumatico fanno scattare la paura assoluta. La vittima recupera l’interesse per la vita normale e per le altre persone, assume una visione più ottimistica riguardo al proprio futuro, anche se l’evento traumatico riveste sempre, comunque, la sua assoluta importanza. È probabile che trascorra altro tempo prima che la vittima riesca a rielaborare la propria visione del mondo e la percezione di se stesso, coinvolgendo in questo processo anche gli eventi traumatici. 26 CAP. II IL DISURBO POST-TRAUMATICO DA STRESS 27 “Niente fissa una cosa così intensamente nella memoria come il desiderio di dimenticarla.” Michel de Montaigne 1. L’INSORGENZA DEL DpTS COME CATEGORIA DIAGNOSTICA Negli ultimi decenni, l’impulso a sviluppare una comprensione integrata degli effetti del trauma sulle funzioni sociali, psicologiche e biologiche in gran parte ha continuato a derivare dalla partecipazione degli individui rimasti esposti al trauma, come i reduci della guerra del Vietnam26. Fu proprio in seguito a quell’atroce conflitto che un numero di soldati decisamente maggiore rispetto alle guerre precedenti iniziò a manifestare gravi sintomi di una sindrome che venne per questo definita Post-Vietnam Syndrome. E’ stato stimato che circa il 25% dei reduci del Vietnam, al ritorno in patria, svilupparono tutti quei sintomi psicopatologici che oggi ritroviamo nel Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (DSM) sotto il nome di Disturbo Post-Traumatico da Stress (DPTS)27. Ad esempio, descrizioni quali “sogni terrificanti, ansia intensa, ricorrenza delle 26 Bessel A. van der Kolk, Alexander C. McFarlane, Lars Weisaeth, “Stress traumatico. Gli effetti sulla mente, sul corpo e sulla società delle esperienze intollerabili”, ediz. Ma.Gi srl, 2004, pag. 74. 27 F. Cagnoni, R. Milanese, “Cambiare il passato. Superare le esperienze traumatiche con la terapia strategica”, Adriano Salani Editore S.p.A-Milano, 2009, pag. 12-13. 28 sensazioni e delle situazioni vissute, fobie varie” oppure “irritabilità, difficoltà a dormire, reazioni d’allarme esagerate, depressione, difficoltà di concentrazione, incubi riguardanti l’evento, ricordi continui dell’evento” comprendono i sintomi presenti nell’attuale nosografia del DPTS28. Nonostante le evidenze circa l’esistenza di una sindrome clinica conseguente a traumi di varia natura e gravità, nessuna categoria diagnostica per disturbi legati ad eventi stressanti appare ancora nella nosografia statunitense, cioè nel DSM-II29, utilizzato tra il 1968 ed il 980. Il Disturbo Post-Traumatico da Stress fu infatti introdotto dall’American Psychiatric Association solo nel 198030. Nella prima definizione diagnostica del DPTS, una varietà di esperienze traumatiche venivano considerate situazioni stressanti solo se potevano essere definite fuori del range della usuale esperienza umana >> << al di . In particolare due problematiche accompagnavano questa definizione31: innanzitutto presupponeva che uno stressor potesse essere definito oggettivamente come traumatico senza tenere conto dell’interpretazione personale degli eventi; in secondo luogo, ricerche epidemiologiche hanno dimostrato che questa casistica di situazioni fuori dal range di normalità>> (stupri, << incidenti, calamità naturali,…) sono in realtà molto comuni, nei paesi orientali come in quelli occidentali. 28 L. Belloni, P. Castrogiovanni, M. Mantero, G. Miscettola, “Il Disturbo Post-Traumatico Da Stress”, Pacini Editore S.p.A. – Pisa, 2002, pag. 14. 29 L. Belloni, P. Castrogiovanni, M. Mantero, G. Miscettola, “Il Disturbo Post-Traumatico Da Stress”, Pacini Editore S.p.A. – Pisa, 2002, pag. 14. 30 Idem. 31 F. Cagnoni, R. Milanese, “Cambiare il passato. Superare le esperienze traumatiche con la terapia strategica”, Adriano Salani Editore S.p.A-Milano, 2009, pag. 12. 29 Alla luce di questi problemi, nell’edizione successiva del DSM-IV (1994) la definizione del DPTS venne rivista in modo che gli eventi non dovessero essere solo << eccezionali >> e includesse invece, nella definizione di un’esperienza traumatica, la reazione della persona e altre variabili relative alla valutazione della situazione. Inoltre, nella quarta versione del manuale, è stato introdotto anche il Disturbo Acuto da Stress per i quadri di sofferenza che si manifestano entro i 6 mesi dall’esposizione al trauma. Anche l’altra principale classificazione internazionale, quella delle Sindromi e Disturbi Psichici e Comportamentali (World Health Organization, International Classification of Diseases, ICD-10) dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (1992) prevede la Reazione Acuta da Stress e la Sindrome Post-Traumatica da Stress32. Il DPTS non è comunque limitato all’ambito della guerra. Anzi, è in ambito civile che l’attenzione sta crescendo, dove sono numerosi gli eventi che possono causarlo: alcuni eventi riguardano intere comunità, come catastrofi naturali (terremoti, alluvioni, erezioni vulcaniche,…); altri traumi sono collettivi, come disastri aerei, ferroviari, navali, incendi, crollo di palazzi, stragi e attentati terroristici, sequestri,…; altri eventi traumatici riguardano ancora singoli individui, tra cui gravi incidenti automobilistici, violenze, stupro, rapine con violenza. Inoltre, è considerato un trauma anche l’assistere ad un evento dei tipi su descritti senza necessariamente esserne coinvolti in modo fisico. Ciò implica che il trauma non è più percepito come un evento raro o fuori dall’ordinario ma può comprendere 32 W. Yule, “Disturbo post-traumatico da stress. Aspetti clinici e terapia”, ediz. Italiana a cura di M. Biondi, McGrawHill Libri Italia srl, 2000, pag. XVI. 30 anche una serie di situazioni molto comuni e frequenti nella popolazione generale. Recentemente, sempre più si è riconosciuta l’esistenza di un DPTS in età infantile nei bambini esposti a traumi tra cui gli abusi sessuali33. Nel DSM-IV è stata anche omessa l’affermazione che trauma è ciò che in pressoché tutti gli individui esposti causerebbe gravi reazioni. Questa modificazione accredita maggiormente l’idea che il DPTS non sia una reazione comune a tutti i soggetti esposti ad un determinato evento, ma presuppone l’esistenza di caratteristiche che rendono differenti coloro che sviluppano il disturbo da quelli che non lo manifestano e quindi ridimensiona il primato del trauma nel determinismo del DPTS a favore dell’importanza della vulnerabilità individuale, individuando nelle caratteristiche cliniche del disturbo il prodotto dell’interazione tra individuo e ambiente34. 2. DIAGNOSI E CLINICA DEL DISTURBO POST-TRAUMATICO DA STRESS L’attuale impostazione del DSM-IV-TR (quarta versione riveduta del Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali dell’American Psychiatric Association, 2000) e dell’ICD-10 (Classificazione internazionale delle malattie, decima versione dell’Organizzazione 33 Idem. 34 L. Belloni, P. Castrogiovanni, M. Mantero, G. Miscettola, “Il Disturbo Post-Traumatico Da Stress”, Pacini Editore S.p.A. – Pisa, 2002, pag. 15. 31 Mondiale della Sanità, 2003)35 ha cercato di classificare i disturbi psicopatologici causati da avvenimenti esterni in tre categorie principali. I criteri che determinano questa suddivisione sono fondamentalmente tre: tipologia oggettiva di evento; significatività e gravità della risposta del soggetto; durata temporale delle conseguenze. Sono così stati individuati tre differenti tipi di disturbi36: 1. Disturbi dell’Adattamento (DA): sono disturbi considerati clinicamente significativi, ma in genere di lieve o moderata gravità, con sintomi di tipo per lo più depressivo o ansioso, reattivi ad un evento emozionalmente significativo con cui sono in rapporto causale abbastanza definito. 2. Disturbo Acuto da Stress (DAS): è una manifestazione psicopatologica acuta conseguente, entro un breve arco di tempo, all’esposizione a un avvenimento molto grave. 3. Disturbo Post-traumatico da Stress (DPTS): è una manifestazione psicopatologica di consistente gravità, sovente a lungo termine, con sintomi in evidente relazione con l’esposizione a un evento traumatico. La diagnosi del Disturbo Post-Traumatico da Stress richiede, quindi, che la persona sia stata esposta ad un evento traumatico in cui erano presenti le seguenti caratteristiche: 35 F. Cagnoni, R. Milanese, “Cambiare il passato. Superare le esperienze traumatiche con la terapia strategica”, Adriano Salani Editore S.p.A-Milano, 2009, pag. 17. 36 F. Cagnoni, R. Milanese, “Cambiare il passato. Superare le esperienze traumatiche con la terapia strategica”, Adriano Salani Editore S.p.A-Milano, 2009, pag. 18. 32 la persona ha vissuto, ha assistito o si è confrontata con un evento o eventi che hanno implicato la morte, o minaccia di morte, o gravi lesioni, o una minaccia all’integrità fisica propria o di altri; la risposta della persona comprendeva paura intensa, sentimenti di impotenza, o di orrore (nei bambini questo può essere espresso con comportamento disorganizzato o agitato). I criteri utilizzati dall’ICD-10 e dal DSM-IV per diagnosticare tale sindrome sono molto simili per quanto riguarda l’identificazione di un evento minaccioso ritenuto necessario per l’esordio del disturbo, ma differiscono, come per gli altri disturbi, nell’approccio alla formulazione di una diagnosi37. L’ICD-10, infatti, collocando il DPTS all’interno della generale categoria delle sindromi nevrotiche, definisce tale disturbo come una risposta << ritardata e/o protratta a un evento stressante o a situazioni (di breve o di lunga durata) di natura eccezionalmente minacciosa o catastrofica, in grado di provocare diffuso malessere in quasi tutte le persone>>38. All’interno del DSM-IV, invece, il DPTS è collocato tra i disturbi d’ansia, distinguendosi da questi per la presenza di un chiaro evento eziologico; la diagnosi parte dal presupposto che << in seguito ad una iniziale esposizione diretta e/o indiretta ad un evento stressante fortemente traumatico, che ha comportato un pericolo concreto o una grave minaccia all’integrità fisica propria e/o di altre persone, emerga una risposta, da parte di colui che ne è coinvolto/a, caratterizzata da una paura intensa, da sentimenti d’impotenza o di orrore. Nei bambini tale risposta si manifesta spesso con un 37 V. Guidetti, F. Galli, “Neuropsichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza. Approfondimenti”, ediz. Il Mulino, Bologna, 2006, pag. 284. 38 Idem. 33 comportamento agitato o disorganizzato >> . Risulta determinante, quindi, l’importanza data alle risposte individuali. Nell’ICD-10, inoltre, deve esserci evidenza dell’esordio del disturbo entro 6 mesi dall’evento, e alcuni sintomi non sono considerati indispensabili a porre diagnosi (per esempio i sintomi di aumentato arousal), né viene specificata la durata minima di essi39. Il DSM-IV, per formulare una corretta diagnosi di DPTS, oltre all’identificazione di un evento minaccioso e delle risposte individuali, ritenuti necessari per l’esordio del disturbo (criterio A), richiede la comparsa di tre raggruppamenti sintomatologici: la risperimentazione del trauma (criterio B), che include ricordi (flashback) spiacevoli, ricorrenti ed intrusivi (che comprendono pensieri, immagini e percezioni) ed incubi notturni; l’evitamento degli stimoli che ricordano l’evento traumatico e l’attenuazione della reattività generale, che comporta sentimenti di distacco emozionale o estraniamento dagli altri e marcata diminuzione d’interesse nelle attività più significative presenti prima del trauma (criterio C); infine un aumentato arousal (criterio D), indicato dalla presenza di sintomi quali irritabilità, ipervigilanza, difficoltà nel sonno e nella concentrazione ed esagerate risposte di allarme. Il quadro sintomatologico completo deve essere presente per più di 1 mese (criterio E), e il disturbo deve causare disagio clinicamente significativo o menomazione del funzionamento sociale, lavorativo o di altre aree importanti (criterio F)40. 39 40 Idem. DSM-IV, Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, 3 edizione, Milano, 1998, pag. 468-469. 34 I sintomi che si manifestano immediatamente dopo il trauma e che durano meno di un mese soddisfano, invece, i criteri per il disturbo acuto da stress (DAS). Il DSM-IV, inoltre, utilizza le seguenti specificazioni per indicare l’esordio e la durata dei sintomi del DPTS: Acuto: quando la durata dei sintomi è inferiore ai 3 mesi. Cronico: quando i sintomi durano 3 mesi o più. Ad Esordio Tardivo: indica che sono trascorsi almeno 6 mesi tra l’evento e l’esordio dei sintomi41. Nel soggetto con DPTS è presente uno stato di intorpidimento, insensibilità o paralisi emozionale-affettiva (numbing). La capacità di rapporto con le altre persone è compromessa dal senso di distacco ed estraneamento che il soggetto avverte verso gli altri. Ciò può disturbare significativamente i rapporti all’interno della famiglia e, più in generale, le relazioni interpersonali, poiché parenti e amici si sentono rifiutati dal paziente che appare freddo, distaccato e sembra agire meccanicamente42. Secondo la letteratura capita che i soggetti con DPTS tentino di liberarsi dalle spiacevoli esperienze di rivivere l’evento, del distacco dagli altri e degli attacchi di panico, con l’abuso di alcol e di altre droghe che utilizzano come “automedicamento” per mitigare i sintomi e dimenticare il trauma; possono anche presentare un discontrollo degli impulsi, con un elevato rischio di comportamenti suicidari, soprattutto nel caso di giovani adulti43. 41 DSM-IV, Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, 3 edizione, Milano, 1998, pag. 470. G. B. Cassano, A. Tundo, “Psicopatologia e clinica psichiatrica”, ediz. UTET Scienze Mediche, Torino, 2006, pag. 416418. 43 Idem. 42 35 CRITERI DIAGNOSTICI DEL DPTS PER IL DSM-IV A. La persona è stata esposta ad un evento traumatico nel quale erano presenti entrambe le caratteristiche seguenti: 1) la persona ha vissuto, ha assistito, o si è confrontata con un evento o con eventi che hanno implicato morte, o minaccia di morte, o gravi lesioni, o una minaccia all’integrità fisica propria o di altri 2) la risposta della persona comprendeva paura intensa, sentimenti di impotenza, o di orrore. Nota Nei bambini questo può essere espresso con comportamento disorganizzato o agitato. B. L’evento traumatico viene rivissuto persistentemente in uno (o più) dei seguenti modi: 1) ricordi spiacevoli ricorrenti e intrusivi dell’evento, che comprendono immagini, pensieri, o percezioni. Nota Nei bambini piccoli si possono manifestare giochi ripetitivi in cui vengono espressi temi o aspetti riguardanti il trauma 2) sogni spiacevoli ricorrenti dell’evento. Nota Nei bambini possono essere presenti sogni spaventosi senza un contenuto riconoscibile 3) agire o sentire come se l’evento traumatico si stesse ripresentando (ciò include sensazioni di rivivere l’esperienza, illusioni, allucinazioni, ed episodi dissociativi di flashback, compresi quelli che si manifestano al risveglio o in stato di intossicazione). Nota Nei bambini piccoli possono manifestarsi rappresentazioni ripetitive specifiche del trauma 4) disagio psicologico intenso all’esposizione a fattori scatenanti interni o esterni che simbolizzano o assomigliano a qualche aspetto dell’evento traumatico 5) reattività fisiologica o esposizione a fattori scatenanti interni o esterni che simbolizzano o assomigliano a qualche aspetto dell’evento traumatico. C. Evitamento persistente degli stimoli associati con il trauma e attenuazione della reattività generale (non presenti prima del trauma), come indicato da tre (o più) dei seguenti elementi: 1) sforzi per evitare pensieri, sensazioni o conversazioni associate con il trauma 2) sforzi per evitare attività, luoghi o persone che evocano ricordi del trauma 3) incapacità di ricordare qualche aspetto importante del trauma 4) riduzione marcata dell’interesse o della partecipazione ad attività significative 5) sentimenti di distacco o di estraneità verso gli altri 6) affettività ridotta (per es., incapacità di provare sentimenti di amore) 7) sentimenti di diminuzione delle prospettive future (per es. aspettarsi di non poter avere una carriera, un matrimonio o dei figli, o una normale durata della vita). 36 D. Sintomi persistenti di aumentato arousal (non presenti prima del trauma), come indicato da almeno due dei seguenti elementi: 1) difficoltà ad addormentarsi o a mantenere il sonno 2) irritabilità o scoppi di collera 3) difficoltà a concentrarsi 4) ipervigilanza 5) esagerate risposte di allarme. E. La durata del disturbo (sintomi ai Criteri B, C e D) è superiore a 1 mese. F. Il disturbo causa disagio clinicamente significativo o menomazione nel funzionamento sociale, lavorativo o di altre aree importanti. Specificare se: Acuto: se la durata dei sintomi è inferiore a 3 mesi Cronico: se la durata dei sintomi è 3 mesi o più Ad esordio ritardato: se l’esordio dei sintomi avviene almeno 6 mesi dopo l’evento stressante. I principali disturbi, accusati dalla maggior parte dei pazienti sono, dunque, riassunti dalla cosiddetta triade sintomatologica>>: intrusioni, << evitamento, ipervigilanza. Tra i sintomi, in particolare, si possono riscontrare44: Flashback: la persona presenta ricordi ricorrenti e intrusivi dell’evento, che si propongono alla coscienza <<ripetendo>> il ricordo dell’evento. In rari casi la persona vive stati dissociativi che durano da pochi secondi a diverse ore, o anche giorni, durante i quali vengono rivissute parti dell’evento e la persona si comporta come se stesse vivendo l’evento in quel modo. 44 F. Cagnoni, R. Milanese, “Cambiare il passato. Superare le esperienze traumatiche con la terapia strategica”, Adriano Salani Editore S.p.A-Milano, 2009, pag. 20. 37 Incubi che possono far rivivere l’esperienza traumatica durante il sonno in maniera molto vivida. Ottundimento (Numbing): uno stato di coscienza simile allo stordimento e alla confusione. Di solito, subito dopo l’evento traumatico, ha inizio una riduzione della reattività verso il mondo esterno, a cui ci si riferisce come << paralisi psichica>> o anestesia << emozionale>>. L’individuo può lamentare una marcata riduzione dell’interesse o della partecipazione ad attività precedentemente piacevoli o di sentirsi distaccato o estraneo nei confronti delle altre persone o di avere una marcata riduzione della capacità di provare emozioni. Può avere un senso di diminuzione delle prospettive future (per esempio, non aspettarsi di avere una carriera, un matrimonio, figli, o una normale durata di vita). Evitamento: la persona si sforza volontariamente di evitare pensieri, sentimenti o conversazioni in qualche modo riconducibili all’esperienza traumatica. Aumentato arousal (Hyperarousal), caratterizzato da insonnia, irritabilità, ansia, aggressività e tensione generalizzate. Spesso si manifestano intenso disagio psicologico o reattività fisiologica quando la persona viene esposta a eventi che assomigliano o simboleggiano un aspetto dell’evento traumatico (per esempi, anniversari dell’evento traumatico, ripercorrere la strada dove si è subita una violenza, ecc.). Come già anticipato, non tutta la sintomatologia che si manifesta in individui esposti a un evento stressante 38 esterno deve essere necessariamente attribuita a un Disturbo Post-traumatico da Stress. Da un punto di vista diagnostico, infatti, si parla di Disturbo Acuto da Stress e il quadro sintomatologico si manifesta entro 4 settimane dall’evento traumatico e si risolve entro quel periodo di 4 settimane. Una seconda distinzione va fatta tra il DPTS e i Disturbi dell’Adattamento. In questo caso è l’intensità dell’evento stressante a fare la differenza. Nel DPTS l’evento deve avere una natura <<estrema>> (mettere cioè in pericolo la vita stessa), mentre nel Disturbo dell’Adattamento l’evento stressante può essere di qualsiasi livello di gravità (ad esempio un abbandono amoroso o un licenziamento inaspettato). Infine, è importante distinguere i pensieri intrusivi ricorrenti nel DPTS (come ricordi, immagini, pensieri veri e propri o percezioni) da quelli tipici del Disturbo Ossessivo-Compulsivo, che vengono vissuti come inappropriati e non sono correlati all’esperienza di un evento traumatico. Secondo alcuni autori i sintomi del DPTS possono manifestarsi associati a: cambiamenti pervasivi della personalità, sentimenti negativi, quali depressione e angoscia e disturbi psicosomatici come cefalea, dolori addominali, asma, psoriasi, ecc., contribuendo a formare un quadro di disagio clinicamente significativo45. 3. epidemiologia e fattori di rischio e protettivi del DPTS I primi studi che si sono occupati di DPTS sono stati incentrati su campioni relativamente ridotti di soggetti che avevano vissuto una 45 V. Guidetti, F. Galli, “Neuropsichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza. Approfondimenti”, ediz. Il Mulino, Bologna, 2006, pag. 285. 39 specifica e comune esperienza traumatica, generalmente estrema, quali ad esempio i veterani di guerra. Questi studi son stati molto utili per iniziare a comprendere le caratteristiche del disturbo e la sua prevalenza nei soggetti a rischio, ma tale approccio è insufficiente per permettere una semplice estensione delle osservazioni alla popolazione generale. A questo scopo gli studi epidemiologici rappresentano un valido strumento che permette di stimare la presenza, le caratteristiche e l’impatto di uno specifico disturbo nella comunità, fornendo informazioni utili sia per impostare studi volti a comprendere l’eziopatogenesi ed il trattamento del disturbo stesso, che per pianificare interventi di prevenzione, interventi terapeutici ed investimenti economici del servizio sanitario. Da studi recenti è emerso, per esempio, che giovani adolescenti esposti a violenze e abusi intra ed extrafamiliari, ad eventi minacciosi per la vita, come gravi incidenti e disastri naturali, e a malattie croniche, sembrano mostrare stime elevate del disturbo46. Se si esaminano gli studi che coinvolgono campioni di soggetti solo di sesso femminile , la prevalenza del disturbo nel corso della vita sale (dal 12,3% al 13,8%), suggerendo che le donne sviluppino più frequentemente il DPTS rispetto agli uomini47. Alcuni autori hanno inoltre valutato la prevalenza del DPTS in relazione a differenti tipi di trauma. Resnick e coll. Hanno rilevato, in un campione 46 V. Guidetti, F. Galli, “Neuropsichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza. Approfondimenti”, ediz. Il Mulino, Bologna, 2006, pag. 282-283. 47 L. Belloni, P. Castrogiovanni, M. Mantero, G. Miscettola, “Il Disturbo Post-Traumatico Da Stress”, Pacini Editore S.p.A. – Pisa, 2002, pag. 23. 40 di donne americane, che la prevalenza di DPTS sia nel corso della vita che nei sei mesi precedenti varia con il tipo di evento traumatico48. Dalle osservazioni nella globalità delle casistiche oggi disponibili, si evidenzia che la prevalenza del DPTS oscilla dall’1% al 9% nella popolazione generale e può raggiungere il 50-60% in sottogruppi di soggetti esposti a traumi considerati di particolare gravità. Inoltre, gli studi epidemiologici indicano come il DPTS sia un disturbo frequente, che interessa soprattutto il sesso femminile, sulla cui prevalenza può influire anche il tipo di trauma a cui gli individui sono stati esposti49. Nei primi studi e descrizioni del DPTS è stata data molta enfasi al primato dell’evento traumatico nell’eziopatogenesi del disturbo e l’attuale nosografia richiede che trai criteri diagnostici venga compreso il rilievo anamnestico di un evento di vita traumatico come fattore “scatenante”. È risultato però evidente dai diversi studi che la percentuale di esposizione a eventi potenzialmente traumatici nella popolazione supera largamente la presenza del disturbo, indicando quindi che solo una parte dei soggetti esposti a traumi, anche di notevole gravità, sviluppa il D PTS. Inoltre il DPTS non è l’unica possibile conseguenza di un trauma, in quanto in gruppi di soggetti che hanno subito tale evento sono riportate elevate percentuali di prevalenza anche di Depressione maggiore, Disturbo di Panico ed Abuso di Sostanze50. Ciò ha condotto negli ultimi anni a focalizzare l’attenzione anche su altri fattori di rischio, oltre alle 48 Idem. 49 L. Belloni, P. Castrogiovanni, M. Mantero, G. Miscettola, “Il Disturbo Post-Traumatico Da Stress”, Pacini Editore S.p.A. – Pisa, 2002, pag. 24. 50 Idem. 41 caratteristiche del trauma, che possano condizionare in modo più importante la vulnerabilità individuale allo sviluppo del disturbo. Sono stati evidenziati una serie di fattori, sia di rischio che protettivi, utili a spiegare la diversità di reazione a un evento di forte impatto emotivo. Essi sono stati suddivisi in51: caratteristiche della situazione traumatica quali: il tipo, il livello di esposizione, la gravità, la durata e la frequenza del trauma; caratteristiche individuali quali: età, sesso, etnicità, fase evolutiva dello sviluppo, temperamento, stile adattivo, storia personale, struttura della personalità, quoziente intellettivo, salute psicofisica; caratteristiche familiari quali: storia familiare, funzionamento psicologico di entrambi i genitori, reazione dei genitori al trauma e sostegno familiare; fattori sociali quali: status socioeconomico, ruolo della rete sociale e trattamenti assistenziali. È chiaro, quindi, che la presenza e l’utilizzazione di fattori come la resilience, le abilità di coping skills e il sostegno familiare e sociale proteggono sia il bambino che l’adolescente dall’eventuale insorgenza del disturbo. Al contrario, viene sottolineata una serie di fattori di rischio quali: la prossimità fisica al fattore stressante, il coinvolgimento emozionale, l’essere di sesso femminile, una scarsa autostima, preesistenti disturbi psichiatrici, una storia familiare di disturbi mentali, l’appartenenza 51 V. Guidetti, F. Galli, “Neuropsichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza. Approfondimenti”, ediz. Il Mulino, Bologna, 2006, pag. 291. 42 a gruppi sociali svantaggiati, disturbi dell’attaccamento. Tutti questi fattori hanno un valore predittivo rispetto allo sviluppo successivo del DPTS52. A livello clinico emerge, quindi, l’importanza di una precoce individuazione dei fattori sia di rischio sia protettivi, determinanti ai fini prognostici rispetto agli effetti a breve, medio e lungo termine dell’esperienza traumatica. 4. la fissazione sul trauma La maggior parte delle persone che sono state esposte a fattori di stress traumatico è in qualche modo in grado di riprendere la propria vita senza essere ossessionata dal ricordo di quel che le è capitato, anche se questo non significa che l’evento traumatico passi senza lasciare segno. Dopo essere stata esposta a un trauma, la maggioranza delle persone diventa sensibile a quell’evento, e il riemergere intrusivo, non intenzionale, dei ricordi è un modo normale di reagire a esperienze terrifiche. Col passare del tempo, tuttavia, alcune persone diventano incapaci di assimilare l’atroce esperienza e iniziano a sviluppare i modelli specifici di evitamento e iperreattività associati al DPTS. Ciò che distingue le persone che hanno sviluppato il DPTS da quelle solo temporaneamente stressate è che le prime iniziano a far ruotare la loro vita attorno al trauma. E’ quindi la persistenza di ricordi forzati e stressanti, e non l’esperienza diretta 52 Idem. 43 dell’evento traumatico in sé, che dà effettivamente forma alla dimensione biologica e psicologica del DPTS53. La sindrome post-traumatica è la conseguenza, quindi, del fatto che il tempo da solo non sempre è sufficiente a guarire tutte le ferite. Il ricordo del trauma non viene assimilato e accettato come parte del proprio passato personale, e inizia invece a esistere indipendentemente dagli schemi precedenti (viene cioè dissociato)54. Subito dopo un evento traumatico, quasi tutte le persone subiscono pensieri forzati su quel che è successo. Queste interferenze le aiutano ad apprendere dall’esperienza e a pianificare attività reintegranti (accomodamento); oppure ad accettare gradualmente quel che è successo e adeguare di conseguenza le loro aspettative (assimilazione)55. In forme diverse, lo scorrere del tempo modifica i modi in cui il cervello elabora le informazioni correlate al trauma. Queste vengono assimilate nella memoria e archiviate come un evento sfavorevole che appartiene al passato, altrimenti le sensazioni ed emozioni che appartengono all’evento iniziano a condurre una vita autonoma. Quando le persone sviluppano il DPTS, la riattualizzazione del trauma conduce alla sensibilizzazione, e con ogni replica del trauma si giunge a un livello ulteriore di stress. In questi individui, l’evento traumatico, finisce per avere conseguenze biologiche secondarie difficili da sovvertire una volta che si sono consolidate56. 53 Bessel A. van der Kolk, Alexander C. McFarlane, Lars Weisaeth, “Stress traumatico. Gli effetti sulla mente, sul corpo e sulla società delle esperienze intollerabili”, ediz. Ma.Gi srl, 2004, pag. 23. 54 Bessel A. van der Kolk, Alexander C. McFarlane, Lars Weisaeth, “Stress traumatico. Gli effetti sulla mente, sul corpo e sulla società delle esperienze intollerabili”, ediz. Ma.Gi srl, 2004, pag. 23. 55 Idem. 56 Ibidem, pag. 24. 44 Solitamente, i ricordi di specifici eventi sono richiamati alla memoria come storie che mutano nel tempo e che non evocano intense emozioni e sensazioni. Nel DPTS, invece, il passato è rivissuto con un’immediata intensità sensoriale ed emotiva, che fa si che le vittime abbiano la sensazione che l’evento stia accadendo di nuovo. Per quanto sembri paradossale, la capacità di trasformare il ricordo costituisce quindi la norma, mentre nei casi DPTS l’impatto di un’esperienza dolorosa non svanisce con il trascorrere del tempo57. Ci sono sei forme fondamentali che influenzano il modo in cui le persone con DPTS elaborano le informazioni58: 1. Le vittime di DPTS avvertono persistenti interferenze di ricordi legati al trauma, che ostacolano l’orientamento dell’attenzione verso altre informazioni in entrata. Già Charcot (1887), quando descrisse per primo i ricordi traumatici, più di cent’anni fa, li chiamò << parassiti della mente>>. Con il tempo, può accadere che, gli iniziali pensieri intrusivi del trauma possono arrivare a contaminare le risposte dell’individuo a una serie di altri segnali e rinforzare il controllo selettivo della rete della memoria traumatica. Le cause scatenanti i ricordi traumatici forzati possono divenire sempre più penetranti e generalizzati; anche quelli che dovrebbero essere stimoli irrilevanti possono suscitare il ricordo del trauma. 2. A volte si espongono in modo compulsivo a situazioni che ricordano il trauma. Questo fenomeno si può verificare in un ampio stretto di 57 Bessel A. van der Kolk, Alexander C. McFarlane, Lars Weisaeth, “Stress traumatico. Gli effetti sulla mente, sul corpo e sulla società delle esperienze intollerabili”, ediz. Ma.Gi srl, 2004, pag. 24. 58 Idem. 45 popolazioni traumatizzate (per esempio donne che hanno subito sevizie possono essere attratte da uomini che le maltrattano o bambini molestati sessualmente possono finire per prostituirsi una volta adulti). Freud (1920) pensava che lo scopo di queste iterazioni fosse il raggiungimento della padronanza della situazione, ma l’esperienza clinica ha dimostrato che ciò accade di rado. Al contrario la ripetizione provoca ulteriore sofferenza per le vittime e le persone a loro vicine, dato che in queste riattualizzazioni del trauma un individuo può interpretare la parte della vittima, ma anche quella del carnefice. 3. Tentano attivamente di evitare specifici stimolatori di emozioni legate al trauma e sperimentano una caduta generale di reattività. Quando le persone traumatizzate iniziano a essere ossessionate da riattualizzazioni forzate del loro trauma, solitamente cominciano a organizzare la loro vita in base al principio di evitare le emozioni suscitate da quelle interferenze. L’evitamento può assumere molteplici forme, come per esempio tenersi alla larga da ciò che può stimolare il ricordo, ingerire medicinali o alcool così da ottundere la consapevolezza degli stati emotivi stressanti, o far uso della dissociazione per mantenere le esperienze sgradevole separate dalla consapevolezza cosciente. Questo evitamento di stimoli specifici è aggravato da una generale caduta di reattività rispetto a un ampio insieme di aspetti emozionali della vita. Così molte persone con DPTS non solo evitano intenzionalmente l’eccitamento emotivo, ma vanno incontro a un progressivo declino e isolamento, in cui qualunque stimolo provoca un ulteriore distacco. Sembra che 46 l’iperreattività cronica del DPTS esaurisca sia le risorse biologiche sia quelle psicologiche necessarie a provare una vasta gamma di emozioni. 4. Perdono la facoltà di modulare la loro capacità di reazione fisiologica allo stress in generale, il che porta a un decremento della capacità di far uso di segnali corporei come direttive per l’azione. Anche se le persone con DPTS tendono a interagire con l’ambiente attraverso delle costrizioni emozionali, i loro corpi continuano a reagire a certi stimoli fisici ed emozionali come se fossero costantemente esposti a un pericolo mortale. Soffrono di ipervigilanza, di un’esagerata reattività e di incapacità di percepire la fatica. La ricerca ha dimostrato che le persone con DPTS soffrono di eccitamento neurovegetativo condizionato da stimoli legati al trauma, ma i dati raccolti negli ultimi anni suggeriscono inoltre che molte persone traumatizzate soffrono di eccitamento fisiologico estremo in reazione a un’ampia gamma di stimoli. Gli individui tendono a passare immediatamente dallo stimolo alla risposta, spesso senza rendersi conto di cosa li abbia turbati. Solitamente provano intense emozioni negative (paura, ansia, rabbia e panico) come reazioni a stimoli anche minimi. Di conseguenza, spesso reagiscono esageratamente e minacciano gli altri, oppure si chiudono e si bloccano. Solitamente, l’eccitazione neurovegetativa riveste l’importante funzione di spingere le persone a prestare attenzione a situazioni che possono essere importanti, ma per quelli che sono cronicamente ipereccitati, il sistema nervoso autonomo perde questa funzione, e il facile innesco di reazioni somatiche da stress impedisce loro di affidarsi alle 47 sensazioni fisiche come a un efficace sistema di allarme contro pericoli imminenti. Ciò interferisce, anche, con la loro capacità di descrivere con parole i propri sentimenti (alessitimia), e li rende inclini a reagire al loro ambiente con modalità comportamentali esagerate o inibite. 5. Soffrono in generale di problemi di attenzione, distrazione e discriminazione dello stimolo. Studi condotti su bambini indicano che quando le persone traumatizzate si concedono qualche fantasticheria, ciò suscita il rischio di far crollare le barriere innalzate per evitare di essere indotti a ricordare il trauma. Per impedire che ciò accada, queste persone si limitano e sembrano organizzare la loro vita in base al principio di non sentire emozioni e di non prendere in considerazione diverse opzioni riguardo al modo migliore di reagire a problemi coinvolgenti dal punto di vista emotivo. 6. Soffrono di alterazioni dei meccanismi psicologici di difesa e della loro identità personale, il che influenza quali nuove informazioni verranno selezionate come rilevanti. Molti individui traumatizzati, soprattutto i bambini, tendono a incolpare se stessi per essere stati traumatizzati; il trauma, inoltre, è spesso associato a un profondo senso di umiliazione e vergogna. Nel quadro di questo tipo i conflitti, vengono attivati meccanismi difensivi che hanno il compito di fornire una qualche conciliazione con una realtà intollerabile. 48 5. L’ESPERIENZA INTERNA NEI TRAUMI PSICHICI E NELLO STRESS post traumatico59 Le persone che soffrono di ansia, traumi psichici e disturbi posttraumatici da stress possono condividere alcune esperienze soggettive, inclusa la sensazione di essere sopraffatti, quella di aver subito una catastrofe, la perdita del senso di sicurezza e la paura di essere feriti e morire. Nei pazienti con disturbo post-traumatico da stress si osservano preoccupazioni intense relative ai dettagli associati alle esperienze traumatiche, preoccupazioni che a volte arrivano fino a un vero e proprio evitamento fobico. La dissociazione degli affetti, che crea uno stato di profondo intorpidimento emotivo, è frequente nei disturbi post-traumatici da stress e variabile negli altri disturbi d’ansia. Le formulazioni psicodinamiche hanno da sempre sottolineato lo shock, il senso di helplessness, la vulnerabilità e il terrore specifici del trauma. L’esperienza traumatica può sopraffare le capacità mentali, disturbare l’esperienza e l’espressione degli affetti e interferire con la capacità di simbolizzazione e con la fantasia, contribuendo così al crollo della capacità di attribuire significato agli eventi. Può anche interferire con il pensiero e l’elaborazione mentale delle fantasie e dei ricordi connessi al trauma. Il trauma psichico determina cambiamenti nel senso del sé delle vittime e nella qualità delle loro relazioni interpersonali. La letteratura clinica ha sottolineato il ruolo della coazione a ripetere e della ri- 59 PDM, Manuale Diagnostico Psicodinamico, traduz. ital. di F. Gazzillo, R. Pacifico, A. Tagini, 2008, Raffaello Cortina Editore-Milano, pag. 104-108. 49 esperienza persistente degli eventi traumatici attraverso incubi ricorrenti, ricordi/flashback e la costrizione a mettere nuovamente in atto i temi traumatici. Le osservazioni cliniche psicodinamiche hanno anche sottolineato l’importanza del significato individuale dell’esperienza traumatica, e il fatto che i traumi psichici possono costituire un organizzatore mentale. Si è infine scoperto che i ricordi traumatici cambiano nel corso del tempo. Sono state fatte delle distinzioni molto importanti tra trauma catastrofico o da shock, e trauma cumulativo o da sovraccarico emotivo; tra i traumi che si manifestano nella prima infanzia, nell’infanzia e in età adulta e tra la natura dell’evento traumatico, il processo traumatizzante e la risposta soggettiva a esso. La risposta al trauma varia anche a seconda dello stato fisico e mentale del soggetto, delle risorse della sua personalità e degli effetti della precedente storia traumatica. Horowitz (1976) ha identificato otto esperienze soggettive che spesso seguono un trauma psichico grave: 1) senso di perdita o tristezza; 2) senso di colpa per la propria rabbia o i propri impulsi distruttivi; 3) paura di diventare distruttivi; 4) senso di colpa perché si è sopravvissuti, 5) paura di identificarsi con il ruolo di vittima; 6) vergogna per la sensazione di essere helpless e vuoti; 7) paura che il trauma si ripeta; 8) rabbia intensa diretta contro la fonte del trauma. Tra le esperienze chiavi rilevanti che possono determinare un trauma psichico a esordio in età adulta vi sono esperienze di guerra, tortura, 50 violenza sessuale, terrorismo, incidenti che mettono a repentaglio la vita e la morte inattesa di una persona cara. Gli stati affettivi connessi ai traumi includono sia sentimenti ingestibili e soverchianti (compresi rabbia, terrore, e vergogna per essere stati traumatizzati) sia la dissociazione degli affetti (manifestata da ottundimento, senso di vuoto e incapacità di connettere i sentimenti disturbanti con gli eventi che li hanno generati). I pattern cognitivi specifici del disturbo post-traumatico da stress sono i flashback e gli incubi ricorrenti. Il pensiero degli individui traumatizzati può includere: 1) un senso di tradimento che va al di là dei sentimenti di perdita della sicurezza presenti in altre condizioni di ansia; 2) un senso di colpa per le azioni fatte o non fatte, o per essere sopravvissuti mentre gli altri sono morti (senso di colpa del sopravvissuto); 3) tendenza a giustificare l’ansia travolgente combinata a un distacco difensivo. Altri esiti cognitivi del trauma sono l’incapacità di pensare agli eventi traumatici, inclusa una dissociazione totale, parziale o ricorrente del ricordo di questi eventi; o, al contrario, la sensazione impotente di non riuscire a pensare ad altro. È frequente che gli individui traumatizzati sviluppino teorie su come avrebbero potuto evitare il trauma o che, anche i risposta a imprevedibili disastri naturali, sviluppino idee relative a come la colpa dell’accaduto sia da imputare ad altre persone. Queste credenza possono contrastare l’esperienza terrificante dell’impotenza, poiché attribuiscono un potere a se stessi o ad altre persone, ma possono anche diventare la causa del perpetuarsi della sofferenza poiché favoriscono autocritiche senza fini o tentativi di punire i presunti colpevoli. 51 Alcune funzioni critiche dell’Io, tra cui l’esame di realtà, il giudizio, la regolazione degli affetti, le difese e l’organizzazione/integrazione della memoria possono essere influenzate negativamente dal trauma. La distinzione tra il passato e il presente può essere annullata o sfuocata, così che il passato è sentito come se stesse accadendo in quel momento. Gli stati somatici caratteristici dei disturbi post-traumatici da stress includono irritabilità, disturbi del sonno e tentativi di automedicazione con abuso di sostanze. Le lamentele psicosomatiche sono frequenti e alcuni individui traumatizzati si trovano a fare nuovamente esperienza delle reazioni corporee che si erano manifestate al momento del trauma. I pattern relazionali possono includere dei cambiamenti nel modo di rapportarsi con le altre persone, dovuti a una riduzione della fiducia in se stessi e a un aumento dell’insicurezza, nonché stati di ottundimento, ritiro, rabbia cronica e senso di colpa. 52 CAP. iii TRAUMA, DISSOCIAZIONE E NEUROBIOLOGIA DEL dPTS 53 1. TRAUMA E DISSOCIAZIONE 1.1 ruolo del sistema di attaccamento nella risposta ai traumi Le persone che soffrono di un disturbo post-traumatico cronico vivono intrappolate in un terribile dilemma. Manca loro un’adeguata capacità integrativa e la possibilità di prendere pienamente coscienza di esperienze e ricordi orribili e al tempo stesso devono portare avanti la loro vita quotidiana. L’opzione più accessibile diventa quella di evitare mentalmente un passato e un presente che restano irrisolti e dolorosi, mantenendo per quanto possibile una facciata di normalità che, molte volte però, risulta essere fragile. Ricordi spaventosi possono perseguitare chi è sopravvissuto a traumi, in particolare quando le risorse fisiche ed emozionali si esauriscono. Spesso si trovano a combattere deficit nelle capacità di regolare le relazioni con gli altri e le esperienze interne, restandone sopraffatti. I deficit di regolazione limitano in modo grave il livello mentale delle persone traumatizzate, che sembrano incapaci di 54 raggiungere un’adeguata efficienza mentale (definibile come l’equilibrio tra il livello di energia mentale e la capacità di utilizzare tale energia per intraprendere azioni mentali e comportamentali adattive), poiché sono tormentate da azioni ripetitive ma inefficaci e da reazioni che non aiutano a raggiungere una completa maturità e un’adeguata capacità di affrontare le vicissitudini e la complessità della vita60. Fino a quando gli individui riescono a immaginare un modo per evitare l’inevitabile, o sentono che c’è qualcuno più forte di loro che si prende cura di loro, sembra che i sistemi psicologici e biologici siano protetti dalla minaccia della sopraffazione. Gran parte dell’attività umana sembra rivolta all’elaborazione di idee su come funziona il mondo e a creare ambiente sociali stabili, più o meno prevedibili, finalizzati alla protezione. Dal punto di vista evolutivo, questi processi hanno inizio nella fiducia che i bambini ripongono nelle cure esterne, che forniscono loro una sicurezza di base. In particolare, in Sviluppi traumatici, per G. Liotti e B. Farina, ciò che, per maturazione e apprendimento, si sviluppa nell’essere umano - a partire dalla prima infanzia e potenzialmente per tutto l’arco della vita – è anzitutto un insieme di disposizioni o tendenze frutto dell’evoluzione. In questo senso, le disposizioni che progressivamente si sviluppano hanno una base innata; l’interazione fra le tendenze innate ad agire in direzione di precise mete biologiche e biosociali da una parte, e dall’altra gli apprendimenti connessi ai risultati dell’operare di queste tendenze, compone sistemi chiamati “motivazionali”. Questi sistemi sono in stato di inattività fino a che specifiche contingenze ambientali o condizioni 60 Onno van der Hart, Ellert R. S. Nijenhuis, Kathy Steele, “Fantasmi nel sè. Trauma e trattamento della dissociazione strutturale”, Raffaello Cortina Editore, 2011, pag. 9. 55 dell’organismo non li rendono egemoni risvegliandoli a governare, finalizzandole, condotta e attività mentale. Le risposte fornite dall’ambiente sociale alle richieste di cura, codificate in complesse strutture di memoria e aspettative chiamate Modelli Operativi Interni (MOI) organizzano le manifestazioni del sistema di attaccamento nella direzione della sicurezza (quando le risposte alle richieste di cura e conforto avanzate dal bambino sono state soddisfacenti in modo costante e prevedibile) oppure nella direzione di diverse forme di insicurezza (note come stili evitanti, ambivalenti e disorganizzato quando tali risposte sono state in vari modi insoddisfacenti)61. Quando crescono i bambini diventano gradualmente più autonomi, ampliando la loro conoscenza di come funzionano le cose e sviluppando capacità che li aiuteranno a fronteggiare le minacce esterne. Nel tempo, la prevedibilità e le capacità di controllo si estendono a includere la capacità di impegnarsi con le persone, le istituzioni e con i sistemi di valore che forniscono un senso di razionalità, appartenenza e protezione contro le minacce (Erikson, 1963)62. L’evoluzione ha fornito ogni specie animale di un sistema che motiva a cercare scampo – attraverso strategie diverse da specie a specie, ma che implicano tutte la fuga e la lotta – ogni volta che si incontrino eventi minacciosi per la vita o per l’incolumità (gli eventi che costituiscono l’essenza del concetto di trauma secondo la definizione del D SM). In molte specie di mammiferi e certamente negli uomini, il sistema di difesa si esprime con quattro risposte fondamentali: fight (lotta), flight (fuga), 61 G. Liotti, B. Farina, “Sviluppi traumatici. Eziopatogenesi, clinica e terapia della dimensione dissociativa”, raffaello Cortina editore, 2011, pag. 69. 62 Bessel A. van der Kolk, Alexander C. McFarlane, Lars Weisaeth, “Stress traumatico. Gli effetti sulla mente, sul corpo e sulla società delle esperienze intollerabili”, ediz. Ma.Gi srl, 2004, pag. 301. 56 freezing (immobilità ipertonica con conservata padronanza sulla motilità) e faint (immobilità ipotonica o cataplettica, con perdita della padronanza sulla motilità). Complessi pattern emozionali e schemi corrispondenti di attivazione neurovegetativa accompagnano tali risposte. In una prospettiva evoluzionista, è possibile ricondurre quasi tutti i sintomi principali del DPTS all’attivazione del sistema di difesa, che riguarda anche stati soggettivi problematici come le memorie intrusive, il rivivere il trauma, l’ottundimento (numbing) e i deficit metacognitivi. Il sistema di difesa, quando attivato da una minaccia grave alla quale si è sopravvissuti, e anche da una minaccia mortale alla quale sia esposto un altro con cui si sia in stretta relazione affettiva, implica per ragioni di adattamento evoluzionistico una memorizzazione forzata e ripetitiva dell’evento traumatico. E’ questa la base per le memorie intrusive in cui il paziente con DPTS rivive il trauma63. Ma, in particolare, per spiegare i fattori di rischio e i fattori protettivi che influenzano la risposta al trauma, l’attenzione deve essere rivolta soprattutto al sistema dell’attaccamento il quale, ha una funzione protettiva che si esercita attraverso la ricerca attiva di vicinanza a un membro familiare del gruppo sociale (Bowlby, 1969). Esso svolge la funzione di chiedere aiuto e conforto ai propri simili durante tutto l’arco di vita, e non solo nell’infanzia. Il sistema di attaccamento è dunque risvegliato, sostanzialmente, dalla paura e dal dolore64. L’attivazione di questo sistema potrebbe spiegare, per Liotti, perché alcune persone, se esposte a traumi, vanno incontro a un’iperattivazione durevole del sistema di difesa e dunque a un DPTS, 63 G. Liotti, B. Farina, “Sviluppi traumatici. Eziopatogenesi, clinica e terapia della dimensione dissociativa”, Raffaello Cortina Editore, 2011, pag. 72. 64 Ibidem, pag. 76. 57 mentre altre hanno un’attivazione del sistema di difesa che perdura solo fino a che perdura l’evento traumatico, e dunque non sviluppano i durevoli sintomi del DPTS. La variabile principale che media la diversa risposta ai traumi, patologica oppure non tale, potrebbe infatti essere, per la teoria evoluzionistica, il diverso stile di attaccamento. Ogni persona sviluppa, a partire dalla prima infanzia, uno stile individuale di richiesta di cura e conforto, in funzione delle diverse risposte fornite al bambino da chi abitualmente lo accudisce. La ricerca empirica ha identificato quattro stili o pattern di attaccamento: sicuro (B); insicuro-evitante (A); insicuro-ambivalente (C) e disorganizzato (D). Se fonte di insicurezza circa la possibilità di ricevere aiuto in situazioni di paura e dolore, le risposte ottenute dal caregiver durante lo sviluppo della personalità potrebbero divenire fattori di vulnerabilità capaci di indurre risposte patologiche ai traumi. Mentre i MOI dell’attaccamento sicuro, in caso di allarme e dolore, permettono di prevedere facile ed efficace accesso all’aiuto del caregiver, i MOI degli attaccamenti insicuri limitano la fiducia di ottenere aiuto e conforto dopo un trauma, riducendo la capacità di chiederli efficacemente causando, in questo modo, l’attivazione del sistema di difesa che si esprime come DPTS65. Se un MOI insicuro ostacola la capacità di chiedere aiuto e conforto, di percepirne la disponibilità nell’ambiente sociale o di utilizzarli, il rischio di sviluppare un DPTS aumenta anche in presenza di sostegno sociale offerto alle vittime di eventi traumatici. Gli studi effettuati sulle conseguenze dell’attacco terroristico alle torri gemelle di New York hanno evidenziato che i sintomi 65 G. Liotti, B. Farina, “Sviluppi traumatici. Eziopatogenesi, clinica e terapia della dimensione dissociativa”, Raffaello Cortina Editore, 2011, pag. 76-77. 58 di DPTS sviluppati da persone con precedente storia di attaccamento sicuro sono significativamente minori rispetto agli individui insicuri. I dati di alcune ricerche suggeriscono che, fra i diversi tipi di attaccamento insicuro, quello disorganizzato potrebbe costituire il maggior fattore di rischio per il DPTS. In accordo con la definizione di trauma fornita dal DSM-IV, infatti, nella disorganizzazione dell’attaccamento (DA) il bambino sperimenta emozioni veementi, e allo stesso tempo l’impotenza dolorosa che caratterizza ogni autentica esperienza traumatica: sintomi di distacco (detachment) dissociativo, che rimandano all’esperienza di sentirsi alienati dalle proprie emozioni, dal proprio corpo, dal senso usuale della propria stessa identità e dal senso usuale di familiarità di realtà ambientali note, e sintomi di compartimentazione, rappresentati dalla tipica amnesia dissociativa (incapacità di rievocare importanti notizie personali, di solito di origine traumatica, troppo estesa o completa per poter essere spiegata, dal paziente stesso, come una normale dimenticanza), da altre distorsioni della memoria, e dalla coesistenza di stati dell’io diversi fra loro che i pazienti non riescono a integrare in modo tale da mantenere un senso di sé unitario e rappresentazioni di sé sufficientemente coese (per maggiori approfondimenti Liotti, Farina, 2011). Il senso di sicurezza e prevedibilità dipende dalla capacità individuale di fare affidamento sull’equilibro tra risorse interne ed esterne. Quando un individuo non è forte abbastanza da affrontare le minacce esteriori e gli agenti esterni non riescono a portare soccorso, l’incapacità di agire in 59 modo tale da eliminare la minaccia può provocare una reazione da stress acuto66. 1.2 DISSOCIAZIONE ED ELABORAZIONE DELL’INfORMAZIONE NEL DPTS Gli esseri umani sono creature produttrici di senso. Nel momento in cui si sviluppano, essi organizzano il loro mondo in base a una teoria della realtà, che in parte è cosciente, ma che in gran parte rappresenta un’assimilazione inconscia delle esperienze accumulate. Gli schemi cognitivi, quindi, permettono agli individui di dare un senso all’esperienza emotivamente rilevante, agendo da ammortizzatori contro il senso si sopraffazione. Questi schemi interiori funzionano anche come filtri, che selezionano gli input percettivi rilevanti nel successivo processo di codificazione e classificazione e costituiscono quindi il percorso lungo il quale gli individui analizzano le esperienze che stanno vivendo67. Ciò che costituisce un trauma è cioè qualcosa di strettamente personale e dipende dagli schemi mentali preesistenti. Il trauma, come già detto nei precedenti capitoli, è generalmente definito come un evento della vita del soggetto caratterizzato dall’intensità del suo impatto, dall’incapacità del soggetto a rispondervi adeguatamente, dalla viva agitazione e dagli effetti patogeni durevoli che esso provoca nell’organizzazione psichica del soggetto stesso. In termini economici, il trauma è caratterizzato da un afflusso di eccitazioni eccessivo rispetto alla 66 Bessel A. van der Kolk, Alexander C. McFarlane, Lars Weisaeth, “Stress traumatico. Gli effetti sulla mente, sul corpo e sulla società delle esperienze intollerabili”, ediz. Ma.Gi srl, 2004, pag. 301. 67 Bessel A. van der Kolk, Alexander C. McFarlane, Lars Weisaeth, “Stress traumatico. Gli effetti sulla mente, sul corpo e sulla società delle esperienze intollerabili”, ediz. Ma.Gi srl, 2004, pag. 302. 60 tolleranza del soggetto ed alla sua capacità di dominarlo e di elaborarlo psichicamente (Laplanche e Pontalis, 1981)68. Nei soggetti che soffrono di DPTS sono tre i problemi che incidono sull’elaborazione dell’informazione. Per prima cosa, questi individui interpretano in modo eccessivo gli stimoli che stanno vivendo come ricordi del trauma: stimoli di bassa intensità finiscono per avere il potere di attivare dei ricordi intrusivi del trauma. Secondo, i soggetti affetti da D PTS soffrono di iperreattività generalizzata e di difficoltà a discriminare ciò che è rilevante da ciò che non lo è. Terzo, dopo essersi dissociati al momento del trauma, molti individui traumatizzati continuano a usare la dissociazione come mezzo per affrontare sia le intrusioni legate al trauma che le altre esperienze stressanti della vita69. Nel corso del tempo, infatti, gli studiosi, attraverso l’accumularsi di osservazioni cliniche, ricerche epidemiologiche e sperimentali, hanno confermato sempre di più l’ipotesi dell’esistenza di una relazione causale tra i concetti di trauma psichico ambientale e dissociazione e/o disagio psichico di origine traumatica70. La dissociazione è un modo di organizzare l’informazione; essa compare sia al momento dell’evento traumatico sia a livello post-traumatico, come conseguenza a lungo termine dell’esposizione traumatica. La dissociazione ha a che fare con una “compartimentazione dell’esperienza”: gli elementi di un trauma non vengono infatti assimilati in un insieme unitario o in un 68 Vedi www.animamea.splinder.com, “Biologia e Disturbo post-traumatico da stress”. Bessel A. van der Kolk, Alexander C. McFarlane, Lars Weisaeth, “Stress traumatico. Gli effetti sulla mente, sul corpo e sulla società delle esperienze intollerabili”, ediz. Ma.Gi srl, 2004, pag. 302. 70 Vedi www.animamea.splinder.com, “Biologia e Disturbo post-traumatico da stress”. 69 61 senso del sé integrato71. Già lo psichiatra britannico C. S. Myers, che durante la Prima Guerra Mondiale coniò l’espressione <<shok da granata >>, ipotizzò che l’essenza della traumatizzazione consistesse nel fatto che gli individui sono incapaci di integrarla nei loro stati normali della personalità. Al contrario, questi ricordi traumatici vengono immagazzinati separatamente dagli altri ricordi, in stati della personalità separati (“personalità emotiva”). Negli individui traumatizzati, le parti “apparentemente normali”, sono fissate nel cercare di portare avanti una vita normale, sono cioè guidati da sistemi d’azione finalizzati alla vita quotidiana (per esempio, esplorazione, accudimento, attaccamento) e nel contempo evitano le memorie traumatiche. Come “parti emozionali della personalità”, sono fissati in sistema d’azione (per esempio difesa, sessualità) o sottosistemi (per esempio ipervigilanza, attacco, fuga) che erano stati attivati al tempo della traumatizzazione. Anche Kardiner riscontrò il ruolo cruciale giocato dalla dissociazione nei veterani di guerra traumatizzati da lui studiati. Negli stati di fuga dissociativa un soggetto, se provocato da uno stimolo sensoriale, << agisce come se l’evento traumatico originario fosse ancora in corso o mette in atto quelle strategie protettive che hanno fallito nella situazione originaria >> (Kardiner, 1941). Ma fu, in particolare, P. Janet il primo a studiare in modo sistematico la relazione tra dissociazione e trauma psicologico. Janet riteneva che la dissociazione fosse il fattore cruciale che determina l’eventuale adattamento all’esperienza traumatica. L’intensità di un’<<emozione violenta>>, per lo studioso francese, dipende sia dallo stato emotivo della vittima al 71 Bessel A. van der Kolk, Alexander C. McFarlane, Lars Weisaeth, “Stress traumatico. Gli effetti sulla mente, sul corpo e sulla società delle esperienze intollerabili”, ediz. Ma.Gi srl, 2004, pag. 304. 62 momento dell’evento, sia dalla valutazione cognitiva della situazione. Con una visione sorprendentemente attuale, Janet, considerava che l’unità della persona fosse il risultato di una laboriosa costruzione, mai definitivamente compiuta, di sintesi progressive di diversi sistemi mentali organizzati gerarchicamente, dai più elementari ai più evoluti. La sua idea era che le violente emozioni suscitate dalle esperienze traumatiche, in proporzione alla loro intensità, durata e ripetizione, disaggregassero (“désagrégation”) l’unità della coscienza in distinti sistemi di idee e funzioni dotati di un proprio senso di Sé72. Janet osservò che alcuni elementi somatosensoriali del trauma possono riaffacciarsi alla coscienza quando l’individuo si trova di fronte a qualcosa che ricorda il trauma. Quest’ultimo, quindi, può essere rivissuto sotto forma di sensazioni fisiche (come attacchi di panico), immagini visive (flashback, pensieri ossessivi o riattualizzazioni comportamentali)73. Secondo Van der Hart, Nijenhuis e Steele, la dissociazione propriamente detta va intesa non come alterazione dell’esperienza soggettiva ma come un’abnorme barriera mentale fra gli stati dell’Io, che non hanno più la normale possibilità di accesso simultaneo alla coscienza e alla memoria. La barriera dissociativa separa la parte della personalità che appare relativamente ben adattata al decorso temporale della vita quotidiana da una o più altre parti fissate per così dire nel passato, e legate a emozioni soverchianti (“veementi”) correlate ai traumi74. Vengono così distinti tre 72 Onno van der Hart, Ellert R. S. Nijenhuis, Kathy Steele, “Fantasmi nel sè. Trauma e trattamento della dissociazione strutturale”, Raffaello Cortina Editore, 2011, pag. XVIII. 73 Bessel A. van der Kolk, Alexander C. McFarlane, Lars Weisaeth, “Stress traumatico. Gli effetti sulla mente, sul corpo e sulla società delle esperienze intollerabili”, ediz. Ma.Gi srl, 2004, pag. 306-307. 74 Onno van der Hart, Ellert R. S. Nijenhuis, Kathy Steele, “Fantasmi nel sè. Trauma e trattamento della dissociazione strutturale”, Raffaello Cortina Editore, 2011, pag. IX. 63 tipi di dissociazione strutturale a seconda del numero di stati dell’Io o parti della personalità non integrate: 1) La dissociazione strutturale primaria corrisponde al disturbo post-traumatico da stress, dove le parti della personalità non integrate sono due: vi è una divisione della personalità correlata a traumi tra una singola ANP (personalità apparentemente normale) predominante e una singola EP (personalità emotiva) non molto elaborata né autonoma. Molti bambini e adulti sono incapaci, se posti di fronte a una minaccia opprimente, di integrare nella coscienza la totalità di ciò che sta accadendo loro. Alcuni comportamenti sensoriali ed emotivi dell’evento possono non essere assimilati nella memoria e nell’identità individuale, rimanendo isolati dalla coscienza ordinaria e non vengono integrati in un racconto personale. Questa frammentazione è accompagnata da stati dell’Io distinti dal normale stato di coscienza. Si tratta, appunto, di una condizione di dissociazione << primaria>> caratteristica del DPTS, i cui sintomi più drammatici – ricordi intrusivi fortemente angoscianti, incubi e flaschback – sono espressione dei ricordi traumatici. 2) La dissociazione strutturale secondaria, che può osservarsi, per esempio, in alcuni pazienti con disturbo borderline di personalità, in cui gli stati dell’Io non integrati sono tre, una ANP predominante e più di una EP. Dal momento che un individuo cade in uno stato mentale traumatico (dissociato), può verificarsi in lui un’ulteriore disintegrazione di elementi dell’esperienza personale. Spesso negli individui traumatizzati come le vittime di incesto, i sopravvissuti a 64 incidenti automobilistici e i soldati sul fronte, è stata descritta una << dissociazione tra l’Io che osserva e l’Io che esperisce tecniche di distanziamento, di << >> : queste dissociazione secondaria >> , permettono agli individui di osservare la propria esperienza traumatica come spettatori e di limitare dunque la sofferenza e lo stress, allontanando gli individui dalle sensazioni e dalle emozioni legate al trauma. 3) La dissociazione strutturale terziaria, tipica dei più gravi disturbi dissociativi, come il disturbo dissociativo dell’identità, in cui le parti della personalità non integrate fra loro sono quattro o più: gli individui sviluppano stati dell’Io distinti in cui dare spazio all’esperienza traumatica, caratterizzate da costituiti specifici modelli da identità cognitivi, complesse, affettivi e comportamentali. Alcuni stati dell’Io possono contenere il dolore, la paura o la rabbia relative a particolari esperienze traumatiche, mentre altri stati restano inconsapevoli del trauma e dei sentimenti relativi, continuando a eseguire le funzioni ordinarie della vita quotidiana. Con il concetto di dissociazione si intende, quindi, quel processo disgregativo dell’unitarietà dell’Io, determinato da meccanismi psichici difensivi, mediante i quali l’individuo fronteggia situazioni che percepisce come catastrofiche. L’originario valore adattivo di tali meccanismi difensivi può sfociare in un processo patologico nel momento in cui esso diventi lo stile difensivo prevalentemente utilizzato dall’individuo, che ne 65 modella il modo di stare al mondo e di affrontare ogni altro evento stressante nel corso della sua esperienza75. È stato ipotizzato che gli individui che sviluppano un DPTS non hanno probabilmente la possibilità di classificare diversi “livelli di realtà” come separati, seppur in relazione tra loro. In tali individui si crea perciò una unione tra gli episodi realmente accaduti, ciò che è stato codificato al momento dell’evento, le conoscenze all’interno delle quali l’evento è stato integrato, l’interpretazione del significato delle informazioni, le strategie e il contesto del recupero, i precedenti accessi ai ricordi76. Per dare un significato a ciò che gli organi di senso catturano dal mondo esterno e trasportano all’interno del nostro sistema nervoso, ciascuno di noi elabora una “sintesi personale”77. Le nuove esperienze sono “etichettate” e categorizzate in base alle esperienze precedenti. Nel momento in cui ci si trova davanti ad esperienze bizzarre, molto dolorose o spaventose, tali esperienze potrebbero non essere integrate nella coscienza superiore e rimanere in uno stato di non elaborazione. Da qui scaturisce la dissociazione, un meccanismo di difesa collegato alle capacità di rievocare memorie traumatiche. Questo risulta essere direttamente connesso con l’impossibilità di elaborare informazioni che superano le capacità mentali dell’individuo78. Nella quarta edizione del DSM, la nuova diagnosi del Disturbo da Stress Acuto si concentra sulla dissociazione immediatamente conseguente al trauma. Nel corso dell’evento traumatico o subito dopo, 75 Vedi www.animamea.splinder.com, “Biologia e Disturbo post-traumatico da stress”. Idem. 77 Sintesi: processo attraverso cui vengono percepite, connesse e differenziate le diverse componenti dell’esperienza; la sintesi fornisce l’unità normativa della consapevolezza e della storia dell’individuo. Alterazioni dello stato di coscienza e sintomi dissociativi possono emergere quando la sintesi è incompleta. 78 Vedi www.animamea.splinder.com, “Biologia e Disturbo post-traumatico da stress”. 76 66 l’individuo manifesta almeno tre dei seguenti sintomi dissociativi: 1) senso di estraniamento, di intorpidimento, o mancanza di risposta emotiva; 2) calo di consapevolezza del consenso circostante; 3) derealizzazione (provare un forte senso di irrealtà o di distacco dalla realtà); 4) depersonalizzazione (provare un senso di distacco e di estraneità da se stessi, come se la mente si trovasse al di fuori del corpo); 5) incapacità di ricordare un aspetto significativo del trauma. La dissociazione di un’esperienza traumatica si verifica quindi mentre il trauma è in corso. Sia il DAS che il DPTS sembrano avere origine nella capacità dell’individuo di avere accesso agli stati dissociativi. Gli individui che hanno imparato precocemente a usare questo modo di far fronte a una minaccia sembrano essere particolarmente inclini a usarlo nuovamente durante gli stress acuti. Ciò impedisce di essere pienamente consapevoli di ciò che sta accadendo e quindi di possedere>> l’esperienza. L’incapacità di integrare il trauma << durante lo stadio acuto rende questi soggetti vulnerabili al successivo sviluppo del DPTS79. Molti clinici che trattano individui traumatizzati affetti da DPTS hanno notato che, in risposta a determinati stimoli apparentemente neutri, alcuni soggetti si comportano come se fossero nuovamente traumatizzati e sperimentano uno stato mentale che sembra essere quello presente al momento del trauma anche se non ricordano esplicitamente l’evento traumatico quando si comportano a quel modo. La dissociazione permette agli individui di mantenere i propri schemi esistenti, mentre stati separati della mente trattano l’evento traumatico. I soggetti traumatizzati possono trattenere i loro ricordi dissociati in uno 79 Bessel A. van der Kolk, Alexander C. McFarlane, Lars Weisaeth, “Stress traumatico. Gli effetti sulla mente, sul corpo e sulla società delle esperienze intollerabili”, ediz. Ma.Gi srl, 2004, pag. 309. 67 stato dell’Io del quale normalmente non sono consapevoli; in questo modo, una parte della personalità di un individuo può continuare a svilupparsi senza subire specifiche interferenze da parte del ricordo traumatico80. Distinguiamo un trauma relazionale, nel caso di eventi dolorosi che coinvolgono una o poche relazioni interpersonali, da un trauma sociale, che coinvolge un gruppo ampio quale una comunità o un’intera popolazione, o che sia potenzialmente condivisibile. I due tipi di trauma possono, ovviamente, coesistere81. Per definizione un disastro comporta sofferenze enormi. I danni si estendono oltre gli effetti immediatamente visibili – come la distruzione delle abitazioni – e sono in ogni caso meno scontati. I disagi imposti da un disastro potrebbero aggravarsi perché il disastro può innescare una sequenza di eventi che spingono l’esistenza di un individuo in una spirale verso il basso. Dopo una catastrofe naturale, ad esempio, i sopravvissuti devono fare i conti con molteplici privazioni. Perdite simboliche provocano un intenso distress psicologico. Alcuni ricercatori hanno identificato uno schema di reazioni acute da stress che include sintomi dissociativi, ansia, evitamento e rivissuti dell’esperienza del trauma attraverso i ricordi. I risultati di uno studio svolto dopo un grave disastro naturale (l’incendio di Oakland/Berkeley, 20 Ottobre 1991, che causò la morte di 24 persone e distrusse 3135 abitazioni), dimostrarono che le persone che subiscono un grave disastro, continuano a subire molti cambiamenti stressanti nei mesi successivi. Sebbene alcuni di questi cambiamenti siano direttamente correlati al danno materiale provocato dal disastro (la perdita della propria 80 81 Ibidem, pag. 314-315. Vedi www.animamea.splinder.com, “Biologia e Disturbo post-traumatico da stress”. 68 abitazione), altri cambiamenti si correlano più alle conseguenze intrapsichiche del confrontarsi con il disastro (i sintomi dissociativi), piuttosto che al danno materiale. Il risultato più eclatante di questo studio, infatti, riguarda le evidenze a favore di relazioni significative tra i sintomi dissociativi comparsi nel periodo immediatamente successivo al disastro e i cambiamenti di vita stressanti che sopravvengono nei mesi successivi all’incendio: le persone che presentano un maggior numero di sintomi dissociativi hanno una probabilità significativamente maggiore di ammalarsi gravemente o di subire gravi lesioni fisiche nei mesi successivi; essi subiscono più facilmente di altri anche sostanziali stravolgimenti delle abitudini alimentari e del ritmo del sonno; inoltre, le loro relazioni con altre persone possono interrompersi più facilmente e vi è un aumento del consumo di alcol o di sostanze psicoattive82. Le relazioni tra tutto ciò e i sintomi dissociativi, per questi ricercatori, appaiono meno ovvie. Ad esempio, i sintomi dissociativi accertati nel periodo immediatamente successivo a un disastro possono persistere in molti sopravvissuti, ad indicare che questi individui non prestano un’adeguata attenzione alle loro abitudini igieniche e alle loro condizioni ambientali, comportamento che favorisce un aggravamento della malattia e delle lesioni fisiche e stravolgimenti dell’alimentazione e del ritmo del sonno. Può darsi che i sintomi dissociativi impediscano ad alcuni sopravvissuti di coltivare le loro relazioni interpersonali, da cui deriva la perdita di alcune amicizie83. Future ricerche, quindi, dovrebbero valutare in che modo le conseguenze a breve termine di un disastro, comportino ulteriori cambiamenti stressanti 82 Carol S. Fullerton, Robert J. Ursano “Disturbo post-traumatico da stress. Le risposte acute e a lungo termine al trauma e al disastro”, Centro Scientifico Editore, 2001, pag. 21-32. 83 Ibidem, pag. 32-33. 69 a lungo termine e, identificare i punti critici su cui operare un intervento che possa rivelarsi efficace per i sopravvissuti a un disastro e altre situazioni traumatiche. Sebbene alti livelli di dissociazione siano stati notati i pazienti con DPTS, in pazienti affetti da disturbo bordeline della personalità e con disturbi di somatizzazione, il DSM-III ha creato una categoria separata per i disturbi dissociativi, con l’intento di cogliere meglio quei fenomeni associati all’oscillazione da parte degli individui tra stati alterni di coscienza. 2. neurobiologia del dpts 2.1 fisiologia della risposta al pericolo Esiste ormai una vasta letteratura che conferma che in presenza di alcune situazioni traumatiche, specie se estreme e ripetute nel tempo, si possano rilevare alterazioni neurologiche e biochimiche. I sintomi del DPTS possono essere definiti come i risultati di una successione di risposte biologiche e psicologiche, conseguenti all’attivazione della reazione di paura e di altre strutture cerebrali84. L’esposizione ad un evento traumatico porta l’organismo ad organizzare una risposta di paura, la quale inizialmente coinvolge una risposta 84 Vedi www.animamea.splinder.com, “Biologia e Disturbo post-traumatico da stress”. 70 biologica che attiva il processo di valutazione per organizzare una idonea risposta comportamentale. La percezione del pericolo trova il suo punto di partenza negli organi di senso che trasmettono l’informazione al talamo, quest’ultimo invia efferenze sia direttamente all’amigdala (via rapida) che alla corteccia, che dopo avere elaborato l’informazione stessa la riinvia all’amigdala. Dall’amigdala, centro “effettore” della risposta al pericolo, partono efferenze che guidano la risposta vegetativa, neuroedocrina e comportamentale al pericolo. L’amigdala riceve due tipi di afferenze: da un lato proiezioni provenienti dalle aree sensoriali primarie e dalle aree associative secondarie (via corticale) e dall’altro riceve informazioni sensoriali provenienti da vari nuclei talamici (via sottocorticale o talamica). Le due vie, oltre ad essere anatomicamente diverse, svolgono funzioni differenti nel processo di analisi dell’informazione emotiva. La via talamica diretta invia un’informazione molto povera sulle caratteristiche dello stimolo, anche se sufficiente a provocare una risposta emotiva indifferenziata. Al contrario, l’informazione che arriva all’amigdala dalla via corticale è molto dettagliata in relazione alle caratteristiche percettive e semantiche dello stimolo e serve al soggetto per formulare una risposta adeguata alla situazione85. Dal momento che l’input dal talamo arriva all’amigdala prima dell’informazione proveniente dalla neocorteccia, LeDoux suggerisce che questo primo input sensoriale dal talamo “prepari” l’amigdala a elaborare l’informazione che arriva successivamente dalla corteccia. Così, la valutazione emotiva di questo input sensoriale precede l’esperienza emotiva consapevole. I soggetti 85 L. Belloni, P. Castrogiovanni, M. Mantero, G. Miscettola, “Il Disturbo Post-Traumatico Da Stress”, Pacini Editore S.p.A. – Pisa, 2002, pag. 103-104. 71 possono attivarsi autonomamente e per via ormonale prima che siano capaci di valutare consapevolmente ciò a cui stanno reagendo86. Una delle più immediate risposte dello stress è la scarica del sistema simpatico che provoca l’incremento della frequenza del battito cardiaco e della pressione sanguigna (reazione di “attacco o fuga”). Queste reazioni provocano un incremento generalizzato del flusso sanguigno ed un aumento della disponibilità di glucosio ai muscoli scheletrici che rende possibili la fuga da situazioni avverse o, se necessario, una risposta ottimale alla paura87. 2.2 aspetti neurobiologici del DPts e memoria Papez (1937) suggerì che un insieme di strutture cerebrali connesse tra di loro formava un circuito le cui funzioni primarie erano il comportamento motivato e le emozioni. Questo sistema comprendeva diverse regioni della corteccia limbica e collegate strutture cerebrali profonde. Il sistema è stato successivamente ampliato andando a includere altre strutture, e fu chiamato sistema limbico. Le parti più importanti del sistema limbico sono l’ippocampo e l’amigdala, localizzate nelle regioni mediali del lobo temporale88. 86 Bessel A. van der Kolk, Alexander C. McFarlane, Lars Weisaeth, “Stress traumatico. Gli effetti sulla mente, sul corpo e sulla società delle esperienze intollerabili”, ediz. Ma.Gi srl, 2004, pag 293. 87 Vedi www.animamea.splinder.com, “Biologia e Disturbo post-traumatico da stress”. 88 W. Yule, “Disturbo post-traumatico da stress. Aspetti clinici e terapia”, ediz. Italiana a cura di M. Biodi, ediz. McGrawHill Libri Italia srl, 2000, pag. 125. 72 Per quanto riguarda il versante delle disregolazioni del sistema nervoso centrale, il riferimento più ricorrente è quello dell’asse ipotalamo-ipofisisurrene (HPA), notoriamente interessato nelle risposte allo stress. Di tutte le strutture del sistema nervoso centrale, l’amigdala è la più implicata nella valutazione del significato emozionale degli stimoli in entrata. Essa è la sede della memoria implicita (o procedurale, si riferisce al ricordo di capacità acquisite a abitudini, di risposte emotive, azioni riflesse), e, viene coinvolta da vissuti emotivi intensi che vanno a fissarsi su questa particolare zona del SNC, dove diventano stabili e duraturi; questi ricordi, in genere non presenti alla coscienza, possono riemergere di fronte a stimoli che sono ricollegabili all’evento traumatico. Lesioni a livello dell’amigdala interferiscono con un’ampia gamma di ricordi dal forte significato emozionale, tra cui l’evitamento inibitorio, l’eccessiva reazione d’allarme potenziata dalla paura89. L’ippocampo è implicato in una grande varietà di meccanismi di funzionamento mentale. Sede della memoria esplicita (o dichiarativa, riguarda la consapevolezza cosciente di fatti o eventi accaduti all’individuo), una delle sue primissime funzioni è il ruolo nell’elaborazione spazio-temporale; questo è, infatti, essenziale per il consolidamento delle esperienze nella memoria a lungo termine e l’attivazione dell’amigdala amplifica questo processo90. In situazioni stressanti, la porzione simpatica del sistema nervoso autonomo è attiva, e le ghiandole surrenali secernono adrenalina, noradrenalina e gli ormoni steroidei dello stress. L’attivazione del sistema 89 W. Yule, “Disturbo post-traumatico da stress. Aspetti clinici e terapia”, ediz. Italiana a cura di M. Biodi, ediz. McGraw-Hill Libri Italia srl, 2000, pag. 126. 90 Idem.. 73 nervoso autonomo è altamente correlata all’attività dell’amigdala. Un trauma acuto porta a un notevole aumento dei livelli di glucocorticoidi; in condizioni normali il livello di cortisolo è basso, mentre aumenta in condizioni stressanti, occupando, in questo modo, quasi completamente i recettori per i glucocorticoidi. Tutto ciò interferisce con il funzionamento ippocampale sopprimendo l’eccitabilità dei neuroni ippocampali. Una parziale o completa disattivazione dell’ippocampo può comportare una menomazione, più o meno grave, della memoria esplicita91. In soggetti con DPTS si è riscontrato un deficit degli standard neuropsicologici relativi alle funzioni ippocampali e studi di brain-imaging hanno mostrato una riduzione del volume dell’ippocampo92. I soggetti con diagnosi di DPTS hanno dimostrato una varietà di problemi mnesici, tra cui deficit della memoria dichiarativa, frammentazione dei ricordi (sia personali che legati al trauma) e alterazioni anche della memoria non dichiarativa e la disfunzione ippocampale potrebbe rappresentare la base anatomica di queste alterazioni93. Una forte emozione determina quindi l’attivazione del sistema neuroendocrino, il quale reagisce con la messa in circolo di sostanze che inducono numerosi effetti, tra cui un persistente arousal. In particolare Charney e coll. (1993) propongono un modello neuronale per lo sviluppo del DPTS, che si basa sul fatto che diverse regioni cerebrali sono coinvolte sia nel periodo del trauma originale sia successivamente: il trauma originale porta all’attivazione della noradrenalina, a livello del locus 91 Vedi www.nicolalalli.it, “Trauma psichico e stress: una revisione critica del DPTS”, 2005. L. Belloni, P. Castrogiovanni, M. Mantero, G. Miscettola, “Il Disturbo Post-Traumatico Da Stress”, Pacini Editore S.p.A. – Pisa, 2002, pag. 113. 93 Idem. 92 74 coeruleus, dell’ippocampo, dell’amigdala, dell’ipotalamo e della corteccia cerebrale, determinando ansia, paura, ipervigilanza, iperarousal, decodificazione dei ricordi traumatici e maggior facilità di risposte sensitivo-motorie94. Si riscontra anche un aumento del rilascio di dopamina nella corteccia frontale e nel nucleo accumbens che potrebbero spiegare alcuni sintomi del DPTS come lo stato di tensione continua, gli attacchi di panico, l’ipervigilanza e le esagerate risposte di allarme95. In seguito ad uno stress acuto, inoltre, si verifica un aumentato rilascio di oppioidi nella corteccia e nell’amigdala e produrrebbe quella analgesia (riduzione o soppressione della sensibilità del dolore) che viene sperimentata durante il trauma e che probabilmente facilita la sopravvivenza in quel momento, così come il successivo appiattimento emotivo (numbing), tipico del DPTS96. La successiva esposizione a eventi traumatici determinerebbe un aumento degli oppiodi endogeni che potrebbe spiegare il cosiddetto addiction to trauma (ricerca compulsiva di situazioni pericolose) che è facilmente riscontrabile in pazienti affetti da DPTS, così come in persone che hanno subito traumi psichici, con conseguente sensazione di calma97. Anche il sistema serotoninergico sembra essere coinvolto nella risposta allo stress e avrebbe un ruolo nella patogenesi di alcuni sintomi del D PTS in rapporto all’attività modulatoria della serotonina (5HT) sul locus coeruleus, centro noradrenergico fondamentale nelle reazioni di paura. 94 W. Yule, “Disturbo post-traumatico da stress. Aspetti clinici e terapia”, ediz. Italiana a cura di M. Biodi, ediz. McGraw-Hill Libri Italia srl, 2000, pag. 127. 95 G. B. Cassano, A. Tundo, “Psicopatologia e clinica psichiatrica”, ediz. Utet, 2006, pag. 417. 96 W. Yule, “Disturbo post-traumatico da stress. Aspetti clinici e terapia”, ediz. Italiana a cura di M. Biodi, ediz. McGraw-Hill Libri Italia srl, 2000, pag. 128. 97 G. B. Cassano, A. Tundo, “Psicopatologia e clinica psichiatrica”, ediz. Utet, 2006, pag. 417. 75 Negli animali sottoposti a uno schock senza possibilità di evitare il trauma mostrano una diminuzione dei livelli di serotonina nel SNC e che gli inibitori del riassorbimento della serotonina sono agenti farmacologici eccezionalmente efficaci nella cura del DPTS98. Nella letteratura psicologica esiste una quantità di evidenze che indica una specializzazione degli emisferi cerebrali, specialmente per le emozioni, che documentano una maggiore sensibilità dell’emisfero destro nell’elaborazione delle informazioni a forte significato affettivo99. In uno studio condotto da Rauch e coll. (1996) un risultato sorprendente fu la marcata lateralizzazione dell’attività dell’emisfero destro. In contrasto, l’area di Broca – la parte dell’emisfero sinistro responsabile della traduzione delle esperienze personali i linguaggio comunicabile – mostrava una significativa diminuzione d’utilizzo d’ossigeno durante l’esposizione a fattori di ricordo del trauma. Questo probabilmente sta a indicare che durante l’attivazione di un ricordo traumatico il cervello sta vivendo>> la sua esperienza: la persona può provare, vedere o sentire gli << elementi sensoriali dell’esperienza traumatica. Il soggetto può anche subire un impedimento di natura fisiologica nel tradurre quest’esperienza in linguaggio comunicativo. Quando le vittime di DPTS sono sottoposte a un ricordo traumatico possono soffrire di terrore muto, stato in cui possono letteralmente << perdere il contatto con le proprie emozioni >> . 100 98 Bessel A. van der Kolk, Alexander C. McFarlane, Lars Weisaeth, “Stress traumatico. Gli effetti sulla mente, sul corpo e sulla società delle esperienze intollerabili”, ediz. Ma.Gi srl, 2004, pag. 230. 99 W. Yule, “Disturbo post-traumatico da stress. Aspetti clinici e terapia”, ediz. Italiana a cura di M. Biodi, ediz. McGraw-Hill Libri Italia srl, 2000, pag. 128-129. 100 Bessel A. van der Kolk, Alexander C. McFarlane, Lars Weisaeth, “Stress traumatico. Gli effetti sulla mente, sul corpo e sulla società delle esperienze intollerabili”, ediz. Ma.Gi srl, 2004, pag. 238. 76 Nonostante ci sia ancora molto da comprendere, un messaggio appare chiaro: alcune esperienze traumatiche, in particolari condizioni pre e posttraumatiche, possono esitare in processi di memorizzazione anomali che tendono a non risolversi spontaneamente. Tali ricordi possono essere frammentati, non accessibili o parzialmente accessibili. Compito della terapia, quindi, è anche favorire il processo di verbalizzazione del ricordo per poterlo “metabolizzare” positivamente. CAP. IV UN APPROCCIO GENERALE AL TRATTAMENTO DEL DPTS 77 I traumi sono sempre diversi perché sopraggiungono in momenti differenti su strutture psichiche diverse. B. Cyrulnik 1. I PRINCIPI FONDAMENTALI DEL TRATTAMENTo Coloro che sviluppano il DPTS si distinguono da chi ha semplicemente subito uno stress temporaneo per il fatto che i primi si <<si bloccano>> sul trauma, continuando a riviverlo in pensieri, emozioni, azioni, immagini. La responsabilità delle complesse alterazioni comportamentali che vanno sotto il nome di DPTS è da attribuire a queste riesperienze intrusive, piuttosto che all’evento traumatico in sé (McFarlane, 1988). Una volta dominati dalle intrusioni del trauma, i soggetti traumatizzati cominciano a organizzare la loro vita nel tentativo di rifuggire da queste esperienze. L’evitamento può assumere svariate forme: tenersi alla larga da situazioni, persone o emozioni che ricordano l’evento traumatico; fare uso di alcol o 78 di sostanze stupefacenti, che ottundono gli stati emotivi stressanti; ricorrere alla dissociazione per tenere le esperienze sgradevoli separate dallo stato conscio. La sensazione cronica di impotenza, l’ipereattività fisiologica e altri cambiamenti relativi al trauma possono modificare permanentemente la maniera in cui una persona affronta lo stress, alterarne il concetto del sé e interferire con la sua concezione del mondo in quanto spazio gestibile. Un prerequisito per riuscire a pianificare il trattamento in maniera efficiente, con un obiettivo ben preciso, è la sensazione di relativa sicurezza e prevedibilità. È stato dimostrato che chi è stato traumatizzato fatica a sopportare le emozioni intense e a prendere in considerazione idee potenzialmente disturbanti senza sentirsi sopraffatto (van der Kolk, Ducey, 1989). Questa tendenza interferisce con la capacità di questi individui di avvalersi delle emozioni come punti di riferimento per le proprie azioni. Chi è affetto da DPTS vive il proprio mondo interiore come un luogo pericoloso, ricco di pensieri e sensazioni che ricordano il trauma. Questi soggetti paiono impiegare le proprie energie per non pensare e non pianificare. Questo evitamento dei fattori emotivi diminuisce ulteriormente l’importanza della realtà e, paradossalmente, accresce il loro attaccamento al passato101. Lo scopo della terapia dei pazienti traumatizzati è di aiutarli a passare da una situazione in cui sono ossessionati dal passato e in cui interpretano gli stimoli che emotivamente ne derivano come un ritorno al trauma, a una situazione in cui si sentono perfettamente attivi nel presente e capaci di far 101 Bessel A. van der Kolk, Alexander C. McFarlane, Lars Weisaeth, “Stress traumatico. Gli effetti sulla mente, sul corpo e sulla società delle esperienze intollerabili”, ediz. Ma.Gi srl, 2004, pag. 415. 79 fronte alle contingenze del momento. Per raggiungere questo obiettivo, il paziente deve riprendere il controllo delle sue risposte emotive e collocare il trauma entro la prospettiva totale della sua vita, ossia come un evento o una serie di eventi del passato che ha avuto luogo in un momento particolare e in un luogo particolare e che non è ragionevole pensare si ripeta se il soggetto si assume la responsabilità della propria vita102. L’elemento chiave della psicoterapia di chi è affetto da D PTS è l’integrazione di ciò che è inaccettabile, terrificante e incomprensibile entro il concetto di Sé; occorre che gli eventi accaduti che, inizialmente erano stati vissuti come estranei, siano adesso personalizzati>> come << aspetti integrati del passato e delle esperienze di vita del paziente (van der Kolk, Ducey, 1989). Le rigide difese erette inizialmente come misure protettive di emergenze devono gradualmente allentare la presa della psiche del paziente, così che gli aspetti dissociati dell’esperienza non continuino a intromettersi nella vita attuale, portando avanti la traumatizzazione di soggetti già traumatizzati. La psicoterapia deve affrontare due aspetti fondamentali del DPTS: il decondizionamento dell’ansia e l’alterazione della maniera in cui le vittime vedono se stesse e il loro mondo ristabilendo la sensazione di integrità personale e di controllo103. Al di là dell’approccio di riferimento e delle tecniche che si desidera utilizzare, gli obiettivi che sarebbe auspicabile raggiungere, sono comuni per tutti104: 102 Idem. 103 Bessel A. van der Kolk, Alexander C. McFarlane, Lars Weisaeth, “Stress traumatico. Gli effetti sulla mente, sul corpo e sulla società delle esperienze intollerabili”, ediz. Ma.Gi srl, 2004, pag. 415. 104 Vedi www.animamea.splinder.com, “Biologia e Disturbo post-traumatico da stress”. 80 - guidare il paziente a ri-raccontare il trauma nell’hic et nunc, modificandone la narrazione per giungere all’integrazione ed al senso di controllo di tale vissuto. Si aiuta il paziente a trovare un significato a tali eventi; ciò lo mette nella posizione di poter dominare e gestire i ricordi intrusivi e il disagio; - riproporre al paziente, in maniera strutturata e con un forte sostegno psicologico, gli stimoli/segnale collegati al trauma; - affrontare le difficoltà intra- ed inter-personali dovute alla “distruzione” delle credenze, delle idee e delle opinioni del paziente; - lavorare sulle risorse di crescita del paziente portandolo dalla posizione di “vittima” a quella di “sopravvissuto” ed infine di “fortificato”; - spostare l’attenzione dal passato verso il presente ed il futuro; - sostenere il paziente nel recupero della propria autostima e della fiducia in sé e negli altri e rafforzarne le relazioni sociali; - spronare il paziente ad usare tutte le sue risorse per “ricostruirsi” (usando il suo sistema di credenze, sviluppando la sua capacità di imparare dalle esperienze negative). Ovviamente, prima di dare inizio a qualsiasi trattamento, occorre esaminare con attenzione la storia del paziente; gli elementi da non trascurare sono la natura dello stressor traumatico, il ruolo del paziente nell’esperienza traumatica, i pensieri e le emozioni del paziente su ciò che è stato fatto, l’effetto del trauma sulla vita del paziente e sulla sua percezione del sé e degli altri, l’esposizione a precedenti esperienze traumatiche, gli abituali stili di coping, il livello di funzionamento cognitivo, i particolari punti di forza e le capacità personali, i precedenti 81 psichiatrici, la storia medica, sociale, familiare e lavorativa, le credenze culturali e religiose105. Qualunque trattamento di un soggetto traumatizzato deve progredire secondo il ritmo dettato dal grado di intrusione involontaria del trauma, nonché dalle capacità dell’individuo di gestire le emozioni intense. I clinici devono identificare e rispettare le diverse difese psichiche di cui i pazienti si avvalgono per gestire i ricordi traumatici. Un trattamento efficace deve procedere per fasi, che dovrebbero contemplare quanto segue (van der Hart et al.): 1. La stabilizzazione: superare, quindi, la paura delle emozioni relative al trauma, compresi l’apprendimento e l’identificazione dei sentimenti mediante la verbalizzazione degli stati somatici. 2. Il decondizionamento dei ricordi e delle risposte traumatiche: la ripetizione del trauma nell’azione da parte dl paziente è il primo passo verso il ricordo e la capacità di esprimerlo simbolicamente a parole, fase che, a sua volta, sia un passo intermedio che il risultato dell’elaborazione dell’esperienza emotiva. 3. La ristrutturazione degli schemi traumatici personali: una risoluzione adattiva a un’esperienza stressante consiste in una modificazione della concezione di sé e degli altri che consente di mantenere l’attenzione ricolta alle esigenze quotidiane; per far fronte in maniera efficace agli eventi stressanti, è necessario che quell’esperienza non si generalizzi alla totalità dell’esistenza, ma venga interpretata 105 Bessel A. van der Kolk, Alexander C. McFarlane, Lars Weisaeth, “Stress traumatico. Gli effetti sulla mente, sul corpo e sulla società delle esperienze intollerabili”, ediz. Ma.Gi srl, 2004, pag. 416. 82 semplicemente come un terribile incidente che si è verificato in un luogo e in un momento determinati. 4. Il ripristino di connessioni sociali stabili e dell’efficacia interpersonale: si ritiene spesso che una terapia di gruppo di qualche tipo costituisca la cura di elezione sia per soggetti affetti da trauma acuto che per quelli affetti da trauma cronico; il compito principale della terapia di gruppo e dell’intervento comunitario è di aiutare le vittime a riacquistare il senso di sicurezza e di controllo. In un gruppo di persone che hanno passato esperienze simili, la maggior parte dei soggetti traumatizzati riesce prima o poi a trovare le parole giuste per esprimere ciò che le è successo; come è stato osservato più di mezzo secolo fa << Elaborando i loro problemi in un gruppo di dimensioni ridotte, dovrebbero riuscire ad affrontare con maggiore facilità il gruppo più grande, cioè il loro mondo >> (Grinker, Spiegel, 1945). 5. L’accumulo di esperienze emotive di ripristino: dato che la riesperienza e l’allontanamento dei ricordi traumatici costituiscono le principali preoccupazioni psicologiche di chi ha subito un trauma, i pazienti devono esporsi attivamente alle esperienze che provocano in loro una sensazione di controllo e di piacere. Le attività fisiche o artistiche possono essere per i pazienti esperienze immuni dal trauma, servendo quindi come fonti di nuove gratificazioni. Nel trattamento di casi di DPTS semplici, è possibile passare da una fase alla successiva con più facilità, ma in casi di maggiore complessità occorre ripetere frequentemente la fase di stabilizzazione, dato che la personalità nel suo complesso può reagire a molti aspetti della vita quotidiana come se 83 fossero riesperienze del trauma106. Se non si riescono ad affrontare i vari aspetti del trauma in maniera graduale, è probabile che si verifichi un’intensificazione della sintomatologia post-traumatica. Una volta, quindi, che le esperienze sono state inquadrate nel tempo e nello spazio, il paziente può cominciare a distinguere gli stress della vita attuale dal trauma del passato, facendo così diminuire l’impatto del trauma sulla sua esperienza presente107. 2. terapie e trattamenti specifici per il DPTS La maggior parte degli studi in campo clinico riguardanti l’efficacia e l’efficienza dei vari tipi di trattamento per il DPTS sottolineano l’importanza dell’utilizzo di terapie integrate, ovvero dell’abbinamento di terapie psicofarmacologiche e di psicoterapia. In particolare, una recente review del British Medical Journal108, riassume i trattamenti psicoterapeutici utilizzabili per il DPTS in tre principali gruppi: i trattamenti di stampo cognitivo-comportamentale o puramente cognitivo, l’EMDR, la terapia psicofarmacologica. 1. I TRATTAMENTI DI STAMPO COGNITIVO-COMPORTAMENTALE Nella letteratura sul trattamento comportamentale e cognitivo del D PTS vengono sottolineati tre principali approcci terapeutici: 106 Bessel A. van der Kolk, Alexander C. McFarlane, Lars Weisaeth, “Stress traumatico. Gli effetti sulla mente, sul corpo e sulla società delle esperienze intollerabili”, ediz. Ma.Gi srl, 2004, pag. 422. 107 Ibidem, pag. 432. 108 F. Cagnoni, R. Milanese, “Cambiare il passato. Superare le esperienze traumatiche con la terapia strategica”, Adriano Salani Editore S.p.A-Milano, 2009, pag. 180. 84 1) Esposizione, che ha lo scopo di evocare l’ansia e promuovere l’abituazione. Questa esposizione può avvenire in due modi: in immaginazione, in cui il soggetto viene invitato a rivivere l’avvenimento nella propria mente e a raccontarlo al terapeuta; questa manovra avrebbe l’obiettivo di far percepire al paziente la propria paura come qualcosa di controllato e per abituarlo ad utilizzare strategie alternative per arrivare a lavorare sul ricordo traumatico. Oppure in vivo, in cui al soggetto viene chiesto di avvicinarsi concretamente e in modo graduale a tutte le situazioni ansiogene precedentemente evitate in quanto riguardanti il trauma. 2) Tecniche di gestione dell’ansia, che hanno lo scopo di insegnare all’individuo una varietà di coping skill per gestire l’ansia e altri sintomi, incluso lo Stress inoculation training (ovvero addestramento di vaccinazione allo stress), comprendente varie tecniche con elementi di rilassamento, blocco del pensiero, auto-dialogo guidato, razionalizzazione, rietichettamento delle sensazioni somatiche ansiose e giochi di ruolo; il tutto in corrispondenza di immagini e stimoli ansiogeni. 3) Ristrutturazione cognitiva, che ha lo scopo di modificare i pensieri, le convinzioni e gli assunti irrazionali. Questi modelli terapeutici puntano al cambiamento di quelle che vengono definite “interpretazioni distorte” e che condurrebbero a una sovrastima delle minacce reali da parte del paziente che soffre di un DPTS. Per questo motivo le terapie che si ispirano a tale approccio si basano sul concetto che il dato informativo inerente al vissuto traumatico debba essere comunque elaborato, fino a trovare un certo inserimento negli 85 schemi mentali interni. Nel tentativo di assimilare la nuova situazione si hanno vissuti spiacevoli, aumento dell’arousal, desiderio di fuga o di evitamento, oltre ad i classici pensieri e ricordi del trauma. Tutto questo persiste finchè non viene assimilato ed integrato l’evento traumatico. I funzione di ciò, il soggetto viene innanzitutto aiutato a riconoscere i propri pensieri automatici e spontanei legati all’evento traumatico, pensieri che spesso sono intrusivi, rapidi e istantanei. Attraverso l’allenamento nel percepire i propri pensieri e i propri atteggiamenti, sia l’evento traumatico che tutta la sintomatologia legata a esso vengono estremamente razionalizzati nel tentativo di ristrutturare sia l’impatto dato dall’evento sia le credenze che stanno alla base della paura. Attraverso questo lavoro il soggetto dovrebbe modificare i propri schemi a favore di spiegazioni alternative più realistiche, meno catastrofiche e più adattive e concrete. Le terapie cognitive prevedono, dunque, una ristrutturazione cognitiva, basata sulla restituzione al paziente della capacità di gestire e controllare le proprie emozioni, i rapporti interpersonali, la propria vita sociale, il lavoro, etc., con molteplici tecniche come il diario, il dialogo socratico, le metafore, le tecniche immaginative, etc. In particolare Horowitz è considerato il più autorevole studioso sul modello di reazione al trauma. Egli sostiene che il principale slancio all’interno del sistema cognitivo per l’elaborazione delle informazioni deriva da una tendenza al completamento, cioè dal “bisogno psicologico di far corrispondere le nuove informazioni con i modelli interni basati su informazioni precedenti, e la revisione di 86 entrambi fino al punto di trovare un accordo” (Horowitz, 1982). Questa tendenza la completamento consente alla mente di accordarsi con la realtà presente, requisito essenziale per prendere decisioni efficaci e perché l’individuo sia in equilibrio con l’ambiente. Horowitz ha sostenuto inoltre che dopo aver subito un trauma, si verifica un iniziale crying out o reazione di stordimento, seguito da un periodo di sovraccarico informativo, nel quel i pensieri, i ricordi e le immagini del trauma non riescono a conciliarsi con gli schemi cognitivi preesistenti ostacolando la tendenza al completamento. Come risultato Horowitz sostiene che un certo numero di difese psicologiche entrano in gioco nel mantenere l’informazione traumatica a livello inconscio e l’individuo sperimenta allora un periodo caratterizzato da anestesia affettiva e negazione nei confronti dell’evento. Comunque la tendenza al completamento mantiene le informazioni correlate al trauma in quella che Horowitz definisce “memoria attiva”. E’ quest’ultima che permette che le informazioni si facciano strada attraverso le difese e irrompano nella coscienza attraverso flashback, incubi, pensieri intrusivi, non appena l’individuo cerca di fondere le nuove informazioni con le concezioni preesistenti. Secondo Horowitz, questo conflitto tra la tendenza al completamento da una parte ed i meccanismi psicologici di difesa dall’altra, fa sì che gli individui oscillino tra fasi caratterizzate da intrusività e negazione/anestesia affettiva. L’impossibilità ad elaborare completamente le memorie traumatiche fa sì che esse stazionino nella memoria attiva sino a cronicizzare il DPTS. 87 2. EMDR (Eye movement desensitisation and reprocessing) Questa tecnica (letteralmente con il movimento degli occhi >> << Desensibilizzazione e rielaborazione ) nasce negli Stati Uniti meno di vent’anni fa, a opera di Francine Shapiro: si tratta di far eseguire procedure meccaniche di ricordo e rievocazione delle esperienze negative (in un protocollo suddiviso in otto fasi), nel tentativo di far abituare ( << desensibilizzare >> ) il paziente ai ricordi traumatici, distraendolo (rielaborazione attiva del ricordo) facendogli compiere movimenti ritmici degli occhi, oppure tamburellamenti o stimolazioni sonore. In questa tecnica si chiede al paziente di immaginare una scena relativa al trauma, concentrandosi sui pensieri che l’accompagnano e sull’attivazione psicofisilogica che ne consegue, mentre segue con lo sguardo il dito del terapeuta che si muove velocemente. La sequenza viene ripetuta fino a quando il paziente non sente più l’ansia, e a questo punto gli viene insegnato come adottare un atteggiamento mentale più positivo mentre continua a immaginare scene legate al trauma e a muovere gli occhi. L’ EMDR si basa sul presupposto secondo cui traumi o perdite non risolte possano inibire la normale elaborazione dei ricordi interferendo con i meccanismi di registrazione e immagazzinamento delle informazioni. Il << trauma>> sarebbe intrappolato nella rete neurale insieme con le emozioni, convinzioni e sensazioni fisiche in atto al momento dell’evento. Se quindi si evoca il ricordo traumatico in tutte le sue componenti (visiva, emotiva, cognitiva e fisica) si stimola il sistema adattivo (ovvero quello funzionale) spostando il ricordo verso una risoluzione positiva109. 109 F. Cagnoni, R. Milanese, “Cambiare il passato. Superare le esperienze traumatiche con la terapia strategica”, Adriano Salani Editore S.p.A-Milano, 2009, pag. 185. 88 3. LA TERAPIA PSICOFARMACOLOGICA La terapia psicofarmacologica viene solitamente consigliata in abbinamento a una psicoterapia. Gli obiettivi principali alla base del trattamento farmacologico del DPTS sono i seguenti110: - riduzione della frequenza e/o dell’intensità dei sintomi intrusivi; - riduzione della tendenza a interpretare gli stimoli in ingresso come ripetizioni dell’evento traumatico; - riduzione dell’iperattivazione psicofisiologica condizionata in risposta a stimoli evocatori dell’esperienza traumatica, e riduzione dell’iperattivazione generalizzata; - riduzione del comportamento di evitamento; - miglioramento dello stato d’umore caratterizzato da depressione e anedonia; - riduzione dei sintomi psicotici e dissociativi; - riduzione degli impulsi auto ed etero-aggressivi. Nel DPTS, come discusso nel precedente capitolo, sono coinvolti i sistemi dopaminergici, serotonogergici, GABAergici e oppiatergici. L’utilizzo di farmaci antidepressivi, stabilizzatori dell’umore e antipsicotici atipici si è rivelato utile per modulare le emozioni sregolate, l’irritabilità e la disforia, per contenere i disturbi del comportamento e gli 110 Bessel A. van der Kolk, Alexander C. McFarlane, Lars Weisaeth, “Stress traumatico. Gli effetti sulla mente, sul corpo e sulla società delle esperienze intollerabili”, ediz. Ma.Gi srl, 2004, pag. 508. 89 atti auto aggressivi, parasuicidari e suicidari, e per mitigare le somatizzazioni111. Le categorie di farmaci più utilizzati a questo scopo sono gli inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina, gli antidepressivi atipici, gli stabilizzatori dell’umore (litio, carbamazepina, acido valproico,…) e gli antipsicotici di seconda generazione (risperidone, olanzapina e quetiapina)112. CAP. V PROGETTAZIONE DI UNA RISPOSTA PSICOSOCIALE A UN DISASTRO 111 G. Liotti, B. Farina, “Sviluppi traumatici. Eziopatogenesi, clinica e terapia della dimensione dissociativa”, Raffello Cortina Editore, 2011, pag. 217. 112 Ibidem, pag. 217-218. 90 “Non dobbiamo cercare di vivere a lungo, ma di vivere bene: giacchè il vivere a lungo dipende dal destino, il vivere bene dall’animo. La vita è lunga se è piena; diviene piena quando l’animo è riuscito a procurarsi il suo bene e ad acquistare il dominio su se stesso”. Seneca-lettere a Lucilio 1. LE RISPOSTE PSICOSOCIALI A UN DISASTRO113 Negli ultimi anni è aumentato l’interesse per lo studio delle conseguenze psicologiche dei disastri; la consapevolezza che i disastri comportano dei rischi per la salute mentale ha promosso l’attuazione di strategie allo scopo di ridurre le conseguenze psicosociali. 113 W. Yule, “Disturbo post-traumatico da stress. Aspetti clinici e terapia”, ediz. Italiana a cura di M. Biodi, ediz. McGraw-Hill Libri Italia srl, 2000, pag. 255-266. 91 I disturbi che seguono un trauma includono il DPTS, la depressione, l’ansia, l’abuso di alcol e di sostanze, i disturbi dissociativi e i profondi cambiamenti della personalità con un alto tasso di comorbidità. Ovviamente, non tutti i soggetti esposti a disastri sono destinati a sviluppare il DPTS. Raphael (1986) ha concluso che nella prima settimana dopo il disastro le reazioni da stress sono osservabili nel 20-70% della popolazione coinvolta e nel 30-40% dopo un anno. Ulteriori riduzioni sono state osservate dopo due anni, ma il 15-20% della popolazione manifesta livelli di ansia cronica che rimangono elevati per più di due anni. Generalmente un disastro è improvviso, imprevedibile, incontrollabile, minaccia presumibilmente o realmente la perdita di proprietà o della vita stessa, può danneggiare o distruggere comunità intere e, spesso, dà origine a conseguenze psicologiche per i sopravvissuti. Inoltre, l’etichetta di “disastro” influenza sia la quantità di aiuto offerto, sia l’impatto dell’evento sulla popolazione coinvolta. Raphael e coll. (1996) affermano che, nel periodo immediatamente successivo a un disastro, si riscontra la necessità di una risposta umana e compassionevole in grado di garantire sicurezza e sopravvivenza, e di promuovere l’accertamento e la cura dei danni fisici. In questo stadio i soggetti non desiderano o non sono in grado di parlare della loro esperienza; tuttavia, qualche domanda gentile sarebbe importante per identificare coloro che necessitano di un intervento psicologico immediato o i soggetti a rischio di sviluppare reazioni croniche da stress. Se sostenuta, questa stessa procedura può essere terapeutica, dando inizio ad una serie di interventi integrati, basati anche su un aiuto pratico che può essere percepito di maggiore utilità rispetto a una specifica assistenza psicologica. 92 Nelle settimane e nei mesi successivi, le differenti necessità dei soggetti rimasti coinvolti nel disastro diventeranno evidenti e il supporto psicosociale deve tentare di modellarsi in base a tali diversità per incontrare ogni esigenze. I responsabili delle squadre di pronto soccorso o di salvataggio riconoscono da molto tempo il valore degli incontri dopo un evento traumatico, incontri fatti di conversazione, sfogo emozionale e calo della tensione. I principi militari di vicinanza, immediatezza e aspettativa sono stati trasferiti nel modello del Debriefing per lo Stress da Incidenti Critici (Critical Incident Stress Debriefing, CISD) sviluppato da Mitchell (1983) con obiettivi simili, ma calibrati per gli operatori dei servizi di emergenza esposti a stress critici come disastri e incidenti traumatici 114. Le fasi del debriefing proposte da Mitchell e utilizzate, in grado diverso dai veri operatori di salute mentale che seguono il modello del CISD includono i seguenti passaggi, con una durata dell’intervento di 2-3 ore: 1. fase introduttiva: in cui si spiegano le modalità e gli scopi dell’incontro; 2. fase fattuale: i membri del gruppo devono descrivere i loro ruoli e compiti durante l’incidente e raccontare alcuni degli avvenimenti dal loro punto di vista; 3. fase dei pensieri: ognuno esprime il proprio pensiero dominante durante l’incidente; 4. fase delle reazioni: la più potente emotivamente, si cerca di esplorare la parte peggiore dell’esperienza e quindi di incoraggiare le persone a riconoscere le loro reazioni emotive e a esternare i loro sentimenti; 114 Bessel A. van der Kolk, Alexander C. McFarlane, Lars Weisaeth, “Stress traumatico. Gli effetti sulla mente, sul corpo e sulla società delle esperienze intollerabili”, ediz. Ma.Gi srl, 2004, pag. 464. 93 5. fase dei sintomi: viene chiesto ai membri del gruppo di ricapitolare i loro sintomi di stress cognitivo, fisico, emotivo e comportamentale durante e dopo l’evento; 6. fase della formazione: chi conduce l’incontro spiega il perché delle reazioni avute e come superarle per non esserne schiacciati; 7. fase di relazione: conclude l’incontro e lo riassume assieme ai progetti eventualmente elaborati. Tali interventi devono essere fatti da personale esperto che sappia individuare bene le esigenze dei pazienti distinguendo per esempio tra vittima e soccorritore e valutando le differenze individuali. Inoltre, per quei soggetti che presentano reazioni traumatiche da stress più gravi e prolungate può rendersi necessario un intervento psicologico più specifico. Nella preparazione di una risposta psicosociale dovrebbero essere coinvolte molte strutture, inclusi servizi sanitari, servizi sociali, volontari, in modo da fornire un’ampia gamma di competenze ed esperienze. Alcuni requisiti fondamentali di un progetto di assistenza psicosociale in seguito ad un disastro riguardano il fatto che i servizi devono essere multidisciplinari e “plurirappresentati” e devono fornire assistenza a tutte le persone potenzialmente coinvolte nel disastro, ma soprattutto alle vittime dirette, ai parenti in lutto e ai soccorritori; i servizi devono rispondere prontamente; è importante la formazione di un nucleo operativo centrale composto da psicologici, psichiatri, volontari, servizi sociali che, siano in grado di identificare la necessità e attivare l’intera rete dei servizi. E’importante, quindi, un grande supporto sociale, termine che si riferisce ai complessi e dinamici processi interpersonali che aiutano a proteggere l’individuo dall’insorgenza di disturbi fisici e psichici. Nell’ambito della 94 letteratura sullo stress traumatico, parecchi autori115, hanno notato che i sopravvissuti hanno spesso un irresistibile bisogno di parlare della loro esperienza. Perciò è necessario avere a disposizione altre persone che hanno semplicemente voglia di ascoltare, di fornire un supporto di tipo emozionale e pratico, quando necessario. Naturalmente, accanto a tutto ciò, è necessario un forte supporto cognitivo; l’esperienza di aver vissuto eventi traumatici fa emergere nell’individuo un’informazione incompatibile con le sue precedenti concezioni. Se ben condotta, l’elaborazione emozionale fa si che la persona elabori la nuova importante informazione all’interno del proprio schema cognitivo. Il tipo di aiuto deve essere calibrato sui bisogni della persona, sul contesto e il particolare tipo di evento traumatico che ha generato la situazione di emergenza, ed anche in base ad una sequenza temporale per cui in genere le vittime hanno bisogni diversi a seconda del tempo intercorso dall’episodio traumatico. I professionisti della salute mentale che operano in questo settore devono poter disporre di una profonda preparazione, di una specifica comprensione della complessità del trauma psicologico, e di un atteggiamento verso i pazienti caratterizzato da umanità e compassione. 2. L’AqUILA: RISULTATI PRELIMINARI DELLO STUDIO PASSIcometes sulle conseguenze a medio termine della popolazione dopo il terremoto del 6 aprile 2009116 115 W. Yule, “Disturbo post-traumatico da stress. Aspetti clinici e terapia”, ediz. Italiana a cura di M. Biodi, ediz. McGraw-Hill Libri Italia srl, 2000, pag. 59. 116 Per un’analisi più dettagliata vedi “Passi-cometeS. Le conseguenze a medio termine del terremoto del 6 aprile 2009 sullo stato di salute della popolazione”, 2011. 95 Il sisma del 6 Aprile 2009 ha causato, inevitabilmente, un importante cambiamento del contesto umano, sociale e dell’economia del territorio del cosiddetto “cratere” aquilano. L’evento sismico che ha avuto luogo a L’Aquila ha cambiato radicalmente la vita di una popolazione che tutt’ora è ancora in piena trasformazione legata alla ricostruzione ed alla creazione di una nuova organizzazione sociale e umana. Dopo le prime emergenze che a volte sembrano segnare in modo esclusivo le catastrofi, ci sono i tempi del “dopo”: le conseguenze immediate del terremoto, rappresentate dalla perdita di vite umane o da lesioni dovute a traumi, dalla distruzione delle case e delle strutture che garantivano, fino al giorno prima lo scorrere della vita quotidiana, hanno pesato e pesano tuttora sulla ripresa della vita dell’uomo e della collettività. L’aver vissuto direttamente il dramma della catastrofe, avendo spesso perduto persone care e conoscenti, la propria abitazione e dovendo scontare l’incertezza sui tempi necessari per rientrare nella propria casa o il disperare di riavere la propria casa, l’aver perso in certi casi anche il lavoro, tutto questo ha messo e mette alla prova i singoli cittadini e la comunità aquilana. A lungo termine, il peso di malattie mentali e fisiche che conseguono a tali disastri diventa sostanziale: disturbi da stress posttraumatico, depressione e ansia sono le conseguenze psicopatologiche più comuni; ma anche si osserva un incremento della patologia organica, come sintomi medici aspecifici, malattie cardiovascolari e respiratorie, maggior consumo di sostanze di abuso. Tra giugno e novembre 2010, la Regione Abruzzo con tutte le sue Asl, l’Università degli Studi dell’Aquila, con il sostegno del Ministero della 96 Salute e del Centro Nazionale di Epidemiologia, Sorveglianza e Promozione della Salute dell’Istituto Superiore di Sanità, ha promosso un programma di monitoraggio – Passi-CometeS – per conoscere le conseguenze del terremoto sulla salute della popolazione, sulle sue abitudini e suoi stili di vita, a un anno di distanza dal sisma, per ascoltare gli aquilani e rispondere ai loro bisogni di salute. Attraverso un’intervista di 15 minuti circa effettuata dalla Asl, che ha coinvolto nell’iniziativa mille cittadini nella fascia di età 18-69 anni, ha svolto uno studio trasversale per rilevare nella popolazione residente nell’area del sisma informazioni epidemiologiche riguardanti soprattutto i seguenti aspetti della salute: - sintomi di depressione e ansia compromessi dall’esperienza del sisma; - consumo di farmaci ed eccesso di visite mediche; - stato di salute percepito; - caduta di attenzione alla prevenzione individuale: screening, controllo della pressione arteriosa e del colesterolo; - comportamenti a rischio: fumo, abitudini alimentari, sedentarietà, alcol. CONSEGUENZE IMMEDIATE DOPO IL TERREMOTO La maggior parte degli intervistati ha vissuto direttamente il momento del terremoto, il 5% è rimasto direttamente ferito ed il 48% circa ha dichiarato di aver perso un parente o una persona cara. Al momento della rilevazione (Giugno-Novembre 2010), quasi un intervistato su 2 non era ancora rientrato nella propria abitazione, alle prese quindi con le 97 problematiche inerenti l’abitazione, classificata con gravi danni o nella cosiddetta zona rossa. La perdita del lavoro rappresenta un evento stressante che si aggiunge ai diversi problemi causati dal sisma. Le donne sono state più colpite degli uomini per tali aspetti. Infatti la percentuale di donne che hanno dichiarato di aver subito gravi perdite economiche è risultata più elevata. COSA E’ CAMBIATO UN ANNO DOPO Sintomi di depressione: prevalenza del 15,7% di sintomi di umore depresso e anedonia (perdita di interesse o piacere per tutte o quasi tutte le attività), frequenti nel Disturbo Depressivo Maggiore. Le persone più colpite sono quelle di sesso femminile, con bassa scolarità, senza un lavoro regolare e con molte difficoltà economiche. Attività fisica: risulta completamente sedentario il 39% del campione mentre nel periodo pre-sisma la stima indicava una percentuale del 19%. Il controllo della pressione arteriosa e del colesterolo: è aumentata la percentuale delle persone che dichiarano di aver controllato la pressione arteriosa dopo il terremoto; 18% rispetto al 10% prima del terremoto; Screening: il ricorso allo screening risulta su livelli precedenti o migliori; Disturbo da stress post-traumatico: prevalenza del 4,1% del disturbo; dieci volte maggiore di quella rilevata dallo studio ESEMeD (European Study on the Epidemiology of Mental Disorder). Le persone più colpite risultano essere quelle con molte difficoltà economiche e quelle affette da 98 una malattia cronica. E’ risultato, inoltre, una comorbilità del disturbo da stress post-traumatico con episodio depressivo maggiore e di un altro episodio depressivo. Conseguenze a medio termine sullo stato di salute della popolazione aquilana 18% 15,70% Sintomi di depressione 4,10% Disurbo da stress posttraumatico Attività fisica 39% Controllo della pressione arteriosa e del clesterolo COSA POTREBBE ESSERE CAMBIATO UN ANNO DOPO Abitudine al fumo: dopo il terremoto è stato osservato un aumento dei fumatori, assieme ad una media più elevata di sigarette fumate al giorno. Tuttavia, queste differenze non sono tanto grandi da permettere di escludere che possano essere legate alla variabilità campionaria. Invece, la differenza della frequenza di ex fumatori rilevata nel campione intervistato dopo il sisma è statisticamente significativa e difficilmente imputabile alla variabilità campionaria. Lo studio sembra evidenziare una ripresa dell’abitudine del fumo di sigaretta dichiarato dal 34% degli intervistati; Qualità della vita espressa come media dei giorni non in salute: non è possibile affermare con certezza che la misura della qualità della vita, in 99 relazione dello stato di salute, è peggiore tra i residenti nell’area del cratere, intervistati dopo il sisma, anche se si osservano indicatori sistematicamente più elevati nell’area della salute mentale. Nella risposta alla situazione stressante del sisma è stato rilevato, quindi, che la frequenza di sintomi depressivi è diventata più alta rispetto alla situazione pre-sisma e che episodi depressivi maggiori e disturbo da stress post-traumatico sono più frequenti rispetto alla popolazione italiana. È aumentata la sedentarietà, fattore di rischio per diabete, malattie cardiovascolari e altre condizioni croniche inclusa la disabilità. 2. IL PROGETTO “SI PUÒ fARE”: DAI “bISOGNI ALL’AZIONE” Solidarietà Famiglia è un associazione Onlus, nata nel 1988, a servizio dei giovani e delle famiglie che opera nel comune dell’Aquila. Dal 2009, dopo il sisma che ha colpito la città, l’associazione non si è fermata ma ha dimostrato che anche in condizioni difficili qualcosa si può fare…e da qui nasce il progetto “Si può fare” (Progetto finanziato dal Fondo dell’Osservatorio Nazionale per il Volontariato – Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, ex legge 266/1991; responsabile dell’associazione e del progetto Ing. Giorgio Santini). Obiettivo dell’intervento è stato quello di promuovere una nuova forma di mediazione sociale: attiva, propositiva, responsabile, all’interno dei quartieri in ricostruzione dell’Aquila e in quelli nati ex novo dopo il terremoto del 6 aprile 2009. L’assetto sociale infatti è profondamente cambiato dal 2009 ad oggi: ci sono 20 piccole new town e una miriade di villaggi costituiti dai cosiddetti MAP (Moduli 100 Abitativi Provvisori) disseminati nella frazioni della città e in tutti i 57 comuni del cratere. Sono nate, insomma, tante piccole comunità, senza più i punti di riferimento della loro vita precedente, le amicizie, i rapporti di vicinato, i servizi; tante famiglie sono state catapultate nelle nuove abitazioni, in grandi quartieri inseriti a loro volta in un contesto urbanistico differente, e il rischio è di cadere trappola della incomunicabilità. Solidarietà Famiglia si è impegnata, e si impegna, a restaurare un clima di fiducia e vicinanza grazie a due sportelli di prossimità, "Punto…si può fare", (tra cui uno a Bazzano e uno nella zona del Torrione) dove operatori e volontari si danno da fare per aiutare, ascoltare, informare e orientare le persone con le più differenti necessità. Gli strumenti del progetto sono quelli della “mediazione sociale attiva” e dell’ “empowerment”: si intende promuovere e rafforzare la partecipazione attiva e responsabile dei singoli e delle famiglie, consolidando i legami sociali per contrastare la nascita o risolvere le forme di disagio e di esclusione sociale. La formazione di base per gli operatori (Maria Pia Chirizzi; Consuelo Del Grande; Maria Laura Saturni) è stata effettuata con un corso dal titolo “Operatore di Prossimità”, guidato dalla Psicologa Cinzia Raparelli e l’Assistente Sociale Stefania Tempesta. Sono stati promossi Gruppi di Auto-Mutuo-Aiuto; attività di informazione, accoglienza, accompagnamento al soddisfacimento dei bisogni con interazione con le altre realtà sociali esistenti; percorsi di mediazione scolastica; animazione territoriale e incontri con i cittadini. L’idea del progetto si è basata sulla volontà di contrastare le nuove varie forme di disagio, arginando i rischi di esclusione sociale che possano 101 manifestarsi a seguito di quanto accaduto e dei nuovi assetti socioabitativi-urbanistici. In sintesi il progetto SI PUÒ FARE ha effettuato in modo continuativo queste principali tipi di attività: 1) mappatura dei conflitti e rilevamento; 2) accoglienza ed ascolto per favorire la reciproca conoscenza tra condomini/vicini e l'instaurarsi di rapporti di buon vicinato 3) visite all’interno delle abitazioni al fine di favorire l'acquisizione di comportamenti corretti nell'uso della casa e degli spazi comuni; 4) promozione percorsi di autogestione dei conflitti di quartiere e di vicinato 5) promozione percorsi di formazione affinché gli stessi cittadini possano attivarsi per diventare protagonisti di interventi di mediazione 6) collaborazione con le scuole. Nella prima parte del progetto si è partiti dal mettere a confronto la rilevazione di bisogni (in modalità di ricerca intervento - modello Chunningam - basata sull’ascolto di personaggi chiave e rappresentativi delle comunità attraverso interviste singole e focus group), su base del questionario effettuato sulla popolazione abruzzese nel post sisma Report bisogno sociali Abruzzo e, la predisposizione di questionari di rilevazione dei bisogni somministrati, dopo adeguata formazione, dai volontari e operatori di prossimità dell’Associazione ad un campione randomizzato residenti nelle aree del Torrione e di Bazzano C.A.S.E.. 102 È stato pertanto effettuato un confronto tra la situazione presente nelle zone individuate nel progetto ovvero, zona Torrione e progetto C.A.S.E. di Bazzano e i risultati ottenuti nel precedente report Regionale. Il campione individuato nelle due aree è composto da un numero di 44 soggetti di cui il 66% femmine e il 34% maschi. E’ stato rilevato anche lo stato civile ed il titolo di studio: il 53% coniugato, il 40% celibe, nubile, il 5% vedovo/a e il 2% separato/divorziato; per quanto riguarda il titolo di studio troviamo il 47% con diploma di scuola superiore, il 29% con laurea, il 17% con licenza di scuola media e il 7% con licenza elementare (fonte dati del progetto Si può fare, dott. Cinzia Raparelli – dot. Stefania Tempesta). Il questionario che nel report è stato effettuato in autocompilazione su di un campione di 139 Organizzazioni di Volontariato, segnalate dai Centri di servizio territoriale dell’Aquila, di Teramo e Pescara associazioni di volontariato, (nel nostro caso il questionario è stato compilato alla presenza e con un supporto dei volontari, con il duplice scopo di rilevazione dei bisogni e fare da ponte per eventuali richieste e servizi necessari e quindi promozione delle attività previste nel progetto “si può fare”). Ovviamente solo parte delle domande sono state inserite nel nostro questionario con l’obiettivo di valutare le condizioni psicologiche e sociali e i rapporti interpersonali sia familiari che amicali delle persone presenti nelle aree del Torrione e di Bazzano C.A.S.E. Di seguito riporterò solo alcuni dei dati evidenziati, (elaborazione dati Dott. Cinzia Raparelli; per maggiori approfondimenti consultare progetto “Si può fare”, Associazione Solidarietà Famiglia Onlus, L’Aquila, 2011) confrontati in percentuale tra le aree coinvolte nel progetto “Si può Fare” 103 (rappresentate dalle barre azzurre) e quelle coinvolte nel Report bisogni Sociali Abbruzzo della Commissione progettazione Sociale Straordinaria emergenza Abruzzo (riportate barre rosse). In questo grafico è possibile notare come la popolazione attualmente residente nelle zone del Torrione e di Bazzano C.A.S.E. (rappresentate in blu) vivano in percentuale maggiore la condizione di isolamento rispetto alla rilevazione avvenuta sull’intero territorio (in rosso). Isolamento vissuto sia a livello materiale, soprattutto a Bazzano per la mancanza di servizi e difficoltà di spostamento, nonché la vicinanza con persone che non si conoscono e non si intende conoscere; nella zona del Torrione, invece si ha una situazione diversa, dove, a seguito del sisma, numerose sono state le attività commerciali che si sono spostate nella zona, a fronte di edifici e palazzine ancora inagibili e pertanto vuote e prive di vitalità. 104 Oltre il 90% in entrambe i rilevamenti percepisce la presenza di luoghi di aggregazione sul territorio come poca o molto poca. Nelle aree in questione inoltre, nonostante la presenza effettiva di alcuni punti di aggregazione, “tendamica” per Bazzano e parrocchia con tutte le attività cui ha fatto fulcro a seguito del sisma nella zona del Torrione, la popolazione sembra non riconoscerne la presenza e questo ci pone, come previsto dal progetto, nella necessità della promozione di una “partecipazione attiva”. 105 Si ha la percezione di un ambiente che non è più quello in cui si abitava e si viveva prima del sisma; o vivere nella propria casa in gran parte dei casi vuol dire vivere in una zona attualmente “disabitata” tra cantieri e case distrutte. L’ascolto da parte delle istituzione sembra essere carente in un contesto. A questo si tende a far fronte anche attraverso i nostri “punto… si può fare” nell’attività di mediazione tra i bisogni del cittadino e le istituzioni. 106 Alla domanda “Ritiene che la coesione sociale sia un problema prioritario?” la maggior parte della popolazione lo individua come molto o abbastanza prioritario. Alla domanda se si ritiene che si stiano sviluppando forme di dipendenza (alcol-droga ecc.) tra i giovani colpiti dal sisma, circa la metà degli intervistati si colloca sul molto e abbastanza: è importante non solo intervenire sul disagio quanto prevenirlo attraverso attività formative e ricreative. 107 Possiamo notare come la popolazione sia divisa tra incertezze, poca speranza ma vi è anche buona parte degli intervistati che non smette di credere che qualcosa..si può ancora fare e si deve fare. Gli obiettivi di questo progetto sono stati, nella sua seconda fase di evoluzione, quelli di: promuovere atteggiamenti positivi; stimolare la fiducia e la speranza; ricostruire i rapporti interpersonali in specie nelle aree di nuova urbanizzazione; facilitare i rapporti dei cittadini con le istituzioni; svolgere una efficace azione di mediazione sociale. Resilienza, deriva dal latino resalio, iterativo di salio, che significa saltare, danzare. Rappresenta in fisica la capacità di un corpo di resistere agli urti. In ecologia e biologia, la resilienza è la capacità di autoripararsi dopo un danno. Ogni persona ha le proprie risorse di resistenza allo stress, (resilienza), che possono essere raggruppate come caratteristiche di personalità. Altresì, oltre alle caratteristiche personali, una situazione può 108 essere in grado di neutralizzare gli effetti di un’altra. In questo caso parleremo di effetto buffer (tampone), mutuando la definizione dalla chimica : un tampone è una soluzione che aggiunta ad un’altra a Ph acido o basico, è in grado di riportare il ph intorno a livelli neutri (ph 7). Si può dire quindi che la soluzione originaria è stata neutralizzata, perdendo quindi qualunque capacità corrosiva. Il sostegno sociale può avere effetti di buffer: “la comunità è essere insieme essere vicini” (Casacchia, 2011). Resilienza non significa negazione o diniego dell’evento traumatico ma rappresenta la capacità di affrontare gli eventi (coping) evitando reazioni abnormi e disfunzionali per l’individuo. Altresì, rappresenta la capacità dell’individuo di riappropriarsi delle proprie reti sociali dopo aver vissuto un’esperienza traumatica. Se l'iniziativa progettuale dell’Associazione Solidarietà Famiglia potrà avere un seguito, si potrà favorire il recupero o lo sviluppo di un senso di appartenenza ai territori, stimolando la consapevolezza che è possibile “fare insieme” e migliorare le condizioni sociali e urbanistiche della comunità aquilana. 109 CONCLUSIONI L’esperienza del trauma presenta aspetti che non è possibile riprodurre mediante modelli medici e scientifici, che toccano nel profondo ciò che significa essere umani: come una persona vede se stessa e le proprie relazioni con gli altri esseri umani. Il trauma può comportare un gran numero di conseguenza: può produrre disperazione, abbandono di ogni speranza oppure essere sublimato in atti superiori di trasformazione artistica e di azione sociale. Le tragedie e l’esposizione al trauma si manifestano nella vita quotidiana, in ogni angolo del pianeta, con una frequenza maggiore di quanto spesso si suppone: uragani, terremoti, cicloni…aumentano sempre di più nel corso della nostra esistenza. Per la maggior parte delle persone, i sintomi psichiatrici post-traumatici sono passeggeri, tuttavia in alcuni gli effetti della tragedia permangono a lungo dopo che l’evento traumatico si è compiuto, e le nuove esperienze ricordano loro di continuo l’evento traumatico del passato. Grazie all’incremento delle conoscenze sui predittori dell’esito di un evento traumatico, è oggi possibile prendere in considerazione strategie di prevenzione per lo stress-post traumatico conseguente ad un evento disastroso e traumatico. Ed è su questo che bisogna lavorare: la prevenzione ha l’obiettivo di ridurre in maniera sostanziale sia la sofferenza umana che il costo umano del trauma e della tragedia. La prevenzione può essere primaria (preparazione prima dell’evento), 110 secondaria (identificazione e trattamento precoci per limitare l’invalidità) oppure terziaria (riabilitazione per impedire l’invalidità sociale cronica). Fortunatamente l’essere umano possiede la facoltà di ricreare il proprio mondo dopo una catastrofe o comunque un’esperienza dolorosa: l’uomo è creatore del proprio mondo, o almeno lo può diventare per riuscire, così, a superare gradualmente l’isolamento interiore e anche quello esterno. Naturalmente un ruolo importante in tutto ciò è quello di una adeguata consulenza da parte degli specialisti. Il grande concetto è quello di dare senso alle cose: dire sì, è successo, ma ce la posso fare e la mia vita comunque ha un senso lo stesso. Tutto deve andare avanti, magari con un’ombra interna di malessere, però sicuramente il concetto è quello della speranza e quindi quello di andare avanti tutti insieme. Come ha detto l’antropologo aquilano Antonello Ciccozzi “passato il tempo del cordoglio…il terremoto ha procurato circa 10mila vivi”…ed è su questo che bisogna puntare per andare avanti. 111 RINGRAZIAMENTI Il mio primo ringraziamento va a me stessa perché per la terza volta ho raggiunto questo traguardo nonostante le “difficili esperienze” che ho vissuto e affrontato e, al mio compagno che ha “sopportato” la mia lunaticità. Un grazie alla Prof. Elisabetta Tozzi per avermi seguito nel percorso del mio elaborato. Un grazie di tutto cuore all’Ing. Giorgio Santini, all’Ing. Ernesto Perinetti, alla Dott. Psicologa Cinzia Raparelli, alla Dott.-Assistente Sociale Stefania Tempesta che mi hanno dato la possibilità di far parte del progetto “Si può fare”, facendomi entrare in contatto con realtà molto forti del territorio aquilano, e alle mie colleghe (Consuelo Del Grande, Maria Laura Saturni, Gabriella Boianelli, Valeria Palumbo). Poter vivere questa esperienza mi ha arricchita tantissimo sia emotivamente ma anche professionalmente perché ho avuto accanto delle “guide” che mi hanno avvicinata alle diverse problematiche che potrò incontrare nel mio futuro lavorativo e che ci hanno sostenute, a noi tutte, nel nostro percorso con supporto e grandi consigli…grazie a voi tutti. E un grazie ai miei amati genitori che non smettono mai di credere in me. 112 BIBLIOGRAFIA - Bessel A. van der Kolk, Alexander C. McFarlane, Lars Weisaeth, “Stress traumatico. Gli effetti sulla mente, sul corpo e sulla società delle esp erienze intollerabili”; ediz Magi, 2004. -Belloni L, Castrogiovanni P., Mantero M., Muscettola G., “Il Disturbo Post-Traumatico da stress”, Pacini Editore S.p.A. - Pisa, 2002. -Bromberg P. M., “Clinica del trauma e della dissociazione. Standing in the Spaces”, Raffello Cortina Editore – Milano, 2007. -Cagnoni F., Milanese R., “Cambiare il passato. 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