Se a soffrire è un
innocente
Scritto da Giacomo SAMEK LODOVICI
È possibile conciliare l’esistenza, la bontà e l’onnipotenza di dio con la presenza del male? la filosofia
risponde giustamente di sì. ma la risposta più consolante è quella cristiana.
Di fronte alle malattie, alle stragi del terrorismo, alle catastrofi naturali o alle guerre, di fronte, in particolare,
alla sofferenza di chi è innocente, emerge prepotentemente il problema del male, che inquieta
drammaticamente da sempre la coscienza umana, sollevando angosciose domande, a cui da sempre tentano
di rispondere il senso comune, le opere filosofiche, poetiche, letterarie, sapienziali, religiose.
D’altra parte, tale problema chiama in causa, per esibirgli un atto di accusa, nientemeno che Dio: se c’è Dio,
come è possibile il male? Dov’era Dio ad Auschwitz? Ognuno può riformulare queste domande adattandole
ai suoi personali patimenti o a quelli a cui ha assistito.
Infatti, si dice, se Dio esiste: o il male sfugge alla sua potestà, dunque Dio non è onnipotente e perciò non è
veramente Dio, perciò, per S. Tommaso, il male è l’obiezione più consistente alla stessa esistenza di Dio;
oppure Dio è l’autore del male, dunque Dio è malvagio; oppure si disinteressa dell’uomo. Insomma, il male
sembra porre tre alternative inquietanti: o Dio è un osservatore impotente delle vicende umane, o è un sadico
e crudele aguzzino cosmico o è indifferente.
Ora, ciò che costituisce problema non è tanto la sofferenza del malvagio, che in molte culture viene
considerata una punizione divina. Piuttosto, il problema è rappresentato dalla sofferenza degli innocenti, dei
bambini, dei buoni, ecc.
Qui non è possibile ovviamente fornire per intero una risposta al problema del male, bensì solo accennare,
dapprima, alla soluzione del problema della sofferenza dell’innocente che può dare la filosofia, e, poi,
tratteggiare l’incremento di comprensione che il cristianesimo, ed esso solo, può dare al riguardo.
La risposta filosofica
I. Dal punto di vista dell’essere (che i filosofi chiamano il pun-to di vista ontologico) esaminiamo alcuni tipi
di male.
Per es. la malattia è privazione-assenza di salute, la morte è privazione-assenza di vita, la sofferenza è
privazione-assenza della serenità dell’animo. Così, alla domanda «che cos’è il male?», già Agostino e
Dionigi l’Areopagita (sulla scorta di Plotino) rispondevano che il male è assenza di un bene, privazione; può
sembrare paradossale, ma ciò significa che il male non è una cosa, non è un essere, cioè non esiste: il male
non è il processo di privazione di un bene, bensì il risultato della privazione, dunque il male è qualcosa che
non è.
Dal punto di vista fisico (che è un sottoinsieme del punto di vista ontologico), il male è la privazione-assenza
di una caratteristica-bene fisico che appartiene per natura ad una cosa. Così, la cecità è un male fisico per un
uomo, ma non per una pietra, visto che la vista è una caratteristica della natura di un uomo e non di una
pietra.
Ora, Dio è sì il creatore di tutto l’essere, ma, dato che il male non è un essere, il male non può venir
addebitato a Dio.
II. Dal punto di vista morale, il male invece esiste e consiste (lo diceva ancora Agostino) nella scelta
consapevole di un bene minore al posto di un bene maggiore (i soldi che rubo ad un altro sono una cosa
buona, ma meno buona del rispetto della sua persona e, perciò, della sua proprietà, che io ledo derubandolo).
In effetti, non si sceglie mai il male in quanto è male, ma in quanto in sé ha un qualche aspetto buono (anche
il piacere del sadico di per sé è un bene; però è un bene minore rispetto all’integrità della sua vittima).
Se questo è vero, allora neanche il male morale può essere addebitato a Dio (che dunque non può essere
considerato malvagio): il male morale sta nella scelta dell’uomo, dunque l’autore del male morale è l’uomo,
non Dio; cioè è l’uomo, e non Dio, che agisce moralmente male e infligge la sofferenza agli altri: i lager e i
gulag li hanno costruiti gli uomini, non Dio.
III. Inoltre noi abbiamo un punto di visto limitato e prospettico, mentre solo Dio ha il punto di vista totale,
ha uno sguardo assoluto. Se noi guardiamo un dipinto da un cm. di distanza possiamo dire che una zona
scura nel dipinto è brutta, ma, se ci allontaniamo dal dipinto, vediamo che essa è in realtà un’ombra, la quale
nell’intero del dipinto ha un suo significato e fa aumentare la bellezza complessiva del quadro. Così, se
avessimo il punto di vista di Dio, comprenderemmo che Dio, tollerando alcuni mali (cioè alcune privazioni
di bene o alcuni mali morali), prepara dei beni o evita dei mali maggiori: per es. una malattia fisica può
essere dolorosa al punto da costringerci a stare in ospedale, ma, se non fossimo stati in ospedale, magari per
strada saremmo stati investiti. O, per fare un altro esempio, molto spesso la sofferenza (nostra o altrui) ci
ricorda o ci fa comprendere la nostra debolezza e non autosufficienza: ci fa comprendere di non essere degli
déi, e così ci sospinge nella braccia del vero Dio, indirizzandoci sul sentiero dell’unico bene che non delude,
ci conduce verso il Bene più grande possibile.
Purtroppo, molto spesso non siamo in grado di capire che i mali preparano dei beni o evitano altri mali, o
magari lo comprendiamo solamente a posteriori o solo in parte.
A volte i mali che ci capitano non propiziano un bene a noi, ma alle persone che amiamo, agli altri (per es. la
sofferenza di una moglie evita mali più grandi al marito), in forza del legame che sussiste tra gli esseri
umani.
In tal modo la sofferenza dell’innocente può essere: 1) un male che l’innocente subisce al posto di un male
peggiore (che avrebbe potuto essere persino la sua separazione da Dio); 2) una pena scontata al posto di altri.
Così, dice Tommaso (S. Th., I-II, q. 79, a. 4) «Tutti i mali che Dio […] permette, sono ordinati a un bene:
non sempre però al bene di colui che li subisce; ma talora sono ordinati al bene di altri, o di tutto l’universo».
IV. Detto questo però, resta da chiedersi: Dio non è l’autore del male morale, però certamente lo
permette e potrebbe evitarlo. Dunque, perché Dio lo tollera?
1) Perché (come abbiamo già visto) da esso ricava un bene maggiore o evita un male peggiore.
2) Se Dio impedisse il male morale, toglierebbe la sua fonte, che come abbiamo detto, è la libertà. Ora, Dio
potrebbe togliere la libertà all’uomo, ma così lo priverebbe di quella stupenda prerogativa che lo innalza al di
sopra degli altri esseri, che lo eleva al di sopra dell’universo.
3) Se l’uomo non potesse compiere il male non sarebbe libero e se non fosse libero non potrebbe nemmeno
compiere il bene: se io non fossi libero non potrei scegliere di odiare, ma nemmeno di amare.
4) Come spiega Kierkegaard, Dio si rivolge all’uomo come un innamorato che offre il suo amore a colei che
ama, chiedendo all’uomo di corrispondere alla sua proposta d’amore: «È incomprensibile, è il miracolo
dell’amore infinito, che Iddio» all’uomo «possa dire quasi come un pretendente [...]: Mi vuoi tu, sì o no?».
Proprio per questo lo lascia libero, cioè l’uomo è libero perché Dio gli propone di partecipare alla comunione
amorosa con Sé e «il Dio dell’amore non vuole in alcun modo costringerti. Come potrebbe l’amore pensare
di costringere ad amare?». Se l’uomo non fosse libero non potrebbe conseguire la felicità, che è la
comunione amorosa con Dio.
V. Appurato che il male non è una contestazione dell’onnipotenza e della bontà di Dio, possiamo anche
escludere che Dio (è l’errore del deismo) si disinteressi dell’uomo. Infatti Dio, per definizione, è: 1)
sommamente perfetto, dunque creando l’uomo non guadagna nulla; 2) assolutamente libero, dunque crea
l’uomo senza la minima costrizione. Ma se Dio crea liberamente l’uomo e se l’uomo non Gli aggiunge nulla,
vuol dire che Dio crea per amore e si interessa premurosamente all’uomo. Fin qui la risposta filosofica al
problema della sofferenza dell’innocente. Una risposta razionalmente convincente, ma che forse ci aiuta
poco a sopportare la sofferenza.
La risposta cristiana
In effetti, solo il cristianesimo è in grado di fornire una risposta definitivamente consolante, che oltretutto ne
evidenzia la grandissima superiorità rispetto alle altre religioni, comprovando che le religioni non sono tutte
uguali.
I. Per il cristianesimo la sofferenza è stata introdotta nel mondo dall’uomo, non da Dio: è la pena di quella
colpa che si chiama peccato originale (cfr. l’articolo di G. Zenone in questo dossier).
II. Ma, soprattutto, la specificità cristiana si vede nel fatto che in tutte le religioni, fuorché nel cristianesimo,
Dio vive nella sua beatitudine indefettibile e nella sua felicità stabile e guarda alla sofferenza umana
dall’alto, come uno spettatore disinteressato, o impotente, o addirittura compiaciuto. Al contrario, solo nel
cristianesimo c’è un Dio che si fa uomo, assumendo la natura umana compresa la sofferenza, ma non il
peccato. Diversamente da quel che avviene nelle altre religioni, così, il Dio cristiano sperimenta la sofferenza
atroce e lancinante della crocifissione, culmine sia del dolore fisico sia della sofferenza psicologica (quella
che deriva dal tradimento e dalla sofferenza ad opera di coloro a cui ci si è dedicati, da parte di coloro che si
è amati).
Così, si svela il significato del grido di Cristo in croce: in quel momento Cristo sperimenta il massimo del
male, cioè la lontananza da Dio, che è l’esito del peccato, senza peraltro che egli abbia peccato: «colui che
non aveva conosciuto peccato, Dio lo trattò da peccatore in nostro favore» (2 Cor 5,21). Così, «nell’amore
redentore egli ci ha assunto nella nostra separazione da Dio a causa del peccato, al punto da poter dire a
nome nostro sulla croce: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”» (Catechismo, n. 602).
Così, il cristianesimo fornisce la definitiva risposta per scagionare Dio. Dio, infatti, è onnipotente ma non è
rimasto indenne al male e alla sofferenza, non guarda l’uomo distrattamente e indifferentemente o, peggio
ancora, compiacendosi dei suoi patimenti, bensì si è incarnato per somma generosità e infinito amore e ha
patito le più atroci sofferenze fino alla morte in croce.
Perciò, nei riguardi di questo Dio è impossibile imprecare o bestemmiare, addebitandogli il disinteresse o un
compiaciuto sadismo verso la sofferenza umana: questo Dio assume su di sé liberamente, senza costrizione
alcuna, la sofferenza, offre il dorso ai flagellatori, si sdraia sulla croce e offre se stesso come modello di
uomo sofferente e come compagno.
In tal modo, se nelle altre religioni la sofferenza dell’innocente resta in definitiva uno scandalo, nel
cristianesimo è piuttosto un mistero. Il suo senso ci sfugge per via del nostro punto di vista limitato e
prospettico, ma ci viene garantita la sua fecondità.
Infatti nel cristianesimo:
1) la nostra sofferenza ci fa partecipare alla redenzione operata da Cristo in nostro favore quando è morto
sulla croce;
2) essa può essere da noi offerta per il bene di coloro che amiamo;
3) in Cristo abbiamo un modello ed un compagno che ci insegna a rendere feconda la sofferenza.
Come dice Kierkegaard, in Cristo il massimo del patire è stato il massimo dell’agire.
SAGGEZZA CRISTIANA
«Com'è bello e terribile vivere! Ogni gioia è dolore e ogni dolore è gioia». [26 marzo 1953].
(Benedetta Bianchi Porro, Scritti completi, a cura di Andrea Vena, Fondazione Benedetta Bianchi Porro San Paolo, Milano 2006).
RICORDA
«Solo il Dio di Gesù, il Dio in cui crede il cristiano, non può esse-re coinvolto dalla bestemmia dell’uomo
per la marea di dolore che sale spesso a soffocarlo. […] la sofferenza ha un significato che ci sfugge (anche
se possiamo forse intravederlo) ma […] fa parte di un disegno divino alle cui regole Dio stesso si è
sottomesso. E ne ha sperimentato per primo il fuoco».
(Vittorio Messori - con Michele Brambilla, Qualche ragione per credere, pp. 186-187).
BIBLIOGRAFIA
Agostino, Confessioni, varie edizioni, VII, 4-5, 12-16.
Tommaso, Il male, Rusconi, 1999.
Juan José Sanguineti, La filosofia del cosmo in Tommaso d’Aquino, Ares, 1986, pp. 236-255.
Vittorio Messori (con Michele Brambilla), Qualche ragione per credere, Mondadori 1997, pp. 175-193.
Dossier: Dio e il problema del male
IL TIMONE – N. 57 - ANNO VIII - Novembre 2006 - pag. 36 - 38
Ultimo aggiornamento Sabato 03 Ottobre 2009 20:57