Presentazione di don Raffaele Maiolini

Introduzione al terzo incontro
Abbiamo ormai imparato, dai nostri primi due incontri, come la questione del dolore del corpo (ma
anche dell’anima) ponga e imponga la domanda per l’uomo: ma io, che ci sto a fare a questo
mondo? Come è possibile iscrivere la mia esistenza in una relazione che riesca a dare senso anche al
soffrire? E ci è anche altrettanto chiaro come la risposta a tale domanda che il dolore pone all’uomo
sia strettamente correlata con il modo di intendere la vita, con l’alfabeto della vita che ciascuno di
noi ha imparato e che si trova a parlare. È la pratica della vita che aiuta a fare i conti con la vita, non
la teoria sulla vita!
Così, dentro un orizzonte di senso non più aperto e apribile all’alfabeto della trascendenza e della
religione, Natoli prospettava una cordiale accoglienza della malattia e della finitudine dell’essere
umano come intrinseche alla natura umana: occorre imparare a “lasciar andare” – così si esprimeva
– il malato, consegnarlo alla morte, che può essere umanizzata solo attraverso la compassionevole
presenza di chi continua a dirti che “tu sei importante per me” e che è “ingiusto che tu muoia,
perché questo mondo ha bisogno ancora di te”.
Così, dentro un orizzonte di senso cristianamente connotato, Angelini affermava che il problema
non sta tanto nella sofferenza, ma nella possibilità di dare un senso alla sofferenza: biblicamente,
l’esperienza della malattia come prova, dice di un “collaudo” della speranza che regge la vita, di una
occasione (anche propizia) per approfondire e ridisegnare l’alleanza sulla quale si fonda l’esistenza
dell’uomo: l’essere malato, dunque, è un tempo che ripropone la qualità delle relazioni non solo
umane, ma che invita a cercare il modo di iscrivere anche la malattia in una storia di promessa e di
speranza… più grande anche della salute fisica dei tuoi organi.
Oggi continuiamo a provare a fare i conti con “alfabeti” di vita che rileggono il dolore alla luce di
orizzonti di senso altri, aperti al Trascendente, religiosamente connotati. E il nostro terzo incontro è
dedicato al modo con cui la prospettiva coranica prova a fare i conti con l’esperienza del dolore.
Potremmo trovare una possibile apertura al tema nell’imam siriano Al Nawawi (1233-1278): nel suo
famoso testo Il Giardino dei Devoti, una specie di summa della vita mussulmana ortodossa, ha un
significativo hadith che riguarda la famiglia del profeta Muhammad, che dice del modo con cui
rapportarsi nella sofferenza e nella malattia
La figlia del Profeta gli mandò a dire: “Mio figlio è in punto di morte: vieni ad assisterci”. Egli mandò
il suo augurio di pace, e a dire: “Appartiene a Dio ciò che Egli prende, ed è Suo ciò che Egli dona:
ogni cosa è annoverata presso di lui secondo un termine fisso: sii paziente e rimettiti alla ricompensa
di Dio”. E lei mandò a scongiurarlo che si recasse da lei; ed Egli si alzò per andare. Il bambino fu
sollevato fino all’Inviato di Dio, che se lo fece sedere in grembo; il suo animo trasalì, e gli si
inumidirono gli occhi. Sa’d gli chiese: “Inviato di Dio, che cosa c’è?” ed egli rispose: “Questa è
compassione, che Iddio ha posto nel cuore dei suoi servi”1
Chiaramente, cioè, è ribadita la centralità dell’abbandono in Dio, della fede, della sottomissione ad
Allah e alla Sua volontà, come l’atteggiamento fondamentale capace di riscrivere anche l’esperienza
del dolore; ma nello stesso tempo è indicata nella profonda compassione per il dolore dell’uomo una
qualità precipua del servitore di Dio che, come Lui, non può che essere compassionevole.
È questo il modo di vivere l’esperienza del dolore alla luce della grande tradizione religiosa istruita
dal Corano? Come e perché un grande abbandono in Dio può aiutare a vivere e interpretare
l’esperienza del dolore? che cosa significa, come si “sente”, percepisce… un credente mussulmano
nel tempo della malattia?
Per svolgere tali questioni, abbiamo chiesto di aiutarci alla prof.ssa Shahrzad Houshmand, teologa
sciita iraniana, docente di Studi Islamici presso l’Università di Roma III e la Pontificia Università
Gregoriana di Roma. La sua relazione si intitola La sofferenza nel cammino umano. La prospettiva
Coranica. E abbiamo chiesto questo intervento proprio a lei, in quanto interlocutrice di tutto
Al-Nawawi, Il giardino dei devoti. Detti e fatti del Profeta, traduzione italiana a cura di A. Sacrabel, Società Italiana Testi Islamici, Trieste
1990, I, n. 29° (p. 20).
1
riguardo, ormai da anni, non solo per la comprensione del mondo islamico, ma anche nel confronto
e dialogo con il mondo italiano e occidentale in genere.