Sede Amministrativa: Università degli Studi di Padova Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale “Gino Patrassi” SCUOLA DI DOTTORATO DI RICERCA IN SCIENZE MEDICHE CLINICHE E SPERIMENTALI. INDIRIZZO: EPATOLOGIA CLINICA CICLO XXIII Tesi di Dottorato TERMOABLAZIONE PERCUTANEA ECOGUIDATA DI LESIONI NEOPLASTICHE EPATICHE PRIMITIVE E SECONDARIE CON UN NUOVO DISPOSITIVO A MICROONDE: RISULTATI CLINICI PRELIMINARI. Direttore della Scuola: Ch.mo Prof. Gaetano Thiene Coordinatore d’indirizzo: Ch.mo Prof. Angelo Gatta Supervisore: Ch.mo Prof. Liliana Chemello Dottorando: Dott. Mauro Mazzucco Gennaio 2011 1 RIASSUNTO Termoablazione percutanea ecoguidata di lesioni neoplastiche epatiche primitive e secondarie con un nuovo dispositivo a microonde: risultati clinici preliminari. OBIETTIVI DELLO STUDIO Le tecniche di termoablazione percutanea sono diventate sempre più popolari ed utilizzate negli ultimi anni come opzione sicura ed efficace per il trattamento delle neoplasie primitive e secondarie del fegato non resecabili. L’ablazione con microonde (MWTA) è una nuova promettente metodica in grado di ottenere aree di necrosi più ampie e in tempi più rapidi rispetto all’ablazione con radiofrequenza (RFTA), superando le limitazioni tecniche di quest’ultima metodica. In questo lavoro vengono riportati i risultati preliminari della termoablazione con microonde dei tumori primitivi e secondari epatici ottenuti con una nuova antenna coassiale. MATERIALI E METODI Sono state trattate 83 lesioni epatiche non resecabili (53 HCC, 5 colangiocarcinomi intraepatici, 25 metastasi da tumori gastroenterici) in 64 pazienti (età media 68.9 anni, range 41-87, maschi 39). Il diametro medio delle lesioni era di 26.6 mm (range 8-73 mm); 33 lesioni avevano diametro > 30 mm. E’ stato usato un nuovo generatore da 2450 MHz e potenza massima di 70 Watt (AMICA GEN; Hospital Service) connesso ad un’antenna coassiale da 16 o 14 gauge dotata di un dispositivo miniaturizzato inserito nell’ago, detto minichoke, in grado di ridurre l’energia riflessa e di aumentare le dimensioni e la sfericità delle aree di necrosi. L’inserzione dell’ago-antenna avveniva sotto guida ecografica in analgosedazione. Una TC con m.d.c. è stata eseguita dopo 30 giorni dalla termo ablazione e quindi ogni 3 mesi per la valutazione dell’efficacia terapeutica. RISULTATI La necrosi completa, valutata con TAC con m.d.c., è stata ottenuta in 66 lesioni (89.2%) e necrosi parziale (>90% dell’area neoplastica) nel 5.4% dei casi dopo la prima procedura; necrosi parziale (>50%) si otteneva nel restante 5.4% dei casi. Dopo un secondo trattamento la percentuale di successo è risultata del 93.2% (69/74 lesioni controllate). Complicanze minori sono state: 3 versamenti pleurici reattivi risolti spontaneamente. In 1 paziente dopo inserzione intercostale difficoltosa dell’ago si è avuto un distacco parcellare della punta dell’ago. Complicanze maggiori: 2 casi di emoperitoneo di grado lieve risolti solo con terapia medica e 1 biloma che ha richiesto il drenaggio percutaneo. CONCLUSIONI Nella nostra esperienza il nuovo sistema a microonde per l’ablazione dei tumori primitivi e secondari del fegato si è dimostrato efficace e sicuro capace di creare aree di necrosi ampie. 2 ABSTRACT Percutaneous US guided thermoablation of primary and metastatic hepatic tumor lesions with a new microwaves device: preliminary clinical results BACKGROUND Thermal ablative techniques have gained increasing popularity in recent years as a safe and effective options for patients with unresectable solid malignancies. Microwaves ablation (MWTA) has emerged as a relatively new technique with the promise of larger and faster ablation area without some of limitations of radiofrequency thermal ablation (MWTA). Here we report our preliminary results on feasibility and effectiveness of thermal ablation of primary and metastatic tumor lesions with a new coaxial antenna for microwave. MATERIALS AND METHODS We treated 83 hepatic unresectable lesions (53 HCC, 5 intrahepatic cholangiocarcinoma, 25 metastases from gastroenteric cancer) in 64 patients (mean age 69.8 years; range 41-87 years; 39 males). Mean diameter of the lesions was 26.6 mm (range 8-73 mm, sd 13 mm); thirty-three lesions had diameter greater than 30 mm. We used a microwave generator (AMICA-GEN; Hospital Service) connected to a 14 or 16 gauge coaxial antenna working at 2450 MHz and endowed with a miniaturized sleeve choke in order to reduce back heating effects and increase the sfericity of the area of necrosis. The needle was placed into target lesions under US guidance. The interventional procedure was carried out in general anesthesia without intubation. Contrast enhanced CT was carried out 30 days after thermal ablation, and then every three months to assess therapeutic efficacy. RESULTS Complete necrosis as assessed at contrast enhanced CT scan was achieved in 66 lesions (89.2%) and partial necrosis (>90% of neoplastic area) in 5.4% of cases after a single session; partial necrosis (>50%) in 5.4% of lesions. After a second session success rate was 93.2% (69/74 controlled lesions). A self-limited pleural effusion occurred in three patients while one patient required repeated thoracentesis for relapsing effusions. In one patient the needle tip has broken during a difficult insertion through the intercostals space without any complications. In two patients the procedure was complicated by the occurrence of self-limited haemoperitoneum while in one patient a biloma required percutaneous drainage . During the follow-up (median 6 months) no deaths, or other complications occurred. CONCLUSIONS: In our experience the new tested device for microwaves ablation of primary and metastatic tumor lesions has proven to be an effective and safe percutaneous ablative method capable of producing large area of necrosis. 3 CAPITOLO 1 NEOPLASIE MALIGNE DEL FEGATO 1.1 Epidemiologia ed eziologia Il fegato rappresenta una sede molto frequente di neoplasie, sia primitive che secondarie. I tumori primitivi sono rappresentati prevalentemente dall’epatocarcinoma, neoplasia maligna che origina dagli epatociti. Esso tende a colpire il sesso maschile quattro volte più frequentemente rispetto al sesso femminile e si colloca al quinto posto per incidenza e al quarto per mortalità tra tutti i tumori maligni, con un picco nelle regioni dell’Asia e dell’Africa sub-sahariana, dove raggiunge un’incidenza di 500 casi/100.000 abitanti/anno; risulta invece essere molto meno frequente nei paesi occidentali, dove l’incidenza, seppur in aumento negli ultimi decenni, è intorno ai 2,4 nuovi casi/100.000/anno.¹ Le ragioni di tale discrepanza vanno ricercate nella patogenesi dell’epatocarcinoma: oltre l’85% dei casi si verifica infatti nei Paesi con alti tassi di infezione cronica da virus dell’epatite B, principale agente eziologico di tale neoplasia. In queste aree, lo stato di portatore di HBV inizia nel periodo infantile con la trasmissione verticale del virus da parte di madri infette, fatto che conferisce nell’età adulta un rischio di HCC aumentato di 200 volte. Nei paesi occidentali dove l’HBV non è prevalente, l’HCC si sviluppa in oltre il 90% dei casi su un fegato cirrotico, di solito nel contesto di altre malattie epatiche croniche, in particolare in pazienti affetti da infezione cronica da HCV. Sulla base della frequenza conosciuta di cirrosi HCV correlata nelle popolazioni del mondo occidentale, si prevede che l’incidenza di nuovi casi di HCC aumenterà di oltre 250 volte nella prossima decade. 4 Come accennato in precedenza, complessivamente la causa principale dell’epatocarcinoma è rappresentata dall’infezione da parte di HBV; tale virus possiede potere oncogeno diretto, è infatti in grado di integrare il proprio genoma nel Dna dell’ospite, inducendo modificazioni nell’espressione di geni che, con il passare degli anni, possono portare a proliferazione cellulare aberrante. Il genoma di HBV, infatti, codifica per un elemento regolatore, la proteina X, che funge da attivatore della trascrizione di molti geni; si suppone che nella cellula epatica infettata dal virus, tale proteina possa alterare i normali meccanismi di controllo della crescita cellulare attivando proto-oncogeni della cellula ospite e sopprimendo il controllo del ciclo cellulare.² Meno chiaro è invece il meccanismo attraverso cui è implicato nella cancerogenesi l’altro virus epatitico, HCV. Presumibilmente esso agisce indirettamente, inducendo un’infiammazione cronica con conseguenti cicli di morte cellulare e rigenerazione che predisporrebbero all’insorgenza e accumulo di mutazioni potenzialmente maligne. In generale, qualsiasi agente o fattore che causi un danno epatocellulare cronico di entità ridotta e stimoli la mitosi rende il Dna degli epatociti più suscettibile ad alterazioni genetiche; pertanto, ogni tipo di epatopatia cronica rappresenta un fattore di rischio e predispone all’insorgenza dell’HCC. Qualunque ne sia la causa, la cirrosi, condizione caratterizzata da fibrosi e noduli rigenerativi con completo sovvertimento strutturale del parenchima epatico, è da considerarsi il principale substrato istopatologico dell’HCC; è stato calcolato che il rischio che si sviluppi un carcinoma epatocellulare in un paziente cirrotico è circa del 3 % su base annuale. Oltre che ai virus epatitici, che rendono conto della stragrande maggioranza dei casi di epatocarcinoma, la cirrosi e, conseguentemente l’HCC, possono associarsi a numerose altre condizioni, quali l’emocromatosi, il deficit di α1antitripsina, la malattia di Wilson, la tirosinemia, la cirrosi biliare primitiva e , 5 soprattutto, l’abuso di alcool; altri possibili fattori eziologici sono rappresentati dalle epatiti autoimmuni e le condizioni di insulino-resistenza, come il diabete mellito, la steatoepatite non alcolica (NASH) e la patologia del fegato grasso non alcolico (NAFLD). Altra associazione eziologica importante è stata individuata con alcuni contaminanti alimentari, in particolare l’aflatossina β, che si ritrova nelle granaglie e nelle arachidi “ammuffite”, soprattutto in alcune regioni dell’Africa e nella Cina meridionale; questa micotossina sarebbe in grado di indurre una specifica mutazione G-T nel codone 249 del gene oncosoppressore p53. Curiosamente, invece, il consumo di caffè sembrerebbe in grado di ridurre il rischio di HCC.³ A B C Fig 1: fasi di sviluppo dell’HCC: A-fegato sano www.tumorifegato.it) B-cirrosi C-HCC (immagine modificata da 6 Esiste poi una variante particolare di carcinoma epatocellulare, definito fibrolamellare. Esso tende a comparire in giovani adulti, mediamente tra i 20 e i 40 anni d’età, con la medesima frequenza nei due sessi, non associato ad HBV o cirrosi; i fattori eziologici implicati nella genesi di tale variante non sono ancora stati chiaramente identificati. Dopo l’HCC, il tumore primitivo epatico più frequente è rappresentato dal colangiocarcinoma, neoplasia che origina dall’epitelio delle vie biliari intra- o, più comunemente, extra-epatiche. Anch’esso colpisce più frequentemente il sesso maschile (60% dei casi) e mostra un’incidenza massima tra il quinto e il settimo decennio di vita; da alcuni studi emerge che l’incidenza e la mortalità delle forme intra-epatiche sono in crescita in tutto il mondo 4-5-6 , mentre quelle dei tumori extraepatici risultano in lieve diminuzione6. Sono stati individuati diversi fattori di rischio per tale neoplasia, come le malformazioni congenite dell’albero biliare, la colangite sclerosante, la colelitiasi, alcune infezioni parassitarie, in particolare da parte di Clonorchis sinensis, la papillomatosi biliare, l’esposizione professionale ad agenti cancerogeni (come nel caso di lavoratori della gomma e addetti agli impianti di produzione delle automobili) e, infine, fattori genetici. Un’infezione cronica delle vie biliari è il denominatore comune di tali condizioni: pare che questo background infiammatorio agisca nel promuovere la carcinogenesi in associazione con alcuni costituenti della bile, in grado di attivare una molecola anti-apoptotica, definita proteina1 della leucemia mieloide.7 Gli aspetti istomorfologici della cancerogenesi biliare sembrerebbero indicare che la sequenza metaplasia-displasia-carcinoma, ben nota nello sviluppo del tumore del colon-retto, potrebbe essere valida anche per il colangiocarcinoma.8 7 Come detto in precedenza, l’HCC risulta particolarmente diffuso in Asia e nelle regioni dell’Africa sub sahariana, mentre è piuttosto raro nelle aree occidentali, dove la maggior parte delle neoplasie epatiche sono invece di tipo secondario, con un’incidenza oltre venti volte superiore rispetto all’epatocarcinoma primitivo. Il fegato rappresenta la più frequente sede di metastatizzazione per via ematica grazie alla combinazione di diversi fattori, quali le sue dimensioni, il suo elevato tasso di perfusione, la doppia vascolarizzazione fornita sia dalla vena porta che dall’arteria epatica, e la presenza di fattori tissutali locali e particolari caratteristiche delle membrane endoteliali che sono in grado di favorire l’impianto metastatico. Potenzialmente anche se le tutte le neoplasie sono in grado di dare localizzazioni epatiche, sedi primitive più comuni sono rappresentate dall’apparato gastroenterico, il polmone, la mammella e il melanoma. 1.2 Caratteristiche cliniche L’identificazione di un epatocarcinoma in stadio precoce su base puramente clinica è spesso molto difficile, infatti, insorgendo su un fegato solitamente già alterato, la sintomatologia tende a sovrapporsi a quella della sottostante cirrosi. Nella maggior parte dei casi la presentazione clinica è silente; meno frequentemente vi può essere dolore, solitamente in presenza di una massa addominale palpabile in ipocondrio destro; a volte, in corrispondenza del fegato, si può avvertire un crepitio o un rumore di sfregamento. In circa il 20% dei casi è presente un’ascite emorragica, mentre l’ittero è piuttosto raro, a meno che non vi sia un importante deterioramento della funzione epatica o un’ostruzione meccanica dei dotti biliari; quest’ultima si verifica più tipicamente nel colangiocarcinoma dei dotti extraepatici, che si presenta dunque con 8 i classici segni di colestasi: ittero, urine ipercromiche, feci ipo/acoliche, prurito, malessere e perdita di peso. Una piccola percentuale di pazienti con epatocarcinoma può manifestare una sindrome paraneoplastica: può essere presente eritrocitosi, legata ad un’attività simil-eritropoietinica del tumore, o ipercalcemia da secrezione di PTHrP (parathormone-related petide); altre possibili manifestazioni sono rappresentate da ipercolesterolemia, ipoglicemia, polimiosite, porfiria acquisita, criofibrinogenemia, disfibrinogenemia e diarrea associata al peptide vasoattivo. L’evoluzione naturale dell’HCC consta nel progressivo allargamento della massa primitiva fino a quando non altera la funzione epatica o metastatizza, in genere prima ai polmoni e poi in altre sedi. In generale, la morte può avvenire per cachessia, emorragia gastrointestinale o da varici esofagee, insufficienza epatica con coma epatico o, raramente, rottura del tumore con emorragia fatale. Ancora più ardua è l’individuazione delle neoplasie epatiche secondarie: esse tendono infatti ad essere asintomatiche e vengono prevalentemente scoperte nel corso della valutazione clinica di pazienti con sintomi riferibili al tumore primitivo. In caso di interessamento epatico diffuso si potranno rilevare epatomegalia, alterazioni della consistenza dell’organo e rumori di sfregamento, eventualmente associati a segni di malattia epatica attiva quali dolore addominale e ascite; è piuttosto comune il riscontro di sintomi sistemici quali astenia, anoressia, calo ponderale e febbre, che però risultano essere estremamente aspecifici. 1.3 Diagnosi La diagnosi di epatocarcinoma si basa sulla combinazione di dati clinici, laboratoristici, strumentali e anatomopatologici.9 L’ accertamento diagnostico e la 9 valutazione dell’estensione tumorale sono fondamentali per la gestione del paziente. Le tecniche di diagnostica per immagini utilizzate nella identificazione delle neoplasie epatiche sono l’ecografia, la TC, la RM e l’angiografia dell’arteria epatica. L’ecografia viene frequentemente utilizzata per lo screening di popolazioni ad alto rischio e dovrebbe essere eseguita come prima indagine nel sospetto di neoplasia. Tuttavia il fegato cirrotico presenta noduli rigenerativi e noduli displastici che, ad una classica ecografia, possono risultare indistinguibili da piccoli HCC. Molto importante ai fini di una diagnosi differenziale diventa la valutazione dell’apporto vascolare alla lesione: durante la progressione da displasia di basso grado a displasia di alto grado e infine HCC precoce, si assiste allo sviluppo di nuove arterie che forniscono il principale apporto di sangue alla lesione;10 questa neoangiogenesi determina peculiarità nell’assunzione del mezzo di contrasto e permette quindi la diagnosi strumentale di epatocarcinoma. Un protocollo standard per l’HCC dovrebbe includere una TC senza mezzo di contrasto e una con mezzo di contrasto per lo studio delle fasi arteriosa, portale-venosa e tardiva; è stato dimostrato che, in mani esperte, anche un’ecografia con mezzo di contrasto può essere utilizzata per confermare la diagnosi di HCC; in questo caso, il tumore evidenzierà un’ imponente impregnazione in fase arteriosa (in 15-30 s dopo la somministrazione del mezzo di contrasto), seguita da un rapido wash-out, con aspetto iso- o ipoecogeno nelle fasi portale e ritardata. A differenza di molte altre è possibile porre diagnosi di HCC in un fegato cirrotico mediante tecniche non invasive (imaging e alfa-fetoproteina), anche se l’identificazione di masse di piccole dimensioni, <2 cm, risulta estremamente complessa;11-12 ciò rappresenta un problema rilevante data la diffusione dei programmi di follow up in pazienti epatopatici. In caso di lesioni molto piccole, inferiori a 1 cm di diametro, gli esperti suggeriscono la misurazione dell’ AFP e un controllo strumentale a intervalli di tre 10 mesi; per lesioni tra 1 e 2 cm o con caratteristiche atipiche all’imaging, bisognerebbe prendere in considerazione l’analisi anatomo-patologica della massa.13-14 (Fig.2) La scelta di effettuare una biopsia deve essere sempre valutata con attenzione, in quanto trattasi di una procedura gravata da possibili complicanze molto significative, in particolare sanguinamenti e seeding, ossia la disseminazione di cellule neoplastiche al di fuori della capsula epatica, nei tessuti sottocutanei o nella cavità peritoneale, in seguito ad una procedura percutanea. E’ stato stimato che il rischio di seeding in seguito a biopsia epatica vari tra 0 e 11%,15 risultando particolarmente elevato in caso di biopsie percutanee di lesioni localizzate in sede sottocapsulare. Fig. 2 Algoritmo diagnostico dopo riscontro ecografico di lesione focale durante la sorveglianza dei pazienti con cirrosi epatica (AASLD Bruix J. And Sherman M.) 11 Sono stati dunque stabiliti dei criteri per identificare le situazioni nelle quali non vi è necessità di biopsia: 1) pazienti non candidati ad alcun tipo di terapia a causa di severe comorbidità; 2) pazienti con cirrosi scompensata già in lista d’attesa per un trapianto; 3) pazienti candidati per una resezione epatica che possa essere eseguita con un rischio di morbilità e mortalità accettabili. Raramente, al fine di stabilire una diagnosi corretta, è necessario ricorrere alla laparoscopia o alla minilaparotomia, con biopsia epatica a cielo aperto; questo approccio diretto presenta l’ulteriore vantaggio di identificare quei rari pazienti con tumore circoscritto resecabile che possono essere sottoposti ad un intervento di epatectomia parziale. L’alfa-fetoproteina è l’unico marker sierologico comunemente usato nella diagnosi, ma ha una scarsa sensibilità che varia dal 39% al 65% e una specificità tra il 76% e il 97%;16 tale variabilità è legata ai differenti cut-offs utilizzati nei diversi studi. Per valori superiori a 500 µg/l può essere considerata un efficace marker tumorale, tuttavia la percentuale di pazienti con valori così elevati è piuttosto bassa; livelli inferiori si possono riscontrare, oltre che nell’HCC, in caso di metastasi di grosse dimensioni da neoplasie gastriche o del colon e in alcuni pazienti affetti da epatite acuta o cronica. Gli esperti considerano dunque l’AFP di limitato valore nella sorveglianza dei pazienti cirrotici, tuttavia una sua rapida e continua elevazione è un campanello d’allarme che dovrebbe invitare all’esecuzione di un follow up più stringente. Per quanto concerne i colangiocarcinomi, nella maggior parte dei casi la neoplasia viene diagnosticata mediante colangiografia dopo il riscontro ecografico di alterazioni del diametro dei dotti biliari intraepatici; qualsiasi restringimento focale di tali dotti dovrebbe essere considerato maligno fino a prova contraria. La colangiografia endoscopica permette di ottenere campioni di materiale per la citologia, che offre una 12 sensibilità di circa il 60%, ed eventualmente di inserire uno stent per il drenaggio biliare. Un’alternativa per la diagnosi è rappresentata dall’aspirazione con ago sottile eco-guidata, che si è rivelata in grado di identificare colangiocarcinomi con un’accuratezza diagnostica dell’89%, anche in presenza di un esame citologico negativo. I tests di laboratorio mostrano solitamente un aumento degli indici di colestasi, ossia fosfatasi alcalina, γGT e bilirubina; in caso di ostruzione prolungata dei dotti biliari principali si possono rilevare aumenti del tempo di protrombina e riduzione delle vitamine liposolubili. Tra i markers tumorali il più significativo è il CA 19-9: si è visto che un valore > 100 U/ml nei pazienti con colangite sclerosante ha una sensibilità dell’89% e una specificità dell’86% per la diagnosi di colangiocarcinoma. Tuttavia un’elevazione di tale marcatore non è sufficiente ai fini diagnostici, soprattutto nei pazienti non affetti da colangite sclerosante, dove la sua sensibilità scende al 53%.17-18 Altri markers non specifici sono rappresentati dal CEA, elevato nel 30% dei casi, mentre il CA 125 è elevato nel 40%-50% dei pazienti. La diagnosi delle neoplasie secondarie avviene solitamente nel corso della stadiazione del tumore primitivo: si esegue di solito una TC addominale con conseguente biopsia delle lesioni sospette per accertarne la natura maligna. 1.4 Staging La stadiazione dell’HCC è cruciale per la pianificazione della terapia ottimale e comprende la valutazione dell’estensione tumorale, della funzionalità epatica, della pressione portale e il performance status generale del paziente. Le principali indagini strumentali per rilevare l’estensione della massa consistono nella RM con mezzo di contrasto o nella TC dinamica; nelle malattie avanzate 13 dovrebbero inoltre essere eseguite una TC del torace e una scintigrafia ossea per la ricerca di eventuali secondarismi. La funzionalità epatica viene valutata mediante l’indice di Child-Pugh, che attribuisce un punteggio da 5 a 15 in base alla positività o meno di alcuni parametri clinici e laboratoristici: bilirubinemia, tempo di protrombina, albuminemia, ascite ed encefalopatia. I pazienti vengono quindi divisi in tre classi a seconda del punteggio ottenuto, dalla classe A che corrisponde ad una buona funzionalità epatica, fino alla C, che comprende invece soggetti epatopatici in fase terminale. Per la valutazione dell’ipertensione portale, suggerita dal riscontro di varici, si può ricorrere alla misurazione del gradiente pressorio porto-cavale per via transgiugulare: si parla di ipertensione quando tale valore risulta superiore a 12 mmHg. Nel corso degli ultimi anni sono stati proposti sette differenti sistemi di stadiazione, comprendenti in maniera variabile i parametri succitati, ma nessuno di essi è unanimemente considerato il migliore. Tra le stadiazioni più utilizzate possiamo citare la classica TNM e quella della Barcelona-Clinic-Liver-Cancer; quest’ultima risulta particolarmente utile per la scelta dell’opzione terapeutica più idonea: essa identifica infatti quei pazienti con HCC precoce che possono beneficiare di un trattamento curativo (stadi 0 e A), quelli ad uno stadio intermedio o avanzato (stadi B e C) che potrebbero trarre vantaggio da terapie palliative, e quelli che hanno invece una scarsa aspettativa di vita (stadio D) (Fig. 3) 14 Fig. 3 Barcelona Clinic Liver Cancer (BCLC) staging classification modificata da Bruix J. and Sherman M.) Altra classificazione diffusa è quella di Okuda, che prende in considerazione quattro criteri: dimensione del tumore (< o > 50% del fegato), ascite (presente o assente), bilirubinemia (< o > 3 mg/dl) e albuminemia (< o >3 g/dl). Questi criteri permettono di dividere i pazienti in tre stadi: I (nessun criterio presente), II (uno o due criteri positivi) e III (tre o quattro criteri positivi). La storia naturale della malattia e la sopravvivenza media dei pazienti con HCC, in assenza di trattamento, dipende dallo stadio della malattia al momento della diagnosi: circa 8 mesi per soggetti in stadio di Okuda I, 2 mesi per lo stadio II e meno di un mese se in stadio III. (Fig. 4) 15 Figura 4 Curva di sopravvivenza in relazione alla stadiazione di Okuda Anche nel caso del colangiocarcinoma, un’accurata stadiazione è fondamentale per la scelta di una corretta strategia terapeutica. Accanto alla classificazione TNM, sta acquistando sempre maggior valore il sistema di stadiazione del Memorial Sloan-Kettering, (tab 1) che stratifica i pazienti in tre gruppi, T1, T2 e T3, in base all’estensione tumorale nell’albero biliare e il coinvolgimento vascolare; tale classificazione si è rivelata più efficace, rispetto alla classica TNM, nel fornire informazioni sull’eventuale resecabilità della massa e sulla sopravvivenza. Clinical stage Criteria T1 Tumor involving biliary confluence +/− unilateral extension to secondary biliary radicles T2 Tumor involving biliary confluence +/− unilateral extension to secondary biliary radicles AND ipsilateral portal vein involvement +/− ipsilateral hepatic lobar atrophy T3 Tumor involving biliary confluence+bilateral extension to secondary biliary radicles; OR unilateral extension to secondary biliary radicles with contralateral portal vein involvement; OR unilateral extension to secondary biliary radicles with contralateral hepatic lobar atrophy; OR main portal vein involvement Tab. 1 Clinical T-stage criteria per colangiocarcinoma ilare (Memorial Sloan-Kettering) 16 1.5 Terapia Le opzioni terapeutiche in caso di HCC sono strettamente dipendenti dallo stadio tumorale dal grado di epatopatia e dalle condizioni del paziente (Fig.5). Figura 5 Algoritmo terapeutico nei pazienti con HCC (immagine modificata da Bruix et al, Clinical management of hepatocellular carcinoma, 2009) I trattamenti potenzialmente radicali, con intento curativo, sono rappresentati dalla chirurgia, dalle tecniche ablative locali e dal trapianto di fegato; le terapie palliative, miranti a garantire una qualità di vita accettabile nei pazienti senza prospettive di guarigione, consistono essenzialmente nella chemioembolizzazione arteriosa (TACE), la radioterapia e la terapia sistemica. RESEZIONE EPATICA: la resezione chirurgica rappresenta, insieme al trapianto, l’opzione terapeutica di scelta nei pazienti con HCC, consentendo una sopravvivenza a 5 anni che può arrivare fino al 70% in pazienti selezionati. Essa risulta particolarmente efficace in quei soggetti che non presentano una fibrosi avanzata, qualora sia possibile effettuare una resezione R0 (ossia con margini liberi da malattia) senza il rischio di provocare un’insufficienza epatica postoperatoria a causa di un tessuto epatico residuo troppo scarso. In caso di cirrosi, è opinione diffusa che 17 la resezione sia sicura ed efficace soltanto negli stadi BCLS 0 e A, in presenza di una singola lesione, un buon performance status e senza un’ipertensione portale significativa. Purtroppo, dunque, meno del 20% dei pazienti presenta alla diagnosi un tumore resecabile.19 TRAPIANTO EPATICO: il trapianto offre la possibilità di curare sia il tumore che la sottostante patologia epatica; esso risulta dunque l’opzione migliore per HCC singoli in pazienti con Child C o in caso di HCC multicentrici. In base ai criteri di Milano possono essere candidati al trapianto soggetti con non più di tre noduli di diametro inferiore ai 3 cm o con un nodulo singolo fino a 5 cm di diametro;20 tuttavia tali criteri sono in continua evoluzione e non devono essere seguiti con assoluta rigidità, rendendo dunque necessaria un’accurata valutazione di ciascun paziente.²¹ Deve essere sempre esclusa, inoltre, la presenza di invasione vascolare (trombosi della vena porta) e/o l’estensione della malattia neoplastica al di fuori del fegato. Il trapianto si associa ad una serie di possibili complicanze, legate soprattutto alla indispensabile terapia immunosoppressiva: rischio di infezioni, insufficienza renale, alterazioni metaboliche e neurologiche; inoltre, nei pazienti affetti da epatite virale, l’infezione mostra un elevato tasso di ricorrenza, con una nuova insorgenza di cirrosi spesso nell’arco di pochi anni. Altro problema fondamentale, comune a tutti i trapianti, è rappresentato dalla scarsità di organi, con conseguenti liste d’attesa spesso troppo lunghe e una percentuale di drop-out che può arrivare fino al 50%. Qualora si prevedano tempi d’attesa lunghi, superiori a 6 mesi, possono essere adottate altre strategie, quali terapie ablative o chemioembolizzazione, al fine di minimizzare il rischio di progressione tumorale e fungere da “ponte” per il trapianto. Inoltre, per sopperire almeno in parte alla carenza di donazioni, sono state introdotte 18 alternative al trapianto di fegato intero da cadavere, quali la suddivisione dell’organo da donatore cadavere in due parti (split liver) per due riceventi e la donazione di parte del fegato da un donatore vivente.²² TRATTAMENTI ABLATIVI LOCOREGIONALI: l’ablazione locale del tumore rappresenta un trattamento ottimale per gli HCC inoperabili ed è considerata una procedura minimamente invasiva in grado di determinare controllo della crescita tumorale e citoriduzione della massa neoplastica, senza arrecare danno al parenchima sano. L’ablazione locale è definita come l’applicazione diretta di energia chimica o termica su un tumore, così da indurre una necrosi cellulare;²³ tale effetto può essere ottenuto con varie modalità, che comprendono l’iniezione percutanea di etanolo (PEI), l’ablazione mediante laser, la crioablazione, l’ablazione con radiofrequenze (RFTA) o con microonde. PEI: tale tecnica consiste nell’introduzione di pochi ml di etanolo al 95% nella lesione, utilizzando un ago di piccole dimensioni, sotto guida ecografica: la diffusione dell’etanolo causa un’immediata denaturazione delle proteine citoplasmatiche, determinando conseguentemente una necrosi coagulativa seguita da fibrosi.24 Complicanze precoci includono ascessi epatici, insufficienza epatica, emoperitoneo, colangiti e bilomi. La possibilità di ottenere una necrosi completa è strettamente correlata alle dimensioni del tumore: nelle neoplasie di diametro < 3 cm la PEI può determinare una risposta completa nel 90-100% dei casi, tra i 3 e 5 cm la percentuale si abbassa al 70%, e scende sotto al 19 50% per lesioni ancor più estese.25-26 Considerando anche i bassi costi e l’ incidenza complessivamente scarsa di complicanze, la PEI può essere dunque considerata un trattamento efficace per le neoplasie di piccole dimensioni, dato sottolineato anche da studi prospettici secondo i quali tale tecnica, per lesioni ≤ 3 cm, avrebbe un’efficacia e una sicurezza equiparabili a quelli della resezione, potendo inoltre consentire un elevato tasso di sopravvivenza.27 ABLAZIONE MEDIANTE LASER: si tratta di un’altra tecnica minimamente invasiva finalizzata alla distruzione di tumori all’interno di organi solidi. Il raggio laser viene emesso dalla punta di fibre sottili (0,2-0,6 mm). La coagulazione termica, determinante carbonizzazione e vaporizzazione dei tessuti, risulta dal riscaldamento che si produce quando il fascio di energia viene assorbito, sia direttamente sia dopo esser stato deviato dai tessuti. Tale tecnica sembra essere particolarmente efficace nel trattamento degli HCC di diametro < 5 cm o in combinazione con la TACE nei pazienti con tumori di dimensioni maggiori o multipli.28-29 CRIOABLAZIONE: il raffreddamento dei tessuti seguito da un rapido scongelamento porta alla distruzione delle membrane cellulari e induce la morte della cellula.30 Tale effetto può essere raggiunto con varie modalità e mediante l’utilizzo di diverse sostanze quali l’azoto liquido o il gas argon; in ogni caso la morte cellulare dipende 20 dalla velocità di raffreddamento, dalla profondità dell’ipotermia, dalla velocità di scongelamento e dal numero di cicli raffreddamento-scongelamento; la maggior parte delle cellule tumorali muore a -40 °C. Attual mente il diametro ampio delle criosonde e le localizzazioni difficilmente raggiungibili di alcuni tumori nel fegato ne limitano l’applicazione, tuttavia l’associazione con altre tecniche, quali ad esempio la TACE, sembrano fornire risultati promettenti.³¹ RFTA: l’ablazione mediante radiofrequenze è stata introdotta in Europa e negli Stati Uniti a partire dagli anni ’90 ed è attualmente utilizzata in tutto il mondo, rappresentando la modalità di ablazione locale più diffusa. Tale metodica sfrutta le radiazioni elettromagnetiche per determinare la termoablazione dei tumori epatici; una corrente alternata ad elevata frequenza (da 100 a 500 kHz), tipicamente 460 kHz, passa dalla punta di un ago elettrodo ai tessuti circostanti e causa delle vibrazioni ioniche, in quanto gli ioni cercano di seguire il cambiamento di direzione della corrente. Tali vibrazioni ioniche causano il riscaldamento resistivo dei tessuti che circondano l’elettrodo (effetto Joule); in particolare, l’ago esplica attivamente la sua azione a una profondità di 1-2 mm, mentre il successivo fenomeno di conduzione termica consente il riscaldamento di aree molto più profonde. Quando la temperatura dei tessuti è intorno ai 60 °C, si verificano alter azioni della struttura terziaria delle proteine intracellulari, con denaturazione del collagene e danni a carico del doppio strato lipidico; l’effetto di coagulazione termica inizia a 70°C, mentre l’essicazione dei 21 tessuti si verifica intorno a 95-100°C, determinand o una necrosi coagulativa della massa tumorale.³² Temperature superiori sono invece sconsigliate in quanto inducono carbonizzazione dei tessuti, con conseguente aumento dell’impedenza e riduzione dell’efficacia del trattamento. Le radiofrequenze possono essere utilizzate secondo varie modalità: diverse possono essere le vie d’accesso alla neoplasia (via percutanea, laparoscopica e laparotomia) e diverse possono essere anche le tipologie e il numero di elettrodi utilizzati durante la procedura; in particolare, la corrente può essere applicata utilizzando una modalità “monopolare” o “bipolare”. Nella tipologia monopolare, un singolo elettrodo interstiziale viene utilizzato per rilasciare corrente nel sito del tumore, mentre degli elettrodi di superficie (piastre di messa a terra) completano il circuito elettrico attraverso il corpo. Nella modalità bipolare, la corrente circola tra tue elettrodi interstiziali, con il vantaggio dunque di determinare un riscaldamento più efficace e più mirato nell’area compresa tra gli elettrodi, senza la necessità di posizionare le piastre di scarico con il conseguente rischio di ustioni; d’altro canto, però, la tecnica monopolare risulta più semplice e meno invasiva, in quanto non richiede l’inserimento di un elettrodo aggiuntivo.³³ Qualunque sia la modalità utilizzata, l’ablazione mediante radiofrequenze presenta degli svantaggi. Quando la lesione è posta in prossimità di grossi vasi sanguigni, il calore prodotto viene in parte disperso dal flusso ematico, riducendo così l’efficacia (heat-sink effect); l’occlusione dell’apporto sanguigno alla lesione può rivelarsi utile per ovviare a tale inconveniente.34 Altro problema è rappresentato dalla localizzazione della neoplasia in prossimità di strutture cosiddette ad alto rischio, quali il diaframma, lo stomaco e la colecisti, che potrebbero essere danneggiate dalle radiofrequenze. Studi recenti sembrano però dimostrare che la RFTA possa essere 22 immediatamente eseguita dopo la creazione di una “distanza di sicurezza” di 0,5-1 cm dalla struttura vitale; tale distanza verrebbe ottenuta introducendo della soluzione salina, con formazione di una sorta di ascite o versamento pleurico artificiale.35-36 Pare che la creazione di tali versamenti possa ridurre significativamente le complicazioni post-RFTA, come la perforazione intestinale, il danno ai dotti biliari e al diaframma e l’emotorace. Oltre al danno a organi adiacenti, dipendente strettamente dalla posizione della lesione, questo tipo di trattamento può essere gravato da complicanze di altro genere; dagli studi finora pubblicati risulta che l’incidenza di complicanze maggiori (secondo la recente letteratura vengono definite “maggiori” quelle complicanze che richiedono un intervento medico e/o un prolungamento dell’ospedalizzazione) varia dallo 0% al 12,7%.38 Tra le più frequenti vanno annoverate emorragie addominali, emotoraci, ematomi sottocapsulari, ascessi epatici e turbe del ritmo cardiaco, soprattutto in pazienti con preesistenti aritmie. Lievemente più frequenti sono le cosiddette complicanze minori, tra cui spiccano dolore addominale accompagnato da febbre, versamenti pleurici, stenosi dei dotti biliari, ustioni nel sito di posizionamento delle piastre di dispersione, seeding, ascite ed emobilia. Complessivamente l’RFTA, se in mani esperte, può comunque essere considerata una terapia sicura con una bassa incidenza di complicanze e un rischio di morte trascurabile.38 Anche i dati sull’efficacia di tale procedura sembrano essere positivi: un’analisi retrospettiva di diversi studi effettuati dalla fine degli anni ’90 ad oggi in vari paesi del mondo ha mostrato che i tassi di ablazione completa per lesioni ≤ 3 cm oscillano tra l’80 e il 100%, per lesioni tra 3 e 5 cm si attestano al 50-80% e scendono al 25% per noduli di diametro superiore.39 Si è tuttavia visto che è possibile migliorare questi 23 risultati nelle masse di grandi dimensioni adottando strategie terapeutiche combinate, ad esempio attraverso l’iniezione di etanolo immediatamente prima della procedura di termoablazione40 o una chemioembolizzazione alcuni giorni prima. Anche i dati sulla sopravvivenza complessiva sembrano sottolineare l’utilità di tale trattamento, con tassi di sopravvivenza dell’80-100% a un anno, 63-98% a due anni, e intorno al 41% a 5 anni (Fig. 6). Tali risultati non hanno dunque mostrato significative differenze tra la RFTA e la resezione epatica, anche se quest’ultima permette di ottenere una sopravvivenza libera da malattia nettamente superiore, in quanto consente l’eradicazione della neoplasia bersaglio e dell’area circostante che potrebbe contenere noduli satellite o micrometastasi. Complessivamente, dunque, l’ablazione con radiofrequenze rappresenta un metodo efficace e una valida alternativa alla chirurgia per il trattamento di neoplasie di dimensioni limitate, e grazie all’associazione con altre terapie locoregionali e ad eventuali miglioramenti tecnologici della strumentazione utilizzata, il generatore di corrente o gli elettrodi, potrebbe accrescere ulteriormente la sua efficacia. 24 MW: l’utilizzo delle microonde costituisce la principale novità nel campo delle terapie ablative. L’argomento verrà approfondito nel capitolo 2. TACE: rappresenta il trattamento più diffuso per neoplasie epatiche in stadio intermedio non resecabili in soggetti con funzionalità epatica conservata, ed è molto utilizzata anche per quei pazienti inseriti in lista d’attesa per il trapianto, al fine di impedire la progressione della malattia in vista dell’intervento. La TACE rappresenta la combinazione di una embolizzazione intrarteriosa (TAE) e una chemioterapia regionale;41 la metodica tradizionale consiste nell’embolizzazione selettiva delle arterie che vascolarizzano il tumore mediante un’emulsione di un agente chemioterapico, solitamente doxorubicina, mitomicina o cisplatino, combinato con Lipiodol, un olio etilestere iodinato estratto dai semi di papavero, il cui ruolo è quello di emulsionare i farmaci e veicolarli nelle lesioni. Vengono successivamente introdotti degli agenti embolizzanti allo scopo di ridurre l’afflusso arterioso, indurre ischemia tissutale e limitare il passaggio degli agenti chemioterapici nella circolazione sistemica, così da prolungare il contatto tra il farmaco e le cellule neoplastiche. Tali emulsioni tra lipiodol e farmaci sono però molto instabili e i chemioterapici vengono pertanto rilasciati troppo rapidamente nella circolazione sistemica. Per ottimizzare il rilascio del farmaco al tumore, sono state sviluppate nuove particelle: microsfere in polivinilalcool e microsfere superassorbenti. Esse possono essere caricate con l’agente chemioterapico ed essere rilasciate direttamente nella massa neoplastica, raggiungendo concentrazioni intratumorali più elevate e livelli plasmatici più bassi, così da limitare anche la tossicità sistemica.42 25 La TACE può associarsi ad un’ampia varietà di complicanze. Nel 60-80% dei pazienti si verifica quella che viene definita “sindrome post-embolizzazione”, rappresentata da dolore addominale transitorio e febbre, che normalmente si risolvono senza reliquati nell’arco di pochi giorni. Altre complicanze si verificano in meno del 10% dei trattamenti e comprendono ascessi epatici, colecistiti ischemiche, stenosi dei dotti biliari, pancreatiti acute o ulcere gastroduodenali. RADIOTERAPIA: le radiazioni rompono il DNA del tessuto bersaglio e inducono il rilascio dall’acqua intracellulare di radicali liberi in grado di ledere le membrane cellulari, le proteine e gli organelli.43 Storicamente la radioterapia ha giocato un ruolo di secondo piano nel trattamento dei pazienti con tumori epatici non resecabili, soprattutto a causa della scarsa tolleranza dell’intero fegato all’irradiazione. Tra le varie complicanze si sono infatti registrate la riattivazione di epatiti virali e lo sviluppo di una tipica sindrome caratterizzata da epatomegalia, ascite ed elevazione delle transaminasi; in aggiunta alla tossicità epatica, bisogna sottolineare che anche gli organi adiacenti sono a rischio di danno, in particolare stomaco, duodeno e reni.44 Sono stati pertanto introdotti dei miglioramenti che permettano di indirizzare dosi più alte di radiazioni limitandone gli effetti sfavorevoli: tecniche più avanzate di imaging per meglio definire il tumore, studi tridimensionali del campo di irradiazione, radioterapia TC guidata per localizzare esattamente la massa durante il trattamento e migliori conoscenze sulla tolleranza del tessuto epatico alla radiazione. La novità più recente in questo campo è tuttavia rappresentata dalla radioembolizzazione, che consiste nell’applicazione diretta a livello del tumore di particelle radioattive, solitamente microsfere di Yttrio-90, attraverso l’arteria epatica, 26 anche in presenza di trombosi della vena porta. Tale tecnica ha mostrato risultati promettenti nel trattamento di HCC multipli e si candida come valida alternativa alla TACE come trattamento di prima linea delle neoplasie non resecabili,45 anche se ulteriori studi multicentrici dovranno confermarne l’efficacia. TERAPIE SISTEMICHE: l’utilizzo di farmaci citotossici classici, tipicamente doxorubicina o cisplatino, permette di ottenere bassi tassi di risposta (<10%) senza benefici comprovati sulla sopravvivenza; inoltre la chemioterapia è scarsamente tollerata, a causa della sottostante cirrosi, della concomitante citopenia e della farmacocinetica resa imprevedibile dall’alterata attività degli enzimi deputati al metabolismo dei farmaci. Alcuni fattori di crescita, i loro recettori e la cascata dei mediatori implicati nella trasduzione del segnale svolgono un ruolo fondamentale nello sviluppo e nel mantenimento di diversi tumori, incluso l’HCC, e sono dunque oggetto di interesse per la realizzazione di nuove strategie terapeutiche (le cosiddette “targeted therapies”). Tra i vari farmaci recentemente introdotti, uno dei più utilizzati è il Sorafenib, un inibitore multichinasico, somministrabile per via orale, che blocca le vie di trasduzione del segnale coinvolgenti PDGF, VEGF, c-kit e raf sia nelle cellule tumorali che nelle cellule endoteliali circostanti. Recentemente, uno studio di fase III contro placebo (Llovet et al. 2007)46 ha evidenziato una buona tollerabilità del farmaco con un aumento della sopravvivenza statisticamente significativo (10,7 mesi nei soggetti trattati con Sorafenib contro 7,9 dei pazienti del gruppo di controllo). Tra gli effetti collaterali spiccano la cosiddetta hand-foot syndrome, caratterizzata da lesioni di varia gravità a livello della cute di mani e piedi, diarrea ed astenia, mentre 27 non si è dimostrata alcuna tossicità a livello epatico. Tale farmaco dovrebbe essere riservato ai pazienti con HCC non operabile, buona funzionalità epatica (Child-Pugh A), che non siano candidati ottimali per la TACE. Attualmente numerosi altri farmaci sono in sperimentazione; molto probabilmente la combinazione di agenti con diversi bersagli molecolari, come antagonisti dei recettori dei fattori di crescita, inibitori del proteasoma o citostatici, potranno migliorare la risposta clinica in pazienti affetti da HCC avanzato, con effetti collaterali tollerabili e gestibili. Le modalità di trattamento fin qui descritte per l’HCC possono in gran parte essere utilizzate anche per i colangiocarcinomi. Anche in questo caso, la resezione e il trapianto di fegato rappresentano le uniche opzioni curative; in seguito al trattamento chirurgico sono state riportate sopravvivenze a 3 anni comprese tra il 40% e il 60%.47 Anche il trapianto, in passato considerato non indicato per il trattamento di tali neoplasia, ha recentemente mostrato buoni risultati, con sopravvivenze significative (fino all’80% a 5 anni, per tumori in stadio 1 e 2).48 Nei pazienti con malattia non operabile, l’approccio iniziale mira a fornire una terapia di supporto e, se necessario, a realizzare una qualche forma di drenaggio biliare; tali terapie palliative consentono tuttavia di ottenere una sopravvivenza non superiore a 18 mesi. L’ablazione mediante radiofrequenze e la TACE sono altre possibili opzioni anche se l’efficacia risulta inferiore rispetto ai casi di epatocarcinoma. Un altro tipo di approccio palliativo che sta mostrando buoni risultati è rappresentato dalla terapia fotodinamica: una sostanza fotosensibilizzante viene somministrata per via sistemica e si accumula nelle cellule tumorali; un raggio laser induce fotoattivazione di tale sostanza e permette la distruzione della neoplasia. Tale 28 trattamento facilita la decompressione delle vie biliari e sembra procurare benefici in termini di sopravvivenza, miglioramento della colestasi, performance status e qualità di vita.49 La chemioterapia sistemica ha finora dato risultati scadenti, mentre sembrano essere promettenti, almeno per quanto riguarda i tests in vitro, nuovi farmaci a bersaglio molecolare, in particolare gli inibitori del proteasoma.50 In ogni caso, si può affermare che non esiste a tutt’oggi una strategia terapeutica realmente efficace e il colangiocarcinoma continua a rappresentare una neoplasia devastante, con un elevatissimo tasso di mortalità. Per quanto concerne le metastasi epatiche, il trattamento di prima scelta è sempre rappresentato dalla resezione, in grado di offrire sopravvivenze a lungo termine nel 25%-30% dei pazienti trattati. Sfortunatamente, anche in questo caso, l’intervento chirurgico è un’opzione realizzabile in meno di un terzo dei casi; stanno pertanto acquistando importanza sempre maggiore le tecniche di ablazione percutanea con radiofrequenze, laser o microonde. Una possibilità, soprattutto nelle metastasi da adenocarcinoma del colon-retto, è costituita dall’associazione di chemioterapia e termoablazione, che permette di ottenere sopravvivenze a 1, 2, 3, 4 e 5 anni del 93%, 69%, 46%, 22% e 26% rispettivamente. Predittori della sopravvivenza sembrano essere rappresentati da un valore di CEA inferiore a 200 ng/ml, diametro delle lesioni ≤3 cm e un numero di lesioni ≤3.51 29 CAPITOLO 2 ABLAZIONE CON MICROONDE Sviluppata in Giappone nei primi anni ’80 allo scopo di favorire l’emostasi durante gli interventi di resezione epatica, la coagulazione con microonde è stata successivamente utilizzata per il trattamento delle neoplasie epatiche, e rappresenta ora una valida alternativa alla RFTA, di cui mostra i medesimi benefici, ma minori svantaggi. 2.1 Principi fisici Nello spettro elettromagnetico, le microonde si collocano tra i raggi infrarossi e le onde radio, con frequenze comprese tra 300 MHz e 2450 Ghz corrispondenti a lunghezze d'onda tra 1 m e 1 mm (Fig 7). Le modalità d’interazione tra microonde e materia e, particolarmente, il trasferimento di energia dalle prime alla seconda, discendono dal meccanismo microscopico descritto appresso. RF MW Fig. 7 Scala grafica frequenza onde elettromagnetiche 30 L’asimmetria nella distribuzione di cariche elettriche negative e positive al livello atomico o molecolare (intrinseca o indotta da un campo esterno) porta alla formazione di dipoli elettrici, i quali tendono a mantenere l’allineamento con un eventuale campo elettrico applicato dall’esterno. Ne segue che, in presenza di un campo alternato, tali dipoli ruotano di continuo, sperimentando una sorta di attrito che determina la conversione di una parte dell’energia del campo applicato in calore: tale fenomeno va sotto il nome di riscaldamento dielettrico; in particolare, una microonda dotata di frequenza pari a 9,2 GHz è in grado di far variare la polarità di una molecola fino a due bilioni di volte in un secondo ( Fig. 8 ) . Figura 8 Illustrazione schematica dell’interazione tra molecole d’acqua e microonde ( immagine modificata da Simon C. et al: Microwave ablation: Priciples and applications, 2005 ) La quantità di calore generato è proporzionale al quadrato della grandezza del campo applicato: Q= σ|E|², dove σ è la conduttività efficace (S/m), una misura dell’assorbimento della microonda. Questa forma di riscaldamento è particolarmente efficiente alle frequenze delle microonde, in special modo in materiali ad elevato contenuto acquoso, proprio come la gran parte dei tessuti biologici: le molecole d’acqua, infatti, sono di natura “polare”, cioè tali da esibire un momento di dipolo elettrico non nullo anche in assenza di campi esterni - a causa dell’intrinseca asimmetria nelle rispettive distribuzioni delle 31 cariche protoniche positive e delle nubi elettroniche negative -; il campo alternato che genera il riscaldamento dielettrico non deve, in tal caso, spendere energia per formare i dipoli molecolari e il rendimento del riscaldamento a microonde (rapporto tra energia fornita alla materia per irraggiamento e il conseguente incremento di temperatura) cresce sensibilmente. Ne discende che un applicatore a microonde inserito all’interno del corpo umano può depositarvi energia radiante in modo localizzato e controllato, portando rapidamente la temperatura del tessuto investito dalle radiazioni oltre i 60°C necessari alla necrosi coagulativa pressoché istantanea delle cellule. 2.2 Strumentazione e tecniche d’utilizzo Come la termoablazione con radiofrequenze, l’ablazione con microonde può essere attuata mediante diversi approcci: percutaneo, laparoscopico o laparotomico; generalmente la via percutanea rappresenta la modalità d’elezione, mentre le altre sono riservate a quelle lesioni non raggiungibili per via percutanea o ai casi in cui il paziente debba essere trattato chirurgicamente per altre patologie addominali nel corso del medesimo intervento. L’approccio percutaneo viene generalmente attuato in anestesia locale o sedazione, mentre gli interventi in laparoscopia e a cielo aperto richiedono un’anestesia generale. Le ablazioni vengono solitamente effettuate in modalità eco- o TC-guidata, per confermare il corretto posizionamento dell’applicatore al centro del tumore; attualmente, grazie alla realizzazione di strumenti MR-compatibili, si stanno rendendo possibili anche procedure guidate dalla Risonanza Magnetica.53 32 Qualunque sia l’approccio scelto, la strumentazione necessaria è costituita da tre elementi fondamentali: un generatore di microonde, un sistema di distribuzione e un applicatore, singolo o multiplo, che viene definito antenna. ( Figura 9 ) b a Figura 9 a) antenna b) generatore di microonde I generatori di microonde possono utilizzare due diverse fonti di energia: un magnetron o un amplificatore dello stato solido. Un magnetron è in grado di generare energia accelerando elettroni attraverso un campo elettromagnetico all’interno di una cavità di risonanza; la geometria della cavità determina la frequenza della radiazione prodotta. I magnetron si caratterizzano per una discreta efficienza, elevata potenza prodotta ( >10 kW ), elevata affidabilità e bassi costi. I generatori solid-state hanno un diverso meccanismo d’azione e generano potenza gradualmente; essi sono solitamente meno efficienti, producono potenze inferiori ( < 150 W ) e hanno costi più elevati, tuttavia, a differenza dei magnetron, sono di piccole dimensioni, maneggevoli e più facilmente controllabili.54 L’energia prodotta dal generatore deve poi essere veicolata fino all’antenna. Generalmente tale compito è affidato ad un cavo coassiale, costituito da tre strati concentrici: un conduttore interno, un materiale isolante e un conduttore esterno. Questo genere di cavo è sfruttato in vari settori grazie alla sua flessibilità, le sue 33 dimensioni compatte e le eccellenti caratteristiche di propagazione; nonostante i loro numerosi punti di forza, tuttavia, i cavi coassiali hanno una capacità piuttosto limitata di veicolare energia alle frequenze delle microonde; riducendo le dimensioni del cavo, anche la capacità di trasportare potenza diminuisce drasticamente e ciò limita la possibilità di utilizzare cavi sottili e flessibili. Si può utilizzare una singola antenna oppure più di una, tutte connesse al medesimo generatore; è stato provato che la simultanea attivazione di diversi applicatori è in grado di produrre aree di necrosi più estese ed uniformi, evitando la necessità di molteplici procedure per il trattamento di lesioni ampie. Diversamente dagli elettrodi utilizzati nelle ablazioni con radiofrequenze, le antenne sono in grado di liberare energia in virtù della loro stessa geometria e non necessitano pertanto di ulteriori elettrodi o di piastre di scarico. Sono state proposte diverse morfologie, tuttavia la maggior parte delle antenne attualmente in uso ha una struttura ad ago. Indipendentemente dalla forma, ogni antenna deve soddisfare alcuni requisiti: dovrebbe essere scarsamente invasiva, estremamente efficiente ed emettere radiazioni profondamente nei tessuti, così da creare ampie zone di riscaldamento attivo. Solitamente vengono valutati due parametri per descrivere la performance di un’antenna: 1- Il tasso di assorbimento specifico, definito anche pattern di riscaldamento; idealmente l’area riscaldata dovrebbe avere forma perfettamente sferica, ma la maggior parte delle antenne genera configurazioni ellissoidali o a goccia. La forma cambia a seconda della geometria dell’antenna e spesso aumentando l’invasività è possibile migliorare il pattern di riscaldamento; questo aspetto deve essere preso in considerazione soprattutto nelle procedure non percutanee in cui è consentito agire con maggiore invasività. 34 2- Il coefficiente di riflessione; minore è tale coefficiente, maggiore risulta la capacità dell’antenna di trasferire energia ai tessuti. Da un punto di vista clinico, la forma dell’antenna non rappresenta l’unico fattore che determina l’area finale di ablazione. I cambiamenti delle proprietà dei tessuti che si verificano durante la procedura tendono a modificare l’impedenza e dunque la capacità delle onde elettromagnetiche di propagarsi nei tessuti stessi; per tale motivo, la performance di un’antenna all’inizio di un’ablazione è spesso molto differente da quella che si ha alla fine. Inoltre, bisogna ricordare che anche il processo di conduzione termica dall’area di riscaldamento attivo, che è indipendente dalla geometria dell’antenna, svolge un ruolo significativo nella determinazione della zona finale di ablazione, soprattutto qualora la durata della procedura sia superiore a 6-7 minuti. Una delle principali variabili nelle ablazioni con microonde è costituita dal diametro dell’antenna: c’è una stretta relazione tra capacità di veicolare energia e invasività ed è risaputo che aumentare la potenza sia il modo più semplice per accrescere le dimensioni della zona ablata.55 Tuttavia quando la potenza aumenta, più calore si sviluppa nel manico dell’antenna e nel cavo d’alimentazione, con la conseguenza di ridurre la quantità di energia depositata nel tessuto e causare effetti collaterali, come l’ustione delle zone sane attraversate dall’elettrodo nel corso del suo inserimento. Per risolvere questo problema sono state pertanto ideate antenne internamente raffreddate, in modo da prevenire l’eccessivo surriscaldamento delle strutture d’alimentazione e aumentare la capacità di trasferire energia, permettendo così un minor numero di sessioni e minimizzando la complicanze. 35 Come accennato in precedenza, un’altra peculiarità del trattamento con microonde consiste nella possibilità di utilizzare contemporaneamente più antenne, tutte connesse al medesimo generatore; il simultaneo posizionamento di diverse antenne ha un effetto sinergico, migliore dunque dell’utilizzo sequenziale di più elettrodi. Un potenziale svantaggio dell’uso di più antenne risiede nel fatto che il volume ablato tende ad avere una configurazione non sferica;56 studi effettuati su animali hanno però dimostrato che il posizionamento degli applicatori a una distanza < 3 cm consente di ottenere zone di ablazione più confluenti e tendenti alla sfericità, dunque più efficaci.57 2.3 Applicazioni cliniche L’ablazione mediante microonde è stata applicata al fegato, rene, ghiandole surrenali, polmone e ossa. Le indicazioni cliniche sono le medesime riportate per altre terapie ablative, in particolare il trattamento di pazienti non candidati alla chirurgia; l’obiettivo terapeutico può essere curativo o palliativo: in quest’ultimo caso l’utilizzo delle microonde mira a ridurre la sintomatologia, soprattutto il dolore o il sanguinamento ricorrente. I tumori epatici, di cui si è ampiamente parlato in precedenza, costituiscono il principale campo di applicazione delle microonde. Gli studi finora realizzati sembrano dimostrare che tale tecnica rappresenti una valida opzione terapeutica, caratterizzandosi per elevata sicurezza, affidabilità, rapidità ed efficacia. In particolare, uno studio effettuato nel 2007 su un campione di 288 pazienti da Kuang et al. ha riportato sopravvivenze a 1, 2, 3, 4 e 5 anni rispettivamente del 93%, 82%, 72%, 63% e 51%,58 con ricorrenza della neoplasia 36 nell’8% dei pazienti. Interessante è anche il confronto con l’altra principale opzione terapeutica, ossia l’intervento chirurgico; uno studio di Yamanaka et al. ha messo a confronto 27 pazienti trattati con termoablazione e 23 sottoposti a resezione, dimostrando che il trattamento con microonde può consentire sopravvivenze a lungo termine comparabili con quelle dei soggetti epatectomizzati, con un tasso di complicanze significativamente inferiore.59 Il grado di differenziazione del tumore e l’indice di Child-Pugh si sono dimostrati importanti fattori prognostici per i soggetti con HCC.60 In generale, tale trattamento risulta ben tollerato dalla maggior parte dei pazienti epatopatici, ad eccezione di quelli con una funzionalità epatica fortemente compromessa. Le complicanze sono poco frequenti e solitamente di modesta entità; la loro incidenza tende ad aumentare in caso di un elevato numero di tumori, diametro dei noduli elevato e maggior numero di inserzioni dell’antenna. Ricercando in letteratura, finora venti studi hanno esaminato le complicanze associate a questa procedura per un totale di 995 pazienti; dolore e rialzo termico risultano un riscontro frequente ma privo di importanza clinica. Altre complicanze frequenti sono rappresentate da versamento pleurico, pneumotorace, ascesso epatico, emorragia, trombosi portale e ustioni cutanee; soltanto due casi di morte sono stati riportati in seguito a procedure di termoablazione con microonde, determinando un tasso di mortalità pari allo 0,002%.61 La valutazione dell’efficacia e della sicurezza di tale procedura sarà l’oggetto di questa tesi. 37 Fig 10 a: posizionamento antenna MW su lesione epatica (US + CEUS); b) US durante trattamento: effetto iperecogeno dopo 60 sec (casistica personale) a b Fig. 11 a: TC: 2 lesioni ipercaptanti in fase arteriosa al I e IV segmento (HCC). B: aree avascolari di necrosi dopo trattamento MW a 30 gg (casistica personale) Un crescente interesse è rivolto anche all’utilizzo di questa tecnica nel trattamento delle neoplasie polmonari. Esse costituiscono la principale causa di morte per cancro nel mondo, con una sopravvivenza media inferiore ad un anno dalla diagnosi nei pazienti non trattati. Attualmente la resezione chirurgica costituisce, come nel caso delle neoplasie epatiche, il trattamento di scelta, ma solo il 15% circa dei pazienti con tumore polmonare è candidato alla chirurgia. L’ablazione percutanea con microonde si presenta dunque come una valida opzione terapeutica, caratterizzandosi per un’elevata sicurezza, buona efficacia, scarsa invasività, bassi costi e ridotti tempi di ospedalizzazione rispetto ad una pneumonectomia convenzionale; essa non 38 rappresenta una terapia con soli fini palliativi, ma può essere utilizzata con intento curativo nei casi di neoplasia limitata, in stadio IA. Nonostante si tratti di una procedura moderatamente invasiva, un’attenta selezione dei pazienti risulta cruciale per ottenere risultati soddisfacenti e prevenire complicanze. Altri tumori che possono trarre beneficio da questo tipo di trattamento sono quelli renali, sia primitivi che metastatici; considerate la morbilità e la mortalità associate alla nefrectomia, sempre più spesso vengono cercate tecniche meno invasive per le neoplasie più piccole e a decorso indolente. L’ablazione percutanea con microonde offre l’indubbio vantaggio di consentire la distruzione di masse localizzate preservando il parenchima renale non interessato da malattia. Le stesse considerazioni possono essere fatte per i tumori surrenalici, che costituiscono un eterogeneo gruppo di neoplasie con un’ampia variabilità prognostica e terapeutica. Mentre gli adenomi benigni non funzionanti non richiedono solitamente alcun tipo di terapia, le neoplasie maligne primitive o metastatiche necessitano di un trattamento, generalmente chirurgico. L’ablazione con microonde potrebbe tuttavia rappresentare una valida alternativa soprattutto per quei pazienti non candidati alla chirurgia per difficoltà tecniche o per condizioni generali compromesse, con un minor tasso di mortalità e morbilità.63 Anche se i lavori finora pubblicati riguardano soprattutto modelli animali o studi clinici numericamente limitati, le termoablazioni sembrano garantire buoni risultati anche nel trattamento dei tumori ossei, in particolare di tipo secondario. Le metastasi ossee frequentemente si associano a complicanze quali dolore, fratture, difficoltà di movimento e riduzione delle capacità funzionali e dunque della qualità di vita del paziente.64 I trattamenti finora disponibili per i pazienti con secondarismi ossei sono 39 prevalentemente palliativi; nonostante la radioterapia rimanga l’opzione di scelta per questi soggetti, oltre il 30% dei pazienti trattati non trova sollievo dal dolore.65 Inoltre, coloro che manifestano nuovamente dolore in una sede precedentemente irradiata non sono candidati per un ulteriore radioterapia, a causa della limitata tolleranza dei tessuti a questo tipo di trattamento. Pertanto, le tecniche di termo ablazione percutanea stanno guadagnando consensi sempre maggiori come opzione terapeutica in pazienti con metastasi ossee sintomatiche. 2.4 Radiofrequenze versus microonde Come detto in precedenza, il trattamento mediante radiofrequenze è attualmente la modalità di termoablazione più diffusa, tuttavia l’utilizzo delle microonde sta andando incontro ad un successo sempre maggiore. Entrambe le modalità si sono rivelate sicure, efficaci e semplici da utilizzare; tuttavia, l’ablazione con microonde presentano alcuni vantaggi rispetto a quella attuata con radiofrequenza. ● Innanzitutto, le microonde garantiscono un’efficienza di riscaldamento nettamente superiore, ovvero una maggiore velocità di ablazione a parità di potenza immessa. Ciò discende dalla capacità delle microonde, cioè onde elettromagnetiche che si propagano attraverso un mezzo materiale - o anche attraverso il vuoto - alla velocità della luce, di agire direttamente e con ritardi di propagazione del tutto trascurabili su tutto il volume tessutale raggiunto dalla radiazione: l’effetto di riscaldamento dielettrico avviene, pertanto, simultaneamente su tutto il volume irradiato; non può dirsi lo stesso delle correnti RF, le quali scaldano direttamente per effetto Joule soltanto la zona immediatamente circostante l’elettrodo attivo, per poi diffonderne l’effetto 40 verso le regioni contigue in modo relativamente lento semplicemente in virtù della conduzione termica intra-tessutale. La conseguenza clinica immediata di tale maggiore velocità di riscaldamento delle microonde è duplice: da un lato, a parità di volume di necrosi desiderato, la durata del trattamento termoablativo si riduce drasticamente (meno della metà rispetto alle RF); dall’altro, diventa possibile contrastare assai più efficacemente l’effetto di drenaggio di calore (heat sinking) dovuto al transito di fluidi corporei che, nel caso delle RF, rende incerto il conseguimento di una necrosi coagulativa completa e omogenea in prossimità di grandi vasi sanguigni o dotti biliari: ciò rischia di compromettere l’esito terapeutico del trattamento e innalza la probabilità di recidive locali. L’uso delle microonde appare, pertanto, più affidabile anche in distretti anatomici particolarmente ostici per le RF. Considerando la ricca vascolarizzazione del fegato, è molto frequente che una neoplasia possa trovarsi in prossimità di un grosso vaso, con la conseguente perdita di efficacia del trattamento. Dal momento che l’azione di raffreddamento esercitata dal flusso sanguigno è più pronunciata nelle aree di riscaldamento conduttivo rispetto a quello attivo, le microonde dovrebbero risentire meno di tale effetto. ● La propagazione delle microonde nei tessuti risulta assai meno soggetta a vincoli e limitazioni di ordine fisico rispetto alle correnti RF, risultando in ablazioni più omogenee, più ripetibili ed in performance coagulative più uniformi su una ben più vasta varietà di tessuti (dai più grassi, ai più spugnosi e irregolari, fino ai tessuti ossei e alle fibre muscolari). Ciò discende dalla possibilità della radiazione a microonde di propagarsi anche attraverso il vuoto oppure mezzi materiali isolanti, contrariamente alle RF che s’incanalano di 41 preferenza lungo percorsi a bassa resistenza elettrica: ciò porta ad una distribuzione disomogenea delle linee di corrente - e quindi a una minore uniformità dell’associata figura di riscaldamento - a fronte di una marcata variabilità locale nella resistività dei tessuti. ● Mentre un elettrodo RF necessita di una piastra di dispersione applicata al paziente per il ritorno delle correnti, un applicatore a microonde è un’antenna (cioè, intrinsecamente, un bipolo) che non richiede altri dispositivi a chiusura del proprio circuito elettrico e che opera in modo massimamente localizzato nell’intorno della propria porzione attiva (a completa tutela di organi situati a distanza dalla zona candidata al trattamento ablativo, con minore stimolazione a largo raggio delle terminazioni nervose del paziente e senza impatto su pacemaker o altri dispositivi impiantati a rischio d’interferenza elettromagnetica). Vale la pena notare che l’applicazione sul paziente delle piastre di dispersione in uso coi sistemi RF, oltre a complicare la preparazione al trattamento, non è esente da rischi (esiste una certa possibilità di ustioni superficiali in caso di un’adesione imperfetta alla cute) ed introduce gradi di libertà relativi al posizionamento di difficile controllabilità ma con impatto non trascurabile sull’esito terapeutico (spostare le piastre, infatti, equivale a deviare le correnti iniettate nel corpo del paziente). ● L’impiego simultaneo di più applicatori RF è praticamente impossibile, visto che le correnti tenderebbero a chiudersi tra coppie di elettrodi vicini anziché fluire da ciascun elettrodo verso le piastre di dispersione. Ciò non accade con gli applicatori a microonde, che possono quindi essere utilizzati in contemporanea, o per ablare volumi tessutali di notevoli dimensioni oppure 42 per il trattamento di lesioni multifocali senza aggravio sulla durata complessiva dell’intervento. Diversi studi hanno messo a confronto queste due modalità di trattamento, ma finora nessuno è riuscito ad evidenziare la significativa superiorità di una rispetto all’altra. In particolare, uno studio retrospettivo realizzato da Ming-De Lu et al, valutando gli effetti locali del trattamento, le complicanze e i tassi di sopravvivenza, ha mostrato una sostanziale equivalenza delle due procedure.68 Diversamente, un altro studio (Ohmoto et al.) ha evidenziato una maggiore efficacia del trattamento con radiofrequenze, con tassi di ricorrenza locale significativamente più bassi e maggiori tassi di sopravvivenza.69 Bisogna tuttavia precisare che gli studi succitati sono stati condotti diversi anni orsono e non tengono dunque in considerazione i notevoli progressi realizzati negli ultimi tempi nella tecnica di ablazione con microonde. In conclusione, entrambe le tecniche si sono dimostrate efficaci e sicure nel trattamento dei tumori epatici; la termoablazione con microonde costituisce una modalità di trattamento promettente e presenta un’ ampia gamma di vantaggi teorici che tuttavia dovranno ancora essere dimostrati con ulteriori studi randomizzati. 43 CAPITOLO 3 SCOPO DELLA TESI Obiettivo dello studio è stato valutare l’efficacia e la sicurezza del trattamento di termoablazione mediante microonde di neoplasie epatiche primitive e secondarie. In particolare, è stata valutata la risposta al trattamento ablativo in termini di percentuale di necrosi, differenziando le lesioni in base all’istotipo e alle dimensioni, e le complicanze associate al trattamento. Ecografia basale: nodulo ipoecogeno al IV segm. (HCC in cirrosi epatica) CEUS: netta ipervascolarizzazione in fase arteriosa (HCC) Termoablazione con microonde: area iperecogena secondaria al gas prodotto durante il trattamento CEUS: ampia area avascolare di necrosi dopo il trattamento 44 CAPITOLO 4 MATERIALI E METODI 4.1 Pazienti Questo studio è stato condotto presso l'U.O.S. Di Epatologia Diagnostica ed Interventistica dell'U.O.C di Medicina di Este, ULSS17. Tra maggio 2009 e settembre 2010, 64 pazienti con 83 lesioni sono stati arruolati e sottoposti a procedura di termoablazione con microonde. Il gruppo di pazienti era costituito da 39 maschi e 25 femmine, con un’età media di 70 anni ± 3 ( range 41-87 anni ). Di questi, 44 erano affetti da epatocarcinoma, 16 da tumori metastatici e 4 da colangiocarcinoma. Tra i pazienti con HCC, 42 presentavano una sottostante epatopatia ad eziologia nota ( 27 HCV+, 5 HBV+, 7 esotossica, 3 coinfezione HBV+HCV ), i restanti hanno sviluppato la neoplasia su un substrato di cirrosi criptogenetica. 37 pazienti erano stati precedentemente sottoposti ad altri trattamenti ( 17 a RFTA, 11 a TACE, 2 a PEI e 7 a resezione epatica ) (Tab.2). Tutti i pazienti sono stati informati sulla natura del trattamento e hanno firmato un consenso a tal riguardo. Prima di essere sottoposti alla procedura, tutti i pazienti hanno eseguito una TC con mezzo di contrasto, una RM o una CEUS per valutare la sede e le dimensioni delle lesioni. Criteri di inclusione per il trattamento erano i seguenti: conta piastrinica > 50000/ mm², attività protrombinica > 50%, concentrazione della bilirubina totale < 3 mg/dl e indice di Child-Pugg ≤ B8. I pazienti con trombosi neoplastica della vena porta o metastasi extraepatiche sono stati esclusi. 45 Caratteristiche dei pazienti Età media 70 anni (range 41-87) Sesso M/F 39/25 • • • • • • Istotipo della neoplasia: HCC Colangiocarcinoma Metastasi da Ca colon Metastasi da Ca mammario Metastasi da Ca gastrico Altro 44 4 11 3 1 1 • • • • • • Comorbidità: Ipertensione Diabete mellito Coagulopatie Pregresso IMA Pneumopatie Aritmie 25 12 5 4 3 3 • • • • Trattamento pregresso: RFTA TACE PEI Resezione epatica 17 11 2 7 Tab. 2 - Caratteristiche dei pazienti Diametro delle lesioni: tra 8 e 73 mm ( media 26,63 mm ). La conferma istologica delle lesioni è stata ottenuta in 32 pazienti attraverso una biopsia percutanea eseguita con FNAB con ago Menghini modificato di 21 G. CEUS (fase arteriosa) HCC 10 mm lobo sin Ecografia basale. Metastasi 25 mm VII seg. Ecografia basale. Colangiocarcinoma 20 mm V seg. 46 Le lesioni erano variamente distribuite nei diversi segmenti epatici (Tab. 3) Caratteristiche delle lesioni Diametro medio 26.63 mm (range 10-73) • • • • • • Istotipo HCC Colangiocarcinoma Metastasi da ca colon Metastasi da ca mammario Metastasi da ca gastrico Altro 53 5 12 7 5 1 • • • • • • • • • • • • Sede segmento I II II-III III IV V VI VI-VII VII VIII V-VIII Lobo dx 1 2 2 4 9 15 7 4 24 15 1 1 Tab. 3 - Caratteristiche delle lesioni 4.2 Tecnica La termoablazione è stata eseguita per via percutanea sotto guida ecografica. L’apparecchio ecografico utilizzato: Hitachi Preirus con sonda convex multi-frequency 3.5-5 Mhz cui veniva agganciato un dispositivo guida per procedure operative. 47 Il sistema di ablazione utilizzato è stato l’ HS AMICA Microwave coagulation system. Il generatore è in grado di produrre fino a 80 W di potenza. Ogni generatore era connesso ad un’ antenna mediante un cavo coassiale. Le antenne erano caratterizzate da dipolo asimmetrico e carico capacitivo in punta, provviste di un trasformatore di impedenza a quarto d’onda miniaturizzato per l’intrappolamento delle onde riflesse (mini-choke). Per quanto riguarda le dimensioni, si sono utilizzate antenne di diversi diametri: 69 lesioni (83%) sono state trattate con antenne di 14 G, 24 ( 17% ) con antenne di 16 G. La scelta dell'antenna avveniva in base alle dimensioni della neoplasia da trattare preferendo il device di minor calibro per noduli < 2 cm. Il numero di inserzioni dell’applicatore è stato variabile da 1 a 3, a seconda della dimensioni delle tumore. Le lesioni sono state trattate in 53 casi mediante un approccio intercostale, nei restanti 30 casi tramite un accesso sottocostale. Il trattamento di 9 lesioni è stato completato in fase intraprocedurale con PEI. La durata media del trattamento è stata di 14 minuti (range 2-50 minuti, DS 8,1 minuti). Tutti i pazienti sono stati sottoposti ad anestesia; data la breve durata delle procedure, è stata scelta una sedazione profonda, utilizzando Propofol associato a Fentanil con respiro spontaneo in O2 in maschera. Il dosaggio di mantenimento è stato somministrato in base ai valori di pressione arteriosa, pulsazioni, saturazione e tracciato elettrocardiografico. Immediatamente dopo la procedura i pazienti hanno ripreso conoscenza. 48 4.3 Analisi statistica Le analisi sono state espletate applicando metodi di statistica descrittiva. In particolare, trattandosi di variabili discrete o discretizzabili i risultati sono stati espressi in termini di distribuzioni di frequenza. 49 CAPITOLO 5 RISULTATI 5.1 Risposta al trattamento Delle 83 lesioni termoablate, 74 sono state sottoposte a rivalutazione dopo un periodo di 40 ±10 giorni dal trattamento. La rivalutazione è stata effettuata in 58 casi mediante una TC con mezzo di contrasto, in 9 casi mediante CEUS e nei rimanenti 7 casi con una Risonanza Magnetica. Una necrosi completa è stata riscontrata in 66 lesioni (89.2%), parziale > 90% in 4 lesioni (5.4%), parziale > 50% in 4 (5.4%) Risposta complessiva 5,40% 5,40% Completa 89,20% Parziale >90% Parziale >50% 50 5.2 Risposta al trattamento in relazione all’istotipo della neoplasia: Le 53 lesioni con primitività epatica trattate sono state tutte rivalutate. In 46 casi (86.8%) è stata ottenuta una necrosi completa, in 5 casi una risposta parziale > 90% (9,4%) e nei rimanenti 2 casi una risposta parziale > 50% (3,8%). Per quanto riguarda le neoplasie di natura secondaria e i colangiocarcinomi, sono state trattate 30 lesioni, di cui 21 rivalutate. Le risposte complete sono state 13 (62%), quelle parziali >90%: 5 (23,8%), quelle parziali > 50%: 2 (9,5%) e in 1 caso (4,7%) la necrosi è stata < 50%. Risposta in base all'istotipo: Risposta in base all'istotipo: HCC Metastasi e colangiocarcinomi 9,40% 3,80% Completa 9,50% 4,70% Completa 86,80% Parziale > 90% Parziale >50% Parziale > 90% 62% Parziale > 50% Incompleta 23,80% Incompleta Parziale >50% Metastasi HCC Parziale >90% Completa 0,00% 20,00% 40,00% 60,00% 80,00% 100,00% 51 5.3 Risposta in relazione alle dimensioni: Si sono suddivise le lesioni in tre categorie, in base al diametro maggiore misurato alla diagnosi; secondo i riconosciuti criteri si definiscono tumori “piccoli” quelli con diametro < 3 cm, “intermedi” tra 3 cm e 5 cm, “grandi” > 5 cm. Sono state trattate 54 lesioni ≤ 3 cm, di cui 50 rivalutate. Le risposte sono state le seguenti: necrosi completa in 45 lesioni (90%), parziale > 90% in 3 (6%), parziale > 50% in 2 (4%). Delle 25 lesioni di diametro > 3 cm e ≤ 5 cm, 19 sono state rivalutate; 15 sono andate incontro a necrosi completa ( 78.9% ), 3 a necrosi parziale > 90% ( 15.8% ) e 1 a necrosi parziale > 50% ( 5.3% ). Delle 4 lesioni > 5 cm, 1 ha risposto in modo completo (25%), due in modo parziale con necrosi > 90% (50%) e 1 parziale > 50% (25%). Risposta in base alle dimensioni: >3cm e ≤5cm Risposta in base alle dimensioni: ≤ 3 cm 6,00% 4,00% Completa Completa 6,70% 13,30% Parziale > 90% Parziale >90% Parziale > 50% 80% 90,00% Parziale >50% Risposta in base alle dimensioni: >5cm 25% Completa 25% Parziale > 90% 50% Parziale > 50% 52 Se nell’ambito delle varie categorie dimensionali si fa un’ulteriore distinzione in base all’istotipo i risultati diventano i seguenti: in caso di HCC ≤ 3 cm le risposte complete sono state 22 su 24 lesioni rivalutate (91,6%), le risposte parziali > 90% sono state 2 (8,4%). Nelle lesioni di diametro > 3 e ≤ 5 cm le risposte sono state le seguenti: 10 risposte complete (83,4%), una risposta parziale > 90% (8,3%), una risposta parziale > 50% (8,3%). Le lesioni > 5 cm trattate erano 3, di cui una è andata incontro a necrosi completa, una a necrosi parziale > 90% e un’altra parziale > 50%. Per quanto riguarda le neoplasie secondarie, nelle lesioni ≤ 3 cm, su 15 lesioni rivalutate si sono riscontrate 10 risposte complete (66,6%), 3 risposte parziali > 90% (20%), una risposta > 50% (6,7%) e una risposta incompleta < 50% (6,7%). Nelle 3 neoplasie di medie dimensioni si sono registrate 2 risposte complete (66,7%) e una parziale > 90% (33,3%). Soltanto una lesione di dimensioni > 5 cm è stata trattata, ottenendo una risposta parziale > 90%. 5.4 Complicanze: Complicanze si sono verificate nell’ambito del trattamento di 10 lesioni (12%) (tab4.). In 4 casi (4,8% sul totale delle lesioni) si è trattato di complicanze maggiori, ossia condizioni che hanno necessitato di particolari trattamenti con conseguente prolungamento dell’ospedalizzazione; nei restanti 6 casi (8,4%) sono state complicanze minori. Un paziente ha sviluppato un ascesso epatico, che è stato trattato con successo con una terapia antibiotica. In 2 casi si sono verificati dei versamenti emorragici in cavità peritoneale, risoltisi senza necessità di intervento chirurgico. In 1 paziente si è formato un biloma. Più comuni sono state le complicanze minori: 4 versamenti pleurici, di cui soltanto uno ha richiesto l’esecuzione di una toracentesi evacuativa, e 2 complicanze di tipo 53 tecnico, che non hanno comportato alcun danno alla salute dei pazienti; in un caso si è verificata la rottura del sistema idraulico dell’ antenna con conseguente interruzione del trattamento prima del suo completamento, mentre in 1 caso la punta dell’antenna si è distaccata al momento della sua estrazione, rimanendo nel tessuto sottocutaneo. Questo paziente è stato immediatamente sottoposto a TC addominale per verificare la posizione del corpo estraneo ma non ha dovuto subire alcun trattamento, essendo l’antenna realizzata in materiale biocompatibile. Complicanze Maggiori: 4 • Ascesso epatico (1) • Emoperitoneo (2) • Biloma (1) Minori: 6 • Versamento pleurico dx (4) • Problemi tecnici (2) o Rottura sistema idraulico antenna o Rottura punta antenna Tab. 4 – Complicanze osservate Punta dell’antenna MW nel sottocutaneo (freccia) dopo rottura. 54 CAPITOLO 6 DISCUSSIONE L’ablazione con microonde sta diventando sempre più popolare nel trattamento delle neoplasie epatiche e, come conferma questo studio, si sta dimostrando una procedura sicura ed efficace. Essa consente di ottenere buoni risultati soprattutto nelle neoplasie primitive del fegato ma si è rivelata utile anche nel trattamento dei tumori metastatici. In letteratura molti sono i dati che documentano l’efficacia della termoablazione in particolare per HCC di piccole dimensioni.70-75; con i successivi miglioramenti dei dispositivi e della tecnica, la termoablazione ha dimostrato anche una promettente capacità nel trattamento di lesioni fino a 5 cm. Per la sopravvivenza a lungo termine di pazienti trattati con RFA, Lencioni et al 76 riportato un tasso di sopravvivenza a 2 anni di 98% per 52 pazienti con HCC di misura < 5 cm. Lin et al77 raggiunto un tasso di sopravvivenza a 3 anni del 74% per 50 pazienti con HCC di misura <4 cm. Recentemente, Chen et al78 trattati 71 pazienti con HCC solitario < 5 cm con RFA, e ha ottenuto un tasso di sopravvivenza a 3 anni del 71%. Xiao-Yu Yin et al79 riportano tassi di sopravvivenza globale del 76%, 47%, Il 31% e del 15%, per HCC tra 3 e 7 cm rispettivamente ad 1, 2 3, 5 anni. Gli stessi autori all’analisi uni e multivariata hanno dimostrato che necrosi incomplete dopo termoablablazione, ricorrenza dopo resezione epatica e livello basale di AFP > 200 ng/ml erano 3 fattori prognostici indipendenti sfavorevoli per la sopravvivenza a lungo termine. 55 Tra questi, la completezza dell’ablazione è risultato il più importante fattore prognostico. Stesso dato viene riportato da Sala et al80: nei pazienti con HCC trattati con PEI, RFA o TACE + PEI la completezza dell’ablazione è stata associata con una migliore sopravvivenza a lungo termine. Infine le dimensioni del tumore influiscono sull’esito del trattamento81,82: la termoablazione di tumori di grandi dimensioni ha un’elevata possibilità di essere incompleta e di conseguenza un’influenza negativa a lungo termine per un ridotto intervallo disease free. In tal senso, particolarmente interessante tra i risultati della nostra casistica è stata la risposta alla termoablazione in relazione alle dimensioni della neoplasia: diversamente da ciò che dimostravano i primi studi realizzati su tale metodica, l’ablazione con microonde si è rivelata molto efficace anche in caso di lesioni > 3 cm, con una risposta completa ottenuta in circa l’80% dei casi; nel caso di epatocarcinomi di diametro compreso tra 3 e 5 cm, in particolare, si è superato l’83% di necrosi complete. Le lesioni di grandi dimensioni, > 5 cm, sono state poco numerose, pertanto non è possibile stabilire l’effettiva efficacia del trattamento in questi casi, che, comunque, non appare ottimale. Anche la sicurezza sembra essere una caratteristica di questo tipo di trattamento: le complicanze sono state infatti poco numerose e prevalentemente di scarsa rilevanza clinica; tali risultati sono dunque in linea con quelli già presenti in letteratura. E’ giusto sottolineare che questo studio presenta dei limiti, costituiti soprattutto dalla brevità del follow up e dal numero piuttosto limitato dei pazienti trattati. In particolare, il periodo medio di follow up, che è di circa nove mesi, non ci ha consentito di trarre 56 conclusioni sull’utilità del trattamento in termini di sopravvivenza. Possiamo affermare che in base alla nostra esperienza tale tipo di trattamento sembra offrire buoni risultati in termini di efficacia e sicurezza; apparentemente ottima l’efficacia anche nei noduli di medio-grandi dimensioni. Sarà necessario continuare il monitoraggio dei pazienti in modo da poter prendere in considerazione altri parametri fondamentali per stabilire l’effettiva efficacia di tale procedura, valutando l’overall survival e la disease free survival (minor heat sink effect?). In conclusione la termoablazione con microonde, pur non potendo essere considerata la panacea per i tumori del fegato, deve essere tenuta in conto come un’utile opzione terapeutica, soprattutto nelle situazioni in cui l’intervento chirurgico non è realizzabile. . 57 BIBLIOGRAFIA 1. 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