Capitolo 7 La Rivoluzione francese Nel 1789 la Francia fu teatro di una rivoluzione di straordinaria importanza storica, che segnò la fine della sovranità dei re e l’inizio della sovranità dei popoli. Per l’ampiezza delle forze che mise in movimento e il valore universale delle idee a cui diede vita – la libertà, l’uguaglianza dei diritti, la democrazia – la Rivoluzione francese è considerata uno degli avvenimenti di maggiore significato nella formazione del mondo contemporaneo. Un tap per aprire la cronologia 7.1 Una monarchia distante, un paese inascoltato. La società di ancien régime Rapporti di forza tra nobiltà e monarchia Negli ultimi decenni del Settecento la Francia era un paese in difficoltà. La politica assolutista di Luigi XIV[cfr. 1.4] aveva creato una scollatura fra il governo e il paese e dopo la sua morte, nel 1715, la monarchia aveva perso prestigio e il potere nobiliare si era di nuovo consolidato. Il suo successore, il pronipote Luigi XV, salito al trono ancora minorenne, regnò per oltre mezzo secolo (fino al 1774) ma non ebbe la forza di combattere i privilegi dei nobili. Si creò dunque una situazione di stallo, che impediva di attuare qualsiasi riforma, in un momento in cui la grave crisi finanziaria (dovuta principalmente alle spese enormi sostenute per i conflitti bellici) avrebbe reso indispensabile assoggettare alle imposte anche la nobiltà e il clero, che tradizionalmente ne erano esenti. Un paese bloccato Per certi aspetti, la Francia era uno degli Stati europei più evoluti: l’agricoltura era fiorente, nuove industrie erano sorte nel campo tessile, metallurgico, navale. Il contrasto fra dinamismo economico e immobilismo politico era clamoroso, e su tale situazione il dibattito era acceso: il pensiero illuminista e la critica politica diffondevano la consapevolezza che il sistema di governo era inadeguato alle necessità del paese ed era quantomai urgente una riforma fiscale. La situazione si aggravò quando salì al trono Luigi XVI (1774-93), un sovrano debole, incerto, che per giunta si trovò a dover fronteggiare una grave carestia (seguita da una serie di rivolte contadine) e un ulteriore aumento delle spese pubbliche, per l’appoggio militare dato dalla Francia alla ribellione dei coloni americani contro la madrepatria inglese [cfr. 6.3]. La convocazione degli Stati generali Luigi XVI cercò di istituire un’imposta straordinaria da applicare a tutti i proprietari terrieri, ma il progetto fu bloccato dagli interessi di aristocratici ed ecclesiastici, decisi a conservare i propri privilegi. Il re decise allora la convocazione degli Stati generali, l’organo di rappresentanza dei tre “stati” sociali ufficialmente riconosciuti: Louis-Charles-Auguste Couder, nobili, clero e il cosiddetto “terzo stato” (comprendente tutte le altre Apertura degli Stati generali il 5 categorie sociali). Egli pensava di affidare all’assemblea, che non si maggio 1789 era più riunita dal 1614, la discussione di una riforma fiscale che non soltanto le borghesie cittadine, ma anche la parte più avanzata della nobiltà, di orientamento liberale e sensibile al modello parlamentare inglese, ritenevano non più rimandabile. I tre “ordini” sociali La suddivisione della società in tre “stati” risaliva a uno schema sociologico elaborato durante il Medioevo, la teoria dei tre “ordini” (ordines) che svolgevano funzioni diverse a vantaggio di tutti: i guerrieri (bellatores) assicuravano la difesa e il governo della società, i sacerdoti (oratores) pensavano alla preghiera e al culto, i contadini (laboratores) a produrre i beni di Distribuzione della popolazione nei tre stati sussistenza [cfr. vol. 1, 1]. Nella Francia del XVIII secolo,il primo stato comprendeva i nobili: circa 350.000 persone nel 1780, che possedevano gran parte delle terre (un quarto dell’intero paese) e godevano di molti privilegi: totalmente esenti dalle imposte statali, nei loro possessi riscuotevano tasse di vario genere derivanti dagli usi feudali ed esercitavano le funzioni giudiziarie. Il secondo stato era costituito dai religiosi: circa 120.000 persone nel 1780, anch’essi esenti dalle imposte e autorizzati a riscuotere dalla popolazione uno speciale tributo chiamato “decima” perché calcolato sulla decima parte dei redditi (frutti della terra e degli animali). Il terzo stato era costituito da tutte le altre categorie sociali: la più numerosa era quella dei contadini, circa 20 milioni su una popolazione di 25 milioni, fra medi e piccoli proprietari, affittuari e braccianti. Su di essi gravavano i carichi più pesanti, dalle imposte del re agli innumerevoli diritti dei nobili, alle decime dovute al clero. Al “terzo stato” appartenevano inoltre le molteplici categorie della nuova borghesia urbana, differenziata in molteplici attività: operai, artigiani, bottegai, impiegati, farmacisti, medici, commercianti, avvocati, notai, banchieri, funzionari di Stato. Modalità di rappresentanza Questo schema ideale di società era ormai obsoleto, soprattutto perché il “terzo stato” si era, nei secoli, articolato e differenziato. Ma esso determinava ancora le modalità di rappresentanza politica: nell’assemblea degli Stati generali si votava “per stati” e i due gruppi privilegiati erano sempre sicuri di far prevalere i propri interessi. La nobiltà e il clero, votando insieme, prevalevano regolarmente sull’unico voto del “terzo stato”. Per indicare quel vecchio modello di assetto sociale, politico, economico fu coniata alla fine del Settecento l’espressione ancien régime, ‘antico regime’, ben presto adottata in tutta Europa per indicare analoghe situazioni, e la volontà di cambiarle. Il clero e la nobiltà sulle spalle del terzo stato, 1789 DOCUMENTI Rimostranze e richieste Per approfondire Dal Medioevo al Settecento, i tre stati della società 7.2 Gli Stati generali e l’inizio della rivoluzione L’Assemblea nazionale del terzo stato Gli Stati generali si riunirono a Versailles il 5 maggio 1789. Sin dalle prime sedute gli avvenimenti presero un andamento contrario alle aspettative degli aristocratici: il “terzo stato” dichiarò di non accettare il tradizionale sistema di votazione “per stati” e propose che si votasse “per testa”, cioè che ogni deputato disponesse di un voto individuale. Accogliendo questa regola, il “terzo stato” avrebbe avuto la maggioranza in quanto contava 600 deputati, contro i 550 Il risveglio del terzo stato. Luglio degli altri due “stati” messi insieme. Pro e contro la proposta 1789 sorsero discussioni accanite, fino a quando, il 17 giugno, il “terzo stato” decise di separarsi dagli altri e di proclamarsi Assemblea nazionale, con o senza la partecipazione dei nobili e del clero. Con quel gesto di sfida contro il re e gli ordini privilegiati, il “terzo stato” compì il primo atto di rottura che segnò l’avvio del movimento rivoluzionario. Il sovrano cercò di impedire al “terzo stato” di riunirsi ancora e fece chiudere la sala delle sedute. Ma i delegati, fermi nel loro proposito, si radunarono in una sala attigua, una palestra adibita al gioco della pallacorda (una specie di pallavolo) e qui giurarono di rimanere uniti per preparare il testo di una Costituzione. Il re finì per cedere e invitò i nobili e il clero a prendere parte anch’essi ai lavori dell’assemblea, che, secondo il nuovo corso impresso dal “terzo stato”, aveva ormai cambiato nome e scopo. Non più Stati generali, convocati dal monarca con funzioni consultive in materia fiscale, ma un’Assemblea nazionale costituente volta a dare una Costituzione alla Francia e che avrebbe sostituito la monarchia assoluta con una monarchia costituzionale. Alla Bastiglia! Di fronte a questi avvenimenti, i consiglieri più intransigenti del re tentarono un colpo di mano e fecero concentrare truppe intorno a Parigi, per ristabilire la piena autorità regia nei confronti dell’Assemblea. L’intervento dei militari scatenò il furore del popolo. Una folla si impadronì di fucili e cannoni nella caserma detta “degli Invalidi” e assalì la Bastiglia, la fortezza in cui erano Jean-Pierre-Louis-Laurent Houel, rinchiusi i carcerati, occupandola e liberando i prigionieri. presa della Bastiglia il 14 luglio Era il 14 luglio 1789, data che dal 1880 la Francia celebra come La 1789, fine XVIII sec. festa nazionale. La presa della Bastiglia acquistò un valore di simbolo, rappresentò agli occhi dei cittadini la vittoria della libertà contro la tirannide. A Parigi si formò un nuovo Consiglio municipale, costituito di membri non più di nomina regia ma eletti dal popolo, e contemporaneamente fu istituita a presidio della rivoluzione una forza armata di volontari, detta Guardia nazionale, comandata dal marchese Marie-Joseph de La Fayette (1757-1834). La fine del regime feudale Da Parigi il moto rivoluzionario si estese alle province: in molte città si formarono municipalità di cittadini eletti e corpi di Guardie nazionali. Tra luglio e agosto del 1789 (una fase della rivoluzione ricordata come la “Grande paura”), i contadini assalirono i castelli dei nobili, distruggendo gli archivi e dando alle fiamme le carte su cui erano registrati i diritti feudali e i privilegi nobiliari. Sotto la pressione di questo moto popolare, l’Assemblea nazionale decretò l’abolizione del “regime feudale”, espressione con cui si intendeva l’insieme dei diritti esercitati dai nobili a scapito dei contadini. L’Assemblea stabilì inoltre l’abolizione di tutti i privilegi, compresi quelli fiscali. Il 26 agosto 1789 fu approvata la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino, ispirata alle idee dell’Illuminismo e ai princìpi di libertà e uguaglianza, secondo il modello della Dichiarazione di indipendenza americana [cfr. 6.3]. La Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino, 26 agosto 1789 LE VIE DELLA CITTADINANZA I diritti dell’uomo e del cittadino 7.3 I gruppi d’opinione e i provvedimenti dell’Assemblea costituente Sinistra e cordiglieri, giacobini, girondini I lavori dell’Assemblea costituente durarono circa due anni, nel corso dei quali incominciarono a delinearsi correnti politiche diverse, che si manifestavano anche nella diversa posizione dei seggi occupati in aula dai deputati. A sinistra rispetto alla presidenza sedevano i gruppi di idee più avanzate: cordiglieri, giacobini, girondini. I cordiglieri (così chiamati dal luogo in cui si riunivano, l’ex Un’assemblea giacobina nel convento dei francescani conventuali, detti Cordeliers) erano il gennaio 1792 gruppo che più accesamente sosteneva i princìpi della rivoluzione; vi aderivano soprattutto i ceti popolari, artigiani, operai, bottegai, piccoli commercianti; i leader più in vista erano i giovani avvocati Georges-Jacques Danton (1759-1794) e Camille Desmoulins (1760-1794), il medico Jean-Paul Marat (1743-1793), il giornalista Jacques-René Hébert (17571794). I giacobini (che derivavano il nome dalla loro sede, l’ex convento dei frati domenicani dedicato a san Giacomo e detto dei Jacobins) rappresentavano numerosi gruppi della media e alta borghesia; erano il gruppo meglio organizzato, che per certi aspetti prefigurava la struttura dei moderni partiti politici. Fra i membri di maggior prestigio si segnalavano gli avvocati Maximilien Robespierre (1758-1794) e Jacques-Pierre Brissot (1754-1793). Quest’ultimo diventò in seguito il leader dei girondini, un gruppo interno all’organizzazione giacobina, così chiamati perché provenienti in gran parte dal dipartimento della Gironda. Destra e foglianti, centro e pianura La destra dell’Assemblea era occupata dai foglianti (l’abate di Feuillant era il fondatore del monastero in cui il gruppo aveva sede). Di saldi princìpi monarchici, provenivano per la maggior parte dalla borghesia agiata. Al centro sedeva il gruppo più numeroso, privo di forti riferimenti ideologici, persone di diversa estrazione sociale che di volta in volta appoggiavano l’una o l’altra proposta, secondo le circostanze e le opportunità. Erano chiamati pianura o anche, in tono dispregiativo, palude. La separazione dei poteri e la riforma elettorale Benché di tendenze politiche diverse e talvolta contrastanti, i deputati dell’Assemblea furono tutti d’accordo su un punto: il nuovo Stato doveva essere una monarchia costituzionale di tipo inglese, nella quale i tre poteri – esecutivo, legislativo e giudiziario – fossero chiaramente separati. Molto dibattuto fu il problema del diritto di voto: una parte proponeva di estenderlo a tutti i cittadini (limitatamente agli uomini: in Francia, come in Italia, il suffragio universale esteso a uomini e donne fu acquisito solo nel 1946), altri pensavano che dovesse essere riservato ai benestanti. Fu questa la proposta che prevalse, per cui alla fine i cittadini con diritto di voto risultarono circa 4 milioni. La vendita dei beni ecclesiastici Per far fronte all’annoso problema dell’indebitamento dello Stato, l’Assemblea costituente prese un provvedimento straordinario: espropriare i beni del clero, un patrimonio fondiario di grande valore (il 10% del territorio nazionale) e venderli a privati. Il provvedimento in realtà non riuscì a colmare il debito pubblico, ma ebbe conseguenze politiche e sociali di enorme rilievo. Infatti, coloro che avevano Il prete al torchio, fine XVIII sec. comprato una porzione dei beni ecclesiastici – per lo più borghesi e agricoltori – si legarono strettamente alle sorti della rivoluzione e la sostennero, da allora in poi, con decisione: da essa beneficiati, furono disposti a qualsiasi sforzo pur di non consentire un ritorno al vecchio regime. Fu poi approvata la Costituzione civile del clero: gli ecclesiastici, se volevano continuare a praticare la loro attività, diventavano funzionari dello Stato, a cui dovevano giurare fedeltà; gli ordini religiosi furono aboliti, tranne quelli impegnati in opere di assistenza sociale. Provvedimenti simili erano già stati presi in altri Stati, particolarmente in Russia e nell’Austria asburgica. Solo in Francia, tuttavia, essi furono praticati in modo sistematico, accompagnati da una massiccia propaganda anticlericale. 7.4 La Costituzione del 1791 e la fine della monarchia assoluta La fuga del re Gli sviluppi del movimento rivoluzionario spinsero molti nobili ad abbandonare la Francia. Lo stesso re, sollecitato dalla parte più conservatrice della nobiltà e dalla moglie Maria Antonietta (1774-93), controrivoluzionaria convinta, il 20 giugno 1791 abbandonò Parigi per rifugiarsi con la famiglia in Lorena, al confine orientale della Francia, dove si era raccolta gran parte dei nobili emigrati. Ma a Varennes, presso la frontiera belga, fu riconosciuto e riportato a Parigi sotto scorta armata. La monarchia costituzionale Nel settembre 1791 l’Assemblea approvò la Costituzione, con la quale la Francia ebbe una nuova forma di governo: monarchia non più assoluta ma costituzionale; da quel momento il re doveva condividere il potere con i rappresentanti del popolo. Al sovrano spettava il potere esecutivo, all’assemblea dei rappresentanti del popolo il potere legislativo, ai giudici il potere giudiziario. In tal modo era attuato il principio della separazione dei poteri teorizzata da Montesquieu, già messo in pratica negli Stati Uniti d’America [cfr. 6.3]. Al tempo stesso fu Il decentramento amministrativo: i dipartimenti francesi nel 1790 riconosciuto il principio della sovranità popolare sostenuto da Rousseau [cfr. 4.2]: infatti, sia i membri dell’Assemblea legislativa sia i giudici non erano nominati dal re, ma eletti dal popolo. L’Assemblea procedette a una generale riforma delle strutture amministrative dello Stato. La Francia fu suddivisa in 83 dipartimenti, sostituendo il principio del decentramento a quello dell’accentramento, perseguito dalla monarchia assoluta. Il 1° ottobre 1791 fu convocata l’Assemblea legislativa, il primo Parlamento della Francia costituzionale. Discussione storiografica Aspetti economici e sociali della Rivoluzione francese Sintesi La Rivoluzione francese Una monarchia distante, un paese inascoltato. La società di ancien régime ➚ Alla fine del XVIII secolo in Francia il potere del re perse prestigio a vantaggio di quello nobiliare. Dopo un periodo di reggenza, nel 1723 divenne re Luigi XV, che cercò di riaffermare l’assolutismo ma senza intaccare i privilegi dei nobili e del clero, tradizionalmente esentati dalle tasse mentre era in atto una grave crisi finanziaria. Vi era un forte contrasto tra dinamismo economico e immobilismo sociale e politico. Luigi XVI (1774-93) tentò di istituire un’imposta fondiaria, bocciata dai nobili, arroccati a difesa dei propri interessi. Si arrivò così alla convocazione degli Stati generali, l’assemblea di rappresentanza degli ordini sociali, con l’obiettivo di discutere una riforma fiscale. Quella francese era una società tripartita, secondo uno schema nato nel Medioevo: vi erano i nobili (primo stato), il clero (secondo stato) e il terzo stato comprendente tutte le altre categorie sociali: i contadini, numerosissimi e gravati dagli oneri più pesanti, e la borghesia urbana. Negli Stati generali prevaleva sempre la difesa degli interessi di clero e nobiltà, in quanto si votava non per persona ma per stati, il che metteva regolarmente in minoranza il terzo stato. Era un modello sociale obsoleto, che sarà indicato come ancien régime. Gli Stati generali e l’inizio della rivoluzione ➚ Gli Stati generali si riunirono a Versailles il 5 maggio 1789 e subito il terzo stato si oppose al voto “per stati”, reclamando il voto “per testa”. Di fronte alle resistenze del re e dei due ordini privilegiati, il 17 giugno il terzo stato si proclamò Assemblea nazionale, affermando di agire in nome della maggioranza dei francesi e separandosi dagli altri stati. I delegati, riuniti nella stanza detta “della Pallacorda”, giurarono di non separarsi se non dopo l’approvazione di una nuova Costituzione. Era nata l’Assemblea nazionale costituente, che aveva come fine l’instaurazione di una monarchia costituzionale. Il re, per tutta risposta, concentrò truppe attorno a Parigi. Il 14 luglio 1789 il popolo parigino assalì la fortezza della Bastiglia, dando inizio alla rivoluzione. A Parigi il governo fu assunto da un Consiglio municipale elettivo, mentre la difesa fu affidata alla Guardia nazionale, composta da volontari. La rivoluzione si estese da Parigi alle province. I contadini assalirono i castelli dei nobili, molti dei quali fuggirono, e diedero alle fiamme le carte che registravano i diritti feudali. L’Assemblea nazionale decise pertanto l’abolizione del regime feudale, dei diritti esercitati dai nobili sui contadini e dei privilegi fiscali di nobiltà e clero; fu approvata la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino, di ispirazione illuminista, basata sulle idee di libertà e uguaglianza. I gruppi d’opinione e i provvedimenti dell’Assemblea costituente ➚ Durante i lavori dell’Assemblea si delinearono diverse correnti politiche, indicate in base ai posti dei seggi occupati. A sinistra vi erano i cordiglieri, di idee rivoluzionarie radicali; i giacobini, appartenenti alla borghesia media e alta e organizzati in società affiliate; i girondini, interni ai giacobini. A destra vi erano i foglianti, monarchici provenienti dall’alta borghesia. Al centro un vasto gruppo (pianura o palude) che appoggiava di volta in volta le proposte meglio rispondenti ai propri interessi. I diversi gruppi erano però uniti nel sostenere una monarchia costituzionale basata sulla separazione dei poteri. Si discusse molto sul diritto di voto, che fu infine attribuito ai cittadini benestanti. L’Assemblea si impegnò per risolvere il problema dell’indebitamento dello Stato, tramite l’espropriazione dei beni del clero che furono messi in vendita. Questo provvedimento non riuscì a colmare il debito pubblico, ma ebbe grande rilievo sul piano sociale. Coloro che avevano acquistato beni ecclesiastici, in prevalenza borghesi e agricoltori, si legarono strettamente alle sorti della rivoluzione, per difendere i beni acquistati. Fu poi approvata la Costituzione civile del clero: gli ecclesiastici dovevano giurare fedeltà allo Stato, che si faceva carico del loro mantenimento; gli ordini religiosi furono aboliti, tranne quelli impegnati in opere di assistenza sociale. La Costituzione del 1791 e la fine della monarchia assoluta ➚ Molti nobili abbandonarono la Francia; così tentò di fare anche il re (20 giugno 1791) che fu però riconosciuto e ricondotto a Parigi. Nel settembre 1791 fu approvata la nuova Costituzione, che disegnava una monarchia costituzionale fondata sulla separazione dei poteri e sulla sovranità popolare. Il re dava esecuzione alle leggi, l’assemblea dei rappresentanti le votava, i giudici le facevano rispettare. I componenti dell’Assemblea legislativa e i giudici erano eletti dal popolo. Fu riformata la struttura amministrativa dello Stato, diviso in dipartimenti in base al principio del decentramento. La prima Assemblea legislativa fu convocata il 1° ottobre 1791. Capitolo 8 La Francia repubblicana Un tap per aprire la cronologia Gli ultimi anni della Rivoluzione furono assai difficili per la Francia, assediata e invasa dagli eserciti delle altre nazioni europee e sconvolta, all’interno, da disordini sociali e da una profonda crisi economica. La monarchia fu abbattuta e si instaurò la repubblica, che dapprima fu guidata dalle forze radicali della sinistra giacobina; poi, dopo un periodo drammatico di scontri ideologici e rappresaglie politiche, il governo passò alle forze moderate. Ciascuna di queste fasi fu accompagnata dalla stesura di una nuova Costituzione. 8.1 Contro l’Europa dei re: la Repubblica francese e l’uccisione di Luigi XVI La guerra contro l’Austria Alla fine del 1791 la Francia era diventata una monarchia costituzionale, il regime feudale era stato abolito e l’autorità del re era stata limitata dall’istituzione di un Parlamento (l’Assemblea legislativa) eletto dai cittadini. Erano momenti difficili: i sovrani d’Austria e di Prussia temevano che la rivoluzione si potesse estendere ad altri Stati e dichiararono che in caso di pericolo per i reali di Francia sarebbero intervenuti in loro soccorso con le armi. Il governo di Parigi, allarmato da questa minaccia, ritenne opportuno dichiarare guerra all’Austria. Ma le operazioni militari portarono a una serie di sconfitte, dovute anche alla condotta incerta degli ufficiali francesi: molti di loro erano di origine aristocratica e non intendevano combattere per la rivoluzione, quindi, una volta giunti sul campo di battaglia, spesso disertavano, provocando sbandamento tra i soldati. La fine della monarchia costituzionale Alla notizia delle sconfitte, a Parigi si parlò di tradimento e si accusarono il re e i nobili di complottare con il nemico. Guidato dai giacobini, il popolo riprese l’iniziativa rivoluzionaria, s’impadronì del municipio e si mosse all’assalto del palazzo delle Tuileries, residenza del re. L’Assemblea legislativa, sotto la minaccia dei rivoltosi, dichiarò Luigi XVI sospeso dalle sue funzioni. Cadeva in Francia, dopo nove secoli, la monarchia capetingia e con la monarchia crollava l’esperimento monarchico-costituzionale, avviato nella prima fase della rivoluzione (1789-92). La repubblica in Francia Caduta la monarchia, presero il sopravvento i gruppi repubblicani e in particolare i giacobini. L’Assemblea legislativa, espressione della monarchia costituzionale, apparve non rappresentare più la volontà popolare: essa pertanto fu sciolta e si indissero – per la prima volta in Europa – elezioni a suffragio universale maschile. Si formò una nuova assemblea, detta Convenzione nazionale, che iniziò i suoi lavori nel settembre 1792 e come suo primo atto proclamò la repubblica. La guerra contro la Prussia Gli austro-prussiani, intanto, erano penetrati in territorio francese e minacciavano di marciare su Parigi, il nuovo governo repubblicano proclamò allora «la libertà e la patria in pericolo» e fece appello ai volontari, costituendo battaglioni di soldati particolarmente combattivi e fedeli. Si trattava in gran parte di popolani, detti “sanculotti” (in francese sans culottes, ‘senza culottes’), perché indossavano i pantaloni lunghi anziché quelli corti fermati al ginocchio (culottes) tipici dei nobili. Portata dai volontari affluiti da Marsiglia, si diffuse in quei giorni una canzone, la Marsigliese, che diventò poi l’inno nazionale della Francia. La vittoria di Valmy Dopo aspri combattimenti, il 20 settembre 1792 i nuovi battaglioni francesi riuscirono a fermare i prussiani a Valmy e a farli ripiegare. La vittoria ebbe un particolare significato Louis-Léopold Boilly, Il costume da sanculotto, XVIII sec. simbolico in quanto fu il primo successo militare della rivoluzione sull’Europa dei re, un successo di truppe volontarie, reclutate tra il popolo, su un esercito regolare considerato tra i migliori d’Europa. Dopo Valmy le armate francesi riportarono altre vittorie, occupando il Belgio, la Savoia, Nizza e gran parte della Renania tedesca. Ogni occupazione era presentata come una “liberazione”, una «guerra ai re per liberare i popoli»; ma nonostante quelle nobili parole, le guerre condotte dai francesi significarono, come tutte le guerre di invasione, la conquista e l’annessione dei territori occupati. Luigi XVI alla ghigliottina Mentre gli eserciti estendevano le conquiste francesi, il governo fece processare il re. Giudicato colpevole di tradimento contro la nazione, Luigi XVI fu condannato a morte e portato alla ghigliottina, il nuovo strumento di esecuzione capitale scelto in quegli anni per assicurare ai condannati una morte rapida e senza inutili sofferenze. L’esecuzione avvenne il 21 gennaio 1793 di fronte al palazzo delle Tuileries. L’esecuzione di Luigi XVI il 21 gennaio 1793 Documenti Si può vivere senza re? I luoghi della storia Le piazze della rivoluzione Le piazze, assieme alle strade, furono luoghi cruciali della rivoluzione. Luoghi pubblici per definizione, esse rappresentavano in modo visibile, e in qualche modo simbolico, il “possesso” della città da parte del popolo. Un popolo costituito da tanti uomini e da tante donne, molte delle quali – venditrici ambulanti, apprendiste o salariate delle botteghe artigiane sparse lungo le vie cittadine – vivevano e lavoravano quotidianamente all’aperto nella città: il loro numero, sembra, superava quello degli uomini nella proporzione di tre a uno, e non c’è quindi da stupirsi se il popolo parigino che diede vita alla rivoluzione fu in gran parte un popolo femminile, come anche le raffigurazioni dell’epoca ci aiutano a immaginare. Padrone della città, delle strade e delle piazze, le donne non esitarono ad affiancarsi agli uomini nelle manifestazioni di protesta e a impugnare esse stesse le armi. Parigi durante la Rivoluzione In quegli anni drammatici, le piazze furono anche – come sempre erano state – un luogo di cruenti spettacoli dove si eseguivano le esecuzioni capitali, che non servivano solo a giustiziare un colpevole o presunto tale, ma anche a “mostrarlo” in pubblico. Perciò la ghigliottina non funzionava in segreto, ma faceva mostra di sé nella piazza della Rivoluzione, già dedicata al re Luigi XV e rinominata in seguito piazza della Concordia (nome che porta tuttora). Le piazze furono anche un luogo di festa, dove la rivoluzione affermò i suoi valori innalzando quelli che furono chiamati “alberi della libertà”. Fu questo uno dei principali simboli della Rivoluzione francese e del “nuovo ordine” che essa intendeva instaurare: un palo (o un vero e proprio albero) issato sulle pubbliche piazze delle città e dei paesi, attorno al quale si svolgevano feste, canti, balli. Già utilizzato durante la lotta per l’indipendenza americana, l’albero della libertà riprendeva un antico motivo del folklore popolare riempiendolo di un nuovo significato politico e sociale. L’albero manifestava davanti a tutti la rottura con la tradizione, non solo sul piano politico, ma anche culturale e religioso: in polemica contro la religione cristiana, esso richiamava una religiosità di tipo “naturalistico” come quella che, agli inizi della primavera, amava festeggiare il ritorno della fertilità e del ciclo vegetativo innalzando alberi come simbolo della Natura che rinasceva. L’importanza di questo simbolo era talmente sentito che, quando le forze rivoluzionarie venivano più o meno temporaneamente sconfitte, la prima cosa che si faceva era abbattere l’albero. Jacques Bertaux, Presa del palazzo delle Tuileries, 10 agosto 1792, fine XVIII sec. La semplicità e la “spontaneità” di queste feste (anche se, in effetti, erano gli stessi governanti a sollecitarne l’introduzione) erano polemicamente contrapposte alle feste nobiliari, organizzate per pochi privilegiati e in luoghi chiusi. «Non sono queste le feste del popolo felice – aveva scritto Jean-Jacques Rousseau – perché solo all’aria aperta, sotto il cielo, ci si abbandona al sentimento della felicità e della libertà. Piantate un palo di fiori in mezzo a una piazza, riunitevi intorno il popolo, e avrete la festa». Soprattutto durante la dittatura di Robespierre furono organizzate molte manifestazioni di questo genere, per creare fra il popolo un’atmosfera di entusiasmo e accrescere il consenso politico attorno alla nuova repubblica. Pierre Antoine de Machy, Esecuzione capitale sulla place de la Révolution, 1793 8.2 La nuova Costituzione e il Terrore. Le leggi sociali Alleanze antifrancesi e rivolte contadine L’espansione militare della Francia e la morte violenta di Luigi XVI provocarono allarme negli altri paesi europei, che, sentendosi minacciati dalla rivoluzione e temendo che l’espansione della Francia alterasse pericolosamente l’equilibrio tra le potenze, costituirono una coalizione antifrancese (la prima di sette). Vi aderirono l’Inghilterra, l’Austria, la Prussia, la Russia, la Spagna e altri Stati. Attaccate da ogni parte, le armate rivoluzionarie subirono pesanti sconfitte e dovettero ritirarsi, incalzate dagli avversari che invasero il territorio francese. Quasi negli stessi giorni, in Vandéa e in Bretagna, regioni sulla La Rivoluzione francese, 1789-95 costa atlantica, esplose un’insurrezione dei contadini i quali, esasperati dalle continue leve militari imposte dal governo, sobillati dai nobili e armati dagli inglesi, si levarono in un violento moto insurrezionale contro Parigi e contro la rivoluzione. La Costituzione repubblicana e il Comitato di salute pubblica In queste drammatiche condizioni – l’invasione militare e le ribellioni interne – la Convenzione ricorse a misure eccezionali: nel 1793 si redasse una nuova Costituzione repubblicana e si creò un governo dotato di poteri dittatoriali, il Comitato di salute pubblica, formato di nove membri con Robespierre presidente, Danton incaricato degli affari esteri, Lazare Carnot (1753-1823) della conduzione della guerra. Le questioni più urgenti erano legate all’economia del paese e alla sua difesa. Per arginare la gravissima crisi economica si fissò un “calmiere” che limitava i prezzi delle derrate agricole, delle merci e dei salari. Sul piano militare fu istituita la leva di massa e l’esercito fu riorganizzato secondo criteri di disciplina e di merito, che aprivano possibilità di carriera anche a ufficiali di estrazione borghese e popolana. Il Terrore Il Comitato, diretto con inflessibile energia, prese i provvedimenti ritenuti necessari ricorrendo all’uso sistematico della violenza; perciò quella fase della rivoluzione fu detta “periodo del Terrore”. Le insurrezioni della Vandéa e della Bretagna furono domate con le armi e con esecuzioni di massa. Ogni sospetto di controrivoluzione fu bloccato per mezzo del Tribunale rivoluzionario, un organismo speciale per i reati politici; le sue Le vittime del Terrore del 1793, sentenze erano inappellabili e immediatamente esecutive. Era XVIII sec. sufficiente un sospetto, anche senza prove, per essere arrestati e giudicati. Ogni garanzia dei diritti individuali fu di fatto abolita, l’annientamento dei nemici della rivoluzione (o supposti tali) fu condotto con spietato rigore. Anche l’ex regina Maria Antonietta fu portata alla ghigliottina; identica sorte toccò ai molti nobili e sacerdoti che si erano rifiutati di prestare giuramento alla repubblica; così pure finirono ghigliottinati i generali accusati di tradimento. Il Terrore, motivato dallo stato di guerra e dalla controrivoluzione interna, durò dall’agosto 1793 al luglio 1794 e fece migliaia di vittime. Leggi sociali e laicizzazione Malgrado le difficoltà di quei momenti terribili, il governo rivoluzionario approvò una serie di importanti leggi sociali. Nel 1794 fu abolita la schiavitù nelle colonie e fu introdotta l’istruzione obbligatoria e gratuita per tutti i cittadini. L’educazione delle masse era infatti vista come base della crescita civile e sociale. Nello stesso anno, il 21 dicembre, la Convenzione fondò l’Ècole Polytechnique, la ‘Scuola politecnica’, un istituto tecnico-scientifico distinto dall’università, a cui si Calendario rivoluzionario anno II accedeva per merito e che diventò il modello di istruzione pubblica della repubblica, 1794 superiore. Un importante provvedimento fu l’adozione del sistema decimale, un nuovo metodo di misura che superava il particolarismo delle misure locali, creato per rendere uniformi e più semplici i rapporti commerciali, che per la sua praticità fu poi adottato da quasi tutti i paesi del mondo [cfr. Modulo 3, Invenzioni e innovazioni]. Altre riforme ebbero come oggetto la laicizzazione della società: furono aboliti simboli e riferimenti al cristianesimo, sostituiti dal culto dei martiri rivoluzionari o della Ragione; fu anche introdotto un nuovo calendario rivoluzionario. Fu sancita la libertà di culto per tutte le confessioni, istituendo però anche il culto dell’Essere supremo, una religione razionale e simbolica di ispirazione deista [cfr. 4.1]. Il mondo della tecnica Due rivoluzioni a base decimale: il metro e il calendario Fra le novità introdotte dalla Rivoluzione francese, una delle più durature fu l’istituzione di nuove unità di peso e di misura, basate su un sistema decimale unificato. Fino ad allora, le misure erano prevalentemente di tipo “concreto” (braccia, passi, ecc.) e variavano considerevolmente da luogo a luogo: nella sola zona di Parigi si contavano una quarantina di sistemi diversi. Nel 1795 un’apposita commissione governativa decretò l’abolizione delle antiche misure, simbolo del particolarismo feudale, e la loro sostituzione con una misura “razionale” valida per tutti. Anche questo fu un modo per esprimere il valore universale dei princìpi rivoluzionari, e inoltre per favorire – a tutto vantaggio dei ceti borghesi – l’unificazione dei mercati e il libero commercio. Questo è il testo ufficiale con cui Adozione del sistema metrico decimale, 1795 nel 1795 venne istituito il metro (dal greco metron, ‘misura’): La Commissione di Commercio propone di stabilire una misura di lunghezza, comune a tutta la Repubblica. Dopo aver dimostrato che il gran numero di misure ora esistenti, diverse tra loro a seconda dei luoghi, è di grave ostacolo al commercio, la Commissione propone di copiare dalla natura l’unità di misura, per renderla costante e certa; prendiamo dunque come punto di riferimento la lunghezza del meridiano terrestre, e da essa ricaveremo la nuova misura, il metro: esso sarà la quarantamilionesima parte di quel meridiano. Il governo rivoluzionario, dopo avere creato il sistema decimale, stabilì di mutare anche il sistema di computo del tempo, introducendo un nuovo calendario a base decimale. L’anno era di dodici mesi e ogni mese comprendeva 30 giorni, distinti non più in 4 settimane, ma in 3 decadi, cioè tre gruppi di 10 giorni ciascuno. Considerato che 12 mesi di 30 giorni fanno in tutto 360 giorni, cioè 5 in meno rispetto all’anno solare, si aggiunsero 5 giorni complementari, detti “sanculottidi”, consacrati a feste nazionali, dedicate al Genio, al Lavoro, alle Belle Azioni, alle Ricompense e all’Opinione. La festa dell’Opinione era una specie di carnevale politico in cui era permesso criticare e prendere in giro gli uomini di governo. Ogni quadriennio, inoltre, per colmare la lacuna di 5 ore e 48 minuti che veniva a presentarsi rispetto all’anno solare, si aggiungeva un giorno supplementare di festa, dedicato alla Rivoluzione. L’anno aveva inizio il 22 settembre, giorno dell’equinozio d’autunno, chiamato 1° vendemmiale. I giorni non furono più dedicati ai santi ma a fiori, frutti, animali e oggetti diversi, che ricordavano il lavoro, l’agricoltura, la rivoluzione. Per esempio il 19 Messidoro (giugno) era dedicato alla segale, il 20 all’avena, il 21 alla cipolla, il 23 al mulo, il 28 alla falce, il 30 ai fagioli. Anche i mesi furono chiamati con nomi nuovi, ispirati alle stagioni e ai lavori Allegorie del calendario agricoli. Essi furono nell’ordine: Vendemmiale, Brumale (per la nebbia), Glaciale rivoluzionario: i mesi di Fruttidoro (per la brina), Nevoso, Piovoso, Ventoso, Germinale (per i germogli primaverili), e Termidoro, fine XVIII sec. Fiorile, Pratile, Messidoro, Termidoro (‘che porta il caldo’), Fruttidoro (il primo corrisponde a settembre, l’ultimo ad agosto). Il nuovo calendario ebbe vita breve. Introdotto dalla Convenzione il 24 novembre 1793, fu abolito da un decreto di Napoleone il 31 dicembre 1805. Il 1° gennaio 1806 ritornò in vigore il tradizionale calendario gregoriano. Invenzioni e innovazioni Il metro e le misure “universali” Il metro è figlio della Rivoluzione francese e rappresenta una svolta epocale nel modo di concepire le unità di misura. Fino al XVIII secolo le misure erano definite in modo “concreto”, in base alle attività e agli oggetti della vita quotidiana, secondo l’uso che si faceva delle cose: le distanze si misuravano in passi, i tessuti in braccia, i cereali in moggi o in staia (i contenitori di legno entro cui si vendevano o si conservavano), il vino in anfore, il fieno in carri, i campi in “iugeri” (in età romana, era lo spazio che una coppia di buoi aggiogati poteva arare in un giorno) o in “tornature” (ancora con riferimento ai buoi che “giravano” l’aratro alla fine del solco) e così via, con una grande diversità di riferimenti e di valori da un paese all’altro, da una città all’altra. A queste misure “concrete” e variabili, il governo Antiche unità di misura agraria: rivoluzionario francese decise di sostituire nuove unità di peso e di misura, basate iugeri e tornature su un sistema decimale unificato. Questa scelta “tecnica” nasceva da precise esigenze economiche e politiche: rendere possibili i confronti e unificare il mercato nazionale, assecondando le aspirazioni della borghesia; cancellando il particolarismo delle antiche misure si cancellava il particolarismo feudale, che la Rivoluzione aveva abbattuto. La nuova idea – una vera invenzione sul piano concettuale, destinata a lunghissima fortuna – fu di introdurre misure “astratte”, definite a tavolino in base a calcoli teorici, da proporre come strumenti “universali” e “oggettivi”, validi per tutti. La lunghezza del metro fu determinata nel 1791 dall’Accademia delle scienze di Parigi, dividendo per dieci milioni la lunghezza del meridiano terrestre fra il Polo nord e l’equatore. Il governo francese la adottò ufficialmente nel 1795, poi l’uso del metro si diffuse nel mondo intero, grazie al successo dell’idea che lo aveva visto nascere: utilizzare misure precisamente definite, valide per tutti, universalmente riconoscibili. Proprio per questo, in considerazione di una persistente incertezza nel fissare la lunghezza del meridiano, nel 1889 il metro fu ridefinito come la distanza tra due linee incise su una barra di platino conservata a Sèvres presso Parigi. Nel 1983 la Conferenza Generale di Pesi e Misure ha di nuovo modificato la definizione del metro, riferendosi non più a una dimensione spaziale, ma a un’unità di tempo. Il metro si definisce oggi come «la distanza percorsa dalla luce nel vuoto in un intervallo di tempo pari a 1 / 299.792.458 di L.F. Labrouss, Uso delle nuove secondo» (il che equivale a dire che la velocità della luce nel vuoto corrisponde a misure, 1800 299.792.458 metri al secondo). La maggiore “universalità” di questa definizione dipende dal fatto che la velocità della luce nel vuoto si suppone che sia la stessa ovunque, e che possa essere misurata con precisione maggiore rispetto alla circonferenza della Terra o alla distanza fra due punti. Assieme al metro, la Francia rivoluzionaria adottò il grammo come unità di misura del peso, definito come la massa di un centimetro cubo di acqua distillata alla temperatura di 4 °C. Anche il litro fu introdotto come “nuova misura repubblicana”, corrispondente a un decimetro cubo (ovvero lo spazio occupato da un chilogrammo, 1.000 grammi). Tutte queste misure furono in seguito ripensate, riviste, ridefinite. Ancora oggi il metro costituisce l’unità di base della lunghezza nel Sistema internazionale delle unità di misura e di peso (abbreviato SI), il più diffuso sistema metrico a livello internazionale, nato nel 1889. Inizialmente esso comprendeva, oltre al metro, altre due unità fondamentali di misura: il chilogrammo (misura della massa) e il secondo (misura del tempo). Nel 1935, su proposta del fisico italiano Giovanni Giorgi, vi fu aggiunto l’ohm, unità di misura della resistenza elettrica (sostituita nel 1946 dall’ampère, unità di misura della corrente elettrica). Nel 1954 furono aggiunti il kelvin (unità di misura della temperatura) e la candela (unità di misura dell’intensità luminosa). Nel 1971 la L’adozione del Sistema mole (misura della quantità di sostanza, o massa molecolare). Su queste sette grandezze fisiche (metro, chilogrammo, secondo, ampère, internazionale delle unità di kelvin, candela, mole) si basa attualmente il Sistema internazionale delle unità di misura e di peso misura e di peso. 8.3 Dal Grande Terrore al Direttorio Vittorie contro la Prussia La situazione militare a poco a poco migliorò. I nuovi eserciti organizzati da Carnot si dimostrarono validi strumenti di vittoria. Comandati da giovani generali, che avevano ottenuto i gradi per le capacità mostrate sul campo, essi fermarono l’invasione austroprussiana (battaglia di Wattignies, 28 dicembre 1793) e la coalizione antifrancese (battaglia di Fleurus, 26 giugno 1794) e costrinsero gli avversari a ritirarsi. Il territorio nazionale fu liberato. La crisi economica Le disposizioni di politica economica, invece, non diedero i risultati sperati. Nonostante il calmiere dei prezzi, il razionamento delle derrate alimentari e la requisizione dei generi di prima necessità, il loro costo continuava a crescere e c’erano giorni in cui i viveri mancavano. Sulle strategie da seguire vi erano proposte contrastanti: Danton voleva interrompere i provvedimenti straordinari e lasciare libero corso all’economia; Hébert invocava interventi ancora più duri per il controllo del mercato, a protezione delle classi deboli; Robespierre tentava una mediazione suggerendo di lasciar libere le attività economiche senza dimenticare i bisogni della popolazione più povera. Il “Grande Terrore” I contrasti si acuirono al punto che si tornò alla “politica del terrore”. Per ordine di Robespierre, Hébert fu ghigliottinato sotto l’accusa di praticare teorie che affamavano il popolo; poi fu mandato a morte Danton con molti suoi seguaci, che Robespierre riteneva affaristi arricchiti alle spalle del popolo. In tal modo Robespierre rimase dittatore unico e avviò una sua personale politica che utopisticamente si proponeva di estirpare la corruzione e i vizi e di far trionfare la virtù. Seguì un periodo chiamato “Grande Terrore” per l’elevato numero di persone che finirono sotto la ghigliottina. In questo clima di paura maturò una congiura contro lo stesso Robespierre il quale, accusato di tirannia, il 27 luglio 1794 fu mandato a morte con i suoi sostenitori. Una Costituzione meno democratica Giustiziato Robespierre, la guida del paese, tenuta fino ad allora dai giacobini, passò ai gruppi moderati. La Costituzione del 1793 fu abrogata e sostituita da una nuova Costituzione (agosto 1795), la terza dall’inizio della rivoluzione (la prima era stata quella del 1791). Abolito il suffragio universale, si riaffermò la limitazione del voto ai soli benestanti. La separazione dei poteri (legislativo, esecutivo, giudiziario) fu riconfermata. Il governo, cioè il potere esecutivo, fu affidato a un gruppo di cinque membri, chiamato Direttorio. Con il Direttorio e la Costituzione del 1795 lo sviluppo della rivoluzione poteva considerarsi concluso. La situazione però era tutt’altro che pacificata. Le condizioni economiche del paese erano disastrose, la popolazione insorse e le fu mandato contro l’esercito. La “congiura degli uguali” Fu in quella drammatica congiuntura che il giornalista François-Nöel Babeuf (1760-1797) organizzò una cospirazione, detta “congiura degli uguali”, per instaurare uno Stato basato sull’abolizione della proprietà privata e sulla comunione dei beni. Alla cospirazione prese parte anche un italiano di origine fiorentina, Filippo Buonarroti (1761-1837). Quando la congiura fu scoperta, alcuni dei promotori, tra cui Babeuf, furono ghigliottinati (maggio 1797); Buonarroti e altri furono condannati al carcere. La vicenda di Babeuf è considerata uno dei primi tentativi anticipatori dell’anarchismo, un movimento che si sviluppò tra XIX e XX secolo [cfr. 18.2]. 8.4 Fra uguaglianza e libertà: tre Costituzioni a confronto La Costituzione del 1791 3 settembre 1791. 24 giugno 1793. 22 agosto 1795. Sono le date delle tre Costituzioni della Francia rivoluzionaria: ciascuna di esse rappresenta una fase diversa della rivoluzione. La prima (1791) istituisce la monarchia costituzionale. Tutti i privilegi sono aboliti. I tre poteri sono separati: il legislativo è delegato all’Assemblea nazionale, l’esecutivo al re, il giudiziario ai giudici, eletti dal popolo. Il carattere borghese della Costituzione emerge in particolare negli articoli relativi alla proprietà e al diritto di voto, riservato ai “cittadini attivi” che pagano le tasse, cioè ai ceti abbienti. La Costituzione del 1793 La seconda Costituzione (1793) è quella del nuovo Stato repubblicano: è la più democratica delle tre. Nel preambolo, che richiama la Dichiarazione d’indipendenza americana, si legge che lo scopo di un governo è «garantire all’uomo il godimento dei suoi diritti naturali»: primo fra tutti l’uguaglianza, e poi la libertà e la proprietà. Si sottolinea il valore dell’istruzione, che deve essere «alla portata di tutti i cittadini». Il diritto di voto e il diritto a essere eletti non sono più riservati ai benestanti, ma estesi a tutti. La Costituzione del 1795 La terza Costituzione (1795) mostra un ritorno alle posizioni moderate del 1791. Fra i diritti dell’uomo, il preambolo mette al primo posto la libertà, mentre nella Costituzione del 1793 al primo posto vi era l’uguaglianza. Il voto torna a essere limitato secondo il censo. Per approfondire L’invenzione dello Stato laico Sintesi La Francia repubblicana Contro l’Europa dei re: la Repubblica francese e l’uccisione di Luigi XVI ➚ Di fronte ai moti rivoluzionari francesi, i sovrani di Austria e Prussia dichiararono di essere pronti ad aiutare il re se fosse stato in pericolo. Precedendoli, il governo rivoluzionario mosse guerra all’Austria ma subì una serie di sconfitte dovute alla condotta degli ufficiali, che, di origine aristocratica, non erano disposti a combattere per la rivoluzione. I nobili e il re furono accusati di tradimento e a Parigi il popolo assaltò la residenza reale delle Tuileries. L’Assemblea legislativa dichiarò decaduta la monarchia. Il governo passò ai gruppi repubblicani e giacobini, che sciolsero l’Assemblea legislativa indicendo nuove elezioni a suffragio universale maschile. Si insediò la nuova assemblea, la Convenzione nazionale, e nel 1792 fu proclamata la repubblica. Gli austro-prussiani intanto avanzavano verso Parigi e il governo iniziò a reclutare soldati volontari, perlopiù provenienti dalle classi popolari (sanculotti). Nel settembre 1792 i prussiani furono fermati a Valmy: era il primo successo militare della rivoluzione sugli eserciti delle monarchie assolute. A essa seguirono altre vittorie e occupazioni di territori, presentate come una liberazione dei popoli dalla tirannide. Luigi XVI fu processato, condannato per tradimento contro la nazione e fu ghigliottinato il 21 gennaio 1793. La nuova Costituzione e il Terrore. Le leggi sociali ➚ Ciò che stava accadendo in Francia portò Inghilterra, Austria, Prussia, Russia, Spagna e altri paesi a stringersi in unacoalizione antifrancese che penetrò nel paese proprio mentre in Bretagna e Vandéa si verificavano insurrezioni contadine controrivoluzionarie. La Convenzione prese allora misure eccezionali: fu redatta una nuova Costituzione (1793) e fu instaurato un governo dittatoriale, il Comitato di salute pubblica, che fece ampio ricorso alla violenza (“periodo del Terrore ”). Fu fissato un limite ai prezzi e ai salari per tenere sotto controllo un’economia impazzita; fu introdotta la leva di massa e fu istituito un Tribunale rivoluzionario che giudicava sui reati politici con sentenze inappellabili, irrispettose dei diritti individuali. Furono anche approvate importanti leggi sociali: fu abolita la schiavitù nelle colonie (1794); fu poi introdotta l’istruzione obbligatoria e gratuita per tutti i cittadini, vista come la base della crescita civile e sociale. La Convenzione fondò la “Scuola politecnica”, un istituto tecnico-scientifico cui si accedeva per merito e fu unificato il metodo di misurazione, ricorrendo al sistema decimale. Importanti riforme furono fatte anche per la laicizzazione della società: i riferimenti al cristianesimo furono sostituiti dal culto dei martiri rivoluzionari o della Ragione; fu ammessa la libertà religiosa e si introdusse il culto deista dell’Essere supremo. Dal Grande Terrore al Direttorio ➚ In campo militare la riorganizzazione degli eserciti su base popolare portò alla vittoria sugli austro-prussiani, e il territorio francese fu liberato. In campo economico invece non si raggiunsero risultati e tra gli esponenti politici scoppiarono i contrasti sulle strategie da adottare. Gli avversari di Robespierre, Hébert e Danton, furono messi a morte, e Robespierre rimase dittatore unico. L’aumento delle tensioni sfociò nel “Grande Terrore”: molti, tra cui lo stesso Robespierre e i suoi seguaci, furono condannati a morte, in un clima di paura collettiva. Dopo la morte di Robespierre, il governo passò ai moderati. Fu approvata una nuova Costituzione (1795) che chiuse il processo rivoluzionario. Il diritto di voto fu nuovamente attribuito ai soli benestanti. Il potere esecutivo fu affidato a un Direttorio composto da cinque membri. Rimanevano però gravi problemi di carattere economico, con un aumento ulteriore dei prezzi e delle tensioni sociali. Nel 1797 fu sventata la congiura detta “degli uguali”, guidata da François-Nöel Babeuf, che intendeva abolire la proprietà privata e introdurre la comunione dei beni. Fra uguaglianza e libertà: tre Costituzioni a confronto ➚ Tra 1791 e 1795 furono approvate tre diverse Costituzioni, una per ogni fase rivoluzionaria. La prima (1791) introduceva la monarchia costituzionale, l’abolizione dei privilegi, la divisione dei poteri, il diritto di voto per i cittadini benestanti. La seconda (1793) introduceva uno Stato repubblicano democratico, che garantiva al cittadino i diritti ritenuti naturali (libertà, proprietà), evidenziava il valore dell’istruzione, poneva l’uguaglianza come valore principale, introducendo il suffragio universale maschile. La terza (1795) era caratterizzata da posizioni moderate: reintroduceva il diritto di voto per censo e la libertà, prima dell’uguaglianza, era al primo posto tra i diritti dell’uomo.