Capitolo 7
La Rivoluzione francese
Nel 1789 la Francia fu teatro di una rivoluzione di
straordinaria importanza storica, che segnò la fine della
sovranità dei re e l’inizio della sovranità dei popoli. Per
l’ampiezza delle forze che mise in movimento e il valore
universale delle idee a cui diede vita – la libertà,
l’uguaglianza dei diritti, la democrazia – la Rivoluzione
francese è considerata uno degli avvenimenti di maggiore
significato nella formazione del mondo contemporaneo.
Un tap per aprire
la cronologia
7.1 Una monarchia distante, un paese
inascoltato. La società di ancien régime
Rapporti di forza tra nobiltà e monarchia Negli ultimi decenni del Settecento la Francia era un
paese in difficoltà. La politica assolutista di Luigi XIV[cfr. 1.4] aveva creato una scollatura fra il
governo e il paese e dopo la sua morte, nel 1715, la monarchia aveva perso prestigio e il potere
nobiliare si era di nuovo consolidato. Il suo successore, il pronipote Luigi XV, salito al trono ancora
minorenne, regnò per oltre mezzo secolo (fino al 1774) ma non ebbe la forza di combattere i privilegi
dei nobili. Si creò dunque una situazione di stallo, che impediva di attuare qualsiasi riforma, in un
momento in cui la grave crisi finanziaria (dovuta principalmente alle spese enormi sostenute per i
conflitti bellici) avrebbe reso indispensabile assoggettare alle imposte anche la nobiltà e il clero, che
tradizionalmente ne erano esenti.
Un paese bloccato Per certi aspetti, la Francia era uno degli Stati europei più evoluti:
l’agricoltura era fiorente, nuove industrie erano sorte nel campo tessile, metallurgico, navale. Il
contrasto fra dinamismo economico e immobilismo politico era clamoroso, e su tale situazione il
dibattito era acceso: il pensiero illuminista e la critica politica diffondevano la consapevolezza che il
sistema di governo era inadeguato alle necessità del paese ed era quantomai urgente una riforma
fiscale.
La situazione si aggravò quando salì al trono Luigi XVI (1774-93), un sovrano debole, incerto, che
per giunta si trovò a dover fronteggiare una grave carestia (seguita da una serie di rivolte contadine)
e un ulteriore aumento delle spese pubbliche, per l’appoggio militare dato dalla Francia alla
ribellione dei coloni americani contro la madrepatria inglese [cfr. 6.3].
La convocazione degli Stati generali Luigi XVI cercò di
istituire un’imposta straordinaria da applicare a tutti i proprietari
terrieri, ma il progetto fu bloccato dagli interessi di aristocratici ed
ecclesiastici, decisi a conservare i propri privilegi. Il re decise
allora
la convocazione degli Stati generali, l’organo di
rappresentanza dei tre “stati” sociali ufficialmente riconosciuti:
Louis-Charles-Auguste Couder,
nobili, clero e il cosiddetto “terzo stato” (comprendente tutte le altre Apertura degli Stati generali il 5
categorie sociali). Egli pensava di affidare all’assemblea, che non si maggio 1789
era più riunita dal 1614, la discussione di una riforma fiscale che
non soltanto le borghesie cittadine, ma anche la parte più avanzata della nobiltà, di orientamento
liberale e sensibile al modello parlamentare inglese, ritenevano non più rimandabile.
I tre “ordini” sociali La suddivisione della società in tre “stati”
risaliva a uno schema sociologico elaborato durante il Medioevo, la
teoria dei tre “ordini” (ordines) che svolgevano funzioni diverse a
vantaggio di tutti: i guerrieri (bellatores) assicuravano la difesa e il
governo della società, i sacerdoti (oratores) pensavano alla
preghiera e al culto, i contadini (laboratores) a produrre i beni di
Distribuzione della popolazione
nei tre stati
sussistenza [cfr. vol. 1, 1].
Nella Francia del XVIII secolo,il primo stato comprendeva i nobili: circa 350.000 persone nel
1780, che possedevano gran parte delle terre (un quarto dell’intero paese) e godevano di molti
privilegi: totalmente esenti dalle imposte statali, nei loro possessi riscuotevano tasse di vario genere
derivanti dagli usi feudali ed esercitavano le funzioni giudiziarie.
Il secondo stato era costituito dai religiosi: circa 120.000 persone nel 1780, anch’essi esenti
dalle imposte e autorizzati a riscuotere dalla popolazione uno speciale tributo chiamato “decima”
perché calcolato sulla decima parte dei redditi (frutti della terra e degli animali).
Il terzo stato era costituito da tutte le altre categorie sociali: la più numerosa era quella dei
contadini, circa 20 milioni su una popolazione di 25 milioni, fra medi e piccoli proprietari, affittuari
e braccianti. Su di essi gravavano i carichi più pesanti, dalle imposte del re agli innumerevoli diritti
dei nobili, alle decime dovute al clero. Al “terzo stato” appartenevano inoltre le molteplici categorie
della nuova borghesia urbana, differenziata in molteplici attività: operai, artigiani, bottegai,
impiegati, farmacisti, medici, commercianti, avvocati, notai, banchieri, funzionari di Stato.
Modalità di rappresentanza Questo schema ideale di società
era ormai obsoleto, soprattutto perché il “terzo stato” si era, nei
secoli, articolato e differenziato. Ma esso determinava ancora le
modalità di rappresentanza politica: nell’assemblea degli Stati
generali si votava “per stati” e i due gruppi privilegiati erano
sempre sicuri di far prevalere i propri interessi. La nobiltà e il
clero, votando insieme, prevalevano regolarmente sull’unico voto
del “terzo stato”.
Per indicare quel vecchio modello di assetto sociale, politico,
economico fu coniata alla fine del Settecento l’espressione ancien
régime, ‘antico regime’, ben presto adottata in tutta Europa per
indicare analoghe situazioni, e la volontà di cambiarle.
Il clero e la nobiltà sulle spalle del
terzo stato, 1789
DOCUMENTI
Rimostranze e richieste
Per approfondire
Dal Medioevo al Settecento, i tre stati della società
7.2 Gli Stati generali e l’inizio della
rivoluzione
L’Assemblea nazionale del terzo stato Gli Stati generali si
riunirono a Versailles il 5 maggio 1789. Sin dalle prime sedute gli
avvenimenti presero un andamento contrario alle aspettative degli
aristocratici: il “terzo stato” dichiarò di non accettare il
tradizionale sistema di votazione “per stati” e propose che si
votasse “per testa”, cioè che ogni deputato disponesse di un voto
individuale. Accogliendo questa regola, il “terzo stato” avrebbe
avuto la maggioranza in quanto contava 600 deputati, contro i 550 Il risveglio del terzo stato. Luglio
degli altri due “stati” messi insieme. Pro e contro la proposta 1789
sorsero discussioni accanite, fino a quando, il 17 giugno, il “terzo
stato” decise di separarsi dagli altri e di proclamarsi Assemblea nazionale, con o senza la
partecipazione dei nobili e del clero.
Con quel gesto di sfida contro il re e gli ordini privilegiati, il “terzo stato” compì il primo atto di
rottura che segnò l’avvio del movimento rivoluzionario.
Il sovrano cercò di impedire al “terzo stato” di riunirsi ancora e fece chiudere la sala delle sedute.
Ma i delegati, fermi nel loro proposito, si radunarono in una sala attigua, una palestra adibita al gioco
della pallacorda (una specie di pallavolo) e qui giurarono di rimanere uniti per preparare il testo di
una Costituzione. Il re finì per cedere e invitò i nobili e il clero a prendere parte anch’essi ai lavori
dell’assemblea, che, secondo il nuovo corso impresso dal “terzo stato”, aveva ormai cambiato nome
e scopo. Non più Stati generali, convocati dal monarca con funzioni consultive in materia fiscale, ma
un’Assemblea nazionale costituente volta a dare una Costituzione alla Francia e che avrebbe
sostituito la monarchia assoluta con una monarchia costituzionale.
Alla Bastiglia! Di fronte a questi avvenimenti, i consiglieri più
intransigenti del re tentarono un colpo di mano e fecero concentrare
truppe intorno a Parigi, per ristabilire la piena autorità regia nei
confronti dell’Assemblea. L’intervento dei militari scatenò il furore
del popolo. Una folla si impadronì di fucili e cannoni nella caserma
detta “degli Invalidi” e assalì la Bastiglia, la fortezza in cui erano
Jean-Pierre-Louis-Laurent Houel,
rinchiusi i carcerati, occupandola e liberando i prigionieri.
presa della Bastiglia il 14 luglio
Era il 14 luglio 1789, data che dal 1880 la Francia celebra come La
1789, fine XVIII sec.
festa nazionale. La presa della Bastiglia acquistò un valore di
simbolo, rappresentò agli occhi dei cittadini la vittoria della libertà contro la tirannide. A Parigi si
formò un nuovo Consiglio municipale, costituito di membri non più di nomina regia ma eletti dal
popolo, e contemporaneamente fu istituita a presidio della rivoluzione una forza armata di volontari,
detta Guardia nazionale, comandata dal marchese Marie-Joseph de La Fayette (1757-1834).
La fine del regime feudale Da Parigi il moto rivoluzionario si estese alle province: in molte
città si formarono municipalità di cittadini eletti e corpi di Guardie nazionali. Tra luglio e agosto del
1789 (una fase della rivoluzione ricordata come la “Grande paura”), i contadini assalirono i castelli
dei nobili, distruggendo gli archivi e dando alle fiamme le carte su
cui erano registrati i diritti feudali e i privilegi nobiliari. Sotto la
pressione di questo moto popolare, l’Assemblea nazionale decretò
l’abolizione del “regime feudale”, espressione con cui si intendeva
l’insieme dei diritti esercitati dai nobili a scapito dei contadini.
L’Assemblea stabilì inoltre l’abolizione di tutti i privilegi, compresi
quelli fiscali.
Il 26 agosto 1789 fu approvata la Dichiarazione dei diritti
dell’uomo e del cittadino, ispirata alle idee dell’Illuminismo e ai
princìpi di libertà e uguaglianza, secondo il modello della
Dichiarazione di indipendenza americana [cfr. 6.3].
La Dichiarazione dei diritti
dell’uomo e del cittadino, 26
agosto 1789
LE VIE DELLA CITTADINANZA
I diritti dell’uomo e del cittadino
7.3 I gruppi d’opinione e i provvedimenti
dell’Assemblea costituente
Sinistra e cordiglieri, giacobini, girondini I lavori
dell’Assemblea costituente durarono circa due anni, nel corso dei
quali incominciarono a delinearsi correnti politiche diverse, che si
manifestavano anche nella diversa posizione dei seggi occupati in
aula dai deputati. A sinistra rispetto alla presidenza sedevano i
gruppi di idee più avanzate: cordiglieri, giacobini, girondini. I
cordiglieri (così chiamati dal luogo in cui si riunivano, l’ex Un’assemblea giacobina nel
convento dei francescani conventuali, detti Cordeliers) erano il gennaio 1792
gruppo che più accesamente sosteneva i princìpi della rivoluzione;
vi aderivano soprattutto i ceti popolari, artigiani, operai, bottegai, piccoli commercianti; i leader più
in vista erano i giovani avvocati Georges-Jacques Danton (1759-1794) e Camille Desmoulins
(1760-1794), il medico Jean-Paul Marat (1743-1793), il giornalista Jacques-René Hébert (17571794).
I giacobini (che derivavano il nome dalla loro sede, l’ex convento dei frati domenicani dedicato a
san Giacomo e detto dei Jacobins) rappresentavano numerosi gruppi della media e alta borghesia;
erano il gruppo meglio organizzato, che per certi aspetti prefigurava la struttura dei moderni partiti
politici. Fra i membri di maggior prestigio si segnalavano gli avvocati Maximilien Robespierre
(1758-1794) e Jacques-Pierre Brissot (1754-1793). Quest’ultimo diventò in seguito il leader dei
girondini, un gruppo interno all’organizzazione giacobina, così chiamati perché provenienti in gran
parte dal dipartimento della Gironda.
Destra e foglianti, centro e pianura La destra dell’Assemblea era occupata dai foglianti
(l’abate di Feuillant era il fondatore del monastero in cui il gruppo aveva sede). Di saldi princìpi
monarchici, provenivano per la maggior parte dalla borghesia agiata.
Al centro sedeva il gruppo più numeroso, privo di forti riferimenti ideologici, persone di diversa
estrazione sociale che di volta in volta appoggiavano l’una o l’altra proposta, secondo le circostanze
e le opportunità. Erano chiamati pianura o anche, in tono dispregiativo, palude.
La separazione dei poteri e la riforma elettorale Benché di tendenze politiche diverse e
talvolta contrastanti, i deputati dell’Assemblea furono tutti d’accordo su un punto: il nuovo Stato
doveva essere una monarchia costituzionale di tipo inglese, nella quale i tre poteri – esecutivo,
legislativo e giudiziario – fossero chiaramente separati.
Molto dibattuto fu il problema del diritto di voto: una parte proponeva di estenderlo a tutti i
cittadini (limitatamente agli uomini: in Francia, come in Italia, il suffragio universale esteso a uomini
e donne fu acquisito solo nel 1946), altri pensavano che dovesse essere riservato ai benestanti. Fu
questa la proposta che prevalse, per cui alla fine i cittadini con diritto di voto risultarono circa 4
milioni.
La vendita dei beni ecclesiastici Per far fronte all’annoso
problema dell’indebitamento dello Stato, l’Assemblea costituente
prese un provvedimento straordinario: espropriare i beni del
clero, un patrimonio fondiario di grande valore (il 10% del
territorio nazionale) e venderli a privati. Il provvedimento in realtà
non riuscì a colmare il debito pubblico, ma ebbe conseguenze
politiche e sociali di enorme rilievo. Infatti, coloro che avevano Il prete al torchio, fine XVIII sec.
comprato una porzione dei beni ecclesiastici – per lo più borghesi
e agricoltori – si legarono strettamente alle sorti della rivoluzione e la sostennero, da allora in
poi, con decisione: da essa beneficiati, furono disposti a qualsiasi sforzo pur di non consentire un
ritorno al vecchio regime.
Fu poi approvata la Costituzione civile del clero: gli ecclesiastici, se volevano continuare a
praticare la loro attività, diventavano funzionari dello Stato, a cui dovevano giurare fedeltà; gli
ordini religiosi furono aboliti, tranne quelli impegnati in opere di assistenza sociale. Provvedimenti
simili erano già stati presi in altri Stati, particolarmente in Russia e nell’Austria asburgica. Solo in
Francia, tuttavia, essi furono praticati in modo sistematico, accompagnati da una massiccia
propaganda anticlericale.
7.4 La Costituzione del 1791 e la fine della
monarchia assoluta
La fuga del re Gli sviluppi del movimento rivoluzionario spinsero molti nobili ad abbandonare la
Francia. Lo stesso re, sollecitato dalla parte più conservatrice della nobiltà e dalla moglie Maria
Antonietta (1774-93), controrivoluzionaria convinta, il 20 giugno 1791 abbandonò Parigi per
rifugiarsi con la famiglia in Lorena, al confine orientale della Francia, dove si era raccolta gran parte
dei nobili emigrati. Ma a Varennes, presso la frontiera belga, fu riconosciuto e riportato a Parigi
sotto scorta armata.
La monarchia costituzionale Nel settembre 1791 l’Assemblea
approvò la Costituzione, con la quale la Francia ebbe una nuova
forma di governo: monarchia non più assoluta ma costituzionale;
da quel momento il re doveva condividere il potere con i
rappresentanti del popolo. Al sovrano spettava il potere esecutivo,
all’assemblea dei rappresentanti del popolo il potere legislativo, ai
giudici il potere giudiziario. In tal modo era attuato il principio della
separazione dei poteri teorizzata da Montesquieu, già messo in
pratica negli Stati Uniti d’America [cfr. 6.3]. Al tempo stesso fu Il decentramento amministrativo: i
dipartimenti francesi nel 1790
riconosciuto il principio della sovranità popolare sostenuto da
Rousseau [cfr. 4.2]: infatti, sia i membri dell’Assemblea legislativa sia i giudici non erano nominati
dal re, ma eletti dal popolo.
L’Assemblea procedette a una generale riforma delle strutture amministrative dello Stato. La
Francia fu suddivisa in 83 dipartimenti, sostituendo il principio del decentramento a quello
dell’accentramento, perseguito dalla monarchia assoluta.
Il 1° ottobre 1791 fu convocata l’Assemblea legislativa, il primo Parlamento della Francia
costituzionale.
Discussione storiografica
Aspetti economici e sociali della Rivoluzione
francese
Sintesi
La Rivoluzione francese
Una monarchia distante, un paese inascoltato. La società di ancien
régime ➚ Alla fine del XVIII secolo in Francia il potere del re perse prestigio a vantaggio di quello nobiliare. Dopo un
periodo di reggenza, nel 1723 divenne re Luigi XV, che cercò di riaffermare l’assolutismo ma senza intaccare i privilegi dei
nobili e del clero, tradizionalmente esentati dalle tasse mentre era in atto una grave crisi finanziaria. Vi era un forte contrasto
tra dinamismo economico e immobilismo sociale e politico. Luigi XVI (1774-93) tentò di istituire un’imposta fondiaria,
bocciata dai nobili, arroccati a difesa dei propri interessi. Si arrivò così alla convocazione degli Stati generali, l’assemblea
di rappresentanza degli ordini sociali, con l’obiettivo di discutere una riforma fiscale.
Quella francese era una società tripartita, secondo uno schema nato nel Medioevo: vi erano i nobili (primo stato), il clero
(secondo stato) e il terzo stato comprendente tutte le altre categorie sociali: i contadini, numerosissimi e gravati dagli oneri
più pesanti, e la borghesia urbana. Negli Stati generali prevaleva sempre la difesa degli interessi di clero e nobiltà, in quanto
si votava non per persona ma per stati, il che metteva regolarmente in minoranza il terzo stato. Era un modello sociale
obsoleto, che sarà indicato come ancien régime.
Gli Stati generali e l’inizio della rivoluzione ➚ Gli Stati generali si riunirono a Versailles il 5
maggio 1789 e subito il terzo stato si oppose al voto “per stati”, reclamando il voto “per testa”. Di fronte alle resistenze del re
e dei due ordini privilegiati, il 17 giugno il terzo stato si proclamò Assemblea nazionale, affermando di agire in nome della
maggioranza dei francesi e separandosi dagli altri stati. I delegati, riuniti nella stanza detta “della Pallacorda”, giurarono di
non separarsi se non dopo l’approvazione di una nuova Costituzione. Era nata l’Assemblea nazionale costituente, che
aveva come fine l’instaurazione di una monarchia costituzionale. Il re, per tutta risposta, concentrò truppe attorno a Parigi. Il
14 luglio 1789 il popolo parigino assalì la fortezza della Bastiglia, dando inizio alla rivoluzione. A Parigi il governo fu
assunto da un Consiglio municipale elettivo, mentre la difesa fu affidata alla Guardia nazionale, composta da volontari.
La rivoluzione si estese da Parigi alle province. I contadini assalirono i castelli dei nobili, molti dei quali fuggirono, e diedero
alle fiamme le carte che registravano i diritti feudali. L’Assemblea nazionale decise pertanto l’abolizione del regime
feudale, dei diritti esercitati dai nobili sui contadini e dei privilegi fiscali di nobiltà e clero; fu approvata la Dichiarazione dei
diritti dell’uomo e del cittadino, di ispirazione illuminista, basata sulle idee di libertà e uguaglianza.
I gruppi d’opinione e i provvedimenti dell’Assemblea costituente ➚ Durante
i lavori dell’Assemblea si delinearono diverse correnti politiche, indicate in base ai posti dei seggi occupati. A sinistra vi
erano i cordiglieri, di idee rivoluzionarie radicali; i giacobini, appartenenti alla borghesia media e alta e organizzati in
società affiliate; i girondini, interni ai giacobini. A destra vi erano i foglianti, monarchici provenienti dall’alta borghesia. Al
centro un vasto gruppo (pianura o palude) che appoggiava di volta in volta le proposte meglio rispondenti ai propri interessi. I
diversi gruppi erano però uniti nel sostenere una monarchia costituzionale basata sulla separazione dei poteri. Si
discusse molto sul diritto di voto, che fu infine attribuito ai cittadini benestanti.
L’Assemblea si impegnò per risolvere il problema dell’indebitamento dello Stato, tramite l’espropriazione dei beni del clero
che furono messi in vendita. Questo provvedimento non riuscì a colmare il debito pubblico, ma ebbe grande rilievo sul
piano sociale. Coloro che avevano acquistato beni ecclesiastici, in prevalenza borghesi e agricoltori, si legarono
strettamente alle sorti della rivoluzione, per difendere i beni acquistati. Fu poi approvata la Costituzione civile del clero: gli
ecclesiastici dovevano giurare fedeltà allo Stato, che si faceva carico del loro mantenimento; gli ordini religiosi furono aboliti,
tranne quelli impegnati in opere di assistenza sociale.
La Costituzione del 1791 e la fine della monarchia assoluta ➚ Molti nobili
abbandonarono la Francia; così tentò di fare anche il re (20 giugno 1791) che fu però riconosciuto e ricondotto a Parigi. Nel
settembre 1791 fu approvata la nuova Costituzione, che disegnava una monarchia costituzionale fondata sulla
separazione dei poteri e sulla sovranità popolare. Il re dava esecuzione alle leggi, l’assemblea dei rappresentanti le votava, i
giudici le facevano rispettare. I componenti dell’Assemblea legislativa e i giudici erano eletti dal popolo. Fu riformata la
struttura amministrativa dello Stato, diviso in dipartimenti in base al principio del decentramento. La prima Assemblea
legislativa fu convocata il 1° ottobre 1791.
Capitolo 8
La Francia repubblicana
Un tap per aprire
la cronologia
Gli ultimi anni della Rivoluzione furono assai difficili per la
Francia, assediata e invasa dagli eserciti delle altre
nazioni europee e sconvolta, all’interno, da disordini
sociali e da una profonda crisi economica. La monarchia
fu abbattuta e si instaurò la repubblica, che dapprima fu
guidata dalle forze radicali della sinistra giacobina; poi,
dopo un periodo drammatico di scontri ideologici e
rappresaglie politiche, il governo passò alle forze
moderate. Ciascuna di queste fasi fu accompagnata dalla
stesura di una nuova Costituzione.
8.1 Contro l’Europa dei re: la Repubblica
francese e l’uccisione di Luigi XVI
La guerra contro l’Austria Alla fine del 1791 la Francia era diventata una monarchia
costituzionale, il regime feudale era stato abolito e l’autorità del re era stata limitata dall’istituzione
di un Parlamento (l’Assemblea legislativa) eletto dai cittadini. Erano momenti difficili: i sovrani
d’Austria e di Prussia temevano che la rivoluzione si potesse estendere ad altri Stati e
dichiararono che in caso di pericolo per i reali di Francia sarebbero intervenuti in loro soccorso con
le armi. Il governo di Parigi, allarmato da questa minaccia, ritenne opportuno dichiarare guerra
all’Austria. Ma le operazioni militari portarono a una serie di sconfitte, dovute anche alla condotta
incerta degli ufficiali francesi: molti di loro erano di origine aristocratica e non intendevano
combattere per la rivoluzione, quindi, una volta giunti sul campo di battaglia, spesso disertavano,
provocando sbandamento tra i soldati.
La fine della monarchia costituzionale Alla notizia delle sconfitte, a Parigi si parlò di
tradimento e si accusarono il re e i nobili di complottare con il nemico. Guidato dai giacobini, il
popolo riprese l’iniziativa rivoluzionaria, s’impadronì del municipio e si mosse all’assalto del
palazzo delle Tuileries, residenza del re. L’Assemblea legislativa, sotto la minaccia dei rivoltosi,
dichiarò Luigi XVI sospeso dalle sue funzioni.
Cadeva in Francia, dopo nove secoli, la monarchia capetingia e con la monarchia crollava
l’esperimento monarchico-costituzionale, avviato nella prima fase della rivoluzione (1789-92).
La repubblica in Francia Caduta la monarchia, presero il sopravvento i gruppi repubblicani e in
particolare i giacobini. L’Assemblea legislativa, espressione della monarchia costituzionale, apparve
non rappresentare più la volontà popolare: essa pertanto fu sciolta e si indissero – per la prima volta
in Europa – elezioni a suffragio universale maschile. Si formò una nuova assemblea, detta
Convenzione nazionale, che iniziò i suoi lavori nel settembre 1792 e come suo primo atto proclamò
la repubblica.
La guerra contro la Prussia Gli austro-prussiani, intanto, erano
penetrati in territorio francese e minacciavano di marciare su Parigi,
il nuovo governo repubblicano proclamò allora «la libertà e la
patria in pericolo» e fece appello ai volontari, costituendo
battaglioni di soldati particolarmente combattivi e fedeli. Si trattava
in gran parte di popolani, detti “sanculotti” (in francese sans
culottes, ‘senza culottes’), perché indossavano i pantaloni lunghi
anziché quelli corti fermati al ginocchio (culottes) tipici dei nobili.
Portata dai volontari affluiti da Marsiglia, si diffuse in quei giorni
una canzone, la Marsigliese, che diventò poi l’inno nazionale della
Francia.
La vittoria di Valmy Dopo aspri combattimenti, il 20 settembre
1792 i nuovi battaglioni francesi riuscirono a fermare i prussiani a
Valmy e a farli ripiegare. La vittoria ebbe un particolare significato Louis-Léopold Boilly, Il costume
da sanculotto, XVIII sec.
simbolico in quanto fu il primo successo militare della rivoluzione
sull’Europa dei re, un successo di truppe volontarie, reclutate tra il popolo, su un esercito regolare
considerato tra i migliori d’Europa.
Dopo Valmy le armate francesi riportarono altre vittorie, occupando il Belgio, la Savoia, Nizza e
gran parte della Renania tedesca. Ogni occupazione era presentata come una “liberazione”, una
«guerra ai re per liberare i popoli»; ma nonostante quelle nobili parole, le guerre condotte dai
francesi significarono, come tutte le guerre di invasione, la conquista e l’annessione dei territori
occupati.
Luigi XVI alla ghigliottina Mentre gli eserciti estendevano le
conquiste francesi, il governo fece processare il re. Giudicato
colpevole di tradimento contro la nazione, Luigi XVI fu
condannato a morte e portato alla ghigliottina, il nuovo strumento
di esecuzione capitale scelto in quegli anni per assicurare ai
condannati una morte rapida e senza inutili sofferenze. L’esecuzione
avvenne il 21 gennaio 1793 di fronte al palazzo delle Tuileries.
L’esecuzione di Luigi XVI il 21
gennaio 1793
Documenti
Si può vivere senza re?
I luoghi della storia
Le piazze della rivoluzione
Le piazze, assieme alle strade, furono luoghi cruciali della rivoluzione. Luoghi
pubblici per definizione, esse rappresentavano in modo visibile, e in qualche modo
simbolico, il “possesso” della città da parte del popolo. Un popolo costituito da tanti
uomini e da tante donne, molte delle quali – venditrici ambulanti, apprendiste o
salariate delle botteghe artigiane sparse lungo le vie cittadine – vivevano e
lavoravano quotidianamente all’aperto nella città: il loro numero, sembra, superava
quello degli uomini nella proporzione di tre a uno, e non c’è quindi da stupirsi se il
popolo parigino che diede vita alla rivoluzione fu in gran parte un popolo femminile,
come anche le raffigurazioni dell’epoca ci aiutano a immaginare. Padrone della
città, delle strade e delle piazze, le donne non esitarono ad affiancarsi agli uomini
nelle manifestazioni di protesta e a impugnare esse stesse le armi.
Parigi durante la Rivoluzione
In quegli anni drammatici, le piazze furono anche – come sempre erano state – un luogo di cruenti spettacoli dove si
eseguivano le esecuzioni capitali, che non servivano solo a giustiziare un colpevole o presunto tale, ma anche a
“mostrarlo” in pubblico. Perciò la ghigliottina non funzionava in segreto, ma faceva mostra di sé nella piazza della
Rivoluzione, già dedicata al re Luigi XV e rinominata in seguito piazza della Concordia (nome che porta tuttora).
Le piazze furono anche un luogo di festa, dove la rivoluzione affermò i suoi valori innalzando quelli che furono chiamati
“alberi della libertà”. Fu questo uno dei principali simboli della Rivoluzione
francese e del “nuovo ordine” che essa intendeva instaurare: un palo (o un vero e
proprio albero) issato sulle pubbliche piazze delle città e dei paesi, attorno al quale
si svolgevano feste, canti, balli. Già utilizzato durante la lotta per l’indipendenza
americana, l’albero della libertà riprendeva un antico motivo del folklore popolare
riempiendolo di un nuovo significato politico e sociale. L’albero manifestava davanti
a tutti la rottura con la tradizione, non solo sul piano politico, ma anche culturale e
religioso: in polemica contro la religione cristiana, esso richiamava una religiosità
di tipo “naturalistico” come quella che, agli inizi della primavera, amava festeggiare
il ritorno della fertilità e del ciclo vegetativo innalzando alberi come simbolo della
Natura che rinasceva. L’importanza di questo simbolo era talmente sentito che,
quando le forze rivoluzionarie venivano più o meno temporaneamente sconfitte, la
prima cosa che si faceva era abbattere l’albero.
Jacques Bertaux, Presa del
palazzo delle Tuileries, 10 agosto
1792, fine XVIII sec.
La semplicità e la “spontaneità” di queste feste (anche se, in effetti, erano gli
stessi governanti a sollecitarne l’introduzione) erano polemicamente contrapposte
alle feste nobiliari, organizzate per pochi privilegiati e in luoghi chiusi. «Non sono
queste le feste del popolo felice – aveva scritto Jean-Jacques Rousseau – perché
solo all’aria aperta, sotto il cielo, ci si abbandona al sentimento della felicità e della
libertà. Piantate un palo di fiori in mezzo a una piazza, riunitevi intorno il popolo, e
avrete la festa». Soprattutto durante la dittatura di Robespierre furono organizzate
molte manifestazioni di questo genere, per creare fra il popolo un’atmosfera di
entusiasmo e accrescere il consenso politico attorno alla nuova repubblica.
Pierre Antoine de Machy,
Esecuzione capitale sulla place de
la Révolution, 1793
8.2 La nuova Costituzione e il Terrore. Le
leggi sociali
Alleanze antifrancesi e rivolte contadine L’espansione
militare della Francia e la morte violenta di Luigi XVI provocarono
allarme negli altri paesi europei, che, sentendosi minacciati dalla
rivoluzione e temendo che l’espansione della Francia alterasse
pericolosamente l’equilibrio tra le potenze, costituirono una
coalizione antifrancese (la prima di sette). Vi aderirono
l’Inghilterra, l’Austria, la Prussia, la Russia, la Spagna e altri Stati.
Attaccate da ogni parte, le armate rivoluzionarie subirono pesanti
sconfitte e dovettero ritirarsi, incalzate dagli avversari che invasero
il territorio francese.
Quasi negli stessi giorni, in Vandéa e in Bretagna, regioni sulla La Rivoluzione francese, 1789-95
costa atlantica, esplose un’insurrezione dei contadini i quali,
esasperati dalle continue leve militari imposte dal governo, sobillati dai nobili e armati dagli inglesi,
si levarono in un violento moto insurrezionale contro Parigi e contro la rivoluzione.
La Costituzione repubblicana e il Comitato di salute pubblica In queste drammatiche
condizioni – l’invasione militare e le ribellioni interne – la Convenzione ricorse a misure
eccezionali: nel 1793 si redasse una nuova Costituzione repubblicana e si creò un governo dotato di
poteri dittatoriali, il Comitato di salute pubblica, formato di nove membri con Robespierre
presidente, Danton incaricato degli affari esteri, Lazare Carnot (1753-1823) della conduzione della
guerra.
Le questioni più urgenti erano legate all’economia del paese e alla sua difesa. Per arginare la
gravissima crisi economica si fissò un “calmiere” che limitava i prezzi delle derrate agricole, delle
merci e dei salari. Sul piano militare fu istituita la leva di massa e l’esercito fu riorganizzato
secondo criteri di disciplina e di merito, che aprivano possibilità di carriera anche a ufficiali di
estrazione borghese e popolana.
Il Terrore Il Comitato, diretto con inflessibile energia, prese i
provvedimenti ritenuti necessari ricorrendo all’uso sistematico della
violenza; perciò quella fase della rivoluzione fu detta “periodo del
Terrore”.
Le insurrezioni della Vandéa e della Bretagna furono domate con
le armi e con esecuzioni di massa. Ogni sospetto di
controrivoluzione fu bloccato per mezzo del Tribunale
rivoluzionario, un organismo speciale per i reati politici; le sue Le vittime del Terrore del 1793,
sentenze erano inappellabili e immediatamente esecutive. Era XVIII sec.
sufficiente un sospetto, anche senza prove, per essere arrestati e
giudicati. Ogni garanzia dei diritti individuali fu di fatto abolita, l’annientamento dei nemici della
rivoluzione (o supposti tali) fu condotto con spietato rigore.
Anche l’ex regina Maria Antonietta fu portata alla ghigliottina; identica sorte toccò ai molti
nobili e sacerdoti che si erano rifiutati di prestare giuramento alla repubblica; così pure finirono
ghigliottinati i generali accusati di tradimento. Il Terrore, motivato dallo stato di guerra e dalla
controrivoluzione interna, durò dall’agosto 1793 al luglio 1794 e fece migliaia di vittime.
Leggi sociali e laicizzazione Malgrado le difficoltà di quei
momenti terribili, il governo rivoluzionario approvò una serie di
importanti leggi sociali. Nel 1794 fu abolita la schiavitù nelle
colonie e fu introdotta l’istruzione obbligatoria e gratuita per tutti
i cittadini. L’educazione delle masse era infatti vista come base
della crescita civile e sociale. Nello stesso anno, il 21 dicembre, la
Convenzione fondò l’Ècole Polytechnique, la ‘Scuola politecnica’,
un istituto tecnico-scientifico distinto dall’università, a cui si Calendario rivoluzionario anno II
accedeva per merito e che diventò il modello di istruzione pubblica della repubblica, 1794
superiore. Un importante provvedimento fu l’adozione del sistema
decimale, un nuovo metodo di misura che superava il particolarismo delle misure locali, creato per
rendere uniformi e più semplici i rapporti commerciali, che per la sua praticità fu poi adottato da
quasi tutti i paesi del mondo [cfr. Modulo 3, Invenzioni e innovazioni].
Altre riforme ebbero come oggetto la laicizzazione della società: furono aboliti simboli e
riferimenti al cristianesimo, sostituiti dal culto dei martiri rivoluzionari o della Ragione; fu anche
introdotto un nuovo calendario rivoluzionario. Fu sancita la libertà di culto per tutte le confessioni,
istituendo però anche il culto dell’Essere supremo, una religione razionale e simbolica di
ispirazione deista [cfr. 4.1].
Il mondo della tecnica
Due rivoluzioni a base decimale: il metro e il calendario
Fra le novità introdotte dalla Rivoluzione francese, una delle più durature fu
l’istituzione di nuove unità di peso e di misura, basate su un sistema decimale
unificato. Fino ad allora, le misure erano prevalentemente di tipo “concreto”
(braccia, passi, ecc.) e variavano considerevolmente da luogo a luogo: nella sola
zona di Parigi si contavano una quarantina di sistemi diversi. Nel 1795 un’apposita
commissione governativa decretò l’abolizione delle antiche misure, simbolo del
particolarismo feudale, e la loro sostituzione con una misura “razionale” valida per
tutti. Anche questo fu un modo per esprimere il valore universale dei princìpi
rivoluzionari, e inoltre per favorire – a tutto vantaggio dei ceti borghesi –
l’unificazione dei mercati e il libero commercio. Questo è il testo ufficiale con cui Adozione del sistema metrico
decimale, 1795
nel 1795 venne istituito il metro (dal greco metron, ‘misura’):
La Commissione di Commercio propone di stabilire una misura di lunghezza, comune a tutta la Repubblica. Dopo aver dimostrato che
il gran numero di misure ora esistenti, diverse tra loro a seconda dei luoghi, è di grave ostacolo al commercio, la Commissione propone
di copiare dalla natura l’unità di misura, per renderla costante e certa; prendiamo dunque come punto di riferimento la lunghezza del
meridiano terrestre, e da essa ricaveremo la nuova misura, il metro: esso sarà la quarantamilionesima parte di quel meridiano.
Il governo rivoluzionario, dopo avere creato il sistema decimale, stabilì di mutare
anche il sistema di computo del tempo, introducendo un nuovo calendario a base
decimale.
L’anno era di dodici mesi e ogni mese comprendeva 30 giorni, distinti non più in 4
settimane, ma in 3 decadi, cioè tre gruppi di 10 giorni ciascuno. Considerato che
12 mesi di 30 giorni fanno in tutto 360 giorni, cioè 5 in meno rispetto all’anno
solare, si aggiunsero 5 giorni complementari, detti “sanculottidi”, consacrati a feste
nazionali, dedicate al Genio, al Lavoro, alle Belle Azioni, alle Ricompense e
all’Opinione. La festa dell’Opinione era una specie di carnevale politico in cui era
permesso criticare e prendere in giro gli uomini di governo. Ogni quadriennio,
inoltre, per colmare la lacuna di 5 ore e 48 minuti che veniva a presentarsi rispetto
all’anno solare, si aggiungeva un giorno supplementare di festa, dedicato alla
Rivoluzione. L’anno aveva inizio il 22 settembre, giorno dell’equinozio d’autunno,
chiamato 1° vendemmiale.
I giorni non furono più dedicati ai santi ma a fiori, frutti, animali e oggetti diversi, che
ricordavano il lavoro, l’agricoltura, la rivoluzione. Per esempio il 19 Messidoro
(giugno) era dedicato alla segale, il 20 all’avena, il 21 alla cipolla, il 23 al mulo, il 28
alla falce, il 30 ai fagioli.
Anche i mesi furono chiamati con nomi nuovi, ispirati alle stagioni e ai lavori Allegorie del calendario
agricoli. Essi furono nell’ordine: Vendemmiale, Brumale (per la nebbia), Glaciale rivoluzionario: i mesi di Fruttidoro
(per la brina), Nevoso, Piovoso, Ventoso, Germinale (per i germogli primaverili), e Termidoro, fine XVIII sec.
Fiorile, Pratile, Messidoro, Termidoro (‘che porta il caldo’), Fruttidoro (il primo
corrisponde a settembre, l’ultimo ad agosto).
Il nuovo calendario ebbe vita breve. Introdotto dalla Convenzione il 24 novembre 1793, fu abolito da un decreto di
Napoleone il 31 dicembre 1805. Il 1° gennaio 1806 ritornò in vigore il tradizionale calendario gregoriano.
Invenzioni e innovazioni
Il metro e le misure “universali”
Il metro è figlio della Rivoluzione francese e rappresenta una svolta epocale nel
modo di concepire le unità di misura. Fino al XVIII secolo le misure erano definite in
modo “concreto”, in base alle attività e agli oggetti della vita quotidiana, secondo
l’uso che si faceva delle cose: le distanze si misuravano in passi, i tessuti in
braccia, i cereali in moggi o in staia (i contenitori di legno entro cui si vendevano o
si conservavano), il vino in anfore, il fieno in carri, i campi in “iugeri” (in età romana,
era lo spazio che una coppia di buoi aggiogati poteva arare in un giorno) o in
“tornature” (ancora con riferimento ai buoi che “giravano” l’aratro alla fine del
solco) e così via, con una grande diversità di riferimenti e di valori da un paese
all’altro, da una città all’altra. A queste misure “concrete” e variabili, il governo Antiche unità di misura agraria:
rivoluzionario francese decise di sostituire nuove unità di peso e di misura, basate iugeri e tornature
su un sistema decimale unificato. Questa scelta “tecnica” nasceva da precise
esigenze economiche e politiche: rendere possibili i confronti e unificare il mercato nazionale, assecondando le
aspirazioni della borghesia; cancellando il particolarismo delle antiche misure si cancellava il particolarismo feudale, che
la Rivoluzione aveva abbattuto.
La nuova idea – una vera invenzione sul piano concettuale, destinata a
lunghissima fortuna – fu di introdurre misure “astratte”, definite a tavolino in base
a calcoli teorici, da proporre come strumenti “universali” e “oggettivi”, validi per
tutti. La lunghezza del metro fu determinata nel 1791 dall’Accademia delle
scienze di Parigi, dividendo per dieci milioni la lunghezza del meridiano terrestre
fra il Polo nord e l’equatore. Il governo francese la adottò ufficialmente nel 1795,
poi l’uso del metro si diffuse nel mondo intero, grazie al successo dell’idea che lo
aveva visto nascere: utilizzare misure precisamente definite, valide per tutti,
universalmente riconoscibili. Proprio per questo, in considerazione di una
persistente incertezza nel fissare la lunghezza del meridiano, nel 1889 il metro fu
ridefinito come la distanza tra due linee incise su una barra di platino conservata a
Sèvres presso Parigi. Nel 1983 la Conferenza Generale di Pesi e Misure ha di
nuovo modificato la definizione del metro, riferendosi non più a una dimensione
spaziale, ma a un’unità di tempo. Il metro si definisce oggi come «la distanza
percorsa dalla luce nel vuoto in un intervallo di tempo pari a 1 / 299.792.458 di L.F. Labrouss, Uso delle nuove
secondo» (il che equivale a dire che la velocità della luce nel vuoto corrisponde a misure, 1800
299.792.458 metri al secondo). La maggiore “universalità” di questa definizione
dipende dal fatto che la velocità della luce nel vuoto si suppone che sia la stessa ovunque, e che possa essere misurata
con precisione maggiore rispetto alla circonferenza della Terra o alla distanza fra due punti.
Assieme al metro, la Francia rivoluzionaria adottò il grammo come unità di misura del peso, definito come la massa di un
centimetro cubo di acqua distillata alla temperatura di 4 °C. Anche il litro fu introdotto come “nuova misura repubblicana”,
corrispondente a un decimetro cubo (ovvero lo spazio occupato da un chilogrammo, 1.000 grammi). Tutte queste misure
furono in seguito ripensate, riviste, ridefinite.
Ancora oggi il metro costituisce l’unità di base della lunghezza nel Sistema
internazionale delle unità di misura e di peso (abbreviato SI), il più diffuso
sistema metrico a livello internazionale, nato nel 1889. Inizialmente esso
comprendeva, oltre al metro, altre due unità fondamentali di misura: il
chilogrammo (misura della massa) e il secondo (misura del tempo). Nel 1935,
su proposta del fisico italiano Giovanni Giorgi, vi fu aggiunto l’ohm, unità di misura
della resistenza elettrica (sostituita nel 1946 dall’ampère, unità di misura della
corrente elettrica). Nel 1954 furono aggiunti il kelvin (unità di misura della
temperatura) e la candela (unità di misura dell’intensità luminosa). Nel 1971 la
L’adozione del Sistema
mole (misura della quantità di sostanza, o massa molecolare).
Su queste sette grandezze fisiche (metro, chilogrammo, secondo, ampère, internazionale delle unità di
kelvin, candela, mole) si basa attualmente il Sistema internazionale delle unità di misura e di peso
misura e di peso.
8.3 Dal Grande Terrore al Direttorio
Vittorie contro la Prussia La situazione militare a poco a poco migliorò. I nuovi eserciti
organizzati da Carnot si dimostrarono validi strumenti di vittoria. Comandati da giovani generali, che
avevano ottenuto i gradi per le capacità mostrate sul campo, essi fermarono l’invasione austroprussiana (battaglia di Wattignies, 28 dicembre 1793) e la coalizione antifrancese (battaglia di
Fleurus, 26 giugno 1794) e costrinsero gli avversari a ritirarsi. Il territorio nazionale fu liberato.
La crisi economica Le disposizioni di politica economica, invece, non diedero i risultati sperati.
Nonostante il calmiere dei prezzi, il razionamento delle derrate alimentari e la requisizione dei
generi di prima necessità, il loro costo continuava a crescere e c’erano giorni in cui i viveri
mancavano. Sulle strategie da seguire vi erano proposte contrastanti: Danton voleva interrompere i
provvedimenti straordinari e lasciare libero corso all’economia; Hébert invocava interventi ancora
più duri per il controllo del mercato, a protezione delle classi deboli; Robespierre tentava una
mediazione suggerendo di lasciar libere le attività economiche senza dimenticare i bisogni della
popolazione più povera.
Il “Grande Terrore” I contrasti si acuirono al punto che si tornò alla “politica del terrore”. Per
ordine di Robespierre, Hébert fu ghigliottinato sotto l’accusa di praticare teorie che affamavano il
popolo; poi fu mandato a morte Danton con molti suoi seguaci, che Robespierre riteneva affaristi
arricchiti alle spalle del popolo.
In tal modo Robespierre rimase dittatore unico e avviò una sua personale politica che
utopisticamente si proponeva di estirpare la corruzione e i vizi e di far trionfare la virtù. Seguì un
periodo chiamato “Grande Terrore” per l’elevato numero di persone che finirono sotto la
ghigliottina. In questo clima di paura maturò una congiura contro lo stesso Robespierre il quale,
accusato di tirannia, il 27 luglio 1794 fu mandato a morte con i suoi sostenitori.
Una Costituzione meno democratica Giustiziato Robespierre, la guida del paese, tenuta fino
ad allora dai giacobini, passò ai gruppi moderati. La Costituzione del 1793 fu abrogata e sostituita
da una nuova Costituzione (agosto 1795), la terza dall’inizio della rivoluzione (la prima era stata
quella del 1791). Abolito il suffragio universale, si riaffermò la limitazione del voto ai soli
benestanti. La separazione dei poteri (legislativo, esecutivo, giudiziario) fu riconfermata. Il governo,
cioè il potere esecutivo, fu affidato a un gruppo di cinque membri, chiamato Direttorio. Con il
Direttorio e la Costituzione del 1795 lo sviluppo della rivoluzione poteva considerarsi concluso.
La situazione però era tutt’altro che pacificata. Le condizioni economiche del paese erano
disastrose, la popolazione insorse e le fu mandato contro l’esercito.
La “congiura degli uguali” Fu in quella drammatica congiuntura che il giornalista François-Nöel
Babeuf (1760-1797) organizzò una cospirazione, detta “congiura degli uguali”, per instaurare uno
Stato basato sull’abolizione della proprietà privata e sulla comunione dei beni. Alla cospirazione
prese parte anche un italiano di origine fiorentina, Filippo Buonarroti (1761-1837). Quando la
congiura fu scoperta, alcuni dei promotori, tra cui Babeuf, furono ghigliottinati (maggio 1797);
Buonarroti e altri furono condannati al carcere.
La vicenda di Babeuf è considerata uno dei primi tentativi anticipatori dell’anarchismo, un
movimento che si sviluppò tra XIX e XX secolo [cfr. 18.2].
8.4 Fra uguaglianza e libertà: tre Costituzioni
a confronto
La Costituzione del 1791 3 settembre 1791. 24 giugno 1793. 22 agosto 1795. Sono le date delle
tre Costituzioni della Francia rivoluzionaria: ciascuna di esse rappresenta una fase diversa della
rivoluzione. La prima (1791) istituisce la monarchia costituzionale. Tutti i privilegi sono aboliti. I
tre poteri sono separati: il legislativo è delegato all’Assemblea nazionale, l’esecutivo al re, il
giudiziario ai giudici, eletti dal popolo. Il carattere borghese della Costituzione emerge in particolare
negli articoli relativi alla proprietà e al diritto di voto, riservato ai “cittadini attivi” che pagano le
tasse, cioè ai ceti abbienti.
La Costituzione del 1793 La seconda Costituzione (1793) è quella del nuovo Stato
repubblicano: è la più democratica delle tre. Nel preambolo, che richiama la Dichiarazione
d’indipendenza americana, si legge che lo scopo di un governo è «garantire all’uomo il godimento
dei suoi diritti naturali»: primo fra tutti l’uguaglianza, e poi la libertà e la proprietà. Si sottolinea il
valore dell’istruzione, che deve essere «alla portata di tutti i cittadini». Il diritto di voto e il diritto a
essere eletti non sono più riservati ai benestanti, ma estesi a tutti.
La Costituzione del 1795 La terza Costituzione (1795) mostra un ritorno alle posizioni moderate
del 1791. Fra i diritti dell’uomo, il preambolo mette al primo posto la libertà, mentre nella
Costituzione del 1793 al primo posto vi era l’uguaglianza. Il voto torna a essere limitato secondo il
censo.
Per approfondire
L’invenzione dello Stato laico
Sintesi
La Francia repubblicana
Contro l’Europa dei re: la Repubblica francese e l’uccisione di Luigi XVI
➚ Di fronte ai moti rivoluzionari francesi, i sovrani di Austria e Prussia dichiararono di essere pronti ad aiutare il re se
fosse stato in pericolo. Precedendoli, il governo rivoluzionario mosse guerra all’Austria ma subì una serie di sconfitte
dovute alla condotta degli ufficiali, che, di origine aristocratica, non erano disposti a combattere per la rivoluzione. I nobili e il
re furono accusati di tradimento e a Parigi il popolo assaltò la residenza reale delle Tuileries. L’Assemblea legislativa
dichiarò decaduta la monarchia. Il governo passò ai gruppi repubblicani e giacobini, che sciolsero l’Assemblea legislativa
indicendo nuove elezioni a suffragio universale maschile. Si insediò la nuova assemblea, la Convenzione nazionale, e nel
1792 fu proclamata la repubblica.
Gli austro-prussiani intanto avanzavano verso Parigi e il governo iniziò a reclutare soldati volontari, perlopiù provenienti
dalle classi popolari (sanculotti). Nel settembre 1792 i prussiani furono fermati a Valmy: era il primo successo militare
della rivoluzione sugli eserciti delle monarchie assolute. A essa seguirono altre vittorie e occupazioni di territori, presentate
come una liberazione dei popoli dalla tirannide. Luigi XVI fu processato, condannato per tradimento contro la nazione e fu
ghigliottinato il 21 gennaio 1793.
La nuova Costituzione e il Terrore. Le leggi sociali ➚ Ciò che stava accadendo in
Francia portò Inghilterra, Austria, Prussia, Russia, Spagna e altri paesi a stringersi in unacoalizione antifrancese che
penetrò nel paese proprio mentre in Bretagna e Vandéa si verificavano insurrezioni contadine controrivoluzionarie. La
Convenzione prese allora misure eccezionali: fu redatta una nuova Costituzione (1793) e fu instaurato un governo
dittatoriale, il Comitato di salute pubblica, che fece ampio ricorso alla violenza (“periodo del Terrore ”). Fu fissato un
limite ai prezzi e ai salari per tenere sotto controllo un’economia impazzita; fu introdotta la leva di massa e fu istituito un
Tribunale rivoluzionario che giudicava sui reati politici con sentenze inappellabili, irrispettose dei diritti individuali. Furono
anche approvate importanti leggi sociali: fu abolita la schiavitù nelle colonie (1794); fu poi introdotta l’istruzione
obbligatoria e gratuita per tutti i cittadini, vista come la base della crescita civile e sociale. La Convenzione fondò la
“Scuola politecnica”, un istituto tecnico-scientifico cui si accedeva per merito e fu unificato il metodo di misurazione,
ricorrendo al sistema decimale. Importanti riforme furono fatte anche per la laicizzazione della società: i riferimenti al
cristianesimo furono sostituiti dal culto dei martiri rivoluzionari o della Ragione; fu ammessa la libertà religiosa e si
introdusse il culto deista dell’Essere supremo.
Dal Grande Terrore al Direttorio ➚ In campo militare la riorganizzazione degli eserciti su base
popolare portò alla vittoria sugli austro-prussiani, e il territorio francese fu liberato. In campo economico invece non si
raggiunsero risultati e tra gli esponenti politici scoppiarono i contrasti sulle strategie da adottare. Gli avversari di Robespierre,
Hébert e Danton, furono messi a morte, e Robespierre rimase dittatore unico. L’aumento delle tensioni sfociò nel
“Grande Terrore”: molti, tra cui lo stesso Robespierre e i suoi seguaci, furono condannati a morte, in un clima di paura
collettiva.
Dopo la morte di Robespierre, il governo passò ai moderati. Fu approvata una nuova Costituzione (1795) che chiuse il
processo rivoluzionario. Il diritto di voto fu nuovamente attribuito ai soli benestanti. Il potere esecutivo fu affidato a un
Direttorio composto da cinque membri. Rimanevano però gravi problemi di carattere economico, con un aumento ulteriore
dei prezzi e delle tensioni sociali. Nel 1797 fu sventata la congiura detta “degli uguali”, guidata da François-Nöel Babeuf,
che intendeva abolire la proprietà privata e introdurre la comunione dei beni.
Fra uguaglianza e libertà: tre Costituzioni a confronto ➚ Tra 1791 e 1795 furono
approvate tre diverse Costituzioni, una per ogni fase rivoluzionaria. La prima (1791) introduceva la monarchia costituzionale,
l’abolizione dei privilegi, la divisione dei poteri, il diritto di voto per i cittadini benestanti. La seconda (1793) introduceva uno
Stato repubblicano democratico, che garantiva al cittadino i diritti ritenuti naturali (libertà, proprietà), evidenziava il valore
dell’istruzione, poneva l’uguaglianza come valore principale, introducendo il suffragio universale maschile. La terza (1795)
era caratterizzata da posizioni moderate: reintroduceva il diritto di voto per censo e la libertà, prima dell’uguaglianza, era al
primo posto tra i diritti dell’uomo.