ANTAS 1 Un nuovo modo di essere editore. Sinonimo di coraggio e determinazione. PTM Editrice Prima Tipografia Mogorese Via dei Mestieri 14, 09095 Mogoro Provincia di Oristano Telefono 0783.463976 Fax: 0783.463977 Email: [email protected] www.ptmeditrice.com Il piacevole gusto della lettura Diario di bordo: data astrale 4-11-2314 ...continua l’avventura di Antas Guardo dall’oblò le stelle lontane... Chiarezza, facilità di lettura e bellezza delle illustrazioni grafiche e fotografiche. Sin dal giorno della nascita la direzione editoriale e artistica di Antas si è posta questi primi, grandi obiettivi dai quali, credo, derivino inevitabilmente dei risultati: quello delle vendite e, più in generale, l’indice di gradimento della nostra testata. Bene, dopo due numeri e mentre lavoriamo alla chiusura del terzo possiamo già affermare, con una punta d’orgoglio, che gli obbiettivi sono stati finora centrati in pieno. Antas, stando almeno ai giudizi che ci arrivano da voi affezionati lettori (che non siete solamente sardi ma, con nostra grande soddisfazione, di ogni parte d’Italia) piace per i contenuti, ma anche per la sua bellezza estetica. Non è un particolare che possiamo trascurare, perché il piacevole gusto della lettura passa anche attraverso la gradevolezza dello sfogliare le pagine di una rivista. Antas è un giornale che viene letto e poi conservato come fosse una perla preziosa: non volendo sembrare troppo presuntuosi azzardiamo che Antas è anche un giornale da collezionare, consultare nel tempo, e, perché no, consigliare a chi ancora non lo conosce. “Spazio, ultima frontiera. Questi sono i viaggi della nave stellare Antas. La sua missione è quella di esplorare strani nuovi mondi, alla ricerca di nuove forme di vita e di nuove civiltà, per arrivare là dove nessuno è mai giunto prima”. IL TERZO NUMERO E PINUCCIO SCIOLA Se c’è un’artista che la nostra terra la sta, invece, facendo conoscere al mondo intero, questi è Pinuccio Sciola, al quale dedichiamo con immensa soddisfazione la terza copertina e due articoli di sicuro interesse per voi lettori. Entrare nella casa-museo di San Sperate e immergersi nel “magico mondo” di Sciola è un privilegio che lo scrittore Fabio Forma e la nostra Alessandra Ghiani custodiranno nel loro scrigno dei ricordi più belli. Ma il terzo numero offre una panoramica ricchissima di contenuti: c’è la seconda, ultima parte dell’intervista al nipote di Grazia Deledda; tantissimo spazio per la musica (con una lunga, interessante chiacchierata coi Sikitikis, col canto a chitarra dedicato a Mariano Lilliu e col canto a tenore che vede protagonista Thiesi); per le donne di Sardegna (da Anna Cabras Brundo a Vanessa Roggeri, da Maria Luisa Congiu alle sorelle Silvia e Stefania Loriga, fino a Claudia Crabuzza); per il cinema (con Gianfranco Cabiddu, che ci presenta il suo nuovo film girata all’Asinara), per il teatro (coi Cada Die e i BobòScianèl), per la straordinaria forza dei nostri poeti improvvisatori, primo fra tutti Remundu Piras. E infine non perdetevi l’intervista al cantautore Davide Van de Sfroos: dalla chiacchierata con Mariella Cortes emerge tutto il suo amore per la nostra terra. Non resta che augurarvi una buona lettura! Pierpaolo Fadda Siamo in viaggio da oltre cinque mesi e da pochi giorni siamo alla ricerca nel quadrante Alpha dell’ultimo esemplare di cantante post-punk. La segnalazione del nostro fido informatore Harcat è sembrata attendibile e precisa come sempre. “Messaggio Criptato, Codice 1: sul pianeta rosso Vega18 si riuniscono periodicamente gruppi di razza umana attorno ad una arcaico focolare alimentato da legna di castagno, il festare si protrae oltre le prime luci dell’alba e all’unisono si sentono note sprigionarsi da uno strumento a corde pizzicate con cassa di risonanza armonica affiancate da una potente e graffiante voce di sesso maschile... fine messaggio.” Non ci abbiamo pensato più di un minuto: inserite le coordinate riportate alla fine del messaggio del fido Harcat, abbiamo spinto i motori della nostra astronave verso questa nuova scoperta. Questo è quello che amiamo fare: curiosi come i nostri predecessori, informiamo e riportiamo periodicamente tutto ciò che la storia della nostra galassia a volte tiene nascosto. Ed è per questo che la nostra rivista olografica Antas è ancora la più letta e scaricata dai sistemi centralizzati delle grandi metropoli e compagna di viaggio dei nuovi esploratori dello spazio. Mancano circa sei ore al contatto visivo con il pianeta Vega18. Prima di salire sulla navetta che ci porterà all’incontro con queste nuove forme di vita, ripeto con emozione il mio solito gesto scaramantico. Cerco dentro l’armadio del mio ufficio la scatola contenente l’unico esemplare di Antas in formato cartaceo. Annuso le pagine leggermente sgualcite e rileggo per l’ennesima volta i titoli riportati sulla copertina. Rimango ad osservare affascinato l’immagine di un signore che posa con dolcezza le sue mani su un oggetto presumibilmente di pietra e sembra ascoltarne il suono. Pinuccio Sciola è il suo nome e nella banca dati dell’astronave mi piace rileggere spesso che le sue opere furono ritrovate sparse in gran parte di un isola al centro del Mediterraneo denominata Sardegna. Riportano i diari dell’epoca che quando il forte vento di maestrale soffiava ininterrotto e costringeva la gente di quella terra a stare chiusa in casa, si sprigionava nell’aria una musica avvolgente e misteriosa che scacciava tutte le paure. Simone Riggio editoriale ANTAS 03 Editoriale Pierpaolo Fadda e Simone Riggio 04 Sommario 05 In evidenza APPROFONDIMENTI 06 Mia nonna, Grazia Deledda Pierpaolo Fadda DONNE DI SARDEGNA A N TA S Bimestrale di musica e cultura sarda N° 3 - Ottobre 2014 - Anno 1 EDITORE PTM Editrice di Claudio Pia Via dei Mestieri, 14 09095 Mogoro (OR) Telefono 0783 463976 - Fax: 0783 463977 Email: [email protected] Orari: dal Lun. al Ven. 09.00 - 13.00 | 14.30 - 18.30 DIRETTORE Pierpaolo Fadda [email protected] ART DIRECTOR Simone Riggio [email protected] CONSULENTE ALLA REDAZIONE Manuela Polli HANNO COLLABORATORO A QUESTO NUMERO Antonio Caria, Valentina Cebeni, Marta Cincotti, Mariella Cortes, Fabio Forma, Alessandra Ghiani, Claudio Loi, Mary Manghina, Giuliano Marongiu, Giovanni Graziano Manca, Matteo Mazzuzzi, Ghita Stefania Montalto, Diego Pani, Valeria Patanè, Valentina Pintor, Giovanni Salis, Deborah Succa, Salvatore Taras. PUBBLICITA’ E PROMOZIONE [email protected] FOTO COPERTINA Attila Kleb FOTO PAGINA ABBONAMENTI vgstudio / 123RF Archivio Fotografico STAMPA PTM - Prima Tipografia Mogorese di Claudio Pia Via dei Mestieri 14 - 09095 Mogoro (OR) ©Antas 2014 tutti i diritti di produzione sono riservati Registrazione tribunale di Oristano n° 1/2014 del 21/05/2014 10 13 14 18 20 Anna Cabras Brundo Marta Cincotti Maria Carta Pierpaolo Fadda Vanessa Roggeri Alessandra Ghiani Maria Luisa Congiu Giuliano Marongiu Silvia e Stefania Loriga Pierpaolo Fadda PERSONAGGI 24 Mariano Lilliu Antonio Caria 26 Remundu Piras Giovanni Graziano Manca GLI SPECIALI DI ANTAS 30 Pinuccio Sciola: l’anima del suono Fabio Forma 34 Pinuccio Sciola: il canto della pietra Alessandra Ghiani SFUMATURE SONORE 38 Davide Van de Sfroos Mariella Cortes 41 Riptiders Pierpaolo Fadda 42 Sikitikis Claudio Loi FOCUS, ARTISTI IN VETRINA 46 50 52 54 56 Gianfranco Cabiddu Valentina Pintor Cada Die Teatro Matteo Mazzuzzi BobòScianèl Mary Manghina Cunsonos de Tiesi Pierpaolo Fadda Claudia Crabuzza Giovanni Salis RECENSIONI DISCOGRAFICHE 57 4 note in libertà con i Punkillonis Pierpaolo Fadda Akytera Mary Manghina Elva Lutza e Renat Sette Redazionale L’armeria dei briganti Pierpaolo Fadda Perry Frank Diego Pani Saffronkeira + Mario massa Claudio Loi Massimo Spanu, Rural Electrification Orchestra Claudio Loi RECENSIONI LIBRI 60 A colazione con Giovanni Davide Piras Deborah Succa Dodici chicchi d’uva di Lisa Elisa Valeria Patanè L’altra di Elvira Serra Valentina Cebeni I miei canti. Storia e spartiti... di Alessandro Catte Redazionale Francesco Demuro: un amico... di Cristian Dessena Salvatore Taras Damnatio di Luca Mastinu Redazionale fANTAStiche EMOZIONI 63 Jimi Hendrix Ghita Stefania Montalto Le immagini delle pagine 6, 7, 11, 12, 14, 15, 19, 24, 25, 47, 48, 49, 53, 55, 56, 60 sono carenti di riferimenti riguardo i loro autori: scusandocene anticipatamente, restiamo disponibili per l’aggiornamento dei rispettivi crediti. in evidenza foto di Michela Medda SIKITIKIS 42 Sono la colonna sonora di una città e di un continente ma non professano nessuna ideologia esclusiva. Oltre 15 anni di onorata carriera dedicata a infrangere le barriere della nostra coscienza musicale. Sono la band che rappresenta nel modo migliore i nostri tempi dove la Sardegna non è più un prodotto esotico da esportare e neanche uno scrigno da tenere sigillato... PINUCCIO SCIOLA 30 38 È un viaggio dentro noi stessi, alla scoperta di suoni che ci sono appartenuti, di cui avevamo perso la memoria... 06 GRAZIA DELEDDA 14 VANESSA ROGGERI DAVIDE VAN DE SFROOS L’isola sospirante. Così chiama la “sua” Sardegna Davide Van de Sfroos, istrionico cantautore delle valli comasche... 18 MARIA LUISA 20 CONGIU www.antas.info - seguici sui maggiori social network! 46 GIANFRANCO CABIDDU Uno dei massimi esponenti del cinema sardo. Una carriera prestigiosa la sua, che vanta importanti riconoscimenti: l’ultimo il Premio Maria Carta... SORELLE LORIGA 26 REMUNDU PIRAS Parla l’unico nipote vivente della scrittrice ANTAS 6 Seconda parte approfondimenti Sul filo della memoria MIA NONNA, GRAZIA DELEDDA Il commovente ritorno a Nuoro della salma della scrittrice nei ricordi di Alessandro Madesani Deledda testo di Pierpaolo Fadda Lei venne per la prima volta a Nuoro nel 1956: cosa ha provato mettendo piede nella città ai piedi del monte Ortobene? Una grande curiosità. Ricordo benissimo quel fine Agosto del 1956: ci venni in occasione della Festa del Redentore, anche perché proprio in quell’occasione veniva assegnato il premio Grazia Deledda, istituito nel 1952. Avevo 17 anni e ho scoperto con mia sorpresa che quella che vedevo era una Nuoro ancora straordinariamente“ deleddiana”, esattamente come era stata descritta nei romanzi della nonna. Mi colpì molto il grande sentimento di solidarietà tra le persone a prescindere dal loro stato sociale e notai che quasi tutte le donne e gli uomini erano vestiti con l’abito sardo tradizionale. Non dimenticherò mai quei giorni: fu come scoprire davvero la grande forza espressiva delle opere della nonna, che riviveva e che potevo toccare con mano. Alla fine cosa si decise? Mio padre Franz diede il benestare dopo molte riflessioni: inizialmente era molto riluttante, in quanto nonna non aveva mai espresso né a voce né per iscritto il desiderio di essere sepolta a Nuoro dopo la morte. Acconsentì comunque, ma il percorso per riportare la salma a Nuoro non fu semplice: occorre tenere presente che un civile non può essere sepolto in una chiesa (la sepoltura era stata stabilita nella chiesa della Solitudine) a meno che non ci sia un’autorizzazione concessa da un’apposita commissione del Vaticano. Per questo si fece un vero e proprio processo canonico, durante il quale furono raccolte numerose testimonianze sulla vita di nonna; vita che risultò essere improntata alla religiosità e cristianità. Un altro episodio che sicuramente ricorderà è legato al trasporto della salma di sua nonna da Roma alla chiesetta della Solitudine: che ricordi ha di quel 21 Giugno 1959? Bellissimi, e ripensandoci oggi mi emoziono, specie considerando che la stessa Grazia Deledda, dopo che nel 1912 vendettero la casa natale, non tornò più in Sardegna, nemmeno dopo la vittoria del Nobel, e questo suscitò alcune polemiche. Quando nonna morì fu Ci racconti del viaggio di ritorno a casa di Grazia Deledda... Si pose subito un problema: la salma della nonna doveva viaggiare in nave, ma proprio in quel giorno la Tirrenia era in sciopero. Che fare? Risolse tutto il senatore Mannironi, all’epoca sottosegretario alla Marina Mercantile, chiedendo che la salma fosse trasportata in aereo. Fu il mio primo viaggio a bordo di un velivolo, durante il quale il corpo di nonna venne trasportato dall’aeroporto di Roma Ciampino a quello di Alghero. Non dimenticherò mai l’arrivo in Sardegna, ben documentato, del resto, dai giornali dell’epoca: nel percorso da Alghero a Nuoro si formò un corteo impressionante di gente e ricordo che gli abitanti dei paesi attraversati erano tutti schierati coi sindaci in prima fila e gli stendardi dei comuni. La salma arrivò a Nuoro e fu portata in Cattedrale. Attestato del Premio Nobel ...il percorso per riportare la salma a Nuoro non fu semplice: occorre tenere presente che un civile non può essere sepolto in una chiesa... 7 sepolta a Roma nel cimitero del Verano, nella nostra tomba di famiglia, che lei aveva espressamente voluto a forma di nuraghe. Un gruppo di persone nuoresi amiche di mio padre insistette molto per riportare la sua salma a Nuoro: tra essi ricordo il Prof. Mario Ciusa, l’ Avv. Pinna e l’Avv. Mastino (Sindaco di Nuoro all’atto della traslazione). ANTAS Nella prima parte dell’intervista a Alessandro Madesani Deledda, unico nipote vivente della grande scrittrice nuorese Grazia Deledda, ci siamo soffermati con particolare interesse sugli episodi più curiosi della vita del Premio Nobel. Abbiamo scoperto alcuni aspetti del suo carattere, un grande senso dell’ironia e la straordinaria capacità della scrittrice di “ritagliarsi” uno spazio per la scrittura nel primo pomeriggio, dopo avere svolto le faccende domestiche. Nella seconda e ultima parte, Alessandro Madesani ci parla del suo primo viaggio nella città natale della nonna, Nuoro, e del ritorno a casa di Grazia Deledda, quando la salma della scrittrice venne riportata nel capoluogo barbaricino nel Giugno del 1959. Sono testimonianze dirette ed emozionanti: un regalo bellissimo per tutti i lettori di Antas. Il 21 Giugno si tenne il funerale: il corteo funebre attraversò il quartiere dove abitava la nonna sostando per alcuni minuti e proseguì per la chiesa della Solitudine, dove ad attenderla c’era mezza città di Nuoro. Ricordo che era presente anche Antonio Segni, allora Presidente del Consiglio dei Ministri. Furono veramente giornate intense e indimenticabili per me e, credo, per tutta la Sardegna e in particolare per Nuoro: penso che quello sia stato il giorno della definitiva riappacificazione tra Grazia Deledda e la sua tanto amata città natale. sua opera più bella e intensa sia La madre, forse perché tratta un tema ancora molto attuale: il rapporto conflittuale tra la condizione di un sacerdote e il suo amore per una donna. Straordinariamente forte è anche la figura della Qual è, a suo giudizio, l’opera più bella e intensa di Grazia Deledda ? Mi fa una domanda molto difficile. Io sono un estimatore delle opere di mia nonna, le ho lette davvero tutte. Indubbiamente la più nota è Canne al vento, che considero un bellissimo romanzo; anche se personalmente credo che la foto di Salvatore Selis ANTAS 8 Altro momento importante, l’apertura della bara nel Febbraio del 2007: immagino l‘emozione… Per spiegare la ragione dell’apertura della bara occorre fare un passo indietro al 1959, quando la salma della nonna arrivò a Nuoro. Al momento della tumulazione ci si accorse che la bara proveniente da Roma era troppo grande per entrare nel sarcofago di granito nero predisposto nella chiesa della Solitudine. Immediatamente ci fu una riunione straordinaria (con le solite immancabili polemiche) tra mio padre, il sindaco Mastino, l’allora vescovo di Nuoro Giuseppe Melas ed il Prof. Ciusa, durante la quale fu deciso di tumulare il feretro sotto il pavimento della chiesa, perpendicolarmente rispetto al sarcofago; per fare ciò fu necessario aprire un varco sul perimetro esterno della chiesa. Quando, nel 2007, furono eseguiti alcuni lavori di ristrutturazione della chiesa della Solitudine si rese necessario trasferire la salma nel cimitero di Nuoro: al momento dell’ispezione prevista dal regolamento cimiteriale e, quindi, dell’apertura della bara, si scoprì non senza sorpresa che il feretro si era automummificato e ricordo che all’altezza delle mani venne rinvenuto un libro, che credo fosse il Vangelo secondo Matteo. Fu una cerimonia molto importante e non trattenni l’emozione. ...al momento della tumulazione ci si accorse che la bara proveniente da Roma era troppo grande per entrare nel sarcofago di granito nero... porto questo cognome con un grande rispetto per la sua figura, non tanto e non solo perché è stata mia nonna, ma perché in realtà io sono un grandissimo ammiratore di Grazia Deledda come donna. Mi hanno sempre affascinato la sua forza e il suo coraggio, la sua storia personale, il suo valore: aveva una grandissima volontà, sicurezza di sé e soprattutto uno sconfinato amore per la sua terra natale. 9 ANTAS Cosa significa, per lei, portare un co- gnome così importante? Faccio una premessa: deve sapere che finché erano in vita i miei genitori io non mi sono mai interessato personalmente dei rapporti tra la famiglia Deledda e le autorità o degli avvenimenti ufficiali che richiedevano la presenza di familiari della scrittrice Premio Nobel. Quando ho iniziato a farlo, più tardi, ho però avvertito immediatamente tutta la grandezza di Grazia Deledda. Io foto di Salvatore Selis madre del sacerdote, che vive un vero e proprio dramma interiore. Il romanzo ha un finale semplicemente bellissimo e tuttora rileggo questo libro con grande emozione. Ma le potrei citare anche altre opere deleddiane a me molto care come Elias Portolu e Il Paese del vento, uno degli ultimi romanzi della nonna, peraltro non ambientato in Sardegna. donne di Sardegna La nipote e curatrice della mostra “Persone e Personaggi” Marta Cincotti racconta Anna Cabras Brundo durante la realizzazione del busto di Francesco Cossiga, 1988. Foto di Sandro Cabras ANNA CABRAS BRUNDO Ritratto d’artista Allieva di Francesco Ciusa, ha ritratto personaggi famosi come Gigi Riva, i due Papi Paolo VI e Giovanni Paolo II, Francesco Cossiga ANTAS 10 testo di Marta Cincotti “Non dev’essere cosa facile, per un artista dei giorni nostri che non voglia rinunciare a dire sinceramente di sé e del suo mondo, in termini onesti e convincenti, sottrarsi alla suggestione di quello che oggi la moda reclama e approva”. Così scriveva Nicola Valle nel 1973 in un articolo dedicato ad Anna Cabras Brundo (1919 - 2008), artista cagliaritana che quella suggestione non l’ha mai seguita. Perché, se a sedici anni il ritratto in gesso del nonno poteva sembrare solo un gioco ben riuscito, tutti gli altri ritratti realizzati nei sessant’anni successivi sono prova del talento e figli della necessità di esprimerlo. CREATIVITÀ E SOFFERENZA Anna Cabras Brundo nasce a Cagliari il 26 novembre 1919 da Erminio Brundo e Marta Garbati. Il padre, orologiaio di profes- sione, era un uomo elegante e colto, ma soprattutto un uomo di ingegno: “Sapeva fare tutto”, come Anna spesso raccontava orgogliosa. Aveva un’eccellente manualità, una spiccata creatività e vena artistica che lo portava perfino a disegnare e realizzare personalmente i vestiti e i cappelli per la moglie, i mobili di casa e gli stessi strumenti da lavoro. Aveva tante e tali doti che, come raccontava la figlia, si è perso a inseguirle tutte. La madre, Marta, più grande di qualche anno del marito, era una donna mite ma appesantita dal dolore per la perdita di tre dei suoi figli: Sandro, ammalatosi da piccolissimo, Mimma, morta tragicamente all’età di sedici anni e Mariano, pilota di caccia che, ammaliato dai proclami fascisti, a vent’anni partì per una guerra da cui non tornò mai. Anna, ragazzina creativa e esuberante, aveva una mente così brillante che, annoiata dallo studio delle materie scolastiche, data la sua innata estrosità, per divertirsi amava leggere a voce alta i testi dei libri scolastici recitandone le parole all’inverso, grazie alla capacità di parlare correntemente formulando le parole al contrario. Due anni prima di ottenere il diploma il padre, forse intimorito dagli apprezzamenti e dalle lodi che già la figlia, tra l’altro anche molto bella, riceveva, decide di ritirarla dalla scuola. Tale decisione, che in tutta la sua vita l’Artista mai perdonò al padre, alimentò ancor più la sua sete di conoscenza e sperimentazione. di meno di cinque anni, anche in tale periodo non resta inerte. I suoi modelli dell’epoca sono necessariamente e principalmente i suoi bambini, sia nel disegno che nella scultura, seppur non mancano sculture di persone e personaggi pubblici realizzati di norma su ordinazione, ma sovente per sua scelta, seguendo l’ispirazione del momento. ARTE COME MEDITAZIONE, LAVORO, PREGHIERA Nel 1958, all’età di 39 anni, entra a far parte del primo sodalizio di artisti capitanato da Gaetano Brundu, denominato “Studio 58”. Il Gruppo, vario e disomogeneo, aveva quale fine la sperimentazione, il Credo dell’arte come storia e non passatempo e la ricerca di nuove forme, in netto contrasto con la “teoria del bello” fine a se stesso. Dopo la partecipazione alla prima mostra collettiva del Gruppo se ne distacca ben presto, per evidenti diversità di vedute e obbiettivi. Da una parte dei suoi componenti scaturisce quindi il Gruppo Transazionale; ma la Cabras Brundo, autentica artista del figurativo, non si ritrova nel manifesto del gruppo e segue un suo personale Credo. In un appunto scarabocchiato (tale era la sua calligrafia) definisce l’arte “meditazione, lavoro, preghiera. Colloquio sempre aperto, inno universale dai muti accordi vibranti fede, infinito”. Pur nella sua apparente fragilità, indipendente, sicura delle proprie capacità 11 Anna Cabras Brundo accanto al busto del nonno Domenico Garbati nel 1936. Foto archivio famiglia Cabras Brundo ANTAS LO STUDIO DELL’ARTE E LA GUERRA Frequenta quindi i corsi di disegno e scultura di Francesco Ciusa, che si accorge immediatamente delle doti della giovane artista apprezzandone le innate capacità prospettiche, l’istintiva conoscenza dell’anatomia umana e la destrezza nel disegno. Abbandonato il corso dopo soli tre mesi su consiglio dello stesso Ciusa, che riteneva di non avere nulla da insegnarle, la Brundo continua a lavorare e disegnare seguendo solo il suo istinto, senza riguardo per le mode del tempo; istinto che la porta a rapportarsi al massimo scultore di tutti i tempi, Michelangelo, suo modello di ispirazione, senza però rinunciare alla sperimentazione di diverse tecniche pittoriche e del modellato, secondo la sua vocazione. Frequenta in seguito anche lo studio di Felice Melis Marini, artista e incisore, di cui realizza un busto in gesso oggi conservato presso la Biblioteca Universitaria di Cagliari, e continua da autodidatta a scoprire e perfezionare quelle che erano la sua dote e la sua passione, che si esprimevano in un genere lontano da quei tempi di sperimentazioni e novità artistiche abbracciate, invece, dalla gran parte degli artisti. La sua attività subisce un naturale rallentamento nel periodo bellico. In quegli anni difficili sposa Mario, l’uomo che l’accompagnerà fino alla vecchiaia sebbene il loro rapporto, frutto dell’incontro di due personalità opposte e quasi inconciliabili, fosse causa di continue battaglie e tensioni. Nonostante la nascita dei quattro figli nell’arco ANTAS 12 Anna Cabras Brundo accanto al busto di papa Paolo VI realizzato per il Seminario di Cagliari e determinata nel portare avanti la sua arte senza compromessi di sorta, ella quasi ignora il passare delle correnti e delle mode, continuando a lavorare e sperimentare e seguendo solo il suo Credo realista e intimistico. La critica del tempo, espressione del tentativo di rottura degli schemi e di rivisitazione del concetto stesso di arte, fatica a capire lo stile della Cabras Brundo. Le sue opere, così classiche e pulite, vengono percepite come una fase acerba, ipotizzando come necessario un percorso di crescita teso alla deformazione delle linee scultoree. Pur rimanendo fedele al suo Credo artistico, gli anni Sessanta sono il periodo delle sperimentazioni stilistiche. In questi anni realizza, gli altri, i ritratti in gesso degli amici scrittori Marcello Serra e Nicola Valle, del pittore Eros Kara, di Fra Nicola e, nel 1970, quello di Gigi Riva. In pittura si trovano i giochi quasi espressionisti dei ritratti realizzati a olio con la spatola, grumi di colori accesi e carichi che in pochi movimenti danno vita ad atmosfere completamente nuove rispetto alla produzione precedente, dove per lo più le figlie e lei stessa prestano il loro volto alla tela. In scultura ottiene nel modellato una resa molto simile a quella ottenuta in pittura, pizzicando e manipolando sommariamente la materia, lasciandola a tratti grezza e sporca, con un forte senso di movimento. Il tratto rispecchia le tensioni dell’animo. Si amareggiava per non ricevere il giusto riconoscimento, la stima e le lodi, e non era mai soddisfatta, nonostante premi, onorificenze e importanti commissioni che via via si succedevano. Esigeva una maggiore attenzione da parte della critica, sapeva di meritarla e non conosceva modestia riguardo il valore delle sue capacità. Pativa in particolare le limitazioni per la sua condizione di donna, una delle poche tra i tanti artisti uomini. Altalenante nell’umore, priva di filtri inibitori, diceva esattamente quello che pensava senza mezzi termini, come se la sua condizione di artista bastasse a perdonarle anche la meno diplomatica delle sue affermazioni. Implacabile sui giudizi artistici, non conosceva né la gelosia per le altrui doti, né la compassione per chi invece risultava privo di qualsiasi attitudine, ma era sempre pronta a consigliare e aiutare chiunque ne avesse avuto bisogno. PERUGIA E CAGLIARI Dal 1974, all’età di 54 anni, sposati i suoi Altalenante nell’umore, priva di filtri inibitori, diceva esattamente quello che pensava senza mezzi termini 4 figli, decide di dedicarsi finalmente solo a se stessa e al suo lavoro. Per quindici anni frequenta l’Accademia di Belle Arti “Pietro Vannucci” di Perugia e così ogni anno, a luglio, per un mese intero si riprende i suoi spazi, viali di cipressi e alberi dalle cime esili e piumose compaiono nei suoi acquerelli e l’arte, per lei necessità e passione, perde i suoi connotati più ombrosi per alleggerirsi in un nuovo gioco. Se a Cagliari era principalmente una ritrattista, a Perugia ritrova il gusto per la leggerezza, il gioco, lo svago, la sperimentazione. In questo periodo arrivano le commissioni più importanti da parte di enti pubblici e religiosi di Cagliari, come i busti dei sindaci Luigi Crespellani e Giuseppe Brotzu, oggi esposti presso il Municipio, il busto di papa Paolo VI realizzato per il Seminario e quello di Giovanni Paolo II per l’Episcopio, il grande bassorilievo di San Luca per la chiesa del Margine Rosso. Nel 1988, poi, realizza per suo gusto il busto dell’allora presidente della Repubblica Francesco Cossiga che, venuto a conoscenza dell’opera, invita la Cabras Brundo in Quirinale a Roma per ringraziarla, omaggiandola dell’onorificenza di Grande Ufficiale della Repubblica. All’età di 72 anni realizza all’interno della Cripta della Chiesa di San Lucifero un grande bassorilievo raffigurante il Santo e la Chiesa. Consigliere degli Amici del libro, socia della FIDAPA e di altri sodalizi culturali, amava incontrare gli amici artisti e poeti ma non passava giornata senza aver visto o sentito tutti e quattro i figli e i cinque nipoti. Sempre di corsa, tra suoi mille impegni e i tanti lavori che seguiva anche contemporaneamente, elegante, eccentrica e magnetica, la si incontrava passeggiare per le vie cittadine con quel suo passo svelto e l’espressione altera. La mano sinistra protetta da un guanto di pelle teneva il manico della borsetta, la destra restava spoglia, in tasca per proteggersi dal freddo invernale, ma sempre libera di conservare il tatto. Mani che per sessant’anni hanno plasmato nell’argilla i volti di centinaia di persone, muovendosi con apparente semplicità, spingendo, togliendo, in una sorta di danza delle sue dita agili e lunghe, incantando chi ha avuto la fortuna di vederla lavorare. foto di G. Salis donne di Sardegna A Dulce Pontes ed Eugenio Finardi il premio dedicato alla cantante nata ottant’anni fa a Siligo MARIA CARTA Una serata speciale nel ventennale della sua morte lare per tutti coloro che hanno amato Maria: ricorrono sia il ventennale della sua scomparsa sia gli 80 anni dalla nascita. E, per l’occasione, la fondazione Maria Carta ha tributato l’importante riconoscimento a Dulce Pontes, regina del fado portoghese ed erede di Amalia Rodriguez, che ha ricordato: “Ascoltavo i dischi di Maria e mi ha sempre conquistato per la sua profondità. E poi amo tantissimo la Sardegna, soprattutto per l’attenzione che ancora sapete riservare al folklore come identità di un popolo”. Premiato anche Eugenio Finardi, che della Sardegna è ormai quasi un figlio: “Quando sento la voce di Maria mi vengono le lacrime agli occhi. Perché lei, Franca Masu, Elena Ledda, riescono a tenere in vita quello che io chiamo ‘il Canto della Madre’. Voci mediterranee, proprio quella di Dulce Pontes e Amalia Rodriguez, Omm Calzun e Noa. Sono onorato di ricevere un premio a lei dedicato”. Altro importante riconoscimento è andato al regista Gianfranco Cabiddu che ebbe modo di dirigere Maria Carta attrice nel film “Disamistade”, a Giampaolo Loddo, al Coro di Usini che ha festeggiato col premio i 40 anni di attività, all’associazione Iscandula di Dante Olianas, al Centro Sociale Culturale Sardo di Milano, alla scrittrice Bianca Pitzorno. Da sottolineare, infine, un riconoscimento anche per le più giovani espressioni della scena musicale isolana, come i sassaresi Train To Roots, impostisi da anni nel panorama europeo del reggae ma capaci di allargare i loro orizzonti, come testimonia il loro ultimo lavoro, Growing. E infine una sorpresa: il giornalista Giacomo Serreli, che ha condotto la serata con impareggiabile bravura, ha ricevuto il premio Maria Carta per la sua straordinaria competenza musicale e l’impegno profuso per la valorizzazione della figura e l’opera dell’artista di Siligo. ANTAS «Il suo bel viso, la fierezza e insieme la grazia del suo portamento, più che un simbolo, sono una personificazione di quella Sardegna intangibile e indomita che ho sempre amato. Quando la sua voce calda e potente si alza e riempie lo spazio, si aprono infiniti orizzonti che scendono nella storia. Dopo aver conosciuto Maria Carta, ancora una volta affermo che i soli grandi uomini della Sardegna sono state donne». Forse basterebbe questo bellissimo ricordo di Giuseppe Dessì per descrivere la straordinaria importanza della figura di Maria Carta. E domenica 7 Settembre scorso, l’intera Sardegna ha voluto ricordare Maria nel suo paese natale di Siligo in occasione della dodicesima edizione del Premio a lei intitolato. Perché Maria Carta “era” la Sardegna. Per la profondità della sua voce inimitabile, per la fierezza del suo viso da “madre mediterranea”, per la straordinaria forza espressiva del suo portamento. Il 2014 è un anno partico- 13 testo di Pierpaolo Fadda donne di Sardegna Intervista alla giovane scrittrice cagliaritana Vi racconto la mia Sardegna VANESSA ROGGERI ANTAS 14 Il suo romanzo d’esordio, Il cuore selvatico del ginepro, è alla quarta edizione. È una storia di lotta alle superstizioni, di cogas, di odio. Ma anche una storia di forte passione testo di Alessandra Ghiani Paura, emarginazione, odio. Ma anche amore e riscatto. Con Il cuore selvatico del ginepro Vanessa Roggeri racconta la Sardegna di fine Ottocento, incupita dalla superstizione e da riti ancestrali, in cui solo l’amore e il raziocinio possono sconfiggere la paura del diverso. Il cuore selvatico del ginepro narra una storia intensa, pregna di sentimenti forti e contrastanti come l’odio e l’amore e, nel contempo, descrive aspetti poco noti della tua terra, la Sardegna. Qual è stata la tua fonte di ispirazione? Da piccola amavo ascoltare i racconti di mia nonna. Lei mi Ianetta è un nome inusuale. Ha un significato particolare per te? La scelta dei nomi è sempre un momento critico perché devono avere un loro significato, racchiudere già in sé la personalità dei protagonisti. Per Ianetta è stato difficoltoso, perché è una creatura particolare. Non potevo chiamarla semplicemente Maria o utilizzare un altro nome così comune. Ho lasciato che arrivasse da solo e, dopo qualche giorno di riflessione, si è fatto strada da sé. Ma, ripensandoci col senno di poi, è facile associarlo al nome janas. C’è stata un’elaborazione naturale dentro di me che ha portato a dare un’identità, anche attraverso il nome, a questo personaggio fondamentale che vive a La Sardegna è una terra antica in cui, ancora oggi, sopravvivono credenze e superstizioni. Ti senti più intimorita o affascinata da esse? Assolutamente affascinata. Già da bambina ne subivo tutto il fascino, derivante un po’ anche dalla paura suscitata dalle storie di esseri che mangiano bambini o dei nuraghi abitati da personaggi fantastici. Da adulta ho cercato di penetrare maggiormente il significato di certe leggende, di certe figure folkloristiche quali le cogas o le janas, appartenenti alla sfera soprannaturale. E ho scoperto che dietro ci sono secoli di storia che affonda nel matriarcato, nel principio della sacralità femminile, principio che il Cristianesimo ha poi demonizzato con figure come le cogas, che rapivano i neonati e che, spesso, servivano a trovare una giustificazione per le morti bianche. Il fascino scatenato da queste storie mi ha instillato una curiosità crescente, legata all’amore per la mia terra e a quel briciolo di irrazionalità e fantasia, di voglia di magia che derivano dal mio passato e dalla tradizione. Ho sempre vissuto appieno le emozioni suscitate da questi racconti. Nel tuo romanzo gli uomini hanno quasi un ruolo secondario con l’eccezione di Giuseppe, il giovane medico che farà breccia nel cuore di Lucia. Come mai questa scelta? Perché nella mia esperienza di vita ho sperimentato il ruolo preminente della figura femminile all’interno della famiglia. Quello di mia madre, di mia nonna e addirittura della mia bisnonna che non ho conosciuto, pur essendo una presenza molto forte nella mia vita. Ho sempre sentito raccontare di lei, rima- 15 Il romanzo racconta le vicende di una famiglia, e delle sorelle Lucia e Ianetta in particolare, legate da un amore che vive nell’ombra. Quale messaggio hai voluto trasmettere al lettore attraverso la loro storia? Ho voluto far riflettere su quanto la superstizione e l’ignoranza in un ambiente chiuso, in una comunità ristretta quale può essere un paese di fine Ottocento nel centro della Sardegna, possano far male alle persone. Quella di Ianetta è una storia di riscatto, di scardinamento di una certa cultura cristallizzata attraverso i secoli. E questa capacità di andare oltre le apparenze è affidato a Lucia, che non crede a ciò di cui la sua famiglia è, invece, fermamente convinta. Nonostante anche lei sia figlia del suo tempo e di una certa mentalità, Lucia supera i propri dubbi, la negatività che la circonda, quel ripetere continuamente che la sorellina è una maledetta, una portatrice di male. E riesce a farlo attraverso l’amore e la luce della ragione. contatto con la natura, in modo quasi selvatico. ANTAS parlava della sua vita povera e semplice in una Sardegna d’altri tempi, che io non ho conosciuto. Attraverso i suoi racconti e grazie a quello che io ho sperimentato nella mia vita, ho elaborato un’immagine della Sardegna che poi ho riversato nel romanzo. La storia di Ianetta è nata perché volevo narrare di una bambina ritenuta fonte di malignità, portatrice di morte, con una connotazione sociale fortemente negativa, ma che, in realtà, era solamente vittima di superstizioni e di ignoranza. ANTAS 16 foto di Alessandro Cani ...sono stata fortemente influenzata dalle caratteristiche della famiglia sarda, del passato e del presente... sta vedova giovanissima con sei figli, in possesso solamente di un tetto sulla testa. Questa donna è dovuta diventare veramente forte per mandare avanti la famiglia e dare da mangiare ai figli. La stessa storia della Sardegna ha, come punti di riferimento, figure femminili storiche di grande personalità. Da Eleonora d’Arborea che è la mia preferita, a Grazia Deledda che ha rotto degli schemi sociali radicatissimi, alla meno conosciuta Donna Francesca Sanna Sulis, un personaggio straordinario vissuto nel Settecento, in pratica la prima imprenditrice sarda. Sono esempi di donne forti, depositarie di saperi antichi e di un certo potere all’interno della famiglia. È un potere sotterraneo, di regia, che non è esplicito come quello dell’uomo che va a lavorare e si espone a livello sociale. Ma la forza di chi sta dietro le quinte non è meno importante. Sono stata fortemente influenzata dalle caratteristiche della famiglia sarda, del passato e del presente. Quando in altri Paesi, ricchi e culturalmente avanzati come l’Inghilterra, le donne non potevano ricevere un’eredità, in Sardegna si verificava il contrario: potevano addirittura prendere il cognome della madre. È sempre stata una terra a sé, come ci insegna la storia dei Giudicati. Nel romanzo utilizzi una prosa robusta con metafore e similitudini forti, spesso legate a elementi naturali che si intonano perfettamente agli eventi narrati. In base alla tua esperienza, scrittori si nasce o si diventa? Scrittori ci si costruisce. Alla base deve esserci sicuramente un talento, come per tutte le forme d’arte. Saper raccontare in modo speciale, saper narrare senza descrivere, saper cogliere certi aspetti della vita attraverso la propria narrazione, sono cose che non si possono insegnare. Si impara certamente a scrivere attraverso le letture dei classici, dei grandi maestri, e con tanta pratica. Sono ormai vent’anni che coltivo questa mia passione e ho visto quanto la mia scrittura sia cambiata nel tempo rispetto agli inizi: prima era più ingenua. L’esperienza, unita alla lettura dei classici, sono cose dalle quali non si può prescindere. Quindi si deve avere dentro il germe della scrittura, ma poi bisogna saperlo coltivare. Quali autori hanno condizionato maggiormente la tua scrittura? Ho come modello di riferimento le so- relle Brontë, in particolar modo Charlotte con il suo Jane Eyre, che considero un capolavoro. Mi affascina quel tipo di scrittura, molto passionale, fuori dal coro. Stiamo parlando di ragazze che vivevano nella brughiera e, mentre mi facevo un’idea della loro scrittura, venivo influenzata anche dalle autrici, dal loro vissuto, da quello che volevano esprimere. Poi non posso non citare un autore classico della Sardegna, Grazia Deledda, la cui scrittura è priva di quelle sovrastrutture tipiche di altri che apprezzo comunque, come D’Annunzio o Pirandello. I loro lavori li immagino come un frutto, una pesca. Hanno quella bella pellicola vellutata che fa arrivare pian piano alla polpa, mentre la Deledda arriva direttamente al nocciolo, trasferendo nelle sue opere la vera essenza della Sardegna. Altri autori che mi hanno influenzato sono Giuseppe Dessì col suo Paese d’ombre e Maria Giacobbe, scrittrice nuorese che mi ha fatto capire fino in fondo cosa significa essere sardi. Tre romanzi che, secondo te, ogni persona dovrebbe leggere. Il Gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, un vero capolavoro della lingua italiana; Il ritratto di Dorian Gray di Oscar Wilde, perché in questa società fatua e narcisista questo classico ha molto da insegnare; L’isola di Arturo di Elsa Morante, per conoscere tutta la potenza della scrittura di una delle più grandi autrici italiane. Il cuore selvatico del ginepro ha appena compiuto un anno di vita ed è alla sua quarta edizione. Puoi svelarci qualcosa sul tuo prossimo romanzo? Il libro è già pronto, uscirà nei prossimi mesi e ha una protagonista molto particolare e speciale. È un libro ambientato nella Cagliari della Belle Époque, che ricorda molto quella raccontata da Francesco Alziator, mia fonte di ispirazione per questo romanzo. È una storia con risvolti emozionanti, piena di passioni come piace a me, forse più forte di quella di Ianetta, perché nasce col senno di poi e con una maggiore consapevolezza dei meccanismi narrativi, acquisita grazie all’esperienza de Il cuore selvatico del ginepro. ANTAS 17 Il punto di riferimento online del mondo di Antas: l’attualità, gli eventi in presa diretta e tutte le informazioni di cui avete bisogno. SEMPRE AGGIORNATI SU WWW.ANTAS.INFO donne di Sardegna foto di Claudia Peddis Incontro con la cantautrice di Oliena MARIA LUISA CONGIU la mia vita tra le pagine del tempo ANTAS 18 testo di Giuliano Marongiu Ogni volta che passo da Oliena mi vengono in mente le parole di Elio Vittorini catturate nel suo Viaggio in Sardegna del 1936: “C’è un senso d’approdo nel nostro arrivo dentro quest’aria coperta dagli ulivi”. Quelle linee di cielo che ritagliano la cornice del Monte Corrasi sfumano gradualmente sulle asprezze calcaree argentate dai riflessi del sole. C’è sempre luce sui tetti di Oliena, nei suoi angoli antichi, nei cortili protetti dalle volate del tempo. Vive qui, Maria Luisa Congiu, artista tra le più apprezzate, ma anche madre innamorata di quattro figli che sono entrati nelle sue canzoni e compagna di un marito musicista che quando la guarda la ricopre di tenerezze. La sua casa è grande e ti accoglie con generosità. Tra le cose che si vedono non compare nessuna traccia della cantante di successo: niente foto o ritratti sulle pareti, targhe o ritagli di giornale in vista, dischi o cimeli di una carriera ultra decennale che possano ricondurre alla pubblica attività della padrona di casa. Qui abita Maria Luisa e basta, la donna che difende i suoi pensieri, che si rifugia nell’intimità dei suoi affetti e nelle verità che lo spettacolo quasi sempre smantella. Qui nascono le sue composizioni, le stesse che tutti cantano. L’estate che si chiude lascia un po’ di amaro in bocca: una stagione contrassegnata dal comportamento di alcuni che, molto spesso, trattano l’arte come merce di scambio e utilizzano le armi della diffamazione quando non possono comprare la libertà e la dignità delle persone. “Sono i segnali negativi di un mondo che non mi piace un’artista che ha saputo fondere tradizione e innovazione che ho ripreso dal repertorio di Antonio Nuvoli, il cantadore di Ploaghe nato nel 1915 e scomparso di recente a 94 anni; un uomo d’altri tempi che ha divulgato con la sua voce la poesia. “Su mutu ‘e sos puzones” ha una forza dirompente sul pubblico tale da convincermi che le belle cose, a dispetto del tempo che passa, restano tali per sempre”. Per la prima volta la cantante di Oliena parla del nuovo disco, del quale il brano di Nuvoli è solo un’anticipazione che affianca, ad esempio, Taj Mahal, aperto a inedite sperimentazioni che “ripassano” atmosfere orientali accompagnate con gli strumenti della nostra tradizione. “Il Taj Mahal è un monumento dedicato all’amore eterno. Per il poeta filosofo Tagore è una lacrima di marmo poggiata sulla guancia del tempo che rientra nelle sette meraviglie del mondo. Probabilmente il suo magnetismo è dovuto anche alla leggenda che accompagna la sua storia. Quando la principessa Mumtaz Mahal muore suo marito, l’imperatore Shah Jahan, cade nella disperazione, tanto che i suoi capelli e la sua barba diventa- ANTAS no completamente bianchi in pochi mesi. Per sciogliere una promessa che le aveva fatto, l’imperatore costruisce il Taj che inizia nel 1631 e viene completato dopo 22 anni. La leggenda narra che a tutti i lavoratori impegnati nella titanica impresa furono amputate le mani al termine della costruzione, affinché l’opera non fosse mai più ripetuta”. Maria Luisa mentre parla si ascolta, misura le parole, le accompagna con i gesti. Sposta leggermente i capelli di lato e sorride con timidezza. L’amore muove le cose, condisce l’esistenza e dentro le canzoni è destinato a non sfiorire mai, come un’eterna primavera. L’amore per gli affetti più vicini e l’amore per il pubblico, che considera l’estensione del suo comunicare con la musica e con i contenuti che la identificano. Scende la sera sui monti di Oliena e anche il sole va a dormire. La notte si apre complice e sussurra i pensieri che l’artista fa suoi. Nessuna poesia potrebbe mai nascere a mezzogiorno o nel frastuono della vita che corre. È nell’intimità del silenzio che il cuore parla e detta le canzoni che Maria Luisa intona. 19 foto di Claudia Peddis e che intendo combattere con tutte le mie forze – dichiara la cantautrice –; per contro, questo scorcio di autunno che si apre mi restituisce la gioia di una serie di concerti meravigliosi, con tanta gente che mi ha ricambiata ancora una volta di affetto”. Il momento che Maria Luisa sta vivendo è particolarmente fecondo. Il nuovo lavoro discografico è quasi pronto e sta per essere dato alle stampe. Le collaborazioni con Ivana Spagna e Antonella Ruggiero le hanno consegnato la gratificazione di un confronto che abbatte le barriere che il mare innalza, per trasferire un dialogo tra sensibilità femminili che attraverso le voci e la musica comunicano emozioni. “Non si smette mai di crescere e di capire ed è sempre più vero che dai momenti di difficoltà riaffiorano energie che pensavi di non avere o di non avere più. Per esempio oggi do molto più valore al contatto diretto con le persone. Spesso questo mestiere ci costringe a delegare il nostro destino e le nostre volontà vengono distorte. Non succederà più. Grazie a Dio si è ricreato quel contatto magnetico tra me e la gente che ha qualcosa di nuovo e di più solido”. Il suo concerto attraversa la storia musicale di un’artista che ha saputo fondere tradizione e innovazione ma che soprattutto ha saputo creare un solco fertile nell’arido panorama dello spettacolo isolano che tende più a generare imitazioni mal riuscite che soluzioni originali. “In realtà mi sento portatrice sana di una Sardegna che ha sempre qualcosa da dire. La novità a volte sta proprio nel riscoprire qualcosa di noi che attraverso una rilettura del tempo può restituirci un passato per niente sepolto. Penso a una canzone foto di Sandra Zuddas donne di Sardegna SILVIA E STEFANIA LORIGA ANTAS 20 presentano ELES Viaggio nel fantastico mondo delle reginette della moda testo di Pierpaolo Fadda La lavorazione di fasce, collane e bracciali create utilizzando pietre preziose Swarovsky è il brevetto che sta regalando grandi soddisfazioni alle sorelle sassaresi: l’ultima a indossarle è stata Laura Pausini 21 ...è l’apoteosi di un sogno nato in Sardegna, la nascita di un look fascinoso e originale... cielo con un dito; Silvia approfondisce la sua creatività frequentando il corso di fashion design all’Istituto Marangoni, mentre Stefania studia da brand manager all’Accademia del Lusso. E all’ombra della Madonnina entrano in contatto con tutte le maggiori case di moda e i più grandi stilisti della città. Milano èmil sogno, Milano è il godimento, Milano è il crepuscolo che sa accendere l’arte. Silvia e Stefania colgono l’attimo e ogni loro creazione ammalia e conquista la città che corre sempre veloce e non dorme mai: è l’apoteosi di un sogno nato in Sardegna, la nascita di un look fascinoso e originale che fa volare alte le ambizioni delle affascinanti sorelle, che lavorano prevalentemente a Milano ma aprono un atelier anche a Ottava, alla periferia di Sassari, e nel contempo creano finalmente un loro marchio: “Era il grande obbiettivo, il ANTAS sin da piccole - racconta Silvia - e infatti abbiamo aggiunto ai nostri impegni scolastici un corso privato di moda a Sassari: avevamo ben chiaro in testa che quella era la nostra strada professionale”. Idee chiare, tanto coraggio e quella scintilla che solo la capitale della moda sa far scoccare. Le sorelle Loriga si trasferiscono a Milano, toccando il foto di Sara Montalbano Emozioni forti. Talento. Arte. Tuttomade in Sardinia. C’è qualcosa di magico nelle creazioni delle sorelle di Sorso Silvia e Stefania Loriga, una bellezza che illumina gli occhi e cattura il cuore. Arriva alla profondità dell’anima. I loro capi d’abbigliamento sembrano pitture eleganti che accarezzano sensazioni oniriche: c’è dentro tutto il fascino lieve di una piuma carezzevole, il baluginare di una caleidoscopica dolcezza. E una cura maniacale dei particolari. Ogni frammento d’arte è minuziosamente curato: il segreto del successo di Silvia e Stefania è tutta racchiuso nella capacità di dare forza espressiva alle loro creazioni, di “vedere” con occhi nuovi il futuro della moda. Perché Silvia, 30 anni, e Stefania, 29, fin dall’età di 12 anni hanno iniziato a comprare tutte le maggiori riviste di moda, coltivando una passione: “Disegno e pittura ci hanno attratto ANTAS 22 foto di Sara Montalbano ...vedere una donna che sfila in passerella o semplicemente passeggia per strada con un finissimo abito di chiffon e una chiccosa fascia di Swarovsky fa un certo effetto... Un’intuizione geniale, il fiore all’occhiello che proietta il marchio ELES nella galassia della moda che conta. Vedere una donna che sfila in passerella o semplicemente passeggia per strada con un finissimo abito di chiffon e una chiccosa fascia di Swarovsky fa un certo effetto: ne esalta la femminilità catturandone la grinta. Attrae e scatena il senso dell’estatica bellezza, come un fiore che spunta variopinto nel giardino dei sogni. E i sogni portano lontano, fino a catturare attenzione e curiosità del variegato mondo dei vip. Perché il look trendy diventa subito un cult e infatti l’ultima donna che non ha resistito al fascino del brand ELES è stata nientemeno che la cantante italiana più famosa nel mondo, Laura Pausini, che è rimasta semplicemente incantata dalle creazioni delle sorelle Loriga: “Ma prima ancora di loro hanno indossato le nostre creazioni Raffaella Fico, Cecilia Rodriguez (sorella della più famosa show-girl argentina Belen), Elena Barolo, la sassarese Elisabetta Canalis (vera e propria fan e fresca sposa), Michela Coppa e Cristina Chiabotto”. Ma Silvia e Stefania, che conoscono bene il mercato e studiano costantemente le nuove tendenze, lavorano tantissimo anche su richiesta, specialmente nella città di Sassari: abiti da cerimonia, per signora e molte creazioni per la gioia dei bambini, tanto che, sommessamente, la stessa Silvia ammette: “Per il futuro stiamo vagliando la possibilità di creare una collezione baby”. E allora non resta che scoprire quale nuova sorpresa hanno in serbo per noi le belle ed estrose sorelle Loriga: sicuramente l’apertura di un canale di vendita all’estero, forse una linea uomo e, in prospettiva, la nascita di uno store tutto loro. Per continuare a sognare. Contatti www.elesitalia.com FACEBOOK: eles.italia TWITTER: Eles Italia ANTAS 23 foto di Sandra Zuddas foto di Sara Montalbano sogno che da bambine accompagnava le nostre giornate - spiega Silvia - e così nel 2011 nasce ELES, un marchio che vuole essere glamour e raffinato, sportivo ed elegante insieme, in due parole street chic, con un target giovane che va dai 20 ai 40 anni”. Tessuti e stoffe di qualità (seta, chiffon, jersey), materiali sintetici di nuova generazione ed ecco sbocciare fior di collezioni che fanno l’occhiolino al lifestyle-glamour urbano, con abiti lunghi ed eleganti che spesso vanno a combinarsi con T-Shirt e felpe in un connubio perfettamente riuscito di grintosa raffinatezza. “Vestibilità da una parte, eleganza dall’altra - sintetizza Silvia - con un occhio attento alle nuove tendenze e un nostro brevetto che ci sta regalando molte soddisfazioni: la lavorazione di fasce, collane e bracciali create utilizzando pietre preziose Swarovsky”. personaggi Canto a chitarra. Abbiamo incontrato il “cantadore” baruminese MARIANO LILLIU Una voce magica nel paese del Nuraghe “La mia prima gara ufficiale? A Monti con Ireneo Ledda e Nanni Sotgiu, Bachisio Virdis alla chitarra e Mondo Vercellino alla fisarmonica. La mia carriera? Un bilancio assolutamente positivo. A quasi ottant’anni mi sentirei ancora di fare una gara” testo di Antonio Caria ANTAS 24 Mariano Lilliu nasce a Barumini l’11 giugno del 1935. A partire dalla seconda metà degli anni Sessanta è riuscito a ritagliarsi un ruolo importante nell’ambiente del canto a chitarra benché nella sua zona, la Marmilla, le gare non siano proprio di casa; anche se è lui stesso a sottolineare come, nel paese de su Nuraxi, gli inviti ai cantadores non mancassero mai. Lo abbiamo incontrato per ANTAS. Signor Lilliu, come nasce la passione per questo genere musicale? La passione è nata ascoltando “Musica e voci del folklore sardo”, un programma radiofonico in cui venivano trasmessi pezzi cantati da Luigino Cossu, Leonardo Cabizza e tanti altri. Le prime voci le feci durante alcuni spuntini, dove la chitarra era sempre presente e offriva ai commensali l’occasione di cantare. Ricordo un particolare: in uno di questi ritrovi fui accompagnato alla chitarra da Mario Mannu, che al tempo risiedeva a Barumini per lavoro. Da chi gli fu offerta l’opportunità di fare le prime boghes? Un giorno incontrai Ireneo Ledda di Santa Giusta che, sapendo che mi dilettavo a cantare in sardo, mi propose di fare due voci con lui e contattò subito Bachisio Virdis (chitarrista residente a Nuoro ma originario di Orotelli scomparso alcuni anni fa, NDA). Io accettai e, dal momento che in quei tempi viaggiavo a Cagliari tutti i giorni per il mio lavoro di autotrasportatore, ci incontrammo a Monastir. Lì facemmo due voci e Bachisio mi promise che nel caso fosse venuto a conoscenza di Come sono stati i primi tempi? Guardi, le dico sinceramente che non ho avuto nessuna difficoltà a inserirmi: sembrava quasi che fossi nato cantadore. Non sono stato aiutato da nessuno. Formai un gruppo assieme a Giovanni Spano, Ireneo Ledda, Nanni Sotgiu e Nigia Carai. Gli strumentisti erano Bachisio Virdis e Mondo Vercellino. Dagli appassionati e intenditori eravamo considerati il gruppo di “serie B”. Facemmo un gran numero di gare fino agli anni Settanta, quando per me avvenne la svolta: dopo una trasmissione, la già citata “Musica e voci del folklore sardo”, che feci con Serafino Murru, Aldo Cabizza alla chitarra e Peppino Pippia alla fisarmonica negli studi della Rai di Cagliari, mi cercò il gruppo allora noto come “dei Cabizza” e decisi di andare con loro. Vorrei dire anche che sono un grande appassionato di poesia improvvisata logudorese e in passato mi fu offerta l’occasione di salire su un palco con i grandi poeti di allora, come Sotgiu e Zizi, ma decisi di dare anima e corpo al canto sardo. ...devo riconoscere che il mio paese mi ha aiutato molto in quest’avventura e non mi ha mai ostacolato... Come tanti si è esibito nella Penisola e all’estero. Ho cantato spesso in Germania e in Francia. Poi ho fatto una tournée in Svizzera con il gruppo di Sestu e sono andato due volte in Olanda, oltre a esibirmi in Lussemburgo. Nella Penisola mi esibii molte volte in un circolo dei sardi a Torino. Ricordo con particolare emozione la gara che feci a Farébersviller in Francia nel 1993: quella fu l’ultima sia per me, sia per Serafino Murru. Con noi c’era Alessandro Fais, assieme agli strumentisti Roberto Cadoni alla chitarra e Pietro Madau alla fisarmonica. Che bilancio trae dalla sua carriera? Un bilancio più che positivo. Sono contentissimo di ciò che ho fatto, considerando che per emergere nel canto a chitarra era necessario conoscere alla perfezione il dialetto logudorese; ma riuscii ad adattarmi perfettamente. Devo riconoscere che il mio paese mi ha aiutato molto in quest’avventura e non mi ha mai ostacolato: sono stato invitato tante volte a esibirmi per le varie feste organizzate a Barumini. Sa che le dico? A quasi ottant’anni mi sentirei ancora di fare una gara. 25 Quindi deduco che fece proprio con Bachisio Virdis la sua prima gara ufficiale. Sì. Fu a Monti, dove cantai con Ireneo Ledda e Nanni Sotgiu, Bachisio Virdis alla chitarra e Mondo Vercellino alla fisarmonica. L’anno dovrebbe essere il 1965. Dopo appena un maese ricambiai l’invito agli stessi cantadores e sonadores a Pauli Arbarei e da lì inizio la mia carriera. Ci parli un po’ delle sue incisioni discografiche. All’inizio incisi con la New Cadis, con Bachisio Virdis alla chitarra e Mondo Vercellino alla fisarmonica. Quando approdai al gruppo dei Cabizza incisi con Aldo Cabizza alla chitarra e Peppino Pippia alla fisarmonica per la casa discografica Tirsu. Sempre per la stessa etichetta incisi due audiocassette con il chitarrista Antonio Marongiu. Assieme a Serafino Murru, incisi dei canti a sa crabarissa e dei muttos a dispretziu e anche delle ottave a poesia. Per la casa discografica Tirsu incisi, inoltre, con i chitarristi Michele Senes e Pietro Fara e con i cantadores Bachisio Manca e Giovanni Spano ANTAS una gara mi avrebbe invitato; e così fu. personaggi 26 ANTAS Ritratto del grande poeta estemporaneo di Villanova Monteleone REMUNDU PIRAS Quando la poesia diventa arte immortale vate imprime nelle parole quando esse costituiscono risposta da dare a un ipotetico interlocutore sul palco) che rimangono indelebilmente scritte sulla carta delle numerose pubblicazioni che portano il nome del poeta di Villanova e nel cuore dei molti sardi che amano la poesia in limba, sono sufficienti a far affermare allo studioso Leonardo Sole che “Remundu Piras deve essere considerato un tramite essenziale nel passaggio dell’intera cultura poetica sarda dall’oralità alla scrittura, e allo stesso tempo la sua poesia non può assolutamente essere capita nella sua interezza e complessità, se non teniamo conto che in lui confluisce tutta una plurisecolare tradizione orale, ma già passata e filtrata attraverso i codici scritti, e dunque in qualche modo trasformata sia nelle forme che nei contenuti, rispetto, naturalmente, a un mo- ...si esibì a Montresta neanche diciannovenne, in occasione della festa di Santu Cristolu... dello rigido di oralità3”. Remundu Piras, in sostanza, visto come fondamentale punto di snodo tra forme arcaiche poco evolute e una rielaborazione artistica vera e propria che viene perseguita e matura anche alla luce di forme letterarie ben più complesse diffuse in contesti culturali differenti. A conferma di ciò, ancora, Giovanni Maria Cherchi scrive che il poeta villanovese “si è lungamente cimentato adoperando forme e strutture metriche elaboratesi in secoli di uso letterario della lingua italiana. Anche la lingua sarda della poesia di Raimondo Piras non è la lingua che il medesimo Piras usa nel suo parlare quotidiano in famiglia, nel lavoro, con gli amici, ecc.: è un linguaggio specifico, stilisticamente elaborato, e che, allontanandolo quanto necessario dalla spontaneità e immediatezza del parlato, il poeta ha elevato a un grado di letterarietà notevole, frutto di un lungo studio e di un impegno artistico che è raro trovare4”. Artista a tutto tondo quindi, e poeta colto, Raimondo Piras, autore di componimenti che hanno perso l’ingenuità e la semplicità di una tradizione poetica e stilistica del tutto autoctona che non ha debiti e legami di alcun genere con espressioni letterarie ‘altre’. Date le premesse, quella di tiu Remundu non si presenta, quindi, come poesia capace solamente di sublimare le vicende quotidiane della vita rurale e agro-pastorale. Si rinvengono, nello scrivere confidenziale ma allo stesso tempo raffinato del villanovese, gli echi e le sfumature anche minime di un’esistenza che si svolge in paese, l’orgoglio della propria sardità e l’amore sconfinato del vate per la propria terra. L’opera intera di tiu Remundu, peraltro, non trascura osservazioni, valutazioni e commenti conditi di pungente ironia che si riferiscono a questioni sociali e politiche di stringente attualità. Lascia senza parole, poi, in Piras, la straordinaria e, verrebbe da dire, ‘pittorica’, ‘impressionistica’ capacità di delineare con totale e assoluta attenzione ed esattezza, come in una comedie humaine dal tratto peculiare, caratteri e personalità ‘tipiche’ dei numerosi personaggi che costituiscono l’oggetto di molte delle sue composizioni (Mastru Pilingas, Unu ANTAS L’amico, sul palco e nella vita, di tante gare poetiche, quel Peppe Sozu bonorvese, classe 1914, in un sonetto composto in occasione della morte di Remundu Piras così sintetizza i caratteri dell’uomo e del poeta villanovese passato a miglior vita1:“Una frunza e laru, unu fiore/ cheria a t’adornare in cussa losa/ nendedi: ‘In paghe, Remundu, reposa/ su sonnu eternu ‘e su divinu amore./ De palcu impareggiabile cantore,/ mastru ‘e lirica iscritta, armoniosa,/ interprete ‘e sa vida, in dogni cosa/ abile, intelligente, pensadore./ Est boida, in su palcu sa cadrea/ ch’as tentu chimbant’annos e piusu/ e-d-est in lutu sa Sardigna intrea./. Raimondo Piras, uno dei più grandi cantori che la lingua sarda abbia mai conosciuto, è entrato nel mito da molti anni. Nato a Villanova Monteleone, piccolo centro del sassarese non distante da Alghero, nel 1905, muore nel 1978 nello stesso villaggio che gli ha dato i natali. Ineguagliato poeta improvvisatore, esordì nel palco del suo paese nel 1924; successivamente si esibì a Montresta neanche diciannovenne, in occasione della festa di Santu Cristolu, in compagnia di uno dei più grandi estemporanei di fine Ottocento, l‘ossese Antoni Andria Cucca. Le eccezionali doti artistiche di Raimondo Piras fanno sì che oggi l’arte della poesia improvvisata venga identificata nella persona stessa del poeta di Villanova Monteleone: Raimondo Piras è la poesia sarda estemporanea, quella le cui parole svaniscono insieme alla polvere dei palchi nel momento stesso in cui vengono declamate dal poeta (sul tema della poesia improvvisata, con rara efficacia Paolo Pillonca ha osservato che “È destino degli estemporanei che i loro versi se li porti il vento, anche se c’è qualcuno che ritiene innaturale fermare su un nastro o su una pagina scritta quello che è produzione orale e dunque destinata all’ebbrezza di un’ora, che nasce e muore in una situazione ben determinata e assolutamente irripetibile.” 2). E tuttavia si può facilmente osservare che i materiali poetici lasciatici da tiu Remundu, siano essi costituiti da spezzoni di registrazioni su nastro oppure da opere ‘meditate’ come si dice, ‘a tavolino’ (a queste ultime manca necessariamente il requisito dell’‘urgenza’ che il 27 testo di Giovanni Graziano Manca foto per gentile concessione di Domusdejanas editore chi si cret poeta, Tipos antigos: tiu Juannantoni, Orgogliu ‘e esser giaja sono solo alcuni esempi5) e il carattere (potremmo definirlo filosofico esistenziale) che ritroviamo in poesie dal vago sapore leopardiano come Misteriu6: Cand’a mie matessi eo domando/paret chi solu a musca tzega joghe,/paret ch’intenda néndemi una oghe:/”Deo ti nd’apo atìdu e ti che mando”./Li naro: “Si ses tue, prite tando/no ti presentas, po chi t’interroghe?/Ischire dia cherrer a inoghe/da inue so énnidu e ue ando”./Si finas s’esser meu m’est ignotu/po chi deo cun megus note e die/cunviva, si mi nán: “Tue ses chie?”,/ poto risponder: “No mi so connotu”./Naran chi tzeltos connoschen a totu/e deo no connosco mancu a mie. Appaiono di grande respiro e ‘universali’ qui e altrove, le tematiche di Piras, laddove invece il verseggiare nelle opere di altri poeti in lingua sarda sembra 1 - Peppe Sozu, in: Paolo Pillonca, Remundu Piras, Domus de janas, Cagliari 2003, p.71. 2 - Paolo Pillonca, nell’introduzione a: Remundu Piras, Bonas Noas, Edizioni della torre, Cagliari 1981, p.11. 3 - Leonardo Sole, nell’intervento introduttivo a “Remundu Piras – Ammentos de su poeta” , raccolta degli atti per il 10° anniversario della scomparsa del poeta, Editrice Soter, Sassari 1990, p.15. ANTAS 28 4 - Giovanni Maria Cherchi, “Identità sarda nella poesia di Raimondo Piras”, in La grotta della vipera, anno XX, n°68/69 Autunno Inverno 1994, p.13 5 - Poesie che fanno parte della raccolta Misteriu, Edizioni della torre, Cagliari 1979. 6 - Da il titolo alla raccolta Misteriu, cit., p. 21. più spesso rivolto al limitato microcosmo dal quale il poeta proviene oppure opera e risiede. Nella sua attività di compositore di poesie ‘meditate’ Raimondo Piras fu spesso artista angustiato dal suo stesso perfezionismo; dal punto di vista puramente caratteriale, poi, fu schivo ma allo stesso tempo sempre coerente con le proprie convinzioni: sia sufficiente, qui, ricordare le ben note circostanze che lo videro assente dai palchi delle feste paesane dal 1932 al 1945. Il ritiro temporaneo dai palchi di tutta l’isola inizialmente fu conseguenza delle proibizioni ecclesiastiche e di regime che vietarono del tutto lo svolgimento delle gare poetiche nelle feste di paese. Fu in seguito ripristinata dalle autorità la possibilità per i poeti ‘in limba’ di realizzare tali manifestazioni; continuarono tuttavia a sussistere proibizioni rivolte a tutti coloro che in tali manifestazioni si esibivano, finalizzate a inibire nell’ambito delle competizioni pubbliche ‘a bolu’ lo svolgimento di tematiche politiche o religiose. Proprio a seguito di tali divieti Raimondo Piras preferì prolungare il ritiro dalle scene piuttosto che subire limitazioni alla propria attività artistica. Riprese a calcare i palchi dell’isola a guerra ormai finita. Appaiono di grande respiro e ‘universali’ qui e altrove, le tematiche di Piras ANTAS 29 gli speciali di Antas Una domenica molto speciale. Il grande artista di San Sperate raccontato dallo scrittore Fabio Forma PINUCCIO SCIOLA L’anima del suono ANTAS 30 testo di Fabio Forma È un viaggio dentro noi stessi, alla scoperta di suoni che ci sono appartenuti, di cui avevamo perso la memoria. Vibrazioni che arrivano dal centro della materia, apparentemente silenziosa, che scuotono prima il cuore, dopo l’anima. Non saprei descrivere altrimenti la domenica sera passata in compagnia del maestro Pinuccio Sciola. Classe Quarantadue, nato sotto il segno di Michelangelo, lo avvisto mentre esce dalla porta a vetri del suo studio/atelier. Vestito come uno scultore vecchia scuola, l’unico tipo di scultore possibile, perché chi scava la pietra non può che essere una persona che non si accontenta della forma, che non ama i fronzoli e le comodità di plastica. E Pinuccio mi accoglie con un sorriso, scalzo, coi piedi ben piantati per terra e due occhi azzurri che hanno visto mezzo mondo, ed ancora paiono librarsi alti sul paese di San Sperate, sul basso Campidano, sulla Sardegna tutta, isola unica per tanti aspetti, fra cui quello di cui parleremo ora: le pietre, le più antiche d’Europa, fra le poche capaci di suonare, da sempre, ma silenti, finché un maestro non è stato in grado di capirne l’intrinseca potenzialità. È così che Pinuccio comincia a introdurmi al suo lavoro: “Quell’oggetto che hai al polso ha un complicato meccanismo basato su un quarzo. La memoria dei computer di oggi, capaci di immagazzinare miliardi di informazioni, è basata sul silicio, sulla sua memoria millenaria. Quindi voglio dimostrarti che le pietre non sono mute come si è creduto, per convenzione, finora. Hanno una voce, e questa deriva dall’origine della pietra stessa”. Comincia inumidendosi le mani, robuste ma non callose, forti ma morbide, mani di un suonatore di pietre. E sfregandole lievemente, con rapidità crescente sulle guglie perfettamente smussate di quell’oggetto, che nell’aspetto ricorda la tastiera di un pianoforte privo di semitoni, impercettibilmente, più sonoramente poi, quello strumento musicale di calcare comincia a fischiare, a guaire, catapultandomi in un secondo dentro una dimensione altra, impensabile fino a un attimo prima. Come posso trovarmi contemporaneamente a San Sperate, nel favoloso orto di Pinuccio Sciola, e in un’oscura fossa oceanica, desolata ma a suo modo accogliente, come l’abbraccio del ventre materno prima che la luce sia luce, e i suoni siano vibrazioni non filtrate, unicamente trasmesse “Michelangelo è morto triste perché la pietra che scolpiva non aveva voce, quindi non gli poteva parlare. Quando ho presentato le mie pietre a Firenze, l’ho fatto davanti alla sua tomba, cosicché, a secoli di distanza, anche lui potesse sentire la voce del marmo”. È un viaggio affascinante quello cominciato quasi per caso in questa domenica pomeriggio, che so mi resterà impressa nella memoria molto a lungo. Un attimo dopo Pinuccio mi fa salire sulla C4 Picasso (non credo che la scel- ...il suono che emette è liquido, ricorda i suoni che sentiamo quando siamo sott’acqua... ta del modello, una spaziosa monovolume simile nell’aspetto generale a un monolite, e quella dell’edizione intestata a Picasso, padre del cubismo, siano casuali), e, guidando rapidamente fra strade anguste che conosce a menadito, mi conduce all’altro suo studio/atelier, questa volta all’aria aperta, in cui ha radunato, come opere di una mostra estemporanea, le pietre di dimensioni maggiori, quelle alte, come lui stesso le chiama. Quello, per quanto mi riguarda, è il luogo perfetto in cui custodire tali manufatti, un luogo in cui la mano dell’uomo ha saputo plasmare ma non sovvertire l’ordine naturale, intervallando grandi pietre lucenti ad alberi da frutto, e ancora a pietre più scure e cupe nell’aspetto: dei bellissimi basalti che riconosco subito, dato che vivo su una piana basaltica ai piedi della catena del Marghine, e del monte Santu Padre, che sovrasta tutto come un gigante silente e benevolo. Pinuccio mi fa poggiare un orecchio a questo grande masso i cui tasti sonori somigliano a giganteschi cubi di Rubik monocromatici e dalla grana porosa. Mentre comincia a strofinare un piccolo masso su quei tasti, sento incredibilmente il vociare di una fiamma enorme, 31 Fabio Forma con Pinuccio Sciola dall’aria. Resto stralunato per qualche secondo, in silenzio, dopo che Pinuccio ha terminato di suonare il suo strumento, e da oltre quel tavolo di legno, minuto e anch’esso vibrante sotto il peso delle pietre sonore, mi guarda con aria complice e sorniona. Non riesco a dirgli nulla nell’immediato, come mi capita raramente all’uscita del cinema dopo aver visto un capolavoro, perché ogni commento suonerebbe superfluo. Riprende lui a raccontarmi della vita di quella semplice pietra lavorata: “Questo è un biancone di Orosei. “La sua origine è calcarea, si è formata nel mare, praticamente è acqua fossilizzata. Il suono che emette è liquido, ricorda i suoni che sentiamo quando siamo sott’acqua, e differisce dai marmi del resto d’Italia perché la Sardegna è una terra più antica. Fra le più antiche d’Europa”. Sembra un dettaglio da poco, ma non lo è affatto. Con una vena di orgoglio mi racconta di quando, ospite a Firenze, davanti a cinquecento persone, ha affermato che Michelangelo è morto triste. Questo perché egli, scultore sopraffino e di talento smisurato, ha creato sculture assolutamente perfette, e a queste mancava solo una cosa: la parola. Quindi Pinuccio mi guida verso un angolo più appartato del giardino e mi mostra due pietre dalle dimensioni e dalla lavorazione del tutto simili. Quella a sinistra di un bianco puro, ma meno lucente. Mi dice, mentre con un piccolo pezzo di marmo salta da un tasto all’altro: “Questa pietra è un marmo di Carrara, quello utilizzato da Michelangelo per le sue sculture”. Mentre scorre fra i tasti di quell’embrione di strumento musicale, con stupore noto che i pochi suoni emessi non sono assimilabili a una melodia compiuta; somigliano più a rumori di materia grezza. “Questa invece è un biancone di Orosei”. Mentre compie lo stesso movimento di prima, onde sonore cominciano a fluire nell’aria, emettendo il suono ormai diventato familiare che ricorda quello dell’acqua e delle profondità oceaniche. ANTAS foto di Attila Kleb La Turandot di Puccini al teatro lirico di Cagliari. Pinuccio Sciola dialoga col critico d’arte Philippe Daverio. ANTAS 32 infernale, e in un secondo, chiudendo gli occhi, vengo trasportato al centro della terra, fra roccia fusa e magma incandescente, avvolto da un suono più cupo dei precedenti, bieco e temibile, baritonale ma pastoso. È difficile descrivere un suono, tanto più se questo rimanda a fenomeni naturali imponenti, ancestrali, come accade sempre con le pietre sonore. Sono una persona poco propensa a enfatizzare un avvenimento o un fenomeno naturale. Ma devo ammettere che questa domenica atipi- ca mi sta facendo rivalutare tante cose, in primis il rapporto con le pietre, che non sono semplice materia inanimata, ma la memoria fisica di un passato remoto più vicino e presente di quanto potessimo immaginare. Pinuccio, dopo il mio silenzio, riprende a parlarmi di questa pietra. “È un basalto, frutto della compressione e fusione della roccia endogena, sputato fuori da qualche vulcano sotto forma di lapilli, o fluito giù dalla sua bocca attraverso una robusta colata lavica. Il suo suono ricorda quel- ...ma è nel momento in cui un’opera riesce a suonare alcuni tasti sconosciuti, a suscitare emozioni indescrivibili, che diventa arte... lo del fuoco e della terra”. Come dargli torto. Quella è una pietra il cui tempo non ha tempo, la cui memoria resta impressa, incastonata fra le sue fibre più profonde. Non avevo mai trovato nulla di umano in una pietra, almeno prima di oggi. Ma è nel momento in cui un’opera riesce a suonare alcuni tasti sconosciuti, a suscitare emozioni indescrivibili, che diventa arte. E queste semplici pietre mi stupiscono un’ultima volta, attraverso lo specchio di un’umanità poco numerosa, ma comunque siano universali, ma l’arte è assolutamente soggettiva. Ci vuole sensibilità e un udito fino per amare il suono di uno strumento, ci vogliono soldi per permettersi un oggetto che da solo non potrà dare la felicità, perché quella va ricercata dentro sé, prima che nei beni materiali. Ci voleva un artista non convenzionale, geniale e sprezzante, per scoprire che le pietre hanno una voce e possono emozionarci, lì dove non c’è tempo, non c’è musica e non c’è luce. 33 ANTAS lanesi, ma che poco hanno a che fare col mondo della musica e dell’arte. Probabilmente pensano a che figura faranno con amici e colleghi mettendosi in giardino una pietra di Sciola, e litigano fra loro, scegliendo fra pietre di grandi dimensioni, pesanti svariate tonnellate, per decidere quale sia la più adatta rispetto all’arredamento, o quale presenti la forma più elegante. Poi, mentre mi allontano, li sento borbottare qualcosa riguardo l’assicurazione per il trasporto e, fra me e me, penso che alcune cose foto di Attila Kleb rappresentativa del mondo. Dopo di me, difatti, giunge una coppia di musicisti di Milano. Li seguo mentre sentono il suono di quelle pietre e si emozionano, glielo leggo in volto. Vorrebbero acquistare una piccola pietra sonora, ma non ne hanno l’immediata possibilità, e quasi si disperano, lasciando la tenuta Sciola con una nuova consapevolezza, quella derivata dall’aver scoperto un nuovo strabiliante strumento musicale, vecchio quanto il mondo. Dopo di loro giungono altre due coppie, sempre mi- testo di Alessandra Ghiani ANTAS 34 Il Canto della Pietra La memoria dell’universo Una stretta di mano decisa e densa di calore: così ha inizio il mio incontro col Maestro Pinuccio Sciola. Mi lascio condurre alla scoperta del suo giardino sonoro, in cui la pietra e le piante convivono beandosi della compagnia reciproca. Vi si arriva da una strada sterrata, ma non vi sono cancelli a delimitare la distesa pacifica di monoliti; vibrano immersi nella libertà che la natura ha donato loro fin dall’inizio dei tempi, incastonati tra il verde degli ulivi e le sfumature del cielo. Ci avviciniamo a un calcare, figlio dell’acqua, e mi invita ad accostare l’orecchio e a posare una mano sulla pietra. Mentre lui l’accarezza con un altro pez- PINUCCIO SCIOLA gli speciali di Antas foto di Attila Kleb La nostra Alessandra Ghiani ci descrive una giornata particolare vissuta in compagnia di zo di materia litica, le vibrazioni si propagano dalle mie dita verso tutto il corpo e un suono viscerale raggiunge i miei sensi. È la profondità degli oceani, il fluire di fiumi antichi che hanno scavato, plasmato e unito sedimenti senza tempo, conservandone inalterata la memoria primitiva. Lo guardo meravigliata, priva di parole che possano descrivere la sensazione appena provata, e mi conduce al cospetto di un altro pezzo di universo. Questa volta il suono mi porta a un ricordo del passato, ma il Maestro mi invita a mettere da parte il conosciuto e a lasciarmi andare. Guidata da lui, passo dopo passo, ne comprendo il motivo: quei suoni arrivano da un prima indefinito, e nulla hanno a che fare con quanto creato dall’uomo. Pinuc- Il canto della pietra Proseguendo la passeggiata mi conduce nel salotto del suo giardino: due divani in pietra felicemente disposti sotto un grande ulivo. Capisco che è il momento di partire con l’intervista vera e propria. Tiro fuori la mia lista di domande, mentre lui mi scruta con occhi incuriositi e guardinghi. L’ultima cosa che desidera è un’intervista tradizionale, “Perché le risposte migliori sono quelle a domande mai fatte. Nessuno mi ha mai chiesto di tirare fuori i suoni dalle pietre. Ecco la risposta a una domanda mai fatta” mi dice guardandosi intorno. La mia lista di curiosità perde in un istante ogni significato. Pinuccio Sciola vuole raccontarsi da sé e, soprattutto, emozionare i suoi interlocutori con i ricordi di una vita intensa e con la voce delle pietre. Ne siamo circondati, sottili trame di infinito in attesa di una carezza per esprimere la loro interiorità. Azzardo comunque una domanda: “Com’è avvenuto il suo incontro con ...Pinuccio Sciola non suona le pietre, ne libera il canto... il suono della pietra?” “È stato naturalissimo. Non ricordo il momento, e a questo proposito, ti faccio io una domanda. Tu ricordi quando hai conosciuto tua madre?” La mia risposta, superflua, si perde nel silenzio provocatorio del suo sguardo. Poi prosegue: “Io sono sempre in lotta perché in tutte le culture il suono della pietra è associato alla percussione. È un errore enorme. Se picchiamo la pietra, noi sentiamo solo il rumore del colpo che essa riceve. I suoni, invece, vengono fuori con le carezze e più è dolce la carezza, più è forte l’emozione che la pietra, con la sua voce, trasmette. Quindi ogni giorno io lotto per ribaltare concetti universalmente riconosciuti, quelli per cui la pietra è dura, rigida, muta.” È un guerriero Pinuccio Sciola: lo raccontano le sue mani, solide e vive come le pietre di cui sfiora la pelle. Lo dicono i suoi occhi, profondi come il canto del basalto, e le linee del suo viso solcato 35 A un certo punto chiede la parola un emigrato di Ghilarza, partito manovale e diventato poi un grande imprenditore, che dice: «Ringrazio Pinuccio, siamo felicissimi di questa intuizione. Una scuola internazionale di questa natura ci inorgoglisce anche perché, come dicono i geologi, in Sardegna esiste qualsiasi tipo di pietra. E se un tipo di pietra non esiste lì vuol dire che Dio, quando ha creato il mondo, se l’è tenuto in tasca!». Questo per me è un bellissimo ricordo” conclude compiaciuto. ANTAS A un tratto si ferma di fronte a una scultura i cui tagli verticali creano un gioco di trasparenze incredibilmente affascinante. “La pietra è rigida? Ma dove sta la sua rigidità?” mi chiede mentre pizzica le sottili lame presenti nella parte superiore. Vibrano come le corde di un’arpa, e mi accorgo in quell’istante di quanto gli aggettivi da sempre usati per definire le rocce siano inappropriati. Proseguiamo la passeggiata e si ferma davanti a un basalto. Prima di ascoltarne la voce mi invita a osservarlo. È scuro come le viscere della terra, trafitto da piccole gocce bianche di calcare: “È il cielo stellato” mi dice, invitandomi ad accostare l’orecchio. Un suono gutturale, profondo, oscuro. Il Maestro comincia a raccontare di alcuni scienziati seriamente interessati alle sue scoperte. “Ultimamente mi sto occupando dei suoni siderali. Il mio interesse principale è trasmettere emozioni, ma è un fatto unico al mondo che queste vengano sposate anche dalla scienza.” Perché certo, lui è un artista, ma la sua ricerca va oltre il fine edonistico dell’arte: arriva fino alle origini del tutto che ci circonda, e sono state le sue pietre a indicargli il cammino. Mi spiega che non tutte sono in grado di esprimersi: solo le più antiche conservano la memoria di quell’inizio, e la Sardegna possiede una varietà litica che affonda le radici nell’immensità del tempo. A tal proposito mi racconta un curioso aneddoto: “Una quindicina di anni fa ho presentato la mia scuola (Scuola Internazionale di Scultura, attiva dal 1978 a San Sperate, ndr), rigorosamente anticlassica e antiaccademica, a Parigi. Erano presenti tantissimi giornalisti e molti Sardi. foto di Attila Kleb cio Sciola non suona le pietre, ne libera il canto. Mi dirà più tardi: “Le pietre hanno una memoria. Qualche settimana fa ho partecipato a un congresso a Pietrasanta, organizzato dalla Facoltà di Architettura dell’Università di Pisa. Ho fatto ascoltare le mie pietre e, mentre parlavo di suoni inediti, una ragazza mi ha detto con decisione: «Io non li ho sentiti inediti questi suoni, li ho sentiti molto familiari. Come se fossero da sempre dentro il mio dna.» Io ero sbalordito.” Scena dalla Turandot di Puccini al teatro lirico di Cagliari. 36 ANTAS da emozioni intense, nel bene e nel male. “Qualche anno fa ho letto alcuni libri di Sergio Givone” prosegue, “filosofo e docente di Estetica. Ho avuto modo di partecipare con lui a una conferenza sulla pietra e il sacro alla Facoltà Teologica di Cagliari. Io ero lì con le mie sculture, lui invece ha tenuto una lectio magistralis dal titolo Il silenzio della pietra. Puoi capire come mi sentivo io, che ogni giorno cerco di dimostrare l’esatto contrario. Non ho avuto modo di fargli cambiare idea fino all’anno scorso, quando è stata allestita una mia mostra a Firenze, dentro la Basilica di Santa Croce, al cospetto di Michelangelo e di altri grandi artisti del passato. La conferenza inaugurale si teneva nel refettorio del convento, affrescato da Taddeo Gaddi, alla presenza dell’Assessore alla Cultura del Comune di Firenze. Ho scoperto in quel momento che si trattava di Sergio Givone! È arrivato in anticipo e ne ho approfittato. Gli ho chiesto di avvicinare l’orecchio a una delle mie pietre e ho cominciato ad accarezzarla. Lui era meravigliato. Mi ha chiesto: «Ma come è stato possibile anche soltanto pensare che dentro una materia muta per antonomasia ci potessero essere dei suoni?» Gli ho risposto: «Perché io sono nato da una pietra.» Durante la conferenza ho fatto ascoltare il suono delle mie sculture, poi lui ha preso la parola e ha detto: «Sciola sostiene di essere nato da una pietra, e ha ragione. Perché soltanto uno che è stato lì dentro poteva avere la percezione di questi suoni e la genialità di farli ascoltare anche a noi»”. Mentre racconta osservo il suo sguardo: è pura emozione quella che ne traspare. Anche quando mi dice di aver fatto ascoltare il canto della pietra a Michelangelo, che di fronte al suo Mosè, tanto realistico da sembrare vivo, avrebbe detto: “Perché non parli?” “Non avrebbe potuto in nessun caso” mi dice il Maestro. “Il marmo statuario non è molto compatto, quindi non permette la propagazione del suono. Michelangelo ai suoi tempi non poteva saperlo, per cui ho deciso di fargli ascoltare il suono delle mie pietre. Ho iniziato utilizzando l’archetto di un contrabbasso, per non svegliarlo di soprassalto. C’era un silenzio assoluto, io avevo un nodo alla gola. «Abbiamo potuto constatare che questi non sono solo dei contenitori di opere d’arte, ma sono anche luoghi di produzione di emozioni, come Sciola ci ha appena dimostrato» ha detto la presidente dell’Opera di Santa Croce quando ho terminato”. Gli chiedo se gli sarebbe piaciuto lavorare con Michelangelo. Mi risponde di no. A questo punto sono molto curiosa di scoprire chi, nel suo percorso artistico e umano, gli abbia lasciato l’eredità più grande. “La natura” risponde deciso. “Non immagini quante volte, mentre accarezzo la pietra, vedo fiumi di lacrime scendere dagli occhi di chi ascolta. Io ho una missione, soprattutto da quando ho fatto le mostre ad Assisi e sono diventato amico di San Francesco: creare un nuovo rapporto con la natura. Chiunque varchi il portone della mia casa e ascolti le pietre, avrà necessariamente un rapporto diverso con la natura, fatto di più attenzione e rispetto, dal momento in cui constaterà che perfino le pietre sono foto di Donovan Frau ...vedo fiumi di lacrime scendere dagli occhi di chi ascolta... un elemento vivo”. E vivi sono anche i monoliti del pianeta Erondàr, nel fumetto fantasy Dragonero, disegnati a immagine e somiglianza delle sculture sonore del Maestro. In quell’altrove esse attivano delle strade magiche. “Che effetto le fa sapere che le sue opere hanno varcato il confine della realtà?” gli chiedo. “È piacevole. E poi è questa la cosa bella, perché i suoni sono oltre la realtà, sono prima della materialità; anzi, i suoni letteralmente sciolgono la materialità e la durezza della pietra”. Gesamtkunstwerk* Il sole è tramontato, ci alziamo per fare un ultimo giro nel giardino e gli chiedo della Turandot, l’incompiuta di Puccini a cui Pinuccio Sciola ha infuso una nuova linfa curandone la scenografia. L’allestimento al Teatro Lirico di Cagliari ha avuto un successo quasi inaspettato, fin dalla presentazione curata dal critico d’arte Philippe Daverio, unito al Maestro da un rapporto che va ben oltre l’amicizia e di cui ha parlato senza remore - davanti agli oltre mille spettatori e ai giornalisti intervenuti - ricordando la lotta al tumore che a entrambi ha portato via lo stomaco. “È stata la prima esperienza come scenografo teatrale, ma mi è venuto naturale”. Mi invita a guardarmi intorno mentre racconta. “L’ho sempre fatto anche qui, con le mie pietre. Non sono disposte a caso”. Sarebbe impossibile pensarlo: c’è un’armonia perfetta, come quella che solo la natura e chi è in profonda sintonia con essa possono realizzare. “Quello che mi ha emozionato di più” aggiunge con entusiasmo “è stato lavorare con persone meravigliose. In due mesi e mezzo ho imparato tantissimo! Io arrivavo con un progetto e due giorni dopo avevo una struttura alta nove metri. Una dedizione al lavoro e una professionalità commoventi: abbiamo fatto un lavoro d’équipe straordinario”. L’idea wagneriana di opera d’arte totale ha trovato, in questa interpretazione della Turandot, la sua ragione d’essere: musica, drammaturgia, scultura si sono fuse per dare vita a una nuova dimensione dell’arte, originale, fuori dal tempo. Nel racconto del Maestro non man- cano le lodi per Simon Corder che, con le sue luci, ha amplificato la percezione della poesia insita in questo incontro di sensibilità diverse. Gli chiedo se lavorerà ad altre opere liriche. “Non lo so, io però ne ho già pronta una”. Sorride, e gli occhi emanano una luce intensa. Mentre camminiamo mi mostra due grandi sculture: una raffigura la porta del carcere in cui è stato imprigionato Gramsci, l’altra è un omaggio a Maria Lai. La visita sembra volgere al termine, ma il Maestro mi stupisce ancora. Accende un faro sotto la seconda e improvvisamente i fili dell’artista ogliastrina, scolpiti nella pietra, prendono vita. L’illusione del movimento è una magia che solo l’anima sensibile del Maestro poteva far scaturire dalla solidità della pietra. stato. Mi invita ancora ad ascoltare. Questa volta la pietra ha una voce quasi lugubre, il lamento di uno spazio inesplorato: “Questo suono è identico a quello di Nettuno. Su internet trovi le registrazioni fatte dalla NASA” mi dice. Le ho ascoltate il giorno seguente, prima che l’intensità del ricordo scemasse, e mi sono venuti i brividi. In quelle parti infinitesimali che sono le sue sculture, è racchiusa tutta l’immensità dell’universo. È buio ormai e facciamo per congedarci; lui invece ci fa accomodare dentro casa. Prende piatti, posate e bicchieri e divide con noi la sua cena, senza un invito verbale, come se ci conoscessimo da sempre. Parliamo ancora e ancora, la sua vita è un arazzo prezioso ricamato con il filo delle emozioni e noi ne diventiamo parte, seppure per poco. Prima di andare via il Maestro mi fa dono di alcuni libri, ricordo materiale di questo viaggio mistico denso di suggestioni, in cui ho attraversato un tempo senza tempo che supera il conosciuto e si perde nell’infinito dello spazio e della memoria. *Opera d’arte totale ANTAS 37 Non si finisce mai di imparare Ci approssimiamo all’uscita e mi mostra con orgoglio una moltitudine di piantine nate dalle pietre: “Le ho seminate quattro anni fa il quattro di ottobre, il giorno di San Francesco. Sono pura poesia”. Eccola ancora, l’armonia dell’universo. Le oltrepassiamo e ricorda le visite delle scolaresche: “Non immagini quanto io stia imparando dai bambini”. Mi racconta con tenerezza e stupore di una bimba che, di fronte al suono delle pietre, ha detto: “Mi ricorda... mi ricorda qualcosa che non conosco!” Nell’innocenza di quell’affermazione c’è tutta l’essenza dell’opera del Maestro, la memoria senza tempo che vive nella natura e in ciascuno di noi. Sorride mentre mi parla di un’altra bambina che, dopo una visita al giardino sonoro, gli ha scritto: Sei più bravo di Archimede, sei riuscito a fare i colori di Mondrian senza colori. “Di per sé è già meraviglioso che una bambina di sette anni conosca Mondrian; il fatto che abbia anche capito il valore pittorico di un segno più profondo di un altro, di una parte bocciardata rispetto a una liscia, è assolutamente straordinario” dice affascinato. Ormai convinta che sia giunto il momento dei saluti, il Maestro invita me e mio marito, che mi ha accompagnata in questo viaggio nella poesia della pietra, a seguirlo a casa sua. File lunghissime di sculture ci attendono anche lì. Pietra, legno, ferro, ortaggi. Tutto, fra le sue mani, può assumere una nuova veste, pur mantenendo inalterata la memoria di ciò che è sempre Alessandra Ghiani e Pinuccio Sciola in una foto di Donovan Frau sfumature sonore foto di Batevents Il cantautore lombardo si racconta ai lettori di Antas DAVIDE VAN DE SFROOS Sardegna, la mia isola del tesoro “Mi sono innamorato della vostra terra sentendo i Tenores: avevo la pelle d’oca! Una canzone sulla Sardegna? La chiamerei l’Isola Sospirante” ANTAS 38 testo di Mariella Cortes L’isola sospirante. Così chiama la “sua” Sardegna Davide Van de Sfroos, istrionico cantautore delle valli comasche attivo da circa vent’anni. Ne parla con un enorme sorriso, ripensando a quel mal di Sardegna che l’ha in qualche modo plasmato, con detti, modi di dire e melodie. Una passione antica, quella di Davide per la Sardegna, che si mescola a una curiosità insaziabile, per leggende, situazioni, viaggi e persone. È anche nello spirito dell’ultimo disco, uscito lo scorso aprile, Goga e Magoga, riferito a un senso di viaggio, all’andare in un paese molto lontano rifacendosi alle leggendarie popolazioni Gog e Magoga, citate nell’Apocalisse di Giovanni. Una ricerca costante per un artista completo e visionario, po- eta di situazioni, storie di persone e luoghi che modula sensazioni e ricordi con canzoni che sembrano voler giocare con l’anima ed esplorarla. In Goga e Magoga si dipingono sentimenti di nostalgia e di memorie: un artista che guarda – anche – al suo passato e gioca con immagini intense e metafore narrando un mondo a volte confuso, altre lontano, con personaggi che sembrano in antitesi gli uni con gli altri ma che, infine, fan capo alla stessa matassa. Ci sono i ricordi di gioventù di Angel, meravigliosa ballata che va ad aprire il disco, le nostalgie e i mille riferimenti di Ki (“Ki ha consumato il suo Dio a furia di pregarlo e di ripiegarlo”). Nelle 16 tracce Davide Bernasconi mixa sapientemente, con ritmi tipicamente vandesfrossiani, sensazioni e situazioni nelle quali la struggente voce di 39 Quando ha capito di essersi innamorato della Sardegna? Una mattina camminavo per un campo di sterpaglie quando, a un certo punto, sentii un suono venire da lontano e mi resi conto, avvicinandomi, che si trattava di un gruppo di uomini anziani che, fuori da una chiesetta bianca, cantavano tutti insieme a tenores. Non era una festa o un’occasione particolare. Io rimasi let- ANTAS ...una passione antica, quella di Davide per la Sardegna, che si mescola a una curiosità insaziabile, per leggende, situazioni, viaggi e persone... teralmente folgorato e questa vibrazione mi fece venire la pelle d’oca. È stato in quel momento che la Sardegna mi è entrata dentro con tutti i suoi sapori, i suoi misteri. Lì ho compreso le parole della Deledda, il gusto del sale e del mirto... È stato un imprinting, insomma, in cui ho vibrato come in nessun altro luogo. Da quel momento, l’affetto delle persone e il mio voler scavare, di volta in volta, nelle tradizioni e nei costumi, è stato costante. Mi piaceva cercare nelle cose non dette: streghe, detti popolari, carnevali, presenze e tutto quello che riguardava la storia! Qui devo ringraziare i sardi che mi fecero conoscere e apprezzar non la Sardegna turistica, dalla quale mi sono sempre tenuto lontano, ma quella dei sardi. Questa cosa ha creato dentro di me un collegamento fortissimo! È un po’ quello che succede nel film “Un uomo chiamato cavallo” o in Tex Willer: mi sentivo parte integrante. Ho capito che ospitalità in Sardegna non significa apertura indiscriminata, ma che prima si viene pesati e, in un certo senso, studiati. Ini- foto di Batevents Leslie Abbadini si mescola al violino di Anga e la fisarmonica di Davide Billa per ritmi avvolgenti che sanno di strade di campagna e situazioni oniriche, come nel Calderon de la stria (“La solitudine è un ventaglio complicato da aprire e chiudere con maestria”) o del caos ordinato e ritmico di Goga e Magoga nel quale siamo tutti immersi (“E volevamo tutto quello che non avevamo, per cercare tutto quello che non avevamo più”). Una ricerca, quella di Davide, che si è intrecciata alla cultura dei suoi laghi e alle tradizioni della nostra Sardegna, terra dove, la prima volta, a 14 anni, “Rimasi folgorato da quei luoghi e dai sardi: quando certe cose ti entrano dentro non possono più uscire”. Non è un caso, dunque, che il titolo del suo primo dvd sia Ventanas (dal sardo “finestre”), canzone dell’album del 2001 E semm partii. Sono innumerevoli, poi, le collaborazioni con Balentes, Tazenda, Beppe Dettori, Francesco Piu e tanti altri e le occasioni in cui intona, durante i suoi concerti, Deus ti salvet Maria; Disamistade o altre melodie tipiche della nostra Isola. Gente dei laghi e sardi. Entrambi entrati, a pieno titolo, nel suo cuore. Cosa li accomuna e cosa li divide? Con i sardi non c’è una diversità tendenziale. Nella mia zona le persone sono molto bipolari come bipolare è il lago. Così, si alternano momenti di estrema allegria e particolari malinconie. Questo cattura anche me, non te ne puoi sottrarre. Anche le persone più spavalde sono capaci di gesti di grande tenerezza e di giornate di estrema tristezza e meditazione solitaria. Questa è una caratteristica di chi vive sui laghi! Vi è, poi, una grande generosità. Da quel punto di vista c’è molta affinità con i molti sardi che ho conosciuto dove, da una diffidenza iniziale da finto scorbutico, dopo è quello che ti viene a cercare, quello a cui manchi, che ti invita a casa, capace di grande accoglienza. Il sardo ha una sua integrità che è unica e poi, brilla di luce propria e la gente questo lo sa bene. Parliamo di dialetto che, nel suo caso, rappresenta il filo rosso di un’intera carriera musicale. Far decollare la musica sarda “in limba” è ancora complicato. Ci sono, a suo parere, dei margini per poterle far oltrepassare il mare? Secondo me una delle chiavi di successo sta nelle contaminazioni. Prendi Peter Gabriel e i Tenores di Bitti, per esempio! In tal caso non si è trattato di una sperimentazione, quanto di un vero e proprio lavoro antropologico. Nella direzione della sperimentazione e delle collaborazioni si stanno muovendo molto bene i Tazenda e i Cordas e Cannas. Nel Salento, per esempio, hanno recuperato una versione della pizzica andando poi a mescolare suoni elettronici. Anche Inghilterra e Francia si stanno muovendo bene in tal senso. Prendiamo poi le Balentes. Benché usino delle armonizzazioni, il loro gioco musicale le porta ad avvicinarsi al jazz, alla fusion, nonostante lo stile sia sempre quello tradizionale. Loro secondo me, dopo il successo di Cixiri, potrebbero essere delle buone ambasciatrici in tal senso. Ma non solo contaminazioni: devono continuare a esistere gruppi come i Tenores di Oniferi con quel loro suono antico che adoro! Poi ci sono quelli come i Sa Razza che utilizzano il sardo per far rap così come accade in Bretagna, dove molti gruppi “rappano” dentro sonorità tradizionali, creando un ritmo accattivante e multietnico. Sceglierei proprio la situazione naturale: specchio perfetto per il carattere della gente. La canzone si intitolerebbe Isola Sospirante, come ho sempre chiamato la Sardegna, e il testo ruoterebbe intorno a quattro elementi: sughero, mirto, sale e pietra. Ecco che, con questo poker di elementi, abbiamo il punto di partenza di tutte le cose. Sughero come capacità di rimanere lì nel tempo, assorbire, non essere scalfibile, ma allo stesso tempo va ricordato che il sughero non puoi spremerlo più di tanto. Pietra antica, eterna durezza, nel senso di decisione di essere quello che sono in tutta la mia austerità. Vi è, dall’altra parte, un’estrema dolcezza delle musiche e delle sensazioni e quindi ecco il mirto e poi il sale che viene dal mare. L’intervista originale dalla quale è stato tratto l’articolo è stata pubblicata sul portale www.focussardegna.com La copertina dell’ultima lavoro discografico Goga e Magoga pubblicato dalla Universal Records Se dovesse raccontare la Sardegna con una canzone, come sarebbe? foto di Roberta Baria ANTAS 40 zialmente ho preferito essere uno spettatore, parlando poco e acquisendo e capendo quel che volevo capire. Molte cose sono molto misteriose e non si possono comprendere. Da parte mia c’è sempre stato massimo rispetto e i sardi l’hanno capito e, pian piano, mi hanno fatto entrare nel loro mondo. Ci sono delle storie o leggende alle quali si è appassionato più di altre? Mi sento fortunato perché, in un certo senso, sono stato iniziato. Ho scoperto i sapori del formaggio (casu marzu compreso), del vino, della carne, ho imparato a non aver paura di assaggiare sapori nuovi, a cucinare questo o quell’altro piatto. Sono entrato in un’altra dimensione, insomma! Cito spesso l’invocazione a Maimone ma non è l’unica tradizione che mi affascina. C’è quella credenza di mettere il crocifisso sequestrato dentro il pozzo recitando un’invocazione (dove la divinità viene minacciata) per chiedere la pioggia! I carnevali, poi, esercitano su di me un enorme fascino! Ho poi imparato che ci sono tre tipologie di streghe: brujas, cogas e majargias e che, per tenere il male lontano dalla propria casa, bastano tre pietre particolari. Com’era? “tres perdas de fogu…” sfumature sonore Alla scoperta della giovane band dei RIPTIDERS Ritmiche Reggae da Tempio Pausania voglia di “definirci” o magari la curiosità di trovare similitudini con band già conosciute. Dal punto di vista degli arrangiamenti e delle sonorità, in fase di scrittura, ci capita di partire da un’idea già articolata per poi fare qualcosa di più “classico” o anche viceversa, scrivere un pezzo ‘Roots’ che poi pian piano diventa quasi Dub”. La band tempiese ha suscitato un’ottima impressione tra gli addetti ai lavori al Seleni Summer Splash e, come già accennato, al Sardinia Reggae Festival, definita da loro come un’esperienza magnifica: “Dopo averlo vissuto per anni da spettatori, ritrovarsi lì a condividere il main stage con artisti di grande livello è stato incredibile - affermano i Riptiders -; il SRF è ormai, per il nostro genere, uno dei festival più importanti a livello internazionale e dobbiamo ritenerci fortunati ed orgogliosi che sia un prodotto di ‘casa nostra’”. Adesso la giovane band tempiese sta concentrandosi per la realizzazione del primo, attesissimo lavoro discografico: “Attualmente stiamo lavorando in studio – spiegano - anche se in realtà buona parte dei brani che stiamo registrando si può già ascoltare nei nostri live, ma abbiamo anche degli inediti che potrebbero far parte del nostro primo lavoro. Al momento, però, non esiste ancora una data precisa di uscita”. Non resta che attendere con curiosità l’evoluzione artistica di questa band che professa grande umiltà: “La scena Reggae isolana vanta una coesione e un’unità d’intenti non comuni. Essere circondati da artisti di fama acclarata che ti mettono a tuo agio, dandoti nel contempo consigli preziosi, è qualcosa di eccezionale”. ANTAS Ritmo, tanta creatività e quella travolgente voglia di fare musica. C’è una nuova stella che brilla nel firmamento del reggae sardo ed è un piacere farsi catturare dalla ritmica dei Riptiders di Tempio Pausania, giovane band che ha avuto modo di mostrare tutto il proprio valore al festival Reggae di Cargeghe. I Riptiders, che nascono a Tempio nel 2011, sono: Marco Serra (voce solista), Andrea Brandano (tastiere e cori), Mauro Mudadu (chitarra elettrica e cori), Thomas Gordon (basso e cori), Fabio Casula (percussioni e cori), Mauro Pes (batteria) e non amano definire il loro genere musicale. “È difficile per noi imbrigliare ciò che facciamo all’interno di uno stile o di una corrente musical e-spiegano - per questo, molto spesso, preferiamo usare genericamente la parola Reggae e lasciare a chi ci ascolta la 41 testo di Pierpaolo Fadda sfumature sonore SIKITIKIS Abbiamo fatto una lunga chiacchierata con Jimi e Diablo per scoprire lo straordinario mondo musicale dei foto di Michela Medda La colonna sonora della Sardegna Quindici anni di carriera dedicata a infrangere le barriere della nostra coscienza musicale. Microstoria di una band che ha scritto il nuovo inno del Cagliari Calcio ANTAS 42 testo di Claudio Loi Sono la colonna sonora di una città e di un continente ma non professano nessuna ideologia esclusiva. Oltre 15 anni di onorata carriera dedicata a infrangere le barriere della nostra coscienza musicale. Sono la band che rappresenta nel modo migliore i nostri tempi dove la Sardegna non è più un prodotto esotico da esportare e neanche uno scrigno da tenere sigillato. Abbiamo sentito Jimi e Diablo per fare il punto sulla loro storia che è anche la nostra storia e quella dei nostri tempi. Partiamo dall’inizio. La vostra storia nasce alla fine degli Novanta del vecchio secolo con un gruppo che si chiama CaniDaRapina, un nome programmatico che richiama l’estetica di Quentin Tarantino e svela la grande passione per il cinema e la cultura italiana più disadattata. (Jimi): Io e Diablo eravamo gli autori delle canzoni dei CaniDaRapina. I nostri vent’anni, la sbornia per il suono c.d. crossover; più che una band era una sorta di contenitore aperto in cui confluivano influenze musicali, cinematografiche e letterarie, oltre che un gruppo di 6 amici. Splendidi ricordi e la base di tutto ciò che è venuto dopo. Nel 2000 diventate Sikitikis e continua la riscoperta dell’Italia più nascosta, del cinema di serie B, della canzone italiana ma anche di generi considerati più nobili come il jazz. Si percepisce la voglia di sfondare il muro che separa cultura alta e cultura bassa secondo gli standard più ideologizzati del periodo. Il nome comincia a circolare anche a livello nazionale. (Jimi): In realtà, nei primi due anni di attività, abbiamo lavorato esclusivamente in studio con pochissime esibizioni dal vivo e sempre e solo in Sardegna. In questo periodo continua la ricerca musicale legata al cinema con sonorizzazioni di pellicole ed esibizioni live. Nel 2004 iniziano le sessioni di registrazione del vostro primo album sotto la guida attenta di Max Casacci dei Subsonica di Torino, forse non a caso una città che ha forti legami con il cinema. (Jimi): Sì, è vero, il legame con Torino ci è sempre suonato speciale. Forse corsi e ricorsi storici lo rendono tale. La sonorizzazione dal vivo di pellicole (o montaggi di immagini tratte da film) ci caratterizzava parecchio in quel periodo. Da ricordare in particolare il nostro “Omaggio a Petri e Volontè” che portammo all’Umbria Film festival e alla rassegna “Lo sguardo ribelle”, organizzata al Teatro Jovinelli di Roma per il decennale della scomparsa di Gian Maria. Fuga dal deserto del Tiki esce nel 2005 per Casasonica di Casacci e viene promosso con un lungo periodo di esibizioni live in tutta Italia. Il suo- Il disco colpì anche per la totale assenza di chitarre, un’eresia nel mondo del rock. Una casualità che poi è diventata un vostro segno di riconoscimento e la consapevolezza che nulla è sacro e immutabile. Altra caratteristica della band è stata quella di curare i dettagli estetici e la presenza sul palco con la scelta di vestiti in bianco e nero e tagli che rimandano al cinema poliziesco (Le iene di Tarantino rimangono un punto di riferimento). Appaiono in questo periodo anche richiami alla scena stoner e riferimenti espliciti ai diversi deserti del nostro immaginario (l’isola, il mare). (Jimi): In quel periodo di laboratorio aperto che ho citato prima abbiamo lavorato tanto anche sul suono. La mia passione era equamente divisa tra musica da colonna sonora e rock’n’roll (nella sua accezione più ampia). L’intento era di “sporcare” costantemente il suono lounge con un’attitudine punk. Nel frullatore finiva di tutto: da Morricone ai Queens of the Stone Age, ma i testi in italiano ci obbligavano al confronto con la forma canzone; ecco il perchè dei nostri omaggi a Celentano, Mina, Enzo Carella, riletti alla luce del suono di oggi. Ancora cinema nel 2006. Enrico Pau vi coinvolge per Jimmy della collina 43 Nel 2002 la K-Factor di Davide Catinari pubblica un vostro brano nella compilation 4-Tones che segna l’esordio nel mondo discografico, un mondo che avete sempre guardato con estrema cautela. (Jimi): Si, si trattava di “Il modo migliore”, la prima canzone che abbiamo scritto. Definivamo il nostro stile come lounge-core (o loungeabbestia, secondo la definizione del nostro amico ed ex produttore Max Casacci). Fu la prima occasione di entrare in studio di registrazione e avere una prima piccola distribuzione. Partecipammo al MEI di Faenza e, soprattutto, nacque il primo link importante con lo studio Casa sonica di Torino, dove il disco fu mixato, e con Max. no della band è subito riconoscibile: una miscela azzeccata di rock delle origini, psichedelica, surf, hardcore, funky, melodie nazionali (Celentano, Mina) che scuote il panorama musicale italiano del tempo. Il rapporto con Casacci fornisce inoltre la giusta dose di esperienza e vi permette di infrangere le barriere geografiche dell’Isola. (Jimi): Assolutamente sì. Considera che eravamo dei trentenni abbastanza smaliziati al loro primo disco, con tutta l’eccitazione compositiva ed emotiva che poteva conseguirne. “Fuga..” è, infatti, il disco al quale sono più affezionato, che mi riflette al 100%, pur con le sue ovvie ingenuità. Indubbiamente la distribuzione EMI e il fatto che rappresentasse il numero 00001 del catalogo dell’etichetta Casasonica fecero si che il disco e la band avessero una buona esposizione e circolazione. ANTAS Stavamo sviscerando e interiorizzando il sound delle colonne sonore, italiane e non, degli anni ‘60 e ‘70 attraverso un repertorio che andava da Nino Rota ad Armando Trovajoli, dai fratelli De Angelis a Piero Umiliani, da Alessandro Alessandroni a Ennio Morricone o Elmer Bernstein. In tutto ciò il nostro approccio era però non filologico o tradizionale, ma sperimentale. Poi abbiamo cominciato a scrivere le prime, irregolari, canzoni. e sempre a Torino sonorizzate le immagini di Elio Petri, un vostro punto di riferimento. (Jimi): Jimmy della collina è importante perchè rappresenta il nostro primo lavoro originale per il cinema. È stato molto bello e stimolante e siamo riusciti abbastanza bene, secondo me, a restituire in musica le atmosfere del racconto di Carlotto. Inoltre la colonna sonora contiene la primissima versione della nostra canzone Piove deserto, brano molto amato dal nostro pubblico. Il nuovo disco esce nel 2008, sempre per Casasonica, dal titolo: B- Il mondo è una giungla per chi non vede al di là degli alberi, con alcune novità importanti. La band decide di reagire concretamente alla crisi discografica ed economica saltando ogni forma di distribuzione tradizionale ed affidandosi completamente alla distribuzione on-line e alla vendita del supporto durante i concerti (spesso fuori dall’Isola). Il prezzo del disco è volutamente basso nonostante il prodotto sia di alto livello. Ancora una sfida al mercato. (Diablo): Il nostro è stato un ragionamento semplice ed è partito da una perplessità legata al rapporto fra il prezzo di vendita dei dischi e l’effettivo costo di realizzazione. Per stampare un CD audio in grandi quantità sono sufficienti 2 euro, stando larghi. Il prezzo di vendita di un disco, raramente è inferiore ai 12. Una band che vuole acqui- In questo periodo (siamo nel 2009 circa) vi inventate il marchio Brain Dept, un contenitore che permette di diversificare le diverse anime del gruppo e continua il flirt con il mondo del cinema con la realizzazione della cover di Cuore matto di Little Tony per la colonna sonora di Cosmonauta, film di Susanna Nicchiarelli. Si palesa anche un nuovo interesse: il teatro e la fortunata collaborazione con le Lucido Sottile, nuova ed effervescente realtà teatrale cagliaritana. (Jimi): Si, la nostra stessa natura ci porta da sempre alle collaborazioni. Brain Dept. (Il Dipartimento Cervello) non fa altro che istituzionalizzare una parte della produzione dei Sikitikis, che da questo momento differenziano nettamente la proposta pop da quella legata al cinema. Esempi del nuovo corso sono le sonorizzazioni “Omaggio al thriller italiano” (in tempi non sospetti, ANTAS 44 foto di Shibuya Nel 2007 tornate in sala di registrazione per il nuovo disco e allargate lo spettro delle attività extra musicali collaborando con Wu Ming a dimostrazione che non si può vivere di sola musica. Casasonica pubblica un EP dal titolo Rosso Sangue, preludio al nuovo album. (Jimi): La collaborazione con Wu Ming si inserisce, in realtà, in una lista di collaborazioni precedenti, spesso nell’ambito del Marina Cafè Noir, festival di letterature applicate che si svolge a Cagliari da 12 anni. Nella fattispecie lavorammo con Wu Ming sull’audio book e live performance del loro romanzo “Manituana”. Bella esperienza, seguita - prima e dopo - da altrettante collaborazioni con Francesco Abate, Massimo Carlotto o, più recentemente, Marcello Fois e Michela Murgia. ...abbiamo deciso di optare per una filosofia “Kilometro zero” e auto distribuire il disco... stare il proprio disco da rivendere ai live o da regalare, lo deve acquistare dal distributore a una cifra vicina ai 7 euro. Noi abbiamo soltanto tenuto conto che il 90% delle nostre vendite avveniva ai banchetti del merchandising durante il live. Fatti questi conti abbiamo deciso di optare per una filosofia “Kilometro zero” e auto distribuire il disco. Questo ci ha permesso di venderlo a 6 euro. È attualmente l’unico fra i nostri lavori che ha avuto due ristampe. prima che tornasse di moda riscoprire i c.d. film di serie B) e “L’uomo con la macchina da presa”, colonna del cinema moderno russo. Le belle cose è l’ultimo album prodotto sempre con Manuele Fusaroli, registrato e mixato tra Guspini, Ferrara e gli Abbey Road Studios di Londra e pubblicato nel 2012. Un disco dove si incontrano ancora una volta mon- Il disco (oltre ai tre componenti storici Diablo, Jimy e Zico) presenta anche un nuovo batterista: Sergio Lasi detto Lazy. Che è successo? (Jimi): Non è successo niente di strano: dopo 11 anni di collaborazione il batterista (e membro originale) Daniele Sulis ha lasciato la band per dedicarsi all’at- foto di Michela Medda tività didattica. Conoscevamo Sergio, e anche lui ci seguiva da tempo, perciò ci è sembrato naturale provarlo. La risposta è stata positiva e immediata. Nel 2014 avete composto il nuovo inno del Cagliari Calcio. Un’operazione popolare che vi spedisce direttamente tra le braccia della folla e dei sentimenti più intimi della Sardegna dopo tanti anni di voli intercontinentali. (Diablo): Credo che ancora sia il caso di parlare di “canzone” più che di inno. Il motivo è semplice. L’inno è una canzone che la gente ha preso a simbolo e durerà nel tempo. E per questo c’è bisogno di tempo. Se così sarà, credo potrebbe diventare l’apice della nostra carriera in termini emotivi. Sarebbe bellissimo fra 20 o 30 anni, quando i Sikitikis saranno solo il ricordo di qualche appassionato di musica, andare allo stadio e sentire quella canzone cantata da tutti. 45 Nel 2011 continua l’esperienza con Lucido Sottile, si lavora a nuove composizioni e si cura in modo particolare la parte video con la riuscita collaborazione con il team Shibuya. Inoltre i singoli componenti della band sono spesso impegnati come dj in nei club cagliaritani, un’esperienza che nel tempo diventerà sempre più assidua. (Jimi): In realtà la mia esperienza come selecter precedeva i Siki ed è, anzi, importante per il tipo di approccio che mi ha dato nel fare musica. Al momento sto portando in giro il mio dj set “CinematiCA”, totalmente basato su selezioni da colonne sonore e vintage music. di apparentemente lontani: la canzone italiana classica e le nuove correnti rock internazionale. Un lavoro che nasce e si sviluppa con l’interazione dei social network e che è scaricabile gratuitamente dalla rete. (Jimi): Le belle cose è stata un’esperienza eccezionale: sin dall’inizio il progetto si è fortemente radicato nei social networks, trovandovi spazio e condivisione. Musicalmente è un disco nel quale abbiamo tracciato la nostra personale via al pop: una ricetta saporita, ma non troppo speziata, in cui convivono la scrittura della forma-canzone italiana, il suono dei produttori moderni che ci piacciono (Pharrell Williams su tutti) e un gusto vintage nell’arrangiamento. La fase di mastering presso i mitici Abbey Road studios è stata la ciliegina sulla torta e ci ha permesso di conoscere e vedere in azione Sean Magee, ingegnere del suono che ha lavorato con gente del calibro di Pink Floyd, Beatles e Blur. ANTAS Nel 2010 si lavora al nuovo album (questa volta senza Casasonica ma con la label Infecta con distribuzione Universal) che verrà chiamato Dischi Fuori Moda con la produzione di Manuel Fusaroli. Un disco che Blow Up definisce “synth pop ovvero solido rock dalle tentazioni cantautoriali e dalle venature punkettose”. Altri ancora lo hanno definito un disco fatto pensando a Battisti citando Madonna. In ogni caso un disco fresco, travolgente, vintage e contemporaneo allo stesso tempo senza nessuna remora culturale. (Jimi): Un disco di transizione, nel quale due anime dei Siki – quella punk degli esordi e quella pop che si affaccia prepotentemente – cercano una convivenza difficile. (Diablo): Dischi Fuori Moda è un disco che incorpora una particolare magia, per quanto mi riguarda. Un lavoro in cui sento ancora lo spirito straordinario che si è formato durante le fasi di scrittura, arrangiamento e registrazione. Credo sia il disco dove la band ha trovato la perfetta sintesi fra scrittura col nervo scoperto e suono pop. foto di Nico Salis focus cinema A tu per tu col regista sardo impegnato nel montaggio del suo ultimo lavoro cinematografico GIANFRANCO CABIDDU Il nuovo film “La Stoffa dei sogni” girato nell’isola dell’Asinara Shakespeare e Eduardo De Filippo come fonte d’ispirazione. Il regista: ”Esperienza molto positiva, è una storia che mi portavo dietro da tanto tempo e alla quale tenevo moltissimo”. Nel cast Ennio Fantastichini e Sergio Rubini ANTAS 46 testo di Valentina Pintor Gianfranco Cabiddu è uno dei massimi esponenti del cinema sardo. Una carriera prestigiosa la sua, che vanta importanti riconoscimenti: l’ultimo il Premio Maria Carta, conferitogli il 7 settembre a Siligo, paese natale dell’artista sarda. Abbiamo incontrato il regista proprio in questa occasione per parlare con lui del suo ultimo film, girato nell’incantevole isola dell’Asinara: La stoffa dei sogni. Siamo alla 12esima edizione del Premio Maria Carta: che ricordo hai di questa grande donna con la quale hai lavorato nel tuo primo lungometraggio del 1989, Disamistade? Maria è stata una sorta di sorella maggiore che mi ha in qualche modo accompagnato, sostenendomi anche psicologicamente. Quando l’ho conosciuta ero molto giovane, mentre L’Asinara come l’isola incantata dell’opera shakespeariana: quanto ha di magico questa terra? Perché hai scelto di girare il tuo film proprio lì? L’Asinara ha un enorme potenziale magico: è un’isola meravigliosa e terribile allo stesso tempo. Credo che tra i mem- IL CAST DE “LA STOFFA DEI SOGNI” Sergio Rubini, Ennio Fantastichini, Alba Gaia Bellugi, Renato Carpentieri, Teresa Saponangelo, Ciro Petrone, Francesco Di Leva, Nicola Di Pinto, Adriano Pantaleo, Lino Musella, Maziar Firouz, e con la partecipazione straordinaria di Luca De Filippo figlio del grande Eduardo De Filippo, Jacopo Cullin, Giampaolo Loddo, Fiorenzo Mattu, Carlo Valle, Vanni Fois, Giammaria Deriu e Michele Cabizzosu. bri della troupe non ce ne sia stato uno che non abbia subito punture di vespe o zecche! Ma nonostante questo sono rimasti tutti amaliati: l’isola è imprescindibile, come un personaggio del film: uno dei motivi principali per cui l’ho scelta, lottando con le unghie e con i denti per arrivarci, è perché a questa terra è legato un grande pezzo di storia del Novecento italiano: la Prima Guerra Mondiale con i suoi prigionieri, le guerre coloniali, la Seconda Guerra Mondiale, i sanatori, le BR, la mafia... Si può raccontare il mondo anche dalla Sardegna e non per forza raccontare solo ciò che è, per così dire, geneticamente di Sardegna. Hai scelto due topoi abbastanza diffusi in letteratura: il naufragio e l’isola semi deserta. L’ambientazione, in particolare, caratterizzata dall’iso- 47 Nel film una compagnia di teatranti e camorristi naufraga sulle coste dell’isola dell’Asinara. La tempesta di Shakespeare e L’Arte della commedia di Eduardo De Filippo sono state due evidenti fonti di ispirazione. In che modo l’attore napoletano ha influenzato la visione e la genesi del tuo film? Mi interessava moltissimo servirmi di Shakespeare per raccontare anche un pezzo della storia della Sardegna dal un punto di vista particolare di un’isola come l’Asinara: un’isola-carcere. L’idea dell’isola colonizzata, contenuta nell’opera di Shakespeare, era uno spunto interessante per riflettere, senza usare slogan “politici”, ma rimanendo fedelissimi al testo shakespiriano, un pezzo di storia sarda, di occupazione di una terra, di esproprio. Il tutto veniva a intersecarsi con l’idea di voler raccontare la distinzione del vero dal falso, tra chi è veramente attore e chi non lo è. Le parole di Shakespeare sono ancora oggi molto attuali e, al tempo stesso, era per me naturale ricollegarmi e riuscire a portare in scena qualcosa di simile a ciò che avevo fatto da ragazzo insieme a Eduardo De Filippo. Ho avuto la fortuna di lavorare per lui per sei anni, e tra le tante cose anche alla versione audio proprio della Tempesta. Questo impriting - e specialmente il testo della commedia -che lui stesso ha tradotto in napoletano antico e che io ho seguito passo per passo- mi sembrava contiene una grande verità rispetto all’uso della lingua, una lingua madre “naturale” per la recitazione, e quindi potesse essere anche una sorta di omaggio al genio di Eduardo. Shakespeare scrive parole che prendono vita se recitate in scena, parla di cose, di uomini ma spesso si tende a museificarlo, mentre la forza di Eduardo è stata squisitamente linguistica: tradurre l’opera shakespeariana nella propria lingua, che suona e funziona in scena. L’aspetto linguistico era uno di quelli che mi stava molto a cuore, anche in relazione alla Sardegna. ANTAS Hai appena terminato di girare il tuo ultimo film, La stoffa dei sogni, che vede la partecipazione, tra gli altri, di Sergio Rubini ed Ennio Fantastichini: un cast d’eccezione. Com’è stata questa esperienza lavorativa? È stata molto positiva, perché è una storia che mi portavo dietro da tanto tempo e alla quale tenevo moltissimo. La particolarità del copione – la sua ambientazione particolare insieme all’amicizia che mi lega da anni ad alcuni attori ha fatto sì che riuscissimo a mettere in piedi, in maniera direi eccezionale, un equipaggio che ha accettato di compiere un’avventura estrema: abbiamo girato all’Asinara vivendo per tutto il periodo delle riprese sul posto, con la linea internet che funzionava a singhiozzi, così come la rete dei cellulari. Così dovrebbe essere un film: un viaggio in barca dove si tira su l’ancora e si salpa per andare in mezzo al mare, senza tutti gli appigli della routine quotidiana, di una situazione normale. Direi che tutto questo è un vantaggio per un regista. foto di Giovanni Salis lei era già una interprete musicale di prima grandezza e un’attrice affermata: aveva lavorato con Rosi, Zeffirelli e anche con Coppola ne Il Padrino, oltre ad aver fatto teatro. La sua esperienza e il suo coraggio mi hanno aiutato a delineare l’archetipo di madre portata in scena nel mio film: una sorta di madre mediterranea, figura importantissima in rapporto alla storia che intendevo raccontare. ANTAS 48 foto di Gilles Cannatella lamento, ha influito sulla psicologia dei personaggi? La tempesta racconta già tutto e non escludo, in un moto di affetto, che la rotta che traccia Shakespeare e l’isola di cui parla potesse essere proprio la Sardegna, perchè il tragitto va da Tunisi a Napoli. Mi piace pensare che abbia pensato proprio a noi. Quindi l’ambientazione ha influito moltissimo, perché l’Asinara è un’isola fuori dal mondo dove abita Calibano, che parla un’altra lingua ed è il proprietario dell’isola poi occupata da Prospero, che a sua volta è lì esiliato. Rende molto profondamente l’idea del destino dell’uomo, perché se è vero che la pacificazione che caratterizza La Tempesta, la risoluzione dei nodi, la vittoria dell’umanità e del perdono sulla vendetta sono importanti in generale, per un’isola “chiusa” sono ancora più importanti. Tutti devono farsi perdonare qualcosa: così come coloro che hanno isolato Prospero dopo averlo defraudato del suo regno ed esiliato, è Prospero stesso a dover farsi perdonare di aver rinchiuso nell’isola ...in realtà il suono e la musica per me hanno un ruolo importante: ho iniziato come musicista... la figlia Miranda e aver assoggettato Calibano e Ariele, suo schiavo. Liberare queste persone e liberare se stessi sono concetti veicolati in tutta La Tempesta e questo ha rappresentato per me un elemento-guida. Paradossalmente, è il film più politico che abbia mai girato sulla Sardegna. Durante la tua lunga carriera hai ricoperto diversi ruoli, da quello di regista a sceneggiatore, e ti sei cimentato in vari generi cinematografici: dal drammatico Disamistade a Il figlio di Bakunin, Disegno di Sangue fino al documentario Passaggi di tempo e Sonos ‘e memoria. In realtà il suono e la musica per me hanno un ruolo importante: ho iniziato come musicista. Sono laureato in Etnomusicologia con una tesi sui rituali di possessione in India... Tutto un altro pianeta. Contemporaneamente ho lavorato a lungo in teatro e sono arrivato al cinema occupandomi di documentari etnografici, sempre seguendo la linea dell’antropologia. Pian piano ho iniziato a usare la finzione per raccontare storie, con una forte componente antropologica. Ho incrociato i due aspetti nello spettacolo Sonos et Memoria, film di montaggio con immagini di repertorio della Sardegna dagli anni ‘20 agli anni ‘50 accompagnate da musicisti che suonavano dal vivo. In seguito ho incrociato i miei due amori, cinema e musica, e ho fatto un documentario, Passaggi di tempo. Mi divido un po’ ma la mia natura è, in fondo, quella di musicista. Da dove nasce l’esigenza di sperimentare per un’artista? Forse dalla curiosità verso l’umanità e da un rifiuto inconscio della carriera. Ho sempre voluto fare cose nuove, incontrare altra gente. Non mi è mai interessato il meccanismo in base al quale se faccio questo e funziona lo rifaccio: ero molto più curioso di nuove avventure, avere altre esperienze. In questo Maria Carta è stata un esempio: l’ho vista a teatro, al cinema, l’ho sentita cantare, scriveva poesie meravigliose e ha scritto anche saggi antropologici. Sono la curiosità e la voglia di toccare altre corde che ti spingono ad avventurarti e a non fossilizzarti sulla routine. per la musica, essendo artisti validissimi e per fortuna diversi, che questi concorressero insieme e potessero creare una sorta di polifonia, rendendoci in questo modo tutti più ricchi. Criticare frettolosamente, dire Facciamo solo Cannonau o solo Vermentino non rende più ricchi, ma più poveri e molto più omologati. La stoffa dei sognI. Shakespeare, proprio ne La tempesta, affermava: “Siamo fatti anche noi della stessa materia di cui sono fatti i sogni”. È ispirandoti a questa frase che hai scelto il titolo del tuo film? Sì, moltissimo. Un po’ perché evanescente, un po’ perchè “sognato” e inafferrabile. Anche dai noi sardi, perchè no? Quando è prevista l’uscita del film? Abbiamo appena iniziato a montarlo e riusciremo a finirlo non prima di gennaio. Vedremo poi che vita avrà: se verrà presentato in un festival o uscirà prima nelle sale. ANTAS 49 foto di Gilles Cannatella Se ti dovessimo far scegliere i due film del panorama cinematografico sardo passato e presente che apprezzi di più, cosa risponderesti? Ce ne sono molti, due sono pochi. Ma imprescindibile è sicuramente a Banditi a Orgosolo, che ci ha regalato la forza di un racconto epico. E poi c’è Padre padrone, che ho apprezzato molto ed è stato importantissimo per me. Penso che la forza di una cultura, in questo caso quella della Sardegna, stia nella sua diversificazione. Per fare un paragone pensiamo al vino: la sua forza è emersa quando abbiamo capito che ne esistono tante varietà e che queste sono in grado di arricchirci. Così come, se facciamo un parallelo con la musica, ne esistono tante sfaccettature. Maria Carta, ad esempio, cantava in logudorese, ma anche in campidanese. Il difetto che possiamo avere è pensare che uno vale più dell’altro e che il Cannonau sia più buono del Marsala o del Vermentino: allora si potrebbe pensare: Facciamo solo Vermentino. Giovani registi si stanno affacciando al mondo del cinema e hanno avuto riscontri importanti: da Pau, a Mereu, a Columbu, con esiti diversi l’uno dall’altro, anche molto distanti rispetto a ciò che ho fatto io. Mi piacerebbe, come per il vino e foto di Baromatta focus teatro 50 ANTAS Il direttore artistico Giancarlo Biffi racconta i 32 anni di attività CADA DIE TEATRO Testo di Matteo Mazzuzzi Il teatro contemporaneo che punta sull’innovazione L’ATTORE AL CENTRO Ma quali sono gli elementi della poetica di Cada Die che hanno fatto la fortuna del gruppo? La strada scelta è il teatro di ricerca e della contemporaneità che punta all’innovazione: «Anche portando in scena Antigone bisogna tenere conto del contesto in cui si vive, cercando di far interagire il teatro con le contraddizioni del moderno e puntando a raccontare qualcosa di importante». Il concetto di base è uno, la centralità dell’attore: «Uno spettacolo teatrale può fare a meno di tante cose: scenografie, costumi, musica, luci, testo. L’unica cosa che non può mancare è l’attore, che non è mai servo di scena. Alcuni dicono che il teatro sia morto: forse non è l’arte più in voga, ma finché ci sarà uno spettatore che vuole ascoltare una storia ci sarà sempre un attore pronto a soddisfarlo». SARDEGNA E ITALIA La programmazione di Cada Die Teatro abbraccia tutti i contesti geografici: regionale, nazionale, internazionale. Gioiello della programmazione regionale, ma con l’ambizione di un confronto sempre più nazionale e internazionale, è il “Festival dei Tacchi”, esempio virtuoso di un teatro capace di raggiungere il territorio. Biffi ne racconta la genesi: «Quando abbiamo ricevuto i finanziamenti ministeriali per progetti di innovazione e contemporaneità abbiamo pensato ai due punti più disagiati dell’Isola: il Sulcis e l’Ogliastra. Abbiamo scelto quest’ultimo per una serie di ragioni. In primo luogo, alcuni di noi sono originari della zona. Inoltre, a differenza del Sulcis, l’Ogliastra non è mai stata industriale: è il luogo più selvaggio della Sardegna, un’isola nell’Isola. In più abbiamo avuto la fortuna di trovare politici locali intelligenti che hanno scommesso sulla nostra proposta». Tale combinazione di fattori ha consentito di proporre un’idea di teatro e di Sardegna differente, rendendo un servizio culturale, economico e pubblicitario al territorio ogliastrino. A livello nazionale Cada Die Teatro è riconosciuto dal Ministero per i beni e le attività culturali come compagnia di teatro di ricerca. Nonostante alcune difficoltà legate all’insularità, i rapporti con le compagnie della Penisola sono ottimi. Ne è un esempio l’Øscena Festival, un progetto condiviso con il Teatro Stabile della Sardegna e nato dall’esigenza di esplorare quel che si muove nei più giovani teatri delle altre regioni d’Italia: «La manifestazione di quest’anno, prevista tra il 10 e il 12 ottobre, ospiterà sei compagnie siciliane - spiega Biffi -. Pur essendo solo un antipasto del movimento teatrale siciliano offre la possibilità di verificare lo stato dell’arte in altri contesti, verificando differenze e uniformità». LE PROSPETTIVE INTERNAZIONALI Anche il contesto internazionale sta aprendo nuovi scenari grazie al progetto teatrale “Meeting the Odyssey” che coinvolge soggetti di altre 10 nazioni europee, dal Mar Baltico al Mar Mediterraneo. Si tratta di una manifestazione europea articolata in tre anni, in cui un equipaggio artistico internazionale alla guida del veliero estone “Hoppet” darà vita a un’Odissea contemporanea che approderà in 20 porti d’Europa fino a raggiungere Itaca: «Incontreremo migliaia di person, e porteremo in scena le storie dei luoghi. L’anno prossimo toccherà a noi curare una delle grosse produzioni internazionali che faremo debuttare nella prossima edizione del Festival dei Tacchi». Con Hoppet attraccata al porto di Arbatax, Cada Die è pronta al viaggio e a sentirsi ambasciatrice della Sardegna in Europa. BIOGRAFIA Il Cada Die Teatro nasce a Cagliari nel 1982. Lavorando per un teatro che fosse il più vicino possibile alla realtà, la compagnia ha individuato nella centralità dell’attore l’elemento principale della sua poetica teatrale. In quest’ottica il tentativo di costruire un teatro “popolare” ha portato all’analisi di tematiche forti e vicine al vissuto, espresse con linguaggio semplice ma senza abbandonare la ricerca di nuovi modelli di comunicazione. Di particolare rilevanza è la produzione per il teatroragazzi, nata con il desiderio di confrontarsi con una comunità, quella dei bambini e dei ragazzi, eccezionale per attitudine all’ascolto e immediatezza delle risposte. 51 democratico permette di occupare un territorio artistico molto vasto. ANTAS foto di Barbara Locci foto di Marina Magri Cada die. Un’idea di rinnovamento continuo, quotidiano, come il fiore che si cambia in tavola ogni giorno: «È il pensiero che sta dietro il nostro lavoro. Un teatro contemporaneo, non statico, che sceglie di vivere ogni giorno come l’ultimo. Dopo 32 anni posso dire che questa filosofia ha pagato». Quando parla di Cada Die Teatro, la compagnia di cui è direttore artistico, Giancarlo Biffi è raggiante. Da quel 1982, anno di fondazione del gruppo teatrale, la strada percorsa è tanta. Cada Die ora è una cooperativa che dà lavoro a 17 persone, gestisce il centro d’arte e cultura “La Vetreria” a Pirri, manda avanti una scuola di arti sceniche e organizza attività di teatro a livello regionale, nazionale e internazionale con oltre 120 repliche all’anno. Ma all’inizio c’era solo un insieme di amici che voleva fare teatro: «Arrivai in Sardegna nel novembre del 1981 per lavorare a una tesi di laurea sul teatro in Sardegna - racconta Biffi - e poco tempo dopo conobbi Pierpaolo Piludu, Zelinda Roccia e gli altri. Decidemmo di fare teatro professionalmente e, non avendo un teatro, iniziammo con un progetto di spettacoli da fare in strada per cavalcare quest’arte come mestiere». Nella compagnia convivono stabilmente i mille volti dell’arte teatrale. C’è chi lavora con i ragazzi disabili, chi fa ricerca sui bombardamenti a Cagliari, chi fa teatro per i bambini. E proprio questo principio focus teatro foto di Gian Marco Porru Vi presentiamo l’estrosa compagnia teatrale sassarese Comicità esilarante e impegno sociale BOBÒSCIANÈL ANTAS 52 testo di Mary Manghina Il mio incontro con i BobòScianèl risale a un paio di anni fa. Un sabato sera invernale, uno dei tanti in cui si cerca sempre un’alternativa valida per spezzare la routine quotidiana della settimana. Ed è così che mi ritrovai a partecipare a una delle loro “cene con delitto”. Una casualità che mi lasciò profondamente colpita dalla loro capacità e competenza nel saper coinvolgere e divertire il pubblico con semplicità e naturalezza quasi disarmanti. I BobòScianèl nascono formalmente nel 2008, principalmente dall’idea dei due fondatori, Laura Calvia e Daniele Coni, reduci da una precedente collaborazione che risale al 2002. La formazione attuale è composta anche da Luca Dettori, Carlo Valle, Antonella Masala, Valentina Sanna e Tiziana Santercole. Ogni componente ha alle spalle esperienze e un percorso formativo articolato e in continua evoluzione. Ed è proprio questo che distingue nettamente i Bobò Scianel nel panorama artistico teatrale isolano. L’IMPEGNO NELLA FORMAZIONE Oltre a essere interpreti e autori dei propri spettacoli (Daniele Scianel, per molti aspetti determinanti nella riuscita della rappresentazione. Da maggio a settembre si sono svolte varie repliche, tutte con un successo di pubblico assoluto. IL TEMA DEL FEMMINICIDIO Ma da bravi interpreti e attori i BobòScianel sanno anche affrontare e portare in scena testi più impegnativi e drammatici, che toccano temi sociali tristemente attuali come il femminicidio. Ed è con “Una grande storia d’amore”, scritto sempre da Daniele Coni e interpretato da Laura Calvia, che nel marzo scorso, a Ozieri, in anteprima per l’incontro “Racconti di donne”, hanno dato prova di grande capacità artistiche, lasciando un commosso consenso in platea. Attesissime le prossime date, il 16, 17 e 18 dicembre al Teatro Civico di Sassari, dove potremo vedere in scena l’ultima creazione di Daniele Coni ancora, peraltro, in fase di scrittura. Laura ci anticipa qualcosa riguardo la trama: l’ambientazione è una boutique di un famoso brand internazionale, dove si evolve una storia di intrecci tra commessi e clienti; tutto sempre arricchito da comicità e ilarità, in perfetto stile Bobò Scianel. Anche in questo caso vedremo interpreti alcuni allievi dei corsi. Brevi cenni biografici: Laura Calvia e Tiziana Santercole sono laureate in arti drammatiche presso l’Accademia Internazionale “Circo a Vapore” di Roma; sia Daniele Coni che Laura Calvia hanno frequentato diversi corsi in Italia e all’estero con Philippe Gaulier, Michael Margotta, Emmanuel Gallot Lavallèe, Ted Kaiser, Malaki Bogdanov, perfezionando e approfondendo metodologie e tecniche. Tutti gli altri componenti provengono da esperienze pluriennali in diversi palcoscenici e da varie formazioni precedenti. 53 te architettata dagli stessi stravaganti inquilini e da un’arcigna portiera. I testi sono interamente scritti e curati da Daniele Coni e la regia è di Laura Calvia. COMICITA’ ESILARANTE E GUSTO DELL’IMPROVVISAZIONE Le loro performance, rappresentate un po’ in tutta l’Isola, hanno sempre lasciato il segno. La comicità esilarante e la capacità di portare avanti un testo, sfociando spesso in improvvisazioni sempre attinenti e divertenti, rendono ogni spettacolo unico. Ed è forse per questo che ogni appuntamento a teatro è sempre un sold out assicurato! Negli ultimi quattro anni la compagnia ha messo in scena - si contano più di 400 repliche - una serie di spettacoli incentrati nel ramo del giallo e del delitto con “Messaggio dal mondo dei morti” e “Il giorno più bello”, che trovano originalità assoluta nel fare del pubblico parte integrante della rappresentazione. Si tratta, infatti, di uno spettacolo che si svolge all’interno di una cena vera e propria, in cui gli spettatori sono gli stessi commensali ai quali si mescolano e integrano gli attori, coinvolgendoli e rendendoli parte integrante della commedia. Una rivisitazione personale del classico “week end con il morto” tra sotterfugi, segreti inconfessabili, porte che cigolano e battute divertenti; tutto condito da un’immancabile ironia. Ci sono poi, naturalmente, trasposizioni teatrali come “Nessuno escluso”, “Il giorno più bello” e “Delitto dall’aldilà”. Fra gli ultimi lavori da ricordare “Gulash & Camomilla”, commedia ambientata negli anni ’50 che parte dalle quinte di un vecchio teatro in decadenza, dove tre attori si apprestano a portare in scena un melodramma. Una nota di merito va anche a Mattia Enna che cura le scenografie e i costumi dei Bobò ANTAS Coni è autore della maggior parte delle rappresentazioni portate in scena dalla compagnia), i BobòScianèl si propongono come punto di riferimento anche per la formazione di giovani attori professionisti. La loro, infatti, non è semplicemente una passione, ma anche e soprattutto un impegno, un lavoro per i quali sono costanti la preparazione personale e la formazione che, con competenza, sanno insegnare a chiunque voglia avvicinarsi con consapevolezza al teatro. La dimostrazione della loro capacità di essere non solo attori professionisti ma anche validi insegnanti è data dalla stessa Valentina Sanna, “reclutata” proprio attraverso i corsi di formazione teatrale privati. A parte diversi laboratori tenuti fin dagli esordi per conto di scuole ed Enti regionali, è già da circa tre anni che i membri della compagnia ripropongono i loro corsi privati aperti a tutti (principianti e non), che riprenderanno anche quest’anno a ottobre con l’introduzione di un livello avanzato, dedicato proprio a chi li segue da più tempo e ha già acquisito le nozioni basilari. La fine di ogni percorso “scolastico” è contraddistinta da una rappresentazione in cui gli interpreti sono gli stessi allievi (chiamati affettuosamente da Laura “scianellini”) come accaduto per le sessioni passate, durante le quali è stato portato in scena “Recitando gli stili”, costruzione di cinque corti teatrali per cinque stili distinti: tragedia, melodramma, farsa, commedia romantica e realismo moderno; lo stesso numero di attori per ogni corto, in apparenza la narrazione di storie differenti, ma in realtà con lo stesso identico testo. E ancora “Condominio 123”, che racconta le ultime ore di vita domestica di un intero palazzo prima di una catastrofe, coscientemen- focus tradizioni Un nuovo tesoro discografico nel paese del Mejlogu Successo della nuova pubblicazione della Pro Loco ANTAS 54 testo di Pierpaolo Fadda La copertina racchiude l’essenza dell’arte ed ha un impatto di straordinaria bellezza. L’opera “Cavalli nei Serrenti” del grande Aligi Sassu apre con un atmosfera di giochi e colori lo scrigno dei tesori della musica e cultura di Thiesi, che si apre a tutta la Sardegna per regalarci una nuova perla preziosa. E’ il Cd “Cunsonos de Tiesi”, una raccolta , che vede protagonisti Su Cunsonu Thiesinu, Su Cunsonu Santu Juanne e Su Cunsonu Nostra Segnora de Seunis, ha il potere di valorizzare uno dei tanti “siddados” tipici del paese, il canto a più voci che a Thiesi viene chiamato “A Cunsonu”. “Thiesi, a differenza degli altri paesi del circondario, ha mantenuto questa modalità espressiva antica e melodiosa conservando forme musicali uniche, quali sa maestralina: ciò è potuto accadere per il perseverare nel paese di un’altra passione e capacità artistica, quella di comporre versi di riflessione ma soprattutto estemporanei - a bolu-, per le cui gare era indispensabile l’accompagnamento di un coro e, dunque, la musica e il canto si presentavano come un mezzo al servizio dell’espressione poetica”. Lo scrive la presidente dell’attivissima Pro Loco Giovanna Chesseddu nella presentazione dell’importante lavoro discografico, pro- Cunsonu Tiesinu Cunsonu N. Segnora de Seunis 2) Cunsonu S. Juanne Boghe de note 3:42 Su dillu 2:19 Sos tres res 4:57 Maestralina 4:39 3) Cunsonu N. Segnora de Seunis Boghe de note 3:43 Mutos 3:01 Maestralina 5:38 Gosos de N. Segnora de Seunis 3:08 4) Frammenti Boghe de note (T. Soro, D. Serra, P. Uneddu, G. Pala). 1975 2:42 Maestralina (A. Ninniri, G. Spissu, F. Ruda, A. Melone) 1961 01:35 Mutos (F. Carta, L. Vargiu, T. Canu, N. Uneddu) fine anni ’70 1:16 55 IL DISCO CUNSONOS DE TIESI 1) Cunsonu Tiesinu Boghe de note 3.36 Maestralina 5:01 Su ballu cantadu 3:21 Gesus in allegria 2:53 ANTAS LA RACCOLTA La raccolta Cunsonos de Tiesi è costituita dal repertorio diffuso ovunque: sa Boghe de note, sos mutos, Sos Tres Res, Gesus in allegria e dal canto tipico, sa maestralina; a questi si aggiungono Sos Gosos de Nostra Segnora, su ballu cantadu e su dillu, per ricordare una tradizione dimenticata, dato che in questi ultimi decenni a Thiesi il ballo veniva accompagnato da voce, chitarra e/o fisarmonica. Il CD documenta quanto questa modalità canora sia stata e continui ad essere radicata nel paese: accanto a frammenti di registrazioni amatoriali del passato, fatte in circostanze del tutto casuali e improvvisate, proponiamo le interpretazioni dei tre cori attualmente in attività che, nell’occasione, hanno scelto di cantare testi di autori Thiesini. Tutti, fin da ragazzi, hanno frequentato e cantato insieme agli adulti seguendone le orme e così coltivano e tramandano la stessa passione che ha radici lontane: di canti, suoni, vita e amicizia, cunsonantzia appunto. Cunsonu S. Juanne dotto dalla stessa Pro Loco, registrato da Sandro Fresi negli studi “Sa Punta” di Thiesi nel Maggio del 2014, mixato da Mario Francesconi nello studio Ziqqurat, mentre il segretario di produzione è Bastiano Lai, grande esperto di musica a cui si deve la primogenitura di questa importante produzione discografica destinata a rimanere nella storia thiesina. Anche perché da sempre, in paese “le occasioni per poetare/cantare non mancavano: quelle canoniche quali l’ultimo giorno dell’anno e l’Epifania, ma anche feste familiari, patronali o relative al lavoro come ad esempio la tosa delle pecore. Non erano esibizioni di gruppi organizzati ma cori spesso costituitisi al momento, espressione del piacere di cantare tra amici e amatori: di fatto però, costituivano anche parte di quella “scuola impropria” così chiamata da M. Pira – costituita dal paese stesso - che educava davvero, poiché introduceva i giovani nella realtà, tramandando valori, modi di essere, tecniche del fare. Dunque scuola di vita e di lavoro ed anche di poesia e canto: i giovani ascoltavano, imparavano dagli adulti che, mentre armonizzavano e affinavano i loro ruoli nel coro, li invogliavano e indirizzavano”. CLAUDIA CRABUZZA Una voce sarda al Premio Tenco foto di Piergiorgio Annichiarico focus eventi La cantante algherese si esibirà come ospite ANTAS 56 testo di Giovanni Salis Avrà un sapore isolano la prossima edizione del Premio Tenco (la 38°) dedicata alla canzone d’autore, in programma dal 2 al 4 Ottobre al Teatro del Casinò di Sanremo, organizzata dal Club Tenco che quest’anno avrà per tema “le Resistenze” (resistenze al potere, chiaramente, ma anche nell’arte, nella musica, nella creatività, nel costume, nel linguaggio), con la presenza fra i protagonisti della cantante algherese Claudia Crabuzza. Un traguardo prestigioso e un sogno che si realizza, quello raggiunto dall’apprezzata interprete sarda che, da spettatrice appassionata di musica d’autore, aveva partecipato a diverse edizioni passate, sia per la storia e l’importanza di questo premio nato nel 1974 per omaggiare il talento di Luigi Tenco (scomparso tragicamente il 27 gennaio 1967), sia per la presenza di una serie di importanti artisti invitati a prendere parte alla rassegna che quest’anno rendeva omaggio a grandi autori internazionali. Claudia Crabuzza, infatti, si esibirà come ospite d’eccezione (accompagnata da una formazione residente e insieme al cantautore catalano Enric Hernaez) in cartellone con artisti del calibro di Vinicio Capossela, Eugenio Finardi, Pierpaolo Capovilla, Dente, Brunori Sas, Paola Turci, Dioda- to, Chiara Civello, Alessio Lega, Têtes de Bois e tanti altri. La partecipazione al Tenco rappresenta un importante riconoscimento per la cantante algherese co-fondatrice del gruppo dei Chichimeca, giunta a questo traguardo dopo un lungo e significativo percorso artistico iniziato nel lontano 1982, quando aveva solo 7 anni e già cantava nel coro Giovani Solisti di Alghero diretto dal maestro Paolo Ligia di Sassari, passando per il classico pianobar, attraverso poi l’esperienza formativa con i Tazenda (sua la voce per due stagioni dal 2000 al 2001), sino alla realizzazione di un progetto personale e unico come quello del gruppo dei Chichimeca, co-fondati nel 2000 e con all’attivo tre cd dal 2002 al 2012: Barbari, Luce-Nur e l’ultimo Cuore?. Altri riconoscimenti sono venuti dalla realizzazione di diversi progetti artistici dedicati a grandi autori sudamericani quali Victor Jara, Violeta Parra o Atahualpa Yupanqui, tra cui “Violeta Azul” (che gli è valso il Premio Maria Carta insieme alla chitarrista Caterina Fadda), e di importanti lavori discografici e documentaristici sulla valorizzazione della canzone in lingua algherese, come l’opera realizzata con l’autore algherese Claudio Gabriel Sanna “Un home del país”, dedicato alla fi- gura di Pino Piras, autore algherese al quale da alcuni anni dedica insieme ad alcune associazioni locali il concorso dedicato ai nuovi autori in lingua minoritaria. E proprio con una canzone dell’autore scomparso nel 1989, Qui triste que és la tarde, nel 2012 si è aggiudicata a Udine, insieme a Claudio Gabriel Sanna, il “Suns”, premio europeo della canzone in lingua minoritaria. Attualmente Claudia si divide, sempre con coerenza etica e rispetto dei diritti umani e della natura, fra gli impegni musicali (l’ultimo progetto che l’ha vista impegnata in studio è stato la registrazione di un brano di Lou Reed per una antologia con diversi interpreti che ha contribuito ad aprire definitivamente la strada del Premio Tenco), il lavoro a tempo pieno di mamma (ha dato alla luce tre bellissimi bambini), e la passione per la buona tavola a “lL Botteghina”, una piccola enogastronomia aperta ad Alghero diversi anni fa, dove gli ingredienti sono sempre quelli dell’originalità e della vicinanza alle diversità attraverso pranzi e cene di piatti cucinati solo con prodotti locali, da lavorazioni artigianali del nostro territorio o del commercio Equo e Solidale e con l’utilizzo di prodotti ecologici e biodegradabili. PUNKILLONIS Eclissi 2014 - Pick UP Records/Bella Casa Music/Punkillonis Genere: post-punk/garage Aspettavamo con una certa curiosità Eclissi, il terzo lavoro discografico dei Punkillonis. Tra post-punk e garage, il nuovo lavoro della band sarda è un pugno allo stomaco, una fotografia spietata e senza veli della nostra epoca. Registrato e mixato presso il Golia Recording Studio di Assemini (Cagliari) da Fabrizio Atzeni e dagli stessi Punkillonis, Eclissi è il terzo album ufficiale della band sarda, uscito il 9 settembre 2014 per Pick Up Records/Bella Casa Music/Punkillonis. Il disco prosegue il percorso iniziato con i precedenti Eternit (Autoprodotto, 2006) ed Eurasia (La Grande Onda/Bella Casa Music, 2009), sviluppandolo ulteriormente. Si va dal post-punk al garage, fino ad avvicinarsi alla componente poetica e a tratti melodica dei grandi cantautori italiani. A livello sonoro Eclissi è un disco aggressivo, più contemporaneo e maturo rispetto ai lavori precedenti della band. Nel lavoro del quintetto sardo il nuovo millennio è prepotentemente presente: lo si sente dalla ruvidità del suono e dal peso delle parole, come a voler rimarcare che non c’è tempo da perdere, che tutto questo caos ha bisogno di ordine, di una soluzione che ristabilisca l’equilibrio e di uomini coraggiosi, purtroppo sempre più rari e celati da una massa informe ignara e impotente. Allo stesso tempo nel disco dei Punkillonis risuona l’eco degli anni ‘80, punto di riferimento importante per la band, se non altro per la purezza e la semplicità delle armonie e la schiettezza dei testi. Abbiamo incontrato Igor “Stravy Paz” Lampis, chitarrista e autore della band. Come mai sono passati ben cinque anni dal precedente disco, Eurasia? Il vantaggio di essere prodotti da una piccola etichetta indipendente è anche quello di non dover sfornare dischi per sole ragioni economiche. Considerando poi il fatto che il mercato discografico è in forte crisi, non avrebbe senso stamparli a distanza ravvicinata. Nel nostro caso ci sono voluti cinque anni per riuscire a mettere in musica quello che Il disco non è certamente di facilissimo ascolto, però farà contenti gli estimatori del post-punk e del garage: è questa la nuova via musicale dei Punkillonis? Non abbiamo mai fatto niente per compiacere il pubblico e abbiamo sempre evitato come la peste ogni tipo di etichetta che ci è stata affibbiata per semplificare un discorso molto più ampio. Questo spesso è stato controproducente, ma noi siamo fatti così. Diffidiamo di chi dice che non ascolta quel genere o quell’altro per scelta: non la riteniamo una mossa intelligente. Se mi piace una cosa l’ascolto a prescindere dall’etichetta, poi è logico che ognuno di noi ha delle preferenze. Io amo il punk, il noise e un certo tipo di cantautorato italiano, ad esempio. Chi ci segue sa che siamo puri, che facciamo ciò che ci sentiamo di fare, e ci segue perché si trova sulla nostra stessa frequenza, ossia rifiutare di appartenere a una massa informe che non ragiona più con la propria testa. Tornado ai generi, in fin dei conti, già dal periodo di Eternit, per gusto puramente personale, abbiamo sempre avuto una vena garage e post-punk, che con Eurasia è diventata più rock; ora abbiamo messo insieme il tutto e ne è venuto fuori Eclissi: un disco dai suoni duri, ma comunque carico di melodia, forse anche più dei dischi precedenti. Progetti futuri per la band? Ora ci concentriamo sulla promozione di Eclissi. Ci ha richiesto cinque anni di lavoro: non possiamo che impiegare tutte le nostre energie su questo disco, che di fatto lo è nel vero senso della parola perché, oltre a essere uscito nel classico formato CD, è stato stampato anche in vinile, cosa di cui andiamo molto fieri. Stiamo organizzando un po’ di date in Italia e all’estero e questo richiede grossi sforzi. Si sa, fare musica in Sardegna non è facile, ma la passione ci porta a superare ogni ostacolo. Speriamo di continuare per molto tempo ancora. Che il Pazuzu sia con noi! [Pierpaolo Fadda] 57 57 Parlami di Eclissi: è il disco della maturità per i Punkillonis? Rispetto ai precedenti sì, ma non nella sostanza, quanto nella forma! Se prima c’era qualcuno che poteva azzardarsi a dire che i Punkillonis non sanno suonare (tra l’altro solo perché il nome richiama il punk, e nella credenza popolare chi suona punk non sa suonare) dovrà sicuramente ricredersi perché questo disco spacca di brutto, e non siamo solo noi a dirlo! Per quanto riguarda i testi, sono solo più diretti e l’ironia, che non manca mai nei nostri pezzi, forse è più velata e richiede sicuramente una maggiore attenzione all’ascolto, ma il succo è lo stesso. Noi non raccontiamo storie: facciamo fotografie che possono infastidire, ma questo è il nostro modo di comunicare; tutto il resto non ci interessa. Fuggiamo dall’applauso facile: ci vorrebbe poco per averlo, ma non ci darebbe l’energia che serve sul palco e per andare avanti. avevamo da dire. Noi non abbiamo forzato la cosa e abbiamo fatto bene! ANTAS ANTAS foto di Francesco Veroni recensione dischi 4 NOTE IN LIBERTÀ con i Punkillonis recensione dischi AKYTERA ANTAS 58 Akytera 2014 – Autoprodotto Genere: progressive sperim. funk/ metal Dare una definizione precisa senza limitare ciò che questa band vuole rappresentare non è semplice. Gli AKYTERA nascono a Ittiri nel 2012 e sono Enrico Salvatore Porcheddu (voce), Luigi Cau (chitarra), Alessandro Galia e Daniele Manca alla sezione ritmica (basso e batteria). Da allora lavorano come un’unica mente alla creazione di melodie che riescono a toccare anche nello spazio di un unico brano generi come il progressive per poi sfociare in uno sfogo di puro metal che ricade successivamente in un funk più leggero. Un esperimento perfettamente riuscito la ricerca di inserire effetti che vanno sempre ad accompagnare l’ascolto come in un viaggio attraverso mondi apparentemente sconosciuti ma dall’aria familiare, che rassicurano l’ascoltatore attraverso note che rispecchiano la realtà del mondo vissuto a cui si fa costantemente riferimento. I temi trattati appunto riprendono spesso le problematiche della società attuale, dalla violenza sulle donne alla pedofilia, ma introducono un prepotente e insistente richiamo anche al mondo della letteratura “di spessore” come un invito alla cultura e alla conoscenza intese come bagaglio personale di cui poi ognuno trae la propria interpretazione. Si ritrovano infatti molti richiami e vere e proprie citazioni di opere di scrittori del calibro di Ungaretti, Tolstoj o Baudelaire. L’introduzione di Demagogia per esempio è tratta da “Guerra e Pace”, magistralmente interpretata da Enrico, la voce degli AKYTERA che apporta alla band la sua esperienza teatrale. L’intento è sempre quello di dare spunti di riflessione importanti, insinuare dubbi su situazioni scontate e dare l’input a trovare diverse chiavi di lettura della società attuale. I brani che ritroviamo in questo primo album dall’omonimo titolo sono sette. Uno tra i brani più rappresentativi è probabilmente Gaia dove si può proprio toccare con mano la sensazione di viaggiare attraverso diversi generi nell’arco di uno spazio così ridotto senza restare mai delusi del viaggio ma semplicemente affascinati dalla sapiente miscela di note e stili non facilmente accumunabili ma sapientemente amalgamati. Mary Manghina ELVA LUTZA RENAT SETTE Amada 2014 – Autoprodotto Genere: world music Sarete sorpresi, affascinati e convinti da questo disco (Amada) che vede per la prima volta riuniti il duo sardo Elva Lutza (Nico Casu e Gianluca Dessì autori di un bellissimo disco d’esordio che ha catalizzato l’interesse della critica nazionale e internazionale) e il cantante provenzale Renat Sette. Sorpresi dalla ricchezza dei repertori musicali provenzale e sardo, due culture forti, ancora intatte, che toccano l’anima nel profondo. Affascinati dall’originalità della proposta, che mescola il canto tradizionale e l’improvvisazione jazzistica, dà un volto nuovo all’immaginario mediterraneo e smonta gli stereotipi che le musiche tradizionali spesso portano con sé. Convinti che un’opera artistica possa essere insieme fuori dal tempo ma del tutto contemporanea, minoritaria e universale e collocarsi al confine fra i margini e la popolarità. In questo senso, il lavoro scaturito dalla collaborazione fra questi tre traghettatori, regala un nuovo respiro alle musiche della tradizione, si pone come un atto di resistenza alla standardizzazione delle musiche mediterranee e apre una porta per la conoscenza e il riconoscimento delle culture sarda e provenzale. Amada comprende un compendio di questi repertori; brani sacri, sardi e occitani, canti di scherno, ballate di guerra e d’amore, l’omaggio a Maria Carta nel ventennale della morte con Maire Nostra (Ave Mama ‘e Deu), la citazione della Corsicana in “A la Guerra”, la serenata di Amada Gioventude. Fra gli ospiti del disco la cantante catalana Ester Formosa e il dub-producer Frantziscu Medda “Arrogalla” che ha arricchito il mélange strumentale Redazionale Antas L’ARMERIA DEI BRIGANTI Il complesso di R. 2013 – L’osteria sonora Genere: Jazz Manouche - Gypsy Swing Ascolto il nuovo disco della band cagliaritana L’Armeria dei Briganti e il pensiero corre veloce al Jazz Manouche e al geniale Django Reinhardt, ma sarebbe davvero limitativo fermarsi alle prime impressioni. Il complesso di R. è in realtà una caleidoscopica miscela di generi musicali: lo swing anni ‘30 certo, l’eclettismo tzigano, una chiara passione per la canzone francese e una venatura rock, ma soprattutto quella forma-canzone che varca i confini della musica e diventa teatro: piccole tragedie personali oppure affreschi geniali che raccontano storie di tutti i giorni con uno stile unico e inimitabile. L’ironia è dosata con sapienza dalla band che possiede buon gusto e una grande raffinatezza negli arrangiamenti, curati nei minimi dettagli. I membri del gruppo si mostrano originali e scanzonati fin dalle presentazioni nella loro pagina ufficiale: “L’Armeria dei Briganti è una band di sette elementi che suona, globalmente, 32 corde, 3 pelli e 2 piatti. E poi canta”. Ed eccoli i sette elementi: Renzo Cugis (Voce e Chitarra), Samuele Dessì (Chitarra e Voce), Andrea Murru (Chitarra, Mandolino e Voce), Stefano Piras (Chitarra, Ukulele e Voce), Andrea Lai (Contrabbasso e Voce), Diego Deiana (Violino e Fisarmonica), Mario Marino (Batteria). Ma torniamo al disco: tredici tracce ricche d’ispirazione, senza cedimenti, un singolo molto bello (Quando ti sei sposata), mentre l’apice della creatività (almeno per quanto mi riguarda) viene raggiunto con la stupenda L’uomo montato al contrario che vede la partecipazione del maestro Celso Valli, raffinato pianista. Una song intensa, arrichita dalla bella voce della cantante cagliaritana Chiara Figus. Disco caldamente consigliato e una raccomandazione finale: ascoltate dal vivo l’Armeria dei Briganti. Siamo certi che non ve ne pentirete! Pierpaolo Fadda Cause and effect Denovali Recorsd - 2013 Genere: Elettronica, Ambient, jazz Diciamo subito che registrare per la tedesca Denovali è già una garanzia. Da alcuni anni questa etichetta sta riuscendo a dare voce alle correnti più intime e nascoste della musica contemporanea. In catalogo troverete jazz obliquo, ambient, elettronica, minimalismo, distopie dance e altre facezie di questo genere. Saffronkeira e il nome d’arte di Eugenio Caria che già nel recente passato aveva pubblicato il bellissimo doppio album A New Life per la stessa etichetta: un lungo viaggio tra elettronica esoterica, suggestioni space ereditate in modo inconscio dai nuovi corrieri cosmici tedeschi e sguardo comunque rivolto al futuro. L’incontro tra Saffronkeira e Mario Massa, trombettista jazz di lungo corso molto attento al coté più intimo e nascosto della musica (tra Jon Hassell e Don Cherry), è stato quasi inevitabile. Lo stesso Massa ha sempre flirtato con le correnti elettroniche più avanguardiste e trovarsi di fronte a forze nuove peraltro provenienti dalla stessa isola è stato un dono del cielo. La confezione è quella tipica della Denovali che cura nei minimi dettagli anche l’aspetto visual con copertine scure solcate da immagini indefinibili, frammenti di sogno e scorie di grafica postindustriale curate da Thomas Hack. La Denovali consiglia l’ascolto di Cause and Effect agli amanti di personaggi come Murcof, Erik Truffaz, Max Richter, Nils Peter Molvaer, Toshinori Kondo, DJ Krush. Mica male come programma e il suono del CD è proprio figlio legittimo di queste esperienze ultramoderne come sintetizza il bugiardino che accompagna l’album: “L’elettronica di Saffronkeira e la tromba di Mario Massa creano un panorama musicale che si muove tra caldi suoni ambient e brani alquanto astratti, tra inni emozionali e minacciose tempeste sonore”. Insomma una produzione che ben rispecchia l’universo musicale contemporaneo fatto di produzioni locali ma perfettamente condivisibili su scala planetaria. Un disco che travalica l’anagrafe, le singole esperienze, i generi e che regala paesaggi sempre diverse anche dopo ripetuti ascolti. Claudio Loi MASSIMO SPANU RURAL ELECTRIFICATION ORCHESTRA The Sleepwalker Improvvisatore Involontario- 2013 Genere: Jazz moderno per piccola orchestra a km 0 La Rural Electrification Orchestra è un large ensemble composto da nove elementi diretti e coordinati dal contrabbassista Massimo Maso Spano. Ci avevano lasciati Col fiato sospeso, il loro primo album, delizioso pastiche di jazz moderno, hard bop, electrojazz e, soprattutto, energia e potenza mitigata da arrangiamenti sapienti e temi che si fanno ricordare, come quando torna la luce dopo un blackout. Massimo Maso Spano sta compiendo un piccolo miracolo italiano fatto di fatica, genialità e tanta costanza. Gestire un gruppo di nove elementi non dev’essere tanto facile, soprattutto in questi tempi, in cui sembra che l’arte e la cultura siano quanto di più superfluo possa esistere. Ben venga, quindi, questa orchestra, a ricordarci che la vita è fatta anche di sentimenti, di speranze, di idee. L’artista è un sonnambulo che vive quando gli altri dormono, che ci scuote con la sua testarda volontà di superare i limiti fisici dell’esistenza e quest’album è il manifesto programmatico di un’estetica che parte dal basso per arrivare a risultati incredibili. Oltre al leader, l’orchestra di Maso Spano raccoglie nel suo silos artisti affermati e giovani promesse del nostro jazz: Matteo Marongiu al secondo contrabbasso, Maurizio Piasotti alla tromba, Marcello Carro, Alessandro Angiolini, Francesco Sangiovanni e Maurizio Floris ai sax di varia natura, Elia Casu alle chitarre, Roberto Migoni alla batteria. Per chi segue il jazz di casa nostra si capisce che si tratta di braccianti affidabili ed esperti e vederli al lavoro è appagante. Proprio dal vivo l’orchestra dà il meglio (spesso con l’aggiunta di altri giornalieri), proponendo in scaletta brani scelti dai due album. Per quanto riguarda il disco, troviamo dieci composizioni originali in cui è difficile trovare punti deboli e so per certo che Spano ha già pronte altre tracce per successivi lavori. Il suo è un piano quinquennale che prevede non solo l’elettrificazione delle campagne, ma un costante lavoro di persuasione e convincimento tramite il jazz. Charlie Haden, il grande contrabbassista recentemente scomparso citato nei ringraziamenti, sarebbe fiero del suo allievo. Claudio Loi 59 Musica per scomparire. Più che la scomparsa, le prime note di questo disco richiamano una nuova nascita. Come un fiore che schiude a poco a poco i propri petali, la prima traccia Ultramarine materializza gradualmente davanti all’ascoltatore un mondo sonoro complesso, estremamente sfaccettato, che accompagnerà l’intero ascolto dell’opera. Difficile pensare che dietro la scrittura e la registrazione di queste dodici tracce, edite dall’etichetta tedesca Idealmusik nel 2012, si celi un solo compositore e musicista. Eppure ad aver composto tutte le musiche, ad aver suonato chitarre, basso, piano, organo, sintetizzatori, percussioni e drum machine, è solo il giovane Perry Frank, all’anagrafe Francesco Nicola Perra, musicista iglesiente già impegnato in diverse formazioni rock, che, dopo essersi fatto notare per alcuni demo che ben focalizzavano l’attenzione sulle sue doti compositive, ha esordito come solista sulla lunga distanza proprio con questo Music to disappear. Un lavoro di scrittura musicale fine ma allo stesso tempo audace, che affonda le proprie radici nella ambient music, soprattutto quella di fine anni ’80, ma che si lascia permeare delle influenze più disparate, in un gioco di continuo rinnovamento e giustapposizione di elementi melodici e ritmici di diversa natura. Ottimo l’uso delle dinamiche (Candlelight è un ottimo esempio in questo senso): Francesco si diverte a costruire piccoli mondi di durata variabile fra i due e i cinque minuti, veri e propri soundscaping, dove sembra che il musicista voglia instilli nei brani dei precisi stati d’animo, dei mood che spesso mutano all’interno di uno stesso pezzo, quasi umanizzandolo, dotandolo di una parabola di vita propria. Sarà anche per questo che il disco è circolato ampiamente nel sottobosco underground europeo, fatto sta che Perry Frank ormai gode di un discreto successo, soprattutto (come accade spesso con questo genere di produzioni) fuori dallo stivale (A Music to disappear ha fatto seguito un Ep nel 2013, The Neptune Sessions, per l’autunno 2014 è invece programmata l’uscita di un nuovo full lenght). Un talento tutto sardo da ascoltare con concentrazione, da assaporare in ogni sua più piccola sfumatura. Diego Pani SAFFRONKEIRA + MARIO MASSA ANTAS PERRY FRANK Music to disappear Idealmusik Label - 2012 Genere: Ambient music Anno 2012 0111 Edizioni EURO 16,00 Giovanni Davide Piras è nato nel 1981 a Oristano e risiede da sempre a Terralba. Ha mosso i suoi primi passi nella scrittura come allievo dello scrittore e sceneggiatore Bepi Vigna. Nel 2013 il suo racconto “Sogno infinito” è stato tra i finalisti del concorso letterario “CartaBianca” ed è stato poi pubblicato da Taphros editore nel volume Il cla- Il giovane scrittore terralbese ha deciso di ambientare il suo primo romanzo a Montevecchio, precisamente nel periodo storico che va dalla Prima alla Seconda Guerra Mondiale. Sin dalle prime pagine abbiamo l’impressione di immergerci totalmente in quel particolare periodo storico, grazie alla capacità dell’autore di descrivere con maestria vicende, paesaggi e personaggi. È stato definito un romanzo corale e verista: l’intreccio è caratterizzato dal susseguirsi di vicissitudini legate ai numerosi personaggi coinvolti nel racconto e le ambientazioni in miniera ricordano quelle verghiane di Rosso Malpelo. La potente famiglia Minghetti, il maresciallo Troise e la sua bella figlia Ginevra, con i tanti lavoratori della miniera e le loro tragedie, le sofferenze, i soprusi, le lotte e gli amori, ci permettono di rivivere e conoscere ancor meglio un pezzo importante della storia della nostra isola. Per capire se una forma di riscatto è davvero possibile dobbiamo attendere pazientemente le ultime pagine, e lasciarci sorprendere da un finale per niente scontato. (Deborah Succa) A COLAZIONE CON... GIOVANNI DAVIDE PIRAS sente nella mia bacheca (ride). Forse sono nato con il gene della scrittura. Cosa rappresenta la scrittura per te? Scrivere per me significa comunicare, esternare quello che sento cercando di farlo arrivare agli altri. Eppure, nonostante poi un libro diventi proprietà comune nel momento della pubblicazione, per me resta intimo. Quando il mondo reale mi delude mi rifugio nella scrittura a dialogare con i miei personaggi, che non mi tradiscono mai. La cosa più bella è riuscire a regalare un po’ delle mie stesse emozioni ai lettori. Questo per me è scrivere! ANTAS ANTAS 60 Personaggi e trama complessi e luoghi accuratamente dettagliati. Quanto tempo ha richiesto la stesura di Petali di Piombo? Dietro ogni romanzo che prende spunto da avvenimenti e luoghi realmente esistiti c’è sempre alle spalle un durissimo lavoro di ricerca. Ho dovuto scandagliare con molta cura il periodo minerario a cavallo della Seconda Guerra Mondiale. Ho anche avuto la possibilità di intervistare qualcuno degli ultimi minatori sopravvissuti. Tra stesura, revisioni ed editing siamo intorno ai tre anni di lavoro. Potrebbe sembrare tanto ma, considerando che la scrittura mi è possibile solo nei ritagli di tempo libero, poteva andare peggio. Come ti sei avvicinato al mondo della scrittura? Non saprei dirlo di preciso. Da bambino adoravo quando i miei genitori o i nonni mi raccontavano le fiabe. Nella calza della Befana preferivo fumetti e libri più che dolci, e per Natale chiedevo sempre audiocassette con incisi dei racconti da ascoltare nel mangianastri. Dopo aver letto Padre padrone di Gavino Ledda, all’età di nove anni, scrissi il mio primo racconto, intitolato “Viaggio nel sottosuolo”. Alla maestra piacque così tanto che lo inviò a un concorso. Vinse. Quel Premio letterario è ancora l’unico pre- Stai lavorando ad altri progetti? Dopo Petali di piombo ho già concluso altri due romanzi e un terzo è in dirittura d’arrivo. Il mio agente letterario sta lavorando per riuscire a cedere i diritti a qualche editore. Purtroppo l’ottimo riscontro di lettori e critica verso il mio esordio non è garanzia di nulla: ogni romanzo fa storia a sé ed essere pubblicati, oggi, è molto difficile perché ci sono tanti autori di talento. Comunque sono fiducioso, incrociamo le dita! (Deborah Succa) recensioni libri GIOVANNI DAVIDE PIRAS Petali di piombo vicembalo ben temperato. Ha collaborato come articolista con il sito informativo “Bell’Italia for you”. Il romanzo Petali di Piombo, edito dalla “0111 edizioni”, è la sua opera d’esordio. A 45 anni Belisa si trasferisce dalla Sardegna a Madrid con marito, figli e una situazione lavorativa soddisfacente. Si ritrova a fare i conti con ormoni impazziti e riscopre il suo corpo, il desiderio e una pressante esigenza di sperimentare con l’eros. Lo fa chattando, con incontri al buio, facendo sesso virtuale con sconosciuti e incontrando donne disponibili a nuove sensazioni erotiche. Lisa Elisa racconta la libertà sessuale di una donna matura con la libertà narrativa e leggera di chi non possiede pregiudizi e di chi si è ELVIRA SERRA L’altra Anno 2014 pp. 135 Mondadori - Strade Blu EURO 16,00 La storia de l’Altra, l’amante, e Darcy, l’uomo perfetto imperfettamente coniugato con prole. Cronaca spietata di un amore straordinario, seppure non convenzionale, tratteggiato con una scrittura elegante, asciugata di ogni ridondanza inutile; sono i sentimenti i protagonisti della storia, La storia stessa. Quella di un’amante, appunto, figura tanto vituperata cui l’autrice nuorese restituisce corpo e soprattutto ALESSANDRO CATTE I miei canti. Storia e spartiti della coralità di scuola nuorese Anno 2014 Edizioni Il maestrale EURO 24,90 È uscito a Settembre l’attesissimo libro del cantante, compositore e direttore di coro nuorese Alessandro Catte intitolato I miei canti. Storia e spartiti della coralità di scuola nuorese. Riportiamo le note della breve presentazione in retrocopertina curata dalla casa editrice il Maestrale di Nuoro. Erede e attuale esponente della coralità sarda di scuola nuorese, Alessandro Catte ne ricostruisce in questo libro le vicende ufficiali emozioni, sentimenti puri, che la rendono apprezzabile anche agli occhi di mogli d’acciaio. Perché l’amore se autentico non ha padrone, e non si può circoscrivere all’interno di un cerchio d’oro. Non si imbriglia nel tulle di un abito bianco, ma vola alto, oltre le convenzioni degli uomini. L’amante vive una storia travagliata di cui nessuno si cura, pronto con l’indice puntato sul suo presunto marchio d’infamia, quello della “rubamariti”, come se un marito fosse una sorta di proprietà da poter sottrarre col favore delle tenebre. Eppure è lei, l’amante, la più fragile nella spietata matematica dei sentimenti; lei quella delle rinunce, delle mezze festività, delle attese tradite. Lei quella confinata nell’ombra in favore di chi il ruolo ufficiale di compagna se lo è meritato sul sagrato di una Chiesa. L’Altra di Elvira Serra non fa sconti, a nessuno; è la storia di una donna che conosce il suo posto nella società, i suoi limiti, e nelle sue tante fragilità dimostra tutta la bellezza sfaccettata e potente dell’essere Donna. Donna, esatto: con la d maiuscola. (Valentina Cebeni) e quelle sotterranee, passando in rassegna i protagonisti (voci, compositori, musicisti, poeti) di questo nuovo corso della polifonia sarda iniziato negli anni ‘50 del Novecento, esemplificandolo con corredo di spartiti attraverso i brani più celebri: da A s’andira a Sa Còzzula, da Deus ti salvet Maria a Su perdonu, da Adios Nugoro amada a Non potho reposare. Un percorso collettivo e personale insieme, dove il “miei” del titolo abbraccia il senso d’appartenenza ai “canti” tradizionali e l’invenzione da parte di Catte di “canti” nuovi, prosecuzione e rigenerazione di quelli tradizionali. I miei canti è un libro versatile: racconto storico, memoria; utile al semplice curioso, al cultore e al professionista della coralità che trova qui un repertorio di ben 50 partiture. Corredano il volume immagini che ritraggono luoghi e volti di questa avventura moderna ma ormai storica nella musica vocale sarda. Il libro, le cui prefazioni sono curate da Marco Lutzu e Bepi De Marzi, si arricchisce di un’appendice: “Quell’Ave Maria”, dedicata all’indimenticabile Maria Antonietta Chironi. Il volume sarà presentato sabato 11 ottobre 2014 presso il teatro Centro polifunzionale in Via Roma a Nuoro. (red.Antas) 61 Anno 2013 pp. 154 Happy Hour Edizioni Milano EURO 12,50 lasciata indietro le rivendicazioni femministe senza rinnegarle. La trama del racconto corre veloce e senza sdolcinature, spesso tipiche del genere, e trova il culmine in un epilogo tanto sorprendente quanto tragico. Fa da sfondo una Madrid vitale, colta e ricca d’occasioni stimolanti: dalle conferenze su Octavio Paz nella “Casa de America” al pornoshop per donne “Los placeres de Lola”, luogo accogliente e gradevole nel quartiere multietnico di Lavapiés. Lisa Elisa usa con sapienza lo stile contratto del linguaggio in chat. Ci sono passaggi esilaranti, come quello sui pornoannunci che è un piccolo capolavoro di riflessione linguistica. Una loro importanza trovano anche le citazioni di canzoni che aiutano ad immaginare la provenienza culturale e la formazione politica della protagonista. Lisa Elisa non è il nome dell’autrice, che ha preferito firmare con uno pseudonimo questo suo primo romanzo, in cui “si parla di sesso come si fa a volte tra amiche….” Amiche di Lisa, infatti, sono anche “le guardie del corpo” che presentano il libro in una sorta di reading scoppiettante che difende l’identità della scrittrice. La casa editrice di Milano Happy Hour pubblica per scelta (coraggiosa di questi tempi) “storie vere che sembrano inventate e storie inventate che sembran vere”. Inserendo tra i suoi titoli Dodici chicchi d’uva Happy Hour ha fatto volare, con un nome inventato, una scrittrice vera. (Valeria Patanè) ANTAS ANTAS LISA ELISA Dodici chicchi d’uva CRISTIAN DESSENA Francesco Demuro: l’amico con la “A” maiuscola S’annu 2013 pp. 207 Euro 15,00 A iscrìere una biografia de Frantzischinu Demuro podet pàrrere una cosa mai cantu fàtzile. Non bi cheret fantàsia meda pro la presentare comente una paristòria ispantosa: sa de unu pitzinnu cun sa boghe divina chi, galu minore, conchistat sas chimas de su su cantu sardu logudoresu pro non si firmare prus, faghendesi onore comente tenore in sos prus importantes teatros de sa lirica internatzionale. Ma sa chi proponet Crìstian Dessena no est una biografia. Est unu contu chi tocat su coro, unu contu de amistade e sentidos in ue leant tretu sos ùrtimos 30 annos de istòria de su “càntigu a TRADUZIONE - Scrivere una biografia di Franceschino Demuro può sembrare qualcosa di fin troppo facile. Non occorre grande fantasia per presentarla come una favola straordinaria: quella di un bimbo dalla voce divina che, giovanissimo, conquista le vette del canto sardo logudorese per poi non fermarsi più, esibendosi come tenore sui più importanti palcoscenici della lirica internazionale. Ma quella proposta da Cristian Dessena non è una biografia: è un racconto commovente di amicizia e sentimenti dove trovano spazio gli ultimi trent’anni di storia del “cantu a chiterra”. Vi si colgono tutte le sensazioni di chi questo mondo lo conosce bene perché lo ha vissuto dall’interno, con le prime timidezze, la paura di sbagliare sul palco, le emozioni, l’ammirazione per i maestri e soprattutto per il suo idolo e grande amico. C’è spazio anche per i ricordi dei primi amori, tutto filtrato attraverso LUCA MASTINU Damnatio ANTAS ANTAS 6262 Anno 2013 pp. 212 Sillabe di Sale EURO 15,00 Questo romanzo vi tormenterà. Mettete insieme un passionevole canto di Maria Callas nella sua celebre interpretazione della Casta Diva di Bellini, una tragica scia di sangue, un pizzico di sacro eccellentemente inserito come dominante e un concetto di bellezza che solo un uomo ispirato può disegnare senza sbavature: Damnatio è tutto questo. Le pagine del libro - presentato lo scorso giugno a Milano dallo scrittore e presentatore televisivo Andrea Pinketts, letteralmente folgorato dall’opera di Mastinu Custa la leghimus in sardu chiterra”. Si b’agatant totu sas sensatziones de chie connoschet bene custu mundu ca l’at vìvidu dae intro, cun sas primas timidesas, sa timòria de faddire in subra de su palcu, sas emotziones e s’ammiratzione pro sos mastros e, mescamente, pro s’ìdolu sou e amigu mannu. B’at logu finas pro sos ammentos de sos primos amores, totu ammaniadu pro mèdiu de sa mirada de unu pitzinneddu de Orosei, chi creschet in una famìlia in ue su talentu pro sa mùsica est iscritu in su dna. Su babbu Pietrinu, amantiosu mannu de custu genere traditzionale, trasmitit a sos fìgios sa passione sua. Su primu frade, Claudio, mastru de chiterra clàssica, est puru unu professionista de sa fisarmònica. Su segundu, Franco, est unu cantadore chircadu in totue in s’Ìsula. E isse, Crìstian, est unu bravu pianista conchitostu chi s’agatat a fàghere sos contos cun sas disauras de su destinu. Una sorte chi, si dae un’ala paret generosa pro sa bundàntzia de sas capatzidades, dae s’àtera fàghet pagare su contu cun s’iscoberta de una maladia fea. Ma un’amistade sintzera e sos afetos familiares sunt sa mègius meighina. Su testu est bene iscritu e curret bellu che abba de riu. Sos balàngios chi s’ant a otènnere dae sos libros ant a andare in benefitzèntzia a su tzentru Aias de Orosei. lo sguardo di un ragazzino di Orosei che cresce in una famiglia dove il talento per la musica è scritto nel dna. Il padre Pietrino, grande cultore di questo genere tradizionale, trasmette ai figli la sua passione. Il primo fratello, Claudio, maestro di chitarra classica, è anche un professionista della fisarmonica. Il secondo, Franco, è un “cantadore” apprezzato in tutta l’Isola. E lui, Cristian, è un ottimo pianista dal carattere ostinato che si ritrova a fare i conti con le dure avversità del destino. Una sorte che, se da un lato sembra generosa per elargizione di attitudini, dall’altra presenta il conto con la scoperta di una terribile malattia. Ma una vera amicizia e gli affetti familiari sono la migliore medicina. Il testo è scorrevole, spontaneo e ben scritto e i proventi delle vendite del libro saranno devoluti in beneficienza al Centro Aias di Orosei. (Salvatore Taras) alla recente Fiera del Libro di Torino - scorrono come i fotogrammi di un film. Tutto si apre con la trascrizione di un documento originale: una conversazione radio datata 1977 in cui un anonimo spettatore annuncia in diretta di aver assistito a un massacro consumatosi in una villa. Da quel momento conoscerete la protagonista, Rebecca Ariete, e verrete catapultati nei fatti del 1976. Ex adepta dei Non Serviam, spietata setta satanica, Rebecca decide di abbandonarne le fila e condurre una vita dignitosa per continuare ad amare la propria figlia, Gemma. La sinistra fratellanza uccide la bambina davanti ai suoi occhi. Seguirà una vendetta senza precedenti e dal sapore teatrale, grazie al lessico tagliente di Rebecca, che si batterà per stanare ogni singolo membro della setta. Non vi ritroverete con un normale intreccio sviluppato in terza persona: la cornice sarà un’intervista. Sì, perché tutto viene raccontato nei giorni nostri a una giornalista intraprendente, Carol Violante, dalla stessa Rebecca, oramai anziana e non vedente, agli arresti domiciliari e con un nuovo nome: Italia. Luca Mastinu, originario di Silanus, è anche autore di Più forte del mondo, romanzo semifinalista nel Concorso Letterario RAI «La Giara» 2012. (Redazionale Antas) fANTAStiche emozioni Le grandi firme scrivono per noi Ghita Stefania Montalto Giornalista, Scrittrice, Critico Cinematografico. Scrive per News Cinema Rivista. JIMI HENDRIX È stato presentato Jimi: All Is By My Side, un film di John Ridley che racconta la storia del grande chitarrista averle fatte vivere in ogni modo possibile, attraverso qualsiasi parte del suo corpo, quasi fosse un vero e proprio amplesso con una donna. Jimi, che a Woodstock, dinanzi al mondo intero, ebbe il coraggio spudorato di reinterpretare e distorcere, provocatoriamente, The Star-Spangled Banner, l’inno degli Stati Uniti, considerato dagli americani come un vero e proprio inno sacro e in quanto tale intoccabile e inviolabile. Durante la realizzazione del film Ridley non ebbe, però, vita facile: gli eredi di Hendrix, infatti, pare gli abbiano impedito di accedere al repertorio musicale originale del musicista di Seattle. Questo spiega il perché manchino totalmente, all’interno del film, filmati e brani originali. Tra i critici c’è chi, invece, gli ha rimproverato di non essere stato in grado di riprodurre la vera magia di Hendrix, la più nota, l’Hendrix di Woodstock, di Voodoo Child e di Monterey, che suona la sua Stratocaster bianca ad occhi chiusi, completamente immerso nel suono del suo blues, come se fosse in un totale stato di trance. L’intento del regista, però, era un altro. Ridley, infatti, segue una strada diversa, non convenzionale, realizzando un biopic che mette in luce una parte fondamentale della vita di Jimi. Un anno cruciale che precede quelli che lo hanno visto diventare poi una vera e propria leggenda, affermandolo nella scena musicale della Swinging London per poi farlo approdare sul palco di Monterey, con un concerto storico ed indimenticabile, che lo ha definitivamente consacrato, consegnandolo alla storia. Jimi aveva un grande sogno da realizzare: portare la sua musica verso orizzonti sconosciuti e crearne una che fosse quasi cosmica, ma si ritrovò invece con le ali spezzate e una morte prematura pronta ad accoglierlo a soli 27 anni. Era il 18 Settembre del 1970. Sono trascorsi 44 anni dal giorno della sua morte, quando venne ritrovato senza vita in circostanze poco chiare, ma la sua carriera artistica in realtà non si è mai conclusa davvero, perché lui e la sua musica rimarranno per sempre immortali. “Quando non ci sarò più non smettete di mettere su i miei dischi”. Ghita Stefania Montalto ANTAS È stato presentato in anteprima assoluta al Toronto International Film Festival, per poi aprire la decima edizione del Biografilm Festival tenutosi a Bologna lo scorso 6 Giugno. Jimi: All Is By My Side è un’opera coraggiosa, scritta e diretta da John Ridley, che ha recentemente vinto un Premio Oscar per la sceneggiatura del film 12 Anni Schiavo. Qui al suo esordio come regista, Ridley si cimenta per la prima volta nella realizzazione di un film che mai nessuno, prima di lui, aveva osato fare, raccontando la storia di uno dei più grandi miti della musica rock/ blues di tutti i tempi, Jimi Hendrix, focalizzando la sua attenzione sugli anni 1966 e 1967, che rappresentano il periodo che precede la nascita e la consacrazione del mito Hendrix. Sono gli anni in cui ha inizio, infatti, la sua carriera artistica, quando girava, ancora sconosciuto, per i locali di New York per far conoscere la sua musica, originale e a tratti geniale, come poi si rivelò anche lui nel breve arco della sua vita, durata solo ventisette anni, ma furono anni decisamente intensi, vissuti sempre al limite e con il piede costantemente premuto sull’acceleratore. Jimi: All Is By My Side mostra il lato più umano di Hendrix, le sue incertezze, le insicurezze, l’uomo più riservato, fragile e forse meno conosciuto. Un mito che rivive attraverso i gesti e le movenze di uno straordinario André Benjamin, rapper degli Outkast, in questo film perfettamente in grado di rendere omaggio ad un’icona della musica come Hendrix, mettendone in risalto la personalità folle, i tratti più intimi e le caratteristiche meno conosciute di un uomo timido, a tratti svagato, ma al tempo stesso determinato. È incredibile la somiglianza fisica che Benjamin ha con Hendrix in questo film, talmente perfetta da emozionare il pubblico con la sua performance impeccabile, ricercata e curata nei dettagli, risultando perfettamente convincente. Jimi, il mito per eccellenza, la leggenda del rock, colui che Rolling Stone mise al primo posto nella classifica dei migliori chitarristi di tutti i tempi. La mano sinistra di Dio, il folle che, in preda al blues, quasi ne fosse posseduto, bruciava e distruggeva sul palco le sue amate Stratocaster, dopo 63 foto di Wonder Pictures La nascita di un mito, tra blues e follia