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REGIME FISCALE DEI MINIBOND
RITENUTE, IMPOSTE SOSTITUTIVE E DEDUCIBILITÀ1
DOTT. GIOVANNI MERCANTI
1.
Regime fiscale connesso ai prestiti obbligazionari prima delle modifiche agevolative
Sino all’introduzione delle norme agevolative che hanno concorso a delineare l’attuale quadro di favore,
l’emissione di prestiti obbligazionari (in seguito anche “PO”) da parte di soggetti “normali” – diversi dai
c.d. grandi emittenti, vale a dire banche e società le cui azioni sono quotate in mercati regolamentati o
sistemi multilaterali di negoziazione – era soggetta a specifiche regole fiscali che costituivano altrettante
limitazioni alla diffusione di questi strumenti finanziari.
La prima limitazione all’emissione di PO derivante dalle regole fiscali incideva sulla fiscalità
dell’impresa emittente, limitando la deducibilità degli interessi passivi relativi al prestito obbligazionario
in deroga alle ordinarie regole previste dall’art. 96 del DPR 917/86 (in seguito “TUIR”).
Invero, per finalità evidentemente antielusive, una specifica norma introdotta nel 1995 – l’art. 3, c. 115,
L. 549/95, finanziaria 1996, ministro Visco – impediva di dedurre gli interessi passivi derivanti dal
prestito obbligazionario ove superiori a determinate soglie percentuali, variabili a seconda delle
modalità di collocamento dei titoli. In particolare, al fine precipuo di evitare arbitraggi fiscali tra capitale
proprio e capitale di rischio, la norma predetta disponeva che per le obbligazioni emesse “da società,
diverse dalle banche (…), il cui capitale è rappresentato da azioni non negoziate in mercati
regolamentati o da quote, gli interessi passivi sono deducibili a condizione che, al momento di
emissione, il tasso di rendimento effettivo non sia superiore: a) al doppio del tasso ufficiale di
riferimento, per le obbligazioni ed i titoli similari negoziati in mercati regolamentati degli Stati membri
UE o SEE white list oppure b) al tasso ufficiale di riferimento aumentato di due terzi, delle obbligazioni
e dei titoli similari diversi dai precedenti”.
Quindi, in deroga alle ordinarie regole di deducibilità degli interessi passivi, per i soli interessi connessi
ad un prestito obbligazionario esisteva una limitazione alla deducibilità che rappresentava un evidente
ostacolo all’emissione di questi titoli.
La seconda limitazione all’emissione di PO derivante dalle regole fiscali incideva invece non già sulla
fiscalità dell’impresa emittente quanto su quella dello strumento finanziario. L’art. 26, c.1, DPR 600/73
imponeva infatti agli emittenti i prestiti obbligazionari di operare una ritenuta con obbligo di rivalsa
sugli interessi ed altri proventi corrisposti ai possessori, ritenuta stabilita “a regime” nella misura del
12,5%, incrementata al 20% con il DL 138/2011 che ha unificato le aliquote ed, infine, innalzata al 26%
a decorrere dal 1° luglio 2014 in forza del DL 66/2014.
La ritenuta trovava applicazione sia nei confronti dei soggetti fiscalmente residenti in Italia, a titolo di
acconto per gli esercenti imprese commerciali e a titolo d’imposta negli altri casi, sia nei confronti dei
soggetti non residenti in Italia in quanto trattandosi di reddito con fonte in Italia doveva essere ivi
1
Relazione al convegno “Il finanziamento all’impresa tramite l’emissione di minibond” tenuto a Verona il 26 gennaio 2015
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assoggettato ad imposta ex art. 23 TUIR, senza possibilità di applicare il regime speciale di esenzione
previsto dall’art. 26-bis DPR 600/73 per altri redditi di capitale.
In apparenza la norma di cui parliamo non costituiva deroga al regime generale, come invece accadeva
per quella disciplinante la deducibilità degli interessi. Tuttavia, nel 1996 nell’ambito del riordino della
disciplina dei redditi da capitale e dei redditi diversi decisa nella già menzionata finanziaria 1996, il
Governo, ad uopo delegato, ha adottato il DLgs 239/96 con il quale
1. ha soppresso la ritenuta di cui all’art. 26 per gli interessi, premi ed altri frutti delle obbligazioni e
titoli similari emessi da banche e da società per azioni con azioni negoziate in mercati regolamentati
italiani (nonché per gli interessi delle obbligazioni pubbliche),
2. ha previsto per i predetti interessi l’applicazione di un’imposta sostitutiva (per altro della stessa
misura della soppressa ritenuta) e
3. ha adottato un regime generale di non applicazione dell’imposta nei confronti dei soggetti non
residenti nel territorio dello Stato, con esclusione dei soggetti residenti in Stati a regime fiscale
privilegiato.
La modifica normativa appena descritta – che riguardava solo le obbligazioni dei c.d. grandi emittenti –
rispondeva all’esigenza di promuovere il collocamento e la circolazione delle obbligazioni. Nella
relazione illustrativa del DLgs 239/96 si spiega infatti che con “l’abolizione della ritenuta a titolo di
acconto per le società viene rimossa una fonte di incertezza per le società stesse sulla valutazione delle
obbligazioni. Le imprese potranno alleggerire i loro bilanci dai crediti di imposta e quindi ridurre le
incertezze e le penalizzazioni finanziarie che ne derivano nel sistema finanziario italiano. Gli
intermediari finanziari, avendo maggiore certezza sui flussi di cassa generati dai titoli, saranno
facilitati nelle loro strategie e scelte di portafoglio. Inoltre, verranno eliminate quelle incertezze che
ancora permangono nelle procedure di rimborso ai non residenti, i quali, con il nuovo regime,
potranno realizzare i rendimenti lordi nel momento in cui regolano le operazioni di compravendita”.
Quali ulteriori benefici attesi dal nuovo regime (espressamente menzionati con riferimenti ai titoli di
Stato) l’aumento della base di investitori esteri e per questa via la diminuzione del costo della raccolta.
Anche sotto il profilo della fiscalità dello strumento finanziario, come già per la fiscalità dell’impresa, si
era quindi creato un regime differenziato a seconda della pretesa qualità dell’emittente:
- da una parte i grandi emittenti, vale a dire banche e imprese quotate, i cui titoli obbligazionari
generavano interessi che, dal lato passivo, non incorrevano in particolari limiti di deducibilità e,
dal lato attivo, non subivano la penalizzazione della ritenuta;
- dall’altra parte tutte le altre imprese, piccole, medie, grandi, grandissime ma comunque non
quotate (e non banche), i cui titoli obbligazionari generavano interessi che incorrevano in limiti
di deducibilità e subivano la penalizzazione della ritenuta.
Alle descritte due limitazioni, si aggiungeva una terza limitazione, comune questa volta alle
obbligazioni emesse sia dai grandi emittenti che dagli altri, e connessa all’esistenza di una norma che
riconosceva un regime di favore, in materia per quello che qui rileva di garanzie, applicabile ai soli
finanziamenti bancari a medio lungo termine.
Su queste tre limitazioni principalmente è intervenuto il legislatore prima con il Decreto crescita del
2012 (DL 83/2012), successivamente, con il Decreto destinazione Italia del 2013 (DL 145/2013) ed
infine con il Decreto competitività del 2014 (DL 91/2014).
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2.
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Modifiche legislative relative alla fiscalità dell’impresa
Il Decreto Crescita del 2012 è intervenuto a favore degli emittenti i prestiti obbligazionari eliminando le
limitazione previste dalla Legge 549 del 1995, che, come detto, condizionava la misura della
deducibilità degli interessi passivi sulla base dei parametri di rendimento del prestito obbligazionario.
Di conseguenza, gli interessi passivi sono ora deducibili esclusivamente secondo le regole generali
dettate dall’articolo 96 del TUIR, il quale prevede per le società diverse da quelle finanziarie la
deducibilità degli stessi in ciascun periodo d’imposta fino a concorrenza degli interessi attivi e proventi
assimilati. L’eccedenza, invece, è deducibile nel limite del 30 per cento del ROL della gestione
caratteristica.
La disapplicazione del limite alla deducibilità e la conseguente applicazione del regime ordinario è
tuttavia subordinata al soddisfacimento di due condizioni alternative:
1. la prima condizione è che i titoli obbligazionari siano negoziati in mercati regolamentati o sistemi
multilaterali di negoziazione degli Stati membri dell’UE e degli Stati allo SEE in white list;
2. la seconda condizione, prevista nel caso in cui i titoli obbligazionari non siano quotati, subordina la
disapplicazione del limite alla deducibilità degli interessi passivi e la conseguente applicazione del
regime ordinario alla detenzione dei titoli (i.e. sottoscrizione e circolazione) da parte di investitori
qualificati ex art. 100 del TUF. In questa ipotesi, è ulteriormente richiesto (a) che gli investitori
qualificati non detengano, direttamente o indirettamente, anche per il tramite di società fiduciarie o
per interposta persona, più del 2 per cento del capitale o del patrimonio della società emittente e (b)
il beneficiario effettivo dei proventi sia residente in Italia o in Stati e territori che consentono un
adeguato scambio di informazioni (tramite una convenzione per evitare la doppia imposizione sul
reddito, uno specifico accordo internazionale, ad esempio un tax information exchange agreement,
TIEA, o in applicazione di disposizioni comunitarie in materia di assistenza amministrativa).
Delle due alternative condizioni – quotazione dei bond o detenzione da parte di investitori qualificati –
la prima non presente particolare criticità. In proposito, è interessante rilevare che il requisito della
quotazione deve essere verificato al momento dell’emissione delle obbligazioni. Pertanto, qualora in un
momento successivo all’emissione di tali titoli, gli stessi perdano il requisito della quotazione
(delisting), agli interessi e agli altri proventi da essi derivanti continuerà ad applicarsi il regime di
deducibilità di cui all’art. 96 del TUIR (in questo senso anche l’Agenzia delle Entrate, nella Circ. 6
marzo 2013, n. 4E).
In merito alla condizione rappresentata dalla detenzione da investitori qualificati emergono invece
alcuni punti rilevanti. In questo contesto va tenuto presente che l’obiettivo del legislatore consiste:
- in primo luogo, nel limitare la circolazione dei bond ad investitori che possiedono esperienza,
conoscenze e competenze idonee a prendere consapevolmente le proprie decisioni in materia di
investimenti finanziari, valutando correttamente i relativi rischi;
- in secondo luogo, ad evitare che attraverso il prestito obbligazionario siano messe in atto
operazioni che consentano di attribuire interessi attivi in luogo di dividendi con conseguente
erosione dell’imponibile societario.
Da ciò discende la previsione secondo cui l’investitore qualificato non può detenere più del 2 per cento
del capitale o del patrimonio della società emittente , rispetto alla quale rileva oltre al possesso delle
azioni ordinarie, anche quello di azioni speciali purché conservino gli elementi minimi causali affinché
le si possa definire come partecipazioni sociali e non come titoli rappresentativi di rapporti di altra
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natura. Vi rientrano, pertanto, sia le partecipazioni derivanti dal possesso di azioni dotate di privilegi
nella distribuzione degli utili (e.g. azioni privilegiate) o nell’incidenza delle perdite (e.g. azioni
postergate) o di priorità o di preferenza sulla ripartizione dell’attivo di liquidazione (e.g. azioni di
godimento), sia le partecipazioni derivanti dal possesso di azioni prive del diritto di voto, con diritto di
voto limitato a particolari argomenti, con diritto di voto subordinato al verificarsi di particolari
condizioni e con diritto di voto limitato ad una misura massima o per scaglioni (Cfr. art. 2351 del c.c.).
Soprattutto, al fine del calcolo della suddetta percentuale di partecipazione si deve tener conto anche
delle partecipazioni detenute dai familiari indicati dall’art. 5, comma 5, del TUIR, delle partecipazioni
indirette e di quelle possedute per il tramite di società fiduciarie o per interposta persona. Inoltre, in caso
di partecipazione indiretta ai fini del calcolo della percentuale di partecipazione si deve tener conto del
cosiddetto “effetto demoltiplicativo”.
Viceversa, non si rilevano le partecipazioni agli utili derivanti da titoli e strumenti finanziari assimilati
alle azioni ai sensi dell’art. 44, comma 2, lettera a), del TUIR per i quali il sottoscrittore può vantare
esclusivamente diritti patrimoniali o anche diritti amministrativi (escluso il diritto di voto nell’assemblea
generale degli azionisti), ma che non gli attribuiscono lo status di socio in quanto emessi a fronte di
apporti non imputabili a capitale sociale.
Con riferimento ai suddetti vincoli, l’Agenzia delle Entrate ritiene che sarebbe opportuno che nella
delibera di emissione venisse espressamente previsto:
1. che i titoli possono essere sottoscritti e circolare esclusivamente tra investitori qualificati ai sensi
dell’articolo 100 del TUF e
2. che non possono essere sottoscritti da soci che detengono più del 2% del capitale o del patrimonio
della società emittente.
Tali previsioni sarebbe bene venissero altresì indicate nel prospetto di offerta dei titoli emessi o in altro
documento equivalente.
E’ invece d’obbligo per la società emittente acquisire apposita certificazione, ovviamente scritta e in
forma libera, da parte del sottoscrittore o del successivo acquirente – al momento della sottoscrizione o
del successivo trasferimento – nella quale lo stesso attesti di essere un investitore qualificato, di non
possedere più del 2 per cento del capitale sociale o del patrimonio della società emittente e che il
beneficiario effettivo dei proventi dei titoli sia residente in Italia o in uno Stato o territorio che consente
un adeguato scambio di informazioni.
In relazione alle obbligazioni partecipative e subordinate, il Decreto Crescita del 2012 consente
all’emittente di computare in diminuzione del reddito d’impresa anche la parte della remunerazione di
tali titoli che è collegata ai risultati economici della medesima società (parte variabile), qualora
l’emissione con clausole partecipative subordinate comporti il vincolo di non ridurre il capitale sociale
se non nei limiti dei dividendi sull’utile dell’esercizio. In sostanza, se il bond è postergato, la
componente variabile del corrispettivo costituisce oggetto di specifico accantonamento per onere nel
conto economico dell’emittente, che ai fini dell’applicazione delle imposte sui redditi è deducibile.
La predetta disposizione costituisce deroga all’art. 109, comma 9, del TUIR in virtù del quale è prevista
l’indeducibilità della parte della remunerazione commisurata all’andamento economico dell’emittente (o
di altre società appartenente al medesimo gruppo).
La previsione della deducibilità della componente variabile della remunerazione richiede (a) che la
remunerazione del titolo preveda anche una componente fissa (b) che le obbligazioni partecipative
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subordinate siano sottoscritte da investitori qualificati di cui all’art. 100 TUF, che non detengano, anche
per il tramite di società fiduciarie o per interposta persona, più del 2 per cento del capitale o del
patrimonio della società emittente e sempreché il beneficiario effettivo dei proventi sia residente in Italia
o in Stati e territori che consentono un adeguato scambio di informazioni.
Infine, il Decreto Crescita del 2012 ha stabilito altresì che le spese di emissione sono deducibili
nell’esercizio in cui sono sostenute indipendentemente dal criterio di imputazione a bilancio. Pertanto, la
deducibilità delle predette spese avviene secondo il principio di cassa, indipendente dall’imputazione a
conto economico, con l’effetto di consentire la deduzione in via anticipata rispetto a quanto accadrebbe
utilizzando il criterio della competenza economica, in base al quale il costo verrebbe dedotto pro-quota
lungo il periodo di durata dell’operazione di finanziamento tramite prestito obbligazionario. La
deducibilità per cassa delle spese di emissione dei titoli obbligazionari – parliamo di commissioni per il
rating, commissioni di collocamento, compensi professionali – va per altro considerata una facoltà e non
un obbligo, in linea con la ratio di natura agevolativa che caratterizza l’intero Decreto crescita.
3.
Modifiche legislative relative alla fiscalità dello strumento finanziario
Il Decreto Crescita 2012, prima, e il Decreto competitività del 2014 sono intervenuti sulla fiscalità delle
obbligazioni emesse da società non quotate sopprimendo la ritenuta in precedenza applicata e
riconducendo anche il minibond al regime fiscale c.d. 239/96, come già le obbligazioni emesse dai
grandi emittenti.
Più precisamente, il regime fiscale agevolativo della 239 si applica ora anche agli interessi ed altri
proventi delle obbligazioni emesse da società diverse dai grandi emittenti, purché:
i titoli obbligazionari siano negoziati in mercati regolamentati o sistemi multilaterali di negoziazione
degli Stati membri dell’UE e degli Stati allo SEE in white list; oppure,
nel caso in cui i titoli obbligazionari non siano quotati, purché i titoli siano detenuti (i.e. sottoscritti e
circolanti) da investitori qualificati ex art. 100 del TUF.
Si tratta delle stesse condizioni cui è subordinata la disapplicazione del limite di deducibilità degli
interessi passivi.
Sussistendo le descritte condizioni trova applicazione per l’appunto il regime c.d. 239 la cui
applicazione è differenziata a seconda che i soggetti siano o meno residenti in Italia e, nel primo caso
siano “nettisti” o “lordisti”.
In base al regime 239, gli interessi relativi ai bond sono soggetti ad imposta sostitutiva del 26% qualora
percepiti da soggetti fiscalmente residenti in Italia che siano persone fisiche, società semplici, enti
pubblici e privati, trust, soggetti esenti dall’imposta sul reddito delle società ed altri similari.
Diversamente, non sono invece soggetti ad imposta sostitutiva gli interessi percepiti da società
commerciali residenti in Italia ed organismi di investimento collettivo del risparmio, che in ragione di
ciò sono definiti soggetti lordisti.
Soprattutto - ed è questo uno dei punti di forza della nuova disciplina nell’ottica della promozione
dell’utilizzo dei bond – non sono soggetti ad imposizione gli interessi percepiti da soggetti residenti in
Paesi che consentono un adeguato scambio di informazioni, né quelli percepiti da enti od organismi
internazionali costituiti in base ad accordi internazionali resi esecutivi in Italia; così come da investitori
istituzionali esteri, ancorché privi di soggettività tributaria e Banche centrali o organismi che gestiscono
anche le riserve ufficiali dello Stato.
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Senza entrare eccessivamente nei particolari, l’esenzione dall’imposta sostitutiva richiede il rispetto di
una ben delineata procedura che prevede, in sintesi, l’identificazione del beneficiario effettivo e il
rilascio di un’autocertificazione sulla sussistenza di tutti i requisiti.
In aggiunta, il Decreto competitività ha soppresso la ritenuta dell’art. 26 DPR 600/73 anche nel caso in
cui gli interessi delle obbligazioni siano corrisposti ad organismi di investimento collettivo del
risparmio, istituiti in Italia o in uno Stato membro dell’Unione europea, il cui patrimonio sia investito in
misura superiore al 50 per cento in tali titoli e le cui quote siano detenute esclusivamente da investitori
qualificati. La composizione del patrimonio e la tipologia di investitori deve risultare dal regolamento
dell’organismo. La medesima ritenuta non si applica agli interessi ed altri proventi corrisposti a società
per la cartolarizzazione dei crediti ex L 130/99 emittenti titoli detenuti dai predetti investitori qualificati
ed il cui patrimonio sia investito in misura superiore al 50% in tali obbligazioni, titoli similari o cambiali
finanziarie.
4.
Modifiche legislative relative alle altre imposte indirette
L’ultima novità su cui intendo soffermarmi è l’estensione alle operazioni di finanziamento tramite
prestito obbligazionari dell’imposta sostitutiva di cui all’art. 15 DPR 601/73, stabilita con il Decreto
destinazione Italia.
Questa imposta, avente natura agevolativa, trovava applicazione sui finanziamenti a medio lungo – vale
a dire di durata superiore ai 18 mesi - concessi dalle banche, prima obbligatoriamente e ora, a seguito di
recenti modifiche normative, su opzione.
La portata agevolativa dell’imposta sostitutiva consiste nel sostituire le imposte (i.e. registro, bollo,
ipotecaria, catastale, tassa sulle concessioni governative) che possono trovare applicazione sui
provvedimenti, atti, contratti e formalità inerenti alle operazioni di finanziamento.
In concreto, la norma esplica la propria funzione agevolativa in presenza di finanziamenti il cui
rimborso sia garantito da terzi o mediante ipoteche, essendo la misura dell’imposta sostitutiva, pari allo
0,25% del finanziamento, inferiore alle imposte indirette ordinariamente applicabili.
Benché nasca come agevolazione atta a favorire l’accesso al credito di matrice bancaria, l’imposta
sostitutiva di cui si parla è stata estesa anche ai finanziamenti di matrice obbligazionaria.
Dunque, in caso di operazioni di finanziamento strutturate come emissioni di obbligazioni o titoli
similari, l’effetto sostitutivo si applica sulle imposte – di registro, ipotecaria, catastale e di bollo - che
graverebbero:
- sulle garanzie di qualunque tipo, prestate in relazione all’emissione da chiunque ed in qualsiasi
momento;
- sulle eventuali surroghe, sostituzioni, postergazioni, frazionamenti e cancellazioni anche parziali;
- sulle relative cessioni di credito;
- sui trasferimenti di garanzie anche conseguenti alla cessione delle obbligazioni;
- sugli atti modificativi o estintivi di tali operazioni.
Le peculiarità dell’applicazione dell’imposta sui finanziamenti all’emissione di obbligazioni si
sostanziano, in sintesi:
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nell’esercizio dell’opzione, che deve essere espresso da parte del soggetto emittente nella
deliberazione di emissione delle obbligazioni o in analogo provvedimento autorizzativo;
nella previsione che l’imposta sia applicata dall’intermediario finanziario incaricato dell’attività
di promozione e collocamento e, in sua assenza, direttamente dall’emittente;
nella responsabilità solidale tra soggetto finanziato ed intermediario (qualora presente) per il
versamento dell’imposta sostitutiva.
Infine, ferma l’aliquota ordinaria – che si ricorda essere pari a 0,25% – la base imponibile in caso di
emissione obbligazionaria è pari all’ammontare delle obbligazioni collocate.
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