ARTI GRAFICHE APOLLONIO cp 21x297 paper 83.qxd:cp 21x297 paper 83.qxd 02/02/09 14:52 Pagina 1 Università degli Studi di Brescia Dipartimento di Economia Aziendale Marta Maria PEDRINOLA I GRUPPI SOCIETARI E LE LORO POLITICHE TRIBUTARIE: IL DIVIDEND WASHING Paper numero 83 Università degli Studi di Brescia Dipartimento di Economia Aziendale Contrada Santa Chiara, 50 - 25122 Brescia tel. 030.2988.551-552-553-554 - fax 030.295814 e-mail: [email protected] Dicembre 2008 I GRUPPI SOCIETARI E LE LORO POLITICHE TRIBUTARIE: IL DIVIDEND WASHING di Marta Maria PEDRINOLA Dottoranda di ricerca in Economia Aziendale Università degli Studi di Brescia Indice 1. Introduzione ............................................................................................... 1 2. La recente disciplina italiana dei gruppi di società .................................... 2 2.1 Premessa............................................................................................... 2 2.2 L’attività di direzione e coordinamento ............................................... 3 2.3 Il problema della responsabilità ........................................................... 5 3. L’economia dei gruppi aziendali................................................................ 7 3.1 Le tipologie dei gruppi ......................................................................... 7 3.2 Le motivazioni economiche alla base della formazione dei gruppi aziendali ................................................................................. 10 3.3 L’architettura e la gestione dei gruppi ............................................... 12 4. I profili tributari del problema.................................................................. 15 4.1 L’ottimizzazione tributaria delle società costituite in gruppo............ 15 4.2. Il regime impositivo per dividendi e plusvalenze ............................ 16 4.2.1. La riforma civilistica del D. Lgs. 12 dicembre 2003 n. 344: gli effetti tributari e il trattamento dei dividendi................. 16 4.2.2 Il regime della <participation exemption>........................... 18 4.3 L’uso elusivo della nuova disciplina: il <dividend washing>............ 19 4.3.1 La natura tecnica.................................................................... 19 4.3.2. Il divieto operato dall’art. 109 TUIR: presupposti e modalità applicative............................................................................... 21 4.3.3. Relazioni con la clausola antielusiva generale.................... 23 5. Conclusioni .............................................................................................. 24 Appendice I Lesione patrimoniale e <benefici compensativi> nelle società appartenenti a gruppi.................................................................................... 29 Appendice II La concorrenza tributaria tra Stati................................................................ 33 Bibliografia .................................................................................................. 36 I gruppi societari e le loro politiche tributarie: il dividend washing 1. Introduzione Ormai da decenni la forma-tipo, giuridica e non di meno organizzativa, delle attività economiche di grande o medio-grande dimensione è la configurazione in cui una pluralità di società operano sotto la direzione di una capo-gruppo. Tale configurazione viene denominata <gruppo aziendale>, costituito dunque da un insieme di società connesse secondo un’architettura propria, di volta in volta specifica. Il gruppo aziendale costituisce dunque un’aggregazione di molteplici soggetti giuridici assoggettati a un’unica direzione economica, e tuttavia formalmente autonomi e indipendenti: l’aggregazione è pertanto riassumibile nel concetto di unità del disegno economico, cui si contrappone la pluralità di soggetti giuridici 1 . La mancanza di una definizione giuridica del concetto di gruppo ha favorito in molte legislazioni la moltiplicazione delle interpretazioni aziendalistiche del fenomeno. 2 Dunque, la nascita di tale forma organizzativa, a differenza della Società per Azioni 3 , non è stata conseguenza di una creazione legislativa, bensì 1 Cfr. G. SCOGNAMIGLIO, “I gruppi e la riforma del diritto societario: prime riflessioni”, in Rivista diritto societario, 2002, pag. 581; L. AZZINI, “I gruppi aziendali”, Giuffré Editore, Milano, 1975; P. E. CASSANDRO, “I gruppi aziendali” Cacucci Editore, II° ed. 1988, R. HILFERDING, “Il capitale finanziario”, Feltrinelli Editore, Milano, 1961. 2 Si ricordi, tra le altre, la nozione di gruppo di P. E. CASSANDRO, “I gruppi aziendali” del 1969 ove definisce il gruppo come:“[…]un’aggregazione di imprese societarie a struttura azionaria, in cui un’impresa detiene la maggioranza o la totalità delle azioni costituenti il capitale delle altre”; o quella di B. PASSAPONTI, “I gruppi e le altre aggregazioni aziendali” del 1994 ove si dice che:“[…] il gruppo si fonda su più aziende che si collegano mediante partecipazioni patrimoniali”; o quella di P. SARACENO, “ La produzione industriale” del 1978 ove definisce il gruppo “come un complesso di imprese che pur dotate ciascuna di un proprio soggetto giuridico, hanno in comune il soggetto economico; in altri termini vi è gruppo quando una persona o un gruppo di persone hanno il potere di determinare l’indirizzo di gestione di più imprese che si presentano come autonome”; infine quella di L. AZZINI, “I gruppi aziendali” del 1975 ove si legge che: “Il gruppo aziendale è un’impresa le cui unità economiche relative sono dotate di indipendenza giuridica”. 3 La nascita di tale modello societario si fa risalire alle Compagnie coloniali del XVII e XVIII secolo. Le esplorazioni e gli insediamenti coloniali necessitavano di ingenti finanziamenti e comportavano altresì alti rischi per l’investimento effettuato. Per attrarre i finanziatori, i sovrani concedettero la separazione patrimoniale tra la società ed i soci, cosicché questi ultimi non esponessero il loro intero patrimonio al rischio, ma solo il denaro investito nella Compagnia. Le Compagnie coloniali non costituivano un modello societario tipizzato a cui i privati potevano ricorrere liberamente, ma erano consentite solo in forza di un privilegio, assegnato dal potere sovrano alla compagnia e solo ad essa. 1 Marta Maria Pedrinola frutto dell’iniziativa imprenditoriale che, nella ricerca delle migliori combinazioni produttive, promuoveva tali architetture, favorita dalla possibilità di considerare le partecipazioni sociali quali oggetto di scambio e dunque di realizzare il controllo giuridico tra società 4 . Il gruppo di società è dunque da tempo fenomeno largamente diffuso nella prassi, in quanto permette di combinare i vantaggi dell’unità economica della grande impresa con l’articolazione in più strutture formalmente distinte ed autonome: snellezza operativa e relativa autonomia decisionale. 2. La recente disciplina italiana dei gruppi di società 2.1 Premessa Ignorato dal Codice di Commercio del 1882, il fenomeno del <controllo> era disciplinato dal Codice del 19425 con una sola disposizione 6 . L’ordinamento giuridico non dettava peraltro una definizione di gruppo, né lo disciplinava in modo organico, ma si limitava a tipizzare la nozione di imprese controllate e collegate. A tali disposizioni si sarebbero poi aggiunte le modifiche introdotte dal D. Lgs. n. 127 del 1991, che individuavano i soggetti aziendali ricompresi nell’ambito di applicazione del bilancio consolidato 7 . L’art. 2359 c.c. individuava infatti due antitetiche forme di controllo: interno ed esterno. La prima è vista come conseguenza del possesso di partecipazioni azionarie, le quali consentano di poter influire sull’attività di un’altra società in virtù della detenzione i) di quote –superiori al 50% del capitale sociale– che assicurino la maggioranza dei voti esercitabili nell’assemblea ordinaria 8 ; ii) di partecipazioni minoritarie, che permettano comunque di esercitare un’influenza dominante nell’assemblea ordinaria a causa Con le codificazioni napoleoniche, all’inizio del XIX secolo, venne introdotta e tipizzata la “società anonima” o “Società per Azioni” o corporation, a cui i privati potevano ricorrere per ottenere, mediante il rispetto di determinate procedure, il beneficio dell’autonomia patrimoniale perfetta. 4 Cfr. F. GALGANO, “I gruppi di società”, UTET, Torino, 2001. 5 Successivi rimandi al concetto di <gruppo aziendale> si trovano contenuti sia nel Decreto Legislativo n° 127 del 9 aprile 1991, sia nell’art. 7 della Legge (antitrust) n° 287 del 10 ottobre 1990, sia nell’art. 93 del Testo unico delle Finanza che nell’art. 23 del Testo unico in materia bancaria e creditizia. 6 Cfr. A. PAVONE LA ROSA, “Trattato delle Società per Azioni” vol. 2°, collana diretta da G.E. COLOMBO e G.B. PORTALE, Utet 1991. 7 Si veda l’art. 26 del D. Lgs. n. 127 del 1991. 8 Si tratta del controllo interno di diritto. 2 I gruppi societari e le loro politiche tributarie: il dividend washing dell’assenteismo degli altri soci, o per la frammentazione delle residue partecipazioni sociali 9 ; iii) indiretta o mediata, ossia attuata per il tramite di azioni o quote possedute da una controllata. Ciò si verifica –nell’ ipotesi più semplice–quando la società C sia sotto il controllo della società B, la quale sia a sua volta controllata dalla A 10 . La seconda forma di controllo –c.d. controllo esterno– si ha quando una società eserciti su un’altra “un’influenza dominante” in virtù di particolari vincoli contrattuali 11 i quali comportino una dipendenza economica di questa rispetto alla prima 12 (cfr. § 2.2.). 2.2 L’attività di direzione e coordinamento Solo dal 1° gennaio 2004 la riforma del diritto societario 13 , pur non introducendo una nozione unitaria di gruppo, ha previsto una disciplina ulteriore il cui fine dichiarato è –o dovrebbe essere– di assicurare maggiore tutela ai soci di minoranza, ai creditori sociali, e all’interesse complessivo del gruppo come tale, nonché di evitare che le scelte operative delle singole società pregiudichino le aspettative di quanti facciano esclusivo affidamento sulla consistenza patrimoniale e sui risultati economici di un’unica società del gruppo. Al centro della disciplina è stata così posta <l’attività di direzione e coordinamento di società>, introdotta agli articoli 2497 e seguenti del Codice Civile. Tale scelta è stata motivata, nella Relazione accompagnatoria al D. Lgs. 6/2003, “dalla ravvisata inopportunità di fornire una nozione di gruppo in quanto le innumerevoli definizioni esistenti nella normativa di ogni livello sono funzionali a problemi specifici e perché qualunque nuova nozione si sarebbe mostrata inadeguata all’incessante evoluzione della realtà sociale economica e giuridica […]”. Le norme introdotte sono ispirate al principio dell’effettività: trovano cioè applicazione ogni qual volta si abbia de facto l’esercizio dell’attività di 9 Si tratta del controllo interno di fatto. Cfr. A. PAVONE LA ROSA, op cit. 11 Quali i contratti di agenzia, di commissione, di concessione di vendita, di licenza di produzione o commercializzazione. 12 Cfr. A. PAVONE LA ROSA, op. cit.. 13 Il D. Lgs. n° 6 del 17 gennaio 2003, modificato dall’art. 5 del D. Lgs. 6 febbraio 2004, n° 37. 10 3 Marta Maria Pedrinola direzione e coordinamento, a prescindere dalla fonte del potere in forza del quale essa è esercitata 14 . L’attività di direzione e coordinamento non vi è dunque definita in maniera specifica. Essa potrebbe venire tradotta nell’applicazione di un potere che incida sia sulle scelte di una società “figlia” riguardanti le decisioni più comuni, sia sull’interesse sociale, in quanto gli amministratori devono anche tener conto delle direttive e politiche definite per il gruppo di cui fanno parte e i cui obbiettivi essi devono altresì perseguire 15 . L’ <attività di direzione e coordinamento> altro non è, dunque, se non lo strumento attraverso il quale viene esercitata l’influenza dominante. Per individuare l’esistenza di un’ attività di tal genere, il Legislatore ha introdotto, all’articolo 2497-sexies c.c., alcune presunzioni iuris tantum 16 : i) per le società legate dal vincolo del controllo ai sensi dell’ art. 2359 c.c. (controllo interno di diritto e di fatto e controllo esterno); ii) in ogni altro caso in cui si configuri un obbligo di consolidamento dei bilanci (ai sensi del D. Lgs. n. 127 del 1991 17 o di qualsiasi altra normativa speciale). Il Legislatore, poi, ipotizza in modo esplicito che direzione e coordinamento possano trovare il proprio fondamento in un contratto stipulato dalle medesime società soggette a tale attività, o in clausole dei loro statuti 18 . L’interpretazione dottrinale di tale disposizione ha posto il dubbio se si volesse o meno richiamare il <contratto di dominazione> tedesco 14 Cfr. U. TOMBARI, “La direzione e il coordinamento di società nella riforma del diritto societario” in Atti del Convegno “La direzione e il coordinamento di società nella riforma del diritto societario” , Prato, 23 marzo 2004. 15 A tal proposito F. GALGANO sostiene che non basti la mera dipendenza economica, ma che sia necessario che i vincoli contrattuali siano tali da produrre effetti equivalenti al controllo interno, ciò che accade qualora i contratti esigano l’approvazione da parte della società dominante, degli atti fondamentali per l’altra società o riservino alla prima il potere di designare la maggioranza degli amministratori. 16 Presunzioni semplici e quindi soggette alla possibilità di prova contraria. 17 La nozione di controllo si ricava dall’art. 26 del D. Lgs. citato, ai sensi quale sono imprese controllate: i) le società in cui un’altra società dispone della maggioranza dei voti esercitabili nell’assemblea ordinaria; ii) le società in cui un’altra società dispone di voti sufficienti per esercitare un’influenza dominante nell’assemblea ordinaria; iii) le imprese su cui un’altra ha il diritto, in virtù di un contratto o di una clausola statutaria, di esercitare un’influenza dominante, quando la legge applicabile consente tali contratti o clausole; iv) le imprese in cui un’altra, in base ad accordi con altri soci, controlla da sola la maggioranza dei diritti di voto. 18 Si veda l’art. 2497-septies c.c. introdotto dal D. Lgs. n. 37 del 6 febbraio 2004. 4 I gruppi societari e le loro politiche tributarie: il dividend washing –r Beherrschungsvertrag 19 – in forza del quale la società dominante ha il diritto di impartire istruzioni sulla gestione all’organo amministrativo della società soggetta, la quale sarebbe in ogni caso tenuta ad adempiere alle disposizioni impartite. Peraltro tale contratto è ritenuto incompatibile con i principi generali del diritto societario italiano, nonché con la responsabilità esclusiva gravante sugli amministratori per la gestione della singola società cui essi sono preposti 20 . In tale quadro, sia la dottrina dominante 21 , sia la Suprema Corte nella sentenza 24 agosto 2004 n° 16707, ritengono che le fattispecie contrattuali tipiche di cui all’articolo 2497-septies dovrebbero tener conto di tale principio: “L’autonomia soggettiva e patrimoniale che pur sempre contraddistingue ogni singola società appartenente ad un gruppo impone all’amministratore di perseguire prioritariamente l’interesse della specifica società cui egli è preposto; e dunque non gli consente di sacrificarne l’interesse in nome di un diverso interesse che, se pur riconducibile a quello di chi è collocato al vertice del gruppo, non assumerebbe alcun rilievo per i soci di minoranza e per i terzi creditori della società controllata […] 22 ”. Ne consegue che i contratti in detta norma previsti potranno certo implicare l’obbligo della società sottoposta, e per essa dei suoi amministratori, di attenersi alle strategie imprenditoriali delineate da chi abbia titolo per esercitare <la direzione ed il coordinamento> dell’intero gruppo, ma non fino al punto di escludere del tutto l’autonomia valutativa e decisionale degli amministratori delle società dominate. 2.3 Il problema della responsabilità Gli elementi innovativi introdotti dal D. Lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, sono legati alle forme di pubblicità relative all’attività di direzione e coordinamento, all’informativa contabile sulla capo-gruppo e sulle operazioni interne, e riguardano inoltre il regime della responsabilità. In particolare, la società soggetta all’attività in esame deve: “ Indicare negli atti e nella corrispondenza la soggezione all’altrui attività di direzione e coordinamento, iscriversi in apposita sezione del Registro delle imprese, esporre, in nota integrativa, un prospetto riepilogativo dei 19 Definito dalla Legge tedesca come il contratto con il quale una Società per Azioni o in accomandita per Azioni affida la propria direzione ad un’altra impresa. 20 Si vedano, tra gli altri, gli art. 2380-bis e 2409-novies c.c.. 21 Si veda R. RORDORF,“I gruppi nella recente riforma del diritto societario”, in Le società 5/2004. 22 Il testo completo della sentenza è riportato in appendice. 5 Marta Maria Pedrinola dati essenziali dell’ultimo bilancio della società o ente che esercita su di essa l’attività di direzione e coordinamento e infine indicare nella Relazione sulla gestione i rapporti intercorsi con chi esercita l’attività in esame e con le altre società che vi sono soggette, nonché l’effetto che tale attività ha avuto sull’esercizio dell’impresa sociale e sui suoi risultati. ” 23 . La finalità della disciplina è di rendere trasparente la soggezione di una società all’attività di direzione e coordinamento, con la funzione di informare i soggetti terzi sui rischi connessi all’appartenenza della società a un gruppo aziendale più ampio. Inoltre le decisioni assunte dall’assemblea o dagli amministratori delle società soggette all’altrui direzione e coordinamento, e che derivano da un interesse di gruppo, devono venire debitamente motivate, al fine di permettere la valutazione: i) delle eventuali conseguenze (positive o negative) di breve o di lungo periodo; ii) delle scelte in conflitto di interesse che possano influire sulla società sottoposta a direzione e coordinamento. Dall’esercizio dell’attività di direzione e coordinamento societario possono derivare responsabilità specifiche: l’art. 2497 c.c. ne prevede di due specie, i) verso i soci della società soggetta alla direzione e coordinamento, ii) verso i creditori di quest’ ultima. L’azione di responsabilità spetta a ciascun socio per “il pregiudizio arrecato alla redditività ed al valore del patrimonio sociale” e a ciascun creditore sociale “per la lesione cagionata all’integrità del patrimonio della società” 24 . Si tratta di una responsabilità della società che esercita (o ha esercitato) la direzione e il coordinamento e non dei suoi amministratori, e viene fatta risalire alla “violazione dei principi di corretta gestione societaria ed imprenditoriale” delle società sottoposte alla direzione e coordinamento. Il riferimento ai principi di “corretta gestione societaria ed imprenditoriale” impone l’esame concreto del campo di attività svolta dai soggetti coinvolti, e della struttura organizzativa dell’impresa. Problematico, a tal riguardo, è valutare la correttezza o meno della gestione stessa. Secondo la dottrina giuridica 25 sarebbe auspicabile cercare di ancorare i limiti di un giudizio di responsabilità ai criteri che la giurisprudenza ha elaborato nei giudizi concernenti la responsabilità degli amministratori di singole società, sforzandosi di distinguere le conseguenze della naturale alea di ogni attività d’impresa dalla mancanza colpevole di diligenza, e del mancato rispetto di regole codificate di buona amministrazione. 23 Si veda l’art. 2497-bis c.c.. Si veda l’art. 2497 c.c. 25 Si veda R. RORDORF, op. cit. 24 6 I gruppi societari e le loro politiche tributarie: il dividend washing La società che esercita l’attività di direzione e coordinamento è tuttavia esente da responsabilità quando “il danno risulta mancante alla luce del risultato complessivo dell’attività di direzione e coordinamento ovvero integralmente eliminato anche a seguito di operazioni a ciò dirette”. 3. L’economia dei gruppi aziendali 3.1 Le tipologie dei gruppi I gruppi aziendali possono venire suddivisi in diverse tipologie sulla base di molteplici classificazioni rappresentanti “modelli teorici”; per questo è possibile e frequente che un gruppo possegga congiuntamente caratteristiche appartenenti a varie tipizzazioni. Tra le principali classificazioni proposte dalla dottrina vi è quella che pone quale punto di indagine il grado di integrazione economica tra le varie imprese, e che distingue tra gruppi economici, finanziari e misti. I primi sarebbero costituiti da società operanti in settori diversi, in cui la capogruppo eserciti effettivamente la propria attività di coordinamento strategico delle combinazioni produttive. Essi sono composti da aziende collegate tra loro da vincoli di natura produttiva e finanziaria, tali da configurarli come una unità economica definita. I secondi sono caratterizzati i) dalla presenza di imprese operanti in settori diversi e tecnicamente non collegati tra di loro, ii) dal fatto che la società-madre è in genere una finanziaria (holding pura). L’ultima tipologia, il gruppo finanziario, è caratterizzata dalla presenza di un controllo garantito tanto dal possesso di partecipazioni, quanto da vincoli contrattuali, il quale non si esplica però necessariamente in un coordinamento di gruppo inteso quale entità economica definita26 . La capogruppo quasi mai partecipa direttamente all’attività produttiva, ma si presenta quale holding pura che guida il gruppo gestendo le partecipazioni finanziarie 27 . Mutando prospettiva d’indagine, e analizzando i rapporti che legano vicendevolmente le varie società e le modalità del controllo, si distinguono i gruppi formati attraverso accordi paritetici o contratti fra più società –diretti a instaurare un coordinamento di natura finanziaria e organizzativa, ma senza il vincolo della subordinazione– rispetto ai gruppi nei quali le varie unità sono legate da rapporti di dipendenza, e ove la capogruppo esercita la 26 Si veda CNDEC, Documento n. 17, “Il Bilancio consolidato”, punto n. 3.2. “Il gruppo di imprese secondo la dottrina aziendalistica”. Principi Contabili, Giuffré, Milano 1996. 27 Cfr. L. AZZINI, “I gruppi aziendali”, pag 114, Giuffré editore, Milano, 1975. 7 Marta Maria Pedrinola propria influenza dominante sulle controllate per via delle partecipazioni in suo possesso. Nel primo caso si suole parlare di gruppi a struttura paritetica 28 o coordinati, mentre nel secondo si definiscono gruppi a struttura egemonica o subordinati 29 . Con riguardo invece all’integrazione produttiva, un’ulteriore distinzione (che talora è stata erroneamente equiparata alla precedente), è tra <gruppi orizzontali>, <gruppi verticali> e <gruppi conglomerati>. I primi sono formati da società operanti all’interno dello stesso settore economico, le quali mirino a realizzare strategie di integrazione orizzontale, che permettano una crescita nello stesso settore e eventualmente nei contigui. I gruppi integrati orizzontalmente sviluppano la crescita per via esterna volta a “replicare” un’originaria idea di successo, ed ampliano con nuove società controllate il medesimo tipo di attività. Questo tipo di gruppo può sfruttare le economie di scala derivanti da una più efficiente ripartizione dei cosi di carattere generale e ha sovente quale obiettivo l’incremento delle quote di mercato detenute. I <gruppi verticali> mirano invece a realizzare strategie di integrazione verticale, volte ad assumere un controllo sulla “filiera produttivodistributiva”. Essi prolungano il ciclo operativo in due possibili versi che si declinano i) a monte, per controllare le fasi di approvvigionamento e di logistica, ii) a valle, per controllare il processo distributivo-commerciale. Questo tipo di gruppo consente di ottenere notevoli vantaggi in termini di produttività ed efficienza interna, ma comporta il rischio di veder diminuita la flessibilità, in quanto vi è un aumento della complessità organizzativa, dei costi amministrativi e soprattutto del concatenamento dell’intera coordinazione economica in funzione dello sbocco finale. I <gruppi conglomerati> sono invece formati da imprese che operano in settori molto diversi tra loro, forse soprattutto con il fine di compensare al proprio interno differenziate tendenze cicliche –dunque di rischio– d’impresa e di settore. La figura che più si è sviluppata nell’economia moderna è il gruppo di società inteso in senso verticale, nel quale l’attività è suddivisa in vari settori specializzati operanti sotto il controllo della capogruppo 30 ; nell’economia più recente, peraltro, si è assistito al generalizzarsi –certo 28 Si veda R. SANTAGATA ne “Il gruppo paritetico”, Giappichelli Editore, 2001 che afferma: “Tale caratteristica rende questo modello organizzativo elettiva forma di integrazione per imprese che, per struttura o statuto, non possono essere parti di un rapporto di controllo societario”. 29 La distinzione è opera di L. AZZINI, op. cit., pag 101. 30 Cfr. L. AZZINI, op. cit. 8 I gruppi societari e le loro politiche tributarie: il dividend washing incompleto– dei processi di de-verticalizzazione, in favore della specializzazione di tipo orizzontale. La suddivisione delle attività del gruppo tra le distinte società che ne fanno parte raggiunge la massima intensità quando si separino le funzioni di direzione da un lato, e di produzione o scambio dall’altro. In questo modo viene creata una società capo-gruppo, definita in tal caso <holding pura> –quali, ad esempio all’epoca, le finanziarie di settore dell’I.R.I. 31 : Finmare 32 , Fincantieri 33 , Finsider 34 , Finmeccanica 35 – che non svolge alcuna attività produttiva o commerciale, e si occupa esclusivamente della gestione e direzione delle società cosiddette <operanti>. Essa ha il compito di decidere le politiche del gruppo, di coordinare l’attività delle singole unità e di controllarne l’operato. All’attività di direzione del gruppo, nella holding si sommano anche attività di assistenza alle altre società del gruppo, assistenza che viene distinta in tecnica e finanziaria. La prima determina che alcune funzioni imprenditoriali vengano accentrate presso la holding, mentre la seconda riguarda la ricerca dei mezzi finanziari necessari alle controllate. In via generale, la capogruppo i) definisce principi operativi e finanziari, ii) esprime indicazioni sulle scelte da operare a livello delle singole controllate (rispettando, di norma, gli obiettivi e gli interessi delle singole società e l’interesse generale di gruppo): svolge dunque una funzione di coordinamento generale. 31 L’Istituto per la ricostruzione industriale (I.R.I.) era un ente pubblico nato nel 1933, per volere dell’allora governo fascista, per evitare il fallimento delle principali banche italiane (Banca Commerciale Italiana, Credito Italiano e Banco di Roma). L’ I.R.I. s raggruppò le sue partecipazioni per aree merceologiche: l’ Istituto sottoscriveva il capitale di società finanziarie che a loro volta possedevano il capitale delle società operative. Trasformato in Società per Azioni nel 1992, cessò di esistere nel 2002. 32 La Finmare venne istituita dall’ I.R.I. nel 1936 con il compito di coordinare, indirizzare ed assicurare con adeguati mezzi finanziari l’attività delle società di navigazione: Italia di Navigazione, Lloyd Triestino, Adriatica di Navigazione e Tirrenia di Navigazione, anch’esse costituite nel 1936 e delle quali la Finmare assunse la maggioranza azionaria. Nel 1999 iniziò il processo di liquidazione volontaria, conclusosi nel 2006. 33 La Fincantieri, fondata il 29 dicembre 1959, è uno dei più importanti complessi cantieristici navali d’Europa. Azienda pubblica italiana, già di proprietà dell’ I.R.I., è oggi controllata da Fintecna, finanziaria del Ministero dell’Economia. 34 La Finsider era la società del Gruppo I.R.I. che operava nel settore siderurgico e che aveva rilevato dalle banche il controllo dell’Ilva, delle Acciaierie di Cornigliano, della Terni e della Dalmine. 35 Gruppo italiano attivo nella difesa e nell’aero-spazio; negli ultimi decenni ha progressivamente assorbito quasi tutte le aziende italiane attive in questi settori, espandendosi in modo significativo anche all’estero. 9 Marta Maria Pedrinola 3.2 Le motivazioni economiche alla base della formazione dei gruppi aziendali Le molteplici possibili ragioni 36 alla base della formazione dei gruppi aziendali trovano forse direttrice comune nella volontà “di aumentare <l’economicità> del processo produttivo, migliorando le combinazioni produttive e ricercando le dimensioni più efficaci” 37 . A tal fine possono venire effettuate due tipologie di operazioni: le prime sono finalizzate all’aumento delle dimensioni aziendali all’interno della stessa attività economica. In tal modo un’impresa può aumentare il proprio potere contrattuale all’interno del mercato in cui opera, può alterare la pressione competitiva, può sfruttare le cosiddette <economie di scala> o <di esperienza 38 >, e può godere di condizioni vantaggiose nell’approvvigionamento dei fattori produttivi. In alternativa si possono formare aggregazioni di imprese mediante processi di integrazione. Le motivazioni che giustificano scelte di internalizzazione di determinate fasi del ciclo produttivo riguardano la volontà di sfruttare le <economie tecnologiche> (nel caso vi sia elevata interdipendenza tecnologica tra fasi successive del medesimo processo produttivo, le imprese possono ridurre i propri costi se controllano tutte le fasi), di ridurre i costi di transazione 39 o eventuali imperfezioni di mercato 40 . Al contrario la scelta di ampliare la propria produzione mediante l’integrazione di attività più o meno correlate alla propria è dovuta in larga misura alla scelta di <ottimizzare il rischio>, espressa anche dalla migliore competitività, dalle economie di scala anche distributive, dalla diversificazione della gamma. Il perseguimento di quelle politiche con l’organizzazione del complesso nella forma del <gruppo di società>, comporta numerosi vantaggi, quali, a titolo esemplificativo: 36 Si vedano, tra gli altri, P. SARACENO “La produzione industriale”, Libreria Universitaria 1966; L. AZZINI, “I gruppi aziendali”, Giuffré 1975; P.E. CASSANDRO, “I gruppi aziendali”, Cacucci Editore 1988, E. CORVI, “Il gruppo nell’economia dell’azienda industriale”, Egea 1989, S. AZZALI, “ Il reddito e il capitale di gruppo”, Giuffré 2002. 37 Cfr. P.E. CASSANDRO, “I gruppi aziendali”, Bari, Cacucci editore, 2° ed. 1988, pag. 27. 38 Cfr. A.D. CHANDLER jr., “La mano visibile: la rivoluzione manageriale nell’economia americana”, Milano, Franco Angeli, 1981. 39 Ossia quei costi, quantificabili o meno, che nascono quando nasce l’ipotesi di uno scambio, ed indicano sia lo sforzo dei contraenti per arrivare ad un accordo, sia - una volta che l’accordo sia stato raggiunto - i costi che insorgono per fare rispettare quanto stabilito. 40 Cfr. A. ZANOTTI, “Economia e governo dei gruppi aziendali”, Egea, Milano 2000. 10 I gruppi societari e le loro politiche tributarie: il dividend washing a) il frazionamento dei rischi 41 , in quanto l’autonomia giuridica delle singole società, nonché il maggiore o minore grado di interessenza 42 , permettono al soggetto economico di limitare le perdite al patrimonio conferito nelle singole società, mentre lo sfruttamento della <leva azionaria> 43 permette di separare la proprietà dal controllo, e consente all’azionista di controllo di sottoporre alla propria influenza il massimo quantitativo di attività economiche con il minimo ammontare di capitale investito; b) la limitazione della responsabilità nei confronti dei creditori, che viene circoscritta al patrimonio di ogni singola società controllata la quale è responsabile solo per i propri debiti, non anche per quelli delle società figlie e/o sorelle o del gruppo nel suo insieme; c) l’utilizzo del processo di delega decisionale e della specializzazione organizzativa; d) il raggiungimento di vantaggi finanziari e tributari attraverso lo sfruttamento di diversi sistemi impositivi –qualora vi sia la presenza di unità economiche autonome dislocate territorialmente e sottoposte a diverso regime fiscale–. In aggiunta alle motivazioni sopra citate vanno ricordate inoltre le cause ambientali, di natura anche non economica, che influiscono sulla formazione dei gruppi. A tal riguardo Cassandro ci ricorda che esse sono date, per esempio, “dalle fluttuazioni congiunturali che spingono la singola impresa a politiche di aggruppamento per meglio resistere alle fasi depressive del ciclo o per ridurre la spinta inflazionistica nei periodi di prosperità […] ” o ancora possono derivare “[…] dagli orientamenti della politica economica dello Stato che influenzano le aziende che operano nell’ambito del territorio statale.” 44 . 41 Cfr. L. AZZINI, “I gruppi aziendali”, Giuffré Editore, Milano, 1975. La percentuale di interessenza esprime le risorse della controllata di proprietà della controllante. Si calcola moltiplicando le percentuali di partecipazione della controllante sulla controllata. 43 La leva azionaria consente di disporre del controllo di una società, a valle di una catena partecipativa, pur a fronte di una partecipazione indiretta inferiore al 51% del capitale della società medesima. Essa è data dal rapporto tra la quota di capitale sociale detenuta da una società capogruppo nei confronti delle società controllate. Questa grandezza misura quante volte si moltiplica il possesso integrato della capogruppo all’interno della catena delle partecipazioni azionarie. 44 Cfr. P.E. CASSANDRO, op cit. 42 11 Marta Maria Pedrinola 3.3 L’architettura e la gestione dei gruppi Il gruppo di imprese può articolarsi in vari modi, ed assumere differenti strutture sulla base della tipologia di partecipazioni detenute dalla controllante. Abbiamo quindi i gruppi a struttura semplice 45 , caratterizzati dal fatto che la società capogruppo detiene partecipazioni dirette nelle singole società controllate facenti parte del gruppo 46 . I gruppi a struttura complessa sono invece caratterizzati dal fatto che la capogruppo generalmente esercita il controllo per il tramite di partecipazioni sia dirette 47 sia indirette 48 . Essi si distinguono a propria volta in i) gruppi a cascata, ove una società controlla direttamente un’altra società, la quale a sua volta ne controlla un’altra e così via, dando vita a una struttura formale molto verticalizzata; ii) gruppi a livelli successivi di aggruppamento, ove la capogruppo controlla direttamente società intermedie, le quali a loro volta ne controllano direttamente altre. L’espansione di una holding attraverso sub-holding di vario grado viene denominata con il termine pyramiding in quanto crea uno sviluppo appunto piramidale del gruppo: tale articolazione strutturale consente, come si diceva, di diluire il capitale investito e determina i c.d. “controlli di minoranza” 49 , in quanto solo al vertice della piramide il capitale è concentrato e permette il controllo dell’intero gruppo. L’architettura dei gruppi muta nel tempo e quindi nello spazio anche in funzione delle diverse condizioni di contesto; ciò crea una stratificazione di livelli societari dovuta non solo a ragioni storiche, ma anche e soprattutto al differente sviluppo dei settori di vario livello, e inoltre ai processi di acquisizione e cessazione anche per business in/out. I gruppi con struttura a catena sono contraddistinti dalla presenza di partecipazioni reciproche 50 ; in questi casi la catena può essere diretta, se un’azienda vanta una partecipazione di controllo in un’altra la quale a sua volta possegga un pacchetto azionario nella prima, o indiretta nei gruppi 45 Cfr. E. DI CARLO, “I gruppi aziendali tra economia e diritto”, Aracne Editrice, 2007, pag. 87. 46 Sempre secondo l’Autore : “[…]qualora il numero complessivo di società fosse elevato questa struttura viene anche nominata <a stella> o <a pettine>, per la forma assunta dal partecipogramma del gruppo.” 47 Le partecipazioni dirette si hanno quando una società possiede una quota del capitale sociale di un’altra società al fine di controllarne la gestione. 48 Le partecipazioni indirette si hanno quando una società non possiede direttamente quote del capitale sociale di una seconda, ma possiede una partecipazione diretta in una terza unità la quale a sua volta ha una partecipazione diretta nella seconda. 49 Cfr. E. DI CARLO, op.cit, pag. 97. 50 Le partecipazioni reciproche si hanno in tutti i casi in cui una società acquisti o sottoscriva azioni o quote di un’altra, che a sua volta acquisti o sottoscriva azioni o quote della prima. 12 I gruppi societari e le loro politiche tributarie: il dividend washing c.d. “circolari”. Tale struttura rende difficili eventuali tentativi di take over sul gruppo, ma è in Italia difficoltata dall’avere gli articoli 2359-bis 51 , 2359quinqiues 52 e 2360 53 del Codice Civile limitato le partecipazioni incrociate. Aspetto peculiare del governo dei gruppi è che –all’aumentare della dimensione aziendale, cui è connessa la sempre maggiore ricerca di risorse finanziarie per lo sviluppo delle combinazioni produttive– la proprietà si separa progressivamente dal controllo 54 . Nei gruppi a proprietà diffusa, in cui l’azionariato è infine polverizzato e disinteressato alla gestione, il soggetto economico che svolge le funzioni di governo e di indirizzo si identifica nei top manager 55 , i quali a propria volta le esercitano nei centri di decisione strategica all’uopo costituiti. Obiettivo generale della gestione del gruppo dovrebbe essere la <creazione di valore> dello stesso, ma questo valore viene frequentemente avocato da chi ha il potere di controllo a scapito delle minoranze. Le regole introdotte dalla riforma del diritto societario del 2003 e relative ai vari sistemi di amministrazione e controllo, poggiando su strutture di controllo anche interni, tentano di evitare tale eventualità, e auspicano di ridefinire i rapporti tra i vari soggetti alla luce della correttezza, della trasparenza e del rispetto dei diritti delle minoranze e dei risparmiatori. 51 Rubricato: Acquisto di azioni o quote da parte di società controllate, “La società controllata non può acquistare azioni o quote della società controllante se non nei limiti degli utili distribuibili e delle riserve disponibili risultanti dall'ultimo bilancio regolarmente approvato. Possono essere acquistate soltanto azioni interamente liberate[…]. In nessun caso il valore nominale delle azioni o quote acquistate a norma dei commi precedenti può eccedere la decima parte del capitale della società controllante, tenendosi conto a tal fine delle azioni o quote possedute dalla medesima società controllante e dalle società da essa controllate.” 52 Rubricato: Sottoscrizione di azioni o quote della società controllante, “La società controllata non può sottoscrivere azioni o quote della società controllante. Le azioni o quote sottoscritte in violazione del comma precedente si intendono sottoscritte e devono essere liberate dagli amministratori, che non dimostrino di essere esenti da colpa. Chiunque abbia sottoscritto in nome proprio, ma per conto della società controllata, azioni o quote della società controllante è considerato a tutti gli effetti sottoscrittore per conto proprio. Della liberazione delle azioni o quote rispondono solidalmente gli amministratori della società controllata che non dimostrino di essere esenti da colpa.” 53 Rubricato: Divieto di sottoscrizione reciproca di azioni, “E’ vietato alle società di costituire o di aumentare il capitale mediante sottoscrizione reciproca di azioni, anche per tramite di società fiduciaria o per interposta persona”. 54 Sul tema si veda R. HILFERDING “Il capitale finanziario”, ed. it. Feltrinelli Milano, 1961; A. BERLE e G.C. MEANS, “The modern corporation and private poperty”, Macmillan, 1932. 55 Qualora il capitale fosse concentrato l’analisi della proprietà, data la sua sovrapposizione con la funzione di controllo, sarebbe rilevante; laddove invece tali funzioni sono separate l’analisi della proprietà ha un peso decisamente più marginale rispetto al controllo. 13 Marta Maria Pedrinola Tra le varie scelte strategiche, di particolare interesse –nonché rilievo economico sia interni sia esterno al gruppo– è quella relativa alla scelta dei prezzi 56 cui effettuare le operazioni intra-gruppo. Tale decisione incide sull’addensamento del risultato in una o altra unità del gruppo, a seconda dei vari interessi –anche patologici del top management– ad avvicinare utili alla capogruppo (o allontanare perdite), ma è tesa soprattutto (anche tramite elusione) alla minimizzazione del carico tributario totale del gruppo o della holding. Si ottimizza così la subordinazione di singole società ai diversi regimi tributari, e varia dunque la formazione e il medesimo ammontare dell’utile di gruppo. Seguendo tale obbiettivo il reddito può venire canalizzato verso Paesi a minor pressione fiscale 57 , i quali, offrendo forme di imposizione forfettarie o molto attenuate, consentono di diminuire il carico impositivo. 58 Il fine principale che le disposizioni sul transfer pricing emanate dagli ordinamenti interni e dagli organismi sovra-nazionali (tra i quali l’Ocse59 ) si pongono è, pertanto, di evitare che le multinazionali pervengano, attraverso una sovrastima o una sottostima dei prezzi, al trasferimento di porzioni di reddito imponibile in Stati a fiscalità relativamente inferiore. In ambito nazionale, il Legislatore tributario ha previsto la regolamentazione dei prezzi di trasferimento negli articoli 9 e 110 del Tuir 60 . 56 Il transfer pricing identifica quella pratica per cui, attraverso cessioni di beni e/o prestazioni di servizi tra imprese appartenenti ad uno stesso gruppo, operate sulla base di corrispettivi superiori o inferiori a quelli di mercato, si realizza di fatto un trasferimento di redditi da una società del gruppo ad un’altra. 57 Per una trattazione più approfondita si rimanda all’Appendice n. 2. 58 La Commissione Europea ha individuato nel transfer pricing un fattore di inefficienza fiscale all’interno del Mercato comune, suscettibile di interferire nelle scelte di investimento, finanziamento e localizzazione delle imprese. 59 Acronimo di Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico, è stata istituita il 30 settembre 1961 a seguito della soppressione dell’O.E.C.E., organizzazione creata nel 1948 per amministrare il c.d. “Piano Marshall”, nell’ambito della ricostruzione postbellica dell’economia europea. Attualmente conta 30 Paesi membri – a cui si aggiunge la Comunità Europea – i quali complessivamente rappresentano i 2/3 della produzione mondiale ed i 3/5 delle esportazioni globali. L’O.C.S.E. mantiene stretti contatti con le altre Organizzazioni Internazionali e con i Paesi non membri, i quali possono partecipare come osservatori ai lavori dei Comitati o a determinati programmi dell’Organizzazione. Gli obiettivi dell’O.C.S.E. sono indicati nella Convenzione istitutiva e consistono nel: i)realizzare più alti livelli di crescita economica, di occupazione e del tenore di vita, garantendo il mantenimento della stabilità finanziaria; ii)contribuire allo sviluppo dei paesi non membri; iii)promuovere e liberalizzare il commercio mondiale su base multilaterale e non discriminatoria. 60 Come previsto dall’art. 110, comma 7 del Tuir, i costi e i ricavi relativi a transazioni internazionali infra-gruppo concorrono alla formazione del reddito dell’impresa italiana in base al valore normale dei fattori di produzione acquisiti o dei prodotti alienati, se da ciò 14 I gruppi societari e le loro politiche tributarie: il dividend washing 4. I profili tributari del problema 4.1 L’ottimizzazione tributaria delle società costituite in gruppo Anche la disciplina tributaria può influenzare la nascita dei gruppi aziendali agevolandola o meno, sia mediante disposizioni che modifichino i presupposti impositivi sia attraverso modifiche alla convenienza di talune operazioni straordinarie. Tale fatto si è sovente manifestato in tutte le nazioni sviluppate, con andamenti ondulari a seconda del (dis)-favore riscosso dall’attività economica specialmente privata presso le autorità politiche. A tal riguardo si ricordi ad esempio la Legge n. 904 del 16 dicembre 1977 61 , la quale introdusse il meccanismo del credito d’imposta ed eliminò conseguentemente il problema della doppia imposizione sul trasferimento di utili tra i vari livelli societari. Tale disposto contribuì significativamente alla costituzione di gruppi piramidali, in quanto i dividendi infra-gruppo poterono transitare attraverso i vari livelli della piramide societaria senza oneri aggiuntivi per la controllante. Va tuttavia sottolineato che il sistema tributario italiano non ravvisa nel gruppo di imprese un soggetto unico e unitario di tassazione, e assoggetta a imposizione i redditi delle società as singles e non as a whole 62 : al <gruppo> è dunque negato il riconoscimento di un’autonoma capacità contributiva. Da tale impostazione discende quindi una situazione tendenzialmente svantaggiosa 63 sotto il profilo fiscale per i gruppi societari, situazione che nel corso degli anni è stata però compensata da molteplici disposizioni normative rivelatesi convenienti per i gruppi societari. Nel prosieguo ne verranno analizzate alcune. deriva un incremento di materia imponibile. Nel caso in cui, quindi, non vi sia coincidenza tra valore normale e valore nominale della transazione, il fisco in sede di accertamento assumerà come valore della transazione il valore normale solo se da ciò consegue un aumento del reddito imponibile. Nel caso in cui non si consegua un aumento del reddito imponibile, il valore nominale viene sostituito dal valore normale solo in esecuzione degli accordi conclusi con le autorità competenti degli Stati esteri a seguito delle speciali procedure amichevoli previste dalle convenzioni internazionali contro le doppie imposizioni sui redditi. 61 Legge Pandolfi. 62 Cfr. G. TREMONTI, “La fiscalità industriale: strategie fiscali e gruppi di società in Italia”, Il Mulino, Bologna, 1988. 63 Cfr. A. ZANOTTI, op cit. “[…]maggiore tassazione in capo al gruppo per la coesistenza di società in utile e società in perdita, un ritardato rimborso delle imposte […]”. 15 Marta Maria Pedrinola 4.2. Il regime impositivo per dividendi e plusvalenze 4.2.1. La riforma civilistica del D. Lgs. 12 dicembre 2003 n. 344: gli effetti tributari e il trattamento dei dividendi. La riforma del diritto societario varata nell’anno 2003 ha modificato in modo sostanziale anche il sistema tributario. Finalità dell’intervento riformatore è stata la volontà di razionalizzare e semplificare l’ordinamento fiscale, attraverso la riduzione della struttura impositiva a cinque principali forme di tassazione. Il D. Lgs n° 344 del 2003 ha dunque modificato il regime di tassazione previsto per i dividendi 64 distribuiti a partire dal 1º gennaio 2004, abbandonando il <principio dell’ imputazione> 65 e introducendo il <sistema della (parziale) esenzione>. Il sistema previgente la riforma prevedeva il meccanismo del credito d’imposta, con la funzione di riconoscere le imposte liquidate dalla società in capo ai soci, tassati in via definitiva sui dividendi percepiti. Tale regime trovava applicazione indipendentemente dal fatto che il percipiente fosse persona fisica o giuridica. Infatti, ai sensi dell’art. 14 del D.P.R. n. 917 del 1986, i percettori di utili distribuiti da soggetti <persona giuridica> avevano diritto ad un credito di imposta (le cui aliquote variarono nel corso degli anni 66 ) per i dividendi incassati. In alternativa, ma solo per le persone fisiche non aventi attività d’impresa, era prevista l’applicazione di una ritenuta definitiva del 12,50% sui dividendi derivanti da partecipazioni non qualificate. Attraverso il nuovo regime la tassazione avviene non più su base personale bensì reale: in tal modo l’utile viene tassato solo al momento della sua produzione in capo alla società. Il regime impositivo previsto per i dividendi differisce sensibilmente in relazione alla natura del soggetto percipiente, che può qualificarsi come persona fisica o giuridica. Nel primo caso è necessario effettuare un’ulteriore distinzione: se si tratti o meno di dividendi percepiti nell’esercizio di impresa. Se le condizioni appena descritte sono soddisfatte allora il dividendo concorre alla formazione del reddito imponibile per il 40% del suo ammontare. Nel caso in cui l’utile, conseguito in virtù del 64 Intesi quali utili derivanti dalla partecipazione in soggetti passivi Ires di cui all’art. 73, comma 1, del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917. 65 Che considerava il socio -e non la società- l’effettivo possessore dell’utile societario con la conseguenza che l’imposta assolta dalla società in sede di produzione dell’utile era un mero acconto d’imposta. 66 La percentuale di credito d’imposta, pari al 56,25% sarebbe scesa al 51,51% - a seguito della prevista riduzione dell’aliquota Irpeg al 34%- per le distribuzioni di dividendi deliberate dal periodo d’imposta successivo a quello in corso al 1° gennaio 2003. 16 I gruppi societari e le loro politiche tributarie: il dividend washing possesso di partecipazioni societarie, venga percepito da persona fisica al di fuori dell’esercizio d’impresa è doveroso effettuare un’ulteriore distinguo: se la partecipazione ha le caratteristiche per definirsi <qualificata 67 > allora il 40% del dividendo si somma al reddito imponibile, nel caso contrario il dividendo sconta un’imposta sostitutiva del 12,5%. Per quanto riguarda i percipienti persone giuridiche, e quindi soggetti passivi Ires 68 , la tassazione consiste, più semplicemente, nell’esclusione dalla formazione del reddito del 95% dell’ammontare del dividendo distribuito 69 , senza alcuna distinzione circa la natura (qualificata o meno) della partecipazione posseduta. L’applicazione dell’esclusione non è subordinata ad alcuna condizione, anzi le società e gli enti commerciali residenti possono beneficiarne anche se gli utili percepiti non sono stati assoggettati ad imposizione alcuna dalla società distributrice 70 . In caso di opzione per il “regime di trasparenza” o per il “consolidato fiscale nazionale” la doppia tassazione per il 5% del dividendo viene meno: l’esclusione risulta così integrale. Finalità dichiarata del Legislatore è stata l’attenuazione della doppia imposizione economica che i dividendi subivano, in capo sia alla società che produceva gli utili, sia al socio che li percepiva. Con l’innovazione introdotta, l’Ires versata dalla società assurge a vera e propria imposta assolta a titolo definitivo nel momento di produzione degli utili. Qualora i redditi siano prodotti in Stati diversi, operano le convenzioni internazionali contro la doppia imposizione, strumento di politica internazionale tributaria necessario per evitare che lo stesso presupposto impositivo sia assoggetto a tassazione in ciascun Stato. Le convenzioni 67 La partecipazione è definita qualificata qualora la percentuale di diritti di voto esercitabili nell’ assemblea ordinaria è superiore al 20% ovvero la partecipazione al capitale od al patrimonio è superiore al 25%. Per i titoli negoziati in mercati regolamentati le predette percentuali sono rispettivamente del 2% e del 5%. 68 Sono soggetti passivi Ires le seguenti società ed enti residenti nel territorio dello Stato: Società per Azioni, Società in accomandita per Azioni, Società a responsabilità limitata, Società cooperative, Società di mutua assicurazione, Enti commerciali pubblici e privati, Enti non commerciali pubblici e privati. Sono soggetti passivi anche le società e gli enti di ogni tipo, non residenti nel territorio dello Stato. 69 Per gli utili distribuiti da Società per Azioni, in accomandita per Azioni, a responsabilità limitata, ovvero da enti pubblici e privati diversi dalle società, residenti nel territorio dello Stato, che hanno per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciali. 70 Ciò vale solo se il soggetto erogante non risiede in uno degli Stati o territori a regime fiscale privilegiato individuati con D.M. del 21 novembre 2001 (c.d. black list). In questo caso il dividendo sarà tassato interamente, salvo che, attraverso istanza d’interpello, il percipiente dimostri che sin dall’inizio del periodo di possesso della partecipazione l’obiettivo non era di localizzare il reddito in un paese a tassazione ridotta. 17 Marta Maria Pedrinola regolano infatti i rapporti tributari tra i soggetti che operano negli stati firmatari della convenzione, e hanno lo scopo di evitare la tassazione del reddito sia nella nazione in cui questo è stato prodotto sia nella nazione di residenza del soggetto che lo ha prodotto. Esse hanno valore superiore alla legge nazionale e, nei casi in cui è previsto, prevalgono su questa 71 . 4.2.2 Il regime della <participation exemption> Il D. Lgs. n. 344 del 12 dicembre 2003 ha modificato anche la tassazione delle plusvalenze e minusvalenze derivanti dall’alienazione di partecipazioni. Tali componenti di reddito divengono infatti, in presenza di determinate condizioni, fiscalmente irrilevanti, in quanto esenti. Questo regime è strettamente connesso al sistema dell’esclusione dei dividendi: “la de-tassazione di plusvalenze da realizzo costituisce il logico corollario del nuovo regime di tassazione dei dividendi che sono parzialmente esclusi da imposizione, siano essi di fonte nazionale oppure estera” 72 . In base all’art. 87 del nuovo Tuir, che attua i principi espressi all’art. 4, comma 1, lettere c) ed e) della legge delega, sono tassate solo parzialmente le plusvalenze 73 realizzate da soggetti Ires relative alla cessione di partecipazioni – possedute ininterrottamente da almeno dodici mesi 74 e iscritte tra le immobilizzazioni finanziarie – in società: i) con o senza personalità giuridica, ii) residenti o meno 75 nel territorio dello Stato, iii) esercenti un’attività di tipo commerciale. In presenza dei requisiti richiesti la plusvalenza realizzata beneficia di un’esenzione la cui percentuale è variata più volte dal 2004 al 2008. Originariamente la percentuale di esenzione era fissata nella misura del 100%, dal 4 ottobre del 2005 al 2 dicembre dello stesso anno è stata 71 Il modello contro le doppie imposizioni più utilizzato è il <Modello OCSE> il cui Comitato per gli affari Fiscali tra il 1956 ed il 1961 predispose quattro relazioni sulla doppia tassazione e i relativi metodi di eliminazione ed un modello di convenzione con commento allegato. 72 Si veda la Relazione accompagnatoria al Decreto Legislativo in esame. 73 L’esenzione in esame si applica anche alle plusvalenze realizzate con riferimento agli strumenti finanziari simili alle azioni e ai contratti di associazione in partecipazione e a quelli di cointeressenza, di cui all’ art. 2554 c.c., allorché sia previsto un apporto diverso da quello di opere e servizi. 74 Così modificato dalla Legge Finanziaria del 2008 che ha accorciato il periodo minimo di possesso portandolo da diciotto a dodici mesi. 75 La residenza fiscale della società partecipata deve essere in uno Stato o territorio diverso da quelli a regime fiscale privilegiato. 18 I gruppi societari e le loro politiche tributarie: il dividend washing diminuita al 95%; successivamente, dal 3 dicembre 2005 fino alla fine dell’anno 2006, la percentuale è stata ulteriormente diminuita al 91% e per l’anno 2007 all’ 84%. La legge finanziaria 2008 opera un’inversione di tendenza,e ripristina la quota di esenzione al 95% con decorrenza dal 1° gennaio 2008. Per espressa previsione normativa rimangono escluse dall’esenzione le plusvalenze realizzate relativamente a partecipazioni in società semplici ed enti assimilati. Parallelamente al regime illustrato per le plusvalenze è prevista, all’art. 101 del Tuir, l’indeducibilità delle minusvalenze derivanti dalla cessione di partecipazioni interessate dal regime di esenzione. 4.3 L’uso elusivo della nuova disciplina: il <dividend washing> 4.3.1 La natura tecnica Il <metodo dell’esenzione> 76 , descritto nelle sue caratteristiche più rilevanti nel paragrafo precedente, differenzia quindi il regime impositivo previsto per i dividendi rispetto alle plusvalenze. Infatti, nonostante entrambi i componenti positivi di reddito non siano più imponibili integralmente in capo al soggetto percettore – e, in maniera speculare, le minusvalenze non siano deducibili – permane la distinzione fondamentale secondo cui, mentre i dividendi sono incondizionatamente esclusi da imposizione, le plusvalenze sono esenti (e le minusvalenze indeducibili) solo al ricorrere dei requisiti predetti77 . Tale differenza può generare possibili <arbitraggi fiscali> da parte di contribuenti i quali, volendo minimizzare il carico impositivo, potrebbero incassare dividendi esclusi da imposizione, e poi realizzare plusvalenze esenti e minusvalenze fiscalmente deducibili78 . La tecnica cosiddetta del dividend washing sfrutta tale possibilità, fondandosi sull’interrelazione tra il regime impositivo previsto per le plusvalenze e le minusvalenze da un lato, e quello dei dividendi dall’altro. In quanto tale, la stessa potrebbe venire descritta quale modalità alternativa di incasso dei dividendi. Le operazioni di dividend washing si strutturano generalmente secondo la seguente sequenza: 76 Con tale espressione ci si riferisce alla già descritta esenzione da imposizione delle plusvalenze/minusvalenze su partecipazioni e l’esclusione da imposizione dei dividendi incassati. 77 Cfr. M. ANDRIOLA, “Dividend washing. Il quadro sistematico di riferimento nell’Ires alla luce del D. Lgs. n. 344 del 2003”, in FISCO oggi, dicembre 2007. 78 Per realizzare minusvalenze deducibili è sufficiente non avere anche uno solo dei requisiti previsti dalla <p.e.x.> 19 Marta Maria Pedrinola i) acquisizione di partecipazione in una società con consistenti utili pregressi da distribuire; ii) percezione di tali utili con imposizione ridotta al 5% degli stessi; iii) successiva cessione della partecipazione a un corrispettivo inferiore al prezzo di acquisto, beneficiando di una minusvalenza (o differenza negativa) deducibile, e possono venire rappresentate nell’esempio che segue. Due società commerciali X e Y costituiscono la società Alfa s.r.l., conferendovi € 10.000,00 e ricevendo quale contropartita il 50% delle quote sociali. Al termine del primo esercizio sociale, di durata almeno annuale, la società determina un risultato pari a € 2.000,00 e l’assemblea dei soci ne delibera la distribuzione per € 1.800,00 (€ 900,00 alla società X e alla società Y), destinando la rimanente parte di utili a riserva legale e statutaria. A questo punto il comportamento delle due società X e Y si differenzia. La società X incassa il dividendo di € 900,00; invece la società Y (che gode del regime p.e.x.) prima dello stacco-cedola cede alla società Beta la quota di partecipazione nella società Alfa al valore di € 10.900,00 (valore iniziale del conferimento più dividendo da incassare), realizzando in tal modo una plusvalenza di € 900,00. Beta incassa il dividendo di € 900,00 e successivamente rivende a Y per € 10.000,00 le partecipazioni precedentemente acquisite per € 10.900,00. Beta sopporta, perciò, una minusvalenza pari a € 900,00. A seguito di tale operazione, dal punto di vista finanziario, Beta non si è né arricchita né impoverita, in quanto ha incassato dividendi per € 900,00 ma ha sopportato una minusvalenza di pari importo. Il vero soggetto arricchito dalla distribuzione del dividendo è Y, il quale formalmente ha realizzato una plusvalenza per € 900,00 ma non ha incassato alcun dividendo. Dal punto di vista tributario, l’operazione si conclude: i) per Y con un carico impositivo minimo sull’arricchimento di € 900,00, dal momento che la stessa beneficia del regime p.e.x. e che quindi è sottoposta a tassazione solo per il 5% del dividendo percepito, ii) per Beta con un risparmio d’imposta, calcolabile sulla differenza tra minusvalenza fiscalmente deducibile per l’intero ammontare e quota-parte (5%) del dividendo incassato imponibile. La minusvalenza è deducibile proprio perché la tecnica del dividend washing si configura come operazione di trading; la partecipazione è posseduta per meno di 12 mesi e quindi si colloca al di fuori del regime p.e.x.; conseguentemente le minusvalenze realizzate sono da considerarsi fiscalmente deducibili. La tecnica del dividend washing è configurabile solo qualora rimanga sostanzialmente immutata la situazione iniziale, in cui soci della 20 I gruppi societari e le loro politiche tributarie: il dividend washing società Alfa erano X e Y e Beta è un mero soggetto interposto, che non subisce alcun arricchimento né impoverimento dall’acquisizione della partecipazione, dalla distribuzione dei dividendi, dalla retrocessione delle partecipazioni. Se viceversa Beta non dovesse procedere alla retrocessione delle partecipazioni a Y, non potrebbe configurarsi alcun fenomeno di dividend washing, in quanto la posizione di Beta non si qualificherebbe come neutrale dal punto di vista economico. 4.3.2. Il divieto operato dall’art. 109 TUIR: presupposti e modalità applicative La sequenza di operazioni appena descritta è stata disciplinata dal Legislatore, che ha cercato di uniformare il trattamento tributario dei dividendi a quello delle plusvalenze realizzate, al fine di evitare facili arbitraggi fiscali tra le due tipologie reddituali. A tal proposito l’art. 5-quinquies del D.L. n° 203 del 30 settembre 2005 79 , ha inserito un nuovo comma all’articolo 109 del Tuir, comma 3, che, a decorrere dal 1° gennaio 2006, introduce limitazioni alla deducibilità delle minusvalenze realizzate sulla cessione di partecipazioni che non 80 abbiano i requisiti previsti dal regime di <participation exemption>. Il nuovo comma 3-bis dispone che le minusvalenze realizzate su azioni e titoli similari non siano deducibili fino a concorrenza della quota non imponibile dei dividendi percepiti nei trentasei mesi precedenti tale realizzo, nel caso in cui i titoli posseggano i requisiti 81 per poter usufruire del regime di <participation exemption> . Tale disciplina ha finalità antielusive, e mira a contrastare le operazioni di cessione di partecipazioni cosiddette “utili compresi”, che consentono la percezione di dividendi de-tassati e la deduzione di minusvalenze, a fronte di esenzione della plusvalenza in capo al precedente dante causa. La disposizione in esame si applica ai soggetti Ires; tuttavia, per effetto del rinvio operato dall’art. 56 del Tuir, essa può riguardare anche altri soggetti tassabili secondo le regole del reddito d’impresa, ossia le imprese individuali e le società di persone. Di fatto le minusvalenze in esame sono relative a partecipazioni che avrebbero i requisiti per la participation exemption, e che tuttavia non ne possono di fatto beneficiare in quanto classificate tra l’attivo circolante, o cedute prima del compiersi del periodo minimo di possesso. 79 Convertito, con modificazioni, dalla Legge n° 248 del 2 dicembre 2005. Nel caso in cui le partecipazioni abbiano i requisiti per l’applicazione del regime <p.e.x.> le minusvalenze realizzate sono sempre indeducibili. 81 La residenza fiscale e la natura commerciale dell’attività esercitata. 80 21 Marta Maria Pedrinola Costituiscono oggetto della disciplina di contrasto al dividend washing le cessioni di azioni, quote e strumenti similari alle azioni, comprese quelle effettuate nell’attività di trading che diano origine a minusvalenze 82 o ad altre differenze negative, emergenti dall’alienazione di titoli iscritti nell’attivo circolante 83 . Dalla lettura combinata dei nuovi commi 3-bis e 3-ter dell’articolo 109 del Tuir 84 emerge che la disposizione sulla indeducibilità delle minusvalenze opera se 85 : 1) la cessione ha ad oggetto titoli partecipativi, posseduti da meno di trentasei mesi, i quali al contempo: i) non rientrino nel regime <pex> 86 , ii) presentino i cosiddetti “requisiti di natura oggettiva” richiesti per l’applicazione del regime <pex>, relativi alla residenza fiscale della società partecipata e all’attività commerciale da questa esercitata; 2) la distribuzione di dividendi è avvenuta nei trentasei mesi precedenti la cessione del titolo. I dividendi da considerarsi sono quelli che hanno potenzialmente determinato il conseguimento della minusvalenza. Si tratta pertanto dei dividendi relativi ai medesimi titoli oggetto di cessione, e percepiti durante il periodo di possesso. Non assumono pertanto rilievo i dividendi relativi ad altre categorie di partecipazioni, e risulta dunque necessario correlare analiticamente il dividendo alla specifica partecipazione che ha prodotto la minusvalenza. Da ciò deriva che non debbono venire considerati – ai fini dell’individuazione dell’importo dei dividendi da confrontare con le minusvalenze – i dividendi relativi a titoli che si qualifichino per il regime di participation exemption, in considerazione del fatto che le eventuali minusvalenze scaturenti dalla cessione di tali titoli non potranno mai 82 Differenza negative tra il corrispettivo ricevuto e il valore fiscalmente riconosciuto della partecipazione o degli altri titoli partecipativi iscritti nelle immobilizzazioni finanziarie. 83 La norma è applicabile a prescindere dalla modalità di iscrizione in bilancio della partecipazione, e perciò anche se essa è iscritta nell’attivo circolante e genera ricavi ex art. 85 Tuir anziché plusvalenze e minusvalenze. 84 Secondo Assonime la norma può essere disapplicata a seguito della presentazione di apposita istanza che dimostri il non verificarsi di effetti elusivi (Circolare n. 13 del 21 aprile 2006). 85 Si veda la Circolare n. 23 del 6 novembre 2007 dell’Agenzia delle Entrate. 86 Nel regime della participation exemption sono fiscalmente irrilevanti le minusvalenza, o le altre differenze negative. 22 I gruppi societari e le loro politiche tributarie: il dividend washing costituire componenti negativi deducibili all’atto della determinazione dell’imponibile 87 . 4.3.3. Relazioni con la clausola antielusiva generale Come già in precedenza accennato, la disposizione relativa al dividend washing opera presunzioni legali con riguardo alle operazioni considerate elusive. E’ dunque interessante analizzare come possa essere applicata la clausola antielusiva 88 , contenuta nell’articolo 37-bis del D.P.R 600 del 1973, al di fuori dei parametri stabiliti dallo stesso articolo 109. Anche tale clausola elenca tassativamente tutte le fattispecie considerate potenzialmente elusive, e presuppone quindi che tutte le tipologie non espressamente codificate fuoriescano dall’ area dell’elusione fiscale. Lo stesso articolo 109 afferma esplicitamente l’applicabilità dell’ art. 37-bis e lo richiama espressamente al comma 3-quater 89 . Assonime 90 nella circolare n. 54 del 7 ottobre 2005, si è espressa dicendo che: “pur essendo una disposizione il cui ambito applicativo lascia adito a dubbi interpretativi, essa dovrebbe essere intesa nel senso di confermare l’applicabilità della regola antielusiva generale anche alle operazioni che raggiungono effetti similari a quelli delle cessioni di partecipazioni <utilicompresi> e che, però, in luogo di minusvalenze generano differenziali negativi di natura finanziaria[…]”. Tale richiamo vuole significare che l’indeducibilità della minusvalenza può venire provata dall’amministrazione finanziaria, in applicazione dell’art. 37-bis, anche con riferimento a fattispecie diverse da quelle per la quale operi la presunzione legale prevista dall’art. 109 Tuir, qualora paiano ispirate al medesimo intento elusivo. Ancora, l’aver ribadito che rimane ferma l’applicazione dell’articolo 37-bis, a prescindere dal comma 8, lascia chiaramente intendere che qualsiasi comportamento riconducibile al fenomeno del dividend washing, che miri ad aggirare i commi 3-bis e 3-ter, è suscettibile di sindacato di elusività da parte dell’Amministrazione 87 Cfr. Circolare n. 21/E del 14 giugno 2006 dell’Agenzia delle Entrate. L’elusione viene identificata dall’articolo 37-bis del D.P.R. 600/1973 con “gli atti, i fatti ed i negozi, anche collegati tra loro, privi di valide ragioni economiche, diretti ad aggirare obblighi o divieti previsti dall’ordinamento tributario e ad ottenere riduzioni d’imposte o rimborsi altrimenti indebiti ”. 89 Il quale recita: “Resta ferma l’applicazione dell’articolo 3-bis del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600”. 90 L’Assonime, Associazione fra le Società per Azioni, è stata costituita il 22 novembre 1910 per iniziativa di un gruppo di imprenditori esponenti delle più importanti società industriali e finanziarie dell'epoca. L’Assonime oggi rappresenta il mondo delle società di capitali nelle sue diverse articolazioni (industriale, finanziaria, assicurativa, dei servizi). 88 23 Marta Maria Pedrinola finanziaria, ai sensi della disposizione antielusiva generale di cui all’articolo 37-bis citato. La clausola antielusiva di cui all’articolo 37-bis può trovare quindi applicazione con riguardo, ad esempio 91 : 1) alle minusvalenze che residuino dall’applicazione della norma sul dividend washing, in quanto eccedenti l’ammontare dei dividendi esenti percepiti nei 36 mesi precedenti la cessione; 2) alle minusvalenze relative a cessioni effettuate prima del 1° gennaio 2006; 3) a tutti i casi in cui, pur non trovando applicazione la norma specifica sul dividend washing, la complessiva operazione –in cui si inserisce la cessione di partecipazioni <utili compresi>– sia comunque da considerarsi elusiva ai sensi dell’articolo 37-bis. Per favorire l’azione di controllo delle operazioni prima richiamate, l’art. 5-quinquies, comma 3, ha previsto che il contribuente debba comunicare all’Agenzia delle Entrate una serie di informazioni tese a verificare la nonelusività delle operazioni su azioni ed altri titoli quotati, realizzate a decorrere dal 1° gennaio 2004, ciò quando le minusvalenze e le differenze negative derivanti dall’operazione risultino di ammontare superiore a 50.000 euro. 5. Conclusioni Il fenomeno del gruppo di società è apparso, in Italia come in altri Paesi, quale risposta all’ esigenza di adeguare le strutture societarie a settori e mercati più articolati e di maggiori dimensioni. Di conseguenza, mentre dal punto di vista economico esso ha conseguito piena autonomia e riconoscimento scientifico, dal punto di vista giuridico costituisce fattispecie in via di perenne definizione il cui procedimento sistematico non può ritenersi ancora completato. A livello Europeo esistono però eccezioni: alcuni Stati 92 , quali la Germania, sono già dotati, e da tempo, di una specifica disciplina sui gruppi. In particolare l’Aktiengesetz tedesco del 1937, riformato nel 1965, definisce la fattispecie di gruppo –c.d. Konzern–, qualora: “un’ impresa dominante ed una o più imprese dipendenti sono riunite sotto la direzione unitaria dell’impresa dominante”. Ciò che caratterizza il <Konzern>, è 91 Si veda la circolare n. 21/E dell’Agenzia delle Entrate. Anche in Portogallo è presente una disciplina completa in materia di gruppi, introdotta nel 1986, con la legge 2 settembre, n. 262 92 24 I gruppi societari e le loro politiche tributarie: il dividend washing dunque l’unicità di indirizzo economico, il fatto cioè che la gestione di più imprese, pur giuridicamente autonome, venga condotta nelle sue linee essenziali con finalità unitarie 93 . Gli interessi perseguiti dai gruppi di società sono molteplici, e vi è anzi da chiedersi se sussista un interesse del gruppo distinto e autonomo rispetto all’interesse delle singole società, dei singoli azionisti, top manager , o se invece gli interessi di questi ultimi trovino una loro manifestazione –forse proprio egoistica– nella creazione e gestione del gruppo. In sostanza, può il gruppo venire considerato organismo con interessi propri? Tale quesito è peraltro noto al pensiero giuridico 94 , che lo ha studiato nelle forme dell’ istituzionalismo e del contrattualismo. La dottrina istituzionalista, i cui massimi esponenti sono gli americani 95 T. Veblen e J.R. Commons, concepisce l’impresa come <ordinamento giuridico>, < mondo in sé> in cui confluisce una pluralità di interessi superiori e comunque non necessariamente coincidenti con quelli dei titolari dell’impresa 96 . “Essa è un esempio tipico di istituzione, infatti ricorrono tutti i suoi elementi caratteristici: il fine comune, cioè il conseguimento di un risultato produttivo socialmente utile, che supera i fini individuali dell’imprenditore […] 97 ”. Esemplificativa a tal riguardo è la vicenda 93 L’intento del Legislatore tedesco di dare certezza alle situazioni di raggruppamento di imprese, portandole alla luce, al fine di disciplinarle compiutamente, e’ stato quindi attuato mediante la creazione e la combinazione di particolari strumenti giuridici e di presunzioni legali. Ciò che caratterizza la soluzione tedesca è la fondamentale distinzione tra gruppi contrattuali e gruppi di fatto. La decisione circa la stipulazione del contratto di dominazione è completamente libera e rimessa alla scelta discrezionale degli operatori: proprio da questa scelta di fondo la legge ha fatto derivare l’applicazione di una disciplina differenziata. A seguito della stipula del contratto di dominazione all’impresa dominante è attribuito il diritto di dirigere l’impresa dominata impartendole ordini e direttive, anche per essa pregiudizievoli, finalizzati al perseguimento dell’ interesse generale del gruppo. In mancanza del contratto di dominazione il potere direttivo della capogruppo incontra limiti ed oneri, che, nell’intenzione del Legislatore, avrebbero dovuto dissuadere gli operatori dal costituire «gruppi di fatto» e li avrebbero dovuti indurre a formalizzare il potere di direzione attraverso il vincolo contrattuale. In caso di gruppo di fatto l’impresa controllante - in particolare - non può, avvalendosi della propria influenza, indurre le imprese dipendenti al compimento di atti od operazioni ad esse pregiudizievoli. 94 Per un’esposizione delle opposte teoria cfr. P.G. JAEGER, L’interesse sociale, Giuffrè, Milano, 1963; D. PREITE, Abuso di maggioranza e conflitto di interessi del socio nelle società per azioni in "Trattato delle società per azioni" diretto da G.E. Colombo e G.B.Portale, UTET, Torino, 1993. 95 Cfr. Y. BIONDI, “Zappa, Veblen, Commons. Azienda e istituzioni nel formarsi dell’Economia Aziendale”. Paper n. 39 del dipartimento di Economia Aziendale Università degli studi di Brescia, dicembre 2004. 96 Cfr. G. COTTINO, “Contrattualismo e istituzionalismo”, in Rivista delle Società, fascicolo 4, 2005 97 Cfr. A. ASQUINI, “Battelli del Reno” pag. 221 e ss. in Scritti, III, Padova, 1961. 25 Marta Maria Pedrinola dell’amministratore delegato del “Norddeutscher Lloyd” –compagnia che assicurava la navigazione lungo il fiume Reno– il quale, agli inizi del secolo appena trascorso, agli azionisti che si dolevano per l’esiguità dei dividendi, ebbe a replicare che la società non operava per “distribuire dividendi, ma per far navigare i battelli sul Reno98 ” Tale teoria si ricollega alla visione dell’ Unternehmen an sich 99 , la quale considera l’interesse sociale trascendente rispetto a quello personale dei soci per identificarsi nell’interesse <dell’impresa in sé>, ossia nell’interesse dell’efficienza produttiva della società, considerata quest’ultima non come mezzo per massimizzare il profitto, ma come strumento di sviluppo economico generale. Contrapposta alla concezione istituzionalista, vi è la c.d. teoria contrattualistica, di influenza liberista, la quale ha avuto grande importanza negli anni Trenta e Quaranta del Novecento, quando ci fu il passaggio dal vecchio al nuovo diritto commerciale. Secondo tale dottrina l’interesse sociale si pone non come interesse di un’entità distinta e contrapposta ai soci, ma come interesse comune di questi ultimi. “Il concetto di interesse sociale inteso quale interesse comune dei soci viene utilizzato da questa teoria come limite al prepotere della maggioranza e (dunque) come limite posto a tutela della minoranza 100 ”. Sul punto, in luogo di pensare a un’antitesi, si può forse richiamare un pensiero di Gastone Cottino cioè che “non sia inevitabile cadere prigionieri di alternative e soluzioni così rigidamente drastiche e cristallizzate forse per meglio combatterle, in una contrapposizione quasi frontale, fideisticamente e persino un po’ caricaturalmente connotata 101 ”. E’ importante invece ricordare che l’ impresa –intesa nella concezione Zappiana quale istituto economico destinato a perdurare 102 – è dotata di autonomia e permanenza, qualità che le permettono di oltrepassare la frammentarietà e il cambiamento continuo e di moderare gli interessi individuali in vista delle finalità comuni 103 . Essa, aggiungeva Pietro Onida, per questo è caratterizzata dall’unità nella molteplicità, e dalla permanenza nella mutabilità 104 . Le imprese sono aziende in vita per produrre redditi e 98 Cfr. A. ASQUINI, “I Battelli del Reno”. Ma il pensiero va a W. RATHENAU, La realtà delle Società per Azioni, <Rivista delle Società>, 1960. 99 Teoria proposta in Germania, nel primo dopoguerra, da Walter Rathenau. 100 Cfr. F. GALGANO, “Trattato di diritto commerciale e di diritto pubblico dell’economia,” 1984, vol. VII, Le spa, p. 64. 101 Cfr. G. COTTINO, op. cit. 102 Cfr. G. ZAPPA, “Le produzioni nell’economia delle imprese”, Giuffré, Milano 1957. 103 Cfr. Y. BIONDI, op. cit. 104 Cfr. P. ONIDA, Economia d’azienda, UTET, Torino 1960, pag. 3. 26 I gruppi societari e le loro politiche tributarie: il dividend washing riprodurre capitali, distribuendoli ai vari portatori di interessi istituzionali: esse si dispiegano quindi nello spazio e nel tempo prescindendo dal cambiamento delle varie tipologie di shareholders e stakeholders, forse animate da un interesse proprio, così come individuato dalla concezione istituzionalista. Al di là quindi delle concezioni giuridiche istituzionalista o contrattualista, o della loro commistione, rileva pertanto l’economicità di lungo periodo del gruppo nel suo insieme, dunque di tutte le componenti del medesimo senza speciali privilegi per la holding. Nella prassi, spesso, il gruppo di controllo tende a privilegiare quest’ultima; ma è solo attraverso l’ autonomia e lo sviluppo continuato e durevole di tutte le unità del sistema che il gruppo può effettivamente trovare ragioni di economicità duratura. Ciò ancor più nei casi in cui l’indipendenza di alcune unità sia così marcata che le stesse risultino quotate nelle Borse-Valori, dunque con un sistema di obblighi –e di attese da parte di altri azionisti e stakeholders– che necessitano di soddisfacimento autonomo. Rientrano allora in tali obblighi, intesi in senso lato, tutte le politiche aziendali tese all’ottimizzazione del sistema, e non all’avvantaggiamento –forse egoistico e patologico– di alcune sue parti; sul punto si rammentino le politiche degli approvvigionamenti, produttive, commerciali, ma poi soprattutto finanziarie, per le connessioni molteplici che, nell’ambito dei gruppi, a questo titolo si attuano. E’ proprio per tali motivi che insiste l’Economia Aziendale sui concetti di combinazioni produttive, ma poi soprattutto di coordinazioni lucrative, le quali nell’ambito dei gruppi non dovrebbero venire piegate (come talora avviene) ai vantaggi privati dei gruppi di controllo. Rientrano con particolare rilievo in tali politiche –dato il tema qui trattato– le politiche tributarie, che si ritiene debbano ottimizzare a propria volta il carico tributario del gruppo in luogo di minimizzarne l’incidenza per la sola holding, e ciò proprio per i motivi sopra richiamati: dal punto di vista economico-aziendale il gruppo come un’unità organica da gestire, dal punto di vista giuridico il gruppo come un’Unternehmen an sich e, quand’anche un insieme contrattuale di S.p.A., di unità ciascuna con diritti e obblighi singolari. A quel fine –appunto ottimizzare a propria volta il carico tributario del gruppo– ogni e qualsivoglia politica può venire utilizzata, anche c.d. elusiva, purché economicamente fondata, compreso il dividend washing. Sempre per i motivi visti prima peraltro, né solo per mere ragioni di ossequio alle leggi, tale utilizzazione non dovrà venire sfruttata a fini di convenienza atomistica e momentanea: anche per non coinvolgere il gruppo, e l’ architettura dello stesso, in operazioni fondate sulla mera convenienza 27 Marta Maria Pedrinola tributaria, ma disorganiche –ove non dannose– rispetto alle politiche e alle convenienze unitarie del gruppo stesso. 28 I gruppi societari e le loro politiche tributarie: il dividend washing Appendice I Lesione patrimoniale e <benefici compensativi> nelle società appartenenti a gruppi CORTE DI CASSAZIONE, 24 agosto 2004, n. 16707 – Losavio Pres. – Rordorf Est. – Fiorini c. Scotti finanziaria s.p.a. 105 (Omissis) Non v’è dubbio che la responsabilità di amministratori di società presuppone immancabilmente la violazione di doveri giuridici – di azione o di omissione – posti a loro carico dalla legge o dall’atto costitutivo della società (art. 2392, comma 1, cod. civ.). Si suole talvolta affermare che gli amministratori hanno anzitutto un dovere di diligenza (duty of care) cui è strettamente connesso il dovere di operare nell’interesse esclusivo della società da essi amministrata (duty of loyalty). Che la diligenza costituisca propriamente l’oggetto dell’obbligazione gravante sugli amministratori, piuttosto che il metro per valutare il corretto adempimento dal loro obbligo gestorio, è stato in verità messo in dubbio, giacché anche il già citato primo comma dell’art. 2392 si riferisce (nella formulazione anteriore alle modifiche introdotte dal d. lgs. n. 6 del 2003) alla diligenza del mandatario come alla modalità con cui gli amministratori devono o adempiere i loro doveri. Ciò non toglie che il tema della diligenza resti centrale, proprio perché è evidente che l’obbligo di amministrare in via continuativa una società di capitali, ossia un’impresa creata a fini di lucro, difficilmente si presta ad esser totalmente inadempiuto, ma piuttosto è suscettibile di dar luogo a difformi valutazioni quanto al modo del suo adempimento: cioè, appunto, al grado di diligenza con cui l’amministratore vi ha atteso. Si comprende perciò come la diligenza, in presenza di obblighi aventi ad oggetto una prestazione solo genericamente definibile, finisca per assumere una funzione di specificazione dei comportamenti dovuti e quindi, in questo senso, per identificarsi con l’oggetto stesso dell’obbligazione. Quanto appena osservato – è bene sottolinearlo – non implica in alcun modo che gli amministratori possano esser chiamati in responsabilità sol perché la gestione dell’impresa sociale ha avuto un cattivo esito. La valutazione sull’eventuale responsabilità giuridica dell’amministratore, come opportunamente la corte d’appello ha puntualizzato, non attiene al merito delle scelte imprenditoriali da lui compiute. La sua responsabilità giuridica ben può discendere, però, dal rilievo che le modalità stesse del suo agire denotano la mancata adozione di quelle cautele o la non osservanza di quei canoni di comportamento che il dovere di diligente gestione ragionevolmente impone, secondo il metro della normale professionalità, a chi è preposto ad un tal genere di impresa, ed il cui difetto diviene perciò apprezzabile in termini di inesatto adempimento delle obbligazioni su di lui gravanti. Non può infatti prescindersi dall’ovvia considerazione che la diligenza è qui, come del resto quasi sempre, espressione del fondamentale dovere di correttezza e buona fede richiamato in termini generali dagli artt. 1175 e 1375 cod. civ. Nel caso degli amministratori di società, come in tutti i casi di gestione di interessi altrui, tale dovere assume ancor più che altrove i caratteri del dovere di protezione dell’altrui sfera giuridica: il dovere di prendersi cura dell’interesse di colui (individuo o ente) che ha incaricato il gestore dell’amministrazione delle proprie attività e, per ciò stesso, lo ha investito di un compito con indubbia connotazioni fiduciarie. Ma gli amministratori di società, pur essendo tenuti alla diligenza del mandatario (secondo l’espressione adoperata nel testo originario del citato art. 2392), non sono in senso proprio dei mandatari della società: sono, invece, titolari di un organo 105 Il testo integrale della sentenza è disponibile sul sito www.dircomm.it 29 Marta Maria Pedrinola essenziale per l’esistenza stessa dell’ente ed, in quanto tali, impersonano nell’impresa collettiva la figura dell’imprenditore. La loro attività, traducendosi nella gestione di un’impresa commerciale cui è connaturato il carattere professionale dell’esercizio di un’attività economica organizzata (art. 2082 cod. civ.), assume dunque i colori della professionalità che naturalmente si riverberano anche sul parametro della diligenza (come del resto ora conferma anche il nuovo testo del medesimo art. 2392, riformato dal d. lgs. n. 6 del 2003). Quanto appena osservato implica anche, con ogni evidenza, la centralità che nell’operato dell’amministratore assume il profilo della fedeltà all’interesse della società da lui amministrata. È suo dovere primario di perseguire tale, sicché ogni sua azione o omissione che sia invece diretta a realizzare un interesse diverso, ed in contrasto con quello, si configura immancabilmente come violazione del dovere di fedeltà immanente alla carica: potenzialmente generatore di responsabilità civile, anche indipendentemente dal vizio che ne possa derivare per la deliberazione consiliare e dal regime della relativa impugnabilità ex art. 2391 cod. civ. Della peculiare curvatura che talvolta può assumere questo dovere di fedeltà dell’amministratore all’interesse sociale, in caso di società facente parte di un gruppo, si avrà modo di far cenno in seguito. È ovvio che, nel quadro dei principi così sommariamente richiamati (su cui vedi anche, tra le altre, Cass. 28 aprile 1997, n. 3652; e Cass. 4 aprile 1998 n. 3483), l’accertamento e la valutazione dei comportamenti che, nei singoli casi, sono in concreto idonei ad integrare gli estremi della responsabilità dell’amministratore, per violazione dei doveri di diligenza e fedeltà di cui s’è detto, compete al giudice di merito, il cui giudizio sui profili di fatto non è censurabile in sede di legittimità se non per eventuali vizi della motivazione, riconducibili alla previsione dell’art. 360 n. 5, cod. proc. civ. È proprio sotto questo ultimo aspetto che assume consistenza la censura rivolta dalla società ricorrente all’impugnata sentenza, restando in essa assorbita la doglianza di violazione o falsa applicazione dell’art. 116 cod. proc. civ., priva invero di un adeguato supporto argomentativo. La corte d’appello, nell’esaminare la vicenda di cui specificamente si sta ora trattando, non sembra aver voluto discostarsi dalla ricostruzione dei fatti prospettata dalla difesa della Scotti Finanziaria. Nulla almeno si legge, nell’impugnata sentenza, che valga a porre in dubbio le circostanze dell’avvenuta vendita di un complesso immobiliare di detta società in favore della controllata Arvedi s.r.l., del sorgere di un conseguente ingente debito di quest’ultima per il pagamento integrale del corrispettivo, non assistito da garanzia veruna, e della quasi immediatamente successiva cessione a terzi della partecipazione totalitaria della Scotti Finanziaria nella Arvedi per un prezzo di gran lunga inferiore a quello della precedente vendita immobiliare. Del pari incontestato è che la medesima Arvedi fu in seguito dichiarata fallita, onde è quanto meno ragionevole la presunzione logica che il credito per il pagamento del prezzo di vendita del complesso immobiliare dianzi menzionato, non assistito da alcuna causa di privilegio, sia rimasto (in tutto o in parte) insoddisfatto. Questi essendo i fatti addotti dalla società a sostegno della pretesa risarcitoria esercitata nei confronti dell’ex amministratore sig. Fiorini, che si assume essere stato l’autore di tali operazioni, le principali questioni da dirimere erano (e sono): se tali operazioni – non ciascuna separatamente considerata, ma nella loro apparente concatenazione – siano espressione di un comportamento gestorio privo delle elementari cautele, indispensabili per la salvaguardia dell’interesse della società amministrata, o addirittura tali da denotare l’intento di piegare quell’interesse a beneficio di terzi; se l’eventuale violazione dei doveri di diligenza e fedeltà imputabile all’amministratore abbia o meno arrecato un danno patrimoniale alla Scotti Finanziaria; e se siano stati forniti da quest’ultima elementi sufficienti per la quantificazione e liquidazione di tale danno. La sentenza impugnata viceversa, non si sofferma in modo esplicito a valutare la correttezza del comportamento dell’amministratore; e non ha torto la società ricorrente nel 30 I gruppi societari e le loro politiche tributarie: il dividend washing rilevare criticamente che la corte d’appello sembra aver appuntato la propria attenzione piuttosto su risvolti secondari della vicenda - quale la dilazione di pagamento concessa all’acquirente della partecipazione in Arvedi – che non sull’essenza delle descritte operazioni e sul fatto che, attraverso di esse, si direbbe esser stato sottratto alla Scotti Finanziaria il proprio patrimonio immobiliare senza alcuna effettiva contropartita. In quest’ottica anche la circostanza che il sig. Fiorini (a quanto si assume) abbia poi attestato falsamente l’avvenuto pagamento del prezzo di vendita degli immobili ceduti dalla Scotti Finanziaria alla Arvedi non può essere logicamente accantonata in base al solo rilievo che essa «non avrebbe potuto avere di per sé effetti negativi». Occorrerebbe pur sempre valutare se quella circostanza – ove risponda al vero – non sia comunque indicativa di un comportamento volto ad occultare precedenti responsabilità dell’amministratore; e se dunque essa non assuma rilievo ai fini della prova della consapevole violazione, ad opera dal medesimo amministratore, nel compimento delle consecutive operazioni di vendita immobiliare e di cessione di partecipazioni sociali sopra descritte, del suo dovere di serbarsi fedele all’interesse della società da lui amministrata. Mal si comprende, poi, su quale base fattuale e logica riposi l’affermazione per cui non sarebbe stata dimostrata «l’incidenza del comportamento addebitato all’amministratore sul patrimonio della Scotti Finanziaria». Se le circostanze sopra riferite rispondono al vero – e si è visto che la corte d’appello non sembra metterlo sostanzialmente in dubbio – l’incidenza negativa delle descritte operazioni sul patrimonio della società evidentemente consisteva nella perdita di un ingente patrimonio immobiliare a fronte dell’acquisizione di un credito di difficile esazione vantato verso una società ormai fuori controllo; ed il rilievo è tale da rendere logicamente poco pertinente e financo scarsamente plausibile il dubbio, affacciato nell’impugnata sentenza, se l’amministratore potesse o meno rappresentarsi ex ante il danno conseguente alla scelta intrapresa. Non adeguatamente spiegata è altresì la ragione per cui la corte d’appello, ai fini di escludere la responsabilità del sig. Fiorini nel contesto della vicenda sopra riferita, ha reputato rilevante la successiva concessione in pegno al Credit Lyonnais del più volte menzionato credito vantato dalla Scotti Finanziaria nei confronti della (ormai ex controllata) Arvedi per il residuo prezzo degli immobili a quest’ultima venduti. Se la corte territoriale ha inteso ipotizzare che un tale utilizzo del credito dimostrerebbe come la Scotti Finanziaria abbia comunque tratto vantaggio dall’operazione, e come dunque essa non sia stata spogliata senza contropartita del suo patrimonio immobiliare, sarebbe stato almeno necessario chiarire i termini sottostanti la menzionata dazione di pegno. Non è chiaro, invece, in qual modo questa abbia potuto arrecare beneficio al patrimonio della Scotti Finanziaria (ad onta del fatto che il credito dato in pegno, a causa del sopravenuto fallimento della relativa debitrice, è rimasto probabilmente insoluto), dal momento che la medesima sentenza, riferendosi al credito garantito dalla dazione di pegno, si limita a ricollegare la concessione di tale garanzia all’esposizione debitoria che verso il Credit Lyonnais avevano la Sasea ed altre società del gruppo, senza in alcun modo precisare se anche la Scotti Finanziaria fosse tra queste o comunque sotto quale profilo la concessione di quel pegno potesse riflettersi a suo vantaggio. Si ricollega a quanto appena osservato anche un’ultima considerazione della corte d’appello: quella secondo cui non sarebbe stato «chiarito se il sacrificio immediato fosse del tutto ingiustificato in quanto non accompagnato dall’aspettativa di un beneficio futuro». Il rilievo riconduce al tema, cui già s’è fatto cenno, dei cosiddetti “vantaggi compensativi” dei quali una singola società sarebbe in grado di fruire in conseguenza della sua appartenenza ad un più ampio gruppo di imprese e che, in quanto tali, potrebbero quindi neutralizzare l’apparente pregiudizio ad essa arrecato da un’operazione vantaggiosa per il gruppo. 31 Marta Maria Pedrinola Una siffatta eventualità (oggi espressamente considerata in una disposizione del novellato art. 2497 cod. civ., non però direttamente applicabile a fattispecie realizzatesi in epoca anteriore all’entrata in vigore del d. lgs. n. 6 del 2003) è da ritenersi sicuramente ammissibile. L’autonomia soggettiva e patrimoniale che pur sempre contraddistingue ogni singola società appartenente ad un gruppo impone all’amministratore di perseguire prioritariamente l’interesse della specifica società cui egli è preposto; e dunque non gli consente di sacrificarne l’interesse in nome di un diverso interesse che, se pure riconducibile a quello di chi è collocato al vertice del gruppo, non assumerebbe alcun rilievo per i soci di minoranza e per i terzi creditori della società controllata. Ciò però non esclude affatto la possibilità di tener conto di valutazioni afferenti alla conduzione del gruppo nel suo insieme, purché non vengano in tal modo pregiudicati ingiustificatamente gli interessi delle singole società. E, nel valutare se un siffatto pregiudizio in concreto sussista, è doveroso tener conto che la conduzione di un’impresa di regola non si estrinseca nel compimento di singole operazioni, ciascuna distaccata dalla precedente, bensì nella realizzazione di strategie economiche destinate spesso a prender forma e ad assumere significato nel tempo attraverso una molteplicità di atti e di comportamenti. Sicché è perfettamente logico che anche la valutazione di quel che potenzialmente giova, o invece pregiudica, l’interesse della società non possa prescindere da una visione generale: visione in cui si abbia riguardo non soltanto all’effetto patrimoniale immediatamente negativo di un determinato atto di gestione, ma altresì agli eventuali riflessi positivi che ne siano eventualmente derivati in conseguenza della partecipazione della singola società ai vantaggi che quell’atto abbia arrecato al gruppo di appartenenza. In un simile contesto, tuttavia, l’eventualità che un atto lesivo del patrimonio della società trovi compensazione nei vantaggi derivanti dall’appartenenza al gruppo non può essere posta in termini meramente ipotetici. Se si accerta che l’atto non risponde all’interesse diretto della società il cui amministratore lo ha compiuto e che ne è scaturito nell’immediato un danno al patrimonio sociale, potrà ben ammettersi che il medesimo amministratore deduca e dimostri l’esistenza di una realtà di gruppo alla luce della quale anche quell’atto è destinato ad assumere una coloritura diversa e quel pregiudizio a stemperarsi; ma occorre che una tal prova egli la dia. Non può, viceversa, sostenersi – come sembra fare la corte d’appello - che la mera appartenenza della società ad un gruppo renda plausibile l’esistenza dei suddetti “benefici compensativi” e che, pertanto, competa alla società la quale abbia agito contro il proprio amministratore l’onere di dimostrarne l’inesistenza. Viceversa, la società attrice esaurisce il proprio onere probatorio dimostrando l’esistenza di comportamenti dell’amministratore che ledono il patrimonio dell’ente e perciò appaiono contrari al suo obbligo di perseguire lo specifico interesse sociale. È il medesimo amministratore, se del caso, che deve farsi carico di allegare e provare gli ipotizzati benefici indiretti, connessi al vantaggio complessivo del gruppo, e la loro idoneità a compensare efficacemente gli effetti immediatamente negativi dell’operazione compiuta. In definitiva, quindi, la motivazione dell’impugnata sentenza non riesce a dar conto in termini sufficientemente logici e coerenti delle ragioni che hanno indotto la corte di merito ad escludere che il comportamento tenuto dal sig. Fiorini nella vicenda da ultimo riferita possa rivestire gli estremi della violazione dei doveri inerenti, alla sua carica di amministratore della Scotti Finanziaria ed aver recato danno a quest’ultima. Il ricorso della Scotti Finanziaria va quindi accolto, limitatamente a siffatto profilo di doglianza e nei riguardi del solo sig. Fiorini, con conseguente cassazione della impugnata sentenza e rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Milano, la quale, nel rispetto dei principi di diritto dianzi richiamati, procederà ad un nuovo esame della vicenda adeguatamente motivando la propria valutazione sui punti posti sopra in evidenza. (Omissis). 32 I gruppi societari e le loro politiche tributarie: il dividend washing Appendice II La concorrenza tributaria tra Stati La concorrenza tributaria tra Stati dipende in larga misura dalla diversità delle aliquote applicabili nei 25 Stati dell’Unione Europea. Nella seguente tabella, se ne presenta una sintesi: EU corporate income tax rates, 2007 35% - 40% .………………..Germany, Italy 30% - 35% ………………...Belgium, France, Spain, United Kingdom. Malta 25% - 30% ………….......... Denmark, Finland, Luxembourg, Netherland, Portugal, Sweden 20% - 25% .......................….Austria, Greece, Czech Republic, Estonia, Slovenia 15% - 20% …………………Hungary,Latvia, Lithuania, Slovakia, Romania 10% - 15% …………………Ireland, Poland O% - 10% …………………Bulgaria, Cyprus Note: Countries are categorized according to the basic maximum rate including existing surcherges and averages of local taxes. Estonia: The rate refers only to distributed profits; the tax rate on retained earning is zero. France: The standard CIT rate is 33,3%. The rates for France refger to large companies and include additional surcharges paid by them. Italy: The rate includes Irap (4.25%). Lithuania: A "social tax" was introduced in 2OO6 for two years. Portugal: The rate includes the maximum 1.5% rate of municipal surcharge. Secondo l’opinione prevalente, gli Stati, liberi nel fissare le aliquote di imposta, dovrebbero adottare regole comuni per determinare il reddito imponibile. Il buon funzionamento del mercato dipende dall’eliminazione degli ostacoli fiscali e fra questi rientrano le doppie imposizioni. Per quanto riguarda particolarmente il settore della tassazione delle imprese, l’ulteriore passo potrebbe essere l’adozione di una base imponibile consolidata costruita secondo regole europee, che si affiancherebbe, senza sostituirle, alle basi imponibili determinate secondo le regole dei singoli Stati membri e adottata in via opzionale dalle Società europee. Poiché la determinazione del reddito imponibile avverrebbe al livello del gruppo, la base comune dovrebbe essere accompagnata da una formula automatica che permetta la ripartizione degli utili consolidati fra i diversi Stati in cui il gruppo opera. In ogni caso, alle società che dovessero scegliere la base comune si applicherebbero le aliquote stabilite singolarmente da ciascuno Stato Membro. Secondo il Ceradi (Università Luiss) l’introduzione di un’ imposta comune è stata ritenuta la soluzione più in linea con le esigenze delle imprese multinazionali e più accettabile per gli Stati membri. La sua attuazione, tuttavia, richiede una concreta iniziativa armonizzatrice delle istituzioni 33 Marta Maria Pedrinola comunitarie che ha consigliato alla Commissione di sviluppare il progetto in stretta collaborazione con gli Stati membri. Nonostante le difficoltà politiche che l’adozione della CCCTB comporta, la Commissione ha recentemente confermato la propria intenzione di presentare una proposta contenente la normativa in materia di base imponibile consolidata comune per le società europee entro il 2008 e, nell’ipotesi in cui non si raggiungesse l’unanimità dei consensi, di non accantonare comunque il progetto CCCTB, ma di valutare l’opportunità di avvalersi della procedura di cooperazione rafforzata prevista dall’ articolo 11 del Trattato istitutivo della Comunità Europea, che autorizza un gruppo di Stati membri (almeno Otto) a portare avanti determinate politiche. La presenza di Paesi dell’Est è resa necessaria dall’allargamento dell’Unione Europea, che ha aperto nuovi e più complessi scenari. Non si può, infatti, non evidenziare la possibilità di problemi nuovi di integrazione fra sistemi fiscali, spesso molto diversificati fra loro e rispetto agli altri Stati membri, problemi che fino a ora non si erano posti per l’integrazione fra i Paesi dell’Europa occidentale, accomunati da storia politica ed economica. Indubbiamente un corretto sistema fiscale è condizione essenziale per uno Stato democratico e costituisce anche la base per la collaborazione, non solo economica, per paesi che mirano ad unirsi o confederarsi come è avvenuto per l’Unione Europea. Uno tra tutti si riporta l’esempio del Lussemburgo, ove le principali imposte cui sono assoggettate le società sono rappresentate dall’imposta sui redditi societari e dall’imposta municipale sull’attività d’impresa. La base imponibile dell’imposta sui redditi societari è determinata dalla differenza tra le attività nette al termine dell’esercizio e quelle risultanti all’inizio del periodo, opportunamente valutate sulla base dei criteri specifici dettati dal Legislatore tributario. La percentuale di imposizione è del 22% su cui viene applicato un sovraccarico del 4% ed una tassa societaria comunale che varia per ogni comune. L’imposta sui redditi societari totale per la città di Lussemburgo è attualmente pari al 29.63%. L’annunciata riduzione dell’imposta sui redditi delle società da 29.63% a 25.5% dovrà essere attuata in due fasi - gennaio 2009 e gennaio 2010 - e dovrà venire accompagnata da misure volte all’allargamento delle basi imponibili delle imprese. L’imposta municipale sull’attività d’impresa si applica ai soggetti che svolgono attività d’impresa residenti in Lussemburgo o aventi una stabile organizzazione in tale Paese. La base imponibile è costituita dal reddito come determinato ai fini dell’imposta sui redditi societari, per la parte che supera 17.500 euro. L’aliquota d’imposta risulta dal prodotto tra il tasso fisso di base (pari al 3 per cento) e il tasso fissato annualmente dal Comune; l’aliquota totale attualmente vigente nella municipalità di Lussemburgo è del 6,75 per cento. Anche il regime impositivo relativo alle plusvalenze è maggiormente conveniente per cui risulta vantaggioso localizzare la società holding in tale Paese. Un tipico esempio è rappresentato dalla SO.PAR.FI. lussemburghese, ovvero da società di partecipazione finanziaria in grado di esercitare sia attività commerciale, sia gestione di partecipazioni. Queste società sono imponibili in Lussemburgo e beneficiano delle disposizioni della convenzione Internazionale fra Italia e Lussemburgo contro le doppie imposizioni. Per cui in Italia è ammessa la totale deducibilità dei costi sopportati da società residenti nei confronti di SO.PAR.FI. lussemburghesi. Le SO.PAR.FI. godono, inoltre, di trattamenti fiscali agevolati per i redditi derivanti dalla detenzione o dalla cessione di partecipazioni qualificate. In particolare: i) le plusvalenze realizzate a seguito della cessione di partecipazioni sono totalmente esenti da tassazione se la holding detiene almeno il 10% del capitale sociale della partecipata (oppure se il prezzo di acquisto della partecipazione sia stato pari ad almeno 6 Milioni di Euro), se detiene ininterrottamente le partecipazioni da almeno 12 mesi, e se la società partecipata è soggetta nel paese in cui ha residenza fiscale a piena tassazione; 34 I gruppi societari e le loro politiche tributarie: il dividend washing ii) i dividendi percepiti dalle società lussemburghesi sono esenti da imposte sul reddito se: la società lussemburghese detiene direttamente almeno il 10% del capitale sociale della partecipata, (oppure il prezzo di acquisto della partecipazione sia stato pari ad almeno Euro 1.239.467,62), se il periodo di possesso è di almeno 12 mesi ininterrotti, al momento della percezione da parte dei soci italiani della holding i dividendi sono tassati in Italia secondo le regole ordinarie. 35 Marta Maria Pedrinola BIBLIOGRAFIA ABBADESSA P., I gruppi di società nel diritto italiano, in AA.VV., I gruppi di società. 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