IL SACERDOZIO REGALE

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ALBERT VANHOYE
IL SACERDOZIO REGALE
L'espressione «sacerdozio regale» si riscontra soltanto una volta nel
Nuovo Testamento, in un brano molto bello della Prima lettera di
Pietro, nel quale l'apostolo dichiara ai cristiani: «Voi siete un sacerdozio regale» (l Pt 2, 9). Pietro applica così ai cristiani un'espressione del libro dell'Esodo, quale si trova nella traduzione greca dei
LXX. Nell'Esodo si tratta di una promessa di Dio al popolo di Israele: «Se vorrete ascoltare la mia voce e custodirete la mia alleanza,
[... ) voi sarete per me un sacerdozio regale e una nazione santa» (Es
19, 5-6). Ciò che era una promessa condizionata per Israele, è divenuto realtà effettiva per i credenti in Cristo.
Il sacerdozio regale di Cristo
Prima di affrontare il tema del "sacerdozio regale dei cristiani", è
indispensabile delineare brevemente il sacerdozio regale di Cristo
- anche se questa espressione non si trova nel Nuovo Testamento perché il sacerdozio dei cristiani è una partecipazione al sacerdozio
regale di Cristo. La Lettera agli Ebrei attribuisce a Cristo il sacerdozio regale, perché fonda tutta la sua dottrina sull'oracolo del Salmo
110, 4, il quale parla di un sacerdote che allo stesso tempo è anche
un re, cioè Melchisedek.
L'oracolo dice: «Tu sei sacerdote in eterno secondo l'ordine di
Melchisedek». In questo oracolo la parola "ordine" non va presa nel
senso di comando, ma in quello di categoria, perciò viene anche
tradotta «alla maniera di Melchisedeh . L'autore della Lettera agli
Ebrei distingue l'ordine sacerdotale di Melchisedek dall'ordine sacerdotale di Aronne, contrapponendo l'uno all'altro.
Il sacerdozio di Cristo non è levitico, come quello di Aronne e
dei sacerdoti ebrei, ma è di un genere diverso, prefigurato nella Bib-
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bia dal personaggio di Melchisedek che era nel contempo re e sacerdote. Quando nella Lettera agli Ebrei, all'inizio del capItolo settimo, è presentato Melchisedek, si ricorda prima H suo titolo di re,
«re di Salem», e, in secondo luogo, quello di «sacerdote del DlO Altissimo» (v. l). Nel versetto successivo l'autore ha cura di far notare che il nome stesso di Melchisedek contiene il titolo di re (me/eh
in ebraico) e viene tradotto «re di giustizia », mentre salem richiama
la parola ebraica shalom, la pace, di modo che Melchisedek prefigura il re messia, re di giustizia e di pace.
Infatti gli oracoli messianici annunziavano la venuta di un <<Te
di giustizia e di pace», per esempio l'oracolo di. Isaia: «Un bambmo
è nato per noi, ci è stato dato un figlio. [ ... ] E chiamato Pnnclpe
della pace [ ... ] e stabilirà il suo regno con il diritto e la gmstlzla» (Is
9 5-6) . Similmente nello stesso libro di Isaia si annunCIa che Il gerrr:oglio, spuntato dal tronco diJesse, giudicherà con giust~zia e stabilirà una situazione di pace ideale in cui il lupo dlmorera mSleme
con l'agnello (cf Is 11, 1.4.6-8).
. .
Il sacerdozio «secondo l'ordine di Melchisedek» è qumdl un sacerdozio regale; ne è anche testimone il Salmo 110, perché contie~
ne successivamente l'affennazione del potere regale e della dlgmta
sacerdotale per lo stesso personaggio in cui riconosciamo il re messia. Il Salmo riferisce, infatti, due oracoli: il primo di messianismo
regale (è !'inizio del Salmo): «Oracolo del Signore al mio Signore:
"Siedi alla mia destra"», nella posizione del re; il secondo è sacerdotale: «Tu sei sacerdote in eterno, alla maniera di Melchisedek».
I..:autore della Lettera non manca di citare entrambi i passi: in primo luogo l'oracolo di messianismo regale all'inizio della lettera (cf
Eb 1,3.13) perché era più conosciuto dai cristiani e, in un secondo
tempo, quello sacerdotale (cf Eb 5, 6). La sua presentazione del personaggio di Melchisedek illumina retrospettIvamente l paSSI anteriori della Lettera in cui egli ha parlato del potere regale d, Cnsto,
accennando al suo trono (cf Eb l , 8b), al suo scettro (cf Eb l, 8c),
nonché alla sua incoronazione (cf Eb 2, 9) e all'obbedienza che gli
è dovuta (cf Eb 5, 9).
In proposito è importante osservare la relazione posta dall'a~to­
re tra il potere regale di Cristo e il suo sacerdozlO. Mentre nell Antico Testamento si trattava soltanto di una giustappoSlzlOne d, due
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dignità diverse, nella Lettera agli Ebrei troviamo l'affennazione di un
rapporto stretto di causa ed effetto, nel senso che il potere regale viene ottenuto da Cristo per mezzo di un'attività sacerdotale: il suo sacrificio. I..:offerta personale di Cristo ha avuto come risultato il suo
accesso a una posizione di potere regale. I..:autore dice: «Avendo offerto un solo sacrificio per i peccati [ ... ] si è assiso alla destra di Dio»
(Eb lO, 12).
Riletto alla luce di questa frase, il brano che parla dell'incoronazione gloriosa di Gesù esprime la stessa dottrina: «Gesù, che fu
fatto di poco inferiore agli angeli, lo vediamo ora coronato di gloria e onore [come un re] a causa della morte che ha sofferto [a causa del suo sacrificio ] » (Eb 2, 9). !..:incoronazione regale di Cristo è
il risultato della sua morte trasformata in sacrificio, cioè in offerta
quanto mai generosa di obbedienza filiale a Dio e di solidarietà fraterna con noi. Il brano molto importante del capitolo 5, in cui per
la prima volta l'autore adopera il vocabolario "sacrificale", dimostra che l'autorità di Cristo è fondata sul suo sacrificio. Tale sacrificio, per Gesù, è consistito nell'imparare l'obbedienza dalle sue
sofferenze, e in questo modo egli ha ottenuto il diritto all'obbedienza e il potere di salvatore: «Reso perfetto, divenne causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono, essendo stato
proclamato da Dio sommo sacerdote secondo l'ordine di Melchisedek» (Eb 5, 9-10).
Da questi testi si vede che, nel caso di Cristo, non è il sacerdozio a dipendere dal potere regale, ma al contrario, il potere regale a
dipendere dal sacerdozio. Questa constatazione, evidentemente,
deve essere determinante per il modo di concepire il nostro sacerdozio regale. Per esprimere allo stesso tempo la duplice dignità di
Cristo, re e sacerdote, l'autore ha scelto di dargli non il semplice titolo di hiereùs (sacerdote, in greco), come nell'oracolo del Salmo,
ma il titolo più alto di archiereùs, letteralmente "arcisacerdote", cioè
sacerdote-capo. Cristo è un sacerdote che regna, assiso alla destra
di Dio, nei cieli. Per mezzo della sua offerta sacerdotale egli ha ottenuto «ogni potere in cielo e in terra» (Mt 28, 18), come lui stesso
afferma alla fine del Vangelo secondo Matteo. Quindi la nostra pàrtecipazione al sacerdozio di Cristo è una partecipazione al suo sacerdozio regale.
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Sacerdozio regale dei cristiani
Dopo quanto esposto, torniamo al testo della Prima lettera di Pietro. In questa lettera il sacerdozio viene attribuito a tutta la comunità cristiana. L'affermazione su questo punto è netta e ritorna a
due riprese nel corso di una descrizione entusiasmante della condizione cristiana. La prima volta troviamo l'espressione «sacerdozio
santo» Cl Pt 2, 5), la seconda «sacerdozio regale» Cl Pt 2, 9). Il brano in cui sono inserite queste due espressioni costituisce il paragrafo finale (cf l Pt 2, l-la) della prima parte della Lettera. Più di
un commentatore pensa che questa provenga da una catechesi battesimale, perché fin dall'inizio richiama la nuova nascita dei cristiani, mantenendosi poi nella stessa prospettiva. Un'espressione del
testo fornisce a questa ipotesi il suo indizio più convincente: «Come bambini appena nati desiderate il latte spirituale» Cl Pt 2, 2).
Questo versetto si addice soltanto ai nuovi battezzati, ai neofiti, che
sono invitati a desiderare «il latte spirituale », cioè devono aspirare
a ricevere la parola di Dio.
Dal desiderio della Parola , l'apostolo passa al contatto con la
persona del Signore e introduce allora il tema del sacerdozio. Ecco
il testo :
Accostandovi a lui, pietra viva, rigettata dagli uomini , ma scelta e preziosa davanti a Dio, anche voi venite impiega ti come pietre vive per la
cos truzione di una casa spirituale, per un sacerdozio santo, per offrire sacrifici spirituali graditi a Dio, per mezzo di Gesù Cristo.
Si legge infatti nella Scrittura:
"Ecco io pongo in Sion
una pietra angolare, scelta, preziosa
e chi crede in essa non resterà confuso".
Onore dunque a voi che credete; ma per gli increduli
"la pietra che i costruttori hanno scartato
è divenuta pietra angolare,
sasso d'inciampo e pietra di scandalo".
Essi vi inciampano perché non credono alla parola; a questo sono stati destinati. Ma voi siete stirpe eletta, sacerdozio regale, nazione san-
la , popolo destinalO alla salvezza perché proclami le opere meravigliose di colui che vi ha chiamato dalle tenebre alla sua ammirabile
di Dio; voi, un tempo esclusi dalla misericordia, ora invece avete otten u to misericordia l .
In questo brano splendido si distinguono due parti di estensione disuguale: una prima parte densa e breve (cf vv. 4-5): due versetti descrivono l'adesione dei cristiani al mistero di Cristo e la situazione sacerdotale che ne risulta; la seconda parte (cf vv 6-10) ,
con ritmo più ampio, si presenta come la prova scritturistica che
fonda la dottrina espressa nei due versetti precedenti.
I testi citati sono numerosi, disposti in due serie che corrispondono a due temi biblici: prima quello della "pietra", poi quello del
"popolo". Alcune alternanze antitetiche imprimono all'insieme del
brano un movimento pieno di vitalità. Ai credenti vengono prima
opposti i non credenti; poi ai non credenti i credenti, infine un duplice contrasto viene espresso tra la situazione antica e quella nuova dei pagani venuti a Cristo. I legami fra la parte dottrinale e la dimostrazione scritturistica sono stretti. Si può constatare che, per
esprimere la sua dottrina, l'apostolo n e ha preso i termini nei testi
che si preparava a citare: è il caso in particolare della parola "sacerdozio" che contribuisce nel v. 5 a definire la situazione dei cristiani
uniti a Cristo e che riappare nel corso della seconda parte (cf v. 9),
in una serie di espressioni prese da una frase dell'Esodo, dove Dio
dice agli Israeliti: «Voi sarete per me un regno di sacerdoti e una nazione santa» (Es 19, 6).
La promessa del sacerdozio regale
La promessa del sacerdozio fatta al popolo di Israele si situa in un
contesto grandioso, quello della fondazione della prima alleanza
sul Sinai. Precede il racconto dell'impressionante teofania nonché
della rivelazione del Decalogo, e ha come parallelo l'episodio della
conclusione dell'alleanza per m ezzo di un sacrificio. Nel testo
ebraico di Es 19, 5-6 Dio incarica Mosè di promettere da parte sua
agli Israeliti che, se gli obbediranno e rispetteranno la sua alleanza,
gli apparterranno in modo del tutto speciale, saranno la sua segullà, la sua proprietà particolare e saranno per lui regno di sacerdoti e
luce; voi , che un tempo eravate non-popo lo , ora invece siete popolo
70
7l
nazione santa: promessa meravigliosa di una relazione privilegiata
con Dio stesso. L'espressione ha tuttavia qualcosa di strano e la sua
esatta interpretazione suscita discussioni, che è bene richiamare
brevemente. Secondo alcuni esegeti l'espressione significa "potere
regale esercitato dai sacerdoti": essa non si applicherebbe al popolo
nella sua totalità, ma solo ai governanti; il popolo sarebbe definito
con l'espressione successiva: «nazione santa». I due dati sarebbero
correlativi: l'autorità è esercitata dai sacerdoti e il popolo è una nazione santa.
Questa interpretazione, tuttavia, non appare nella tradizione
giudaica. I targum applicano l'espressione a tutto il popolo e traducono: «Voi sarete re e sacerdoti>. , anzi il targum di Gerusalemme insiste maggiormente dicendo: «Sarete re coronati e sacerdoti celebranti». Questo senso corrisponde meglio al movimento del testo
che si rivolge a tutti i figli di Israele senza distinzione e dice loro:
«Voi sarete un regno di sacerdoti». Applicata all'insieme del popolo
. l'espressione solleva alcune domande: che senso ha tutto questo riguardo all'organizzazione politica e religiosa degli Israeliti? Come
si accorda con l'istituzione della monarchia e l'esistenza di un sacerdozio separato?
Una esegeta tedesca, Elisabeth Schiissler Fiorenza, ritiene che
il testo dell'Esodo esprima un ideale di teocrazia democratica in
opposizione alla monarchia e al sacerdozio istituzionale' . Questa
opinione, però, non corrisponde ai dati biblici; niente la sostiene
nel contesto del passo dove non si trova la minima traccia di polemica contro le istituzioni mediatrici; è sottolineata non l'uguaglianza di tutti gli Israeliti fra loro , ma la posizione privilegiata di
Israele in rapporto con gli altri popoli. In confronto con le altre nazioni gli Israeliti godranno di grandi vantaggi a causa della loro
speciale relazione con Dio: formando il regno di Dio avranno una
posizione di superiorità sugli altri dal punto di vista politico; celebrando il culto del Dio unico saranno superiori agli altri dal punto
di vista religioso. Il problema dell'organizzazione interna del popolo non viene posto. La stessa esegeta conclude le sue riflessioni
osservando il carattere condizionale della dichiarazione divina e
!
E. SCHOSSLER FIORENZA, Prieslfr Jur Gall, Miins ter 1972 , p. 150.
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affermando che l'ideale espresso in quelle formule <<non è mai divenuto realtà»'.
La Lettera di Pietro non usa il testo ebraico di Es 19, 6, ma la
versione greca dei LXX, la quale, a una traduzione letterale del testo ebraico dell'Esodo, ha preferito un adattamento abbastanza libero che sostituisce il plurale "sacerdoti" con un singolare, hieràteuma, "organismo sacerdotale". Sembra che questa parola sia una
creazione dei traduttori alessandrini, perché non è presente in nessun testo della letteratura profana. Per determinare il suo senso preciso occorre sottolineare un primo punto che riguarda il senso del
suffisso greco, -ma. Questo dà un significato concreto alle parole
che contribuisce a formare, non indica una qualità, né una funzione, ma ciò che risulta da un'azione o, in modo più generale, un insieme di cose e di persone in relazione con questa azione: per esempio, ktisma è la "creatura", un risultato tangibile dell'azione di creare. Formata con il suffisso -ma, la parola hieràteuma ha un senso
concreto e non potrà indicare né la qualità di sacerdote né la funzione, che si esprimono con altre parole: hierosyne per la qualità e
hieratéia per la funzione.
L'analisi completa del termine porta a rilevare altri due elementi della sua composizione: la radice hier indica la sfera del sacro e il
suffisso eu esprime il rapporto con una funzione; quindi dal punto
di vista dell'etimologia la parola hieràteuma designa una certa realtà
concreta in rapporto con una funzione sacra. Le parole di formazione simili sono numerosissime in greco: se ne sono trovate più di
duecento e i contesti nei quali sono state trovate confermano l'analisi che stiamo facendo . Queste parole hanno una triplice connotazione: si applicano a persone, non considerandole singolarmente,
ma in quanto gruppo, e il gruppo si caratterizza con una certa funzione; è un senso personale corporativo, funzionale, che corrisponde esattamente al contesto.
Agli Israeliti Dio dice: «Voi sarete per me un gruppo di persone
che esercitano la funzione sacerdotale». Scegliendo questo modo di
tradurre, i LXX hanno quindi aggiunto al testo ebraico l'aspetto
corporativo che non appariva nel semplice plurale "sacerdoti". Più
l
Ibid., p. 15 1.
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esattamente hanno esteso al sacerdozio l'aspetto corporativo che
era espresso in ebraico con i termini del contesto: "regno" e "nazione". D'altronde, hanno voluto insistere su questa promessa divina
perché ne hanno ripetuto i termini in un altro passo in cui il testo
ebraico non li riporta (cf Es 23, 22).
L'attuazione della promessa
La frase nella quale Pietro si ispira più direttamente al testo dei LXX
è quella del v. 9. Cominceremo quindi ad analizzare questo e studieremo solo in seguito la formulazione più complessa del v. 5. Un
confronto preciso tra la Prima lettera di Pietro e l'Esodo manifesta
una somiglianza fondamentale accompagnata da parecchie differenze significative. La somiglianza consiste in questo: la parola hieràteuma, sacerdozio, e le denominazioni che le sono associate servono a qualificare un gruppo designato con il pronome "voi" e opposto a un'altra categoria di persone. In greco le due frasi hanno un
identico inizio: hyméis de, «ma voi» e contengono gli stessi titoli
«regale sacerdozio », <<nazione santa». Ne segue che il termine hieràteuma ha fondamentalmente la stessa accezione in Pietro e in
Esodo: si applica a persone; presenta queste persone come una collettività dotata di una certa unità e indica come elemento unificante il rapporto comune con una funzione sacra.
Su altri punti, però, i due testi divergono: si notano un cambiamento di tempo, un cambiamento di destinatari, un cambiamento di
condizioni. La frase dell'Esodo è al futuro, quella di Pietro al presente; quella dell'Esodo è rivolta agli Israeliti, quella di Pietro non ha
limiti di destinazione; quella dell'Esodo è preceduta da «Se vorrete
ascoltare la mia voce», che non si trova nella frase di Pietro. Qui la
prospettiva è stata radicalmente trasformata; si passa da una promessa ( «Voi sarete per me un regno di sacerdoti») alla proclamazione di un fatto «<Voi siete sacerdozio regale») . Per accentuare meglio
questo aspetto di compimento, Pietro modifica il testo dell'Esodo
aggiungendo parecchie espressioni prese da una profezia del Deutero-Isaia. Annunciando i prodigi del nuovo esodo, il profeta dava al
popolo di Dio due titoli gloriosi: «Mia stirpe eletta, mio popolo che
io ho salvato per raccontare i miei alti prodigi» CIs 43 , 20-21 [LXX]).
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Pietro riprende questi titoli adattandoli un poco alla sua frase e ottiene così una serie impressionante di qualifiche laudative che esaltano la dignità del popolo cristiano. «Ma voi siete stirpe eletta», questo è Isaia; «sacerdozio regale, nazione santa », questo è Esodo; «popolo destinato alla salvezza », questo è Isaia modificato; «perché proclami le opere meravigliose di colui che vi ha chiamato dalle tenebre
alla sua ammirabile luce» (l Pt 2, 9). Pietro non dimentica evidentemente che tutta questa gloria non ha nulla a che vedere con
l'orgoglio umano, ma è il dono di un amore misericordioso e termina, quindi, accennando a una profezia di Osea: «Voi, che un tempo
eravate non-popolo, ora invece siete popolo di Dio; voi, un tempo
esclusi dalla misericordia, ora invece avete ottenuto misericordia»'.
Situata in questo contesto, la parola "sacerdozio" vede il suo aspetto
corporativo sottolineato più chiaramente ancora che nel testo dell'Esodo, perché viene posta in parallelo con un maggior numero di
termini collettivi: stirpe, nazione , popolo. La funzione sacra con la
quale essa è in rapporto non è chiaramente precisata, ma era stata
precisata prima nel v. 5 che vedremo.
Per completare l'analisi di questo v. 9, ricordiamo brevemente un
particolare controverso: la funzione e il senso in Esodo e nella Prima
lettera di Pietro della parola che, nel testo , precede hieràteuma, cioè
il termine basi/eion, "regale". Questa parola può essere usata come
aggettivo , ma può essere anche adoperata come sostantivo e indica
allora un possesso regale e ha delle applicazioni assai varie: regno,
potere regale, reggia (cioè l'edificio della reggia), corona del re. Nei
LXX la parola è usata molto più spesso come sostantivo, però in Esodo la costruzione della frase greca non permette di considerarla come un nome, perché è immediatamente seguita da hieràteuma e da
una congiunzione di coordinazione. In questo caso la traduzione
normale è "regale sacerdozio", non "regno e sacerdozio".
Nella Prima lettera di Pietro la costruzione è meno chiara , perché Pietro ha soppresso le congiunzioni; grammaticalmente è possibile tradurre "regno, sacerdozio"; però la disposizione non favorisce questa interpretazione, perché queste due parole sono precedute e seguite da coppie di parole analoghe; si ottiene così una serie di
• l Pt 2, l O; cf Os 1,6.9; 2, 25.
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tre espressioni parallele "stirpe eletta, regale sacerdozio, nazione
santa", ogni volta con un'inversione: nome-aggettivo, aggettivo-nome, nome-aggettivo , che è un procedimento molto frequente nella
Bibbia. In questa interpretazione l'organismo sacerdotale costltUlto
dal popolo cristiano si vede qualificato come regale.
.
.
La promessa nell'Esodo era condizionata, la sua realIzzaZIOne
doveva dipendere dalla docilità del popolo e dalla sua fedeltà all'alleanza. Purtroppo, malgrado gli impegni presi ripetutamente, quelle condizioni non furono mai osservate: i profeti rimproverarono
incessantemente a Israele la sua infedeltà, e constatarono più volte
la rottura dell'alleanza. Dio, ciò nonostante, non rinunciava al suo
progetto e annunciava un capovolgimento della situazione. Così
leggiamo nel profeta Osea:
Amerò Non-amata;
e a Non-mia-popolo dirò: Popolo mio ,
ed egli mi dirà: Mio Dio (Os 2, 25).
Pietro proclama il compimento di questa predizione. La sua frase non è più condizionale, ma per questo bisogna forse dire che
nessuna condizione non sia più richiesta e che il sacerdozio regale
sia concesso da Dio, quasi per forza , a tutti gli uomini anche indocili e ribelli? In realtà il contesto indica che una condizione è stata
adempiuta, ma diversa dalla prima: non l'osservanza della legge, ma
l'adesione a Cristo mediante la fede; ritroviamo qui il contrasto frequente nelle lettere di Paolo. Sono i credenti, infatti, coloro ai quali Pietro applica i titoli gloriosi che erano stati promessi al popolo
d'Israele: «Onore dunque a voi che credete - dice Pietro - voi stirpe eletta, regale sacerdozio» (cf l Pt 2, 7.9). La fede, ecco la nuova
condizione che permette agli uomini, così imperfettl come sono, dl
esercitare funzioni sacre e di entrare come sacerdoti al servizio di
Dio. Il fondamento del sacerdozio non è perciò il merito umano, ma
l'opera di Cristo e viceversa la miseria umana non costituisce un
ostacolo alla partecipazione al sacerdozio.
Il cambiamento delle condizioni ha per conseguenza quello dei
destinatari. Se l'unica condizione è la fede, la promessa del sacerdozio non è più riservata, come nell'Esodo , ai soli lsraeliti, ma è aperta anche ai pagani che vengono a Cristo. Lopposizione non è più
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fra Israele e le nazioni pagane, ma fra credenti e non credenti. Il
compimento prende così, potenzialmente, un'estensione universale che la predizione dell'Esodo non lasciava prevedere, ma che altri
testi profetici avevano preparato. Dio aveva annunciato che il suo
servo non si sarebbe limitato a ricondurre i superstiti d'Israele, ma
sarebbe diventato anche <<luce delle nazioni» CIs 49 , 6). Dio aveva
annunciato che la sua casa si sarebbe chiamata «casa di preghiera
per tutte le nazioni» CIs 56, 7; Mc 11, 17). La frase di Pietro non fa
dunque nessuna discriminazione; in se stessa è applicabile a tutti i
cristiani, sia a quelli venuti dal giudaismo sia a quelli venuti dal paganesimo. Altri passi della Lettera mostrano che Pietro si rivolge
specialmente ai pagani convertiti.
La casa spirituale
La frase del v. 9 che abbiamo esaminato esprime una posizione ac-
quisita , un privilegio ricevuto; essa si chiarisce con il contesto precedente che indica come si arriva a questa posizione, come si riceve questo privilegio. La dottrina del sacerdozio dei credenti vi appare in tutto il suo ammirabile dinamismo e in tutta la sua profondità spirituale:
Accostandovi a lui, pietra viva, rigettata dagli uomini, ma scelta e preziosa davanti a Dio, anche voi venite costruiti come pietre vive per fare una casa spirituale, un sacerdozio santo, per offrire sacrifici spiri-
tuali graditi a Dio, per mezzo di Gesù Cristo' .
La frase si divide chiaramente in due parti: la prima si allaccia al
gerundio «accostandovi» e descrive l'adesione a Cristo, mentre la
seconda, che contiene il verbo principale «venite costruiti» esprime
il risultato di questa adesione.
Questa disposizione getta una viva luce su un aspetto fondamentale della dottrina del sacerdozio regale: dimostra che il primo punto di questa dottrina è la necessità assoluta della mediazione di Cristo e della continua unione con lui. Solo nella misura
in cui aderiscono a Cristo i credenti diventano un organismo sacerdotale.
, l Pt 2 , 4-5.
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La menzione del sacerdozio si situa in un contesto di assimilazione a Cristo: «Accostandovi a lui, pietra viva, diventate pietre vive», cioè avete parte alla risurrezione di Cristo e così potete far parte dell'organismo sacerdotale. Il Cristo, scelto da Dio come base del
nuovo edificio, trasforma a sua immagine quelli ch~ aderiscono a lui
e li coinvolge nel dinamismo del suo mistero. La frase di Pietro mostra chiaramente che i credenti hanno parte del sacerdozio soltanto
in unione con Cristo, perché solo Cristo possiede il sacerdozio in
pienezza. Egli è l'unico mediatore; i credenti partecipano all'offerta
sacerdotale, ma hanno bisogno della mediazione sacerdotale di Cristo. Per esprimere l'adesione a Cristo, Pietro usa il verbo "accostarsi" o "stringersi", usato più volte nella Lettera agli Ebrei in un ambito liturgico . Secondo il contesto, il verbo si applica anzitutto al movimento spirituale, a un'adesione di fede: questa è la cosa fondamentale; però dopo il battesimo l'adesione di fede si esprime normalmente con la partecipazione alla vita liturgica della comunità: assiduità nel recarsi ad ascoltare la parola di Dio, a partecipare alle preghiere e all'eucaristia. Il verbo "accostarsi" può benissimo comportare una connotazione di questo genere, ma non esclusivamente.
L'adesione dei credenti va a Cristo risorto. Questa precisazione
è suggerita dalla qualifica attribuita alla pietra: si tratta di una pietra viva e il vivente per eccellenza è il Cristo risorto. L'apostolo però
ha cura di richiamare subito il cammino ch e ha portato Cristo a
questa sua vita gloriosa: prima di essere "preziosa" davanti a Dio , la
pietra viva è stata "rigettata dagli uomini". La fede infatti non è
semplicemente accoglienza della persona di Cristo, è anche apertura a tutto il suo mistero di passione e di risurrezione, ed è partecipazione alle vicende che hanno tracciato la sua esistenza . In modo
ancora più preciso, l'adesione dei credenti va verso Cristo in quanto egli è diventato, con la sua passione e la sua risurrezione, il fondamento di nuove relazioni fra le persone e il principio di una nuova solidarietà. Cristo, pietra vivente, è ormai la base di una nuova
costruzione, il vincolo di una nuova comunione che unisce le persone tra loro mettendole in rapporto con Dio. La parola greca lithos,
che designa una pietra utilizzabile per la costruzione di un edificio,
è ricca di tutte queste connotazioni, che sono poi sviluppate nella
seconda metà della frase. Questa richiama la costruzione di una ca-
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sa (in greco oikos) di cui definisce la natura e indica la destinazion e. Diventato pietra viva con la sua passione e la sua risurrezione,
Cristo ha acquistato la 'capacità di unire a sé altre pietre che si trasformano al suo contatto , diventano pietre vive e vengono incorporate a un edificio che ottiene da lui tutta la sua consistenza.
Questo edificio è definito "casa spirituale" e "sacerdozio santo".
La loro unione impedisce di attenersi a un'interpretazione banale della metafora dell'edificio: bisogna discernere qui in filigrana tutta la
ricchezza del tema biblico della casa di Dio , con i prolungamenti che
gli ha dato la tradizione evangelica. L'Antico Testamento, infatti,
chiama il tempio di Gerusalemme "la casa". Questo genere di espressione si ritrova .nei Vangeli e negli Atti; usando la parola "casa" piuttosto che "santuario", Pietro si ricollega più direttamente al filone
messianico, che trova la sua origine nel celebre oracolo di Natan nel
Secondo libro di Samuele. A Davide, che aveva concepito il progetto
grandioso di edificare un tempio degno di Dio, il profeta portava la risposta divina: non sarà Davide che costruirà una casa per Dio, ma
sarà Dio che costruirà per Davide una casa, una casa regale, una dinastia, una discendenza che regnerà dopo di lui, e questa discendenza data da Dio a Davide costruirà una casa per Dio (cf 2 Sam 7, 8-13).
L'oracolo di Natan aveva trovato certamente una prima attuazione in Salomone, discendente di Davide, che aveva regnato dopo
di lui e aveva costruito il tempio di Gerusalemme. Quella, tuttavia,
era solo una tappa iniziale che non poteva esaurire la portata della
parola profetica. Il Nuovo Testamento rivela che questa è giunta al
suo perfetto compimento soltanto con la risurrezione di Cristo. Figlio di Davide, intronizzato presso Dio per un regno eterno, Cristo
risorto è la casa regale data da Dio a Davide e, nel contempo, il corpo glorificato di Cristo è la casa costruita per Dio dal figlio di Davide, il santuario autentico. Ne risulta che la parola "casa", in questo
stesso testo, sta in rapporto sia con il tema regale sia con quello sacerdotale: si tratta di una casa che è un tempio.
Aderendo con la fede a Cristo risorto, i credenti non solamente
sono introdotti in questo santuario, ma n e diventano le pietre vive.
Non si tratta di un edificio materiale; un tempio materiale non poteva assicurare agli uomini una relazione autentica con Dio, perch é
«Dio è spirito» (Gv 4 , 24). Si tratta di una casa spirituale, cioè di
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una casa la cui costruzione e coesione sono dovute all'azione dello
Spirito Santo. Per diventare la pietra angolare, Cristo stesso è stato
«messo a morte nella carne, ma reso vivo nello spirito» Cl Pt 3, 18);
la sua umanità glorificata, tutta penetrata dallo Spirito Santo, dà a
coloro ch e gli sono uniti di essere trasformati dallo Spirito in modo
da diventare casa di Dio.
Tale è la dottrina sostanziale che Pietro richiama in poche parole; la si trova in termini più espliciti nella Lettera agli Efesini, ma
senza il rapporto con la passione e la risurrezione: <<l N el Signore l
anche voi insieme con gli altri venite edificati per diventare dimora
di Dio nello Spirito Santo» (Ef 2, 22). Essendo n ello stesso tempo
tempio di Dio e comunità dei credenti, la casa spirituale si presenta
come la realizzazione p erfetta della nuova alleanza sotto i suoi due
aspetti inseparabili: comunione con Dio e comunione tra le persone. Tuttavia, il termine "casa" è troppo generico e troppo statico,
non può esprimere tutto. Pietro quindi l'ha completato con un altro: hieràteuma, "sacerdozio" e con una locuzione verbale «offrire
dei sacrifici spirituali».
I sacrifici spirituali
Questo nuovo genere di offerta caratterizza quindi il sacerdozio della comunità dei credenti: è possibile determinare ciò che Pietro intende con "sacrifici spirituali"? Il contesto immediato non offre nessuna precisazione, l'impresa è quindi disagevole. Un punto almeno
è chiaro: la parola spirituali oppone i sacrifici dei cristiani ai "riti della carne", come dice la Lettera agli Ebrei' , cioè all'immolazione, comune all'Antico Testamento e ai culti pagani, di determinati animali. Bisogna inoltre precisare che Pietro non usa spirituali nel senso di
una offerta mentale, ma nel senso cristiano di un'offerta effettuata
sotto l'azione dello Spirito Santo. Sin dall'inizio della sua Lettera,
Pietro ha situato l'esistenza cristiana nell'azione santificatrice dello
Spirito (cf l Pt l , 2).
Dove situare con cretamente l'offerta dei sacrifici spirituali? Bisogna forse vedere qui un accenno all'eucaristia? Gli esegeti sono
· C[Eb 9, l O.
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molto divisi a questo proposito: alcuni escludono completamente
questa possibilità, altri la sostengono. Un esegeta cattolico belga ,
Cerfaux, prende posizione contro un'interpretazione eucaristica e
in questo passo non vuoi vedere altro ch e «i sacrifici del culto interiore, le buone opere e le sofferenze a imitazione di Cristo» ' . Secondo il suo parere , la parola "sacrificio" deve essere presa in senso
metaforico, non reale, e così pure il termine "sacerdozio". Si avverte, in questo autore preconciliare, la preoccupazione di riservare alla celebrazione eucaristica la qualifica sacrificale nel suo senso proprio e, similmente, ai sacerdoti ordinati la qualifica sacerdotale,
Però un altro esegeta, Dacquino, partendo dallo stesso presupposto, giunge alla conclusione contraria' ,
Il presupposto comune è ch e le buone azioni, la pazienza n elle
prove, il compimento della volontà di Dio nell'esistenza concreta,
non possono costituire un sacrificio in sen so proprio, ma soltanto
un'attività sacrificale in senso metaforico e improprio. Esaminando
allora il testo di Pietro, Dacquino arriva alla convinzione che l'apostolo intende parlare di un culto sacrificale in senso vero e proprio,
di una vera liturgia comunitaria, e ne conclude che si tratta dell'eucaristia. In questa discussione l'elemento più problematico è il presupposto comune, cioè il con cetto di sacrificio che porta a mettere
in dilemma interpretazione esistenziale e interpretazione eucaristica, obbligando a scegliere l'una o l'altra. Ragionare così è non tenere conto della rielaborazione cristiana dell'idea di sacrificio , che appare in numerosi testi del Nuovo Testamento.
Se fosse vero che il compimento della volontà di Dio nell'esistenza ordinaria non può costituire un sacrificio nel senso proprio,
allora si dovrebbe dire che la m orte di Cristo non è stato un sacrificio, poiché n on si è attuata in un contesto liturgico , In realtà, dal
punto di vista cristiano, i veri sacrifici son o i sacrifici esistenziali:
essi consistono n ella trasformazione dell'esistenza sotto l'azione
dello Spirito Santo in unione con il sacrificio di Cristo . Questi sacrifici hanno una stretta relazione con l'eu caristia, sacramento del
1 L. CERFAUX, Regale sacerdotium, Gembloux 1954, pp . 302-303 ; cf pp. 314·315 .
• P. DACQUINO, Il sacrificio del nuovo popolo di Dio e la Prima lettera di Pi etro, in Atti della XIX settimana biblica, Brescia 1967. pp. 291 -317.
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sacrificio di Cristo , perché la loro condizione di possibilità è l'unione al sacrificio di Cristo, la quale si attua appunto per mezzo dell'eucaristia . !..:impulso che porta i cristiani ai sacrifici esistenziali
proviene dal sacrificio di Cristo reso presente n ell'eu caristia e il
compimento dei sacrifici esistenziali, il loro terminare in Dio, non
è possibile se non per mezzo della mediazione di Cristo resa presente nell'eu caristia.
I..?eucaristia si rivela perciò indispensabile ai sacrifici esistenziali;
bisogna dunque rifiutare il dilemma. Il testo di Pietro non obbliga
affatto a optare tra interpretazione esistenziale e interpretazlOne eucaristica; anzi, ammette perfettamente l'unione dei due aspetti. Le
espressioni adoperate si applicano bene alla liturgia eucaristica, quale mezzo migliore per accostarsi a Cristo nel suo mistero di umiliazione e di glorificazione, ma queste espressioni hanno anche un senso esistenziale. Ciò fa pensare che i sacrifici spirituali dei cristiani
devono situarsi nell'esistenza stessa per configurarsi con la passione
glorificante di Cristo. Infatti, il contesto generale della Lettera suggerisce di porre uno stretto rapporto tra i sacrifici spirituali dei cristiani e l'imitazione di Cristo sofferente, tema molto caro all'apostolo. In proposito convien e notare specialmente il contatto verbale che
esiste tra l'espressione "sacrifici spirituali" e l'affermazione insistente di l Pt 4, 14: «Beati voi, se venite insultati per il nome di Cristo ,
perché lo Spirito della gloria e lo Spirito di Dio riposa allora su di
voi» . I momenti nei quali lo Spirito di Dio riposa sui credenti sono
certamente quelli ch e li mettono in posizione migliore per offrire dei
sacrifici spirituali. Tuttavia non si dovtà restringere la prosp ettiva a
quei momen ti: è tutta l'esistenza cristiana che deve essere trasformata in sacrificio spirituale. Pietro si rivolge ai credenti invitandoli
a non conformarsi ai «desideri di un tempo» (l Pt l , 14), ma a diventare santi in tutta la loro condotta (cf l Pt l , 15), grazie evidentemente all'azione santificatrice dello Spirito.
Offrire sacrifici spirituali significa quindi assumere, nella docilità all'impulso dato dallo Spirito Santo e in unione con il sacrificio
di Cristo, tutte le responsabilità con crete, personali, familiari, professionali , sociali, nazionali, internazionali. Tutto questo deve entrare nel sacrificio spirituale e ciò avviene se l'offerta è fatta in maniera da cambiare la vita attorno a noi, nel senso della carità divina ,
di una più grande giustizia , di una più effettiva solidarietà, di una
più gen erosa apertura alla verità e all'amore che vengono da Dio.
Cambiare la vita intorno a sé nel senso della carità è esercizio di un
autentico potere regale; fare questo nell'unione personale con la
persona di Cristo e con il dinamismo del suo mistero è esercizio del
sacerdozio regale.
La Prima lettera di Pietro ci apre prospettive b ellissime. Altri testi del Nu ovo Testamento le confermano e le completano, in particolare i testi in cui l'apos tolo Paolo ci esorta a mettere le nostre
membra «a servizio della giustizia » ( Rro 6, 19) e a «presentare i nostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio» (Rm 12, l ) .
Invece dell'offerta sacrificale di cadaveri di animali, san Paolo ci invita a presentare i nostri corpi viventi per m etterli al servizio di Dio
eal servizio dei fratelli. Il sacerdozio regale dei cristiani, partecipaZlOne del sacerdozio regale di Cristo, è una realtà splendida tutta al
servizio della carità divina .
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