Reminiscenze virgiliane nell`idillio "A Silvia" di Giacomo Leopardi

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Mariano Fresta
REMINISCENZE VIRGILIANE
NELL'IDILLIO “A SILVIA” DI GIACOMO LEOPARDI
Dal tempo del Romanticismo in poi si ritiene che l'elemento
principale di ogni espressione artistica sia l'originalità, a costo, a
volte, di accettare che l'originalità si limiti ad essere un giochetto
buono solo per qualche epigramma o qualche disegno estroso.
Dopo diverse migliaia di anni in cui l'uomo ha prodotto poesia,
musica, arte figurativa, è difficile, infatti, trovare idee del tutto
nuove da trasformare in una espressione sorprendente, originale
appunto. Rimastichiamo la vita e le parole degli altri, faceva dire
Pirandello ad uno dei Sei personaggi. Quello che cambia è la
temperie storica e culturale, è la posizione che assume l'artista
davanti alla vita e ai suoi tempi, per il resto anche i poeti, i
musicisti, i pittori non fanno che studiare ed assimilare quello che
precedentemente gli altri artisti hanno fatto, cui, a volte, riescono
a dare una forma espressiva nuova. Tanto è vero che, alla fine
dell'Ottocento, la critica storica, soprattutto quella letteraria,
andava alla ricerca delle fonti; ma questo tipo di analisi era
piuttosto, per così dire, notarile e sterile, perché prendeva atto che
una certa espressione o immagine era stata usata da un artista
precedente, ma non contribuiva minimamente ad una sua
maggiore comprensione estetica.
La critica delle fonti, tuttavia, può essere lo spunto per farci
capire come lavora un poeta e come egli sia capace di trasformare
e far proprio quello che altri prima di lui hanno detto e scritto,
tanto che accorgersene a volte diventa molto difficile.
Prendiamo ad esempio l'idillio leopardiano dedicato A Silvia.
Poiché lo conosciamo tutti, mi limito a riportare qui i versi da
sottoporre all'analisi:
Sonavan le quiete
stanze e le vie d'intorno
al tuo perpetuo canto,
allor che all'opre femminili intenta
sedevi …
Io gli studi leggiadri
talor lasciando e le sudate carte
….
porgea gli orecchi al suon della tua voce
ed alla man veloce
che percorrea la faticosa tela.
La cantabilità e la musicalità dei versi ci fa pensare che l'idillio
sia nato con sincera spontaneità. La morte della giovinetta, per
una malattia allora misteriosa ( chiuso morbo) come la tubercolosi,
aveva certamente colpito il Leopardi, tanto che ne fa il simbolo
della triste condizione umana; ma Silvia, o chi per essa, era stata
anche la compagna inconsapevole di tante ore passate dal poeta
sui balconi della casa paterna, dove arrivavano la voce della
fanciulla e il suono del telaio sul quale lei lavorava. Quindi davanti
ad una poesia composta in un'età romantica (era il 1828) noi, che
siamo ancora figli e nipoti del romanticismo, facilmente riteniamo
che il canto sia sorto spontaneo dal cuore del poeta. Ma non
dobbiamo dimenticare che Leopardi fu anche un profondo studioso
e conoscitore della letteratura classica; la poesia precedente, e
non solo essa, faceva parte del suo bagaglio culturale e della sua
memoria. Nessuna meraviglia, dunque, se per lui Virgilio era un
contemporaneo, quasi un sodale nel sentire e nel comporre versi.
Ed è proprio Virgilio a fornirgli lo spunto, ma anche i termini e i
verbi con i quali Leopardi ci presenta Silvia, ancora viva.
Siamo all'apertura del Libro VII dell'Eneide; con le sue navi
Enea costeggia le terre laziali e quando da lontano avvista il paese
in cui gli antichi collocavano la sede della maga Circe, così ce la
descrive (vv. 11-14):
….
dives inaccessos ubi Solis filia lucos
adsiduo resonat cantu tectisque superbis,
urit odoratam nocturna in lumina cedrum,
arguto tenuis percurrens pectine telas.
(… dove la figlia del Sole fa risuonare gli inviolati boschi del suo
continuo canto e nelle dimore superbe brucia cedro odoroso al
posto della lampada notturna, percorrendo le tele sottili col pettine
sonoro).
Sono due i versi che ci colpiscono subito: adsiduo resonat
cantu tectisque superbis e arguto tenuis percurrens pectine telas.
Leopardi li riprende interamente, ma vi introduce alcune variazioni
per riportare la vicenda dal tempo mitico al contesto storicosociale del primo Ottocento: i tetti superbi di Circe diventano così
le semplici stanze della casa in cui abitava Silvia e gli inaccessibili
boschi si trasformano nelle più famigliari vie di Recanati.
L'aggettivo “quiete” è del tutto leopardiano e sta, forse, ad
indicare la quieta esistenza di Silvia che lavora e sogna un
avvenire sereno e senza sconvolgimenti. Il verbo “ resonare” in
latino significa, tra l'altro, “far risuonare” che è l'accezione in cui lo
usa Virgilio, mentre Leopardi lo riporta letteralmente, “sonavan”,
attribuendolo alle stanze, col significato di “risuonavano”.
L'aggettivo “adsiduus”, continuo, ininterrotto, viene tradotto dal
poeta recanatese con “perpetuo”, che contiene il significato di
“continuo” ma che trasferisce questa assiduità in un tempo
indeterminato, eterno: forse per dire che nel ricordo del poeta
Silvia continua ancora ad esistere e a cantare. Inoltre, il lavoro di
Silvia non è più quello delle antiche eroine e delle regine omeriche
(come Penelope), per le quali l'arte della tessitura era l'unica
occupazione nobile, ma quello di una ragazza che prepara il
corredo di nozze per sé e tesse stoffe varie per le esigenze della
famiglia, come avveniva allora nelle case contadine e in quelle di
paese (all'opre femminili intenta).
Lo stesso procedimento si ha per il secondo verso, che però
Leopardi ha reso in maniera più libera e più ariosa: nel testo
virgiliano Circe siede al telaio di notte, alla luce di una fiaccola
odorosa: le sue mani muovono velocemente il rumoroso
dispositivo, il pettine, che intreccia l'ordito con la trama; inoltre, la
scena è descritta da un osservatore che si trova lontano, sia nello
spazio (quello tra la nave troiana e le dimore di Circe), sia nel
tempo: Virgilio riferisce un mito, tramandato attraverso opere
letterarie, mentre Leopardi parla di una realtà vissuta in prima
persona. Egli ha sentito (continua a sentire) la voce di Silvia, ha
sentito (continua a sentire) il rumore del pettine che sbatte contro
il telaio. Inoltre colloca la scena non nella notte, ma, come è
giusto che sia per la giovinezza e il sentimento amoroso, nella
piena primavera (era il maggio odoroso ; espressione in cui, forse,
l'aggettivo odoroso è richiamato dall'odoratam cedrum). Anche
qui, altre varianti: la tela è tenuis, sottile, mentre per Silvia è
faticosa, aggettivo che segna la differenza tra un lavoro da regine
(che non ne avrebbero bisogno) e quello di una famiglia non
agiata. Al pettine si sostituisce la mano, che veloce percorre il
tessuto; e qui il verbo italiano segue la traccia di quello latino:
percurrens / percorrea.
La critica storica di fine Ottocento si sbagliava nel ritenere
sufficiente rintracciare le fonti che sono servite ad altri poeti per
creare nuove opere artistiche, perché nessun testo nasce per
filiazione diretta e meccanica da un altro testo, c'è sempre di
mezzo un contesto storico-sociale diverso da quello più antico, c'è
il vissuto di ogni poeta o artista che colora in maniera personale
anche quei temi e quelle figure che potrebbero sembrare
trasferimenti di peso da un'opera all'altra; c'è infine una sensibilità
generale dovuta al tempo e soprattutto c'è, in questo caso, quella
immensa capacità di amare l'umanità che è propria di un poeta
come il Leopardi.