Milano, città viva e che sa cambiare

MILANO, CITTÀ VIVA E CHE SA CAMBIARE
17/12/2012 - Una ricetta conto la crisi che affonda le sue radici nella storia. Il Centro Culturale di Milano, il 14
dicembre, ha ospitato un dialogo sul capoluogo lombardo. E sui suoi possibili fattori di sviluppo
Milano.
Il tempo, per i greci era quello che scorreva inesorabile.
Kronos. Ma avevano anche un altro modo di chiamarlo. Kairos,
il momento giusto. L'opportunità. È Alberto Meomartini
presidente di Assolombarda, a ricordare le parole del Papa
nella Caritas in veritate. È una sintesi efficace del cuore
della quarta Giornata della sussidiarietà, organizzata
dalla Fondazione per la Sussidiarietà in collaborazione
con Centro Culturale di Milano e la CdO del capoluogo
lombardo. Ma quella di venerdì 14 dicembre nella sala di via
Zebedia è stata anche l'occasione per consegnare il Premio
San Bernardo a tre realtà meneghine che hanno sviluppato
azioni solidali, educative, economiche ed assistenziali
particolarmente significative.
Il tempo. L'opportunità. «È un tema a cui si legano indissolubilmente parole come cambiamento e novità»,
spiega Guido Bardelli, da pochi mesi alla guida di CdO Milano presentando la ricerca prodotta Luigi
Vergallo, studioso dell’Università Statale di Milano, sull'evoluzione socioeconomica della città
lombarda dalla fine della guerra a oggi. Si guarda da qui la crisi, continua Bardelli: «La crisi colpisce
duramente, lo vediamo. E la necessità di un cambiamento è sotto gli occhi di tutti». Ma che c’entra guardare
la Milano del passato? «Non è un rimpianto dei tempi che furono. Ci interessa riflettere sul filo rosso
che ha consentito alla città di cambiare e non fermarsi al risentimento e alla rassegnazione anche
davanti periodi più duri. Cosa ci ha permesso e può permetterci ancora di innovare? Cosa vuol dire
guardare la crisi come occasione?».
Tra slide e grafici, Vergallo presenta il suo lavoro. La città che sa cambiare. Fatto di dati, censimenti, che
raccontano di una conversione repentina dell’economia della città di fronte ai mutamenti
demografici e dei mercati. L’evoluzione dei redditi, il cambiamento del mercato del lavoro, passato in pochi
anni dalle grandi fabbriche metalmeccaniche e ad altri settori, come quello del credito o dei servizi alle
imprese. Dati che raccontano, incrociati con la storia recente dal dopoguerra a oggi, di un modo di affrontare i
conflitti sociali più maturo ed efficace.
Tanti i fattori in campo. Certamente il welfare sussidiariario, fatto di grandi e piccole opere sociali e
assistenziali, ha giocato un ruolo fondamentale, nel rapporto con le istituzioni. E di certo ha giocato
in maniera importante anche un mix culturale “comunista, socialista e cattolico” proprio della
tradizione milanese.
I grandi pastori milanesi, Schuster, Colombo, Montini, Martini, fino ad arrivare ai giorni nostri, li ha ricordati
monsignor Angelo Bazzari, presidente della Fondazione Don Carlo Gnocchi, che da decenni opera in campo
assistenziale a Milano. E poi il ruolo dei sindacati, ricordato da Onorio Rosati, della Cgil, segretario generale
della Camera del Lavoro Metropolitano di Milano.
Insomma, qualcosa è accaduto. Parlano la realtà di oggi i numeri. Milano ha resisto ai cambiamenti
adattandosi. Cosa dice questo oggi? «Che dobbiamo continuare a guardare come in passato al bene
comune. Cioè, a come ancora oggi possiamo fare qualcosa insieme», dice ancora Rosati. Non un
anacronistico consociativismo: «Il conflitto sociale è un motore per cambiare? Bene, siamo di fronte a un
conflitto anche oggi. E occorre che le diversità vengano reciprocamente riconosciute da tutti gli attori, senza la
prerogativa di imporre un’egemonia culturale». Si può cambiare, continua Rosati: «E Milano è in grado di
farlo perché è abituata a trasformarsi, lo abbiamo visto». Senza illudersi troppo: «Personalmente ho due
figli piccoli e quello che vedo ogni giorno non mi fa essere troppo positivo. Ma se qualcuno è più avanti in
questo, io rimango in ascolto».
Bisogna guardare a quell’ingrediente in più che ha fatto di Milano quello che è, sottolinea Meomartini. «La
storia della città è sostanzialmente quella di una “comunità”, dove qualcuno si è mosso, è uscito
dal suo ambito e ha iniziato a costruire. L’università Bocconi, è nata così, per il desiderio di un industriale,
per dirne uno. Esempi ce ne sono tanti. Anche nel sociale. Guardo il mondo in cui vivo e mi accorgo che lo
stiamo ritrovando, quel tessuto di relazioni tra imprese, servizi e istituzioni». Anche cambiando fisionomia, per
l’ennesima volta. Per esempio iniziando a puntare su una produzione di alta qualità, come sta
accadendo in tanti settori: «E questo nonostante ambiti culturali profondamente diversi che interagiscono.
Perché alcune cose sono possibili sul nostro territorio e non altrove?».
Lo incalza Giorgio Vittadini, presidente della Fondazione per la Sussidiarietà. «La Lombardia rappresenta
un’eccellenza italiana in tanti ambiti. L’università, per esempio. O la sanità», dice da statistico, dati
alla mano. «Milano sta tornando ad essere interessante anche all’estero. È una città viva, come la
ricerca mostra». Anche attraverso gli esempi delle tre opere insignite del Premio San Bernardo. L’”Opera San
Francesco”, con i suoi servizi di assistenza ai poveri, “Incontro e presenza”, una realtà che è un riferimento
nelle carceri milanesi, e “La Cordata”, un esempio di “presidio di quartiere” della periferia milanese in materia di
welfare sussidiario, dall’assistenza sanitaria all’impresa.
Esperienze che dicono di un ambiente, «quello della nostra città, dove l’attenzione alla persona, l’educazione
e quella tradizione comunista-socialista e cattolica» formano un terreno di coltura unico. «Milano è stato
ed è oggi un laboratorio di questo. E a partire qui si deve guardare il rapporto tra pubblico e privato. Che
sia equilibrato, e non schizofrenico nelle due opposte alternative. In questo io vedo un
importantissimo fattore di sviluppo».