Impatto delle sanzioni contro l`Iran

Impatto delle sanzioni
contro l’Iran
n. 19 - settembre 2010
a cura di Luca La Bella - CeSI (Centro Studi Internazionali)
Impatto delle sanzioni contro l’Iran
n. 19
settembre 2010
IMPATTO DELLE SANZIONI CONTRO L’IRAN
di Luca La Bella
Abstract
La questione nucleare iraniana è da tempo diventata il banco di prova del
regime di non proliferazione nucleare (soprattutto del NPT – Non
Proliferation Treaty) e della volontà della comunità internazionale di
mantenerlo effettivo. Infatti, se al suo indebolimento, ormai in atto da una
decina di anni a causa dei noti tentativi di aggirare le norme da parte di
Iraq, Libia, Iran e Corea del Nord, seguissero altre defezioni, le
conseguenze sarebbero considerevoli: un Iran potenza nucleare
implicherebbe una corsa al riarmo nell’intera regione, esporrebbe Israele,
e (per il momento) almeno parte dell’Europa, alla minaccia di attacco e
seppellirebbe l’NPT scardinando completamente i sistemi multilaterali di
controllo degli armamenti.
Sommario
Introduzione................................................................................................... 3
Le Sanzioni ONU .......................................................................................... 3
Le sanzioni bilaterali ..................................................................................... 7
UE .............................................................................................................. 9
Canada...................................................................................................... 10
Australia ................................................................................................... 11
Giappone .................................................................................................. 11
Corea del Sud ........................................................................................... 12
Impatto delle sanzioni ................................................................................. 13
Introduzione
Durante gli ultimi quattro anni, la Repubblica Islamica Iraniana ha ignorato
l’ordine di sospendere l’arricchimento dell’uranio intimato dal Consiglio di
Sicurezza ONU (luglio 2006 – UNSCR1696).
Inoltre l’Iran ha stabilito un lungo e reiterato precedente di occultamento di
infrastrutture nucleari (il sito di Natanz è stato celato per 18 anni, Qom è
stato rivelato al mondo solo l’anno scorso) e recentemente, lo stesso gruppo
d’opposizione responsabile per la rivelazione di Natanz, ha riferito di un
altro sito nucleare clandestino nei pressi della città nordoccidentale di
Qazvin. Negli ultimi mesi l’Iran ha sistematicamente ostacolato il lavoro
degli ispettori AIEA giungendo persino alla revoca dei permessi per due
ispettori di grande esperienza, entrambi provenienti da Stati Nucleari1,
colpevoli di aver riferito di esperimenti nucleari non dichiarati da Teheran.
L’Iran continua ad essere reticente nel rispondere esaustivamente all’AIEA
in merito all’esistenza di altri siti nucleari e ad alcune sospette attività fra
cui l'elaborazione di uno studio su di una testata atomica di cui l’Agenzia è
entrata in possesso.
Circa la violazione degli obblighi dell'Iran nei confronti dell’AIEA, il
Consiglio di Sicurezza è passato dalla ferma condanna e dall’ordine di
sospensione
dell’arricchimento,
all’imposizione
di
sanzioni
progressivamente più restrittive contro il programma nucleare iraniano.
Le Sanzioni ONU
Nel corso degli ultimi anni, la gravità delle accuse contro l’Iran e la
reticenza di Teheran nel fornire spiegazioni alla Comunità Internazionale,
hanno portato il Consiglio di Sicurezza dell’ONU a varare quattro regimi di
sanzioni contro il programma nucleare:
1
Gli Stati Nucleari, designati dal Trattato di Non Proliferazione, sono gli unici Stati ad essere legalmente
in possesso di armi atomiche. Questi sono: Stati Uniti, Regno Unito Francia, Russia, Cina. Dal momento
che l’AIEA non attribuisce qualifiche in relazione ad applicazioni militari di un programma nucleare, ma
queste vengono accumulate dagli ispettori nel corso della loro carriera di fisici nei loro Paesi d’origine,
l’Iran è apparso particolarmente attento ad escludere quegli ispettori provenienti da Stati Nucleari che
sono contestualmente anche quelli più esperti in materia di armi nucleari e quelli maggiormente in grado
di scoprire eventuali violazioni.
3

Dicembre 2006 – UNSCR 1737: sancisce il divieto di vendita o
trasferimento di qualsiasi materiale relativo al programma
nucleare inclusi la componentistica e l’equipaggiamento che
potrebbe avere applicazioni militari (materiale dual use). Inoltre
la risoluzione esorta a congelare i beni di individui e società
considerati legati al programma nucleare e in particolare
all’attività di arricchimento.

Marzo 2007 – UNSCR 1747: Colpisce anche il programma
balistico, la banca Sepah, e congela i beni di persone fisiche e
società (riconducibili ai Pasdaran) connesse al programma
nucleare. Proibisce l’importazione e l’esportazione di armi da e
per l’Iran.

Marzo 2008 – UNSCR 1803: La risoluzione 1803, prevede un
inasprimento dell’embargo commerciale che comprende ora la
tecnologia dual use (prodotti che hanno impiego sia civile sia
militare), un più severo regime di ispezioni delle merci in entrata
e in uscita dal Paese, il congelamento dei conti appartenenti ad
alcune banche e società iraniane ed il divieto di rilascio di visti
d’entrata al personale impiegato nel programma nucleare. La
1803 inoltre estende la lista di persone connesse al programma da
monitorare (congelamento dei beni e interdizione dai voli
internazionali).

Giugno 2010 – UNSCR 1929: La risoluzione aggiunge un
individuo e alcune “entità” alla blacklist precedente. La maggior
parte delle società colpite da sanzioni sono connesse alla Difesa e
ai Pasdaran, mentre le altre sono legate direttamente a IRISL
(Islamic Republic of Iran Shipping Line), la Marina mercantile
del Paese, già saldamente in mano ai Pasdaran. La risoluzione
introduce un nuovo meccanismo per le ispezioni dei cargo da e
per l’Iran alla ricerca di materiali illeciti e fa appello a tutte le
4
nazioni per l’abbordaggio di navi sospette dirette nel Paese.
Inoltre, più dei precedenti regimi sanzionatori, la 1929 mira ad
impedire l’approvvigionamento di componenti per il programma
balistico, mentre vi sono clausole specifiche nel testo della
risoluzione che si riferiscono al settore militare e proibiscono la
vendita di armi pesanti (elicotteri d’assalto e missili). Il quarto
regime di sanzioni contro l’Iran restringe altresì la libertà
finanziaria del regime andando a colpire, mediante l’interdizione
all’espatrio ed il congelamento dei beni, individui, società e
istituti di credito, che la Comunità internazionale ritiene
fondamentali per i programmi nucleare e balistico.
Fra gli individui colpiti, Javad Rahiqi, ricercatore nucleare e
capo del Nuclear Technology Centre di Isfahan, centro di ricerca
parte della Atomic Energy Organization of Iran (AEOI). Rahiqi è
stato segnalato dall’UE già nell’aprile del 2007 in qualità di
Direttore del National Iranian Accelerator Project e come
individuo legato allo sviluppo di vettori balistici con capacità di
carico non-convenzionale. Peraltro, Rahiqi ha lavorato con il
Dott. Masud-Ali Mohammadi, un fisico nucleare ucciso in un
misterioso attacco dinamitardo a Teheran a gennaio. Secondo
alcuni osservatori, date le note posizioni moderate di
Mohammmadi ed il suo gravitare nell’orbita del movimento
riformista -pur essendo, secondo l’Economist una delle pedine
più importanti del programma nucleare- il principale indiziato del
suo assassinio rimane il governo ultraconservatore di
Ahmadinejad, che rimuovendolo in una operazione “sotto falsa
bandiera”2, simultaneamente elimina il forte rischio di defezione
o collaborazionismo rappresentato dal fisico riformista ed è in
grado di mettere a segno una vittoria di propaganda contro
l’opposizione, “esecutrice materiale” del delitto “su incitazione
degli USA e di Israele”.
2
I media iraniani sono stati insolitamente rapidi nel riportare la notizia e le autorità nell’attribuire il
delitto ad una sorprendente varietà di oscure organizzazioni d’opposizione.
5
Altra istituzione colpita è la Malek Ashtar University of
Technology, ateneo fondato nel 1986 che conduce attività nel
campo della ricerca e sviluppo militare con fondi provenienti dal
Ministero della Difesa. L’università offre Master e dottorati di
ricerca in biochimica, chimica e fisica e la maggior parte dei suoi
ricercatori sono coinvolti nella ricerca e sviluppo militare
(sottomarini, esplosivi, agenti chimici e biologici), secondo
quanto riferito dall’organizzazione d’opposizione National
Council of Resistance (NCR). Già riconosciuto nel 2005 dal
governo tedesco e nel 2008 dall’UE come entità legata ad attività
sensibili dal punto di vista della proliferazione (studi sulle
potenziali applicazioni militari del programma nucleare), è ormai
palese che l’ateneo fornisca “assistenza scientifica” ai Pasdaran,
che negli ultimi anni sono divenuti i maggiori beneficiari dei suoi
studi. Il sospetto internazionale nei confronti della Malek Ashtar è
stato alimentato in seguito al rifiuto di aprire i cancelli agli
ispettori della Agenzia Internazionale Energia Atomica (AIEA) e
di acconsentire ad interviste del proprio staff da parte degli stessi.
Peraltro, uno dei suoi ricercatori, Shahram Amiri, è stato
protagonista di una rocambolesca fuga negli USA,
presumibilmente per fornire informazioni sul programma
nucleare, anche se dopo circa un anno di esilio apparentemente
volontario, lo scienziato, accusando gli USA di rapimento, ha
fatto ritorno in Iran.
Fra gli istituti creditizi colpiti, la First East Export Bank
(FEEB) è una banca malese (controllata dalla iraniana Bank
Mellat) che ha gestito milioni di dollari di transazioni per
l’acquisto di materiale militare e per i programmi balistico e
nucleare. La misura non fa altro che restringere ulteriormente il
bacino di credito disponibile al governo iraniano per finanziare le
sue attività proscritte. Peraltro, il settore bancario è severamente
messo sotto pressione dalle risoluzioni 1737, 1747, 1803 e dalle
sanzioni imposte dal Congresso USA. Attualmente le banche
iraniane oggetto di sanzioni multilaterali o unilaterali sono Bank
6
Sepah, Bank Saderat, Bank Melli, Bank Mellat, Bank Kargoshaee
e Arian Bank. L’obiettivo di questa azione sanzionatoria contro le
banche sarebbe quello di costringere Bank Markazi (la Banca
Centrale) a rimanere progressivamente senza linee di credito.
Detto questo, Cina e Russia si sono opposte duramente a ulteriori
restrizioni finanziarie (apparentemente la FEEB non fa affari con
cinesi e russi), minacciando di esercitare il loro veto, qualora le
loro condizioni non fossero rispettate.
Le sanzioni bilaterali
In sede di approvazione della risoluzione 1929, Mosca e Pechino, da
sempre restie all’imposizione di misure drastiche nei confronti di Teheran,
hanno agito in concertazione per proteggere i propri interessi strategici e
commerciali, spuntando così l’incisività del nuovo regime di sanzioni, che,
pena il veto russo-cinese, non ha potuto andare a colpire il più importante
dei settori economici iraniani, quello energetico.
Proprio quest’ostacolo ha spinto gli USA e l’UE ad agire insieme per
l’applicazione di sanzioni bilaterali ben più restrittive dal punto di vista
finanziario e con focus sul settore energetico, dal momento che le risorse
finanziarie per il programma nucleare provengono principalmente dalla
vendita di greggio e gas, pilastri dell’economia del Paese.
In quest’ottica, la restrizione degli investimenti ad alto contenuto
tecnologico come quelli che possono pervenire dalle grandi corporazioni
energetiche europee (le società americane sono interdette dall’economia
iraniana dal 1979) costituisce una duro colpo per il settore energetico del
Paese. Peraltro si tratta di una perdita di know-how e di tecniche, materiali
ed equipaggiamenti protetti da copyright che difficilmente può essere
colmata da società di altri Paesi, ad esempio Cina e Russia.
Inoltre, lo stato sempre più avanzato del programma nucleare iraniano, e in
particolare il raggiungimento dello stadio di arricchimento dell’uranio al
20%, non fa che aumentare il rischio di proliferazione nucleare. Teheran
potrebbe infatti cercare di raggiungere lo status di potenza nucleare
“virtuale”, ossia la capacità di produrre un ordigno nucleare in un breve
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lasso di tempo in virtù dell’expertise tecnico acquisito per il programma
nucleare civile. Infatti è proprio lo stadio avanzato del programma, oltre
alla competenza scientifica e industriale dei tecnici iraniani, a fornire al
Paese la cosiddetta “break-out capacity” ovvero la capacità di deviare in
breve tempo il programma civile verso scopi militari.
Partendo dall’uranio naturale, infatti, il Paese impiegherebbe circa un anno
per raggiungere la breakout capacity, partendo da forme più arricchite dello
stesso materiale, il tempo sarebbe molto più breve. Partendo da uno stock
di LEU3, infatti, il Paese potrebbe ottenere uranio weapons-grade in circa
sei mesi. In quest’ottica, ben si comprende come la decisione di arricchire
l’uranio fino al 20% abbia destato tanta preoccupazione – se l’Iran riuscisse
a produrre uno stock sufficiente di tale materiale e decidesse di procedere
negli stadi di arricchimento successivi (60%, 90+%), potrebbe produrre
materiale fissile per scopi militari in circa un mese.
Dunque anche per questa ragione, dal momento che dopo anni di reticenza
e impedimenti al lavoro degli ispettori AIEA ci si avvicina sempre più al
punto di non ritorno nel programma nucleare, Washington e l’UE hanno
deciso di incrementare la pressione economica sul regime a livello
bilaterale.
Nonostante la crisi finanziaria globale, la capacità di esercitare pressione
economica di cui dispongono gli USA è ancora impareggiabile e costituisce
un vantaggio considerevole in questo frangente. La legislazione
recentemente votata dal Congresso ha di fatti stabilito un forte disincentivo
all’investimento di qualsivoglia società nel settore energetico iraniano. Il
Senato e la Camera dei Rappresentanti USA hanno approvato una legge
che autorizza il Presidente a estendere le sanzioni contro società che
esportano carburante in Iran o che lo assistono nel colmare il suo annoso
deficit di raffinazione. La legislazione di fatto proibisce a queste società di
fare affari anche in America, precludendo loro il mercato più proficuo al
mondo.
Da quando Washington ha deciso di percorrere la via delle sanzioni
bilaterali, molti alleati hanno deciso di fare lo stesso fra cui, UE, Canada,
3
LEU-low enriched uranium, ovvero l’ uranio arricchito al 2-4% impiegato nelle centrali.
8
Australia, Giappone e Corea del Sud. L’obiettivo di tutte queste sanzioni,
che vanno ben oltre la risoluzione 1929, è quello di impedire l’accesso al
capitale straniero, arrestare l’investimento nel settore energetico iraniano e
impedire l’approvvigionamento di componenti per i programmi nucleare e
balistico mediante il monitoraggio accurato dei cargo IRISL.
UE
A giugno l’UE ha approvato un nuovo regime di sanzioni bilaterali nei
confronti dell’Iran per il suo controverso programma nucleare. Le sanzioni
prevedono il divieto all’investimento e in particolare alla fornitura di
assistenza tecnica e al trasferimento di tecnologia per quanto riguarda il
settore energetico iraniano. Il divieto sarà applicato anche a quelle società
che esportano carburante o che assistono il Paese nella raffinazione,
mirando a coplire la particolare vulnerabilità dell’Iran, che è uno dei
principali produttori di greggio al mondo, ma paradossalmente ha una
limitata capacità di raffinazione. La IRISL e altre società iraniane per il
trasporto aereo di merci (air-cargo) non saranno più autorizzate al transito
nelle acque territoriali o negli spazi aerei degli Stati membri UE. I Paesi
UE si sono impegnati a ispezionare tutti i voli cargo con origine o
destinazione in Iran, ad eccezione dei voli misti passeggeri-cargo.
Entreranno in vigore anche una serie di restrizioni ad personam nei
confronti di membri delle Guardie Rivoluzionarie, i cui beni custoditi nella
UE saranno congelati. Particolare importanza ha anche la moratoria
all’erogazione di servizi finanziari al regime iraniano o a società iraniane,
ivi incluso la stipulazione di polizze di assicurazione, elemento vitale nel
campo dei trasporti internazionali, specie via mare. Per quanto riguarda le
banche, l’UE si impegna a monitorare assiduamente le sussidiarie di istituti
iraniani sotto la sua giurisdizione, in particolare richiedendo che ogni
trasferimento di denaro superiore ai 35mila euro riceva previa
autorizzazione e che quelli superiori ai 10mila debbano essere notificati
alle autorità. Alle banche iraniane è anche proibito aprire succursali nel
blocco dei Ventisette. L’UE ha anche stilato una “lista nera” di 40 individui
e 50 società, considerati vicini al regime, i cui beni saranno congelati e i cui
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spostamenti all’interno del territorio dell’Unione saranno ristretti, soggetti
all’approvazione dello Stato membro in questione, o proibiti del tutto. Fra
le società colpite, First East Export Bank, Bank Sepah e Bank Sepah
International, mentre fra gli individui a cui è fatto divieto di viaggiare
nell’UE, il Gen. Ali Akbar Ahmadian, capo di Stato Maggiore delle
Guardie Rivoluzionarie, l’Amm. Morteza Safari, Comandante della Marina
delle Guardie Rivoluzionarie, e il Gen. Hosein Salimi, Comandante
dell’Aeronautica delle Guardie Rivoluzionarie. Inoltre, i Paesi membri si
sono ripromessi di impedire il trasferimento o la vendita all’Iran di
qualsiasi bene che possa avere potenziali applicazioni militari, alla luce
anche della straordinaria espansione degli interessi economici e
commerciali della Guardia Rivoluzionaria, che oggi domina almeno il 30%
dell’economia del Paese. Alla luce della scoperta a marzo in Italia di un
network che assisteva la Repubblica Islamica nel aggirare l’embargo
militare, l’UE ha esortato i propri membri a incrementare il monitoraggio
di quelle società o individui coinvolti nell’import-export con l’Iran o che
trattano materiale potenzialmente d’interesse per quel Paese.
Si segnala inoltre, come segno della crescente cooperazione fra europei ed
americani, che l’amministrazione Obama ha sanzionato a settembre, su
segnalazione della Germania, un altro istituto di credito, la EuropeanIranian Trade Bank, accusata di fare da tramite per banche iraniane già
oggetto di sanzioni e di averle così facilitate in transazioni dal valore di
miliardi di dollari.
Canada
Le sanzioni canadesi prevedono il divieto d’investimento per le società
canadesi nel settore energetico iraniano e nei titoli di Stato iraniani, oltre
che aver esteso le restrizioni all’esportazione di materiali e componenti che
potrebbero essere usati nel programma nucleare. Alle banche iraniane è
fatto divieto di aprire sedi o succursali in Canada, mentre quelle canadesi
non potranno aprire uffici in Iran. Nonostante le sanzioni canadesi abbiano
grande valore simbolico in quanto sono state annunciate nello stesso giorno
di quelle UE, per Ottawa è certamente stato più agevole approvarle, dal
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momento che il commercio con l’Iran si aggira intorno ai 300 milioni di
dollari annui (macchinari, prodotti farmaceutici e alimentari), mentre per
l’UE (e specialmente per Germania, Italia, Grecia e Malta) le esportazioni
soltanto sono pari a 18.4 miliardi di euro (dati 2009).
Australia
Le sanzioni australiane, approvate a fine luglio, prevedono il divieto
all’esportazione di armamento di qualsiasi tipo (ivi incluso le armi da
caccia e per uso sportivo) e di qualsiasi componente o materiale che
potrebbe venire impiegato nel programma nucleare o nello sviluppo di armi
chimiche e batteriologiche. Canberra ha inoltre descritto il programma
nucleare iraniano come la più grande minaccia alla sicurezza
internazionale. Si stima che le sanzioni colpiranno oltre 110 società e
individui.
In qualità di membro permanente della Commissione Internazionale sulla
Proliferazione Nucleare e il Disarmo, l’Australia conferma il proprio
impegno in campo di non-proliferazione con l’approvazione di queste
sanzioni.
Giappone
A settembre Tokyo ha proibito ogni transazione con 15 istituti bancari
iraniani considerati vicini al regime e a rischio proliferazione, questo
nonostante l’Iran sia il quarto fornitore di petrolio del Giappone. Le misure,
che vanno ad aggiungersi alle restrizioni imposte dal quarto regime di
sanzioni ONU, si focalizzano sugli investimenti nipponici nel settore
energetico iraniano e sulla fornitura di servizi assicurativi alle compagnie
iraniane. Alle banche giapponesi è fatto assoluto divieto di acquistare buoni
del tesoro emessi da Bank Markazi (Banca Centrale iraniana), mentre sono
decine gli individui connessi al programma nucleare raggiunti da misure
quali il congelamento dei beni. Nel frattempo la Toyota Motor Corporation
ha annunciato di aver sospeso indefinitamente le esportazioni verso l’Iran a
partire da giugno. Le sanzioni imposte da Tokyo sono ancor più
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sorprendenti quanto più si considera che il Paese è uno dei maggiori
consumatori di idrocarburi al mondo. Significativamente infatti, il
Giappone non ha imposto alcuna restrizione all’importazione di petrolio
dall’Iran. Per quanto riguarda la proscrizione delle 15 banche iraniane, fra
cui Bank Sepah, Bank Saderat e Bank Melli, la moratoria sulle transazioni
con queste banche potrebbe intaccare i profitti di alcune banche
nipponiche, secondo analisti del settore. Ad ogni modo, dato il solido
background del Paese in materia di non-proliferazione e soprattutto di
disarmo nucleare, Tokyo emerge come uno dei capisaldi in Asia del
contenimento delle ambizioni nucleari iraniane.
Corea del Sud
Seoul è l’ultimo degli alleati asiatici di Washington ad imporre sanzioni
bilaterali sull’Iran, e in particolare il focus delle sanzioni coreane è il
mercato delle transazioni monetarie internazionali (Foreign Exchange
Market o Forex). Seoul ha proibito ogni transazione Forex con 126 società
e individui iraniani, incluso l’unica sede asiatica della iraniana Bank
Mellat, una delle principali banche del Paese mediorientale. Vi saranno
inoltre ispezioni esaustive e più severe dei cargo con destinazione in Iran,
mentre qualsiasi transazione condotta dalla sede coreana di Bank Mellat
necessiterà di approvazione da parte del governo coreano. Bank Mellat è
già oggetto di restrizioni imposte dagli USA per aver facilitato transazioni
relative al programma nucleare, balistico e altri programmi militari.
Per Seoul imporre queste sanzioni potrebbe avere un costo ingente, dal
momento che Teheran è il suo quarto fornitore di petrolio e che le società
di costruzione coreane hanno considerevoli interessi nel Paese. Così come
per le sanzioni giapponesi infatti, anche quelle coreane non impongono
restrizioni sull’importazione di petrolio dall’Iran ma impediscono i futuri
investimenti coreani nel settore energetico iraniano. Secondo alcuni esperti,
le sanzioni potrebbero costare al Paese i 10 miliardi di dollari annui di
interscambio con l’Iran, ma alla luce della tempestiva solidarietà
dimostratale da Washington in occasione dell’affondamento della corvetta
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Cheonan da parte di Pyongyang, Seoul non poteva tirarsi indietro di fronte
alle richieste del suo più grande alleato militare.
Impatto delle sanzioni
Le conseguenze delle sanzioni sull'Iran sono difficili da prevedere.
L’imposizione di sanzioni ha ad esempio coinciso con l’ascesa della Cina
come principale partner commerciale del Paese, alla luce dello scarso
interesse di Pechino per restrizioni che danneggerebbero la sua stessa
capacità di investire nel settore energetico iraniano. Un’altra possibilità è
che la severità di un regime sanzionatorio possa provocare una reazione
difensiva nella popolazione che sarebbe così spinta a stringersi attorno alla
bandiera e a far fronte comune con il governo. Ciò in Iran non è ancora
accaduto, ma per la verità non poteva accadere con i precedenti regimi
sanzionatori universalmente considerati inefficaci ed eccessivamente
focalizzati sul programma nucleare.
Per quanto riguarda l’impatto del quarto regime di sanzioni ONU e ancor
più di quelle approvate dai singoli Paesi, è sicuramente ancora troppo
presto per poter cominciare a trarre qualsiasi tipo di conclusione sulla loro
efficacia, e in particolare sui loro effetti sul programma nucleare iraniano.
Fino ad oggi le sanzioni (esclusa la UNSCR 1929) hanno portato ad un
impatto economico limitato, per di più attutito dall’elaborato sistema di
circonvenzione escogitato dal regime.
Ad ogni modo, alcuni importanti giganti dell’energia hanno preso la
decisione di lasciare l’Iran in seguito agli ultimi sviluppi in tema di
sanzioni, sintomo che forse la pressione economica e i disincentivi
all’investimento voluti da Washington stanno sortendo gli effetti desiderati.
Fra le compagnie ritiratesi o in fase di ritiro troviamo Lukoil, BP, Shell,
Trafigura, Vitol, Glencore e IPG, ma anche l’indiana Reliance. Senza
l’apporto tecnologico di queste società la produzione di greggio e gas del
Paese è destinata a declinare. Nonostante, come detto, sia troppo presto per
giudicare gli effetti delle ultime sanzioni, negli ultimi tre mesi le
importazioni di greggio iraniano hanno subito un forte calo, a seguito della
contrazione della domanda in Giappone, Cina e India. Effettivamente vi
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sono note difficoltà nel riscontrare il calo di domanda poiché il greggio
iraniano è più pesante e pertanto meno pregiato dello standard del mercato
rappresentato dal Light Sweet Crude. Questo fattore spinge l’Iran a
sovrapprezzare il proprio greggio, e pertanto falsa i dati ufficiali; in
condizioni di stabilità del mercato petrolifero, però, il greggio iraniano è
più difficile da vendere (in quanto più pesante) poiché il mercato è rifornito
in eccesso da greggi di superiore qualità, come quello saudita o kuwaitiano,
ad esempio.
Più significativamente, le esportazioni di carburante verso l’Iran sono in
sensibile diminuzione, andando a colpire il regime su quello che è il suo
principale tallone di Achille, ovvero il deficit cronico di capacità di
raffinazione. Peraltro connesso al deficit di raffinazione vi è il pericolo che
un aumento improvviso dei prezzi del carburante generi disordini in seno
ad una società resa strutturalmente irrequieta dalle frodi elettorali del
giugno 2009. Quando sono imposte quote sul carburante o vengono
annunciati tagli al sussidio4 statale sullo stesso si verificano puntualmente
violente agitazioni, come nell’estate 2007. Ad ogni modo l’Iran avrebbe
fornitori alternativi, fra cui: il vicino Turkmenistan; il Venezuela
dell’alleato Chavez, anche se l’approvvigionamento risulterebbe
logisticamente complesso per questioni politiche e geografiche; il Kuwait,
anche se l’emirato sunnita ha protestato diplomaticamente per uno scandalo
spionistico che ha coinvolto i Pasdaran, e la Malaysia, che però essendo un
piccolo produttore ha scarse capacità di scorta. Dal punto di vista degli
effetti socio-politici della pressione economica, importanti gruppi di
iraniani esiliati negli USA confermano che molte grandi fabbriche (come la
Iran-Khodro) cominciano a licenziare personale e a non pagare gli stipendi.
Qualora la notizia fosse confermata potrebbe andare a esacerbare la crisi di
legittimità in cui continua a trovarsi il regime.
Il gigante tedesco del gas Linde risulta essere una delle ultime grandi
società europee ancora presenti in Iran ad aver annunciato lo stop alle
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Il sussidio sui carburanti è uno dei più vantaggiosi al mondo, la benzina costa appena 4 centesimi di
dollaro al litro all’automobilista, ma ben 55 miliardi di dollari l’anno allo Stato, ovvero circa il 12% del
PIL. Il Governo Ahmadinejad, nel tentativo di diminuire il consumo interno e di rendere disponibili
risorse per altri scopi, ha razionato la benzina e annunciato la sospensione del sussidio per il 23 settembre.
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operazioni a causa delle sanzioni. L’Iran rappresenta solo una frazione
delle attività del gruppo, circa 39 milioni di euro (lo 0,3% del fatturato nel
2009). Ad ogni modo sembra che le compagnie teutoniche siano quelle che
maggiormente hanno disertato l’Iran in tempi recenti, complici anche
tensioni diplomatiche fra Berlino e Teheran. A gennaio Siemens ha
annunciato il suo ritiro dal Paese e Daimler-Benz si è ritirata insieme a
maggiori produttori di automobili del Paese, anche a causa del tetto
imposto dal governo Merkel sulla concessione di garanzie all’export.
Sotto il profilo dell’impatto delle sanzioni sul settore assicurativo, si
segnala l’adesione del più grande mercato assicurativo al mondo, la Gran
Bretagna, al regime sanzionatorio bilaterale approvato dal Presidente
Obama. In effetti, non poteva essere altrimenti, come sottolineato da Sean
McGovern, capo dell’ufficio legale dei Lloyd’s di Londra, vista l’enormità
degli interessi che l’intero settore detiene negli Stati Uniti.
Per quanto riguarda le banche, Deutsche Bank, HSBC, ABN-AMRO,
Credit Suisse e i maggiori istituti di credito europei collaborano
strettamente con il Dipartimento del Tesoro USA e in particolare con il
Sottosegretario Stuart A. Levey, titolare dell’ufficio preposto al
monitoraggio dei regimi soggetti a sanzioni. Questa collaborazione rende
sempre più difficile alla Banca centrale iraniana ottenere lettere di credito,
credito all’export e trasferire fondi dall’Iran e in Iran.
A seguito delle sanzioni, la Repubblica Islamica è stata costretta a trasferire
centinaia di milioni di dollari da Banche europee a quelle di Paesi amici,
come ad esempio Dubai, al fine di evitarne il congelamento. Il direttore di
Bank Saderat ad esempio ha riferito di 432 milioni di dollari in conti
appartenenti alla banca congelati da una serie di nazioni che hanno aderito
alle sanzioni. Barclays Bank ha invece saggiato essa stessa la severità delle
sanzioni bilaterali USA, essendo stata multata dal Dipartimento della
Giustizia (per un importo complessivo di 298 milioni di dollari) per aver
condotto transazioni con l’Iran. Unico Stato alleato degli USA che continua
a gestire un ingente volume di affari con Teheran sono gli Emirati Arabi
Uniti (in particolare Dubai), che hanno tentato di preservare il proprio
commercio con l’Iran, il cui volume si aggira intorno ai 12 miliardi di
dollari, e al contempo rassicurare i propri partner occidentali circa la
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propria adesione alle sanzioni. Dubai rappresenta per l’Iran una delle più
efficaci destinazioni (peraltro geograficamente conveniente) per aggirare
gli ostacoli delle sanzioni, e il piccolo Emirato è da tempo divenuto il
gestore non ufficiale di larga parte delle importazioni iraniane – beni e
servizi provenienti da tutto il mondo, non sempre conformi ai caveat
sanzionatori – che giungono nell'Emirato per essere immediatamente
riesportate verso la sponda orientale del Golfo Persico. In seguito
all’approvazione delle sanzioni, le autorità di Dubai hanno congelato i beni
di quattro individui, ma si sono astenuti dallo spingersi oltre.
Nonostante i precedenti tre regimi di sanzioni non siano riusciti a
persuadere l’Iran sulla necessità di sospendere il programma nucleare, non
vi sono dubbi che anni di sanzioni internazionali (incluse quelle imposte
dagli USA dopo il 1979) hanno avuto un impatto significativo sullo status
dell’economia nazionale, con il suo alto tasso di disoccupazione, inflazione
e stagnazione in importanti settori industriali. Solamente nell’ultimo anno,
la disastrosa situazione debitoria del governo Ahmadinejad ha costretto
molte fabbriche a licenziamenti di massa e molti imprenditori che lavorano
con lo Stato a non pagare gli stipendi dei propri dipendenti.
Il governo Ahmadinejad appare restio a pubblicare statistiche accurate sulle
condizioni dell’economia nazionale, ma secondo alcuni economisti
riformisti il Paese potrebbe crescere appena dello 0,5%, contro il 2,6% del
2009 ed il 6,9% del 2007.
Non sono solo i riformisti e i moderati ad attribuire la responsabilità di
questo tracollo economico ad Ahmadinejad.
Da tempo anche il fronte conservatore rivale del Presidente denuncia le
politiche economiche espansionistiche intraprese dopo il 2005 per un
aumento sconsiderato delle importazioni, che ha depresso la produzione
domestica, sperperato i miliardi del Fondo di Stabilizzazione (oltre 250
miliardi di dollari), incoraggiato l’inflazione ed esposto ancor più la
nazione al morso delle sanzioni internazionali.
Il quarto regime di sanzioni ONU e gli altri regimi bilaterali potrebbero
seminare il panico fra gli investitori e sconvolgere ulteriormente la
travagliata economia del Paese, indebolendo così il consenso di cui gode il
Presidente.
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01 - Islam e problematiche religiose in Cina, ottobre 2009
02 - I Balcani tra rischi di nuove crisi e prospettive europee, ottobre 2009
03 - Iraq, dicembre 2009
04 - Una breve guida ai negoziati di Copenhagen: principali temi e attori, dicembre 2009
05 - Il partenariato orientale dell'UE tra potenzialità e debolezze, dicembre 2009
06 - Dinamiche etniche, tribali e politiche in Afghanistan, gennaio 2010
07 - Movimenti estremisti islamici nel Sudest Asiatico, febbraio 2010
08 - Il Brasile, motore dell'integrazione regionale dell'America del Sud, marzo 2010
09 - I Balcani tra orizzonte europeo e tensioni interetniche - I casi di Bosnia-Erzegovina e Macedonia, marzo 2010
10 - Afghanistan: le sfide dello sviluppo e le alternative all’economia illegale dell’oppio, marzo 2010
11 - Il nuovo Concetto strategico della Nato: verso la quadratura del cerchio?, aprile 2010
12 - Nuove forme di antisemitismo e mezzi di contrasto, aprile 2010
13 - Il regime di non proliferazione nucleare alla vigilia dell’ottava Conferenza di Riesame del Trattato di Non Proliferazione
Nucleare, maggio 2010
14 - Le relazioni sino-russe e il caso dell’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai, maggio 2010
15 - La formazione delle forze di sicurezza afghane, maggio 2010
16 - Cambiamenti climatici e governance della sicurezza: la rilevanza politica della nuova agenda Internazionale, maggio 2010
17 - Il Consiglio d'Europa e l'immigrazione, giugno 2010
18 - La nuova leadership Usa e le relazioni transatlantiche, settembre 2010
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