Nell`incanto di un sogno (Pietro Mascagni, da "Cavalleria Rusticana")

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www.fondazionegraziottin.org, Area divulgativa - Strategie per stare meglio 15/11/11
Nell'incanto di un sogno (Pietro Mascagni, da "Cavalleria
Rusticana")
Proposte di ascolto a cura di Pino Pignatta
Pietro Mascagni
Cavalleria Rusticana: Intermezzo
Orchestre National de France; Georges Prêtre, direttore
L’orgoglio è tutto italiano. Per la musica, “che non morirà mai”, per il fraseggio, irresistibile nel
mettere le ali a una felicità sincera e genuina, fresca e possibile. Per la melodia: ampia, distesa,
a tratti contagiosa, molto più che un balsamo per lenire le ferite. Una finestra spalancata sui
sogni, sull’aria limpida e tersa di un mattino d’azzurro, su una cantabile freschezza tutta
italiana, non ci sono dubbi. Pietro Mascagni, che meraviglia. Verrebbe da dire, con le parole di
una lirica cantata da Andrea Bocelli, «è alta nel cielo la musica che ci hai dato tu... Storie,
passione, dolore, Mascagni vive tra di noi».
Oggi vi offriamo questo Intermezzo tratto da Cavalleria rusticana, il bel dramma lirico in un
atto che il compositore toscano scrisse tra i 25 e i 27 anni: la sua prima opera rappresentata in
pubblico, e forse, secondo i musicologi, la più completa che abbia lasciato. L’Intermezzo, pensato
dal compositore per dividere l’opera in due parti diseguali, è puramente orchestrale, senza
accompagnamento delle voci principali di soprano, tenore, baritono e mezzo-soprano, sulle quali
si snocciola, con accenti drammatici, a tinte erotico-sensuali, la storia di Santuzza e Turiddu. Il
consiglio è di ascoltarlo almeno una volta “a vele spiegate”, come sul mare del livornese
Mascagni, con volume aperto e generoso: vi scaverà nel profondo, con passione, facendovi
volare nel cielo alto delle sue campate melodiche.
Ma dopo il comprensibile, e legittimo, orgoglio per questa musica italianissima, la migliore guida
all’ascolto è qui nelle mani di Georges Prêtre, nella gestualità “cantabile” di questo direttore
francese, nel senso che con i movimenti delle mani e del corpo sembra davvero capace di
“porgere” come un cantante lirico. Non emette né voce né strofe del libretto, essendo come
abbiamo detto un Intermezzo sinfonico; ma le note sì, le note le canta, si percepiscono
chiaramente la progressione di “do-re-mi-fa”, e di un “fa” ribattuto quattro volte. E in questo
Prêtre si muove plasticamente sul podio come un cantante sul palcoscenico, facendo proseguire
nell’episodio orchestrale l’afflato lirico, il furore belcantistico.
In alternativa vi proponiamo la lettura meno emozionale e più teatrale di Riccardo Muti. Il
direttore italiano lavora di più sulle dinamiche e sullo stacco netto delle pause (in musica il
silenzio è importante quanto le note). L’interpretazione di Muti è fatta di masse orchestrali che
ondeggiano sul filo dell’invenzione melodica, con le varie parti protagoniste della materia sonora.
In Prêtre, invece, prevale nettamente un senso di religiosità, che si sgancia dal ruolo di
Intermezzo lirico, diventando eterea. Tira fuori il cuore Prêtre, piuttosto che le unghie
orchestrali, e pensiamo che Mascagni volesse dire questo: la musica come pace dell’anima,
che allenta la tensione e le miserie umane.
Senza contare poi la chiusura dell’Intermezzo. Osservate prima un video e poi l’altro: Riccardo
Muti smorza il “motore” dell’orchestra facendo calare il sipario, esattamente come da un atto
all’altro di un’opera lirica. Georges Prêtre, invece, chiude con un gesto non di “dissolvenza”, ma
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di “evaporazione”: la musica fino a un certo punto c’è, e poi non c’è più. Una magia che
scompare. Svanisce, come l’incanto di un sogno, e si ritorna alle asprezze e alle
contraddizioni di tutti i giorni.
Melodramma in un solo atto, basato sulla novella omonima di Giovanni Verga, Cavalleria
Rusticana (spesso rappresentata a teatro, o incisa su disco, con un’altra opera breve, Pagliacci,
di Ruggero Leoncavallo) è stato rappresentato la prima volta a Roma il 17 maggio 1890. La
scena si svolge in un paese siciliano il giorno di Pasqua, alla fine dell’Ottocento. E’ la storia di
Turiddu, un contadino. Prima di partire per il militare era fidanzato con Lola; durante la sua
assenza, Lola si fidanza con Alfio, ricco carrettiere, “che ha quattro muli in stalla”. Un giorno
Turiddu, rincasando, incontra finalmente Lola. Lei gli spiega che sta per sposare Alfio. Turiddu,
roso dalla gelosia e dalla delusione, decide di vendicarsi seducendo Santa (Santuzza), che abita
di fronte la casa di Alfio. Mentre Santa s’innamora di lui, la gelosia di Lola aumenta;
quest’ultima, approfittando dell’assenza del marito, decide di invitare Turiddu a casa sua; Santa
se ne accorge e, sentendosi tradita, decide di raccontare tutto ad Alfio che, turbato dall’offesa,
sfida a duello Turiddu; i due uomini si affrontano, armati di coltello, in un duello che si conclude
con la morte di Turiddu (“Hanno ammazzato compare Turiddu”).
Ma è sull’immenso Intermezzo che proviamo a concentrarci in questa proposta d’ascolto. È
composto da brevi strofe preludianti e infine, quasi all’improvviso, da una larga melodia. Le due
strofe introduttive sono quasi in stile religioso, ricordano certa spiritualità musicale del
Settecento, o le frasi ad ampio respiro polifonico e corale di un genio contemporaneo come il
compositore estone Arvo Paart. Nonostante l’impronta religiosa che Mascagni ha voluto lasciare
in partitura – forse per ricordarci che nonostante la tensione erotica e sensuale dell’opera siamo
comunque sempre in una mattina di Pasqua – le due eleganti strofe e il successivo campo aperto
cantabile contengono un leggiadro movimento di minuetto. La larga melodia dei violini che forma
la seconda parte dell’Intermezzo, accompagnata dall’organo, dimostra che la musica di Mascagni
rimane, anche nel registro orchestrale, la vecchia melodia italiana, ultracantabile. E della vecchia
melodia italiana ha il fascino sensuale, autenticamente popolare, anzi nazional-popolare in senso
culturale, non banalmente televisivo, che prende alla gola per la facilità di dispiegarne il
fraseggio. E che fa di quest’opera, come di tanta letteratura nostrana, il punto di riferimento non
solo dei teatri di tradizione nel nostro Paese, ma dei grandi allestimenti nei templi della lirica
mondiale, Metropolitan di New York o Covent Garden di Londra.
Pietro Mascagni apprezzò con entusiasmo i colori accesi (che si gustano soprattutto nelle parti
cantate dell’opera) della novella di Verga. Affidò la stesura del libretto a Giovanni Targioni
Tozzetti, poeta della Scapigliatura, il quale si lasciò affiancare da Guido Menasci, futuro critico
letterario. Spiega Guido Salvetti, nel volume “Novecento I”, Storia della Musica a cura della
Società Italiana di Musicologia, vol. IX, Torino, EDT, 1971, p. 156: «L’elaborazione musicale
dell’atto unico si rivelò fulminea, senza ripensamenti, all’insegna di un’identificazione musicatesto, musica-realtà rappresentata, che vede Mascagni impegnato a illustrare gli sfoghi
passionali e lirici con melodie a piena voce nel registro acuto; oppure gli alterchi, i rimbrotti e le
confessioni con uno stile recitato rotto, scarnito. In tutti i casi, con un’estrema chiarezza della
parola; tutto ciò conducendo naturalmente a una grande ricchezza di situazioni musicali: la
forma chiusa, a imitazione del canto popolare strofico; lo sfogo lirico ad arco melodico tesissimo;
il trapassare continuo dal parlato alla melodia; preludio sinfonico con melodia “tematica” che
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ritorna riconoscibilissima in vari punti del dramma; intermezzo orchestrale a melodia spiegata;
baldanza ritmica in orchestra e nei cori nelle scene di festa paesana; un certo far di banda al
culmine del dramma; scene “di genere” di vera volgarità stradaiola; momenti di partecipazione
orchestrale alla vicenda».
Una curiosità, da caffè letterario, che spiega come anche un secolo fa non si andasse tanto per il
sottile in fatto di quattrini. Il marzo precedente la prima rappresentazione, probabilmente
sottovalutando Mascagni, Giovanni Verga aveva “con leggerezza” concesso l’autorizzazione a
elaborare Cavalleria rusticana, offrendosi di collaborare al libretto, quando però Targioni Tozzetti
e Menasci l’avevano già da tempo terminato. Da parte sua Mascagni assicurò a Verga l’impegno
di corrispondere gli utili spettanti, secondo le norme della Società Italiana degli Autori e degli
Editori, la celeberrima anche oggi SIAE, fondata a Milano nel 1882. Tuttavia, all’indomani del
trionfo operistico del giovane Mascagni, Verga dovette pentirsi di quella leggerezza e, secondo le
norme SIAE, citò Pietro Mascagni in giudizio di fronte al tribunale di Milano, reclamando la metà
dei proventi derivanti dalle rappresentazioni di Cavalleria rusticana, con l’argomentazione di
essere il vero autore del libretto. Una prima sentenza, datata 12 marzo 1891, diede ragione a
Verga, relegando Targioni Tozzetti e Menasci al semplice ruolo di “versificatori” e adattatori di un
libretto già esistente. Qualche mese dopo, il 16 giugno 1891, la sentenza d’appello riconobbe
invece ai due librettisti la piena dignità del lavoro creativo “a partire” dalla novella di Verga, in
base al principio della «comunione d’ingegno tra musicista e librettisti, fermo restando il diritto
del musicista di disporre della parte letteraria, ormai indissolubilmente legata alla musica».
E davvero rimane soltanto la melodia di Mascagni. Di quelle impossibili da dimenticare e che
fanno bene al cuore.
Buon ascolto.
Per approfondire l'ascolto
1) Pietro Mascagni
Cavalleria Rusticana
Renata Scotto; Placido Domingo; National Philharmonic Orchestra; James Levine, direttore (RCA)
2) Pietro Mascagni
Cavalleria Rusticana
Carlo Bergonzi; Fiorenza Cossotto
Orchestra del Teatro alla Scala di Milano; Herbert von Karajan, direttore (Deutsche Grammophon,
disponibile anche su iTunes)
3) Mascagni: Cavalleria Rusticana – Leoncavallo: Pagliacci
Giuseppe Di Stefano; Maria Callas; Tullio Serafin, direttore (EMI Classics, disponibile anche su
libreria iTunes)
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