12:54:24
LE
TUTELE GIUDIZIALI
C. Delle Donne
LE
4-10-2012
Clarice Delle Donne
Il volume affronta il tema, da sempre al centro della riflessione
scientifica e degli interventi della giurisprudenza (per lo più) di
merito, dell’attuazione delle misure cautelari rese dal giudice
ordinario.
La ricerca si cala nel contesto di due decenni di applicazione
della normativa dettata dal legislatore del 1990 e si confronta
perciò sia con le riflessioni di una dottrina oramai sterminata
sia con l’esperienza applicativa della giurisprudenza di merito,
anch’essa dalle molteplici direzioni e priva di orientamenti che
possano definirsi, ad oggi, consolidati.
Dando conto di questo dibattito ancora aperto ed in particolare
seguendone la direzione impressa dai maggiori problemi emersi
nella prassi, (a mezzo della ricognizione della parte “emersa”
delle pronunce di merito rese in questi anni) il lavoro propone
alcune possibili soluzioni anche alla luce dell’esperienza
giurisprudenziale maturata nel contiguo settore del processo
amministrativo, ove lo stesso ordine di problemi conta da
tempo, ed al contrario di quanto accade nel contesto civilistico,
su un corredo di soluzioni consolidate e costruite sul rispetto
dell’effettività della tutela cautelare.
C
M
Y
CM
MY
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CMY
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ISBN 978-8858201442
€ 28,00
9
788858 201442
L’attuazione delle misure cautelari
copertina-attuazione-misure-cautelari-STAMPA.pdf
TUTELE GIUDIZIALI
Collana diretta da
FERRUCCIO AULETTA MARCO DE CRISTOFARO GIUSEPPE MICCOLIS FABIO SANTANGELI
L’attuazione
delle misure
cautelari
Clarice Delle Donne
I volumi pubblicati in questa Collana sono preventivamente sottoposti, in maniera anonima,
all’approvazione di due blind referees, uno dei quali preferibilmente straniero. In caso di
opinione divergente, essi affidano la valutazione a un terzo di comune elezione.
I referees sono: Nicolò Trocker, Gian Paolo Califano, Nicola Rascio, Peter Kindler, Teresa
Arruda Alvim Wambier.
© Copyright – DIKE Giuridica Editrice, S.r.l. Roma
La traduzione, l’adattamento totale o parziale, la riproduzione
con qualsiasi mezzo (compresi i film, le fotocopie), nonché
la memorizzazione elettronica, sono riservate per tutti i Paesi.
Copertina
Chiara Damiani
Realizzazione editoriale
Studio Editoriale Cafagna, Barletta
Finito di stampare nel mese di agosto 2012
© Copyright – DIKE Giuridica Editrice, S.r.l. Roma
La traduzione, l’adattamento totale o parziale, la riproduzione
con qualsiasi mezzo (compresi i film, le fotocopie), nonché
la memorizzazione elettronica, sono riservate per tutti i Paesi.
Copertina
Chiara Damiani
Realizzazione editoriale
Studio Editoriale Cafagna, Barletta
Finito di stampare nel mese di agosto 2012
L’attuazione
delle misure cautelari
Clarice Delle Donne
Indice
Prefazione......................................................................................................XI
CAPITOLO 1
L’“attuazione” cautelare
Sezione I. L’“attuazione cautelare” nella prospettiva
dell’art. 669 duodecies c.p.c.........................................................................1
1. Considerazioni introduttive: l’art. 669 duodecies e la complessità
dei fenomeni regolati..................................................................................1
2. La diversa fisionomia dell’“attuazione” ex art. 669 duodecies
nelle cautele cd. conservative ed in quelle cd. anticipatorie.......................3
2.1 Segue: la sequenza concessione-attuazione nel sequestro,
un vincolo che nasce dal solo completamento della fattispecie..............4
2.2. L’“anticipatorietà”cautelare e i suoi riflessi sulla sequenza
concessione-attuazione........................................................................5
2.3. Segue. Cautele conservative ed anticipatorie a confronto
nella prospettiva dell’art. 669 duodecies: realizzazione di
un vincolo pubblicistico versus esecuzione forzata...........................12
3. La duplice natura dell’“attuazione” ex art. 669 duodecies e le
sue ricadute sulla ricostruzione della disciplina applicabile.....................13
4. Prime conclusioni e ragioni delle scelte espositive..................................18
Sezione II. L’attuazione cautelare nella prospettiva storica..............20
Origini e sviluppo di un dibattito . ............................................................20
1. Premessa...................................................................................................20
2. Le origini: il processo cautelare quale tertium genus rispetto alla
cognizione ed all’esecuzione ...................................................................21
3. La rilevanza costituzionale della tutela cautelare come fattore
di sviluppo della tutela urgente ed i suoi riflessi sull’interpre tazione corrente dell’attuazione cautelare................................................25
4. I riflessi del recupero del modello dell’espropriazione forzata
sulla ricostruzione sistematica dell’attuazione cautelare..........................29
VI
Indice
CAPITOLO 2
La competenza
Sezione I. La prospettiva del vincolo pubblicistico sui beni
(l’“attuazione dei sequestri”)....................................................................33
1. Il giudice competente per l’“attuazione” del sequestro giudiziario…..........33
2. Segue: …e del sequestro conservativo.....................................................38
Sezione II. La prospettiva dell’esecuzione forzata
(l’“attuazione” delle cautele anticipatorie)..........................................40
Parte I- La par condicio creditorum nel contesto dell’evoluzione
della responsabilità patrimoniale .............................................................40
1. La par condicio creditorum quale fulcro di un eterno dibattito ..............40
2. Segue: la tutela dei creditori nell’esecuzione singolare dalla di stribuzione del prezzo “par contribution” all’“eguale diritto di
essere soddisfatti sui beni del debitore”...................................................44
2.1. Gli sviluppi successivi: patrimoni separati, evoluzione delle
garanzie reali e proliferazione dei privilegi. L’ordinamento
rinnega la sua stessa visione della responsabilità universale. ..........50
3. Par condicio creditorum e regole processuali: una lunga storia
costellata di alcune significative costanti ................................................53
Parte I bis. L’attuazione delle cautele di condanna pecuniaria.................57
1. Il giudice competente per l’attuazione delle cautele recanti con danne pecuniarie.......................................................................................57
Parte II. L’attuazione delle cautele recanti ordini di fare-non fare-dare.............59
1. Il giudice competente per l’attuazione delle cautele recanti pre stazioni di fare-non fare-dare....................................................................59
Sezione Iii. Riepilogo. ................................................................................66
1. Tre modelli, e tre rationes, a confronto....................................................66
CAPITOLO 3
Il procedimento
Sezione I. La prospettiva del vincolo pubblicistico sui beni
(l’“attuazione” dei sequestri)....................................................................72
1. Considerazioni introduttive: i sequestri giudiziario e conserva tivo tra procedimento cautelare uniforme e lex specialis della
Sezione II del Capo III del Libro IV del c.p.c..........................................72
Indice
VII
2. L’art. 675 c.p.c. e la decorrenza del termine di efficacia del prov vedimento autorizzativo del sequestro. Il problema dei succes sivi atti di esecuzione................................................................................73
3. L’“attuazione” del sequestro giudiziario: la costituzione del vin colo sui beni .............................................................................................82
3.1. Segue: nomina e sostituzione del custode, obbligo di rendi conto e diritto al compenso. Il problema del controllo sull’attu azione........................................................................................................83
3.2. Segue: poteri ed obblighi del custode. La legittimazione
processuale, l’amministrazione dei beni ed i contratti..............................89
3.3. Segue: sequestro giudiziario e potere di disposizione giu ridica del bene in capo al sequestrato.......................................................94
3.4. Segue. Il problema della trascrizione del sequestro giu diziario. La pubblicizzazione del sequestro sui mobili e le sue
ricadute sull’effettività della misura.........................................................96
4. L’“attuazione” del sequestro conservativo: a) sui beni mobili e
sui crediti................................................................................................102
4.1. Segue. L’attuazione del sequestro conservativo: b) sui beni
immobili e sui beni mobili registrati.......................................................109
Sezione II. La prospettiva dell’esecuzione forzata
(l’“attuazione” delle cautele anticipatorie)........................................ 112
Parte I. L’attuazione delle cautele di condanna pecuniaria . .................. 112
1. Premessa: l’esecuzione delle cautele di condanna pecuniaria
tra richiamo agli artt. 491 e segg. del c.p.c. e disciplina sostanziale
dei rapporti tra il patrimonio del debitore ed i suoi creditori.................. 112
2. Il “concorso dei creditori”: diverse rationes dietro una formula
ambigua................................................................................................... 113
3. Gli effetti del “concorso dei creditori”nel contesto espropriazio ne del Libro III del c.p.c......................................................................... 116
3.1. Segue: … e nell’espropriazione intrapresa in base a cautela
di pagamento: inconciliabilità................................................................. 119
4. Gli sviluppi ricostruttivi: la rilevanza delle diverse rationes del
concorso dei creditori.............................................................................122
4.1. Segue: quando il concorso dei creditori è al servizio della
regola della responsabilità patrimoniale.................................................123
4.2. Segue: quando il concorso dei creditori è solo il frutto di una
scelta del legislatore processuale............................................................128
5. Le norme sull’esecuzione forzata ed il vaglio di compatibilità
dell’interprete: una ipotesi ricostruttiva..................................................133
5.1. Segue: le norme sulla vendita forzata..............................................135
5.2. Segue: le norme sul pignoramento presso terzi ..............................137
VIII
Indice
Parte II. L’attuazione della cautele recanti ordini di fare-non
fare-dare..................................................................................................141
1. La fissazione delle modalità esecutive ed il controllo sull’attu azione......................................................................................................141
1.1. Segue: la nomina degli ausiliari. L’emersione della figura
del cd. commissario ad acta....................................................................150
2. Le misure coercitive...............................................................................154
Sezione III. Riepilogo
1. L’“attuazione” cautelare e i differenti scopi cui è asservita . .................157
CAPITOLO 4
La tutela delle parti e dei terzi
Sezione I. La prospettiva del vincolo pubblicistico sui beni
(l’“attuazione” dei sequestri).....................................................................163
1. La tutela delle parti. Il ruolo delle opposizioni esecutive ex artt.
615 e 617.................................................................................................163
2. La tutela dei terzi tra procedimento cautelare uniforme e oppo sizione ex art. 619 c.p.c..........................................................................167
Sezione II. La prospettiva dell’esecuzione forzata
(l’“attuazione” delle cautele anticipatorie)........................................174
Parte I. La tutela delle parti e dei terzi nell’attuazione delle cau tele di condanna pecuniaria ...................................................................174
1. La tutela delle parti e dei terzi................................................................174
Parte II. La tutela delle parti e dei terzi nell’attuazione delle cau tele recanti prestazioni di fare-non fare-dare..........................................182
1. Premessa: un approccio interpretativo di ampio respiro per un
dato normativo elastico . ........................................................................182
2. I provvedimenti che fissano le modalità di attuazione ed il loro
regime di riesame in caso di aberrante interpretazione del prov vedimento...............................................................................................184
3. I provvedimenti ex art. 669 duodecies che si pronunciano sulle
condizioni legittimanti il ricorso all’enforcement o la sua prose cuzione ed il loro regime di riesame.......................................................192
3.1. Segue: attuazione e questioni di competenza..................................197
4. Attuazione e terzi incisi dal dictum e dalla procedura esecutiva:
premessa.................................................................................................201
4.1. Segue: la tutela dei terzi direttamente incisi dal dictum..................203
4.2. Segue: la tutela dei terzi incisi dalla procedura attuativa................207
Indice
IX
Sezione III. Riepilogo. ..............................................................................208
1. La tutela delle parti e dei terzi tra “attuazione” dei sequestri ed
“attuazione” delle cautele anticipatorie .................................................208
Considerazioni conclusive...........................................................................213
Indice degli autori e delle opere citate.........................................................219
Indice analitico.............................................................................................231
Prefazione
S
otto le insegne della Collana intitolata a Le tutele giudiziali si intende riunire persone e idee molto diverse e tuttavia accomunate dall’aspirazione
alla modernità: modernità, anzitutto, nella selezione dei temi da proporre al
dibattito, nel metodo del loro esame, nella ricerca degli obiettivi raggiungibili.
Di questi fa parte - è bene annunciarlo anche a preferenza di maggiori dettagli
sul programma editoriale - di contribuire, specialmente nelle indagini sulle
forme del giudizio, al superamento della divisione fra speculazione scientifica
per i iniziati e prammatica riservata agli esperti del foro, provando a declinare
(sì) concetti (e però) in modo direttamente fruibile dall’ operatore cólto ovvero coniugare interessi distinti e proporre soluzioni economiche (ma sempre)
col conforto della più pura analisi del sistema normativo. Ciò è nel tentativo
costante di creare, specialmente a vantaggio della generazione che adesso si
affaccia agli studi e alle professioni legali, una classe di giuristi rinnovata, non
tanto dai bisogni informativi creati da un ordinamento multi-livello quanto
dalle tecniche di formazione; che, per quanto possibile, rimane da orientare
verso una Κοινὴ che serva a ristabilire con naturalezza (e di là, dunque, delle macro-aggregazioni forzose imposte dalla disciplina universitaria o dalle
esigenze bibliometriche che stanno a suggerire confronti continui con la pubblicistica di altri Paesi sotto la semplificante etichetta di “Law” senz’altro) la
tendenziale unità del sapere giuridico, spargendo piccoli semi di coesione culturale e colmando quei divari che, invece, stabilmente dividono gli interpreti
in ragione del ruolo dialettico di volta in volta giocato.
Inaugura la Collana un libro che ha ad oggetto un tema elusivo: una lex
brevis (l’art. 669-duodecies del codice di procedura civile) si contrappone
a un coacervo di problemi con soluzioni perennemente in altalena da due
decenni. Si possono qui richiamare le questioni dei poteri del giudice della
cautela nella fase attuativa, l’ampiezza della mimesi dell’espropriazione nei
cautelari per pagamento di somme, la praticabilità delle opposizioni esecutive, la reclamabilità dei provvedimenti di attuazione, il peso della par condicio creditorum nella dimensione di una tutela immediata e spesso a carattere
personalissimo, il regime delle spese e delle restituzioni, il senso da dare
all’ inciso che riserva al giudizio di merito “ogni altra questione”, la tutela
XII
l’attuazione delle misure cautelari
dei terzi e così via. Il pregio indiscusso di precedenti contributi scientifici
non esaurisce - anzi stimola - questo nuovo approfondimento, che adatta al
percorso accidentato dell’esperienza l’apparato critico della ricerca processualistica, utilmente arricchita dei problemi e delle soluzioni del limitrofo
processo amministrativo.
Ferruccio Auletta
(Professore ordinario di Diritto processuale civile)
CAPITOLO 1
l’“attuazione” cautelare
Sommario: Sezione I. L’“attuazione cautelare” nella prospettiva dell’art. 669 duodecies
c.p.c. – 1. Considerazioni introduttive: l’art. 669 duodecies e la complessità dei fenomeni
regolati – 2. La diversa fisionomia dell’“attuazione” ex art. 669 duodecies nelle cautele
cd. conservative ed in quelle cd. anticipatorie – 2.1. Segue: la sequenza concessione-attuazione nel sequestro, un vincolo che nasce dal solo completamento della fattispecie – 2.2.
L’“anticipatorietà”cautelare e i suoi riflessi sulla sequenza concessione-attuazione – 2.3.
Segue. Cautele conservative ed anticipatorie a confronto nella prospettiva dell’art. 669 duodecies: realizzazione di un vincolo pubblicistico versus esecuzione forzata – 3. La duplice
natura dell’“attuazione” ex art. 669 duodecies e le sue ricadute sulla ricostruzione della
disciplina applicabile – 4. Prime conclusioni e ragioni delle scelte espositive – Sezione Ii.
L’attuazione cautelare nella prospettiva storica. Origini e sviluppo di un dibattito – 1.
Premessa – 2. Le origini: il processo cautelare quale tertium genus rispetto alla cognizione
ed all’esecuzione – 3. La rilevanza costituzionale della tutela cautelare come fattore di
sviluppo della tutela urgente ed i suoi riflessi sull’interpretazione corrente dell’attuazione
cautelare – 4. I riflessi del recupero del modello dell’espropriazione forzata sulla ricostruzione sistematica dell’attuazione cautelare
Sezione I
L’“attuazione cautelare” nella prospettiva
dell’art. 669 duodecies c.p.c.
1. Considerazioni introduttive: l’art. 669 duodecies e la complessità dei
fenomeni regolati
Questo studio è dedicato all’attuazione dei provvedimenti cautelari resi dal
giudice ordinario civile1.
Esula dall’indagine la complessa problematica della tutela cautelare dinanzi al giudice amministrativo, che oggi trova compiuta regolamentazione nel Titolo II del Libro II del Codice del
processo amministrativo di cui al d. lgs. 2 luglio 2010, n. 104, “Attuazione dell’art. 44 della
legge 18 giugno 2009, n. 69, recante delega al Governo per il riordino del processo amministrativo” ed in generale il problema della tutela cautelare dinanzi agli altri giudici speciali.
Gli indubbi legami riscontrabili tra procedimento cautelare uniforme disegnato dagli artt. 669
1
2
l’attuazione delle misure cautelari
La relativa disciplina trova oggi collocazione nell’ambito degli artt. 669
bis-quaterdecies del codice di procedura civile che, sostituendo una precedente normazione frammentaria e parziale2, disegnano un processo cautelare di
applicazione pressoché generalizzata3 (art. 669 quaterdecies).
In particolare, l’art. 669 duodecies, rubricato- Attuazione-, prescrive che,
ferme restando le disposizioni degli artt. 677 e segg. in ordine ai sequestri,
l’attuazione delle cautele recanti ordini di pagamento avviene ai sensi degli
artt. 491 e segg. in quanto compatibili, mentre quella dei provvedimenti recanti ordini di fare, non fare, consegna o rilascio, avviene sotto il controllo del
giudice che ha emanato il provvedimento, il quale ne determina altresì le modalità di attuazione e, ove sorgano difficoltà e contestazioni, dà con ordinanza
i provvedimenti opportuni sentite le parti. Ogni altra questione è riservata al
giudizio di merito.
La prospettiva unificante che traspare dalla rubrica e che rimanda all’“attuazione” come fase del processo cautelare si rivela però solo apparente.
Essa si infrange infatti contro il contenuto precettivo della disposizione,
che accomuna sotto l’usbergo dell’“attuazione” stessa fenomeni profondamente diversi, così come diverse se ne rivelano le fonti di disciplina, (anche)
in virtù delle tecniche utilizzate per individuarle: rinvio puro e semplice agli
artt. 677 e segg. del c.p.c. quanto ai sequestri; rinvio agli artt. 491 e segg. solo
in quanto compatibili per le cautele di pagamento; autonoma regolamentazione, infine, quanto alle cautele di fare-non fare-dare.
Sicché il fenomeno regolato si stempera nello spettro dei fenomeni regolati e la sedes dell’art. 669 duodecies, pur imprescindibile punto di partenza,
necessita di notevoli integrazioni esterne non solo da parte della restante disciplina del processo cautelare, ma anche di diversi corpi normativi per lo più
interni al codice di rito civile, ma non solo.
bis-quaterdecies e procedimento cautelare disegnato dal Codice del processo amministrativo
emergeranno tuttavia nel corso della trattazione e contribuiranno ad evidenziare la complessità
della vicenda ricostruttiva oggetto di questa indagine.
2
Prima dell’intervento operato dalla l. n.353/1990 il principale riferimento per l’attuazione cautelare si rivelava l’allora vigente art. 702 c.p.c. che però si limitava a rinviare, per l’attuazione
dei provvedimenti d’urgenza, alle norme dettate in materia di provvedimenti di nuova opera e
danno temuto. Sicché al centro del dibattito ermeneutico si trovò l’art. 691 c. p.c. (peraltro oggi
ancora in vigore perché non abrogato dalla legge n. 353 del 1990) a mente del quale se la parte
cui è fatto divieto di compiere l’atto dannoso o di mutare lo stato di fatto contravviene all’ordine, il giudice, su ricorso della parte interessata, può disporre con ordinanza che le cose siano
rimesse al pristino stato a spese del contravventore. Sul punto, per tutti, Vullo, L’attuazione dei
provvedimenti cautelari, Torino, 2000, p. 42ss.
3
L’art. 669 quaterdecies, che chiude la disciplina del processo cautelare, assoggetta ad essa i
sequestri, i provvedimenti d’urgenza, quelli resi su denuncia di nuova opera e danno temuto,
nonché le fasi cautelari del giudizio possessorio, mentre per gli altri innumerevoli provvedimenti cautelari disseminati nel codice civile e nelle leggi speciali l’applicazione è subordinata
alla previa valutazione di compatibilità con la loro lex specialis: v. amplius, per tutti, ancora
Vullo, op. ult. cit.
Capitolo 1 – L’“attuazione” cautelare
3
Le ragioni di questa complessità (di fenomeni) e frammentarietà (di discipline applicabili) sono almeno in parte esterne all’art. 669 duodecies ed alle
scelte di tecnica processuale che il legislatore vi ha trasfuso. Si tratta piuttosto
di ragioni di sistema che affondano nella ratio più profonda della tutela cautelare e segnatamente in quelle diversità tra provvedimenti cautelari cd. “conservativi”, di cui i sequestri costituiscono l’archetipo, ed “anticipatori”, che la
disposizione contempla; e, all’interno di questi ultimi, tra quelli recanti ordini
di fare-non fare-dare e quelli recanti invece ordini di pagamento, a ciascuno
corrispondendo un retroterra peculiare di storia, ed in parte di sistema, da cui
originano i diversi modelli processuali oggi apprestati per provvedimenti pur
accomunati dall’identica funzione di paralisi del periculum.
L’art. 669 duodecies e le diverse rationes che lo animano non possono perciò essere ricostruiti e compresi prescindendo dal contesto delle cautele che la
disposizione aspira a regolare e dalla struttura del processo che, insieme agli
artt. 669 bis-terdecies, contribuisce a costruire.
2. La diversa fisionomia dell’“attuazione” ex art. 669 duodecies nelle
cautele cd. conservative ed in quelle cd. anticipatorie
La dicotomia tutela cautelare conservativa - tutela cautelare anticipatoria, da
sempre nota all’elaborazione scientifica4 ed all’applicazione concreta rappresenta, come si accennava, il più rilevante presupposto “di sistema” dell’art.
669 duodecies.
Trattasi di distinzione che, com’è noto, è già presente, sia pure con qualche variante lessicale, in Calamandrei (Introduzione allo studio sistematico dei provvedimenti cautelari, Padova,
1936, p. 26 ss), il quale differenzia le misure che mirano a conservare uno stato di fatto “in
attesa ed allo scopo che su di esso possa il provvedimento principale esercitare i suoi effetti”;
dalla misure innovative, che producono “in via provvisoria e anticipata quegli effetti costitutivi
e innovativi che potrebbero diventare, se differiti, inefficaci o inattuabili”. V. anche Carnelutti,
Sistema del diritto processuale civile, Padova, 1939, p. 206 ss, per il quale occorre distinguere
tra prevenzione conservativa e innovativa, la prima funzionale alla sistemazione provvisoria
della lite mediante il mantenimento di uno stato di fatto, la seconda funzionale invece a tale
sistemazione con l’alterazione dello stato di fatto stesso, atteso che il risultato del processo sarebbe compromesso se non vi fosse subito una anticipata modifica di una situazione giuridica.
La dottrina ha comunque da sempre riconosciuto alla tradizionale distinzione una valenza solo
descrittiva, notando come in realtà tutti i provvedimenti cautelari siano idonei a creare un aliquid novi (in primis i sequestri, che creano vincoli sui beni che ne sono oggetto), ma nessuno di
essi è mai in grado di anticipare effettivamente tutti i contenuti della sentenza di merito. Così,
nessuna misura cautelare sarebbe mai veramente solo conservativa o solo anticipatoria. V., ad
es., in tal senso, Attardi, Diritto processuale civile, Padova, 1994, p.144; Ferri, I procedimenti
cautelari e urgenti in materia di società commerciali, in Riv. trim dir. proc. civ., 1995, p. 135;
Montesano, La tutela giurisdizionale dei diritti, in Trattato di diritto civile italiano diretto da
Vassalli, XI, Torino, 1994, p. 293. Di distinzione “manichea” discorre, oggi, Buoncristiani,
Tutela cautelare ante causam nel nuovo rito societario. Assenza di strumentalità necessaria,
in www.judicium.it.
4
4
l’attuazione delle misure cautelari
Essa si presta ad essere esaminata sotto un duplice profilo, funzionale e
strutturale.
Sotto il profilo funzionale la connotazione della cautela come conservativa
rimanda alla sua idoneità a mantenere immutata la realtà su cui è destinata ad
incidere la tutela finale.
Sotto il profilo strutturale è invece conservativa la cautela che non incide
immediatamente sull’assetto delle relazioni tra le parti, in quanto non tende ad
assicurare la stessa utilitas (sul piano concreto) che si conseguirà all’esito della tutela finale, ma la fruttuosità di quest’ultima attraverso la cristallizzazione
di uno stato di fatto.
Alla funzione conservativa possono quindi assolvere, oltre che cautele a
struttura conservativa, anche cautele che, dal punto di vista strutturale, appaiono modellate secondo la tecnica dell’anticipazione, consistente nel dare ad
esse un contenuto che, tendenzialmente,5 si modella su uno o più degli effetti
(di statuizione) conseguibili con la tutela finale.
Dal punto di vista del nostro studio la distinzione assume un preciso rilievo sotto il solo profilo della struttura6. L’art. 669 duodecies disegna infatti le
tecniche di attuazione in riferimento al contenuto delle misure contemplate,
mostrandosi perciò trasversale rispetto alla funzione conservativa o anticipatoria che esse sono, a monte, chiamate ad assolvere.
In particolare, la differenza tra provvedimenti anticipatori e conservativi
mostra tutta la sua rilevanza per il diverso rapporto esistente, in ciascuno di
essi, tra la fase di concessione (o autorizzazione) e quella di “attuazione”, che
si riverbera sulla stessa fisionomia dei fenomeni regolati sotto la denominazione, pure comune, di “attuazione”.
2.1 Segue: la sequenza concessione-attuazione nel sequestro, un vincolo
che nasce dal solo completamento della fattispecie
I sequestri giudiziario e conservativo rappresentano l’archetipo delle cautele
conservative e, in quanto tali, sono funzionali a neutralizzare i pericula cd. da
infruttuosità della tutela finale tipizzati dagli artt. 670 e 671 c.p.c..
Proprio per questo sotto il profilo processuale essi si strutturano in una fase
di autorizzazione, che culmina nel provvedimento autorizzativo ed ha quale
scopo di fornire al richiedente il potere di attivare gli organi pubblici preposti
E salve le precisazioni che saranno effettuate al § successivo.
Sicché l’analisi si sviluppa in questa prospettiva non perché l’unica possibile, ma solo perchè
maggiormente funzionale al contesto presupposto dall’art. 669 duodecies. A riprova del fatto
che diversi possono rivelarsi gli angoli di visuale dai quali riguardare le differenze tra anticipatorietà e conservazione basti evocare la circostanza che il nuovo art. 669 octies, come modificato dalla l. n. 80/2005, autorizza la conclusione che tutti indistintamente i provvedimenti
adottati ai sensi dell’art. 700 siano da considerarsi anticipatori ai fini della non necessità dell’instaurazione del giudizio di merito. Nella prospettiva dell’attuazione cautelare, qui privilegiata,
resta invece ferma la profonda diversità tra sequestri e provvedimenti che, ut supra nel testo,
impongono obblighi direttamente al soggetto passivo sul piano sostanziale.
5
6
Capitolo 1 – L’“attuazione” cautelare
5
per legge alla creazione del vincolo, o di realizzare egli stesso le formalità
all’uopo necessarie; ed in una susseguente fase di perfezionamento del vincolo stesso.
Mezzo al fine è, nel sequestro giudiziario, l’apprensione delle res che ne
formano oggetto e la loro consegna ad un custode7, così sottraendo ad una
delle parti del rapporto in contestazione il potere di fatto sulle stesse8.
Nel sequestro conservativo il vincolo si perfeziona invece nelle forme del
pignoramento poichè il periculum di dispersione della garanzia patrimoniale
che è teso a scongiurare si risolve nella probabilità che (legittimi) atti di disposizione giuridica di beni depauperino il patrimonio del debitore rendendolo
inidoneo a soddisfare, attraverso l’espropriazione forzata, le ragioni creditorie. Esso non può dunque che contrastarsi attraverso la tecnica dell’inopponibilità al sequestrante degli atti di disposizione eventualmente compiuti dal
(presunto) debitore (art. 2906 c.c.).
Ne deriva che il provvedimento autorizzativo è solo una tappa del più ampio
procedimento culminante nel perfezionamento del vincolo, al quale soltanto è
possibile ascrivere la rimozione del periculum cui la cautela è strumentale.
2.2. L’“anticipatorietà”cautelare e i suoi riflessi sulla sequenza concessione-attuazione
Completamente diverso si mostra invece lo scenario per provvedimenti cautelari “anticipatori”.
L’“anticipatorietà” cautelare è, anzitutto, altra cosa rispetto al limitrofo fenomeno dell’anticipazione in senso tecnico. Nei ristretti limiti in cui è possibile (ed utile)9 costruirne una nozione generale, quest’ultima individua infatti la
La conclusione non è smentita dalla circostanza che custode può essere nominato anche chi
ha già la materiale disponibilità del bene. Pur restando uguale la situazione di fatto, muta infatti
il titolo del possesso, che si trasforma anche qui in munus publiucum, con ogni conseguenza
del caso (bastando, sul piano del quomodo, notificare il provvedimento di sequestro al custode
– possessore): v. per tutti Luiso, Diritto, processuale civile, IV, Milano, 2011, p. 240 ss. Per i
sequestri di res incorporales, l’indisponibilità è garantita attraverso formalità imposte al beneficiario e/o a terzi, e strumentali alla realizzazione del vincolo, senza che il soggetto passivo del
rapporto sostanziale abbia alcun ruolo in tal senso: v. amplius Corsini, Il sequestro giudiziario
di beni, in I procedimenti sommari e speciali, a cura di Chiarloni e Consolo, Torino, 2005, p.
884 ss).
8
Per le res incorporales, in virtù della loro inidoneità a costituire oggetto di materiale apprensione, operano invece meccanismi diversi generalmente imperniati su formalità imposte al beneficiario e/o a terzi, anche con la partecipazione dell’ufficiale giudiziario (per una indicazione
dei quali Corsini, op. loco ult. cit.) Ciò sempre che si ritenga praticabile sulle stesse il sequestro
giudiziario; conclusione, questa, non pacifica in dottrina: v., per la soluzione positiva, sia pure
senza nascondere la problematicità di alcuni profili, Corsini, Il sequestro giudiziario di beni,
cit., p. 884; per la negativa invece Caponi, Il sequestro giudiziario di beni nel processo civile.
Profilo storico-sistematico, Milano, 2000, p. 97 ss.
9
V., per questo rilievo, Tiscini, I provvedimenti decisori senza accertamento, Torino, 2009,
p. 42, per la quale “È stato forte in dottrina il tentativo di costruire tale forma di tutela come
autonoma categoria, individuando in essa tutti quei provvedimenti (“anticipatori e interinali”)
7
6
l’attuazione delle misure cautelari
produzione anticipata di taluni effetti di un provvedimento finale (la sentenza)
ottenuta nel corso del procedimento attraverso l’adozione di un provvedimento provvisorio, in quanto destinato ad essere inglobato nel provvedimento finale, a presidio di esigenze di economia processuale. Deve inoltre riscontrarsi
tra il provvedimento anticipatorio e quello finale anticipato il medesimo ambito oggettivo, solo così potendosi operare, nella serie procedimentale, uno
spostamento “in avanti” di taluni effetti di quest’ultimo10.
L’anticipatorietà cautelare si pone invece su un piano diverso. Diversa è
anzitutto la funzione di paralisi del periculum11, sia pure attraverso la tecnica
finalizzati ad anticipare nel tempo taluni effetti della decisione finale”. Ritiene l’a. che, in virtù
delle enormi differenze tra i singoli provvedimenti ricondotti a questa categoria, nessun utile
risultato possa venire dalla costruzione di una nozione generale di tutela anticipatoria, e meglio
sarebbe riconoscere che i singoli provvedimenti ricondotti a questo genus hanno caratteristiche
e regime tali da non prestarsi alla generalizzazione.
10
Tiscini, Ibidem; Carratta, Profili sistematici della tutela anticipatoria, Torino, 1997, passim;
Civinini, Le condanne anticipate, in Foro. it., 1995, I, c. 332; Lapertosa, La tutela anticipatoria, in Riv. dir. proc., 1997, p. 789. V. anche Mandrioli, Per una nozione strutturale dei provvedimenti anticipatori, in Riv. dir. proc., 1964, p.551 ss.
11
Per una caratterizzazione del periculum nelle classiche trattazioni dottrinali che enucleano il
concetto di tutela cautelare v. infra, Sez. II, § 2, in nota, ove se ne evidenzia lo stretto rapporto
con la durata del giudizio dichiarativo, secondo la celebre definizione datane da Calamandrei
nella altrettanto celebre monografia Introduzione allo studio sistematico, cit., p. 26 ss e passim,
in termini di “quell’ulteriore danno marginale che potrebbe derivare dal ritardo del provvedimento definitivo”. Mette qui invece conto rilevare la diversa connotazione che il periculum
assume nella giurisprudenza di merito, ove è considerato quale relazione tra eventi, e dunque
avente consistenza materiale niente affatto riconducibile alla “durata” del giudizio di merito di
calamandreiana memoria. Esso si configura cioè come probabilità di concreta lesione dell’interesse del ricorrente sotteso al diritto vantato, a prescindere dal dato formale della prognosi
sulla durata del processo dichiarativo. E fatto generatore ne è quasi sempre l’inadempimento
di obblighi derivanti da un rapporto giuridico con il beneficiario della cautela. Sono noti, ad
esempio, i casi in cui è ordinato l’adempimento urgente di un credito in denaro sul presupposto che il protrarsi dell’insoddisfazione comporterebbe il fallimento del ricorrente o sue serie
difficoltà nel far fronte alle proprie obbligazioni con terzi (v., ad esempio, P. Roma 14 febbraio
1983, in Foro. it., 1983, I, c. 446, con Nota di Pardolesi, Il Manifesto c. Ente Nazionale cellulosa; P. Roma 31 luglio 1986, in Giust. civ., 1986, I, p. 2586, con Nota di Bruni, So. ge in. c.
Comune di Roma). Stessa logica ispira l’ordine di non sospendere la somministrazione di gas
ed energia elettrica per impedire la chiusura dell’impresa del somministrato, con conseguente
pregiudizio irreparabile alla produzione (P. Caltagirone 10 marzo 1993, in Foro. it., 1993, I, c.
2046.) Qui il perpetuarsi del comportamento inadempiente genera una lesione dell’interesse
del beneficiario, che a sua volta si pone come fonte di una serie di pregiudizi non riparabili né
a seguito della pronuncia definitiva del giudice, né di un eventuale adempimento spontaneo
successivo ad essa né maiori causa con l’esecuzione forzata della sentenza (Così anche Bruni,
Tutela d’urgenza e diritti di credito, in Giust. civ., 1986, I, p. 2587; T. Milano 14 agosto 1997,
in Foro. it., 1998, I, c. 241). L’emersione dei profili più squisitamente materiali del periculum
caratterizza anche molte pronunce a tutela del diritto alla salute e delle varie posizioni afferenti
allo status di prestatore di lavoro. Quanto al primo aspetto, possono citarsi le pronunce che
ordinano ad una Asl esborsi in danaro per consentire al beneficiario di sottoporsi ad intervento
chirurgico o ad altro trattamento terapeutico (v., a titolo esemplificativo, T. Napoli 5 marzo
1986, in Giust. civ., 1986, I, p. 1489; P. Lecce 4 febbraio 1998, in Rass. dir. farmaceutico, 1998,
p. 437, in riferimento al cd. “caso Di Bella”; P. Maglie 10 dicembre 1997 e P. Prato 26 gennaio
Capitolo 1 – L’“attuazione” cautelare
7
dell’anticipazione,12 rispetto alla generica ratio di economia processuale sottesa ai provvedimenti anticipatori in senso tecnico. Diverso è altresì l’ambito
oggettivo della cautela rispetto al provvedimento che impartisce la tutela finale, quest’ultimo vertendo sul diritto cautelato, il primo invece sull’interesse
materiale sotteso al diritto stesso13.
1998, in Quest. giust., 1998, p. 228; P. Catanzaro 26 gennaio 1998 e P. Macerata 12 gennaio
1998, in Foro. it, 1998, I, c. 64, sempre in riferimento alla somministrazione di somatostatina
per la cd. cura Di Bella; P. Modica 13 agosto 1990, in Foro. it., 1991, I, c. 271, con cui è stato
autorizzato un trattamento sanitario ad un paziente che rifiutava immotivatamente di sottoporvisi; P. Torino 25 marzo 1991, in Nuovo dir., 1991, in un caso di paziente che chiedeva di
farsi operare all’estero) o che ordinano al responsabile di lesioni gravi o gravissime esborsi di
denaro in favore della vittima, per consentire a quest’ultima di attendere, medio tempore, alle
proprie esigenze di vita (T. Milano 23 dicembre 1993, in Giur. it., 1995, I, con Nota di Conte).
Quanto al secondo aspetto, il provvedimento di reintegra è concesso anche a prescindere dalla
valutazione dell’aspetto retributivo, e quindi dello stato di bisogno del lavoratore, ma a tutela
della sua dignità professionale, id est dell’ interesse ad utilizzare il suo bagaglio di conoscenze operando concretamente nel mondo del lavoro (P. Parma 11 febbraio 1992, in Giust, civ.,
1992, I, p. 1364; T. Roma 14 ottobre 2003, inedita). In tal caso si è riconosciuta l’esistenza del
periculum in mora nel probabile aggravamento delle condizioni di depressione del lavoratore
a causa dell’esautoramento dalle mansioni dirigenziali prima espletate (T. Roma 14 ottobre
2003, inedita). Il carattere irreparabile del periculum emerge qui come insieme dei riflessi negativi proiettati su tutta la sfera (patrimoniale e non) del soggetto leso dall’inadempimento, e
che solo mediatamente sono riconducibili ad esso, ciò che si riscontra anche nelle ipotesi in
cui il pregiudizio appare rimediabile, attraverso la tutela ordinaria, solo per il futuro, mentre
l’attuale interesse del ricorrente è medio tempore irrimediabilmente frustrato o, al più, valutato
sotto il profilo risarcitorio (v., in tal senso, T. Avezzano del 18 giugno 2004, in Foro. it., 2004,
I, c. 3217 ss, con nota di richiami, che ha ordinato in via urgente l’immediato rilascio dei locali
dell’azienda e la cessazione di ogni atto di ingerenza nelle attività di amministrazione e gestione
della società, nei confronti del socio accomandatario che abbia assunto comportamenti tali da
determinare un pregiudizio imminente ed irreparabile per l’immagine, gli interessi ed il corretto
funzionamento della società stessa).
12
Di “tecnica dell’anticipazione” parla Mandrioli, Per una nozione strutturale, cit., p. 555: “Se
anticipare vuol dire, in primo luogo, “venire prima”, la tecnica dell’anticipazione, riferita a
un provvedimento, significa tecnica del far venire (e cioè far pronunciare) un provvedimento
prima di un altro”.
13
Il periculum si presenta, ut supra in nota, quale pregiudizio ad un bene della vita, che è a sua volta
oggetto di un diritto, sicché i confini della cautela si diversificano rispetto a quelli della tutela finale
di merito: quest’ultima avente ad oggetto immediato il diritto soggettivo, e solo mediatamente
l’interesse materiale sotteso ad esso; la prima deputata invece alla tutela diretta del bene oggetto
del diritto, attraverso la paralisi materiale della fonte del pregiudizio al bene o all’utilità stessa. Il
pregiudizio che giustifica la concessione della cautela riguarda cioè un’entità materiale, il bene
della vita oggetto del diritto sostanziale. La conclusione risulta di maggior evidenza nei rapporti
tra giudizio amministrativo di annullamento dell’atto illegittimo e giudizio di sospensiva dell’atto
stesso. Come dimostrato efficacemente da Follieri, Giudizio cautelare amministrativo ed interessi
cautelati, Milano, 1982, p. 47, nel primo, oggetto di valutazione “nel merito” è la legittimità del
comportamento della pubblica amministrazione, mentre l’interesse materiale del ricorrente verrà
soddisfatto solo in via mediata e sempre che si accerti che l’operato dell’amministrazione non è stato rispondente alle norme che lo regolano nel caso specifico. Nel giudizio cautelare invece ciò che è
valutato in via principale è proprio, secondo una prospettiva completamente rovesciata, l’interesse
materiale del ricorrente alla sospensione dell’efficacia dell’atto in quanto fonte del pregiudizio
irreparabile che asseritamente egli subisce.
8
l’attuazione delle misure cautelari
L’anticipatorietà cautelare, così come elaborata dalla dottrina e come oggi
emerge dalla realtà applicativa soprattutto dei provvedimenti d’urgenza, è infatti la caratteristica del provvedimento che detta una regula alle parti che può
corrispondere, in tutto o in parte, a quella (che presumibilmente sarà) impartita dal provvedimento dichiarativo sul diritto.
La realtà applicativa mostra come, soprattutto attraverso i provvedimenti
ex art. 700 c.p.c., siano “anticipati” contenuti in tutto corrispondenti a quelli
di quest’ultimo, come accade ove siano richieste cautele d’urgenza autorizzative14 o condanne a prestazioni di fare o dare o a pagamenti, che conducono
a risultati perfettamente sovrapponibili a quelli derivanti dalla esecuzione del
provvedimento dichiarativo.
Struttura “anticipatoria” assumono tuttavia anche quelle cautele di contenuto non corrispondente a quest’ultimo ma addirittura diverso. È il caso,
emblematico, dell’ordine urgente di pagamento reso nei confronti di una asl
al fine di consentire al richiedente di sottoporsi a trattamento terapeutico in
attesa dell’accertamento che il trattamento stesso è a carico del servizio sanitario nazionale.
In altre ipotesi poi il contenuto della cautela si presenta quale contemperamento degli opposti interessi perché impone, ad esempio, limiti o correttivi
all’esercizio della situazione giuridica sostanziale contesa oppure una regolamentazione provvisoria della situazione litigiosa, diversa da quella di diritto
sostanziale15.
L’“anticipatorietà” cautelare quale risposta ai bisogni di tutela urgente
emersi nella pratica dunque, lungi dal caratterizzarsi sempre come (ri)produzione anticipata della regula sostanziale (che sarà resa in sede di tutela dichiarativa), esibisce spesso un contenuto altro, che nondimeno: a) ha sempre
la consistenza di una norma agendi tratta dal diritto sostanziale, che si impone
direttamente all’obbligato prima ed a prescindere dall’accertamento con effiV. ad es., T. Roma 17 febbraio 2000, in Giust. civ., 2000, p. 483, che, in riferimento alla
tematica della cd. maternità surrogata, “accerta” la liceità e meritevolezza di un accordo tra
moglie, marito ed un medico, avente ad oggetto il trasferimento di embrioni crio-conservati per
l’impianto nell’utero di donna consenziente; o ancora T. Roma 10 febbraio 1999, in Foro. it.,
2000, I, c. 319, che “accerta” in via urgente l’infondatezza di una notizia lesiva dell’immagine
di un imprenditore, ed autorizza la pubblicizzazione di tale accertamento.
15
Ovviamente, in riferimento a diritti disponibili: così, più o meno testualmente, Buoncristiani,
Tutela cautelare ante causam nel nuovo rito societario. Assenza di strumentalità necessaria,
cit., che fa l’esempio dei provvedimenti atipici che consentono l’utilizzo di determinate clausole in contratti bancari, con specifiche cautele e limiti, o con l’apposita previsione di accorgimenti. V. anche P. Roma 11 giugno 1984, in Foro. it., 1984, I, c. 608, che ha ordinato ex art. 700
la continuazione, fino ad esaurimento delle scorte, di un rapporto di franchising in relazione
alla produzione e distribuzione di prodotti tra società italiana ed altra società licenziataria del
marchio, che si trovava in liquidazione; P. Roma 15 dicembre 1982, in Temi rom, 1982, p. 637,
e P. Roma 14 febbraio 1983, in Giur. it., 1983, I, 2, c. 634, con Nota di Cuffaro, che hanno ordinato il pagamento di una parte del credito, cioè nei soli limiti necessari ad evitare il pregiudizio
irreparabile lamentato.
14
Capitolo 1 – L’“attuazione” cautelare
9
cacia di giudicato delle relazioni intercorrenti con la controparte; b) è tale da
paralizzare il periculum che minaccia l’interesse materiale del ricorrente16.
Delle regulae fissate nel provvedimento cautelare assume allora rilievo,
per la caratterizzazione in senso “anticipatorio”, la idoneità a paralizzare il
periculum allegato 17 piuttosto che la coincidenza con quelle che risulteranno
dal provvedimento che impartisce la tutela finale.
Per questi motivi struttura anticipatoria può riconoscersi, ai nostri fini,
anche ad alcune tipologie di cautele cui si tende invece spesso ad annettere
carattere conservativo. 18
Dell’inibitoria alla continuazione di un comportamento asseritamene illegittimo19 e tale da causare un pregiudizio irreparabile, ad esempio, al nome o
all’immagine, e di quella ex art. 2378, comma 3°, c.c. si tende spesso a riconoscere l’appartenenza o quantomeno la vicinanza all’ambito della conservazione, per la loro idoneità a cristallizzare lo stato di fatto modificato dall’illegittimo comportamento o dalla delibera impugnata. Quanto ai provvedimenti resi
su denuncia di nuova opera e danno temuto,20 connotazione “conservativa” è
Al concreto atteggiarsi della tutela d’urgenza secondo contenuti anche diversi da quelli
della sentenza di merito fa da pendant la precisa consapevolezza, in tal senso, della giurisprudenza, la quale mostra di aver compreso che l’art. 700 non impone al giudice di adottare necessariamente un provvedimento corrispondente a quello che prevedibilmente sarà
il contenuto della sentenza finale, ma solo di scegliere quello più idoneo ad assicurarne gli
effetti: a volte a tale scopo non può che essere funzionale la perfetta riproduzione del contenuto di merito della sentenza; altre volte, al contrario, statuizioni diverse da quelle finali
di merito appaiono le uniche in grado di neutralizzare il periculum in concreto allegato in
sede cautelare. V. anche, in tal senso, Pajardi, I provvedimenti d’urgenza atipici nel processo
civile, Milano, 1992, p. 23, che così descrive il contenuto composito del provvedimento ex
art. 700: “Bloccare, staggire, fermare la situazione di fatto; oppure, al contrario, nel caso
che essa si sia già pericolosamente modificata, manipolarla in modo e al punto tale che la
decisione di merito, futura e prevedibile, per quanto possa, sia ancora utile e possa soddisfare le esigenze del soggetto che figurerà portatore veramente e concretamente del diritto
azionato, prima in via d’urgenza e poi in via ordinaria”.
17
V. Montesano-Arieta, Diritto processuale civile, III, Torino, 1999, p. 351 ss; Dini- Mammone, I provvedimenti d’urgenza nel diritto processuale civile e nel diritto del lavoro, Milano,
1993, p. 341 ss e passim; Verde F., I provvedimenti d’urgenza, Padova, 2005, p. 227 ss.
18
Riconnettendo una eccessiva importanza alla “manichea” distinzione tra conservazione ed
anticipazione : così, più o meno testualmente, Buoncristiani, Tutela cautelare ante causam, cit.
19
L’inibitoria può anche assumere segno positivo, concretandosi in un ordine di facere, se accede ad un comportamento violativo che si è concretizzato in un non facere. È il caso risolto da T.
Torino 17 maggio 2002, in Giur. it., 2002, p. 2334 ss, per il quale l’ordine di cessazione in via
urgente di qualsiasi violazione dei diritti dei consumatori e degli utenti, cioè l’inibitoria richiesta dalle associazioni di categoria, comprende in senso ampio non solo proibizioni, ma anche
l’adozione di misure positive, idonee a correggere o eliminare gli effetti dannosi delle violazioni accertate, nella specie l’immissione di gas di scarico nell’abitacolo della autovetture.
20
L’argomento non può qui essere approfondito, di interesse in questa sede essendo solo la
verifica di come le condotte imposte in sede cautelare siano attinte dal diritto sostanziale che
regola i rapporti tra le parti. Per un approfondimento sul tema, v. per tutti, Franchi, Le denunce
di nuova opera e di danno temuto, Padova, 1968; Rampazzi, Denuncia di nuova opera e danno
temuto, in I procedimenti sommari e speciali, a cura di Chiarloni e Consolo, cit., p. 1158 ss.
16
10
l’attuazione delle misure cautelari
invece ascritta al tipico contenuto inibitorio della continuazione dell’opera o
permissivo con particolari cautele21.
Occorre tuttavia riflettere sulla circostanza che la conservazione dello status quo che può indubbiamente associarsi a tali provvedimenti appare proprio
consequenziale all’applicazione della norma agendi sostanziale che essi impartiscono al responsabile della condotta illegittima22.
Viceversa, nei sequestri (ex artt. 670 e 671 c.p.c. qui in esame, ma anche in
quelli extravaganti o atipici23) la conservazione fisica e giuridica del bene su
Di solito cauzioni in denaro o fideiussioni, ma anche prescrizione di modalità tecniche
di continuazione dell’opera idonee ad evitare i danni paventati: Franchi, Le denunce, cit.,
p. 243.
22
Di esse può cioè predicarsi che sortiscano l’effetto di preservare lo stato di fatto precedente, rispettivamente, alla delibera impugnata o ai comportamenti violativi del nome o dell’immagine. Ma ciò accade proprio in seguito alla realizzazione della norma agendi sostanziale
che consente l’eliminazione della lamentata lesione. Il discorso può essere ripetuto anche
per i provvedimenti resi su denuncia di nuova opera e danno temuto. L’effetto di preservare
lo status quo precedente alla nuova opera deriva qui dall’applicazione di regulae iuris idonee a neutralizzare (sia pure in modi molto diversi tra loro: l’imposizione della cauzione in
denaro o di fideiussioni si accompagna alla possibilità di completare l’opera, ed è finalizzata
a tenere la controparte indenne dai danni eventualmente provocati dalla nuova opera conclusa; le prescrizioni tecniche, viceversa, tendono proprio a fare in modo che la nuova opera
venga ultimata “a regola d’arte”, senza arrecare alcun danno al fondo del vicino) il pregiudizio lamentato dall’istante. È infatti la capacità di neutralizzare il pericolo a dare la misura di
quanto il parametro utilizzato siano le norme sostanziali, laddove prescrivono regole il cui
rispetto impedisce appunto di arrecare danni al fondo altrui o impongono che il danno causato venga risarcito. Occorre dunque previamente intendersi sul quid oggetto di conservazione
o, al contrario, di “anticipazione”, perché ad una cautela sia riservata la qualifica di anticipatoria o conservativa. Così, ad esempio, Montesano, Problemi attuali e riforme opportune
dei procedimenti cautelari ed in specie d’urgenza nel processo civile italiano, in Riv. dir.
proc., 1985, p. 221, fa il caso del provvedimento che ordina il blocco della circolazione di un
prodotto a garanzia di un patto di non concorrenza, quale ipotesi di utilizzo dell’art. 700 in
funzione di misura conservativa. A me pare invece, proprio per quello che si è appena sostenuto nel testo, che una siffatta misura sia di carattere squisitamente “anticipatorio”, in quanto riproduce proprio il regolamento sostanziale in cui consiste il patto di non concorrenza,
ancorché sortisca il risultato di lasciare immutato lo stato di fatto precedente alla violazione
del patto. Il che risulta evidente sol che si pensi che il patto di non concorrenza altro non
è che il divieto di commercializzare prodotti che, per le loro caratteristiche, interferiscono
con la porzione di mercato dell’altro contraente, sviandone la clientela. Ciò fa comprendere
come, tutto sommato, la stessa distinzione sconti un certo tasso di artificiosità, da un lato,
e di fluidità dall’altro. V., per le medesime perplessità, Buoncristiani, Tutela cautelare ante
causam, cit., e Corea, La sospensione delle deliberazioni, societarie nel sistema della tutela
giurisdizionale, Torino, 2008, p. 216 ss.
23
Si possono citare, a titolo di esempio dei primi, il sequestro conservativo che il giudice delegato pronuncia ai sensi dell’art. 1461. fall; il sequestro dei beni del coniuge allontanatosi
dalla residenza familiare, reso ai sensi dell’art. 146 c.c.; il sequestro in caso di accertamento
di difetti di cose mobili reso dal giudice ex art. 1513 c.c.; i sequestri di cui all’art. 26, comma
2°, della l. n. 11/1971, in materia di fondi rustici; il sequestro fiscale ex art. 22 del d. lgs.
n. 472/1997; quali esempi di sequestri atipici possono invece citarsi i sequestri di pellicole
cinematografiche o su nastro a tutela del diritto all’immagine, o dei sequestri innominati a
tutela di invenzioni non ancora brevettate o di marchi non ancora ottenuti, etc. Per una sia
21
Capitolo 1 – L’“attuazione” cautelare
11
cui incidono, e che ne costituisce il contenuto, è del tutto estranea al rapporto
sostanziale24. Sicché come per le cautele “anticipatorie” può rintracciarsi, nei
termini appena riferiti, un profilo conservativo dello status quo violato, ben
potrà sostenersi che il sequestro giudiziario “anticipi” l’esecuzione per consegna o rilascio, e quello conservativo il pignoramento25: né l’uno né l’altro sono
tuttavia “anticipatori”26 nel senso appena descritto27.
pur breve panoramica ed alcune indicazioni bibliografiche v. Vullo, L’attuazione, cit., p.
251 ss.
24
Ciò è vero anche per il sequestro giudiziario di res in quanto la consegna al custode, anche
quando questi è una delle parti, è cosa ben diversa dall’attribuzione del godimento esclusivo del
bene stesso ad una delle parti in contesa. Tale ultima attribuzione concreterebbe una regula iuris
cautelare“anticipatoria”. La consegna al custode, al contrario, crea una situazione di indisponibilità del bene, e per entrambe le parti, in funzione del munus publicum della custodia.
25
Proprio questo aspetto faceva propendere, in passato, per la natura anticipatoria del sequestro: v. ad esempio, Andrioli, Intorno agli “effetti sostanziali”del pignoramento e del sequestro
conservativo immobiliare, in Foro. it., 1951, I, c. 1598, e lo stesso Calamandrei, Introduzione,
cit., p. 106 ss. Per analoghi rilievi nella dottrina attuale v. Luiso, Diritto, cit., IV, p. 230 ss e
passim.
26
Quanto al quid oggetto di anticipazione, anch’esso non è mai, anche quando riproduce fedelmente il (presumibile) contenuto della sentenza di merito, anticipazione in senso stretto,
limitandosi a creare una regula iuris provvisoria e suscettibile di essere (anche ribaltata, ma
comunque sempre) assorbita all’esito della tutela finale. Da altro punto di vista, nel caso, emblematico dell’anticipatorietà “perfetta”, dell’inibitoria cautelare e di quella finale, il distinguo
è ben rilevabile a monte. Come ha evidenziato Rapisarda, Profili della tutela civile inibitoria, Padova, 1987, p. 141, le due tutele differiscono significativamente, in quanto mentre per
l’inibitoria finale occorre valutare il pericolo di realizzazione o continuazione di una condotta
illecita, a prescindere dai profili di danno, per l’inibitoria ex art. 700 occorre invece che vi sia
un pregiudizio imminente ed irreparabile derivante dalla condotta illecita.
27
Dal limitato punto di vista di questo studio dunque, anche il provvedimento di sospensione
degli amministratori previsto dall’art. 2473, comma 3° in caso di esercizio, nelle s.r.l., di azione
di responsabilità nei confronti degli amministratori, pare assumere carattere anticipatorio. In
verità la misura ha scatenato, in dottrina come in giurisprudenza, un forte dibattito proprio in
relazione alla natura anticipatoria o conservativa. I più vi hanno attribuito natura conservativa
fondamentalmente in base al rilievo che non esiste, in capo al socio, un potere sostanziale di
revoca degli amministratori (essa competendo solo all’assemblea), e quindi una tutela ordinaria
anticipabile in via cautelare, essendo al contrario la cautela volta ad evitare l’aggravamento dei
danni patrimoniali causati dagli amministratori, e di cui si chiede il ristoro in via ordinaria. V.
ad esempio, in tal senso, Arieta-Gasperini, La revoca cautelare ante causam degli amministratori di srl, in Corr. giur, 2005, p. 265 ss (in Nota, critica, a T. Roma 5 agosto 2004, che aveva
invece ritenuto non necessaria l’instaurazione del giudizio di merito dopo l’ottenimento del
provvedimento ex art. 2476, comma 3°, c.c.); Comastri-Valerini, Natura conservativa e funzione inibitoria della revoca cautelare dell’amministratore di srl, in www.judicium.it. In posizione
dubitativa, Tomaiuoli, La revoca degli amministratori e l’azione di responsabilità promossa dal
socio, dai creditori sociali e dal curatore fallimentare, in www.judicium.it. Peculiare la posizione di Consolo, Note sul potere di revoca fra diritto e processo: è vera misura cautelare? Quale
disciplina? Ante causam la revoca dell’amministratore ma non la inibitoria delle delibere?,
in Corr. giur, 2005, p. 272 ss, il quale pare escludere la natura cautelare del provvedimento di
revoca proprio facendo leva sulla mancata corrispondenza di una tutela finale di revoca degli
amministratori da parte del socio. In giurisprudenza si sono pronunciate per la natura conservativa del provvedimento T. S. Maria C.V. 20 luglio 2004, in Società, 2004, p. 1545, con Nota
di Malavasi; T. Vercelli 28 settembre 2005, in Guida al dir., n. 42, p. 58 ss. Per la natura antici-
12
l’attuazione delle misure cautelari
L’attitudine della cautela “anticipatoria” ad assumere contenuti che, in
quanto parametrati sul diritto sostanziale, si impongono direttamente ad una
sola delle parti del rapporto cautelato, serve ad illustrarne il peculiare modo
di operare dal punto di vista dell’“attuazione”privilegiato dall’art. 669 duodecies.
All’emissione della misura (con)segue infatti un duplice possibile sviluppo: l’adempimento volontario da parte dell’obbligato o, in difetto, l’esecuzione forzata.28 Sotto il profilo della struttura processuale, al procedimento di cognizione segue, solo in subordine all’inottemperanza, la fase di enforcement.
I problemi tipici da affrontare in questa sede sono sempre e costantemente,
al netto delle diverse tecniche processuali che li assistono, la verifica della
portata esatta del dictum e l’esistenza attuale di un inadempimento o inesatto
adempimento da parte dell’obbligato.
2.3. Segue. Cautele conservative ed anticipatorie a confronto nella prospettiva dell’art. 669 duodecies: realizzazione di un vincolo pubblicistico
versus esecuzione forzata
Questa caratteristica è all’origine della comune affermazione, che ha radici
storiche e sistematiche profonde (v. infra, sez. II) e consolidate anche nel pensiero attuale, che la sola concessione del provvedimento anticipatorio appare
sufficiente a neutralizzare il periculum, a differenza di quanto accade per i
sequestri.
In questi ultimi infatti il perfezionamento del vincolo non compete mai al
soggetto passivo del rapporto sostanziale (che anzi in alcun modo vi è interessato e legittimato), la sua natura pubblicistica imponendo allo stesso beneficiario varie attività d’impulso in un termine perentorio (art. 675 c.p.c.). Non
patoria si è invece pronunciato T Roma cit. V., per una panoramica sul tema, anche Giordano,
L’azione sociale di responsabilità proponibile dal singolo socio ai sensi del nuovo art. 2476,
comma 3, c.c., in Corr. mer., 2005, p. 25; Pagni, Mala gestio degli amministratori e tutela urgente, in www.judicium.it. Il problema nasce probabilmente, come nota Olivieri, La tutela cautelare ante causam ed in corso di causa nella riforma del processo societario, in www.judicium.
it, dal “peccato originale della norma, destinata a sostituire per le srl il procedimento (non
cautelare) ma camerale (perciò non collegato ad alcuna statuizione di merito) di cui all’art.
2409 c.c.”. Tornando a noi, anche a voler tacere del fatto che la anticipatorietà cautelare è stata
qui (ri)costruita non secondo uno schema di rigida corrispondenza con il contenuto della tutela
finale, sufficit osservare che la revoca dell’amministratore altro non è che la posizione di regualae iuris (tratte dal diritto sostanziale) che impongono agli amministratori stessi di cessare dalla
carica e dalle relative attività, ed alla società di attivare i conseguenti meccanismi per la nomina
di nuovi amministratori, comportando, sul versante dell’attuazione, obblighi di fare-non fare,
ripristinare, tipici delle misure anticipatorie. Proprio dal nostro punto di vista (non l’unico possibile, evidentemente, ma solo quello funzionale alla ricostruzione delle tecniche di attuazione
cautelare) la revoca può dunque considerarsi provvedimento “anticipatorio”, esibendo di tale
tipologia di ordini cautelari (e sempre che se ne riconosca la natura squisitamente cautelare) la
medesima struttura, nel senso specificato nel testo.
28
Al netto dei profili dell’infungibilità della prestazione stessa.
Capitolo 1 – L’“attuazione” cautelare
13
può dunque discorrersi di attuazione volontaria nel senso (già evocato) che la
locuzione assume per le cautele “anticipatorie”.
Sotto il profilo della struttura processuale alla fase di concessione, culminante nell’emissione del provvedimento autorizzativo del sequestro, segue
sempre, e non solo in via eventuale, la fase di perfezionamento del vincolo.
Ma ciò che più conta ai nostri fini è che quest’ultima è altro rispetto all’esecuzione forzata, non essendovi alcun obbligato inadempiente da surrogare, ma
ponendosi il diverso problema, in primis di verificare se il beneficiario ha rispettato il termine previsto per l’attuazione dall’art. 675 c.p.c. a pena di inefficacia del provvedimento autorizzativo;29 e in secundis di valutare e sanzionare
i comportamenti successivi alla nascita del vincolo e con esso in contrasto. Il
tutto in un contesto ove lo stesso beneficiario, cui è in prima battuta imposto
un onere di diligenza (il perfezionamento del vincolo nel termine di perenzione dell’art. 675, appunto), è anche tenuto, al pari della controparte, proprio al
rispetto del vincolo che egli stesso ha contribuito a creare.
3. La duplice natura dell’“attuazione” ex art. 669 duodecies e le sue ricadute sulla ricostruzione della disciplina applicabile
“Attuazione” è dunque, nella logica del contenuto precettivo dell’art. 669
duodecies, espressione che, evocando un duplice fenomeno, assume anche un
duplice significato.
Applicata ai sequestri, essa rimanda in primis all’espletamento di formalità
estranee alla sfera del resistente, il perfezionamento della sequenza procedimentale mostrandosi necessario e promanando da atti di impulso dello stesso
beneficiario; ed in secundis al vincolo stesso nella sua dimensione di durata,
che si protrae fino al sopraggiungere di una delle cause che ne determinano
il venir meno e che vede entrambe le parti del rapporto sostanziale in eguale
posizione di soggezione.
Applicata alle cautele “anticipatorie”, l’attuazione evoca invece in primis
l’esecuzione volontaria del dictum da parte dell’obbligato, controparte del beneficiario, ed in secundis l’esecuzione forzata in senso tecnico30.
Amplius infra, cap. III.
La locuzione “esecuzione forzata” è consapevolmente utilizzata nell’accezione, invalsa in approfonditi studi (Luiso, L’esecuzione “ultra partes”, Milano, 1984, i cui risultati sono ripresi e
sviluppati da Sassani, Dal controllo del potere all’attuazione del rapporto, Milano, 1997, p. 68
ss e p. 180 ss, in riferimento al giudizio di ottemperanza alle sentenze del giudice amministrativo) che rimanda allo schema concettuale del procedimento inteso alla realizzazione, tramite
surrogazione da parte dell’ufficio esecutivo, della Normsituation consacrata nel provvedimento
da eseguire: non esecuzione del titolo, ma realizzazione coattiva del dictum (contenuto nel
titolo). Sicchè il fatto che tale realizzazione abbia ad oggetto un diritto soggettivo sostanziale
consacrato in una sentenza o in altro provvedimento, piuttosto che la regula “astratta” posta
dalla cautela o il dictum della sentenza di annullamento dell’atto amministrativo, non rileva
nel nostro contesto. Ciò che attrae tutte queste ipotesi alla medesima area concettuale è infatti
29
30
14
l’attuazione delle misure cautelari
La disciplina processuale dell’attuazione dei sequestri va allora ricostruita
in un’ottica altra da quella dell’esecuzione forzata, sicché anche il rinvio operato dagli artt. 677 e segg.31 alle disposizioni dettate per quest’ultima va letto
cum grano salis (il che emerge peraltro con chiarezza dallo stesso tenore delle
disposizioni richiamate32) non solo quanto ai profili regolati, ma anche quanto
a quelli non regolati e che necessitano di integrazione normativa, le cui fonti
vanno attinte all’esterno del Libro III del c.p.c..
L’art. 669 duodecies si appropria cioè (in ossequio a consolidata tradizione) di alcune delle tecniche qui invalse in ragione dell’idoneità dei sequestri
a perfezionarsi attraverso i medesimi congegni che realizzano la consegnarilascio dei beni ed il pignoramento, ed è perciò a tali profili che l’apporto
della disciplina dell’esecuzione forzata va limitato.
Riguardati nel loro aspetto dinamico, cioè quali vincoli pubblicistici per
loro natura perduranti nel tempo, i sequestri si prestano invece ad essere
inquadrati, sia pure con diverse modulazioni in ragione del carattere giudiziario piuttosto che conservativo e nel contesto del processo di cui essa
“attuazione” è pur sempre una fase, negli schemi e conseguentemente nella
disciplina della custodia. Sicché in definitiva l’art. 669 duodecies finisce
col fornire un contributo molto limitato alla fisionomia dell’“attuazione”
di queste cautele, che è invece per lo più tributaria dell’opera di ricucitura
esterna dell’interprete.
Quanto invece ai provvedimenti “anticipatori”, l’attuazione regolata
dall’art. 669 duodecies assume i connotati di un vero e proprio fenomeno
esecutivo, anche se poi l’afferenza all’area funzionale dell’esecuzione forzata33 appare l’unico, ancorchè non trascurabile, elemento che accomuna,
nella logica della disposizione, le cautele di fare- non fare- dare a quelle di
pagamento.
Come si è già accennato, per le prime l’intera gestione dell’esecuzione,
dalla fissazione delle modalità esecutive alla risoluzione delle difficoltà e
contestazioni, è infatti affidata al “giudice che ha emanato il provvedimento cautelare”, fino al limite ultimo di “ogni (…) questione” che, per essere
esclusivamente un dato: la pretesa del beneficiario alla realizzazione coatta del dictum; e la
posizione di soggezione dell’obbligato, che non può sottrarsi a quanto necessario al raggiungimento di tale scopo.
31
A loro volta chiamati in causa dall’incipit dell’art. 669 duodecies.
32
L’art. 677 pone ben due ordini di limiti all’applicazione generalizzata delle disposizioni
sull’esecuzione per consegna –rilascio: alcune specifiche ( ad es., l’omissione della notifica
del precetto), altre generali (è posto un limite di applicabilità); l’art. 678 per l’attuazione del
sequestro conservativo sui mobili e crediti detta, per parte sua, una regolamentazione in parte
diversa ed autonoma da quella generale del pignoramento; quanto infine all’art. 679, esso stabilisce direttamente, senza cioè alcun rinvio alle disposizioni sul pignoramento immobiliare,
il modus operandi dell’attuazione del sequestro conservativo immobiliare (la trascrizione del
provvedimento).
33
Nella definizione datene, appunto, alla nota 30.
Capitolo 1 – L’“attuazione” cautelare
15
altra rispetto a quelle già enumerate, resta “riservata al giudizio di merito”. La tecnica utilizzata è quella della regolamentazione autonomamente
dettata.
Per i provvedimenti recanti ordini di pagamento la fisionomia esecutiva è
invece affidata agli artt. 491 e segg. del c.p.c., cioè alle disposizioni che, nel
Libro III del c.p.c., regolano il pignoramento e la vendita forzata nonché le
opposizioni esecutive, sia pure solo in quanto compatibili.
Si tratta di scelte tecniche così lontane da rendere i due processi esecutivi
pressoché inconciliabili e che, a differenza di quanto predicabile per i rapporti tra sequestri e cautele “anticipatorie”, non si mostravano (almeno non del
tutto) obbligate per il legislatore dell’art. 669 duodecies, il quale ben avrebbe
potuto, ad esempio, adottare uno stesso modulo esecutivo per entrambe le
tipologie34; o rimettere la scelta tra più tipi all’interessato35, l’adozione delle
forme processuali essendo riservata, per giurisprudenza costante della Consulta36, alla sua ragionevole discrezionalità.
Le ragioni delle soluzioni alfine prevalse affondano, almeno in buona
parte, nella storia della tutela cautelare e dell’elaborazione della sua struttura processuale in particolare sotto il profilo esecutivo. Una storia che,
nell’ambito della giustizia (amministrata dal giudice) civile, si è sviluppata
per una serie di ragioni37 lungo la direttrice del costante confronto/scontro
con le esecuzioni forzate del Libro III del c.p.c. e con la summa divisio tra
esecuzioni cd. in forma specifica, funzionali alle condanne di fare-disfaredare, ed espropriazione forzata, funzionale invece alle condanne pecuniarie
e per questo costruita in modo da assicurare il concorso dei creditori in ossequio all’art. 2741 c.c.
Ciò che accade nell’ambito della giustizia amministrativa, ove uno stesso modulo esecutivo
è utilizzabile quale che sia il contenuto (di condanna, anche pecuniaria, piuttosto che di faceredare) della sentenza da eseguire, ed anche per l’esecuzione dei provvedimenti cautelari, in virtù
degli artt. 59 e 112-115 del Codice del processo amministrativo.
35
Ad esempio seguendo la linea oggi fatta propria dal Codice del processo amministrativo
agli artt. 112 e 115. La lettura in combinato disposto delle due disposizioni codifica la regola pretoria della cd. “doppia tutela”, cioè dell’utilizzabilità sia del giudizio di ottemperanza che dell’espropriazione forzata del Libro III del c.p.c. per l’esecuzione di una pronuncia
di condanna pecuniaria a carico della PA, sia in alternativa che in cumulo con l’unico limite
dell’impossibilità di conseguire due volte il dovuto e la necessità che le spese della procedura
infruttuosa restino a carico del creditore procedente. In particolare, l’art. 112, comma 2°, lett.
c) c.p.a. prescrive che le sentenze passate in giudicato ed i provvedimenti equiparati del giudice
ordinario sono suscettibili di ottemperanza, ampliando l’ambito della doppia tutela invalsa in
via pretoria oltre i confini della condanna pecuniaria. Per contro, l’art. 115 comma 2°, prevede
che i provvedimenti emessi dal giudice amministrativo e recanti condanne pecuniarie a carico
della PA sono titolo anche per l’esecuzione nelle forme del Libro III del c.p.c., oltre che per
l’iscrizione di ipoteca giudiziale.
36
V., ex multis, Corte cost. 20 giugno 2008, n. 221; Corte cost. 9 novembre 2007, n. 376; Corte
cost. 14 novembre 2007, n. 383; Corte cost. 5 luglio 1995, n. 295, tutte consultabili in www.
giurcost.it .
37
Sulle quali ci si intrattiene infra, alla sez. II di questo capitolo.
34
16
l’attuazione delle misure cautelari
È stata quest’ultima necessità, tradizionalmente percepita come imprescindibile anche per le condanne pecuniarie veicolate da un provvedimento cautelare, a costituire il retroterra culturale dell’art. 669 duodecies che, proprio a
suo presidio, ha richiamato le disposizioni sull’espropriazione forzata, per le
sole cautele recanti obblighi di fare-non fare- dare restando “libero” di dettare
autonome regole processuali, secondo archetipi peraltro già consolidatisi in
una lunga elaborazione interpretativa38.
Ad ogni buon conto la scelta del rinvio ad un complesso normativo, quello
del Libro III del c.p.c., che disciplina compiutamente ogni aspetto di quel tipo
di esecuzione forzata ma che è applicabile solo nei limiti della compatibilità,
appare gravida di profili problematici.
Essa riversa infatti sull’interprete la verifica di quali segmenti normativi
siano in concreto esportabili in un contesto così diverso quale quello cautelare, ove occorre confrontarsi con la restante disciplina del processo disegnato
dagli artt. 669 bis-terdecies e con la ratio di paralisi del periculum che la
ispira.
Autonome regole governano infatti la fase di cognizione con le relative
appendici impugnatorie (artt. 669 bis-octies e terdecies), così come l’inefficacia (art. 669 novies) e la modifica/revoca (art. 669 decies) e con esse l’innesto
di altri complessi normativi può creare, come si vedrà, pesanti interferenze e
addirittura arrivare ad una netta contraddizione ove condotto in modo acritico
e generalizzato, sicché è proprio il limite di compatibilità a rivelarsi imprescindibile barriera di contenimento.
D’altra parte però, prima ancora che a quest’ultimo, occorre avere riguardo
all’intero sistema in cui l’espropriazione forzata si inserisce come uno soltanto dei tanti tasselli.
Si tratta di una scelta di fondo che il legislatore ha trasfuso, sia pure con parziali differenze (la
disciplina del Libro III, ove richiamata attraverso la qualificazione del provvedimento come titolo
esecutivo, lo è in toto e non reca alcun limite di compatibilità), nella disciplina degli ordini di protezione contro gli abusi familiari, introdotti nell’ordinamento dalla l. n. 154 del 2001. Per essi, che
possono consistere in inibitorie della continuazione del comportamento violento, nell’allontanamento dalla casa familiare e dai luoghi frequentati dalla vittima e nell’inibitoria a farvi ritorno, oltre
che nel pagamento di somme, è infatti apprestato un regime esecutivo molto articolato. Mentre a
quelli di pagamento resi dal giudice penale l’art. 282 bis, comma 3° c.p.p. attribuisce la qualifica di
titoli esecutivi, per quelli di diverso contenuto l’art. 342 ter c.c. prescrive che giudice (civile) che
li ha resi ne determini le modalità di attuazione e, ove sorgano difficoltà e contestazioni, provveda
con decreto ad emanare i provvedimenti più opportuni, ivi compreso l’ausilio della forza pubblica
e dell’ufficiale sanitario (art. 342 ter c.c., ultimo comma). Nulla è invece prescritto espressamente
per gli ordini di contenuto pecuniario resi dal giudice civile. Dottrina e giurisprudenza hanno però
ritenuto, proprio partendo dal regime imposto dall’art. 282 bis c.p.p. cit. (ma anche in base alla
considerazione che l’art. 8 della l. n. 154/2001 cit. prevede che gli ordini di protezione possano
assumersi nel corso del procedimento di separazione coniugale, ove vige la qualificazione dei provvedimenti stessi come titoli esecutivi in virtù dell’art. 189, comma 1°, disp. att. c.p.c.) di estendervi
la qualifica di titolo esecutivo esibendo essi la stessa struttura di quelli resi dal giudice penale. V.
amplius, sul punto, per tutti, Auletta, L’azione civile contro la violenza nelle relazioni familiari, in
Riv. dir. proc., 2001, p. 1045 ss.
38
Capitolo 1 – L’“attuazione” cautelare
17
Essa non è infatti solo il prodotto di una scelta di tecnica processuale,
ma risente della disciplina sostanziale che ne rappresenta il presupposto39, e
che in buona sostanza si aggrega intorno ai principi che regolano la responsabilità patrimoniale. Occorre perciò guardare anzitutto all’assetto sostanziale (rectius: pre-processuale) dei rapporti tra il debitore ed i suoi creditori, allargando la prospettiva alla complessiva esposizione del patrimonio
del debitore e confrontandosi da vicino con la regola della par condicio
creditorum che, nella sua multiforme tipologia si intreccia, come si vedrà,
con gli artt. 491 e segg.
Il difficile ed a volte impossibile bilanciamento tra limite di compatibilità ed applicazione necessaria della disciplina sostanziale presupposta
dall’espropriazione è dunque il più pesante lascito dell’art. 669 duodecies
all’interprete.
Il problema è dei più seri e si pone anche per le cautele di fare-non faredare in relazione a quei numerosi e delicati profili che, non espressamente
regolati, necessitano di integrazione ermeneutica.
E tuttavia la necessità dei distinguo riaffiora. Qui infatti, a differenza che
per le cautele di condanna pecuniaria, il legislatore ha disegnato autonomamente il processo esecutivo, oltretutto dotandolo di una struttura particolarmente elastica.
Sicché se per l’esecuzione delle cautele di pagamento il costante confronto
con il complesso normativo che disegna l’esecuzione forzata del Libro III del
c.p.c. è imposto dalla rigida prospettiva del richiamo agli artt. 491 e segg.; per
l’esecuzione delle altre cautele anticipatorie la ricostruzione della disciplina
applicabile può avvalersi di una più ampia prospettiva.
In particolare, l’indagine può muoversi a tutto tondo considerando altri
modelli processuali che con quello cautelare hanno in comune il profilo
funzionale dell’essere esecuzioni forzate, e, nell’ambito delle soluzioni ivi
apprestate per i problemi non espressamente regolati dall’art. 669 duodecies, scegliendo quelle adottate nei processi più “vicini”, sotto il profilo
strutturale40, al contesto ove si intende farle attecchire.
E che almeno in parte affonda a sua volta nelle garanzie costituzionali di effettività della
tutela. V. amplius infra, cap. III, sez. II, parte I.
40
La dottrina ha da tempo acquisito il risultato che lo scopo/funzione caratteristico
dell’esecuzione forzata è raggiunto dall’ordinamento con tecniche tra loro diverse (Sassani, Dal controllo del potere all’attuazione del rapporto, cit.,passim, ma già Micheli,
Corso di diritto processuale civile, Milano, 1959, I., cit; Vaccarella, L’esecuzione forzata
dal punto di vista del titolo esecutivo, in Titolo esecutivo, precetto, opposizioni, in Giurisprudenza sistematica di diritto e procedura civile diretta da A. Proto Pisani, Torino,
1993, p. 2 ss). Sono noti, ad esempio, i casi in cui all’inadempimento è possibile rimediare con una sentenza costitutiva: l’esecuzione a prescindere dalla volontà dell’obbligato
è cioè ottenuta con un processo di cognizione che realizza la modifica giuridica in luogo
del consenso di una delle parti (V. amplius, Sassani, op. loco ult. cit. , il quale significativamente ricostruisce la situazione in cui versa l’obbligato in base, ad es., a contratto
preliminare, come la tipica posizione di soggezione riscontrabile nelle esecuzioni forza39
18
l’attuazione delle misure cautelari
4. Prime conclusioni e ragioni delle scelte espositive
Le considerazioni che precedono mostrano la complessità del contenuto precettivo dell’art. 669 duodecies e l’impossibilità di ridurre ad unità i fenomeni
ivi regolati sia perché intrinsecamente diversi, come accade per l’“attuazione” dei sequestri rispetto a quella delle cautele “anticipatorie”; sia perché,
quand’anche identici sotto il profilo funzionale, come accade per l’attuazione delle cautele di condanna pecuniaria piuttosto che di fare-non fare-dare,
strutturalmente irriducibili per via delle scelte di tecnica processuale che li
assistono.
La diversità dei percorsi ricostruttivi delle discipline e quella delle fonti cui
attingervi inducono perciò ad improntare l’indagine sul denominatore comune
adottato dalla rubrica dell’art. 669 duodecies, cioè l’“attuazione”.
Il fenomeno “attuazione”, astratto dalle multiformi realtà che rappresenta e dalla diversità dei quadri normativi e dei percorsi ermeneutici che
evoca, è infatti sempre e costantemente una fase del processo cautelare
ed ha a sua volta una struttura procedimentale ben distinta che può essere scomposta ed esaminata secondo una scansione che caratterizza con
te, e dunque ascrive carattere funzionalmente esecutivo al processo che mette capo alla
sentenza ex art. 2932 c.c.). Nei casi delle esecuzioni di tipo surrogatorio che qui vengono
in rilievo, le differenze di tecnica processuale che le caratterizzano trovano storicamente
origine nella struttura del provvedimento da eseguire. Più in particolare, i processi esecutivi del Libro III del c.p.c. si rivelano soluzione di diritto positivo modellata sul titolo
esecutivo. Quest’ultimo, a sua volta, è il risultato dell’evoluzione dell’esecuzione forzata,
che alle origini si presentava come una nuova azione di cognizione (cd. actio iudicati)
funzionale alla ricognizione del diritto accertato in sentenza, nella prospettiva dell’aggressione forzosa della sfera giuridica dell’obbligato che non adempisse volontariamente.
Il titolo esecutivo è cioè la soluzione che rende superflua la mediazione, tra la sentenza
e la sua esecuzione, di una nuova (ri)cognizione, operando la già rilevata astrazione del
potere giurisdizionale esercitato dalla questione dell’an e del quomodo del diritto accertato. Nel titolo è infatti formalizzato il dictum da eseguire sub specie di dispositivo di
condanna. Completamente diversa si presenta invece l’esperienza dell’esecuzione delle
sentenze del giudice amministrativo. Esse, quando annullano atti amministrativi, esibiscono un contenuto complesso di accertamento che si irradia conformando l’ulteriore agire dell’amministrazione. L’astrazione realizzabile con la tecnica del titolo esecutivo non è
qui praticabile perché la struttura del dispositivo non è tale da formalizzare da un lato una
precisa condanna dell’amministrazione e dall’altro le pretese del cittadino. Questo spiega
le caratteristiche del giudizio di ottemperanza, che dell’actio iudicati mantiene la struttura interna e previa della (ri)cognizione. È al suo interno che vengono infatti determinati
progressivamente, attraverso l’interpretazione della sentenza nella sua globalità (dispositivo, che reca il solo annullamento, e motivazione), gli obblighi dell’amministrazione nei
confronti del cittadino. Il giudizio di ottemperanza “estrae” cioè dalla sentenza, formalizzandoli in specifici ordini di fare-non fare, gli obblighi stessi, realizzando attraverso una
ulteriore fase “di cognizione” quello che la sentenza civile di condanna-titolo esecutivo
ha già in sé. Di qui una serie di rilevanti differenze tra i due archetipi, in particolare sotto
il profilo dei poteri riconosciuti al giudice ai fini dell’interpretazione, in sede esecutiva,
del dictum da eseguire e di quelli reattivi delle parti e dei terzi, che saranno affrontati più
oltre, nel corso dello studio.
Capitolo 1 – L’“attuazione” cautelare
19
buona approssimazione l’analisi di ogni segmento processuale: l’individuazione del giudice competente, il procedimento, la tutela delle parti e
dei terzi.
Sicché proprio la logica del procedimento si rivela lo schema unificante in
grado di ricomprendere ed organizzare la complessità che l’oggetto dell’indagine esibisce sotto tutti i profili già rilevati.
Così individuatene le aree, l’analisi torna ad essere influenzata dalla
diversità sostanziale dei fenomeni regolati, sicché per ogni area si snoda in una duplice prospettiva, quella del vincolo pubblicistico su beni41
(“attuazione” dei sequestri), e quello invece dell’esecuzione forzata (“attuazione” delle cautele anticipatorie), che a sua volta si biforca nella direzione delle diverse strutture processuali poste al servizio dell’enforcement
delle cautele di condanna pecuniaria e di quelle di condanna ad un farenon fare-dare.
All’analisi di dettaglio delle singole aree tematiche dai diversi angoli
di visuale è perciò affidato il compito di rilevare la problematicità e di
riespandere le profonde differenze tra i fenomeni regolati che la prospettiva formale dell’attuazione come (sub)procedimento aveva ridotto ad
unità, riproponendo l’ambivalenza, o per meglio dire il contrasto, tra rubrica e contenuto precettivo dell’art. 669 duodecies, da cui si era partiti.
Infine. Nella Sezione II di questo capitolo, che segue, il fenomeno
“attuazione cautelare” oggi racchiuso nell’art. 669 duodecies viene (ri)
proposto in chiave storica, alla luce del dibattito dottrinale e giurisprudenziale che ne ha forgiato i contorni. L’approfondimento dei profili più
specificamente legati all’evoluzione della responsabilità patrimoniale
del debitore ed ai suoi riflessi sulla ricostruzione prima ermeneutica e
poi normativa dell’esecuzione delle condanne pecuniarie cautelari farà
invece da introduzione all’esame specifico dei profili procedimentali di
queste cautele.
La scelta a favore dell’approfondimento storico è motivata dalla consapevolezza che è proprio in questo terreno che affondano le radici più
profonde delle scelte normative attuali, di molte delle soluzioni ermeneutiche consolidatesi in dottrina e giurisprudenza e, tutto sommato,
dei nodi ancora oggi rimasti irrisolti, come mostra il confronto con una
dottrina sterminata e articolata cui è dato ampio e costante spazio nelle
note.
È forse opportuno precisare, una volta per tutte, che tra i beni indicati rientrano anche in crediti ove oggetto di sequestro conservativo ai sensi degli artt. 678 e 543 ss, essendo indubbio che,
dal punto di vista del creditore procedente, anche i crediti sono “beni del debitore”da aggredire:
così Vaccarella, Espropriazione presso terzi, in Dig. it., disc. priv., sez. civ., VIII, Torino, 2002,
p. 96 ss.
41
l’attuazione delle misure cautelari
20
Sezione II
L’attuazione cautelare nella prospettiva storica.
Origini e sviluppo di un dibattito
1. Premessa
Dell’art. 669 duodecies si42 tende generalmente a riconoscere la discendenza
diretta da quella corrente di pensiero, che ha progressivamente ricevuto
significativi riscontri anche in giurisprudenza che, in tempi di assenza di
una disciplina generale,43 aveva costruito l’attuazione cautelare in via interpretativa.
Tratto caratterizzante se ne era mostrato, fin dalle origini, il complesso
rapporto con altri modelli esecutivi che pure erano già codificati dal codice
di rito del 1940 per i provvedimenti resi dal giudice civile, vale a dire le
esecuzioni forzate disciplinate dal Libro III del c.p.c.. In particolare, il ricorso al canovaccio di quelle tecniche si mostrava, almeno nelle riflessioni
della dottrina e nelle applicazioni della giurisprudenza sui sequestri e sulle
cautele recanti ordini di facere-dare, marginale e comunque condotto in via
solo analogica.
Alle origini di questa prospettiva, che pur in presenza di un modello
esecutivo già codificato andava alla ricerca di diverse soluzioni tecniche, si
poneva verosimilmente la riflessione sulla funzione peculiare della tutela
cautelare rispetto a quella ordinaria i cui provvedimenti finali sono assistiti
dalle esecuzioni del Libro III del c.p.c.. Ciò almeno fino a quando, a seguito di un lungo processo evolutivo, l’emersione di ordini cautelari aventi
ad oggetto il pagamento di somme ha prepotentemente spostato l’attenzione proprio sulle tecniche esecutive del Libro III del c.p.c. e segnatamente
sull’espropriazione, che assiste gli altri provvedimenti di condanna pecuniaria. È in questo lungo processo evolutivo che trovano origine le distinctiones tra le tecniche esecutive in riferimento al tipo di misura da attuare,
e il diverso peso giocato ancora oggi, nel dibattito scientifico, dai modelli
esecutivi del Libro III del c.p.c..
Vullo, L’attuazione dei provvedimenti cautelari, cit, p. 49, p.118 ss e passim, ove anche ulteriori indicazioni bibliografiche.
43
Quando la scarsità delle indicazioni normative in punto di attuazione costringeva gli interpreti alla ricerca di soluzioni basate sull’interpretazione estensiva di norme dettate per specifici
provvedimenti, anche perché l’allora vigente art. 702 c.p.c. rinviava, per il l’individuazione del
quomodo attuativo dei provvedimenti d’urgenza, alle norme sui provvedimenti di nuova opera
e danno temuto. Al centro del dibattito si trovò dunque l’art. 691 c.p.c. (peraltro oggi ancora in
vigore) a mente del quale se la parte cui è fatto divieto di compiere l’atto dannoso o di mutare lo
stato di fatto contravviene all’ordine, il giudice, su ricorso della parte interessata, può disporre
con ordinanza che le cose siano rimesse al pristino stato a spese del contravventore. Sul punto,
per tutti, Vullo, L’attuazione, cit, p. 42ss.
42
Capitolo 1 – L’“attuazione” cautelare
21
L’oscillazione tra modello esecutivo autonomo rispetto a quelli già codificati dal Libro III del c.p.c. per i provvedimenti di condanna e rinvio all’espropriazione forzata, presente nell’attuale disciplina positiva dell’art. 669 duodecies c.p.c. ed ancora capace di monopolizzare l’attuale dibattito sul tema,
si mostra dunque figlia della storia stessa della tutela cautelare e della lunga
elaborazione del suo modello processuale.
2. Le origini: il processo cautelare quale tertium genus rispetto alla cognizione ed all’esecuzione
La tutela cautelare viene infatti definendosi, fin dalle più classiche trattazioni sotto il vigore del vecchio codice, come strumento di protezione da un
pericolo44, traendo ragion d’essere dalla necessità di rimediare allo stato di
incertezza e/o violazione del diritto nel tempo occorrente allo svolgersi del
processo dichiarativo. Connaturata perché indispensabile alla sua funzione
è perciò la natura sommaria che caratterizza la cognizione del giudice nel
concederla45.
La tutela cautelare nasce come protezione da un pericolo. Fin dal saggio di Diana apparso
in Studi senesi nel 1909, p. 211 ed intitolato Le misure conservative interinali, viene evidenziato lo scopo della tutela cautelare nella necessità di “(…) creare uno stato di diritto e di
fatto attuale che preservi la futura esecuzione dal pericolo (…)”. Chiovenda, nelle Istituzioni, cit. alla nota successiva, riprende il concetto, affermando che lo scopo della cautela è
sempre quello di evitare che l’attuazione di una possibile volontà di legge sia impedita o resa
difficile a suo tempo da un fatto avvenuto prima del suo accertamento, cioè dal mutamento
dell’attuale stato di cose; Calamandrei, Introduzione allo studio sistematico dei provvedimenti cautelari, cit., p.18, formula compiutamente quel concetto di periculum in mora che tanta
fortuna ha riscosso presso la dottrina successiva. Il pericolo rilevante ai fini della concessione
della cautela è, secondo l’a., quello per ovviare al quale la tutela ordinaria si rivela troppo
lenta, così che è necessario provvedere in via d’urgenza ad impedire con misure provvisorie
che il danno minacciato si produca o si aggravi proprio a causa di quell’attesa. L’a. arriva
pertanto a definire il pericolo cautelare come “quell’ulteriore danno marginale che potrebbe
derivare dal riTardo del provvedimento definitivo”. L’espressione danno marginale è ripresa
da E. Finzi (Questioni controverse in tema di esecuzione provvisoria, in Riv. dir. proc. civ.,
1926, II, p. 50) e costituisce il vero fulcro della costruzione calamandreiana del periculum
in mora come danno derivante dalla mora indispensabile al compimento dell’ordinario iter
processuale. In tal senso si era già pronunciato, del resto, Carnelutti, nel Sistema del diritto
processuale civile, cit, p. 205 ss e in Diritto e processo, Napoli, 1958, p. 353 ss. Negli anni
trenta, aveva affrontato l’argomento anche Micheli, in La prova testimoniale a futura memoria, Milano, 1937, p. 62. Montesano, I provvedimenti d’urgenza nel processo civile, Napoli,
1955, p. 4, parla dei provvedimenti provvisori ed urgenti in relazione all’esigenza che la
pratica efficacia del processo non venga in concreto frustrata. V. anche Rocco U. Trattato di
diritto processuale civile, V, Torino, 1960, p. 56 ss e passim.
45
La sommarietà della cognizione è da sempre appartenuta all’elaborazione scientifica
della tutela cautelare. Non potendo risalire troppo oltre nel tempo, si può partire dalle
Istituzioni di diritto processuale civile di Giuseppe Chiovenda, edite a Napoli in varie
edizioni già nel 1933 e nel 1935, ove compare, nel contesto del riconoscimento dall’azione
assicurativa come figura generale, la caratterizzazione della summaria cognitio: “ L’urgenza del provvedimento non permette che un esame affatto superficiale. Nella misura
44
22
l’attuazione delle misure cautelari
Gli anni cinquanta del novecento vedono la dottrina costruire, sulle basi
concettuali ricevute, l’ossatura processuale della tutela cautelare.
In particolare, l’elaborazione della fase esecutiva trova il suo fulcro nella
cd. teoria dell’unità del procedimento cautelare, elaborata da Liebman sulle
pagine della Rivista di diritto processuale.
La costruzione, pensata per i sequestri, si basa sull’intuizione, autorizzata
proprio da quelle premesse, che la cognizione del giudice, da sé sola, non fornisce al beneficiario alcun risultato utile, questo derivando solo dalla concreta
esecuzione del dictum. L’interesse ad agire del beneficiario, il “risultato utile”
cui egli aspira, si realizza, a differenza che nella tutela ordinaria, solo attraverso l’“attuazione” della cautela.46
Di qui la conclusione che il procedimento cautelare non possa scindersi,
come accade nella tutela ordinaria dei diritti, nelle due fasi autonome della
cognizione e dell’esecuzione, ma debba essere un unicum in cui cognizione
ed esecuzione convivono al solo scopo di porre in esecuzione, per l’appunto,
la cautela stessa.47
Da questa premessa, Liebman trae una precisa conseguenza sul piano processuale: l’impossibilità di scindere il processo di cognizione da quello di
provvisoria è dunque necessario, prosegue il Maestro, ( alla p. 237 della sesta ristampa
delle Istituzioni)“ (…) distinguere la giustificazione attuale, cioè di fronte alla apparenze
del momento, e la sua giustificazione ultima. La misura provvisoria attua una effettiva volontà di legge, ma una volontà che consiste nel garantire l’attuazione d’un’altra supposta
volontà di legge: se in seguito, ad esempio, questa altra volontà è dimostrata inesistente,
anche la volontà attuata colla misura provvisoria si manifesta come una volontà che non
avrebbe dovuto esistere (…)”. La cognizione sommaria come corrispondente al carattere
urgente del provvedimento e del processo ritorna anche nelle Lezioni di diritto processuale
civile di Carnelutti ( p. 83 della Ristampa a cura della Cedam ) del 1936, ed è riproposta
nella monografia di Calamandrei, Introduzione allo studio sistematico dei provvedimenti
cautelari, cit, p. 20 e passim, ove si evidenzia che i provvedimenti cautelari rappresentano
la conciliazione tra opposte esigenze della giustizia: il far presto ma male, e il far bene
ma tardi. Essi infatti mirano anzitutto a far presto, lasciando che il problema del bene e
del male, cioè della giustizia intrinseca del provvedimento, sia risolto successivamente e
con la necessaria ponderatezza nelle riposate forme del giudizio di cognizione ordinario.
V. inoltre Montesano, I provvedimenti d’urgenza nel processo civile, cit., p. 32 e passim;
Liebman, Unità del procedimento cautelare,in Riv. dir. proc, 1954, p. 252; ancora Carnelutti, Diritto e processo, Napoli, 1958, p. 365: “(…) il processo cautelare si contenta di
ricercare la probabilità, ch’è una formula molto più modesta (di quella della verità, nella
cui ricerca, secondo l’a., si risolve la cognizione ordinaria); insomma il processo cautelare
non può andare sino in fondo (…) perché se ci volesse andare, perderebbe il suo carattere
e fallirebbe il suo scopo, confondendosi con il processo principale.” L’impostazione si
ritrova sostanzialmente invariata nei contributi della dottrina successiva: v., a titolo esemplificativo, ancora Montesano, La tutela giurisdizionale dei diritti, in Trattato, cit., p. 293
ss; Id., Strumentalità e superficialità della cognizione cautelare, in Riv. dir. proc, 1999, p.
309; Luiso, Diritto processuale civile, IV, cit, p. 175 ss: Arieta, I provvedimenti d’urgenza
ex art. 700 c.p.c., Padova, 1985, p. 50 ss; Proto Pisani, Due note sulla tutela cautelare, in
Foro. it., 1983, V, p. 145 ss.
46
Liebman, Unità del procedimento cautelare, cit., p. 248.
47
Ibidem. V. amplius infra testo e note.
Capitolo 1 – L’“attuazione” cautelare
23
esecuzione.48 Il focus sull’interesse ad agire del beneficiario, valorizzando
proprio l’esecuzione quale veicolo di neutralizzazione del periculum, getta le
basi della ricostruzione del processo cautelare come fenomeno altro e diverso
da quelli fino ad allora noti al codice di rito civile: tertium genus, appunto,
rispetto all’esecuzione ed alla cognizione.49
Anche la fase esecutiva cautelare si svincola allora da quello che sembrava
il suo referente concettuale più prossimo e naturale: essa comincia ad essere
percepita come aliquid novi rispetto alle esecuzioni forzate già codificate nel
Libro III del c.p.c..
L’evoluzione prospettica suggerita da questa lettura viene interiorizzata
dalla dottrina e dalla giurisprudenza prevalenti50. Esse progressivamente costruiscono in via interpretativa una esecuzione cautelare prima dei sequestri,
sui quali l’unità del procedimento era stata modellata, e poi anche degli ordini
di facere – dare, che definiscono appunto “attuazione” o “esecuzione in via
breve” rimarcando anche linguisticamente il distinguo, diversa dai tipi già noti
al codice di rito.
La dottrina contemporanea a Liebman, seguita dalla più parte di quella
successiva, esclude dunque per i provvedimenti cautelari la qualifica di titoli
esecutivi:51 lo spunto originario dell’inscindibilità della concessione dall’attuazione, con il supporto di questo ulteriore contributo teorico, ha dunque
modo di svilupparsi, sul piano procedimentale, con l’attribuzione allo stesso
giudice della cautela della competenza a gestirne l’attuazione52 anche, evenIbidem.
Ibidem.
50
Cass. 1 dicembre 1966 n. 2823; Cass. 15 marzo 1976 n. 955; Cass. 18 aprile 1977 n. 1427;
Cass. 25 maggio 1974 n. 2169; Cass. 15 gennaio 1979 n. 292; Cass. 26 novembre 1979 n.
6166.
51
Montesano, I provvedimenti d’urgenza, cit., p. 118: “(…) il provvedimento di urgenza non
è un atto di accertamento giurisdizionale, che costituisca il titolo della successiva esecuzione
forzata, ma è esso stesso atto di esecuzione forzata (…)”.
52
In tal senso lo stesso Montesano, op. loc. ult. cit.: “dallo scopo stesso del provvedimento in
esame ( quello d’urgenza ex art. 700) si desume chiaramente che il giudice, ogni qualvolta
ordini in via di urgenza un fare o un non fare fungibile, abbia anche il potere di predisporre,
contestualmente all’ordine stesso, i mezzi giuridici perché questo possa essere forzatamente
eseguibile in forma specifica. (…) il contenuto del provvedimento del giudice corrisponde non
soltanto a quello di una sentenza di condanna, ma anche a quello dell’ordinanza con la quale
il pretore, a norma dell’art. 612 c.p.c., determina le modalità dell’esecuzione forzata di un
obbligo di fare o di non fare. (…) l’esecuzione forzata delle misure predette è consentita dalla
legge senza l’osservanza delle forme prescritte dal codice di procedura civile per l’esecuzione
forzata degli obblighi di fare e di non fare”. L’a. ha sostanzialmente ribadito la sua opinione
in Esecuzione dei provvedimenti d’urgenza ed esecuzione forzata per fare e disfare, in Temi,
1967, p. 55 ss e passim. V. anche Calvosa, La tutela cautelare ( profilo sistematico), Torino,
1963, p. 814; Satta, Commentario al codice di procedura civile, III, Milano, rist. 1966, p. 82;
Borrè, Esecuzione forzata degli obblighi di fare e non fare, Napoli, 1966, p. 241 ss; Pedoni,
Intorno al modus exequendi dei provvedimenti interinali possessori, in Riv. trim. dir. proc.
civ., 1959, p. 693 ss; l’impostazione è presente anche nella dottrina più recente: v., ad esempio,
Mandrioli, L’esecuzione specifica dell’ordine di reintegrazione nel posto di lavoro, in Riv. dir.
48
49
24
l’attuazione delle misure cautelari
tualmente, avvalendosi in via analogica dello schema degli artt. 612 ss. Si
esclude altresì l’esperibilità delle opposizioni esecutive degli artt. 615 ss e
617 ss c.p.c., restando ogni contestazione dell’intimato attratta alla cognizione
dello stesso giudice della cautela o di quello del merito.53
Questa impostazione, reiterata nelle pronunce della giurisprudenza,54 si
muove tuttavia pur sempre su una linea di confine, quella tra esecuzione forzata ed “attuazione” cautelare, che non è ancora così difficile attraversare,
come mostra il dibattito sul ruolo dei modelli esecutivi del Libro III del c.p.c.
nell’economia generale dell’“attuazione” cautelare. Su questo aspetto, uno dei
più delicati e cruciali dell’elaborazione del modello, gli interpreti non hanno
mai mostrato uniformità di vedute55.
Il non del tutto chiarito rapporto tra i due termini di paragone conduce così,
quasi impercettibilmente, ad una elaborazione dottrinale che li concepisce
come alternativi per portare ad esecuzione un comando cautelare.56 Su questa
proc., 1975, p. 16; Vaccarella, Il procedimento di repressione della condotta antisindacale,
Milano, 1977, p. 189; Arieta, I provvedimenti d’urgenza, cit., p. 313; Tommaseo, I provvedimenti d’urgenza, Padova, 1983, p. 331 ss; Silvestri, Problemi e prospettive di evoluzione
nell’esecuzione degli obblighi di fare e di non fare, in Riv. dir. proc., 1981, p. 41ss; Proto Pisani, I provvedimenti d’urgenza ex art. 700 c.p.c., in Appunti sulla giustizia civile, Bari, 1982,
p. 415; Fazzalari, Profili della cautela, in Riv. dir. proc., 1991, p. 11; Rapisarda, Profili della
tutela civile inibitoria, cit., p. 124; Luiso, voce Esecuzione forzata, II, Esecuzione forzata in
forma specifica,in Enc. giur. Treccani, XIII, Roma, 1989, p. 4; Castoro, Il processo di esecuzione nel suo aspetto pratico, Milano, 1998, p. 20 ss; contra, nel senso dell’eseguibilità del
provvedimento d’urgenza nelle forme ordinarie, in quanto titolo esecutivo, Redenti, Diritto
processuale civile, Ristampa della II edizione, Milano, 1957, p. 95; Dini, I provvedimenti
d’urgenza, Milano, 1957, p. 289 ss.
53
Ancora Montesano, I provvedimenti, cit., 119; Id., Esecuzione dei provvedimenti d’urgenza,
cit., p. 56; Satta, Commentario, cit., IV, p. 284; Borrè, Esecuzione forzata, cit., p. 245; Andrioli,
Commento al codice di procedura civile, Napoli, 1964, p. 277.
54
V., ad esempio, Cass. 25 marzo 1981 n. 1737, in Giust. civ., 1982, I, p. 1340, con Nota di
Grossi; Cass. 25 maggio 1977 n. 2169, in Foro. it., 1977, I, c. 1356 ss; Cass. 24 ottobre 1974
n. 3098; Cass. 29 aprile 1965 n. 778, in Temi napoletana, 1966, I, p. 183, con Nota di Riccio;
T. Aosta 6 ottobre 1951, in Giust. civ., 1952, p. 251, con Nota di Vecchione; Cass. 11 settembre
1996 n. 8821. Per la non ammissibilità delle opposizioni esecutive, v. Cass. 11 luglio 1992 n.
8451; Cass. 11 gennaio 1988 n. 26; Cass. 29 aprile 1965 n. 778, cit.
55
Prima della riforma del 1990, negavano la possibilità di attribuire concreto rilievo precettivo agli artt. 612 ss c.p.c., Montesano, Esecuzione dei provvedimenti, cit., p. 55 ss; Proto
Pisani, I provvedimenti d’urgenza, cit., p. 414; Borrè, Esecuzione forzata, cit., p. 245; Tarzia, Rimedi processuali contro i provvedimenti d’urgenza, in Riv. dir. proc., 1986, p. 35 ss;
Arieta, I provvedimenti d’urgenza, cit., p. 316. Ciò in base all’assunto che vi sarebbe stato
un contrasto con i postulati dell’unità del procedimento cautelare. Al contrario, altri studiosi
si pronunciavano per la soluzione favorevole: Tommaseo, voce Provvedimenti d’urgenza,in
Enc. dir., XXXVII, Milano, 1988, p. 883; Satta, Commentario, cit., III, p. 454; Mandrioli,
voce Esecuzione forzata degli obblighi di fare e di non fare, in Dig. it.,disc. priv., sez. civ.,
VII, Torino, 1991, p. 768; Luiso, voce Esecuzione forzata, cit., p.4; Silvestri, Problemi e
prospettive, cit., p.45.
56
Proto Pisani, I provvedimenti d’urgenza, p.414 ss, per il quale l’intrinseca attitudine esecutiva
di questi provvedimenti rende irrilevante sia la mancata attribuzione espressa della qualifica di
titolo esecutivo, sia il fatto che l’art. 612 si riferisca testualmente alle sole sentenze di condanna.
Capitolo 1 – L’“attuazione” cautelare
25
impostazione si innesta, a partire dagli anni ottanta, un nutrito orientamento
di legittimità57 per il quale il beneficiario della cautela può, a sua scelta, utilizzare quello dei due modelli che ritiene più opportuno in relazione al concreto
contenuto della misura.
Si passa insomma dal concetto di non praticabilità dell’esecuzione forzata
in quanto qualitativamente diversa dall’“attuazione” della cautela, a quello
più ambiguo di non necessità dell’esecuzione stessa, fino a quello di fungibilità dei due modelli, che pare contraddire i postulati teorici da cui pure si è
partiti.
3. La rilevanza costituzionale della tutela cautelare come fattore di sviluppo della tutela urgente ed i suoi riflessi sull’interpretazione corrente dell’attuazione cautelare
L’ambiguità cui si è fatto cenno si acuisce anche a causa del progressivo riconoscimento della rilevanza costituzionale della tutela cautelare.
Sviluppando alcuni spunti già presenti in sentenze precedenti58 e superando qualche ricaduta in senso opposto,59 la Corte Costituzionale arriva ad affermare, a metà degli anni ottanta, che tutte le volte in cui un diritto assistito da
fumus boni iuris sia minacciato da un pregiudizio imminente ed irreparabile
nel tempo occorrente a farlo valere in via ordinaria, il giudice ha il potere di
Su questa premessa, l’a. giunge alla conclusione che, per i provvedimenti che ordinano prestazioni di fare-non fare si possa ricorrere sia all’attuazione in via breve sia all’esecuzione di cui
agli artt. 605 ss, con la sola esclusione delle formalità preliminari consistenti nella notifica del
titolo esecutivo e del precetto.
57
Cass. 11 novembre 1982 n. 5947, in Arch. civ., 1983, p. 820; Cass. 10 giugno 1994 n. 5667,
in Giur. it., 1995, I, 1, p. 23, con Nota di Gaglioti; Cass. 20 ottobre 1994 n. 8586; Cass. 11
settembre 1996 n. 8221.
58
Corte cost. 19- 27 dicembre 1974 n. 284, in Cons. Stato, 1974, p. 1329, dichiarò l’illegittimità costituzionale dell’art. 13, comma 4°, della l. 22 ottobre 1971 n. 865, in relazione agli artt.
3, 24 e 113 cost., che, in tema di edilizia residenziale pubblica, prevedeva la sospensione dei
provvedimenti di dichiarazione di pubblica utilità, di occupazione d’urgenza e di espropriazione, solo in caso di grave ed evidente errore nell’indivIduazione degli immobili o in quella dei
proprietari. In quell’occasione la Corte rilevò come la tutela cautelare inerisca naturalmente, in
quanto protezione interinale, al potere di annullamento tipico della giurisdizione amministrativa, e non possa perciò rivelarsi irragionevolmente discriminatoria rispetto alla regola generale
volta proprio a consentire l’esercizio pieno del potere interinale stesso. Successivamente, con
sentenza 1 febbraio 1982 n. 8, in Foro. it., 1982, I, c. 329, con Nota di Scoca, la Corte dichiarò
l’illegittimità costituzionale dell’ultimo comma dell’art. 5 della L. 3 gennaio 1978 n. 1, nella
parte in cui escludeva l’appellabilità delle ordinanze cautelari dei TAR nei giudizi relativi ad
opere pubbliche ed impianti industriali.
59
Con sent. 1 aprile 1982 n. 63, in Foro. it., 1982, I, c. 1216, con Nota di Proto Pisani, la Corte
aveva infatti escluso la illegittimità delle disposizioni del processo tributario che non prevedevano il potere di sospensione degli atti impugnati, in base all’assunto che l’art. 24 cost., nel
garantire l’accesso alla giurisdizione, non predetermina alcuna forma di tutela, né vincola il
legislatore ordinario in riferimento ai poteri da attribuire agli organi giurisdizionali concretamente investiti della controversia.
26
l’attuazione delle misure cautelari
adottare i provvedimenti che appaiano, secondo le circostanze, più idonei ad
assicurare provvisoriamente gli effetti della decisione sul merito.
La pronuncia60 è lo sviluppo di un trend inaugurato alla metà degli anni
settanta con il quale il Giudice delle leggi ha risposto ad una diffusa istanza
alla generalizzazione della tutela cautelare, anche urgente, ad ambiti diversi
dal processo civile e che ne erano in tutto o in parte privi.
La Corte, richiamandosi al principio che la durata del processo non deve
andare a danno della parte che ha ragione, vede nella tutela d’urgenza l’espressione di una “direttiva di razionalità tutelata dall’art. 3, comma 1° e, in subiecta materia, dall’art. 113 della Costituzione”61.
Per la prima volta afferma così, apertis verbis, il rapporto tra effettività della tutela giurisdizionale e tutela cautelare riconducendo entrambe alla comune
matrice dell’art. 24 della Costituzione 62: i poteri cautelari del giudice costituiscono infatti 63 “(…) espressione del principio secondo cui ogni situazione
giuridica deve trovare il suo momento cautelare, che va configurato come
componente essenziale della stessa tutela giurisdizionale”.64
Corte cost. 28 giugno 1985 n. 190, in Foro. it., 1985, I, c. 1881 ss, con Nota di Proto Pisani;
in Dir.proc. amm., 1986, p. 117 ss, con Nota di Follieri; in Giur. it., 1985, I, 1, c.1297 ss, con
Nota di Nigro.
61
Ancora più esplicito è l’aggancio della tutela d’urgenza ai valori costituzionali nella pronuncia interpretativa di rigetto del 16 luglio 1996 n. 249, in Giust. civ., 1997, I, p. 33 ss, con Nota di
Caranta, con la quale la Corte arriva alla conclusione che “la disponibilità di misure cautelari è
strumentale all’effettività della tutela giurisdizionale e costituisce espressione del principio per
cui la durata del processo non deve andare a danno della parte che ha ragione, in applicazione
dell’art. 24 della Costituzione”.
62
Garofoli-Protto, Tutela cautelare, monitoria e sommaria nel nuovo processo amministrativo,
Milano, 2002, p. 28 e passim. Tale principio era stato già stato adombrato in Corte cost. 23
giugno 1994 n. 253, in Giur. it., 1994, c. 409, con Nota di Consolo, che ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art. 669 terdecies nella parte in cui non ammette il reclamo ivi previsto
anche contro l’ordinanza di rigetto della domanda avanzata in via cautelare, ribaltando così il
precedente regime di reclamo secundum eventum litis. Con motivazione di ampio respiro, la
Corte ha sottolineato la funzione di strumentalità all’effettività della stessa funzione giurisdizionale svolta dalla tutela cautelare, in conseguenza della quale si “ […] giustifica l’introduzione di
una uniforme disciplina che assicuri i requisiti propri e minimi imposti al modello processuale
dalle garanzie di cui al sistema costituito dagli artt. 3 e 24 Cost. in tema di contraddittorio, di
obbligo di motivazione e di posizione delle parti nell’esercizio dei rispettivi diritti”.
63
Corte cost. 7 novembre 1997, n. 326, in Cons. Stato, 1997, p. 1721.
64
Al quadro abbozzato si aggiunge l’affermazione, da parte di Corte cost. 10 novembre 1999, n.
427, in Corr. giur, 2000, p.166, sul più specifico versante del processo amministrativo, dell’illegittimità costituzionale di normative che sopprimano la tutela cautelare della pretesa dedotta in
giudizio. Va altresì rilevato che la Corte di giustizia CE ha fornito un notevole contributo all’affermazione del principio di effettività della tutela cautelare all’interno degli Stati membri. La
giurisprudenza della Corte si è infatti costantemente mossa nella direzione di un rafforzamento
delle concrete possibilità di intervento dei giudici nazionali, in modo da offrire alle situazioni
giuridiche di origine comunitaria un ampio spettro di tutela interinale, indispensabile all’effettività della tutela giurisdizionale stessa. Si veda, ad es., Corte di giustizia 19 giugno 1990 ( causa
C-213-89), resa nel cd. caso Factortame, in cui si è affermato il dovere dei giudici nazionali
di disapplicare le norme di diritto interno ostative alla concessione dei provvedimenti cautelari
60
Capitolo 1 – L’“attuazione” cautelare
27
Il pieno recepimento della lunga elaborazione dottrinale della tutela cautelare e la sua diretta riconduzione al diritto di azione sub specie di effettività
della tutela, segnano così la definitiva consacrazione della cautela nell’empireo dei principi costituzionali del processo.
La mutata sensibilità dei tempi, ad un tempo causa ed effetto della valorizzazione costituzionale di importanti aspetti della tutela giurisdizionale,
fornisce un decisivo contributo all’evoluzione della tradizionale concezione
dell’irreparabilità del pregiudizio a cui presidio l’art. 700 consente l’adozione
dei provvedimenti d’urgenza più opportuni.
Nel clima culturale che vide l’introduzione della norma nel codice di rito
del 1940 i diritti di obbligazione si consideravano infatti, in linea di principio,
estranei allo spettro di operatività del provvedimento d’urgenza, in quanto
asseritamente insuscettibili di essere pregiudicati, e men che mai in modo irreparabile, nelle more del giudizio. L’irreparabilità del pregiudizio, percepita
come “(…) permanente offesa della propria situazione giuridica durante il
processo, più precisamente (…) godimento da parte del convenuto di una situazione che è incompatibile, perché ne costituisce la negazione, con la situazione giuridica, col diritto del ricorrente.,”65 si riteneva cioè predicabile solo
per i diritti assoluti.
La giurisprudenza costituzionale spiana invece la strada alla consapevolezza che non è possibile escludere a priori la tutela cautelare per classi di
situazioni soggettive, essendo piuttosto necessario valutare l’esistenza di un
pregiudizio nel caso specifico. Sfruttando appieno quest’idea la giurisprudennecessari ad assicurare la piena efficacia della pronuncia giurisdizionale avente ad oggetto posizioni soggettive di derivazione comunitaria. Ancora oltre è andata Corte di giustizia 21 febbraio
1991 (cause riunite C-143/88 e C-92/89), resa nel cd caso Zuckerfabrick, in cui si è riconosciuto
il potere del giudice nazionale di disporre la sospensione dell’esecuzione di un provvedimento
nazionale basato su un regolamento comunitario la cui legittimità sia in contestazione, in base
all’assunto che “la tutela cautelare (…) garantita dal diritto comunitario ai privati davanti ai
giudici nazionali non può variare a seconda che sia in contestazione la compatibilità di norme
di diritto nazionale con il diritto comunitario o la validità di atti comunitari di diritto derivato,
dal momento che, in entrambi i casi, la contestazione si basa sul diritto comunitario”. Tali principi vengono sostanzialmente ribaditi da Corte di giustizia 9 novembre 1995 (causa C-465/93),
nel caso Atlanta, la quale arriva alla conclusione che “la tutela cautelare che i giudici debbono
garantire ai singoli in forza del diritto comunitario non può variare a seconda che questi ultimi
chiedano la sospensione dell’esecuzione di un provvedimento nazionale adottato sulla base
di un regolamento comunitario, o la concessione di provvedimenti provvisori che modifichino o disciplinino a loro vantaggio situazioni di diritto o rapporti giuridici controversi”. La
sentenza è fondamentale, e merita di essere ricordata, perché ammette che la tutela cautelare
sia da valutare come indispensabile all’effettività della tutela giurisdizionale, anche ove ciò
comporti, in limine, l’esclusione provvisoria dell’efficacia del diritto comunitario. La sentenza
riconosce inoltre la possibilità che le misure interinali abbiano non solo contenuto sospensivo,
ma anche contenuti positivi. Su questi aspetti, si rinvia alle osservazioni di Garofoli-Protto,
Tutela cautelare, cit., p. 30 ss, anche per le necessarie ulteriori indicazioni bibliografiche e
giurisprudenziali.
65
Satta, Commentario al codice di procedura civile, IV, cit, p. 270; Id., Limiti di applicazione
del provvedimento d’urgenza, in Foro. it., 1953, I, c. 132.
28
l’attuazione delle misure cautelari
za ordinaria di merito, valorizzando alcuni contributi della dottrina66 fino a
quel momento privi di riscontro nella vita concreta della tutela urgente, comincia a fornire protezione non solo a diritti assoluti a contenuto e funzione
non patrimoniale (quelli della personalità, delle libertà costituzionali, etc), ma
anche a diritti relativi a contenuto patrimoniale, ma a funzione non patrimoniale, come il diritto alla retribuzione, cui è collegata la possibilità di una esistenza libera e dignitosa per il lavoratore e la sua famiglia, ed in qualche caso
anche a diritti di credito in quanto tali. Ciò sul presupposto che l’irreparabilità
vada valutata come esistenza di un obiettivo scarto qualitativo tra il risultato
ottenibile all’esito del processo ordinario e quello che si sarebbe ottenuto con
l’adempimento spontaneo.67
Il risultato di questo mutamento di prospettiva è l’aumento sempre maggiore di provvedimenti d’urgenza che ordinano il pagamento di somme di denaro: ed è proprio rispetto al fino ad allora inedito problema della relativa eseguibilità coatta che la corrente interpretazione dell’attuazione cautelare come
aliquid novi rispetto alle esecuzioni forzate del Libro III del c.p.c. compie una
significativa svolta.
Presupposto ne è la identificazione del pagamento, anche se ordinato in via
cautelare, con l’adempimento dell’obbligazione pecuniaria. Avendo sempre
la virtù di estinguere il credito esso esibisce cioè, secondo la dottrina, una
connaturata definitività che non è dato invece riscontrare negli ordini cauteGià Virgilio Andrioli nel Commento al codice di procedura civile, IV, p. 251, cit., elaborava
una nozione di irreparabilità del pregiudizio ex art. 700 molto diversa da quella proposta dal
Satta, e della quale si dà conto nel testo, oltre che nei successivi paragrafi. Anche Proto Pisani,
I provvedimenti d’urgenza, cit., p. 380 ss, ha contribuito, agli inizi degli anni ottanta, all’allargamento dell’angolo visuale da cui guardare al pregiudizio necessario a far scattare la tutela
urgente. In particolare, l’a. ha posto l’attenzione anche sul titolare del diritto minacciato, affermando che il pregiudizio ricorra non solo nei casi di diritto a contenuto e funzione non patrimoniale, ma anche di diritti a contenuto patrimoniale, ma a funzione non patrimoniale ( il cui tipico
esempio è la retribuzione, di cui proprio negli anni ottanta si veniva rafforzando prepotentemente il rilievo costituzionale, come mezzo per assicurare un’esistenza libera e dignitosa al
lavoratore ed alla sua famiglia), nonché per i diritti a contenuto e funzione patrimoniale, quando
sussista uno scarto tra danno subito e danno risarcito, anche per questioni temporali connesse
alla determinazione del quantum, come nei casi di concorrenza sleale, ove può rivelarsi impossibile quantificare il danno stesso. Infine, secondo Proto Pisani, la tutela d’urgenza è utilizzabile
nelle ipotesi di diritti reali o personali di godimento ove vi sia l’urgenza di vincere la altrui resistenza al di fuori dei casi in cui è prevista la tutela possessoria (come per gli accessi al fondo del
vicino ai sensi dell’art. 843 c.c; o per il diritto del conduttore all’attivazione dell’impianto centralizzato di riscaldamento che sia nella detenzione del locatore, etc.). Arieta, I provvedimenti,
cit., passim, ha inoltre messo in evIdenza la configurabilità di una lesione irreparabile nel caso
di diritti il cui esercizio ha effetti distruttivi di tutto o parte del suo contenuto, come nel caso di
impedimento ad un socio dell’esercizio dei poteri sociali. Va infine rilevato che, come aveva già
affermato lo stesso Andrioli, Commento,cit., p. 260, e come poi ribadito anche da Proto Pisani,
I provvedimenti, cit., p. 387, si fa strada l’ammissibilità dei provvedimenti d’urgenza sia in caso
di sentenze costitutive, sia di quelle di accertamento, non potendosi il pregiudizio escludere a
priori, ma dovendosene piuttosto accertare l’irreparabilità caso per caso.
67
Andrioli, Commento, cit., p. 251.
66
Capitolo 1 – L’“attuazione” cautelare
29
lari di facere-dare. Non si può allora prescindere dal contesto normativo che
presiede all’adempimento coatto dell’obbligazione, ed in particolare dai meccanismi che realizzano la par condicio creditorum.
La necessità che il pagamento coatto non escluda gli altri creditori del
debitore cautelare, aggirando i principi degli artt. 2740 e 2741 c.c., impone
dunque che anche l’esecuzione cautelare, se relativa ad ordini di pagamento,
segua le uniche forme processuali che quelle esigenze incarnano, id est quelle
dell’espropriazione forzata del Libro III del c.p.c.68
Attorno a questo nucleo argomentativo si aggregano poi altre considerazioni: alcune legate alla posizione delle parti e dei terzi coinvolti nella complessa
vicenda, per i quali appare più rispettoso del diritto di difesa di cui all’art.
24 cost. il modello delle opposizioni esecutive di cui agli artt. 615 ss c.p.c.;69
altre legate alla complessità delle procedure espropriative, che ne impongono
la gestione da parte del giudice dell’esecuzione e secondo le disposizioni del
codice di rito.
A questo punto, la parabola si compie completamente e, complice anche
l’asserita fungibilità tra attuazione cautelare ed esecuzione forzata veicolata
dalle sentenze di legittimità cui si è fatto cenno nei precedenti paragrafi, l’esecuzione coatta degli ordini di pagamento abbandona completamente la via
extra ordinem di quelli con diverso contenuto, che avevano costituito il banco
di prova della teoria dell’unità del procedimento cautelare. Al contrario, essa
diviene l’occasione per ripensarne i presupposti in senso critico anche sul suo
stesso terreno di elezione.
4. I riflessi del recupero del modello dell’espropriazione forzata sulla ricostruzione sistematica dell’attuazione cautelare
In dottrina si fa infatti strada l’idea che una medesima manifestazione di potestà cautelare non possa essere trattata,70 esclusivamente in relazione al profilo
attuativo, secondo un modello extra ordinem piuttosto che secondo forme già
codificate dal codice di rito solo in virtù del suo diverso contenuto.71
La circostanza poi che la coesistenza di moduli così diversi sia stata nel
frattempo addirittura consacrata nell’art. 669 duodecies, indirizza il dibattito
verso la ricerca di soluzioni che salvino la coerenza sistematica di quella che
è ormai disciplina positiva.
Per una panoramica sul tema ed ulteriori indicazioni bibliografiche, v. anche Vullo, L’attuazione dei provvedimenti cautelare, cit., p. 71 ss e passim.
69
Così, specialmente Verde, L’attuazione della tutela d’urgenza, in Riv. dir. proc., 1985, p. 734
e ss; Capponi, Sull’esecuzione-attuazione dei provvedimenti urgenti per condanna al pagamento di somme di denaro,in Riv. dir. proc., 1989, p. 114.
70
In via interpretativa e non a mezzo di un intervento legislativo.
71
Vullo, L’attuazione dei provvedimenti cautelari, cit., p. 79 ss; v. anche le riflessioni di
G.Verde, L’attuazione della tutela d’urgenza, cit., p. 734 e passim.
68
30
l’attuazione delle misure cautelari
Si sviluppa così una linea di pensiero che rimedita i fondamenti della teoria di Liebman non solo rispetto agli ordini di pagamento, che ne hanno
storicamente rappresentato il maggiore momento di crisi, ma in riferimento
all’attuazione di tutte le misure cautelari che richiedono l’adeguamento della
realtà al loro contenuto.
In particolare, gli strali critici investono la considerazione unitaria della cognizione e dell’attuazione cautelare, nella misura in cui omologa vicende tra
loro diverse e come tali ben distinguibili anche sul piano procedimentale.72
Anche in sede cautelare il giudice compie infatti attività squisitamente cognitiva verificando l’esistenza dei presupposti specifici cui è subordinata la
concedibilità della cautela. La fase esecutiva, per parte sua, è dalla prima nettamente distinta, sia perché può mancare in caso di adempimento spontaneo
dell’intimato, sia perché comporta un intervento giudiziale qualitativamente
diverso da quello ricognitivo dell’esistenza dei presupposti di legge. Infine,
sia l’esecuzione nelle forme del codice di rito sia quella cd. in via breve possono dar vita a risultati a volte stabili, a volte reversibili73.
Questi i passaggi logici che segnano il recupero della comune identità
funzionale dell’attuazione di un provvedimento cautelare e dell’esecuzione
forzata di un provvedimento di condanna.74 Ne consegue che, al fine di
evitare il pregiudizio imminente ed irreparabile cui è funzionale il provvedimento d’urgenza, le forme esecutive dovranno essere caratterizzate da
particolare celerità e speditezza, e quindi, ad esempio, prescindere dagli
adempimenti preliminari all’esecuzione, ed anche essere affidate allo stesso giudice della cautela.
Non potranno invece eludere altri principi, come quello della par condicio
creditorum, o della necessità di assicurare il contraddittorio ed il diritto di
difesa ai soggetti coinvolti nelle forme, asseritamente più distese e garantiste,
delle opposizioni esecutive.75
Secondo questa impostazione insomma, la riconosciuta identità funzionale tra esecuzione ed attuazione consente di salvare la coerenza sistematica
dell’art. 669 duodecies considerando tutti i provvedimenti cautelari come titoAttardi, Le nuove disposizioni sul processo civile, Padova, 1991, p. 260 ss; Luiso, Diritto processuale civile,cit., IV, p. 220; Id., Considerazioni e proposte su impugnazioni e procedimenti
cautelari, in AA.VV., La riforma del processo civile, Padova, 1992, p. 272 ss; Cecchella, Il
processo civile dopo le riforme, Torino, 1992, p. 382 ss; Fornaciari, L’attuazione dell’obbligo
di consegna dei minori, Milano, 1991, p. 271 ss; Frasca, L’attuazione dei provvedimenti cautelari, in Quaderni del consiglio superiore della magistratura n. 106, 1999, p. 281 ss; Recchioni,
L’attuazione delle misure cautelari, in I processi cautelari e speciali a cura di Chiarloni e
Consolo, Torino, 2005, p. 720 ss; Vullo, L’attuazione dei provvedimenti cautelari, cit., p. 85 ss
e passim.
73
Questi profili sono ben evidenziati da Luiso, Diritto processuale civile, cit., III , cui sufficit
qui rinviare.
74
Così Attardi, Le nuove disposizioni, cit., 260 ss; Vullo, L’attuazione dei provvedimenti cautelari, cit., spec. p. 88 ss e passim.
75
Così ancora Vullo, L’attuazione, cit., p. 92 ss.
72
Capitolo 1 – L’“attuazione” cautelare
31
li esecutivi, senza però escludere, al contempo, l’adozione di forme più consone al carattere cautelare del provvedimento da attuare.76
L’attuale riflessione sul tema torna dunque fatalmente ad imprimere al dibattito l’antico destino dell’oscillazione tra identità ed alterità dell’esecuzione
cautelare rispetto ai modelli esecutivi già noti al codice di rito.
E lo fa in un contesto ove, a differenza che in passato, è lo stesso diritto positivo ad imporlo. L’art. 669 duodecies, ove il richiamo al modello esecutivo
“in via breve” per gli ordini cautelari di facere-dare si affianca, per gli ordini
di pagamento, al richiamo agli artt. 491 e segg. in quanto compatibili, pare
ineluttabilmente mettere insieme i due costanti termini di paragone, reiterando
una ambiguità che a sua volta ha ereditato dalla storia.
Secondo Recchioni, L’attuazione, cit., p.721 ss., il recupero della coerenza sistematica della
disciplina dell’art. 669 duodecies passa invece attraverso una lettura in chiave assolutamente
autonoma rispetto ai modelli esecutivi del Libro III del c.p.c., sull’opposta premessa della profonda differenza funzionale tra i due fenomeni.
76
CAPITOLO 2
la competenza
Sommario: Sezione I. La prospettiva del vincolo pubblicistico sui beni (l’“attuazione dei
sequestri”) – 1. Il giudice competente per l’“attuazione” del sequestro giudiziario… – 2.
Segue: …e del sequestro conservativo – Sezione II. La prospettiva dell’esecuzione forzata (l’“attuazione” delle cautele anticipatorie) – Parte I. La par condicio creditorum nel
contesto dell’evoluzione della responsabilità patrimoniale – 1. La par condicio creditorum
quale fulcro di un eterno dibattito – 2. Segue: la tutela dei creditori nell’esecuzione singolare dalla distribuzione del prezzo “par contribution” all’“eguale diritto di essere soddisfatti
sui beni del debitore” – 2.1. Gli sviluppi successivi: patrimoni separati, evoluzione delle
garanzie reali e proliferazione dei privilegi. L’ordinamento rinnega la sua stessa visione
della responsabilità universale – 3. Par condicio creditorum e regole processuali: una lunga
storia costellata di alcune significative costanti – Parte I bis. L’attuazione delle cautele di
condanna pecuniaria – 1. Il giudice competente per l’attuazione delle cautele recanti condanne pecuniarie – Parte II. L’attuazione delle cautele recanti ordini di fare-non fare-dare
– 1. Il giudice competente per l’attuazione delle cautele recanti prestazioni di fare-non faredare – Sezione iii. Riepilogo – 1. Tre modelli, e tre rationes, a confronto
Sezione I
La prospettiva del vincolo pubblicistico sui beni
(l’“attuazione dei sequestri”)
1. Il giudice competente per l’“attuazione” del sequestro giudiziario…
L’art. 669 duodecies rinvia per l’attuazione dei sequestri, giudiziario e conservativo, agli artt. 677 e segg.
Di essi, solo la prima disposizione riguarda il sequestro giudiziario, la cui
“attuazione” rimette agli artt. 605 e segg. in quanto applicabili, omessa la notifica del precetto nonché la comunicazione del preavviso di rilascio.1
La norma cui è affidata la disciplina dell’“attuazione” del sequestro giudiziario contiene dunque due limiti testuali, il primo specifico e consistente
nell’esclusione di alcune formalità; il secondo invece di carattere generale:
Tale ultima formalità torna tuttavia applicabile se il custode è persona diversa dal detentore
dell’immobile: così l’art. 677, comma 2°.
1
34
l’attuazione delle misure cautelari
l’operatività delle norme sull’esecuzione in forma specifica non è né automatica né generalizzata, ma da valutarsi caso per caso in chiave di compatibilità
con le caratteristiche del sequestro stesso.2
La natura selettiva del rinvio si spiega agevolmente con le ragioni di sistema già rilevate in apertura dello studio (supra, cap. I, sez. I), e cioè con la
circostanza che l’“attuazione” del sequestro non integra una ipotesi di esecuzione forzata, consistendo nel diverso fenomeno della costituzione di un
vincolo pubblicistico di custodia sui beni che ne sono colpiti. Nel nostro contesto perciò i riferimenti alla fase attuativa attengono sia, in senso stretto, alle
formalità funzionali alla creazione del vincolo, sia al vincolo stesso inteso in
senso dinamico, cioè come perdurante nel tempo.
La premessa mostra immediate ricadute proprio sui profili della competenza, che si intrecciano inestricabilmente con quelli della custodia e delle
modalità di tutela delle parti e dei terzi, cui è riservata autonoma trattazione a
fini solo espositivi.
Entrando dunque in medias res, tra le norme sull’esecuzione in forma specifica richiamate, ve ne sono tre aventi ad oggetto la competenza: l’art. 610
che, per l’esecuzione per consegna o rilascio, disciplina le difficoltà che non
ammettono dilazione; e gli artt. 612 e 613 che, per l’esecuzione di obblighi di
fare/non fare, regolano rispettivamente la fissazione delle modalità di esecuzione e la risoluzione delle difficoltà insorte durante le operazioni affidandone
la cura al giudice dell’esecuzione.
Per valutarne la compatibilità con il sequestro giudiziario è necessaria una
breve digressione sugli aspetti strutturali e funzionali della misura, partendo
dalle due componenti fondamentali: il bene da sottoporre a custodia o gestione
temporanea (art. 670 n. 1), e chi tale gestione deve curare, cioè il custode.
Proprio quest’ultimo è il simbolo della stretta interdipendenza che ne lega
la concessione all’attuazione, in quanto è nominato nel provvedimento autorizzativo (art. 676 comma 1°), ma acquista tale qualità solo con l’apprensione
Che, come già ampiamente rilevato supra, cap. I, non ha giuridica efficacia né pratica valenza
senza “attuazione”: così Zumpano, voce Sequestro giudiziario, in Enc. dir., XLII, Milano, 1990;
Vullo, L’attuazione, cit. In generale, sul tema, Santulli, voce Sequestro, in Enc. giur. Treccani,
XVIII, 1998; Pototschning, L’attuazione dei sequestri, in AA. VV., Il nuovo processo cautelare, a cura di Tarzia, Padova, 1993. Secondo Calamandrei, Introduzione allo studio sistematico
dei provvedimenti cautelari, cit., p. 88 ss, l’esecuzione cautelare dei sequestri equivale ad una
frazione dell’esecuzione ordinaria, arrestandosi al punto in cui è tolta al presunto debitore la
disponibilità dei beni (esclusivamente mobili all’epoca in cui fu scritto il saggio citato). Ciò
perché essi servono, per definizione, ad agevolare la fruttuosità pratica di una futura esecuzione
forzata, in modo che, se il giudizio definitivo sul credito riesca favorevole al sequestrante, esse
sboccano, senza soluzione di continuità, nella esecuzione (pp. 34-35). Secondo l’a. dunque,
la differenza che passa tra sequestro e pignoramento consiste nella circostanza che, mentre il
creditore pignorante”(…) è sicuro di riprendere il cammino, e può riprenderlo, se vuole, anche
subito, perché è munito di titolo esecutivo, il sequestrante, pur avendo fatto la stessa strada
del pignorante, non sa se potrà continuare il viaggio, perché gli manca finora l’accertamento
definitivo del suo diritto.”(p. 109)
2
Capitolo 2 – La competenza
35
dei beni sequestrati. Ciò in applicazione del principio generale ricavabile sia
dal contenuto del potere (conservazione ed amministrazione di beni determinati); sia dalla disciplina degli aspetti sostanziali non regolati, che devono essere integrati con le norme civilistiche sul deposito; sia, ancora, dalla disciplina processuale, che prevede la conoscibilità dell’avvenuta investitura (es. artt.
555 e 559 c.p.c.) e la materiale immissione in possesso qualora sia nominata
persona diversa dall’attuale detentore, o la semplice interversione del titolo
nella contraria ipotesi di coincidenza tra queste due persone.3
Stretto è il legame del custode con il giudice della cautela, essendo proprio
quest’ultimo, dopo averlo nominato, a fissare nel provvedimento i criteri ed
i limiti dell’amministrazione dei beni sequestrati, e a risolvere le difficoltà
materiali che eventualmente lo ostacolino nella relativa fase di apprensione
(art. 677, comma 3°).4
In questa delicata struttura di pesi e contrappesi l’art. 610 non sembra trovare spazio applicativo perché le difficoltà che si frappongono all’entrata in
possesso dei beni da parte del custode sono già oggetto della lex specialis
dell’art. 677, comma 3°.
Quanto alla possibile applicabilità degli artt. 612 e 613, mentre nell’esecuzione per consegna-rilascio le operazioni ivi previste chiudono la vicenda di
cui agli artt. 605-611 con la consegna o il rilascio del bene all’avente diritto,5
nel sequestro giudiziario l’apprensione dei beni è solo la parte prodromica di
una vicenda più ampia, che si dipana nella custodia o gestione del bene fino
alla pronuncia di merito (o alle altre cause di possibile sopravvenuta inefficacia del sequestro). Pur potendo genericamente rientrare nel novero delle
prestazioni di facere, cui in teoria sarebbero dunque applicabili gli artt. 612
e 613, quest’attività assume un carattere di stabilità nel tempo e, soprattutto
V. amplius, Franchi, Del consulente tecnico, del custode e degli altri ausiliari del giudice, in
Comm. UTET, I, 1, Torino, 1973, p. 725, e Costa, Custodia di beni pignorati o sequestrati, (diritto processuale civile), in Enc. dir., XI, Milano, 1962, p. 567. V. anche Vellani, voce Custode,
in Dig. it., disc. priv., sez. civ., V, Torino, 2002, p. 47 ss.
4
L’art. 677 c.p.c. prevede infatti espressamente, al comma 3°, che il giudice, anche in fase di
attuazione, ordini al terzo detentore del bene sequestrato di esibirlo (al fine di consegnarlo al
custode), o di consentire l’immediata immissione di possesso del custode.
5
Sul carattere satisfattivo dell’esecuzione per consegna o rilascio insistono sia la dottrina
(Zumpano, voce Sequestro, cit; Santulli, voce Sequestro, cit; F. Verde, Il sequestro nel diritto
processuale civile, Padova, 1999, ove anche ampia bibliografia) che la giurisprudenza, per
la quale il richiamo alle forme previste per l’esecuzione de qua non trasforma l’attuazione
del sequestro giudiziario in esecuzione forzata (Cass. 20 aprile 1993 n. 4635). Il più rilevante problema di merito che può presentarsi all’Ufficiale Giudiziario in sede di consegna o
rilascio, e cioè la presenza di terzi la cui posizione sia incompatibile con l’ordine contenuto
nel titolo, rimane comunque a latere dell’esecuzione in quanto tale, dato che, a seconda
dell’opinione prescelta, o blocca l’esecuzione stessa, o viene canalizzato nelle parentesi di
cognizione di cui agli artt. 619 o 404 c.p.c., mentre l’esecuzione ha comunque luogo. Su
questi discussi temi, per tutti, Luiso, L’esecuzione ultra partes, Milano, 1984, Id, Diritto
processuale civile, , III, cit., passim.
3
36
l’attuazione delle misure cautelari
ove il sequestro abbia colpito aziende o partecipazioni societarie,6 diviene una
vera e propria gestione con marcati caratteri di discrezionalità. In relazione ai
molti profili che involge, il provvedimento autorizzativo non può che apprestare un programma di massima, suscettibile di concretizzarsi solo attraverso
una dialettica costante tra il giudice che lo ha predisposto ed il custode che lo
porta a compimento7: questi deve infatti, in ogni momento, potersi rivolgere
al primo sia per istruzioni sui criteri fissati nel provvedimento, che per autorizzazioni al compimento di specifici atti.8 A siffatte esigenze non potrebbe far
fronte, ai sensi dell’art. 612, il giudice dell’esecuzione, i cui limitati poteri non
gli consentirebbero così penetranti interventi sulla gestione dei beni.
Inoltre, ciascuna delle parti potrebbe sollevare contestazioni su una eventuale inerzia del custode, o sulla non rispondenza dei suoi atti agli scopi della
cautela, o ai criteri fissati nel provvedimento, o sulla invalidità o inopportunità
degli atti stessi.9 Il giudice deve entrare nel merito sia del provvedimento che
degli atti di gestione per decidere della conformità di questi agli scopi della
cautela o, in caso contrario, per disporre la loro correzione o inibitoria, o la sostituzione del custode: il tutto in un contesto ove la tempestività è fondamentale per prevenire pregiudizi ai beni e realizzare lo scopo stesso della cautela.
Troppo strette risultano, di conseguenza, le maglie dell’art. 613, dettato per
la risoluzione di difficoltà nell’esecuzione o distruzione dell’opera su istanza
dell’Ufficiale Giudiziario.
Com’è noto, l’art. 670 n. 1 c.p.c. ha risolto in senso positivo il dubbio, affacciato in costanza
del previgente codice, circa la sottoponibilità dell’azienda a sequestro giudiziario. Ciò ha tuttavia creato altri problemi, in ragione del carattere complesso di tale corpus di beni produttivi.
Infatti per l’investitura del sequestratario nella relativa gestione sono state avanzate in dottrina
diverse soluzioni, anche facenti leva su modalità miste di consegna e rilascio, o su modalità
fissate di volta in volta dal giudice della cautela, queste ultime, in riferimento ai beni immateriali sussumibili nel corpus aziendale. Il che fa comprendere come, nella pratica, si possa porre
il problema del concreto modus precedendi sotto un duplice profilo. Da un lato, se il giudice
non lo ha fissato nel provvedimento autorizzativo, le parti potranno ben chiedere la fissazione
delle modalità di attuazione. D’altra parte, se il modus procedendi prescelto dal giudice venga
ritenuto inidoneo, esso potrà essere contestato. V. amplius anche Vullo, op. loco ult. cit., nonché
F.Verde, Il sequestro, cit.
7
La gestione di un’azienda, in quanto attività giuridica che comporta anche il compimento di
negozi che coinvolgono terzi, va calibrata in relazione ad indici rinvenibili di volta in volta nella
realtà materiale, e non può certo essere preventivamente e specificamente fissata dal giudice del
sequestro. Quanto alla gestione di un pacchetto azionario, esso comporta una serie di attività
complesse che non si esauriscono nell’esercizio del diritto di voto, come Nota di Morera, Contributo allo studio del sequestro di azioni e quote di società, in Banca, borsa tit. cred., 1986, I,
p. 492 ss. V., amplius, Zumpano, voce Sequestro, cit., Costa, voce Custodia, cit.
8
Aspetto che involge il problema dell’ampiezza dei poteri riconosciuti al custode, soprattutto in
ambiti fluIdi come quello della gestione di un’azienda. Per tutti, Costa, voce Custodia, cit.
9
Secondo Cass. 16 nov. 1991 n. 12321 mancherebbe un interesse delle parti a che la funzione
di custodia sia esercitata in un modo piuttosto che in un altro. Tuttavia le contestazioni indicate
nel testo riguardano la non rispondenza della concreta gestione ai criteri fissati dal giudice della
cautela, e quindi si muovono sul diverso piano dell’interesse di entrambe ad assicurarsi che il
sequestro raggiunga lo scopo cui è funzionale. V. anche F.Verde, Il sequestro, cit.
6
Capitolo 2 – La competenza
37
Ma è soprattutto da tener presente un fondamentale dato sistematico.
Le caratteristiche del sequestro giudiziario già ampiamente illustrate impongono di ritenere che le dinamiche dell’“attuazione”, a partire dall’investitura materiale del custode (o dall’interversione del titolo del possesso) si
risolvano, nella sostanza, in rapporti tra il giudice della cautela, cioè colui che
ha reso il provvedimento autorizzativo, ed un suo ausiliare, cioè il custode da
lui stesso nominato nel provvedimento. E se la funzione di paralisi del periculum è raggiunta solo con la creazione del vincolo perdurante nel tempo, non
appare possibile operare una netta cesura, all’interno di una sequenza procedimentale quale quella esaminata tra concessione ed “attuazione”, affidando
solo quest’ultima al giudice dell’esecuzione, come avviene nella disciplina
degli artt. 605 ss.
Nel sequestro giudiziario, al contrario, i poteri del giudice che ha reso
il provvedimento si proiettano direttamente anche in fase “attuativa”: lungi
dall’esaurirsi nell’autorizzazione della cautela, essi continuano ad esplicarsi (sia pure) sub specie di controllo prima su modi e termini dell’investitura
del custode e poi sul suo operato per tutta la durata dell’efficacia del vincolo.
Conferma di questa conclusione è ravvisabile in una duplice direzione.
La prima è quella di una disposizione vigente, l’art. 677 comma 3°, che
consente al giudice della cautela, con il provvedimento autorizzativo o anche
in un momento successivo, di ordinare al terzo detentore di esibire il bene o
di consentire l’immissione in possesso del custode. La norma è di grande importanza sistematica perchè mostra proprio come il giudice della cautela sia
protagonista dello snodo che salda la fase di concessione all’attuazione, quello
appunto delle modalità dell’investitura del custode.
La seconda conferma arriva invece da un istituto oggi scomparso, il
giudizio di convalida, ove allo stesso giudice10 era rimesso sia il controllo
su ogni aspetto di validità/ efficacia della11 esecuzione della misura sia il
riesame, anche alla luce delle progressive risultanze istruttorie del giudizio
sul diritto cautelato, dei presupposti che ne avevano giustificato la concessione.
A me pare che le discipline richiamate siano ispirate ad una logica unitaria
in buona sostanza risolventesi nel concentrare sempre in un unico giudice la
gestione dei profili di concedibilità della misura e quelli della sua attuazione.
Quello della convalida e del merito. La legge si preoccupava altresì di assicurare l’unicità
della trattazione di questi profili in tutte le ipotesi in cui la competenza non potesse radicarsi
presso il giudice del merito: così, in ipotesi di controversia di merito appartenente a giurisdizione diversa da quella ordinaria, la fase di convalida era attratta allo stesso giudice che aveva
disposto il sequestro (e non invece dal giudice competente per il merito, cui generaliter era
anche rimesso il giudizio di convalIda: così i previgenti artt. 680 e 681).
11
Già iniziata ai sensi dell’art. 680, oggi abrogato, su cui v. anche amplius, per tutti, CantilloSantangeli, Il sequestro nel processo civile, Milano 2003, p. 534 ss e passim, ove anche bibliografia essenziale di riferimento, nonché infra, cap. III, sez. I, §2.
10
38
l’attuazione delle misure cautelari
In un sistema strutturato in una fase cautelare seguita necessariamente12 da
quella di convalida, l’unicità suddetta era assicurata nella prima fase proprio
dall’art. 677, comma 3°, e nella seconda fase dalle disposizioni sul giudizio
di convalida. In un contesto in cui invece, ripudiata la tecnica del giudizio di
convalida, si impone la rimodulazione della competenza a gestire il relativo
procedimento, è proprio l’intatto art. 677 a testimoniare la sopravvivenza della logica dell’inscindibilità, che a sua volta si impone in quanto connaturata
al sequestro.
La misura resta infatti pur sempre un vincolo nascente (e risolventesi)
nella custodia, munus publicum esercitato da un ausiliare che, in quanto nominato nel provvedimento autorizzativo (art. 676, comma 1°), è sottoposto
al controllo del giudice che lo ha nominato. E se si aggiunge che è lo stesso
giudice della cautela che, nel medesimo provvedimento autorizzativo ed ai
sensi del medesimo art. 676 fissa altresì criteri e limiti della custodia, ne
deriva che anche la disciplina attuale dei sequestri come ricavata dagli artt.
65, 66, 670, 676 e 677, comma 3°, impone, al pari di quanto accadeva in
costanza del giudizio di convalida, la concentrazione dei poteri di fissazione
delle modalità di realizzazione del vincolo e di controllo sull’attuazione in
un unico giudice, sia pure, a differenza di ieri, identificato in quello che ha
reso la cautela, essendo scomparsa l’appendice del riesame in una sede di
cognizione piena.
2. Segue: …e del sequestro conservativo
Nell’“attuazione” del sequestro conservativo i rapporti tra il giudice che ha
reso il provvedimento autorizzativo ed il custode si presentano in modo più
complesso ed articolato rispetto a quanto accade nel sequestro giudiziario:
qui l’“attuazione” (in senso statico) è l’investitura del custode che il giudice
stesso ha nominato nel provvedimento autorizzativo, laddove nel sequestro
conservativo le formalità di costituzione del vincolo sono predeterminate dalla legge ed il custode, pure figura imprescindibile, non è nominato dal giudice
nel provvedimento autorizzativo.
Nel sequestro conservativo di beni mobili è prevista la nomina da parte dell’ufficiale giudiziario ai sensi dell’art. 521, mentre il sequestro di beni
immobili vede quale custode, ai sensi dell’art. 559, il debitore; sicchè, pur
essendo il custode sempre e comunque un ausiliario del giudice avente i medesimi obblighi del custode dei beni sottoposti a sequestro giudiziario e a
pignoramento(si pensi all’obbligo di rendere il conto, alla sostituzione, alla
latitudine dei poteri ed ai profili della sua responsabilità), la disciplina della
sua nomina e del suo compenso presentano profili ben più frastagliati di quanto non accada nel sequestro giudiziario e di quanto pare emergere dalla stessa
12
A pena di sopravvenuta inefficacia del sequestro, ai sensi dell’art. 683.
Capitolo 2 – La competenza
39
lex generalis degli artt. 65 e 66, operando la lex specialis dettata appunto per
il pignoramento.
Infine, nel pignoramento di (cose e) crediti presso il terzo è proprio
quest’ultimo, ai sensi dell’art. 546, ad assumere il ruolo di custode a far data
dalla notifica dell’atto di sequestro, divenendo solo in senso molto lato ausiliare del giudice.13
A me pare tuttavia che, valendo per il sequestro conservativo le considerazioni sistematiche già più volte effettuate sulla natura e funzione
dell’“attuazione”, valgano del pari quelle legate alla logica dell’inscindibilità delle fasi di concessione ed attuazione che ispirava il previgente giudizio di convalida, che deve considerarsi sopravvissuta alla sua scomparsa. Il
riferimento a quest’ultimo giudizio appare anzi per il sequestro conservativo particolarmente pregnante in presenza di una disposizione che, come
l’art. 678 c. 1, impone, al netto delle diverse norme da esso stesso dettate,
l’applicazione degli artt. 543 e segg., e quindi anche della regola di competenza radicata nel giudice del luogo di residenza del terzo presso il quale il
sequestro avviene.
In costanza del giudizio di convalida la giurisprudenza di legittimità,
basandosi sulla precisa indicazione in tal senso dell’art. 678 (nel testo previgente), affermava pacificamente che spettasse comunque al giudice della
convalida, e non a quello dell’esecuzione, il controllo sulla regolarità, efficacia e validità del sequestro ed in particolare della sua esecuzione, anche
sotto il profilo della scelta delle modalità, presso il debitore piuttosto che
presso il terzo, in cui effettuarlo.14 Sicchè, in definitiva, la competenza del
giudice dell’esecuzione doveva ritenersi limitata alla sola fase della costituzione del vincolo, per ogni altro profilo imponendosi la concentrazione
della competenza nel giudice della convalida deputato alla gestione di ogni
aspetto della vita della cautela.
Le considerazioni già effettuate per il sequestro giudiziario impongono
perciò di concludere che anche per l’attuazione del sequestro conservativo il
rinvio operato dall’incipit dell’art. 669 duodecies agli artt. 678 e 679 (rispettiV., in tal senso, già Colesanti, Il terzo debitore nel pignoramento di crediti, Milano, 1967, p.
246, e poi Vaccarella, Espropriazione presso terzi, cit. , p. 109, ove anche indicazioni bibliografiche di base. Va comunque rilevato come la “custodia” si presenti in modo affatto peculiare
quando il sequestro presso terzi investa crediti, atteso che l’eventuale adempimento (in favore
del creditore sostanziale -debitore esecutato o di un terzo) non ridonda a carico dell’inefficacia
della misura perché non comporta, come accade per le cose infungibili, la perdita di oggetto del
vincolo, ma è semplicemente inopponibile al creditore sequestrante, sicchè il debitor debitoris
non è comunque liberato. Ed è forse per questo che in dottrina si è adombrata come più consona
al contesto la competenza del giudice dell’esecuzione a gestire ogni aspetto dell’attuazione (
Cantillo-Santangeli, op. loco ult. cit.; Pototschning, L’attuazione dei sequestri, in AA. VV., Il
nuovo processo cautelare, cit., il quale però definisce questa soluzione come sconcertante).
14
Cass. 11 gennaio 1988, n. 26; Cass. 30 gennaio 1976, n. 319; amplius Cantillo-Santangeli, Il
sequestro, cit., p. 547.
13
40
l’attuazione delle misure cautelari
vamente dettati per il pignoramento dei beni mobili e crediti e degli immobili)
non coinvolga la disciplina generale dell’espropriazione, e quindi anche le
norme sulla competenza, ma le sole formalità necessarie alla costituzione del
vincolo, come si evince dal fatto che per il sequestro presso terzi è dettata una
disciplina in parte diversa e per quello immobiliare addirittura una disciplina
ad hoc15. Il che trova la sua ratio nel rilievo che il sequestro conservativo, a
differenza del pignoramento, non esita nella vendita dei beni essendo funzionale a preservarne la consistenza all’interno del patrimonio del debitore
stesso16 ed in favore del solo creditore sequestrante.
Sezione II
La prospettiva dell’esecuzione forzata
(l’“attuazione” delle cautele anticipatorie)
Parte I. La par condicio creditorum
nel contesto dell’evoluzione della responsabilità patrimoniale
1. La par condicio creditorum quale fulcro di un eterno dibattito
La ricognizione storica condotta nel primo capitolo ha mostrato come la ragione che ha indotto la dottrina più recente a ricostruire qualunque tipo
di esecuzione cautelare secondo le disposizioni che il Libro III del c.p.c.
appresta per l’esecuzione forzata fondata sul titolo esecutivo riposa sulla
necessità che sia rispettata, anche per le cautele di pagamento, la par condicio creditorum.
Senso e portata dell’eguale diritto dei creditori di essere soddisfatti sui beni
del debitore solennemente sancito dall’art. 2741, c. 1 c.c. non sono tuttavia affatto pacifici, ma ancora oggi al centro di un acceso dibattito ove la storia ha un
peso importante. Il tentativo di delimitarne i confini, a sua volta indispensabile
per individuarne il peso reale nella ricostruzione della disciplina positiva dell’attuazione delle cautele di pagamento, intrapresa in questo e nei successivi capitoli,
non può che attingere, sia pure brevemente, proprio dalla storia.
A ciò è finalizzata la breve ricostruzione storico-sistematica che segue.
L’art. 2741 c.c. segue, e secondo i più specifica, l’art. 2740, per il quale
il debitore risponde dell’adempimento delle sue obbligazioni con tutti i suoi
beni presenti e futuri, ed insieme ad essa costituisce il fulcro della sua responsabilità patrimoniale.17
Corredata dal richiamo all’art. 559 per la custodia dell’immobile, richiamo che non sarebbe
stato affatto necessario se il rinvio alle disposizioni sull’espropriazione fosse stato concepito
come generalizzato
16
Al netto dell’ipotesi di sequestro strumentale a revocatoria ordinaria ex art. 2905 c.c., comma 2°.
17
La bibliografia sulla responsabilità patrimoniale del debitore e sul connesso tema del con15
Capitolo 2 – La competenza
41
Se rispetto a queste affermazioni si riscontra una significativa convergenza
in dottrina, in quanto punto di partenza dell’indagine sulla natura della responsabilità patrimoniale del debitore, non del tutto chiarito risulta invece il
significato da attribuire al diritto dei creditori sancito dall’art. 2741.18 Si tratta
in particolare di comprendere se ed in che termini esso possa configurarsi alla
stregua di altre situazioni cui si riconosce la consistenza di diritti, e rispetto a
quale parametro ne vada valutata l’uguaglianza.
Fin dai più classici studi sull’argomento nella vigenza dell’attuale codice
di rito19 se ne è riconosciuto il collegamento con l’espropriazione forzata, in
corso dei creditori, sia in riferimento al codice attuale che a quello previgente, è immensa. Non
potendo citarla tutta, ci si limita ad indicarne una parte a titolo esemplificativo, per lo più in
riferimento alle norme vigenti, ed a rinviare ad essa per ulteriori approfondimenti: Carnelutti,
Diritto e processo nella teoria delle obbligazioni, in Studi di diritto processuale in onore di
Giuseppe Chiovenda nel venticinquesimo anno del suo insegnamento, Padova, 1927; Id., Diritto e processo, in Trattato del processo civile diretto da F. Carnelutti, Napoli, 1958; Cicu, L’obbligazione nel patrimonio del debitore, Milano, 1948; Rubino, La responsabilità patrimoniale.
Il pegno, Torino, 1956; Garbagnati, Concorso dei creditori, in Enc. dir., VIII, Milano, 1961, I;
Id., Il concorso dei creditori nel processo di espropriazione, Milano, 1959; Satta, L’esecuzione
forzata, Torino, 1963; Roppo, La responsabilità patrimoniale del debitore, in Trattato di diritto
privato diretto da Rescigno, XIX, Torino, 1985; Natoli- Bigliazzi Geri, I mezzi di conservazione della garanzia patrimoniale, Milano, 1974 e, più recentemente, Ciccarello, Privilegio
del credito e uguaglianza dei creditori, Milano, 1983; Barbiera, Responsabilità patrimoniale.
Disposizioni generali, in Comm. Schlesinger, ( artt. 2740-2744), Milano, 1991; Breccia, Le
obbligazioni, in Trattato di diritto privato a cura di Iudica e Zatti, Milano, 1991; Rescigno M.,
Contributo allo studio della par condicio creditorum,in Riv. dir. civ., 1984, I; Nicolò, Della responsabilità patrimoniale e delle cause di prelazione, in Raccolta di scritti, III, Milano, 1993;
Bianca, Diritto civile, V, La responsabilità, Milano, 1994; Galgano, Diritto civile e commerciale, II, Padova, 1999. Sugli aspetti più strettamente processualistici della complessa materia, si
vedano: Garbagnati, Espropriazione, azione esecutiva e titolo esecutivo,in Riv. trim. dir. proc.
civ., 1956, p. 1331 ss; Andrioli, voce Fallimento, in Enc. dir., XVI, Milano, 1967; Maisano, La
tutela concorsuale dei diritti, in AA.VV., Processo e tecniche di attuazione dei diritti, a cura
di S. Mazzamuto, II, Napoli, 1989; Mazzamuto, L’esecuzione forzata, in Trattato di diritto
privato diretto da Rescigno, p. 20, II, Torino, 1985; Bongiorno, L’autotutela esecutiva, Milano,
1984; Maffei Alberti, Il danno nella revocatoria, Padova, 1970; Colesanti, Mito e realtà della
par condicio,in Il Fall, 1984; Tarzia, Parità e discriminazioni tra i creditori nelle procedure
concorsuali, ivi; Jaeger, Par condicio creditorum, ivi; Oriani, La determinazione dei crediti ai
fini del concorso,in Riv. trim. dir. proc. civ., 1993; Schlesinger, L’uguale diritto dei creditori di
essere soddisfatti sui beni del debitore,in Riv. dir. proc., 1995; Monteleone, Sullo eguale diritto
dei creditori di essere soddisfatti sui beni del debitore, ivi; Id, Per un chiarimento sul concetto
di responsabilità o garanzia patrimoniale del debitore,in Riv. dir. comm., 1993; Id., Riflessioni
sulla tutela esecutiva dei diritti di credito,in Riv. dir. comm., 1974; Id., Profili sostanziali e processuali dell’azione surrogatoria. Contributo allo studio della responsabilità patrimoniale dal
punto di vista dell’azione, Milano, 1976.
18
Si chiede se si tratti di un diritto in senso tecnico Schlesinger, L’eguale diritto, cit., p. 319;
v., con questa impostazione critica, anche Roppo, La responsabilità patrimoniale del debitore,
cit., p. 377, il quale specifica subito che la responsabilità patrimoniale del debitore non consiste
in un obbligo in senso tecnico di costui, cui corrisponda un vero e proprio diritto soggettivo
del creditore.
19
Carnelutti, Diritto e processo, cit., p. 324, il quale mette bene in evidenza come la struttura
del processo esecutivo si complichi proprio per la presenza di più creditori, essendo il processo
42
l’attuazione delle misure cautelari
quanto l’art. 2910 c.c., consentendo lo smembramento del patrimonio del debitore con il distacco di una porzione di attivo a seguito del pignoramento, ne
compromette la consistenza rendendo la posizione dei creditori non pignoranti
deteriore rispetto a quella degli altri che hanno preso l’iniziativa processuale.
Questa impostazione mette in luce una caratteristica dell’uguale diritto dei
creditori attorno a cui si sono poi aggregati, con il passar del tempo, i consensi
degli studiosi: il suo porsi come alternativa al criterio prior tempore, potior
iure nel soddisfacimento coatto del credito.20
Si può dunque con una certa approssimazione affermare che all’uguale diritto dei creditori viene riconosciuta (almeno) una valenza funzionale nell’ambito dell’espropriazione forzata, consistente nel non escludere dalla procedura
gli altri creditori di colui sul cui patrimonio sia stato intrapreso un pignoramento.
Più difficile è invece apparsa in dottrina la concretizzazione della reale
portata dei poteri del creditore rispetto al patrimonio del debitore. Va infatti
rilevato che, nel corso degli anni, la riconduzione del concorso dei creditori
all’espropriazione del Libro III del c.p.c. è stata progressivamente abbandonata a favore di una ricostruzione più ampia, basata su una percezione del
concorso come coessenziale a qualunque fenomeno di aggressione forzosa
del patrimonio del debitore. In sintesi, dallo spunto originario che vi leggeva
un correttivo al possibile squilibrio creato dal pignoramento, si è tratta la conseguenza che ogni qualvolta vi sia una vendita forzata di beni, sia necessario
garantire il concorso di altri creditori.21
Questa lettura è stata però criticata perché, invece di dedurre il preteso
principio dalla norme che lo regolano, lo pone a premessa dell’interpretazione
di esse, trattandolo alla stregua di un postulato.22
esecutivo all’insegna, appunto, dell’apertura. Gli stessi concetti l’a. aveva già espresso, sotto
la vigenza del vecchio Codice, in Sistema del diritto processuale civile, Padova, 1939, p. 179
ss e passim.
20
Schlesinger, L’eguale diritto dei creditori, cit., p. 320; Roppo, La responsabilità, cit., p.
406.
21
Così, forse anche a causa della scarsa attenzione dei civilisti per fenomeni (percepiti come)
estranei alla loro disciplina, come il giudizio di ottemperanza, ove non c’è apertura a creditori
diversi dal procedente, si è arrivati a definire la par condicio creditorum come un principio
generale dell’ordinamento, da rispettare in tutti i casi di forzosa aggressione del patrimonio
del debitore. L’eguale diritto dei creditori di essere soddisfatti sui beni del debitore, secondo le
premesse adottate più o meno esplicitamente dai sostenitori di questa teoria, esprime infatti un
valore che, anche in assenza di espressa codificazione, deve costituire il criterio guida nell’ermeneutica delle norme di volta in volta interessate. Così, ad esempio, Barbiera, Responsabilità
patrimoniale, cit., p. 129, il quale sostiene che la forza espansiva del principio deve influenzare
la scelta tra soluzioni interpretative, anche al di fuori del comparto delle esecuzioni fallimentari;
Maisano, op. loco ult. cit., lamenta l’intento di smitizzare la par condicio; Breccia, op. loco ult.
cit., ritiene che la par condicio corrisponda ad una intuitiva esigenza di parità di trattamento, e
sia quindi un principio generale.
22
Schlesinger, L’eguale diritto dei creditori, cit., p. 320 ss; Colesanti, Mito e realtà, cit., p. 32
ss; Andrioli, v. Fallimento, cit., p. 398; Roppo, La responsabilità, cit., p. 406.
Capitolo 2 – La competenza
43
Si è infatti rilevato, in contrario,23 come dalle disposizioni di legge che
consentono il concorso dei creditori nell’espropriazione si ricavi una incidenza del fenomeno meno ampia di quanto il tenore dell’art. 2741 lasci a prima
vista intendere.
La regola attiene infatti strettamente all’ambito di alcune tecniche processuali di esecuzione coatta delle obbligazioni pecuniarie ed in esse esaurisce
la sua operatività. Ed invero il debitore, in sede di adempimento spontaneo,
non è tenuto al rispetto di particolari criteri nella scelta dei creditori da soddisfare; né costoro potranno dolersi, (al di fuori delle specifiche sedi deputate
all’adempimento coatto, appunto) del criterio di scelta seguito.24 Se anche perciò il pagamento spontaneo ad un solo creditore depauperi il patrimonio del
debitore tanto da compromettere la soddisfazione degli altri,25 essi non potranno che esperire, ricorrendone i presupposti, le azioni surrogatoria e revocatoria o ricorrere al sequestro conservativo. Viceversa, soltanto se in possesso di
titolo esecutivo potranno intraprendere l’espropriazione forzata.
La visione che ridimensiona la portata di principio generale della par condicio creditorum sembra trovare significative conferme nella storia degli artt.
2740 e 2741 c.c., e nell’evoluzione della normativa speciale ad essi successiva
nonché, come si vedrà, nelle scelte del legislatore processuale oggi ispirate ad
una chiusura dell’espropriazione singolare alla generalità dei creditori.
V. i riferimenti alla nota precedente.
Ancora Schlesinger, L’eguale diritto dei creditori, cit., p. 321 ss. Ulteriore conferma di questa impostazione si rinviene nell’art. 494, comma 1°, c.p.c., a mente del quale il pagamento
nelle mani dell’ufficiale giudiziario evita il pignoramento, in quanto ha ad oggetto il solo
credito per cui si procede, aumentato delle spese della procedura. Cfr. amplius, sul punto,
Capponi, Sull’esecuzione- attuazione, cit, p. 97 ss, anche per riferimenti bibliografici. Il ruolo
e la figura dei creditori intervenuti nell’espropriazione forzata, ma privi di titolo esecutivo,
sono limpidamente descritti da Mazzarella, Contributo allo studio del titolo esecutivo, Milano, 1965, p. 103 ss, il quale affronta il problema del loro preteso diritto alla soddisfazione
sul ricavato della vendita forzata (diverso, secondo alcuni, da quello dei creditori muniti di
titolo esecutivo, in quanto appunto mirante alla soddisfazione e non all’espropriazione) in
termini di azione loro concretamente riconosciuta dall’ordinamento. L’a. ritiene cioè che la
loro posizione abbia carattere processuale e debba ricostruirsi solo in termini di poteri da
esplicarsi all’interno del processo, ed integranti il processo stesso. I creditori intervenuti non
hanno, in sintesi, un diritto sostanziale ad essere soddisfatti diverso da quello dei creditori
muniti di titolo esecutivo, ma, al pari di costoro, una semplice azione, ancorchè di contenuto
più limitato di quella riconosciuta agli altri. Non sembra smentire le affermazioni del testo
la possibilità, riconosciuta al creditore che si assuma leso da atti dispositivi del debitore che
ne abbiano intaccato il patrimonio, di esperire l’azione revocatoria. Anche a voler prescindere infatti dalla circostanza che la revoca dell’atto giova al solo creditore revocante e non
alla massa dei creditori, l’esercizio dell’azione è pur sempre subordinato ad un presupposto
soggettivo, la consapevolezza del debitore, ed eventualmente del terzo, di pregiudicare il
soddisfacimento delle ragioni del creditore. Pertanto, al di fuori di quest’ambito, anche atti
concretamente lesivi della garanzia patrimoniale restano irrevocabili, al pari dei pagamenti
scaduti, che la legge esclude in quanto atti dovuti.
25
Così Roppo, La responsabilità, cit., p. 408; Schlesinger, L’eguale diritto, cit., p. 321.
23
24
44
l’attuazione delle misure cautelari
2. Segue: la tutela dei creditori nell’esecuzione singolare dalla distribuzione del prezzo “par contribution” all’“eguale diritto di essere soddisfatti sui beni del debitore”
Nel testo definitivo del Code civil, approvato l’8 marzo 1804, l’art. 2092,
inserito tra le disposizioni generali del Libro III dedicato ai privilegi ed alle
ipoteche, prevedeva che “Les biens du débitor sont le gage commun de ses
creanciers; et le prix s’en distribue entre eux par contribution, a moins qu’il
n’y ait, entre les créanciers, des causes légitimes de préférence”. Il successivo
articolo 2093 individuava poi le cause legittime di prelazione nei privilegi e
nelle ipoteche.
Il codice di procedura civile promulgato in Francia il primo maggio 1806
conteneva poi norme che consentivano a tutti i creditori di concorrere sul ricavato della vendita par contribution, salve le cause legittime di prelazione.26
Come risulta anche dalla collocazione nel Libro dei privilegi e delle ipoteche, i codificatori francesi non erano interessati tanto al tema della responsabilità patrimoniale quanto all’organizzazione di un efficace sistema di garanzie reali, considerato il vero perno dell’economia27. Di talchè, nel contesto
di quella codificazione, la responsabilità patrimoniale era criterio residuale e
derogabile dall’autonomia privata, applicabile nei rari casi in cui i creditori
non si fossero procurati una garanzia.
Il codice civile del 1865 mantenne la collocazione delle norme sulla responsabilità patrimoniale nel titolo XXIII del Libro III dedicato ai privilegi ed
alle ipoteche, ma inaugurò una differente formulazione rispetto ai precedenti
francesi in quanto, per l’art. 1949, “I beni del debitore sono la garantia comune dei suoi creditori, e questi vi hanno tutti un eguale diritto quando fra essi
non vi sono cause legittime di prelazione”. Anche qui la regola era considerata
derogabile dall’autonomia privata.
Il riferimento alla distribuzione del prezzo per contributo scomparve dalla
disposizione transitando nel Titolo XXVI dedicato all’espropriazione immobiliare ed alla distribuzione del prezzo: per l’art. 2092, dopo la collocazione
dei creditori privilegiati e degli ipotecari, il sopravanzo del prezzo poteva, appunto, distribuirsi fra gli altri creditori comparsi per contributo, e in mancanza
essere reso al debitore28.
L’art. 656 del codice prevedeva, in caso di insufficienza del denaro (nell’espropriazione di
mobili e presso terzi) per soddisfare tutti i creditori, la distribuzione par contribution. Lo stesso
era sostanzialmente previsto, per l’espropriazione immobiliare, dagli artt. 749 ss del codice,
attraverso l’istituto della graduazione dei creditori.
27
Come dimostra anche la circostanza che la maggiore discussione interessò quest’ultimo tema,
e non invece i principi dell’art. 2092: Morace Pinelli, Atti di destinazione, trust e responsabilità
del debitore, Milano, 2007, p. 18 ss.
28
Occorre ricordare che il codice civile italiano del 1865 al Libro III intitolato “Dei modi di
acquisto e trasmissione di proprietà e diritti su cose”, recava un Titolo XXVI, intitolato “Della
spropriazione forzata degli immobili, della graduazione e della distribuzione del prezzo fra i
26
Capitolo 2 – La competenza
45
Quanto al Codice di procedura civile, al rifiuto di accordare una prelazione
al creditore pignorante secondo il modello tedesco-austriaco già transitato nel
Codice sardo del 185929, si accompagnarono tuttavia alcune restrizioni al concorso paritario dei creditori: secondo l’art. 653 i creditori intervenuti dopo la
vendita non potevano partecipare alla distribuzione in pregiudizio dei creditori
istanti e di quelli che avevano fatto opposizione sul prezzo prima della vendita, salvo che fossero provvisti di cause di prelazione. L’art. 651 prevedeva poi
che la distribuzione avvenisse, in prima battuta, proprio tra i creditori istanti e
quelli che avevano proposto opposizione sul prezzo prima della vendita.
Nella codificazione del 1940-1942 le disposizioni sulla responsabilità
patrimoniale transitarono nella sostanza identiche negli attuali artt. 2740 e
2741del codice civile; e così anche, dal nostro limitato punto di vista, la struttura dell’espropriazione in riferimento all’intervento dei creditori.
Anche alla vigilia del varo del codice di procedura civile del 1940 si ventilò l’ipotesi di accordare una prelazione sul ricavato al creditore pignorante,
poi scartata a favore di un congegno di “compromesso” tra il sistema francese,
che prevedeva ut supra l’apertura generalizzata ai creditori, e quello tedescoaustriaco che invece accordava appunto la preferenza al pignorante: la distinzione tra interventi tempestivi e tardivi e la prelazione ex art. 527 c.p.c.30
Il passaggio dalla codificazione francese a quella italiana unitaria è tuttavia
caratterizzato da una cesura notevole quanto ad inquadramento della responsabilità patrimoniale del debitore e di organizzazione delle forme dell’espropriazione del suo patrimonio.
Nel modello francese la qualificazione del patrimonio del debitore come gage
commun ha un preciso valore precettivo, perché si affianca a quella della distribuzione del prezzo della vendita par contribution. Coerentemente, il codice di
procedura consente effettivamente a tutti i creditori di concorrere alla distribuzione con il solo limite del rispetto delle prelazioni. Strumentale all’attuazione della
loi de l’égalité è la possibilità di intervento in fase di distribuzione fino all’accordo sulla distribuzione o alla decisione della causa in primo grado31.
creditori”, in cui gli artt. 2076-2092 descrivevano la procedura che attraverso la vendita forzata
conduceva alla distribuzione del ricavato.
29
V. per la ricostruzione dei relativi passaggi, Ziino, Esecuzione forzata e intervento dei creditori, Palermo, 2004, p. 55 ss.
30
Si trattò di scelta tecnica ispirata alla ratio di correggere il difetto del c.p.c. del 1865 il quale,
pur prevedendo l’apertura ad altri creditori, manteneva l’espropriazione nei limiti del credito
del procedente, come ben rileva la Relazione al Re al Codice del 1940 (n. 31).
31
Ciò in riferimento all’espropriazione mobiliare e presso terzi. Per quella immobiliare vigeva,
ex artt. 749 ss del c.p.c. napoleonico, il sistema dell’ordre, cioè della graduazione, in quanto
molto spesso gli immobili erano gravati da ipoteche e da altri privilegi, e dunque era necessario
che si stabilisse, appunto, la loro graduazione prima di procedere alla distribuzione. L’apertura
agli altri creditori, cioè ai chirografari, era in concreto possibile solo ove il ricavato non fosse
completamente assorbito dai creditori ipotecari o da quelli privilegiati. Il che, evidentemente,
non smentisce l’apertura alla generalità dei creditori, in quanto in ogni sua forma essa non va
mai a scapito dei creditori privilegiati.
46
l’attuazione delle misure cautelari
Nell’esperienza della codificazione italiana del 1865 l’indicazione precettiva della distribuzione del ricavato resta in riferimento alla sola espropriazione immobiliare, mentre nell’art. 1949 alla garanzia comune si relaziona
un generico ed anodino eguale diritto dei creditori32. Il codice di procedura
civile introduce, a differenza di quello francese, restrizioni all’intervento dei
creditori.
Il Codice civile del 1942 mantiene intatto il contenuto dell’art. 1949 del
codice previgente, ma nessun riferimento resta, neppure per l’espropriazione
immobiliare, alla distribuzione par contribution; dal codice civile scompare
ogni riferimento all’organizzazione procedimentale dell’espropriazione immobiliare, e quindi anche alla fase distributiva, che divengono appannaggio
esclusivo del codice di rito33.
Quest’ultimo, accanto alla discriminazione tra interventi tempestivi e tardivi, prevede poi il nuovo congegno dell’art. 527.
Appare dunque comprensibile come già della formulazione dell’art. 1949
cc del 1865 si sia potuto dire, fin da subito, che fosse “proclamazione di principio, non disciplina di azioni giudiziarie”34 e come si sia ridimensionato l’autonomo valore precettivo dell’art. 2741 del codice civile del 1942, in base al
rilievo che la concreta posizione dei creditori rispetto al patrimonio del debitore va verificata alla luce delle disposizioni che regolano il processo espropriativo del Libro III del c.p.c..35
Una recente indagine sulla responsabilità patrimoniale (Morace Pinelli, Atti di destinazione,cit.,
p. 3 ss.) ha messo in evidenza, proprio attraverso una ricognizione storica, che sia i conditores
francesi del Code Napoleon che quelli ottocenteschi dei codici unitari italiani, cui si deve la
formulazione rispettivamente degli artt. 2092 e 2093 Code civil e 1948 e 1949 del codice civile del 1865 erano in realtà interessati non alla posizione della massa dei creditori rispetto al
patrimonio del debitore, ma all’effettività della tutela dei creditori privilegiati, come si ricava
dalla collocazione sistematica delle norme citate nel titolo relativo ai privilegi ed alle ipoteche.
Solo in via residuale, dopo la soddisfazione dei creditori privilegiati, era possibile l’apertura
agli altri creditori.
33
Né la relazione al Re dà alcun conto del mutamento in parte qua, essendo piuttosto concentrata a spiegare, peraltro senza diffondersi particolarmente, la nascita del nuovo Libro VI sulla
“Tutela dei diritti”. Indicazioni maggiori non sono neppure rinvenibili nei primi commenti successivi alla nuova codificazione, neppure da parte di chi, come Pandolfelli, Scarpello e Stella
Richter, aveva curato una edizione del Codice civile, Libro VI, Della tutela dei diritti, Milano,
1941, corredata di commento ed indicazioni ricavabili dalla Relazione al Re.
34
Mortara L., Commentario del codice e delle leggi di procedura civile, Milano, 1909, V, p.
250. E ciò, si badi, nonostante la presenza nello stesso codice civile del preciso riferimento alla
distribuzione del prezzo per contributo tra i creditori intervenuti contenuto nell’art. 2092.
35
Che peraltro, come ampiamente riferito, non sono improntate né nella versione originaria
né in quella attuale alla loi de l’égalité. V., ad esempio, Garbagnati, Concorso dei creditori,
cit., p. 533, per il quale la partecipazione allo stesso processo espropriativo di più creditori è solo una eventualità; v. anche Oriani, La determinazione dei crediti, cit., p. 157 ss.
Per Busnelli, Commento all’art. 2910, in Commentario del codice civile, a cura di NatoliBigliazzi Geri, Libro VI, Torino, 1980, p. 258, la par condicio creditorum acquista rilievo
solo nell’eventualità che vi sia un concorso di creditori, ma non “reagisce nello schema
elementare dell’esecuzione stessa ”.
32
Capitolo 2 – La competenza
47
Va poi considerato che nel passaggio dalla codificazione ottocentesca italiana a quella del codice civile attuale muta l’inquadramento della responsabilità patrimoniale.
Gli artt. 2740 e 2741, inseriti nel Libro VI di nuovo conio36 intitolato “Della tutela dei diritti”, sono considerati, a differenza che nelle codificazioni ottocentesche che ne hanno rappresentato l’archetipo, sedes di principi di ordine
pubblico, ascrivibili a quelli fondamentali dell’ordinamento.37
Ciò in quanto, influenzati dal dibattito su debito e responsabilità38 e collocata la responsabilità del debitore all’esterno della struttura del rapporto obbligatorio, i conditores intesero, recependo quel principio, da un lato fornire uno
strumento per la concreta realizzazione dell’obbligazione; dall’altro imporre
una sanzione per l’inadempimento.
Per questa via gli artt. 2740 e 2741 c.c., pur identici nella sostanza ai loro
diretti precedenti, assurgono alla dignità di pietra angolare di un nuovo sistema: la responsabilità patrimoniale diviene autonomo mezzo di tutela dei
diritti, e compare per la prima volta la relativa inderogabilità per scelta del
debitore. La riserva di legge inserita nel secondo comma dell’art. 2740 e sconosciuta sia all’art. 1949 del codice civile del 1865 sia all’art. 2092 del Code
Napoleon, impedisce al debitore di sottrarre pattiziamente parte dei propri
beni all’azione esecutiva dei creditori.
La Relazione al Re39 precisa che il secondo comma dell’art. 2740 ha la
funzione di rafforzare il principio di responsabilità patrimoniale nell’interesse
del credito e dell’economia.
La previsione per cui il patrimonio è garanzia comune di tutti i creditori
salve le cause legittime di prelazione altro non significa, dunque, che il deLa ricostruzione storica della complessa vicenda che vide nascere il nuovo Libro intitolato
“Della tutela dei diritti” è ricostruita, da ultimo, da Morace Pinelli, Atti di destinazione, cit., p.
43 ss. V. anche la ricostruzione cronologica di Rondinone, Storia inedita della codificazione
civile, Milano, 2003.
37
V. la Relazione al Re (nn. 1065 e 1124) nonché le indicazioni riportate da Morace Pinelli, op.
loco ult. cit.
38
Gli attuali artt. 2740 e 2741 c.c. hanno costituito, mercè la loro collocazione nel Libro VI di
nuovo conio, la presa di posizione dei conditores nel dibattito sui rapporti tra Schuld e Haftung.
Come precisa Nicolò, Della responsabilità patrimoniale, delle cause di prelazione e della conservazione della garanzia patrimoniale, in Commentario del codice civile a cura di Scialoja
e Branca, Bologna, 1958, p. 3, “(…) la concezione prevalsa è appunto quella della scissione
fra l’obbligo e la responsabilità, ma non nel senso che si tratti di due elementi della medesima
entità, bensì nell’altro, prevalso nella nostra più moderna dottrina, che la responsabilità del
debitore e il correlativo potere de creditore di agire sui beni del primo per la realizzazione del
suo diritto configurano una situazione giuridica autonoma, se pure strumentale rispetto al rapporto obbligatorio. (…) La responsabilità patrimoniale è in altri termini configurata come un
mezzo di tutela del diritto del creditore, ossia come uno strumento per la realizzazione coattiva
di tale diritto(…)”. Il codice civile del 1942 recepisce dunque la lezione di Carnelutti, Diritto e
processo nella teoria delle obbligazioni, cit., p. 323 ss. V. però nello stesso senso anche Carnacini, Contributo alla teoria del pignoramento, Milano, 1936.
39
Relazione al Re n. 1124, su cui amplius Morace Pinelli, op. loco ult cit.
36
48
l’attuazione delle misure cautelari
bitore non può, al di fuori dei casi previsti dalla legge, appunto, pattiziamente sottrarre il suo patrimonio alla funzione, di ordine pubblico, di garantire
l’adempimento delle obbligazioni da lui stesso assunte.
L’uguale diritto dei creditori, non certo inquadrabile nell’ambito di quelli
reali o personali insistenti su cespiti patrimoniali del debitore40, si concretizza allora esclusivamente nel potere di ciascuno, per conseguire quanto gli è
dovuto, di far “espropriare i beni del debitore, secondo le regole stabilite dal
codice di procedura civile”( art. 2910, comma 1°, c.p.c.)41; esso, cioè, “determina la sfera in cui può operare lo strumento processuale e stabilisce quali
diritti sostanziali del debitore possono essere sacrificati per realizzare, attraverso l’azione esecutiva, il diritto sostanziale del creditore”42. Con la medesima funzione, accanto all’azione esecutiva,43 si pongono quella revocatoria,
quella surrogatoria ed il sequestro conservativo, mezzi di conservazione della
medesima garanzia patrimoniale, appunto44.
I conditores del 1940 costruirono dunque l’universalità45 della responsabilità patrimoniale in un duplice modo: quello oggettivo, per il quale essa
ricomprende tutti i beni del debitore che non può, se non in virtù di norme di
legge, limitarla ad alcuni beni soltanto; e quello soggettivo, per il quale ciascun creditore ha il medesimo diritto di agire in executivis su tali beni sicchè
le cause di prelazione, che inducono ad anteporre la soddisfazione di alcuni a
quella di altri, derivano solo dalla legge46.
Con un paradosso solo apparente, proprio quando assurge a dignità di principio di ordine pubblico inderogabile pattiziamente, la responsabilità patrimoPer l’osservazione che il riferimento all’eguale diritto sui beni del debitore è tecnicamente
impreciso, per le ragioni specificate nel testo, v. Ziino, Esecuzione forzata, cit., p. 75. V. anche
Luiso, Diritto, cit., III, p. 67, per il quale “Quindi il creditore non ha un diritto sostanziale sui
beni del debitore, bensì ha un diritto processuale verso lo Stato, acciocchè lo Stato eserciti il
suo potere espropriativo nei confronti del debitore”.
41
Beninteso, l’art. 2910 generalizza una previsione già presente nel codice civile del 1865,
ma ivi formulata all’art. 2076 solo in riferimento all’espropriazione immobiliare. V. anche la
Relazione al Re n. 1188.
42
Nicolò, Della responsabilità patrimoniale, cit., p. 4. Sul ruolo avuto dallo studioso nell’elaborazione del Libro VI del vigente Codice civile v., per tutti, Morace Pinelli, op. loco ult. cit.
43
Sul collegamento tra l’art. 2910 e l’azione esecutiva v., ex multis, Satta, L’esecuzione forzata,
cit., p. 29.
44
La Relazione al Re n. 1065 ha cura di illustrare la ratio del Titolo III (del Libro VI, Tutela dei
diritti), intitolato Della responsabilità patrimoniale, delle cause di prelazione e della conservazione della garanzia patrimoniale, nei termini che seguono: “Il terzo titolo (…) pone anzitutto
il principio fondamentale che il debitore, ove non vi siano altre limitazioni espresse nella legge,
risponde dell’adempimento delle obbligazioni con tutti i suoi beni verso tutti gli aventi diritto
egualmente, salve le cause legittime di prelazione. (…) In altro capo apposito si trovano poi
coordinate allo stesso principio della responsabilità patrimoniale le regole sui mezzi di impedirne la evasione, e cioè di conservare o reintegrare, come dice la rubrica, le relative garanzie:
revocatoria, surrogatoria, sequestri”.
45
Morace Pinelli, Atti di destinazione, cit., p. 72 ss.
46
Morace Pinelli, op. loco ult. cit; Ziino, Esecuzione forzata, cit., p. 169.
40
Capitolo 2 – La competenza
49
niale sembra allontanarsi al massimo dall’influenza diretta sul pari trattamento dei creditori che aveva nel modello francese, che la considerava sì residuale
e derogabile, ma anche metro di misura della distribuzione del prezzo su base
realmente concorsuale. Influenzati dall’ottica delle garanzie reali i pragmatici
codificatori francesi considerarono anche il complessivo patrimonio alla stessa stregua (gage commun) e per questo ne inferirono la necessità di distribuire
il ricavato tra tutti i creditori par contribution.
I codificatori italiani del 1942 invece, attenti alla costruzione sistematica,
lessero nella responsabilità un mezzo di tutela autonomo estrinsecatesi nell’attribuzione di poteri processuali a ciascun creditore,47 perciò preoccupandosi di
coordinarne le azioni esecutive e regolare i rapporti tra cause di prelazione e
pignoramento se insistenti sugli stessi beni. Gli artt. 2913 e ss rappresentano
il culmine di questa costruzione: essi normativizzano quell’affinità funzionale tra il vincolo impresso dal pignoramento e quello nascente dal pegno e
dall’ipoteca, in funzione dell’esercizio dell’azione esecutiva, già compiutamente teorizzato da Carnacini sotto l’impero dei vecchi codici.48
L’unico riferimento ad una pluralità di creditori resta quello operato ai creditori che intervengono nell’esecuzione dagli artt. 2913 -2915 e 2917-2918,
che hanno appunto lo scopo di coordinare da un lato le azioni esecutive conCosì Luiso, Diritto, cit., III, p. 119, per il quale “(…) gli artt. 2740 e 2741 c.c. devono essere
letti unitariamente come se dicessero: il debitore risponde nei confronti di tutti i suoi creditori
secondo le regole del diritto sostanziale, dell’adempimento delle obbligazioni con tutti i suoi
beni presenti e futuri; la tutela esecutiva dei diritti di credito deve essere strutturata in modo
tale da attuare le prescrizioni del diritto sostanziale, e da non alterare le scelte del legislatore
sostanziale”. Per questi motivi l’a. si mostra estremamente critico verso la scelta del legislatore del 2006 di escludere dall’ambito degli interventori i creditori muniti di privilegio non
risultante da pubblico registro, e di includervi invece gli imprenditori commerciali per i crediti
risultanti dalle scritture ex artt. 2214 c.c. Tale scelta infatti comporta che, ad esempio, per tutti
i crediti di cui all’art. 2751 bis c.c., per i quali è previsto un privilegio speciale sui mobili del
debitore, si verifica, tramite il processo, una indebita vanificazione della prelazione, in quanto
a tali creditori sono preferiti, proprio perché possono intervenire nell’espropriazione da altri intrapresa, i crediti degli imprenditori. La nuova disciplina dell’intervento dei creditori è dunque
per Luiso incostituzionale perché viola i rapporti tra diritto sostanziale e processo, quest’ultimo
ribaltando la disciplina sostanziale. Senza entrare nel merito della questione, che è indubbiamente rilevante ed effettivamente suscita i seri dubbi sollevati da Luiso, può osservarsi che la
presumibile ragione dell’esclusione dei creditori con privilegio non iscritto, quali quelli ex art.
2751 bis c.c., appunto, sta nel fatto che il privilegio può farsi valere solo finchè i beni mobili
restano nel patrimonio del debitore, mentre se ne escono la prelazione si estingue. Il legislatore
potrebbe allora aver escluso questi creditori perché a seguito della vendita forzata comunque
il privilegio si estingue, come avviene per la vendita di diritto comune, e non avrebbe dunque
avuto senso proteggerli dagli effetti pregiudizievoli derivanti dalla vendita forzata (non così,
invece, per il pegno e i privilegi risultanti da Pubblici Registri, provvisti di diritto di sequela in
caso di vendita di diritto comune, ma non di vendita forzata). In realtà anche questa spiegazione
convince solo a metà, in quanto, tecnicamente, al momento del pignoramento i mobili gravati
dai privilegi de quibus sono ancora nel patrimonio del debitore, e quindi i privilegi sono ancora
esistenti, estinguendosi solo al verificarsi dell’effetto traslativo della vendita forzata. I dubbi
dunque restano.
48
Carnacini, Contributo alla teoria del pignoramento, cit., p. 171 ss e passim.
47
50
l’attuazione delle misure cautelari
correnti di più creditori; e dall’altro di regolare i rapporti tra pignoramento ed
altri vincoli sui beni.
Qualcosa di molto diverso, dunque, dalla previsione del previgente art.
2092 del codice civile italiano, che distingueva analiticamente tra creditori
privilegiati, ipotecari, provvisti del privilegio ex art. 1963, ed infine “altri creditori comparsi”, e che aveva lo scopo di disciplinare i criteri di distribuzione
del ricavato della vendita dei beni immobili.
2.1. Gli sviluppi successivi: patrimoni separati, evoluzione delle garanzie
reali e proliferazione dei privilegi. L’ordinamento rinnega la sua stessa
visione della responsabilità universale.
L’universalità della garanzia patrimoniale nel duplice aspetto soggettivo ed
oggettivo già evidenziati appare tuttavia auspicio non realizzatosi negli sviluppi della legislazione speciale all’indomani dell’entrata in vigore dei codici
del 1940-1942.
Se nel disegno astratto dei codificatori è ravvisabile un rapporto di regola ad eccezione tra l’universalità oggettiva della garanzia patrimoniale e le
limitazioni di responsabilità consentite solo ex lege (art. 2740, comma 1° e
2°) e tra l’universalità soggettiva e le cause legittime di prelazione (art. 2741,
comma 1°); la legislazione speciale ha assunto un ruolo così preponderante da
erodere quasi completamente il terreno di applicazione delle regole generali
fissate dal codice civile.
Cominciando dalle cause legittime di prelazione (aspetto soggettivo), le
moderne esigenze dell’economia hanno mostrato tutta l’inadeguatezza del
classico modello della garanzia reale, in virtù dell’immobilizzazione della
ricchezza e della difficoltà nell’accesso al mercato del credito che essa determina.49
Così, anche allo scopo di favorire lo sviluppo del commercio internazionale, si è andati alla ricerca di nuove forme di garanzia caratterizzate da maggiore snellezza e quindi prive degli inconvenienti di quelle già note.
Un ruolo fondamentale ha rivestito l’autonomia privata attraverso l’adeguamento a scopi di garanzia di figure negoziali già note50 ed il potenziamento delle garanzie personali51. Sintomatica dell’evoluzione del sistema
è la figura del pegno rotativo, nel quale l’oggetto su cui incide la garanzia
V., ex multis, Piazza, voce Garanzia (diritto civile), in Enc. giur. Treccani, XIV, Roma, 1989,
p. 2 ss., per il quale proprio lo schema della garanzia reale rappresenta la forma meno evoluta
dell’economia redditizia, in quanto coerente con un sistema socio-economico chiuso, caratterizzato dall’immobilizzazione della ricchezza e dalla chiusura del mercato a quella porzione
sempre maggiore di soggetti aspirano ad operarvi.
50
La pratica conosce l’utilizzazione a scopo di garanzia delle figure della cessione del credito
e del mandato irrevocabile all’incasso: v., per tutti, Tartaglia, I negozi atipici di garanzia personale, Milano, 1999.
51
Si pensi ai fenomeni delle fideiussioni cd. omnibus, o delle lettere di patronage: v. Morace
Pinelli, Atti di destinazione, cit., p. 81.
49
Capitolo 2 – La competenza
51
può essere sostituito nel corso del tempo senza alcun effetto novativo sul
rapporto.52
La legislazione speciale conosce inoltre figure di pegno anomalo, capaci
di realizzare lo scopo della garanzia senza però l’inconveniente dello spossessamento del debitore. Questi continua così a mantenere la disponibilità
del bene su cui la garanzia stessa incide,53 e che di solito è proprio un bene
aziendale indispensabile al processo produttivo dell’impresa che ha ottenuto il credito54.
Va poi citato il d.lgs n. 170/2004, reso in attuazione della Direttiva CE n.
47/2002 sui contratti di garanzia finanziaria, per il quale (art. 6, comma 2°) ai
contratti di garanzia finanziaria che prevedono il trasferimento della proprietà
con funzione di garanzia non si applica l’art. 2744 del codice civile, vale a dire
il divieto del patto commissorio.
È dunque nel giusto chi sostiene che la via percorsa dall’ordinamento è
stata quella “di una risposta legislativa a singole specifiche esigenze, con la
creazione di un articolato sistema dei privilegi(…)”. 55
Veniamo al versante oggettivo, quello cioè della limitazione della responsabilità.
Anch’essa oggetto di riserva di legge, è di fatto realizzata con molteplici
tecniche,56 di cui la più risalente è l’attribuzione agli enti ed alle società della
personalità giuridica.“(…) La persona giuridica rivela la propria natura di
mera tecnica, che è tecnica di separazione di rischi e responsabilità (…)”57:
i soci non rispondono delle obbligazioni sociali con il loro patrimonio personale in quanto si tratta di obbligazioni contratte da un diverso soggetto di
Non è evidentemente questa la sede per approfondire la complessa materia del pegno, ed in
generale delle garanzie cd. “rotative”. Si rinvia perciò alla letteratura specialistica, ed in primis
a Gabrielli, voce Rotatività della garanzia, in Dig. it., disc. priv., sez. civ., XVIII, Torino, 1998,
p. 102; Id, Sulle garanzie rotative, Napoli, 1998. La Corte di cassazione ha affermato la validità
di questa creazione dell’autonomia privata. V. Cass. 5 marzo 2004, n. 4520; Cass. 27 settembre
1999, n. 10685, in Foro. it., 2000, I, c. 528.
53
È il caso della l. n. 401/1985 recante Norme sulla costituzione di pegno sui prosciutti a
denominazione di origine tutelata, per la quale il debitore continua, in costanza di garanzia, a
disporre direttamente dei prosciutti sui quali è costituita la garanzia, sia pure al solo scopo della
lavorazione.
54
Si può citare anche l’esempio del privilegio mobiliare previsto, per i finanziamenti a medio e
lungo termine, dall’art. 46 del d. lgs. n. 385/1983 sugli impianti e le materie prime.
55
Schlesinger, Autonomia privata e tutela del credito, in AA.VV., Confini attuali dell’autonomia privata, a cura di Belvedere-Granelli, Padova, 2001, p. 115.
56
Che vanno da quelle non nuove che sottraggono senz’altro o solo in parte alcuni beni alla
pignorabilità (v. artt. 514; 515; 545 c.p.c.) alla creazione di patrimoni separati, come il fondo
patrimoniale, che l’art. 167 c.c. definisce come il complesso di beni determinati destinati a fare
fronte ai bisogni della famiglia. L’istituto è stato introdotto nel codice civile con la riforma del
diritto di famiglia operata dalla l. 19 maggio 1975, n. 151, che ha sostituito il vecchio istituto
della dote e del patrimonio familiare, che peraltro non ebbe molto successo nella pratica.
57
Galgano, voce Persona giuridica, in Dig. it, disc. priv., sez. civ., XIII, Torino, 1995, p. 393;
Morace Pinelli, Atti di destinazione, cit., p. 97 ss.
52
52
l’attuazione delle misure cautelari
diritto58. La circostanza rivela tutto il suo peso se si pensa che oggi le società
con personalità giuridica, che quindi godono del beneficio della responsabilità
limitata, rappresentano i maggiori operatori economici.
E se il codice civile del 1942 imponeva che il beneficio della responsabilità limitata cessasse quando tutto il patrimonio sociale si fosse concentrato nelle mani di un unico socio (v. gli artt. 2362 e 2497 c.c. nella
versione originaria)59, sotto la spinta della XII direttiva comunitaria in materia di società (89/667/CEE), il d. lgs. n. 88/1993 ha introdotto la società
a responsabilità limitata con unico socio, estendendo ad essa il beneficio
della responsabilità limitata; il d. lgs. n. 6/2003, di riforma della disciplina
sostanziale delle società, ha poi esteso la figura della società unipersonale
anche alle società per azioni (art. 2328), sempre con il beneficio della responsabilità limitata (artt. 2325 e 2362).
Ma vi è di più. Proprio le società per azioni hanno oggi, in virtù della riforma del diritto societario, la possibilità di costituire, entro il limite del dieci per
cento del patrimonio netto, patrimoni separati destinati a singoli affari (v. l’art.
2447 bis, comma 1°, lett. a), o di stipulare contratti di finanziamento in cui il
rimborso di quanto ottenuto è effettuato con i proventi dell’affare medesimo o
parte di essi (v. l’art. 2447 bis, comma 1°, lett. b).
Appare dunque evidente come ad un unico soggetto giuridico possano corrispondere oggi non un unico patrimonio nel senso universalistico concepito dai conditores del 1942, ma più patrimoni60, ciascuno destinato a fare da
garanzia solo per l’adempimento di determinate obbligazioni, e dunque per
determinati creditori, e non per altri.
Il fenomeno della separazione patrimoniale non è peraltro esclusivo delle
società per azioni. Già nota all’ordinamento che l’ha attuata con il fondo patrimoniale destinato ai bisogni della famiglia61, la figura del patrimonio separato
è generalizzata62 anche per le persone fisiche dall’art. 2645 ter c.c., per il quale
all’autonomia privata è consentito di destinare, con efficacia reale, determinati beni al perseguimento di interessi meritevoli di tutela.
Ancora, per tutti, Galgano, La società per azioni, in Trattato di diritto commerciale di diritto
pubblico dell’economia, VII, Padova, 1989, p. 107 ss.
59
In realtà proprio la vicenda legata all’introduzione nel codice civile di queste due disposizioni
si rivela sintomatica della realtà di fatto che il codice intese reprimere, cioè la prassi, consentita sotto il vigore del codice civile del 1865 (che prevedeva la derogabilità pattizia, come già
detto, della responsabilità illimitata), di creare società anonime con un unico azionista, in modo
appunto da limiTare la responsabilità ed il rischio d’impresa anche in forma individuale. La
vicenda è riassunta da Morace Pinelli, Atti di destinazione, cit., p. 100 ss.
60
V. amplius, Mignone, Commento agli artt. 2447 bis e ss c.c., in AA.VV., Il nuovo diritto societario, a cura di Cottino-Bonfante-Cagnasso-Montalenti, II, 2, Bologna, 2004, p. 1626; Ferri,
Finanziamento dell’impresa e partecipazione sociale, in Riv. dir. comm., 2002, I, p. 122.
61
V. supra, in nota.
62
V. amplius, Spinte e controspinte della responsabilità patrimoniale, Supplemento di Giur.
mer., luglio-agosto 2007, p. 7 ss.
58
Capitolo 2 – La competenza
53
A ciò deve poi aggiungersi che in seguito alla ratifica63, da parte
dell’Italia, della Convenzione sulla legge applicabile ai trusts e sul loro
riconoscimento, adottata a L’Aja il 1° luglio 1985, anche il nostro ordinamento ha ormai consolidata, anche se problematica, familiarità con il
trust, istituto giuridico di common law attraverso il quale il costituente
(settlor), con atto inter vivos o mortis causa, trasferisce determinati beni
ad un altro soggetto ( trustee), con l’incarico di amministrarli e gestirli
nell’interesse di un terzo soggetto o per un altro fine specificamente individuato64.
3. Par condicio creditorum e regole processuali: una lunga storia costellata di alcune significative costanti
Il contesto sommariamente descritto ha mostrato come l’ordinamento, in risposta alle esigenze delle moderna economia, tradisca la visione universale
del patrimonio immaginata dai codificatori del 1942, e preferisca invece la
via della specializzazione della responsabilità ammantata delle forme della
segregazione patrimoniale.
Ciò sottende la precisa scelta politica di tutela di determinati interessi economici, attraverso la selezione di determinate classi di creditori, sia pure con
tecniche tra loro diverse (che vanno dalla creazione di privilegi alla segregazione patrimoniale, appunto) ma sempre in funzione di protezione forte delle
ragioni del credito65.
Se anche perciò nella forma può ancora oggi dirsi rispettata la riserva di
legge dell’art. 2740, comma 2°, appare innegabile che proprio la generalizzazione della segregazione patrimoniale disvela la sostanziale erosione del
concetto stesso di patrimonio come garanzia oggettivamente universale,66 e ne
impone una radicale rimeditazione anche teorica67.
Per parte sua, la legislazione speciale che crea nuovi privilegi rivela come
anche l’uguale diritto dei creditori sia scalzato dalle graduazioni di interessi
Avvenuta con l. 16 ottobre 1989, n. 364.
Delle molteplici ragioni per le quali il trust sembra porsi in contrasto con una serie di disposizioni interne al nostro ordinamento giuridico (prime fra tutte quelle sul numerus clausus dei
diritti reali) non è possibile neppure accennare in questa sede. Si rinvia pertanto, per un primo
orientamento sul tema, ex multis, a Morace Pinelli, Atti di destinazione, cit., p. 125 ss, ove
anche ampia bibliografia.
65
V. Manes, Trust e art. 2740 c.c.: un problema finalmente risolto, in Contratto e impresa,
2002, p. 580, per il quale le limitazioni di responsabilità create dalla normativa interna
ed internazionale rispondono a prospettive economiche di profitto ed efficienza, che sono
appunto raggiunte attraverso la destinazione di masse patrimoniali alla soddisfazione di
specifiche classi di creditori, i cui crediti derivano dall’attuazione dello scopo impresso ai
beni. V. anche Quadri, La destinazione patrimoniale. Profili normativi e autonomia privata,
Napoli, 2004, p. 73 ss.
66
V., per analoghi rilievi, Morace Pinelli, Atti di destinazione, cit., p. 118 ss.
67
È l’auspicio, condivisibile, di Morace Pinelli, Atti di destinazione, cit., p. 121 ss.
63
64
54
l’attuazione delle misure cautelari
create dalla legge in base alla percezione del loro diverso “peso” sotto il profilo dell’intensità della tutela.
Il che trova una significativa consonanza nelle scelte storicamente fatte
proprie dal legislatore processuale.
L’apertura al concorso dei creditori sia nella versione originaria del codice
del 1940 sia in quella attuale si mostra infatti, in prospettiva, quale risultato
di scelte positive legate al titolo esecutivo che, condizione necessaria e sufficiente per iniziare e coltivare l’espropriazione, impone però di considerare
un duplice profilo: la sorte dei creditori che, pur essendo privilegiati sul piano
sostanziale, non ne siano muniti; e la possibilità di attribuire una prelazione
processuale, sub specie di soddisfazione preferenziale in sede di distribuzione,
al creditore primo pignorante, posto che le prelazioni ex art. 2741 cc hanno
origine solo sostanziale68.
Si tratta di problemi suscettibili di soluzioni diverse nel tempo, come i recenti mutamenti normativi mostrano in modo inequivoco, ma sempre ispirate
alla “protezione” da un lato del creditore pignorante; dall’altro dei creditori
privilegiati (e, come si rileverà in merito alle scelte della XIV legislatura, di
altri cui si riconnette il medesimo carattere “sensibile”).
Già sotto il vigore del codice processuale del 1865, che pure costruiva il
processo esecutivo intorno alla figura del titolo69, si discuteva sulla chiusura
alla generalità dei creditori70 che, confluita nel Progetto Carnelutti del 192671
e poi scartata nel codice del 1940, rappresenta una costante nei vari progetti di
riforma dell’espropriazione che si sono susseguiti negli anni72.
V. amplius Oriani, La determinazione dei crediti, cit., p. 135 ss.
Titolo la cui necessarietà è attestata, prima che dal codice di rito, già dal codice civile del
1865, il quale, all’art. 2981 inserito nel Titolo XXVI intitolato “Della spropriazione forzata
degli immobili, della graduazione e della distribuzione del prezzo fra i creditori”, a sua volta
facente parte del Libro III relativo ai modi di acquisto e trasmissione di proprietà e diritti su
cose, prevedeva testualmente al primo comma “ Non può procedersi all’esecuzione sopra gli
immobili che in forza di titolo esecutivo per un debito certo e liquIdo”
70
È nota, ad esempio, la posizione di Carnelutti, Lezioni di diritto processuale civile, VII,
Padova, 1931, 41 ss, il quale, ancora vigente il codice processuale del 1865, sosteneva che de
iure condito l’opposizione sul prezzo o le domande di collocazione potessero essere proposte
solo dai creditori con titolo esecutivo. La sua lezione non ebbe tuttavia fortuna, atteso che l’art.
553 del c.p.c. del 1865 richiedeva il possesso del titolo solo per procedere ad esecuzione, e non
anche per gli incombenti successivi. Neppure, come si vedrà, essa fu recepita nel nuovo Codice
di procedura del 1940.
71
Si trattava di un Progetto di modifica del Codice di procedura civile del 1865, presentato alla
Sottocommissione Reale per la riforma del codice di rito, il quale prevedeva appunto, agli artt.
433 e 434, che solo i creditori munti di titolo esecutivo potessero iniziare e proseguire l’espropriazione. Ciò sul presupposto che la legittimazione all’intervento dovesse basarsi sugli stessi
presupposti (il titolo esecutivo, per l’appunto) della legittimazione a promuovere l’espropriazione: v. Carnelutti, Sistema del diritto processuale civile, Padova, 1936, p. 966.
72
Progetti che non è possibile qui scandagliare e neppure compiutamente enumerare. Si
rinvia perciò, all’uopo, ad Oriani, La determinazione dei crediti, cit., p. 131 ss, per alcune
considerazioni sul disegno di legge delega per il nuovo Codice di procedura civile approvato dal Consiglio dei Ministri l’8 maggio 1981, e, da ultimo, alla ampia ricognizione di
68
69
Capitolo 2 – La competenza
55
E il dibattito è sempre oscillato tra due poli: l’esigenza di snellire una procedura lunga e complessa soprattutto in ragione delle parentesi di cognizione
indotte anche dal concorso di crediti non consacrati nel titolo esecutivo giudiziale, appunto; e quella di non sacrificare ragioni di prelazione sostanziale, ciò
che sarebbe derivato dall’esclusione dei creditori privilegiati (se ed in quanto)
privi di titolo esecutivo.
Così durante il varo del codice del 1940, nel quale l’abbandono della soluzione di limitare l’intervento ai soli creditori titolati si fondò anzitutto sulla necessità di rispettare le prelazioni sostanziali, i cui titolari sono di solito
sprovvisti di titolo esecutivo.73 La stessa logica ispirò la scelta di escludere,
come aveva già fatto il Codice del 1865 e secondo una impostazione mantenuta anche dalle riforme della XIV legislatura, qualsiasi posizione di favore per
il creditore pignorante in quanto tale, a protezione del quale opera comunque
(anche) oggi il congegno dell’art. 499, 4°c.,74 oltre che la più generale distinzione tra tempestività e tardività dell’intervento.
Sia la soluzione tecnica del 1940 che quella fatta propria nella stagione di
riforme del 2005-2006 sono ispirate a questa necessità.
La prima ammette al concorso tendenzialmente ed astrattamente tutti
i creditori, ma da un lato protegge il procedente con la prelazione processuale dell’art. 527 e con la summa divisio tra tempestività e tardività dell’intervento; e dall’altro concede il massimo della protezione ai
creditori privilegiati, i quali, a prescindere dal momento dell’intervento,
sono sempre soddisfatti per l’intero anche in pregiudizio del pignorante
stesso.
Nel contesto attuale invece la tendenziale75 concorsualità dell’espropriazione del Libro III del c.p.c. è abbandonata dal legislatore, che limita
Perago, L’intervento dei creditori, in L’esecuzione forzata riformata, a cura di G. Miccolis
e C. Perago, Torino, 2009, p. 96 ss, che ricostruisce anche i principali progetti di riforma
tra le due guerre.
73
Luiso, Diritto processuale civile, cit., III, passim. L’idea, risalente a Carnelutti, fu criticata
proprio in questi termini: v. amplius Oriani, La determinazione dei crediti, cit., p. 133 ss.
74
Il congegno, nel testo originario del c.p.c. del 1940 inserito nell’art. 527 e perciò limitato
alla sola espropriazione mobiliare, è oggi confluito nell’art. 499 e riguarda dunque ogni forma
di espropriazione. Esso rappresenta, insieme alla distinzione tra creditori tempestivi e tardivi,
l’espediente a mezzo del quale i conditores, rifiutata l’idea di una posizione di preferenza a favore del creditore primo pignorante, ma anche preoccupati di non introdurre una generalizzata
possibilità di intervento secondo il modello dei codici francesi, intesero proteggere la posizione del creditore pignorante dall’intervento di altri creditori. Proprio le distinzioni tra creditori
rappresentano, nel codice processuale del 1940, l’espediente per proteggere il pignorante senza
tuttavia riconoscergli espressamente una prelazione processuale: così Lugo-Berri, Codice di
procedura civile illustrato con i lavori preparatori e note di commento, Milano, 1940, p. 388
ss; Chiarloni, Giurisdizione e amministrazione nell’espropriazione forzata, in Riv. trim. dir
proc. civ., 1993, p. 100 ss. V. anche, amplius, la monografia di Ziino, Esecuzione forzata, cit.,
p. 104 ss e passim.
75
Per tutte le ragioni già evidenziate supra, in questo capitolo, ai precedenti paragrafi, testo e
note.
56
l’attuazione delle misure cautelari
l’intervento non titolato esclusivamente ad alcune classi di creditori, secondo un criterio di selezione che tuttavia non appare affatto casuale.
La legittimazione è infatti riservata, oltre che ai creditori titolati, ai
creditori dotati di privilegio con diritto di sequela, a quelli che con il
sequestro hanno già impresso un vincolo sui beni, agli imprenditori commerciali76.
Sicchè se da un lato è allargato il novero dei titoli esecutivi77; dall’altro
è consentito l’intervento non titolato solo a creditori che, se non sempre privilegiati in senso tecnico, appaiono “forti” o in chiave soggettiva (gli imprenditori commerciali) o per la loro relazione comunque qualificata con i beni
pignorati. Ne risulta uno snellimento procedurale che tuttavia non sacrifica le
ragioni creditorie percepite, nell’attuale assetto storico -economico, come più
meritevoli di tutela78.
In queste scelte il pari trattamento processuale dei creditori, pure quando
tendenzialmente e direi preterintenzionalmente assicurato, non è mai assurto
a dignità di ragione fondante79, rivelandosi piuttosto topos capace di inibire, in
sede di riforma dei codici, alcune significative innovazioni, come appunto la
prelazione al primo pignorante.
I creditori semplicemente chirografari privi di titolo esecutivo dunque, cioè
proprio coloro a presidio dei cui interessi dovrebbe operare l’uguale diritto sui
beni del debitore, non trovano (più) spazio nell’espropriazione singolare, se
non con le limitate eccezioni già viste.
È questo un approdo che, in coerenza con il più ampio contesto illustrato,
occorre tenere in adeguata considerazione nell’attuale riflessione sull’attuazione delle cautele di pagamento e, conseguentemente, sull’inquadramento
sistematico dell’intero fenomeno dell’attuazione delle cautele “anticipatorie”
che sull’asserita natura di principio generale della par condicio creditorum,
come già visto, si fonda.
Coloro che vantano crediti risultanti dalle scritture contabili previste dall’art. 2214 c.c. altri
non sono infatti che gli imprenditori che esercitano attività commerciali. V. anche Luiso, Diritto
processuale, cit., III, passim.
77
V. il nuovo art. 474 c.p.c. che, rispetto al precedente, riconosce la qualifica di titolo stragiudiziale alle scritture private in relazione alle somme di denaro in esse contenute, mentre estende
l’efficacia di titolo esecutivo per gli atti pubblici, che ne erano già provvisti, anche alle obbligazioni diverse da quelle di denaro ivi consacrate.
78
Sulla ratio della riforma dell’art. 474 c.p.c. si è già formata una cospicua dottrina. Per una
ricognizione si rinvia, ex multis, a Dalfino, Il titolo esecutivo e il precetto, in L’esecuzione forzata riformata, cit., p. 7 ss.
79
Come realisticamente nota Oriani, La determinazione dei crediti, cit., p. 137, il richiamo
al principio della par condicio creditorum solo in apparenza influenzò la disciplina positiva dell’intervento nell’espropriazione forzata del codice del 1940. Esso servì sicuramente
da scudo contro l’introduzione della prelazione processuale al creditore procedente, ma
certo non fu realizzato su un piede di universalità del tipo di quello del c.p.c. francese del
1806.
76
Capitolo 2 – La competenza
57
Parte I bis.
L’attuazione delle cautele di condanna pecuniaria
1. Il giudice competente per l’attuazione delle cautele recanti condanne
pecuniarie
Il tema del giudice competente a gestire l’“attuazione” delle cautele recanti condanne pecuniarie si intreccia strettamente, come del resto si vedrà accadere per
ogni altro profilo di questo fenomeno esecutivo, con il più ampio contesto dei rapporti tra il debitore, o per meglio dire il patrimonio responsabile, ed i creditori.
Ciò discende in modo inequivoco dalla scelta pregiudiziale di richiamare
le disposizioni che regolano il pignoramento e la vendita forzata (artt. 491 e
segg.): con essa il legislatore cautelare, per ragioni già indagate, (supra, parte
I) ha fatto di più che richiamare un frammento di disciplina processuale attinta
dal Libro III del c.p.c., perché ha attratto l’esecuzione forzata di queste tipologie di cautele ad un intero sistema di regole, segnatamente quelle di diritto
sostanziale che disegnano la responsabilità patrimoniale ed i modi dell’accesso dei creditori al patrimonio del debitore.
Il quadro normativo presupposto è dunque quello degli artt. 2740 e 2741/
2910 c.c.: in particolare, tali due ultime disposizioni, lette in combinato disposto, riconoscono ad ogni creditore, in presenza delle condizioni legittimanti
del codice di rito, l’azione esecutiva sui beni del debitore.
E la Consulta80 ha chiarito che l’accesso al patrimonio responsabile va inteso quale elemento indispensabile della tutela giurisdizionale del credito, se
l’inottemperanza volontaria dell’obbligato lo rende necessario.
Sicché in ipotesi di concorrenza di più iniziative processuali se ne impone
il coordinamento e non invece l’esclusione dell’una in favore dell’altra, perchè
proprio il potere di aggressione forzosa del patrimonio responsabile in capo ad
ogni creditore è profilo della tutela del credito (percepito come) provvisto di
copertura costituzionale e perciò ineludibile dal legislatore ordinario.
Ne consegue che il potere processuale riconosciuto al creditore cautelare
dall’art. 669 duodecies non può porsi in rotta di collisione con quello riconosciuto ad un qualunque altro creditore provvisto di titolo esecutivo81 di intraprendere l’espropriazione degli stessi beni già colpiti da pignoramento in base
a cautela di pagamento, ponendosi piuttosto il problema del coordinamento
V., ad esempio, Corte cost. 8 settembre 1995, n. 419, in Foro. it., 1995, I, c. 2641, per la quale
gli artt. 3 e 24 cost. garantiscono il soddisfacimento effettivo dei diritti e degli interessi accertati
in giudizio nei confronti di qualsiasi soggetto, mediante l’effettiva esecuzione della sentenza.
Così anche Corte cost. 24 luglio 1998 n. 321, in Foro. it., 1998, I, c. 3048, secondo la quale
il diritto di agire in giudizio per la tutela dei propri diritti ai sensi dell’art. 24, comma 1°cost.
comprende la fase di esecuzione forzata, la quale è diretta a rendere effettiva l’attuazione dei
provvedimenti giurisdizionali, e su cui amplius infra Cap. III, sez. II, parte I.
81
O anch’esso di cautela di condanna pecuniaria
80
58
l’attuazione delle misure cautelari
delle diverse azioni esecutive. L’assenza di ogni altra lex specialis richiama
in causa gli artt. 491 e ss e dunque l’art. 493, comma 2°: il pignoramento
effettuato dopo deve cioè considerarsi quale pignoramento successivo, con
conseguente riunione al precedente.
Viceversa, in assenza di altri beni, potrebbe essere proprio il creditore cautelare a vedersi costretto a pignorare beni già colpiti da altri creditori provvisti
di titolo esecutivo, la riunione imponendosi con attrazione rispetto al vincolo
imposto per primo.
In entrambi i casi la riunione è imprescindibile perché i medesimi beni non
possono essere venduti ed acquistati che una volta sola e non può perciò che
conseguirne l’applicabilità, in toto, della disciplina espropriativa del Libro III
del c.p.c., e dunque anche delle disposizioni sulla competenza.
Che riveste i caratteri dell’inderogabilità (artt. 26 e 28 c.p.c.) anche in ragione della circostanza che l’obiettiva complessità del procedimento espropriativo ispira la scelta codicistica di individuare il giudice che deve sovrintendervi in base alla ubicazione dei beni da pignorare82.
La conclusione in tal senso è imposta dall’art. 493, comma 3°, per il quale
ciascun pignoramento ha un effetto indipendente, ma è unito agli altri in un
unico processo, sicchè pur essendo insensibile alle vicende estintive o comunque invalidati che possano colpire gli altri pignoramenti, esso fa parte del
medesimo contenitore processuale sottoposto all’applicazione integrale della
disciplina dell’espropriazione forzata.
L’opzione per il giudice dell’esecuzione si impone dunque per ragioni di
sistema che, proprio in quanto tali, superano il dato che l’art. 484 c.p.c. esula
dal gruppo di norme richiamate dall’art. 669 duodecies in parte qua83. È al
contrario proprio il richiamo al corpus normativo che sovrintende al pignoramento-vendita forzata a portare naturalmente con sé ogni altro aspetto, anche
non codificato dalle disposizioni espressamente richiamate ma da esse solo
presupposto, come nel nostro caso accade per l’interferenza della vicenda attuativa cautelare con l’esecuzione che altri creditori, secondo le norme del
codice di rito, intraprendono sugli stessi beni.
Va comunque rilevato che a seguito della soppressione dell’ufficio del Pretore ad opera del d.lgs. n. 51/1998, poichè il Giudice di Pace non ha competenLuiso, in Consolo-Luiso-Sassani, Commentario alla riforma del processo civile, Milano,1996,
p. 680 ss.
83
Ed in effetti la maggioranza degli interpreti ritiene la circostanza non stringente ai fini ricostruttivi, essendo comunque possibile risalire aliunde alla competenza del giudice dell’esecuzione piuttosto che di quello che ha reso la cautela. In particolare, si fa leva su una considerazione complessiva dell’art. 669 duodecies, la cui seconda parte prevede, per le misure aventi
ad oggetto obblighi di facere/dare, che l’attuazione avvenga sotto il controllo del giudice che
le ha concesse, ed è collegata alla prima parte, avente ad oggetto le misure contenenti ordini di
pagamento, dall’avversativo “mentre”. Il che dovrebbe comportare, in base ad un argumentum
a contrario, che questi ultimi restino soggetti alla competenza del giudice dell’esecuzione: così
Luiso, in Consolo-Luiso-Sassani, Commentario, cit., p. 680 ss.
82
Capitolo 2 – La competenza
59
za cautelare, generalmente84 il giudice dell’esecuzione e quello della cautela
appartengono sempre al Tribunale. La differenza finisce perciò con l’apprezzarsi sul piano dei criteri territoriali di distribuzione della competenza.85
Parte II
L’attuazione delle cautele recanti ordini di fare-non fare-dare.
1. Il giudice competente per l’attuazione delle cautele recanti prestazioni
di fare-non fare-dare
La disciplina dell’attuazione dei provvedimenti cautelari recanti ordini di fare,
non fare, consegna o rilascio, è, a differenza di quanto si è visto accadere per
i sequestri e per le cautele di condanna pecuniaria, autonomamente disegnata
dall’art. 669 duodecies, il quale ne rimette la gestione globale al “giudice che
ha emanato il provvedimento cautelare.”
La previsione ha posto alla dottrina processualcivilistica due ordini di problemi: se si tratti di norma sulla competenza, come tale riferentesi all’ufficio,
oppure di norma attributiva di un potere allo stesso magistrato che ha reso la
cautela; e come la proposizione del reclamo, che comporta la devoluzione ad
altro giudice della decisione cautelare, incida sulla paternità della cautela e
dunque anche della sua attuazione.
In riferimento al primo problema, entrambe le soluzioni sono state sostenute, e con copia di argomenti86. Pronunciatasi in sede di regolamento di comFatta cioè eccezione per i provvedimenti cautelari resi dalla Corte d’Appello.
Vullo, L’attuazione, cit., p. 154 ss.
86
Alcuni autori hanno optato per il primo capo dell’alternativa sull’assunto della natura
dell’art 669 duodecies, che sarebbe norma sulla competenza, dovendosi perciò escluderne
una lettura nel senso di fare, dell’attuazione, un prolungamento della fase di concessione del
provvedimento: così Luiso, in Consolo-Luiso-Sassani, Commentario, cit, p. 683; Id, Diritto
processuale civile, IV, cit., p. 220 ss e passim. Nello stesso senso anche Rapisarda Sassoon,
Il nuovo processo cautelare, in Le riforme della giustizia civile, a cura di Taruffo, Torino,
1993, p. 542. Così, il richiamo al giudice che ha reso la cautela servirebbe ad escludere che
a sovrintendere all’attuazione debba essere l’ufficio giudiziario del luogo in cui le cose si
trovano, o in cui l’obbligo deve essere adempiuto, come disposto per l’esecuzione in forma
specifica dall’art. 26; o ancora ad escludere che la misura concessa da un collegio debba essere attuata sotto il controllo di tale organo, consentendo al contrario, in applicazione analogica delle norme sull’esecuzione forzata, la designazione di un giudice singolo dell’ufficio.
Altra opinione (Frasca, L’attuazione del provvedimenti cautelari, in Quaderni del CSM, n.
106, cit., p. 304 ss; Vullo, L’attuazione dei provvedimenti cautelari, cit., passim) ha invece
evidenziato i vantaggi che deriverebbero dall’identificazione tra il magistrato che ha reso il
provvedimento e quello dell’attuazione, soprattutto in ragione dell’eventualità, tutt’altro che
remota, che già in sede di concessione vengano fissate le modalità di attuazione, eventualità
bene messa in luce, con considerazioni senz’altro ancora da condividere, da Tommaseo,
I provvedimenti d’urgenza, cit, p. 327 ss. V. inoltre le considerazioni di Dini-Mammone
I provvedimenti, cit, p. 677; Proto Pisani, Procedimenti cautelari, in Enc. giur. Treccani,
XXIV, Roma, 1991; Merlin, voce Procedimenti cautelari ed urgenti in generale, in Dig. it,
84
85
60
l’attuazione delle misure cautelari
petenza, alfine anche la Corte di cassazione ha preso posizione optando per il
primo capo dell’alternativa87.
L’altro profilo di criticità legato alla necessità di individuare il “giudice che
ha emanato il provvedimento cautelare”è invece legato all’eventualità che la
pronuncia sia reclamata, occorrendo verificare se proprio la devoluzione ad
altro giudice consenta di considerare quest’ultimo, e non più quello di prime
cure, come autore della decisione e dunque competente anche a gestirne l’attuazione88. La soluzione di questo problema presuppone, a sua volta, quella
in ordine alla natura del reclamo: in particolare, l’opzione per il secondo capo
dell’alternativa riposa sulla ricostruzione del reclamo stesso89 quale novum iudicium con carattere devolutivo e portata sostitutiva della prima pronuncia90, e
disc. priv., sez civ, XIV, Torino, 1996, p. 426 ss; Vullo, L’attuazione cit, p. 188 ss. Entrambe
le soluzioni vengono poi ritenute perfettamente legittime da Auletta, sub art 669 duodecies,
in Vaccarella-Verde, Codice di procedura civile commentato, Torino, 1998, (rist). Un’ultima lettura opta poi per la competenza del magistrato che ha disposto la cautela solo fino a
quando non venga nominato il giudice istruttore, passando poi l’attuazione al controllo di
quest’ ultimo: così Montesano-Arieta Diritto processuale civile, III, Torino, 1999, p. 475 ss;
Dini-Mammone, I provvedimenti d’urgenza nel diritto processuale civile e nel diritto del
lavoro, Milano, 1997, p. 686. Questi a. precisano tuttavia che, ove l’attuazione sia già iniziata davanti al giudice che ha concesso il provvedimento ante causam, essa rimane radicata
presso di lui anche dopo la nomina dell’istruttore del giudizio di merito. Ciò per l’evidente
irragionevolezza di non attribuire a questi, cui compete di revocare o modificare il provvedimento ex art.669 decies, anche la sua attuazione.
87
Cass. 12 gennaio 2005, n. 443, su cui v. Giordano, La tutela cautelare uniforme, in Orientamenti di merito, collana diretta da Ciro Riviezzo, Milano, 2008, p. 352 ss.
88
Ciò soprattutto dopo che la sentenza 23 giugno 1994, n. 253 della Corte Costituzionale ha
reso possibile ottenere in sede di reclamo la cautela negata in prime cure, ponendo prepotentemente agli interpreti il problema di una rimeditazione, almeno in questo caso, della natura del
mezzo, e dando così ulteriore vigore ad un dibattito che già affaticava dottrina e giurisprudenza.
Si può, in effetti, concordare con quanti ritengono che il problema si sia acuito con la sentenza
n. 253/1994 della Consulta che ha allargato l’area della reclamabilità anche al provvedimento
di rigetto. Infatti, se all’indomani dell’entrata in vigore del procedimento cautelare uniforme di
cui alla l. 353/1990 il problema si poneva in caso di provvedimento concessivo confermato in
sede di reclamo, oggi è vieppiù evidente, in quanto la cautela può essere concessa proprio in
questa sede. Svaluta invece il problema chi ritiene che, anteriormente alla citata sentenza della
Consulta, “il giudice che ha reso il provvedimento” fosse esclusivamente il giudice cautelare di
prime cure : così Capponi, Il reclamo avverso il provvedimento cautelare negativo (il difficile
rapporto tra legislatore ordinario e legislatore costituzionale), in Foro. it., 1994, I, c. 2005
ss.V. anche, in generale, Corsini, Il reclamo cautelare, Torino, 2002, p. 132 ss; Cirulli, La nuova
disciplina dei rimedi contro i provvedimenti cautelari, Padova, 1996, p. 108 ss.
89
Com’è noto, la questione è stata oggetto di ampio dibattito in dottrina e giurisprudenza,
anche per le sue ripercussioni su istituti viciniori. Per i relativi termini e le soluzioni fornite
dalla dottrina e dalla giurisprudenza, si rimanda a Corsini, Il reclamo cautelare, cit.; Cirulli, La
nuova disciplina dei rimedi, cit.; Lombardi, Sulla tutela del terzo in sede di reclamo cautelare,
in Giust. civ., 2001, I, p. 2797.
90
È sulla base della ricostruzione del reclamo quale novum iudicium che parte della giurisprudenza di merito ha ritenuto che la competenza a gestire l’attuazione andasse riconosciuta al giudice del reclamo che ha reso la cautela. Così T. Perugia 23 ottobre 1998, in Rass. giur. umbra,
1999, p. 98; T. Messina, 9 aprile 1998, in Giur. mer., 1998, I, p. 898; T. Padova 22 novembre
Capitolo 2 – La competenza
61
conta oggi su un preciso dato normativo che disegna in tal senso la fisionomia
di questa impugnazione91.
La riflessione sul giudice dell’attuazione ha tuttavia percorso anche altre
strade. Un filone della giurisprudenza di merito92 ha infatti adottato una chiave
di lettura che prescinde dalla natura del reclamo, valorizzando invece il ruolo
del giudice di prime cure nella gestione globale della vicenda cautelare, in
base all’interpretazione sistematica delle norme sulla competenza cautelare.
Si è cioè sostenuto che il legislatore, concentrando le principali vicende della
vita del provvedimento, tra cui anche la modifica e/o la revoca ex art. 669
decies e l’inefficacia ex art. 669 novies, nel giudice di prime cure, avrebbe
individuato proprio in costui il giudice naturale della cautela, competente in
quanto tale anche a gestirne l’attuazione.93
1996, in Foro. it., 1997, I, c. 1264; P. Latina, Sez. Gaeta, 14 gennaio 1999, in Foro. it., 1999, I,
c. 1669, con Nota di Gambineri.
91
Recependo un filone interpretativo sempre più consistente (T. Roma 13 dicembre 2004, in
Giust. civ., 2005, I, p. 2507, con Nota di Giordano; T. Roma 9 marzo 2004, in Riv. dir. proc.,
2004, p. 1281, con Nota di Tota; T. Catania 25 febbraio 2003; T. Belluno 22 ottobre 2002, in
Giur. mer., 2003, p. 777; T. Roma 7 luglio 2000, ivi, 2001, p. 24; T. Modena 16 giugno 1999,
ivi, 1999, I, p. 864; T. Roma 13 maggio 1999, in Giust. civ., 2000, I, p. 2154; T. Napoli 30 aprile
1997, in Giur. it., 1998, p. 269, con Nota di Dalmotto. In dottrina v. Consolo, in Consolo-LuisoSassani, Commentario cit., p. 534; Vaccarella, Il procedimento cautelare dopo l’intervento della
Corte costituzionale sul reclamo avverso i provvedimenti negativi, in Giust. civ., 1995, II, p. 527
ss; Corsini, Il reclamo cautelare, cit, p. 128), la l. n. 80/2005, modificando l’art. 669 terdecies,
ha disegnato il reclamo come novum iudicium aperto anche a nuove prove ed ha escluso in ogni
caso la rimessione al primo giudice. Da questo punto di vista perciò le opzioni che, in passato,
facevano leva su una diversa ricostruzione del mezzo (revisio prioris istantiae, deputata solo al
rilievo di specifici errores in procedendo ed in iudicando del primo giudice) al fine escludere
che giudice dell’attuazione potesse considerarsi anche il giudice del reclamo, hanno perso il
loro principale argomento fondante. Restano invece sul tappeto le questioni relative all’asserita
esistenza di un giudice naturale della cautela da individuare sempre in quello di prime cure in
base a considerazioni sistematiche, e di cui si sta per dire nel testo.
92
Così, in particolare, P.Trani-Molfetta 5 dicembre 1995, in Giur. mer., 1996, p. 917, con Nota
di Siracusano, che però accenna al reclamo quale revisio prioris istantiae; con maggiore consapevolezza e grado di elaborazione teorica, ritenendo l’argomento che fa leva sulla natura
sostitutiva del reclamo non decisivo ai fini dell’individuazione del giudice di cui all’art. 669
duodecies, T. Roma 24 settembre 1996, in Giur mer., 1998, p. 236, con Nota di Recussi. Ma
si vedano, anche, T. Lucca 2 ottobre 2000, in Giust. civ. 2001, I, p. 231, con Nota di Luiso; T.
Venezia 5 luglio 1997, in Foro. it., 1999, I, c. 1668; T. Napoli 11 febbraio 2003; T. Napoli 5
febbraio 2003; T. S.M. CapuaVetere, 12 dicembre 2002, tutte in relazione a provvedimenti resi
proprio dal giudice del reclamo. In riferimento a tale ultima circostanza, le pronunce citate prescindono dalla natura del reclamo, e fanno leva sul diverso concetto di giudice naturale della
cautela, da identificare appunto in quello di prime cure.
93
Il rimedio ex art. 669 terdecies è stato perciò considerato come un episodio consistente, a
prescindere dalla natura attribuitagli, nel mero riesame del provvedimento ed inidoneo, per il
suo carattere di subprocedimento speciale, a privare della potestà cautelare il primo giudice, al
quale dunque legittimamente la cautela avrebbe dovuto ritornare dopo la parentesi del riesame.
Il che sarebbe stato avvalorato dalla circostanza che l’art. 669 duodecies in parte qua era stato
scritto quando non era ammissibile il reclamo contro i provvedimenti di rigetto, e dunque la
paternità della cautela non poteva che ascriversi al giudice di prima istanza cautelare: così,
62
l’attuazione delle misure cautelari
Questa lettura pare tuttavia smentita proprio dal quadro normativo di riferimento. Gli artt. 669 ter e quater sono infatti, esse sì, norme sulla competenza
e non assicurano affatto che il giudice della cautela e quello del merito si identifichino sempre nello stesso magistrato. Quanto alla modifica/revoca ex art.
669 decies, se chieste in corso di causa, rappresentando l’esito di un rinnovato
esercizio del potere cautelare, impongono la rivisitazione anche delle modalità esecutive davanti al giudice del merito in quanto autore di questi provvedimenti, non in quanto giudice della prima, e diversa, misura cautelare.94 Infine,
la declaratoria di inefficacia ex art. 669 novies compete al giudice che ha reso
il provvedimento solo in assenza di un giudizio di merito pendente in Italia, in
caso contrario restando appannaggio del relativo giudice95.
Ne consegue che la possibile alterità tra il giudice della cautela e quello
del merito si profila quale effetto fisiologico delle regole di competenza apprestate dagli artt. 669 ter e 669 quater, non potendo la ricerca di un giudice
naturale della cautela, inteso come magistrato e non come ufficio, basarsi
sull’assunto di una loro necessaria identificazione.96
testualmente, T. Napoli, cit.; T. Roma, cit.; T. S.M.Capua Vetere, cit. In dottrina, Capponi, Il
reclamo, cit., p. 2005 ss., il quale, tra l’altro, fa notare la stravaganza dell’affidare la gestione
dell’attuazione ad un organo collegiale nelle esecuzioni dirette, e addirittura l’inesigibilità di
tale risultato nell’attuazione che si rifà alle norme sull’espropriazione forzata, soprattutto ove
dovesse spettare ad un collegio di Corte d’appello (2015).
94
Ciò che accadrebbe, del resto, anche ove i due magistrati dovessero coincidere, avendo la
modifica e/o la revoca ex art. 669 decies efficacia normalmente ex nunc: Cirulli, La nuova
disciplina, cit., 108 ss. Merlin, voce Procedimenti cautelari ed urgenti in generale, cit., p. 420
ss. Per una interessante applicazione giurisprudenziale T. Lecce, 11 luglio 1999, in Giur. mer.,
2000, p. 965 ss.
95
Senza contare che la contestazione di una delle parti apre la strada, anche in assenza di giudizio di merito, ad una nuova designazione del Capo dell’ufficio: Merlin, voce Procedimenti
cautelari, cit., p. 420 ss.
96
L’art. 669 decies, come modificato dalla l. n. 80/2005, ha razionalizzato i rapporti tra revoca
e reclamo in relazione alla possibilità di allegazione delle sopravvenienze, aspetto sul quale
non si riscontrava uniformità di vedute in dottrina e giurisprudenza (per i termini del relativo
dibattito si rimanda, a titolo esemplificativo, a Delle Donne, Mutamenti nelle circostanze e preclusione del dedotto e del deducibile nel processo cautelare, in www.judicium.it). In particolare,
la nuova formulazione della norma prevede che, in caso di mancata instaurazione del giudizio
di merito o di sua estinzione, ed esaurita la fase di reclamo, la revoca e la modifica possano
essere richieste al giudice che ha provveduto sull’istanza cautelare. In base alla formulazione
diversa rispetto a quella adottata ancora oggi dagli artt. 669 novies e 669 duodecies (che la riforma non ha toccato), i quali fanno riferimento al giudice che ha emanato il provvedimento, parte
della dottrina (Olivieri, Brevi considerazioni sulle nuove norme del procedimento cautelare
uniforme, in www.judicium.it) ritiene che la revoca/modifica dell’art. 669 decies vadano richieste sempre al giudice di primo grado anche se la misura sia stata concessa in sede di reclamo.
La conclusione è plausibile se si parte dal presupposto che con “istanza cautelare” ci si voglia
riferire alla sola domanda di concessione del provvedimento formulata per la prima volta. Da
questo angolo visuale è evidente la differenza rispetto all’espressione ancora oggi adottata dagli artt. 669 novies e duodecies, che fa riferimento all’emissione del provvedimento. Se però
si considera istanza cautelare anche quella formulata in sede di reclamo, ad es. per chiedere
l’emissione del provvedimento negato in prime cure, o una modifica ampliativa o qualitativa
Capitolo 2 – La competenza
63
Le soluzioni evocate, pur nella loro diversità, mostrano un denominatore
comune: la lettura del “giudice che ha emanato il provvedimento cautelare”
in termini astratti, cioè sotto il profilo formale del giudice che ha pronunciato
sulla domanda di cautela per primo (prospettiva giurisprudenziale del giudice
naturale della cautela) o per ultimo (prospettiva di chi attribuisce sempre la
competenza al giudice del reclamo).
Esiste tuttavia un altro possibile angolo di visuale, e cioè quello che privilegia la funzione dell’enforcement: la (migliore possibile) realizzazione del
contenuto precettivo della cautela.
Si tratta, segnatamente, del punto di vista che storicamente caratterizza
l’esperienza del giudizio di ottemperanza alle sentenze del giudice amministrativo, ove un preciso dato normativo97 impone che i ricorsi diretti ad ottenere
l’adempimento dell’obbligo dell’amministrazione di conformarsi al decisum
degli organi di giustizia amministrativa siano di competenza del Consiglio di
Stato o del Tar territorialmente competente secondo l’organo che ha emesso la
decisione, con la precisazione che la competenza stessa resta del Tar non solo
quando ha emesso la decisione, ma anche quando questa sia confermata dal
Consiglio di Stato. Sul dato normativo si è poi innestata e consolidata una interpretazione giurisprudenziale che ha progressivamente individuato la ratio
della scelta del legislatore e ne ha ricavato una disciplina applicativa piuttosto
articolata.
È infatti affermazione consolidata nella giurisprudenza del Consiglio di
Stato che ratio della norma sia quella di affidare l’esecuzione allo stesso giudice che, in qualità di autore della sentenza da eseguire, risulta il più idoneo
ad interpretarla e a darne applicazione.98
Questa prospettiva è alla base della costruzione pretoria di una articolata
casistica, oggi recepita dal legislatore, dalla quale si evince, ad esempio, che
se la sentenza di primo grado rigetta la domanda, che è invece accolta dal
Consiglio di stato, il giudizio di ottemperanza è di competenza di quest’ultimo; se invece il Consiglio di stato rigetta l’impugnazione per motivi di rito o
merito, resta intatta la portata precettiva della sentenza di primo grado, di cui
sarà perciò il Tar che ne è sostanzialmente autore a gestire l’ottemperanza.99
della misura già concessa, sia ai sensi dell’art. 669 decies che terdecies, la conclusione non
appare più l’unica possibile.
97
L’art. 37 della l. n. 1034/1971, il cui contenuto precettivo è oggi trasfuso nell’art. 113 del
Codice del processo amministrativo, il cui primo comma prevede appunto che la competenza
sull’attuazione è del giudice che ha emesso il provvedimento della cui ottemperanza si tratta;
la competenza è tuttavia sempre del tribunale amministrativo regionale anche per i suoi provvedimenti confermati in appello con motivazione che abbia lo stesso contenuto dispositivo e
conformativo dei provvedimenti di primo grado.
98
Cons. Stato 2 gennaio 1996, n. 14, in Foro amm., 1996, p. 56; N. Saitta, Sistema di giustizia
amministrativa , Milano, 2004, p. 316; G. Scoca, Giustizia amministrativa, Torino, 2011, passim.
99
G. Scoca, Ibidem; N. Saitta, Sistema di giustizia amministrativa, cit., p. 316.
64
l’attuazione delle misure cautelari
Per l’ipotesi più complessa di sentenza di accoglimento il cui appello sia
stato rigettato, ma con modifica della motivazione, il Consiglio di Stato,100
sul rilievo che è proprio la motivazione a sorreggere e delimitare la portata precettiva della pronuncia,101 ha invece precisato che la competenza
sull’ottemperanza spetta al giudice d’appello in tutti i casi in cui la relativa
sentenza apporti “ una correzione o integrazione della motivazione dalla
quale emergano i criteri direttivi dell’azione amministrativa”, oppure una
“specificazione dell’oggetto del giudicato, qualificato nel contesto dei limiti soggettivi ed oggettivi”.102
Queste conclusioni, nate e consolidatesi nell’esperienza dell’ottemperanza
alle sentenze (passate in giudicato) sono state poi estese prima in via pretoria e
poi dalla legge anche all’ottemperenza (alle sentenze di primo grado esecutive
e) alle ordinanze cautelari.103
L’esportabilità di questa soluzione interpretativa al nostro contesto conta
sul dato delle similitudini strutturali tra il giudizio di ottemperanza e quello
Cons. Stato 15 marzo 1994, n. 250.
Che, nelle sentenze amministrative, non può certo ritenersi delineata dallo scarno e stereotipo dispositivo di annullamento (v. amplius infra, §§ successivi): così anche F. Saitta, Il giudice
dell’ottemperanza, Milano, 1991, il quale precisa tuttavia che, proprio in applicazione di questo
principio, non ogni e qualsivoglia modifica della motivazione implica anche una modifica della
portata precettiva della sentenza, cioè il mutamento dell’attività che l’amministrazione ha l’obbligo di eseguire per ottemperare al decisum.
102
Cons. Stato 17 luglio 1991, n. 469; Cons. Stato 3 febbraio 1992, n. 59; Cons. Stato 13 maggio
1991, n. 805. La soluzione ha trovato conferma in Cons. Stato, ad. plen., 11 gennaio 2001, n.
4. V. amplius anche F. Saitta, op. loco ult. cit. Ciò a conferma del fatto che dato rilevante ai fini
dell’ottemperanza è l’identificazione del giudice cui si deve realmente l’accertamento (su cui
amplius infra, §§ 9 ss) da realizzare coattivamente, a prescindere dal fatto che formalmente si
assuma la paternità del provvedimento finale del processo in virtù delle caratteristiche tecniche
del mezzo di gravame.
103
In particolare, l’art. 21 l. Tar prevede(va), in seguito alla novellazione operatane dall’art.
3 della l. n. 205/2000, che se l’amministrazione non abbia prestato ottemperanza alle misure
cautelari concesse, la parte interessata può, con istanza notificata alle altre parti, chiedere al Tar
le opportune disposizioni attuative. In riferimento a questa disposizione, si è rilevato in dottrina
come il Tar che ha reso la cautela venga investito dei poteri inerenti al giudizio di ottemperanza al fine di fornire una sorta di “interpretazione autentica” della cautela che esso stesso ha
concesso: così N. Saitta, Sistema, cit., 344 ss. Oggi la disciplina generale dell’ottemperanza
alle sentenze ed agli altri provvedimenti resi dal giudice amministrativo (e non solo) è contenuta nell’art. 113 del nuovo Codice del processo amministrativo, che recepisce la precedente
normativa e gli orientamenti giurisprudenziali su di essa consolidatisi. Quanto all’esecuzione
delle ordinanze cautelari, provvede l’art. 59 per il quale l’interessato può chiedere al tribunale
amministrativo regionale le opportune misure attuative, e il tribunale stesso esercita i poteri
inerenti al giudizio di ottemperanza di cui al Titolo I del Libro IV. La disposizione recepisce
sostanzialmente il disposto in parte qua dell’art. 3 della l. n. 205/2000, in riferimento al quale
si è ritenuto che operassero comunque le medesime regole in punto di competenza forgiate dal
diritto vivente: v., a titolo esemplificativo, Villata-Goisis, in Romano-Villata, Commentario
breve alle leggi sulla giustizia amministrativa, Padova, 2009, p. 737. La soluzione non può
essere smentita in costanza dell’art. 59 cit: così De Carolis, Commento all’art. 59, in Codice del
nuovo processo amministrativo, a cura di Caringella e Protto, Roma, 2010, p. 569 ss.
100
101
Capitolo 2 – La competenza
65
esecutivo disegnato dall’art. 669 duodecies in parte qua, entrambi caratterizzati da comune filiazione con l’actio iudicati104. In particolare, al giudice che
ha reso la cautela il legislatore del 1990 attribuisce la gestione globale della
relativa esecuzione, e dunque ogni profilo afferente non solo all’interpretazione del dictum ed all’esistenza attuale dell’inadempimento (o inesatto adempimento) volontario, ma anche di ogni difficoltà e contestazione insorte nel
corso del procedimento (v. amplius infra), proprio come accade per il giudizio
di ottemperanza.
Sicchè, considerato che comunque il legislatore ha ripudiato, a monte, la
prospettiva (del Libro III del c.p.c.) della competenza radicata nel luogo ove
l’esecuzione è destinata ad avvenire, delle due soluzioni astratto prospettabili
quella che identifica il giudice dell’attuazione con lo stesso magistrato che ha
reso la cautela sembra essere la più coerente con gli ampi poteri riconosciuti
a quest’ultimo nel contesto dell’attuazione disegnata dall’art. 669 duodecies
in parte qua.105
L’efficace illustrazione del fenomeno si deve a Sassani, Dal controllo del potere cit., passim.
105
Dato di partenza dovrebbe perciò essere, anche per l’attuazione disegnata dall’art. 669 duodecies in parte qua, così come per il giudizio di ottemperanza, l’identità tra il giudice (singolo
o collegiale) che ha reso la misura e quello chiamato a sovrintenderne l’attuazione, occorrendo
poi verificare di volta in volta l’effettiva, e non solo formale, paternità del dictum. Così, se la
cautela resa in primo grado è oggetto di reclamo ed ivi la domanda è rigettata per ragioni di
rito o di merito, il giudice che per ultimo ha esaminato la domanda è quello del reclamo. Ad
onta della natura devolutiva e sostitutiva del rimedio, l’autore sostanziale del provvedimento da
eseguire resta però, dal punto di vista dell’art. 669 duodecies, sempre il giudice di primo grado,
ed a lui spetta perciò anche sovrintendere all’attuazione. Con la precisazione che, se trattasi di
cautele il cui contenuto precettivo consiste in ordini di facere-dare-pagare, il rigetto del reclamo
anche per motivi di merito non pone problemi di mutamento della reale portata del dictum, in
quanto essa è tutta racchiusa nel dispositivo, e non ha bisogno di essere ricostruita attraverso
la lettura integrata dai motivi della decisione. Non occorre dunque in tal caso, a differenza di
quanto accade per le cautele a contenuto complesso, indagare sulla possibilità che il collegio,
rigettando il reclamo, abbia adottato altra motivazione incidendo comunque sul dictum da eseguire. Così, ancora, se la cautela è resa per la prima volta in sede di reclamo, è il medesimo
collegio che deve sovrintendere all’attuazione: v. in tal senso App. Milano 10 novembre 2005,
in Foro. it., 2006, I, c. 1187, per il quale la competenza a disporre le modalità di attuazione
della misura cautelare concessa in sede di reclamo avente ad oggetto obblighi di fare-non fare
spetta alla Corte d’appello in composizione collegiale. Secondo Arieta, Reclamabilità del provvedimento di rigetto e struttura del reclamo cautelare, in Giur. cost., 1994, p. 2056 ss, invece,
se il provvedimento cautelare viene reso dal giudice del reclamo, il potere di attuazione spetta
al collegio fino a quando non penda il giudizio di merito, e poi al giudice istruttore. La conclusione non appare però condivisibile da un lato per i rilievi già formulati nel testo; dall’altro
perché la gestione dell’attuazione compete al relativo giudice ed è del tutto estranea ai profili
riservati al giudizio di merito (v. amplius supra, § 1). Nell’ipotesi che la cautela sia oggetto di
istanza di modifica ex art. 669 decies che è accolta, è chiaro che il contenuto precettivo della
nuova cautela è per definizione diverso da quello originario, con ogni conseguenza anche in
ordine alla competenza sull’attuazione. Se i provvedimenti di modifica ex art. 669 decies sopravvengono in corso di attuazione, il loro essere un rinnovato esercizio del potere cautelare dà
al giudice anche il potere di gestirne l’attuazione nella sua globalità. Se invece è il giudice del
reclamo a modificare la cautela quando ne è già in corso l’attuazione, portando ad consequen104
66
l’attuazione delle misure cautelari
Sezione Iii
Riepilogo
1. Tre modelli, e tre rationes, a confronto
L’esame dell’“attuazione” cautelare sotto il profilo della competenza ha messo in evidenza tre diversi percorsi.
Il primo è quello che ha per protagonisti i sequestri e che si è mostrato
obbligato per le esigenze di sistema presupposte dall’art. 669 duodecies. Esse
hanno conferito al rinvio ivi operato agli artt. 677 e segg. ed alle disposizioni sull’esecuzione per consegna-rilascio e per obblighi di fare un carattere
estremamente limitato, in particolare inidoneo a sciogliere proprio il nodo
dell’identificazione del giudice dell’“attuazione”, che non è quello dell’esecuzione ma quello, inteso quale magistrato, che ha reso il provvedimento autorizzativo.
Ciò in ragione dello stretto legame tra vincolo, custodia dei beni in cui
consiste e controllo giudiziale che appaiono così strettamente avvinti e capaci
di condizionarsi a vicenda che, come si vedrà (infra, cap. IV), la distruzione
dei beni sequestrati o l’invalidità della costituzione comporta, ad esempio, il
venir meno del vincolo per mancanza del suo oggetto, e che sono all’origine
dell’inscindibilità della fase autorizzativa da quella di “attuazione”, di cui è
già detto.
Il secondo ed il terzo percorso sono invece quelli ove l’“attuazione” stessa
identifica un fenomeno di esecuzione forzata, segnatamente dei dicta di condanna pecuniaria e di fare-non fare-dare.
Per i primi il fatto che esuli dalla normativa richiamata l’art. 484 sul giudice dell’esecuzione pone l’interprete di fronte alla possibile alternativa tra il
giudice che ha reso la misura, secondo l’opzione dell’art. 669 duodecies per
gli ordini di facere-dare; ed il giudice dell’esecuzione, appunto, ma il dubbio
è superato in favore di quest’ultimo in ragione della necessità di coordinare,
nei termini già riferiti ( e sui quali si tornerà amplius infra, cap. III) l’azione
esecutiva del beneficiario della cautela con quelle di altri creditori agenti in
base a titolo esecutivo.
tias il principio affermato nel testo deve dedursi che l’attuazione, da rimodulare in riferimento
alla modifica della portata precettiva della cautela, divenga di competenza del collegio che ha
provveduto sul reclamo, il quale subentra al giudice di prime cure: così Saletti, Provvedimenti
urgenti per il processo civile. Commentario a cura di Tarzia e Cipriani, Padova, 1993, p. 392.
Se invece l’istanza è rigettata, nulla quaestio. Secondo T. Roma 23 luglio 2003, in Foro. it.,
2003, I, c. 2838, in pendenza di reclamo ex art. 669 terdecies la competenza a conoscere di
eventuali profili sopravvenuti e ad apportare modifiche al provvedimento reclamato finalizzate
all’attuazione dello stesso ex art. 669 duodecies spetta esclusivamente al giudice del reclamo,
sicchè l’integrazione della cautela da parte del giudice di prima istanza, che intervenga successivamente alla proposizione del reclamo, non osta alla pronuncia sul gravame.
Capitolo 2 – La competenza
67
Ragioni di sistema, dunque, ancora una volta. A differenza di quanto visto
per i sequestri esse non si sono tuttavia imposte in considerazione della natura
stessa del fenomeno regolato, ma solo di una opzione di tecnica processuale:
conferire al creditore cautelare un potere di espropriazione del patrimonio del
debitore è infatti scelta di campo che, per l’ampiezza della sua prospettiva,
impone l’adozione delle regole di coordinamento tra più azioni esecutive, segnatamente quella del creditore cautelare e quella dei creditori titolati, che dovranno svolgersi necessariamente, in virtù del congegno tecnico del riunione
ex art. 493, comma 2°, c.p.c., secondo le regole integrali del Libro III del c.p.c.
e dunque anche secondo quelle sulla competenza (art. 493, comma 3°).
Sicchè qui il rinvio agli artt. 491 e segg., a differenza di quello agli artt. 677
e segg. ed alle disposizioni sull’esecuzione in forma specifica, si è rivelato più
ristretto di quanto sarebbe stato necessario, comprendendo anche l’art. 484
che identifica proprio il giudice dell’esecuzione.
L’“attuazione” delle cautele recanti ordini di fare-non fare- dare è l’unico
caso in cui l’indicazione dell’art. 669 duodecies non è stata affidata al rinvio
ad altri complessi normativi.
Qui però l’opzione pregiudiziale a favore del “giudice che ha emanato il
provvedimento cautelare”, che esclude ogni possibile coinvolgimento delle
regole dettate per l’esecuzione in forma specifica dal Libro III del c.p.c., non
è bastata a semplificare il quadro, che è invece risultato comunque complicato
dalla scarsa pregnanza del dato testuale. Esso non chiarisce infatti se si tratti
dello stesso ufficio o allo stesso magistrato e per di più è formulato in modo
da intersecarsi con altri problemi interpretativi, quale quello della natura del
reclamo, oggi peraltro risolto da un successivo intervento normativo che ha
chiarito i precedenti dubbi.
Le molteplici direzioni lungo le quali si è sviluppata la riflessione nella
dottrina e nella giurisprudenza civili sono apparse sintomatiche della difficoltà di rintracciare una ratio unitaria nella previsione persino da parte di quella
stessa giurisprudenza di legittimità che, alfine giunta a prendere posizione, si
è limitata ad affermazioni prive di ogni argomentazione.
Maggiormente proficua si è invece rivelata l’evoluzione del dibattito nel
diverso ambito del giudizio di ottemperanza amministrativo, ove quanto
nell’esperienza cautelare civile è stato percepito come un duplice ordine di
problemi, l’uno avulso dall’altro (alternativa stesso ufficio-stesso magistrato; competenza in caso di reclamo), è stato risolto alla luce di un’unica ratio
fondante, identificando cioè il giudice dell’ottemperanza con quello, di prime
cure o d’appello, cui si deve la concreta portata precettiva del dictum da eseguire forzosamente.
Si tratta di scelta tecnica che sconta la difficoltà della probabile distanza
tra il giudice dell’attuazione ed il luogo in cui questa deve svolgersi,106 al
106
Ai sensi dell’art. 106 del D.P.R. 15 dicembre 1959 n. 1229.
68
l’attuazione delle misure cautelari
contrario di quella che radica invece la competenza nel luogo dell’esecuzione
e che è utilizzata nelle esecuzioni del Libro III del c.p.c.. Quest’ultima appare
però praticata solo laddove le esigenze legate all’interpretazione del dictum da
eseguire appaiano recessive in virtù dell’operare della tecnica del titolo esecutivo, che inibisce al giudice dell’esecuzione ogni intervento interpretativo sul
provvedimento; o dall’essere la decisione da eseguire emessa da una diversa
giurisdizione, e dunque parimenti insuscettibile di essere integrata in sede di
ottemperanza dal giudice amministrativo107.
L’art. 37 della l. n. 1034/1970 cit. (oggi abrogato) dettava criteri diversi da quelli già visti
(supra, sez. II, parte II, § 1) per la competenza a gestire l’ottemperanza alle sentenze del giudice ordinario, che apparteneva al Tar se l’autorità amministrativa chiamata a conformarsi era
un ente che esercitava la sua attività esclusivamente nei limiti della circoscrizione del Tar medesimo; al Consiglio di Stato negli altri casi. L’interpretazione giurisprudenziale (Cons. Stato,
ad. plen. 22 dicembre 1990, n. 11; Cons. Stato 16 ottobre 1995, n. 803, in Foro amm., 1995,
p. 1161) aveva poi chiarito che, quando trattavasi di amministrazione dello Stato, occorreva
riferirsi all’organo anche periferico che per competenza era tenuto concretamente all’ottemperanza, in quanto la vicinanza territoriale all’organo obbligato avrebbe reso più semplice anche
la nomina del commissario ad acta ed il suo controllo. Alla stessa conclusione si perveniva del
resto quando in via pretoria la giurisprudenza amministrativa si autoattribuiva la competenza
a gestire l’ottemperanza alle sentenze rese da altri giudici speciali. L’inoperatività del criterio
sostanzialistico basato sul giudice concretamente autore della decisione qui non aveva senso, la
decisione stessa provenendo da altro plesso giurisdizionale, rispetto al quale l’interpretazione
stessa doveva mantenersi entro limiti ben precisi per evitare l’intromissione in una diversa sfera
di giurisdizione avente pari dignità costituzionale, e men che mai poteva spingersi ad integrare
il decisum ottemperando. Così, tornava in auge il criterio territoriale tipico dell’esecuzione del
Libro III del c.p.c., che offriva almeno il vantaggio della vicinanza all’organo obbligato. V., ad
esempio, Cons. Stato, ad. plen. 17 gennaio 1997, n. 1; Cons. Stato 4 marzo 1999, n. 244, in Riv.
cancellerie, 2000, p. 283; Cons. Stato 21 dicembre 1999, n. 1901, in Riv. Corte Conti, 1999,
p. 237; Cons. Stato 6 maggio 1998, n. 663, in Foro amm., 1998, p. 1465, che ha ritenuto inappellabile al Consiglio di Stato una sentenza pronunciata dal Tar in sede di ottemperanza di una
sentenza della Corte dei Conti, proprio sull’assunto dell’impossibilità di integrare un precetto
posto da un giudice appartenente a diversa giurisdizione. Del pari, si riteneva inammissibile il
ricorso al giudice amministrativo per ottenere l’ottemperanza ad una ordinanza cautelare resa
dalla Corte dei Conti, che come tale avrebbe dovuto essere sottoposta al controllo immanente
del suo giudice naturale senza interferenze da parte di un diverso comparto giurisdizionale: così
Cons. Stato 4 maggio 1999, n. 778, in Cons. Stato, 1999, I, p. 792. Amplius anche F. Saitta, Il
processo contabile, cit., p. 427 ss. L’art. 10 della l. n. 205/2000 ha poi demandato alle stesse
sezioni giurisdizionali della Corte dei Conti l’ottemperanza alle proprie decisioni, conferendo
ad essa tutti i poteri esplicabili dal giudice amministrativo per l’ottemperanza alle proprie sentenze. Lo stesso era già avvenuto per le Commissioni tributarie ad opera dell’art. 70 del d. lgs.
n. 546/1992. In tal modo si è corretto il limite intrinseco dell’attribuzione dell’ottemperanza ad
un giudice che per appartenere ad un diverso comparto giurisdizionale non poteva certo esplicare i poteri strumentali alla migliore comprensione della sentenza da ottemperare. Oggi l’art.
113, comma 2°, del Codice del processo amministrativo stabilisce che per l’ottemperanza alle
sentenze del giudice ordinario è competente il Tar nella cui circoscrizione ha sede il giudice
ordinario che ha emesso la sentenza. La soluzione è diversa da quella precedentemente fatta
propria dall’art. 37 cit., e punta alla semplificazione nell’identificazione del giudice amministrativo, automaticamente individuabile in base alla circoscrizione di quello che ha reso la
pronuncia da eseguire.
107
Capitolo 2 – La competenza
69
Scelte tecniche inconciliabili perché inconciliabile è la struttura dei processi esecutivi che assistono.
Della chiave di lettura invalsa nel giudizio di ottemperanza si è adombrata
l’esportabilità nel contesto cautelare civile per l’evidente similitudine strutturale tra le due esecuzioni forzate e per la necessità che anche in quella cautelare il giudice competente venga identificato non in base a considerazioni
astratte, ma nell’ottica del contesto attuativo in cui è chiamato ad operare.
Ciò soprattutto in ragione della circostanza che la cautela assume, nelle
sue manifestazioni di gran lunga più rilevanti sul piano sociale ed economico
(si pensi agli ordini di reintegra nel posto di lavoro o alle inibitorie di atti di
concorrenza sleale resi ex art. 700; o alla sospensione di delibere societarie
resa ex art. 2378, comma 3°, c.c.) contenuti complessi non schematizzati ex
ante in un dispositivo condannatorio, e di cui appare necessario, come si vedrà
(infra, cap. III, Sez. II, parte II) proprio il contributo interpretativo del giudice dell’attuazione cui l’art. 669 duodecies affida la gestione globale di ogni
aspetto dell’esecuzione.
Si profila così la divaricazione profonda dalle soluzioni tecniche del Libro
III predicabili per le cautele di pagamento ed una singolare coincidenza con
quelle applicate invece all’“attuazione” dei sequestri.
E tuttavia, se in entrambi i fenomeni emerge la coincidenza tra il magistrato che ha reso la cautela e quello chiamato a sovrintenderne l’“attuazione”,
lontanissime ne restano le rationes ispiratrici, nel primo caso fondate sulla
coerenza con la scelta di tecnica processuale adottata dal legislatore del 1990,
nel secondo imposte invece dal vincolo inscindibile tra le due fasi sconosciuto, come meglio risulterà anche in prosieguo, ad ogni fenomeno tecnicamente
esecutivo.
CAPITOLO 3
il procedimento
Sommario: Sezione I. La prospettiva del vincolo pubblicistico sui beni (l’“attuazione”
dei sequestri) –1. Considerazioni introduttive: i sequestri giudiziario e conservativo tra procedimento cautelare uniforme e lex specialis della Sezione II del Capo III
del Libro IV del c.p.c. – 2. L’art. 675 c.p.c. e la decorrenza del termine di efficacia
del provvedimento autorizzativo del sequestro. Il problema dei successivi atti di esecuzione – 3. L’“attuazione” del sequestro giudiziario: la costituzione del vincolo sui
beni – 3.1. Segue: nomina e sostituzione del custode, obbligo di rendiconto e diritto al
compenso. Il problema del controllo sull’attuazione – 3.2. Segue: poteri ed obblighi
del custode. La legittimazione processuale, l’amministrazione dei beni ed i contratti –
3.3. Segue: sequestro giudiziario e potere di disposizione giuridica del bene in capo al
sequestrato – 3.4. Segue. Il problema della trascrizione del sequestro giudiziario. La
pubblicizzazione del sequestro sui mobili e le sue ricadute sull’effettività della misura
– 4. L’“attuazione” del sequestro conservativo: a) sui beni mobili e sui crediti – 4.1.
Segue. L’attuazione del sequestro conservativo: b) sui beni immobili e sui beni mobili
registrati – Sezione II. La prospettiva dell’esecuzione forzata (l’“attuazione” delle
cautele anticipatorie) – Parte I. L’attuazione delle cautele di condanna pecuniaria –
1. Premessa: l’esecuzione delle cautele di condanna pecuniaria tra richiamo agli artt.
491 e segg. del c.p.c. e disciplina sostanziale dei rapporti tra il patrimonio del debitore
ed i suoi creditori – 2. Il “concorso dei creditori”: diverse rationes dietro una formula
ambigua – 3. Gli effetti del “concorso dei creditori”nel contesto espropriazione del
Libro III del c.p.c. – 3.1. Segue: … e nell’espropriazione intrapresa in base a cautela
di pagamento: inconciliabilità – 4. Gli sviluppi ricostruttivi: la rilevanza delle diverse rationes del concorso dei creditori – 4.1. Segue: quando il concorso dei creditori
è al servizio della regola della responsabilità patrimoniale – 4.2.- Segue: quando il
concorso dei creditori è solo il frutto di una scelta del legislatore processuale – 5. Le
norme sull’esecuzione forzata ed il vaglio di compatibilità dell’interprete: una ipotesi
ricostruttiva – 5.1. Segue: le norme sulla vendita forzata – 5.2. Segue: le norme sul
pignoramento presso terzi – Parte II. L’attuazione delle cautele recanti ordini di farenon fare-dare – 1. La fissazione delle modalità esecutive ed il controllo sull’attuazione
– 1.1. Segue: la nomina degli ausiliari. L’emersione della figura del cd. commissario
ad acta – 2. Le misure coercitive – Sezione III. Riepilogo – 1. L’“attuazione” cautelare
e i differenti scopi cui è asservita
72
l’attuazione delle misure cautelari
Sezione I
La prospettiva del vincolo pubblicistico sui beni
(l’“attuazione” dei sequestri)
1. Considerazioni introduttive: i sequestri giudiziario e conservativo tra
procedimento cautelare uniforme e lex specialis della Sezione II del
Capo III del Libro IV del c.p.c.
La ricostruzione della disciplina oggi applicabile al procedimento di “attuazione” dei sequestri presuppone la verifica della portata dei mutamenti indotti
dall’entrata in vigore della l. n.353/1990 (e dei successivi interventi di modifica del 2005) che ha apprestato, per la prima volta nel nostro ordinamento, un
modulo procedimentale applicabile a tutte le misure cautelari almeno previste
dal codice di rito.
I rapporti tra la specifica normativa olim dettata dal codice di rito per i
sequestri (artt. 677 e segg.) ed il procedimento cautelare uniforme appaiono
infatti piuttosto articolati.
Da un lato la legge del 1990 ha eliminato il giudizio di convalida e le
norme sulla competenza a disporre la misura; dall’altro ha reso applicabile ai
sequestri degli artt. 670 e ss la disciplina degli artt.669 bis e segg c.p.c., che
va dunque a colmare le lacune createsi a seguito dall’abrogazione di quelle
specifiche norme (art. 669 quaterdecies).
In particolare, a seguito dei nova normativi la disciplina dei sequestri appare oggi improntata:
a) alla reclamabilità del provvedimento sia positivo che negativo (art. 669
terdecies); b) alla previsione, assente nel previgente regime, che anche il provvedimento reso inaudita altera parte deve essere confermato, modificato o
revocato in contraddittorio con la controparte, in una fase ancora squisitamente cautelare (art. 669 sexies), senza attenderne la revoca con sentenza passata
in giudicato; c) alla possibilità di modifica /revoca al verificarsi di mutamenti
nelle circostanze o in seguito all’allegazione di nova (art. 669 decies); d) alla
cessazione degli effetti giuridici al sopravvenire della sentenza anche di primo
grado (art. 669 novies); e) ancora, e proprio in riferimento ai profili attuativi,
all’abrogazione del giudizio di convalida olim disciplinato dagli artt. 680-682,
processo a cognizione piena da promuoversi dallo stesso ricorrente (insieme al giudizio dichiarativo) ed avente lo scopo di verificare l’esistenza delle
condizioni di concessione della misura, ed in cui confluivano tutti i problemi
relativi alla fase di attuazione.
Sicchè, in definitiva, i profili di riesame del provvedimento autorizzativo e
quelli della sua modifica-revoca, olim attratti alla sedes della convalida, sono
oggi confluiti in altrettante sedi cautelari (individuate dagli artt. 669 terdecies
e decies), mentre i profili attuativi sono gestiti, nei modi che saranno precisati,
dal giudice della cautela.
Capitolo 3 – Il procedimento
73
Tuttavia l’innesto del nuovo modulo procedimentale su quello già esistente
non si riduce al limitato ruolo di supplenza, riverberando invece i suoi effetti
anche sui frammenti di disciplina rimasti formalmente immutati. Di questi, e
della legge del 1990, si rende dunque necessaria una rimeditazione alla luce
del nuovo contesto nel quale vengono ad inserirsi.
È il caso, ad esempio, dell’art. 675, formalmente non abrogato dalla l.
n.353/1990 ma di cui va verificata la perdurante ratio per valutarne la sopravvivenza nel mutato contesto (v. infra il prossimo § ).
Ma è anche il caso dell’art. 669 duodecies quanto ai profili della fase di
“attuazione” dei sequestri non specificamente regolati.
Qui il rinvio agli artt. 677 e segg. va collocato nel contesto della funzione
conservativa già ampiamente illustrata e limitato perciò all’individuazione del
quomodo dell’immissione in possesso del custode per il sequestro giudiziario
ed alla creazione di vincoli equivalenti a quelli del pignoramento per il sequestro conservativo.1
Quanto invece alla risoluzione delle numerose altre questioni che si pongono a seguito della costituzione del vincolo e che non trovano adeguata sedes
nelle disposizioni del Libro III del c.p.c., occorre distinguere.
Per il sequestro giudiziario la regolamentazione dell’attività di gestioneamministrazione del custode, comprensiva delle eventuali contestazioni di
parti e terzi, è regolata anzitutto dalla disposizioni speciali sulla custodia, cui
occorre riferirsi anche per gli specifici profili che regolano l’attività dell’ausiliare, mentre i profili di contestazione (delle parti e dei terzi) in ordine alla
correttezza della sua investitura e dunque alla valida costituzione del vincolo
sono attratti in prima battuta al giudice dell’attuazione e poi confluiscono, per
le ragioni che si vedranno, nel procedimento ex art. 669 novies.
Quest’ultima conclusione si impone anche quanto al sequestro conservativo in relazione agli specifici profili “dinamici” (vincolo nella dimensione di
durata) attinenti alla contestazione della validità/correttezza della procedura di
apposizione del vincolo nel termine dell’art. 675.
2. L’art. 675 c.p.c. e la decorrenza del termine di efficacia del provvedimento autorizzativo del sequestro. Il problema dei successivi atti di
esecuzione
Uno dei maggiori problemi interpretativi affacciatisi all’indomani dell’entrata in vigore della L. n. 353 del 1990 ha riguardato2 l’art. 675 c.p.c.. La diCosì Luiso, Diritto processuale, cit., IV, passim.
Vullo, L’attuazione, cit, p. 258 ss; Pototschnig, L’attuazione dei sequestri, in AA.VV., Il nuovo
processo cautelare, a cura di Tarzia, Padova, 1993, p. 577 ss; De Cristofaro, La Consulta fa
salvo un frammento della vecchia disciplina procedimentale dei sequestri, in Resp. civ. prev,
1995, p. 896 ss; Brunelli B, Note sull’esecuzione del sequestro,in Riv. trim. dir. e proc. civ,
1997, p. 119 ss.
1
2
74
l’attuazione delle misure cautelari
sposizione, formalmente non ascrivibile al novero di quelle richiamate per
l’attuazione dei sequestri dall’art. 669 duodecies ma neppure formalmente
abrogata dalla l. n.353/1990, prevede che il sequestro perda efficacia se
non eseguito nel termine di trenta giorni dalla pronuncia del provvedimento
autorizzativo.
Va anzitutto rilevato che l’art. 675 pone3 un termine a presidio della perdurante efficacia non del sequestro tout court, che presuppone l’attuazione, ma
(solo) del provvedimento autorizzativo dello stesso: quest’ultimo, spirato il
termine, non è più idoneo a fondarne l’“attuazione”.
Dottrina e giurisprudenza appaiono sostanzialmente concordi nel considerare il termine come di perenzione e non invece di decadenza4, quest’ultima
determinando, una volta verificatasi, l’estinzione della facoltà non esercitata;
laddove invece il beneficiario, pur dopo lo spirare del termine ex art. 675, può
ben richiedere un nuovo provvedimento autorizzativo cui far seguire ritualmente la fase di attuazione.5
La questione interpretativa cui si faceva cenno è duplice. Essa riguarda da
un canto la perdurante vigenza dell’art. 675 e dall’altro la decorrenza del termine, che secondo il tenore letterale della norma è agganciato alla pronuncia
del provvedimento autorizzativo e non al successivo incombente della comunicazione al beneficiario.
Sulla disposizione pesano infatti in vario modo le modifiche introdotte nel
1990, prima fra tutte l’abrogazione del giudizio di convalida6 cui appariva,
secondo comune esegesi, funzionalmente collegata nel previgente regime. È
per questo che dopo l’entrata in vigore della l. n.353/1990 la disposizione è
stata oggetto di una interpretatio abrogans7 e di una censura di illegittimità
costituzionale.8
A sostegno della prima si sono addotte considerazioni sistematiche legate
al precedente regime ove, vigente ex art. 672 (oggi abrogato) la regola della
concessione ante causam con decreto inaudita altera parte, il termine impoVerde F., Il sequestro, cit., p. 532.
E neppure, maiori causa, di prescrizione, non ponendosi, all’evidenza, alcuna questione relativa al mancato esercizio di un diritto sostanziale per un determinato tempo. V. amplius Vullo,
L’attuazione, cit., p. 267; Verde F., Il sequestro, cit., p. 536.
5
Da tale punto di vista, il termine ex art. 675 appare analogo a quelli di cui agli artt. 481 e 497
c.p.c., che sanzionano con l’inefficacia il precetto ed il pignoramento non seguiti da ulteriori
atti di impulso processuale nei termini ivi previsti: così Verde F., Il sequestro, cit., p. 536, ove
anche indicazioni bibliografiche e della non recente giurisprudenza.
6
Vullo, op.cit, p. 260.
7
Brunelli, Note sull’esecuzione, cit ,p. 144; De Cristofaro, op. loco ult. cit.
8
De Cristofaro, op ult. cit, p. 901; Conte, Il sequestro conservativo nel processo civile, Torino,
2000, p. 174; Fadel, Di nuovo all’esame della Corte Costituzionale il “dies a quo” del termine
per l’esecuzione dei sequestri,in Giur it, 1995, I, 2, c. 175 ss. La soluzione viene considerata
praticabile anche dalla Brunelli, op.cit, p.145, ove non si ritenesse di accedere, secondo la tesi
da lei preferita, alla abrogazione della norma. Per la giurisprudenza si rinvia a T. Pinerolo 14
ottobre 1994, in G.U., 1994, I serie speciale.
3
4
Capitolo 3 – Il procedimento
75
sto per l’attuazione appariva funzionale alla decorrenza del dies a quo per la
notifica del provvedimento al debitore e per l’inizio del giudizio di convalida
e di merito.9 L’art. 675 costituiva perciò la risposta del sistema all’esigenza
di contemperare le ragioni di urgenza del beneficiario con il diritto di difesa
della controparte.10
Oggi che invece il legislatore ha adottato la regola del contraddittorio sia in
fase di concessione (art. 669 sexies) che di attuazione (art. 669 duodecies) del
provvedimento, la norma rimarrebbe priva della sua funzione, dovendosene
perciò predicare l’abrogazione implicita per incompatibilità.
A sostegno della censura di illegittimità costituzionale per contrasto con
l’art. 3 cost., si è invece fatto leva sul differente regime previsto per le altre
misure cautelari, i cui beneficiari non hanno termini di perenzione da rispettare.11
L’impostazione non è accettabile perchè l’art. 675, nel contesto del previgente regime, non era solo lo snodo tra concessione del provvedimento ed
instaurazione del contraddittorio e del giudizio di merito.
I sequestri infatti trovavano pur sempre nell’attuazione12 il momento
imprescindibile di produzione degli effetti giuridici,13 di talchè il congegno
imperniato sull’aggancio all’attuazione del termine per l’instaurazione del
contraddittorio appariva piuttosto la conseguenza di quelle caratteristiche
o, se si preferisce, la risposta normativa alla necessità che il giudizio di convalida (insieme a quello sul merito) si svolgesse su una misura giuridicamente efficace perché “attuata”.14 L’abrogazione degli artt. 672 e 673 nonché del giudizio di convalida non va dunque riguardata come svuotamento
della funzione dell’art. 675, ma solo come sostituzione di un particolare
De Cristofaro, op. ult. cit, p.897; Brunelli, op ult.cit, p. 675. Entrambi questi aa. ritengono che
il mutato quadro normativo riveli inequivocabilmente l’incompatibilità con una norma come
l’art. 675. Per il ruolo svolto dall’art. 675 nel precedente regime, si veda Santulli, v. Sequestro,
cit, p. 21 ss, nonché Vullo, op.cit, p.258 ss. In generale, Zumpano, v. Sequestro, p. 218 ss.
10
De Cristofaro, op.cit, p.897.
11
Avendo oltretutto l’art. 675 perso qualsiasi valore sistematico a seguito dell’abrogazione degli artt. 672 e 673 nonché del giudizio di convalida, il differente regime non troverebbe più
alcuna plausibile giustificazione: così, ancora, De Cristofaro, La Consulta, cit, p.898; Brunelli,
op.cit, p.138.
12
Per essi non è configurabile una attuazione “spontanea” nel senso che la locuzione assume per
le misure “anticipatorie”: v. amplius supra Cap. I, sez. I. Per l’efficace illustrazione di queste
caratteristiche prima della legge n. 353 del 1990, per tutti, Zumpano, op.cit, p.112 ss, nonché,
naturalmente, Liebman, Unità del procedimento, cit, p. 248 ss.
13
Come dimostra, se mai ve ne fosse bisogno, il fatto che la teorica dell’unitarietà del procedimento cautelare è stata costruita, inizialmente, proprio intorno ad essi V. amplius supra, cap. I,
sez. II, nonché, direttamente, Liebman, op.cit, p.248 ss, e Vullo, op.cit, p.42 ss.
14
Su questi aspetti si veda, prima della riforma del 1990, Zumpano, op. loco cit; dopo la riforma, Guarnieri, in Nota a Cass. 29 nov. 1993 n. 11789 cit. Il caso risolto in questa sentenza è una
ulteriore riprova di quanto affermato, in quanto è stata ritenuta la non convalidabilità del sequestro, per mancanza del suo oggetto, qualora al momento della chiusura della fase istruttoria del
relativo giudizio non risulti ancora apposto un vincolo su alcun bene.
9
76
l’attuazione delle misure cautelari
congegno di procedura con un altro senza alcun mutamento dei caratteri
funzionali dei sequestri15.
L’innesto della nuova disciplina su quella preesistente può certo comportare che il giudizio di merito ex art. 669 octies, o quello per la conferma,
modifica o revoca del decreto inaudita altera parte ex art. 669 sexies, comma
2°, siano instaurati quando il sequestro è già divenuto inefficace per mancata esecuzione nei termini. La circostanza appare tuttavia sostanzialmente
neutra: l’interessato potrà allegare tale circostanza ex art. 669 novies o nel
corso dell’udienza ex art. 669 sexies, comma 2°, essendo venuta meno ogni
coesistenza tra i profili di accertamento del diritto cautelato e quelli di validità
della misura cautelare del tipo di quella riscontrabile ai tempi del giudizio di
convalida.
Si può dunque concludere nel senso che, essendo venuto meno il giudizio deputato alla verifica della validità del sequestro, l’aggancio in parte
qua è inutile; avendo tuttavia la misura pur sempre bisogno di essere eseguita per avere efficacia, il termine per l’attuazione mantiene intatta tutta
la sua ratio.
Se questa lettura è plausibile vengono meno anche le censure di incostituzionalità, le ragioni di specialità che hanno suggerito l’introduzione di un termine
perentorio per l’attuazione della misura non essendo venute meno dopo la riforma del 1990 e risiedendo ancora oggi nell’indispensabilità dell’attuazione alla
giuridica esistenza della misura,16 oltre che nelle sue caratteristiche funzionali.17
Altra vivace querelle ha interessato il tenore letterale dell’art. 675 laddove
prevede quale dies a quo di inizio dell’attuazione la pronuncia e non la comunicazione del provvedimento autorizzativo, anche se reso fuori udienza.
Si è infatti adombrata, sulla scia di dubbi manifestati già prima della l.
n.353/1990,18 una questione di illegittimità costituzionale della norma, per
contrasto con gli artt. 3 e 24 della Costituzione, nella parte in cui non prevede
la decorrenza del termine dalla comunicazione, soprattutto nel contesto di cui
Il cambiamento del regime procedurale consiste infatti, come si vedrà, nell’attribuzione del
controllo sulla regolarità e validità della misura al giudice dell’attuazione piuttosto che a quello
della convalida, e nell’uso della cognizione sommaria piuttosto che di quella piena.
16
Vullo, op. it, p. 263; Pototschnig, op.cit, p. 421.
17
Non solo per le ragioni già ampliamente esposte, ma anche perché, come nota Conte, Il sequestro conservativo tra competenza del giudice delegato e termine ex art. 675 c.p.c., Giur. it,
1999, I, c. 1205 ss, tale norma viene espressamente richiamata in leggi successive alla riforma
del 1990, quale la legge sui brevetti industriali , che all’art. 82, modificato dal d.lgs19 mar 1996
n. 198, prevede l’applicazione dell’art. 675 ai sequestri ivi previsti. L’opinione maggioritaria,
in dottrina e giurisprudenza, è nel senso della sopravvivenza dell’art. 675: così, ad esempio,
Verde, in Verde-Di Nanni, Codice di procedura civil,e cit., p. 506; Pototschnig, L’esecuzione,
cit, p.502, Olivieri, I provvedimenti cautelari nel nuovo processo civile, in Riv. dir. proc., 1991,
p.714; Merlin, voce Procedimenti cautelari,cit, p. 423, Cass 14 aprile 1999 n. 3679; T. Napoli
10 febbraio 1999, in Giur. it, 1999, p. 1202 ss, con Nota di Conte, cit; T. Palmi 9 luglio 1998, in
Giur. it, 1999, c. 121, con Nota di Gennari.
18
V, ad es, T. Palermo 1 ottobre 1982, in Giur. cost, 1983, II, p. 799.
15
Capitolo 3 – Il procedimento
77
agli artt. 669 bis e segg., che fanno decorrere proprio da quest’ultima (se non
addirittura dalla notificazione, se anteriore: così, ad esempio, l’art. 669 terdecies come modificato dalla L. n. 80/2005) i termini per il compimento degli
atti ivi previsti19.
Sulla vicenda si è pronunciata la Corte costituzionale20 escludendo violazioni del principio di uguaglianza perchè la differenza tra le varie misure
cautelari autorizza il legislatore a “modulare diversamente alcuni aspetti dei
vari procedimenti con speciali norme.”21
Su questa linea si era già posta anche la Corte di cassazione22, per la quale
dal complessivo quadro normativo di riferimento non emerge che il provvedimento di sequestro debba eseguirsi nel termine perentorio solo dopo che il
beneficiario ne ha avuta conoscenza diretta tramite comunicazione.23 È qui
T. Milano, 6 ottobre 1994 in Giur. it, 1994, I, 2, c. 321, con Nota di Fadel, Brevi considerazioni su taluni profili problematici della nuova disciplina dei procedimenti cautelari; in dottrina, Colesanti, Intervento, in AA.VV, Prime esperienze del nuovo processo cautelare, Milano,
1996, p. 94; Samorì, Commento all’art.669 novies, in AA.VV., Commento breve al codice di
procedura civile, Padova, 1991, p. 1346.
20
Sia prima, come si è già detto, che dopo la riforma del 1990. Prima della legge, v. Corte cost.
31 marzo 1988 n. 386 (ord), Giust. civ, 1988, I, p. 1384; Corte cost. 15 maggio 1990 n. 258,
Giur cost, 1990, p. 1541; dopo la legge, v. Corte cost. 31 ottobre 1995 n. 475, Giur cost, 1995,
p. 3645; Corte cost. 13 giugno 1995 n. 237, Giust. civ, 1995, I, p. 2008.
21
Corte cost. 13 giugno 1995 n. 237, cit. Anche sotto il profilo della violazione del diritto di
difesa la norma non è stata ritenuta censurabile. Al contrario, la Corte ha ritenuto sussistenti
“quelle peculiari caratteristiche del procedimento e quelle esigenze di giustizia” che legittimano il decorso del termine da un momento precedente a quello della sua comunicazione, senza
che ciò comporti un onere eccessivo a carico del beneficiario della cautela. V. ancora Corte
cost. 13 giugno 1995 n. 237, cit, che richiama i precedenti di Corte cost. 7 maggio 1993 n. 223,
in Giust. civ, 1993, I, p. 1729; Corte cost. 22 novembre 1985 n. 303, ivi, 1986, I, p. 323; Corte
cost. 2 dicembre 1980 n. 155, ivi, 1980, I, p. 257; Corte cost. 12 novembre 1974 n. 255, ivi,
1975, III, p. 31.
22
Cass. 16 ottobre 1992, n. 11345.
23
Né argomenti in contrario sembrano emergere dalla copiosa giurisprudenza costituzionale
che, soprattutto in riferimento alla legge fallimenare, si è negli anni assestata nel ritenere illegittime le norme che aggancia(va)no “(…) la decorrenza di termini perentori, previsti per
impugnare provvedimenti (asseritamente) lesivi di diritti soggettivi, da momenti (emanazione del provvedimento, affissione) diversi da quello della notificazione o comunicazione dei
provvedimenti stessi”: così, da ultimo, Corte cost. 14 aprile 2006, n. 154, in www.giurcost.
it, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 213 della legge fallimentare (nel
testo precedente al d. lgs. n. 169/2006), nella parte in cui fa decorrere il termine perentorio
di venti giorni per proporre contestazioni avverso il piano di riparto dalla pubblicazione in
G.U. della notizia dell’avvenuto deposito del medesimo in cancelleria, anziché dalla comunicazione data a ciascun creditore con raccomandata a/r o con altro mezzo previsto dalla
legge. V. anche l’immediato precedente rappresentato dalla sentenza n. 224/2004, che ha
dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 144, comma 4°, della legge fallimentare,
nella parte in cui prevede che il termine per la proposizione del reclamo avverso la sentenza che provvede sull’istanza di riabilitazione decorre dalla affissione della sentenza stessa
anziché dalla sua comunicazione. Nella prima sentenza vi è anche la ricostruzione, con l’indicazione dei relativi precedenti, della coerente linea interpretativa con la quale la Consulta
ha riletto in senso costituzionalmente orientato le varie disposizioni della legge fallimentare
19
78
l’attuazione delle misure cautelari
infatti, secondo la Corte, proprio la natura di termine di perenzione e non di
decadenza a giustificare la decorrenza dalla pubblicazione del provvedimento
e non alla sua comunicazione: lungi dal comprimere poteri o facoltà del beneficiario, la decorrenza de qua appare al contrario coerente con l’interesse a
perfezionare quanto prima il vincolo, soprattutto in caso di decreto inaudita
altera parte, invece di attendere una comunicazione che può anche essere
tardiva o mancare.
Si tratta insomma di un bilanciamento di interessi, che il legislatore ordinario ha operato riconoscendo in capo al beneficiario del sequestro un onere
di diligenza peraltro non sanzionato con la perdita definitiva della possibilità
di ottenere la cautela.24
Sciolto in tal modo il nodo della decorrenza del termine, occorre tuttavia
ancora constatare che l’art. 675 può, come rilevato da chi ne propugna l’abrogazione implicita, dar luogo ad inconvenienti dovuti proprio ad un difetto di
coordinamento tra vecchia e nuova disciplina. È il caso25, ad esempio, del
provvedimento concesso inaudita altera parte, per il quale l’art. 669 sexies,
comma 2° prevede la fissazione dell’udienza per la conferma, modifica o revoca del decreto e la notifica alla controparte nel termine perentorio di otto
giorni.26 Se si ritiene, come appare coerente con la finalità della disposizione, che il termine per l’attuazione decorra dalla pronuncia del provvedimento
senza contraddittorio, piuttosto che da quella del successivo provvedimento
di conferma, modifica o revoca, il termine utile per evitare manovre elusive
del debitore si riduce proprio a questi otto giorni, dopo i quali il debitore, già
venuto a conoscenza della misura, ne può vanificarne l’attuazione.27
che agganciavano i termini di impugnazione dei provvedimenti a momenti diversi dalla loro
comunicazione-notificazione agli interessati. Né gli approdi né i percorsi argomentativi si
attagliano però al nostro contesto che, vedendo quale protagonista un provvedimento autorizzativo di sequestro, è caratterizzato da ragioni di speditezza della procedura a presidio
delle quali è posto un semplice termine di perenzione e non di decadenza. Del che è conferma anche l’inapplicabilità al termine stesso della sospensione feriale di cui all’art. 3 della l.
n. 742/1969 (e su cui v. Cass. 24 agosto 1990, n. 8679, per la quale, appunto, la sospensione
feriale non si applica ai procedimenti cautelari).
24
Attesa la possibilità di riottenere un nuovo provvedimento autorizzativo laddove l’attuazione
non sia ritualmente avvenuta in termini: così Corte cost. n. 237/1995, cit.
25
Pototschnig, L’esecuzione, cit, p. 426; Salvaneschi, Commento all’art. 669 sexies, in AA.VV.
Provvedimenti urgenti per il processo civile, cit.
26
Quanto alla decorrenza del termine per la notifica di questo decreto, parte della dottrina ritiene preferibile attestarla alla data della pronuncia piuttosto che a quella della comunicazione
(Pototschnig, L’esecuzione, cit, p. 506; Salvaneschi, La domanda e il procedimento, in AA.VV,
Il nuovo processo cautelare, a cura di Tarzia, cit., p. 281), mentre altra parte manifesta l’opposta
opinione (Samorì, Commento all’art.669 sexies, cit, p.218; Fadel, Brevi considerazioni su taluni profili problematici della nuova disciplina dei procedimenti cautelari, cit; Dini-Mammone,
I provvedimenti d’urgenza, cit, p.574). Tale ultima tesi darebbe al beneficiario della cautela un
maggiore respiro ai fini di una più proficua attuazione della misura .
27
Pototschnig, op.cit, p. 426. E qui effettivamente una maggiore riflessione del legislatore
avrebbe potuto evitare l’inconveniente magari, come suggerito da attenta dottrina, facendo
Capitolo 3 – Il procedimento
79
Perplessità desta anche la possibilità che vengano legittimamente compiuti ulteriori atti dopo che, nel termine di trenta giorni, l’attuazione sia stata
iniziata. L’evenienza, estranea al tenore letterale dell’art. 675 (che sembra al
contrario escluderla), era codificata dal previgente art. 680 che prevedeva, accanto all’onere di instaurare il giudizio di convalida e di merito, anche quello
di comunicare i successivi atti di esecuzione al debitore nel termine di quindici giorni.28 Scomparso l’unico appiglio testuale in tal senso, affiora perciò
il dubbio se tali atti siano ancora possibili oltre il termine di perenzione. La
risposta è positiva se si ritiene che ratio dell’art. 675 sia quella di sanzionare
il comportamento inerte e non invece quello incolpevole del sequestrante. Ciò
anche in considerazione della complessità che le relative operazioni possono
in concreto comportare, di talché imporne il completamento equivarrebbe ad
interpretare la norma in senso inutilmente vessatorio per il beneficiario della
cautela.29
coincidere i due termini o posponendo il termine per la notifica allo spirare di quello per l’esecuzione. Non è invece fonte di particolari inconvenienti la pronuncia ante causam ed in contraddittorio ex art. 669 sexies, comma 1°, o quella resa inaudita altera parte (Vullo, op. cit.,
p. 268) anche se i trenta giorni per l’attuazione decorrono dalla pronuncia del provvedimento
e quelli previsti dall’art. 669 octies dalla sua comunicazione. La contraria interpretazione, che
denuncia l’irrazionalità di una diversa decorrenza in base al rilievo che, riconosciuta la garanzia
della comunicazione per il dies a quo di cui all’art. 669 octies, non si potrebbe poi addossare
al sequestrante l’onere di attivarsi ad un diverso fine (Pototschnig, op.cit, p. 507 ss, il quale
propone di superare quella che per lui costituisce una insanabile contraddizione, facendo decorrere, solo in questo caso, anche il termine per l’esecuzione ex art. 675 dalla comunicazione
dell’ordinanza di accoglimento pronunciata fuori udienza) non considera la diversità delle due
situazioni, né dimostra l’esistenza di un reale pregiudizio per il sequestrante stesso. Privo di
apprezzabili conseguenze sembra pure il caso di pronuncia inaudita altera parte nel quale,
al momento dell’instaurazione della causa di merito, il provvedimento può aver già perduto
efficacia ex art. 675, dato che il termine ex art. 669 octies decorre dalla comunicazione della
successiva ordinanza ex art. 669 sexies, comma 2°.
28
In generale, su questo aspetto, Vullo, op.cit, p. 273; Pototschnig, op. ult. cit, p. 517 ss.
29
Come nota giustamente Vullo, op. it, p. 275, l’appiglio testuale di cui all’art. 680 non era
l’unica ragione per la quale gli interpreti, prima della riforma, patrocinavano la soluzione ivi
apertamente contemplata, facendosi valere appunto anche i motivi legati alla complessità di
queste operazioni. Così Guarnieri, Esecuzione del sequestro, cit, p.747 ss; Ferri C., voce Sequestro, in Dig.it, disc. priv., sez. civ, XVIII, Torino, 1998, p. 473, nota. 71. In giurisprudenza,
Cass. 14 aprile 1999 n. 3679. Anche chi, come la Brunelli, op.cit, 142 ss, ritiene che l’art. 675
non sia sopravvissuto alla legge del 1990, esclude che il legislatore abbia inteso attribuire finalità inutilmente vessatorie all’art. 675 nei confronti del beneficiario del sequestro, eliminando
con l’art. 680, l’unico appiglio normativo alla possibilità di frazionare le operazioni attuative.
Sic stantibus, allora, ciò che conta per evitare la sanzione dell’inefficacia è dunque che entro i
trenta giorni dalla pronuncia siano intraprese le operazioni attuative e quindi, in relazione alle
diverse modalità previste dagli artt. 678 e 679 per il sequestro conservativo, e 677 per quello
giudiziario, che vi sia l’ac.c.esso in loco dell’ufficiale giudiziario documentato per il sequestro
giudiziario mobiliare (per quello immobiliare sembra invece doversi far riferimento alla notifica del preavviso di rilascio ex art. 608, sempre che il custode dell’immobile sia persona diversa
dal detentore: così l’art. 677, comma 2° ) e per quello conservativo sui mobili, la notifica della
citazione di cui all’art. 678 per quello presso i terzi, e infine la trascrizione per il sequestro
immobiliare: Ferri, voce Sequestro, cit, p.473 ss.
80
l’attuazione delle misure cautelari
Il problema si sposta perciò, semmai, sulla verifica di cosa debba in concreto intendersi per successivi atti di esecuzione. Secondo un’opinione,30 l’ipotesi ricorrerebbe legittimamente nel solo caso in cui si completino operazioni
attuative già iniziate e non sarebbe perciò possibile estendere il sequestro ad
altri beni. La ricostruzione però non è accettabile: un verbale negativo di sequestro conservativo mobiliare, impedendo un nuovo accesso, precluderebbe
di fatto l’attuazione anche se l’impossibilità di intraprenderla non è imputabile
al sequestrante,31 verificandosi quell’effetto vessatorio che si è già ritenuto
estraneo alla ratio dell’art. 675. Ciò vale anche per il sequestro conservativo
immobiliare, ove la trascrizione su altri beni non modifica la portata del provvedimento se mantenuta nei limiti di somma ivi previsti, riguardando dinamiche squisitamente attuative cui è applicabile, come si dirà, la riduzione ex art.
496 c.p.c., e dunque anche l’estensione.32
Conte, Il sequestro conservativo, in I procedimenti sommari e speciali a cura di Chiarloni e
Consolo, II, Torino, 2005, p. 176.
31
Vullo, op.cit, p .276. Cass 14 aprile 1999 n. 3679. Prima della legge del 1990, Cass 29
novembre 1993 n. 11789; Corte conti 16 luglio 1991 n. 246, Riv. Corte conti, 1991, p. 106;
Cass 19 aprile 1983 n. 2672. Qualora il termine venga rispettato per l’inizio delle operazioni,
non saranno invece più da rispettare altri termini, essendo scomparsi gli oneri di informazione
previsti dall’art. 680. Deve tuttavia ritenersi, per ragioni logiche e sistematiche , che vi sia un
termine finale, oggi non più agganciabile al giudizio di convalida, ma alla precisazioni delle
conclusioni nel giudizio di merito. Infatti è l’esito di questo che consente la fisiologica fine del
sequestro, o con la perdita di efficacia, o con la trasformazione in pignoramento. La possibilità
che le operazioni attuative vengano ultimate anche dopo la scadenza del termine de quo è oggi
prevista dal nuovo testo dell’art. 82 della legge sui brevetti industriali ( e dall’identico art. 62
della l. marchi) come novellato dal d.lgs 198/1996 (si veda anche l’art. 162 della legge sul diritto d’autore, nel testo attuale, a mente del quale decorso appunto il termine de quo, possono
essere completate le operazioni di descrizione e sequestro già iniziate, ma non possono esserne
iniziate altre fondate sullo stesso provvedimento). Proprio su tale ultimo divieto fa leva Conte,
Il sequestro conservativo, cit, p.176, per sostenere che l’interpretazione estensiva della norma
impedirebbe di compiere ulteriori atti esecutivi del sequestro conservativo. A questa ricostruzione è stato però obiettato (Vullo, op.cit, p. 277, nota 75), che il divieto di intraprendere nuove
operazioni di sequestro e di descrizione in base allo stesso provvedimento è disposizione funzionale a specifiche esigenze connesse ai sequestri in materia di marchi e brevetti e non può
essere perciò esteso al sequestro conservativo. Su questo specifico punto, oltre alle indicazioni
bibliografiche fornite da Vullo, op. loc. ult. cit, v. anche, da ultimo, T. Monza 13 giugno 2002
n. 1829, in Dir. ind, 2003, p.120 ss, con Nota di Foglia, e T. Monza 20 febbraio 2002 (ord) in
Dir. ind, 2003, p. 40 ss, con Nota di Mattina, per l’esposizione di ulteriori aspetti peculiari del
sequestro in materia industriale, quale, ad es, la possibilità di attuazione nei confronti di chiunque si trovi in possesso dei modelli.
32
Parzialmente diverso potrebbe essere, invece, il caso del sequestro conservativo disposto,
ai sensi dell’art. 2905, comma 2° c.c., sui beni del terzo acquirente pendente la revocatoria
contro di lui. Qui, infatti, i beni sono, per motivi inerenti alla stessa funzione del sequestro,
già indicati nel provvedimento ed identificabili, almeno in parte, con quelli oggetto dei
negozi revocandi, di talché non sembrerebbe ammissibile una estensione dell’attuazione
a beni diversi. Secondo la dottrina, al di là delle peculiarità del caso, il provvedimento de
quo non perde la sua natura di sequestro conservativo. V, in tal senso, Andrioli, Commento
al Codice di Procedura civile, IV, cit; contra v. però, Coniglio, Il sequestro giudiziario e
conservativo, Milano, 1949. Tuttavia, la circostanza che i beni siano indicati già nel ricorso,
30
Capitolo 3 – Il procedimento
81
La maggiore preoccupazione legata alla possibilità di ulteriori atti di esecuzione risiede tuttavia nel fatto che la scomparsa dell’art. 680 ha cancellato
i connessi oneri di informazione a carico del sequestrante, in alcuni casi33
comportando che il sequestrato resti all’oscuro del momento e dell’entità, anche frazionata nel tempo, dell’ attuazione. Il richiamo dell’art. 679 alle norme
sulla custodia impone però di ritenere l’onere comunque esistente per il sequestro conservativo immobiliare ed ogni altra ipotesi in cui al compimento delle
operazioni attuative siano connessi obblighi di custodia per il sequestrato, data
l’impossibilità che siano assunti senza previa notizia.
In altri casi ove a tale conclusione non possa giungersi applicando le regole
sulla custodia perché questa non spetta al debitore, un problema di tutela del
contraddittorio, effettivamente, si pone: il legislatore, serbando il più assoluto
silenzio, sembra averlo risolto addossando al sequestrato l’onere di tenersi
informato. Ma che questa risulti scelta non troppo gravosa è, almeno in certi
casi,34 circostanza di cui appare lecito dubitare.
e che proprio rispetto ad essi debba attuarsi il vincolo, non è priva di conseguenze in quanto
avvicina, dal punto di vista strutturale, la figura de qua al sequestro giudiziario. Infatti per
far valere eventuali errori nell’identificazione dei beni effettuata nel provvedimento, o per
escludere parte di questi beni dal vincolo, non potrà giovare la sola sede attuativa, con le
relative richieste al giudice della cautela, o con un’istanza di riduzione del sequestro ex
art. 496, ma bisognerà reclamare il provvedimento autorizzativo o chiederne la revoca o la
modifica ex art. 669 decies ; in sostanza, agire a monte sul provvedimento. Del resto, anche
nell’ipotesi in cui il provvedimento contenga la sola indicazione dei limiti di valore entro
cui attuare il sequestro, questi vanno rispettati (Cass. 5 agosto 1997 n. 7218, in Riv. dir. proc,
1999, p. 603, con Nota di Daleffe). Indiretta conferma di quanto detto sembra venire dal
caso portato all’attenzione del Tribunale di Verona (T. Verona 28 marzo 1995, cit) nel quale,
con provvedimento abnorme, il giudice aveva indicato , nel decreto inaudita altera parte, i
beni del debitore da sottoporre a sequestro conservativo. Verificatosi un errore nell’esecuzione, il terzo proprietario dei beni interveniva all’udienza in contraddittorio chiedendo la
revoca del provvedimento per i beni di cui si asseriva proprietario. Il giudice assecondava
tale modus procedendi, in tal modo ponendo rimedio all’errore precedentemente commesso,
e consistente appunto nell’identificazione dei beni. In generale, sul sequestro conservativo
ex art. 2905, comma 2°, c.c., v. Ferri C, Procedimenti, cit.
33
L’individuazione di questi casi si deve a Pototschnig, L’esecuzione, cit, p. 524 ss, sulla base
di una casistica già indicata da Andrioli, Commentario, IV, p. 181 ss, ripresa anche da Calvosa,
voce Sequestro giudiziario, Noviss. Dig. It, Torino, 1970, XVII, p. 75. Nel caso in cui il bene
sia detenuto dal soggetto passivo della cautela ed il sequestrante sia stato nominato custode ,
ove si proceda con le forme relative alla consegna, non è ritenuta indispensabile la presenza
dell’obbligato, e quindi costui può rimanere all’oscuro dell’avvenuta attuazione del sequestro.
Lo stesso è a dirsi qualora la cosa sia detenuta dal sequestrato, ma custode sia nominato un
terzo, e debba procedersi alla consegna nei confronti di questo ultimo, dato che la presenza
del sequestrato non è ritenuta indispensabile. La mancanza di contraddittorio risulta ancora più
evidente ove vi debba essere il trasferimento della detenzione dal sequestrante ad un terzo, o nel
caso in cui, detenuto il bene dal terzo, egli stesso venga nominato custode, di talchè l’attuzione
si riduce alla verbalizzazione, da parte dell’ufficiale giudiziario, dell’interversione del titolo
della detenzione. A quest’ultima ipotesi va poi aggiunta quella, equivalente, in cui il sequestrante detentore sia nominato custode.
34
Si pensi, ad es, alle ipotesi di sequestro conservativo immobiliare, in cui, eseguita nei
trenta giorni previsti dall’art. 675 una trascrizione, ne seguono poi, come è ben possibile,
82
l’attuazione delle misure cautelari
3. L’“attuazione” del sequestro giudiziario: la costituzione del vincolo sui
beni
L’efficacia giuridica del sequestro comincia a prodursi, come più volte rilevato, con la costituzione concreta del vincolo, cioè, nel caso del sequestro
giudiziario, con l’investitura del custode.
Per essa opera, formalmente, il richiamo dell’art. 677 (a sua volta richiamato dall’incipit dell’art. 669 duodecies) agli artt. 605 e segg. del c.p.c., ma la
portata di questo rinvio deve confrontarsi con le varie situazioni che possono
verificarsi al momento dell’emissione del provvedimento autorizzativo.
Se quest’ultimo nomina custode chi ha già la materiale disponibilità del
bene, l’applicazione dell’art. 605 pare esclusa in radice, ponendosi solo un
problema di conoscibilità dell’intervenuta interversione del titolo realizzabile con la verbalizzazione35 o, secondo altri, con semplice la notifica del
provvedimento.36 È esclusa, per espressa previsione dell’art. 677, comma
1°, la notifica del precetto e quella del preavviso di rilascio in caso di beni
immobili.
Se il provvedimento autorizzativo nomina invece custode un soggetto
che non ne ha la disponibilità, ai sensi egli artt. 605 ss, il bene deve essere
sottratto a chi lo detiene e consegnato al custode; sarà in tal caso necessaria, ex art. 677, comma 2°, la notifica del preavviso di rilascio se trattasi di
immobile.37
Se poi il bene è detenuto da un terzo, occorre ulteriormente distinguere. Se infatti la sua posizione non è incompatibile con il sequestro perché
integrante un possesso autonomo,38 trovano applicazione gli artt. 605 e ss.
quanto al modus exequendi, mentre l’art. 677, comma 3°, consente al giudice della cautela, con il provvedimento autorizzativo o anche in un moaltre, senza particolari limiti di tempo (che non siano quelli, notoriamente dilatati nel tempo, della precisazione delle conclusioni nel giudizio di merito). Il sequestrato dovrebbe
costantemente, e per un periodo non predeterminabile, attivarsi per consultare i Registri
Immobiliari.
35
Ferri, voce Sequestro, cit., p. 469. V. anche Corsini, Il sequestro, cit., p. 925, per il quale
l’ufficiale giudiziario dovrebbe recarsi presso il detentore per intimargli di continuare la sua
detenzione in qualità di custode.
36
Luiso, Diritto, cit., IV, p. 241.
37
Cass. 7 novembre 1989, n. 4653, in Foro. it., 1990, I, c. 507; e Cass. 22 aprile 1976, n. 1447
ritengono che la mancanza del preavviso o il suo ricevimento in un termine inferiore a quello di
legge infici la validità della costituzione del vincolo, con la conseguenza che se la formalità non
è ripetuta validamente nel termine dell’art. 675 il provvedimento autorizzativo perde efficacia.
Il vizio è tuttavia deducibile dal solo interessato, in applicazione dei principi generali sul rilievo
delle nullità.; contra invece Cass. 8 marzo 1978, n. 1158, che considera la mancanza dell’avviso
come irregolarità ininfluente sull’efficacia del provvedimento autorizzativo.
38
È il caso, ad esempio, del colono che lavori in una fattoria, quando si controverta, tra le parti
in giudizio, del diritto di proprietà sull’immobile. In tali casi l’unica apprezzabile differenza per
il colono è la necessità di rapportarsi al custode piuttosto che all’originario concedente: così
Luiso, Diritto, cit., p. 241 ss.
Capitolo 3 – Il procedimento
83
mento successivo, di ordinare appunto al terzo detentore di esibire il bene o
di consentire l’immissione in possesso del custode, richiamando l’art. 211
c.p.c.39
Se invece il terzo è un vero e proprio possessore del bene oggetto di sequestro e non semplice detentore, si è fuori dalla fattispecie regolata dall’art.
677 in parte qua, la sua posizione non essendo suscettibile di compressione in
virtù dall’attuazione del sequestro. Se già in fase di audizione del terzo emerge
tale realtà, la misura non può dunque essere autorizzata o, se già resa, non è
suscettibile di essere eseguita.40
3.1. Segue: nomina e sostituzione del custode, obbligo di rendiconto e diritto al compenso. Il problema del controllo sull’attuazione
Non vi è dubbio che figura centrale del sequestro giudiziario sia il custode.
Di esso si occupano, in generale, gli artt: 65 c.p.c., che ne definisce
i caratteri come funzionalizzati alla conservazione ed amministrazione
di beni pignorati o sequestrati; 66 c.p.c., che ne regola la sostituzione
affidandola al giudice che lo ha nominato; e 67 c.p.c., che ne regola la
responsabilità.
Il custode, ausiliario del giudice e titolare di un munus publicum in alcun modo riconducibile ad un rapporto privatistico con le parti del rapporto
cautelato, è nominato nel provvedimento autorizzativo (art. 676, comma
1°) ma acquista tale qualità solo con l’apprensione dei beni sequestrati.
Ciò dipende dalla natura stessa della sua funzione che, realizzando l’utilità specifica del provvedimento con la custodia o gestione del bene, ne
È tuttavia possibile che, anche in assenza di tali ordini, il detentore si adegui spontaneamente, solo in difetto ipotizzandosi una ulteriore fase successiva all’emissione del provvedimento
autorizzativo ed al primo tentativo di investitura del custode, in cui il detentore è chiamato ex
art. 211 e sentito, e che culmina nell’ordine finale di esibizione o consegna-rilascio. Il riferimento della disposizione all’art. 211 rivela come la legge si preoccupi comunque di assicurare
il contraddittorio con il detentore di cui, se noto, potrebbe disporsi la citazione prima dell’emissione del provvedimento autorizzativo, cioè ancora in fase di istruttoria. Secondo Satta- Punzi,
Diritto processuale civile, Padova, 2000, p. 813, in caso di provvedimento autorizzativo reso
ante causam, l’art. 211 non troverebbe spazio applicativo in quanto presupporrebbe la pendenza
del giudizio di merito. Ora, se è indubbio che l’art. 211 è dettato nel contesto dell’esibizione
dei mezzi di prova nella fase istruttoria del giudizio di merito, è altrettanto vero che il richiamo alla disposizione da parte dell’ultimo comma dell’art. 677 non appare formulato in senso
onnicomprensivo, ma solo in riferimento specifico alla necessità che il giudice valuti, previa
sua audizione, anche la posizione del terzo nel disporre le modalità di investitura del custode
e quelle generali della gestione del bene. Anche in ipotesi di sequestro disposto ante causam
dunque il detentore potrà essere chiamato e sentito, secondo la procedura deformalizzata ex
art. 669 sexies, dal giudice del provvedimento autorizzativo. Quanto all’opposizione del terzo,
occorre poi rilevare che essa, in coerenza con il contesto in cui si applica l’art. 677 in parte qua,
può riguardare solo il modus procedendi dell’investitura del custode, e non certo integrare gli
estremi dell’allegazione di una posizione giuridica incompatibile con la stessa emissione del
sequestro.
40
Luiso, Diritto, cit., p. 247.
39
84
l’attuazione delle misure cautelari
presuppone la materiale detenzione affinché scattino i connessi obblighi e
responsabilità.41
L’individuazione del custode è rimessa alla discrezionalità42 del giudice
(della cautela: v. amplius supra, cap. II, sez. I) il quale, contestualmente, stabilisce criteri e limiti cui egli deve attenersi nell’amministrazione, e le cautele
idonee a rendere più sicura la custodia e ad evitare la divulgazione dei segreti
(art. 676, comma 1°).
Il primo profilo da affrontare attiene dunque all’evenienza che il provvedimento autorizzativo del sequestro giudiziario non rechi la designazione del
custode. Le posizioni rinvenibili in dottrina43 e giurisprudenza44 concordano
nel ritenere che la mancata designazione del custode renda il sequestro ineseguibile, e la soluzione appare pienamente condivisibile alla luce di quanto si è
già rilevato (supra, cap. I) sia in ordine all’inquadramento della fase autorizzativa e di quella attuativa come articolazioni funzionali di un procedimento
unico, sia in ordine alla natura della custodia.
Quanto ai rimedi, in dottrina si escludono sia la reclamabilità del provvedimento45 che la possibilità di nomina da parte dell’ufficiale giudiziario in sede
di “attuazione” della misura46, proponendosi invece la soluzione di rimettere
alla parte una richiesta di integrazione del provvedimento47 ai sensi dell’art.
289 c.p.c..
L’esclusione della nomina da parte dell’ufficiale giudiziario appare condivisibile, l’indicazione del custode (così come quella del bene da sottoporre al
vincolo) non inquadrandosi nell’ambito di attività amministrativa ed ancillare
Al custode si applica, infatti, l’art. 67 c.p.c., che prevede a suo carico un triplice ordine di
responsabilità: 1) quella penale, ai sensi degli artt. 349, comma 2°; 388, comma 4° e 5°; 350 e
388 bis c. p. (non, invece, ai sensi dell’art. 366; v. amplius, Vellani, Custode, cit.,, 48; Franchi,
Del consulente tecnico, cit., p. 735); 2) quella processuale, che consiste nel non eseguire l’incarico, cui corrisponde il potere del giudice di irrogargli una pena pecuniaria, e che può anche
concorrere con la responsabilità penale, senza che però siano necessari, al contrario, gli estremi
di un reato per l’irrogazione della sanzione; 3) quella civile nei confronti delle parti (sola ipotesi contemplata dall’art. 67 c.p.c.) e dei terzi (ipotesi aggiunta dagli interpreti) per i danni loro
cagionati, secondo i principi del diritto comune che regolano la responsabilità extracontrattuale,
attesa l’assenza di qualsiasi rapporto di tipo privatistico con le parti (Cass. 24 mag. 1997, n.
4635). Su questi temi, v. amplius, Vellani, op.cit, Franchi, op. cit.
42
Zumpano, Sequestro giudiziario, cit., p.124. Solo in caso decida di nominare uno dei contendenti, il giudice incontra le limitazioni previste dall’art. 676, consistenti nella valutazione
delle garanzie offerte. L’eventualità, come è stato notato, si verifica spesso di caso di gestione
di aziende: Satta, Commentario, cit., p. 196; v. anche Costa, Custodia, cit., p. 564 ss.
43
Calvosa, Sequestro, cit., p. 71; v. oggi, nello stesso senso, Verde F., Il sequestro, cit., p. 128;
Corsini, Il sequestro giudiziario, cit., p. 935.
44
Cass. 12 marzo 1960, n. 491; in senso contrario T. Nuoro 8 maggio 1948, in Foro Sardo,
1949, p. 23.
45
Così Corsini, Il sequestro giudiziario, cit., p. 935.
46
Ancora Corsini, op. loco ult. cit.; Verde F., Il sequestro, cit., p. 128;
47
Oltre agli autori citati alle due note precedenti, v. anche Vaccarella-Verde, Codice di procedura civile commentato, Torino, 1997, 373; Calvosa, Sequestro, cit., p. 71.
41
Capitolo 3 – Il procedimento
85
surrogabile, all’occorrenza e per motivi d’urgenza, anche da quest’ultimo in
fase di accesso in loco per l’attuazione del sequestro.
La custodia o gestione temporanea è infatti la tecnica che la legge predispone per ovviare ai pericula tipizzati dall’art. 670, n. 1: essa da un lato
entra ex lege nel contenuto del provvedimento autorizzativo (art. 676, comma
1°: il giudice nomina il custode nel provvedimento autorizzativo); dall’altro è
indispensabile all’acquisto dell’efficacia giuridica finale, cioè dell’esistenza
stessa del vincolo.
A differenza di quanto accade nel sequestro conservativo, in cui la funzione della misura è individuata in una norma del codice civile cui si riconosce portata sostanziale (l’art. 2906 c.c.), nel sequestro giudiziario la
legge non configura in alcuna norma ad hoc gli effetti di indisponibilità dei
beni. L’efficacia della misura va ricondotta perciò direttamente alle norme
che disciplinano la custodia ed a quelle che sanzionano penalmente la loro
violazione o la sottrazione ed il deterioramento delle cose sottoposte a custodia o pignoramento.48 Il sequestro-vincolo (risultante cioè dal completamento della sequenza procedimentale autorizzazione-attuazione) è dunque
la custodia: autorizzare il sequestro significa (anche) disporre la custodia,
id est nominare il custode.
Queste ragioni inducono a vedere nel reclamo, oggi mezzo generale di
controllo di tutti i provvedimenti cautelari, la sede più adatta per lamentare
tale vizio, che inficia il provvedimento autorizzativo fino a renderlo inidoneo a realizzare il sequestro-vincolo. Solo a far data dalla pronuncia con
cui in sede di reclamo, e previa conferma del provvedimento di prime cure,
sia designato il custode, decorrerà poi il termine per l’attuazione ex art.
675. Non avrebbe infatti senso il decorso di un termine per il compimento
di atti di impulso processuale che il legittimato non ha (ancora) il potere di
compiere.
Il secondo problema da affrontare è quello della competenza a disporre la
sostituzione del custode.
Il tema è direttamente influenzato, ancora una volta, dalla ricostruzione dei
rapporti tra giudice della cautela, custode ed efficacia del sequestro appena
evidenziati. Esso si intreccia altresì con quello relativo al controllo sull’attuazione ed alla risoluzione delle difficoltà e contestazioni.
Se infatti il sequestro-vincolo è la custodia, il controllo sull’attuazione non
è che il controllo del giudice nei confronti dell’operato di un suo ausiliare, il
che implica che anche la sua sostituzione non è che una porzione della relativa
“attuazione”.
In primis vanno dunque applicate le disposizioni sulla custodia, alle quali,
ut supra, si deve la regolamentazione dell’efficacia globale del vincolo di sequestro sui beni.
48
Così Mandrioli, Corso di diritto processuale civile, III, Torino, 1991, p. 296 ss.
86
l’attuazione delle misure cautelari
L’art. 66 prevede la sostituzione del custode da parte del giudice che lo
ha nominato, a mezzo del richiamo all’art. 65, comma 2°, scelta la cui ratio
risiede nella circostanza che il potere di sostituzione appare inscindibilmente
legato a quello di vigilanza sulla gestione,49 attività complessa che involge non
solo la valutazione degli atti della gestione stessa, ma anche, come nel caso di
sequestro di un complesso di beni produttivi, l’interpretazione del programma
di massima fissato nel provvedimento. Il tutto nel contesto dei rapporti tra il
giudice ed il suo ausiliare, caratterizzati dal controllo del primo sul secondo:
l’ausiliare infatti, in quanto incaricato dal giudice, è sottoposto al suo controllo ed al giudice risponde dell’inadempimento del suo incarico (art. 67).
D’altra parte, gli artt. 676 e 677 c.p.c., affidano proprio al giudice della
cautela la nomina, la determinazione delle modalità di amministrazione e la
risoluzione delle difficoltà materiali incontrate dal custode stesso nell’apprensione dei beni sottoposti a vincolo.
Sicchè sia le disposizioni generali sulla custodia (artt. 65, 66 e 67), sia gli
artt. 676 e 677 confluiscono verso la soluzione di concentrare tutti i poteri nel
giudice della cautela, in quanto giudice che ha nominato il custode, nell’ambito di una misura cautelare in cui autorizzazione ed “attuazione” sono articolazioni inscindibili di un unico procedimento.50
La conclusione trova ancora una volta conferma nel previgente regime del
giudizio di convalida, nel quale confluivano, ex multis, anche i profili relativi
alla sostituzione del custode. 51
Circostanza, questa, ammessa anche da chi, come Santulli, op. it., p. 19 ss., sposa la diversa
tesi per la quale questo potere appartiene al giudice di merito.
50
Non sembra che si possa concordare con la Santulli, op. cit., p. 19, sul fatto che l’art. 669
duodecies, devolverebbe al giudice del merito tutte le questioni, anche di tema di attuazione
della cautela, tranne che non configurino mere difficoltà materiali e/o contestazioni indilazionabili. Infatti la norma fa riferimento esclusivamente a difficoltà e contestazioni da risolversi
in contraddittorio tra le parti. Perciò non solo non le definisce nè materiali nè indilazionabili,
ma proprio la necessità del contraddittorio per la loro risoluzione depone per una lettura diversa
da quella della citata a., che, al contrario, sembra piuttosto far riferimento alla diversa formulazione dell’art. 610 c.p.c. Rimane inoltre da prendere atto, come realisticamente fa la stessa
Santulli, op. cit., ivi, dell’orientamento giurisprudenziale che nega carattere decisorio all’ordinanza di sostituzione del custode, anche con riguardo ai suoi presupposti, quali la competenza
del giudice, e ne esclude dunque l’impugnabilità per cassazione ex art. 111, comma 2° (Cass.
28 agosto 1992 n. 9968; Cass. 27 luglio 1996 n. 6812). Il che sembra proprio confermare che la
sostituzione de qua non partecipi del carattere cautelare dei provvedimenti ex art. 669 decies,
come invece l’a. sembra ritenere.
51
Sono queste le ragioni che non consentono di condividere la tesi secondo la quale la sostituzione del custode dovrebbe essere disposta dal giudice di merito, in quanto integrante una
ipotesi di modifica ex art. 669 decies. Ciò anche in ragione della necessità che la sostituzione
stessa provenga da un giudice che sia al corrente degli sviluppi del giudizio a cognizione
piena: così la Santulli, op. cit., p. 19. V. anche T. Lucca, 21 gennaio 2002, il quale ritiene
che, pur spettando il potere di risolvere difficoltà e contestazioni sorte in fase di attuazione al
giudice della cautela, la sostituzione del custode (e l’autorizzazione all’affitto dell’azienda)
spettino al giudice del merito. La soluzione, a tacer d’altro, non pare tenere in adeguato conto
il fatto che la legge impone, per la modifica o la revoca del provvedimento autorizzativo, il
49
Capitolo 3 – Il procedimento
87
Il provvedimento di sostituzione, anche reso su contestazione delle parti,
riveste la forma dell’ordinanza non impugnabile (neppure con il ricorso per
cassazione),52 in applicazione degli artt. 65 e 66 e dell’elaborazione giurisprudenziale stratificatasi su di essi, ma revocabile e modificabile da parte del
giudice che l’ha adottata.
In virtù del richiamo operato dall’art. 676 c.p.c. all’art. 560, il custode
deve rendere il conto ai sensi dell’art. 593. Tale ultima disposizione, dettata
per amministrazione giudiziaria, radica la competenza nel giudice dell’esecuzione e per questo non può ritenersi in parte qua richiamata. Il rendiconto
serve infatti alla verifica della gestione ed è quindi naturale che la competenza sia radicata, per relationem, presso il giudice che esercita il controllo sul
custode e che nel nostro caso è quello che ha autorizzato il sequestro (mentre
nell’amministrazione giudiziaria è appunto il giudice dell’esecuzione).53 L’art.
593 fornisce tuttavia un utile supporto testuale all’idea che allo stesso giudice debba spettare anche la risoluzione delle contestazioni sul rendiconto, che
sembra necessario attrarre alla dialettica giudice della cautela-parti realizzata
in sede attuativa.54
mutamento nelle circostanze. Ed anche a voler far leva sul discusso ambito attribuito alla locuzione (per il relativo dibattito si rimanda, per tutti, a Cirulli, La nuova disciplina, cit., p. 32
ss) è indubbio che i mutamenti ivi indicati debbano in qualche modo influire sui presupposti,
periculum e fumus, che hanno giustificato la concessione del sequestro. Ma risulta alquanto
arduo sostenere che le probabili cause di sostituzione di un custode, tutte riconducibili al
venir meno del rapporto di fiducia su cui si fonda l’affIdamento dell’incarico, o all’esatta
interpretazione del provvedimento, o comunque a gravi motivi, oltre che al potere discrezionale del giudice (v. Costa, op. cit., p. 565 ss), incidano sul fumus e/o sul periculum. Altrimenti
detto, in sede di modifica–revoca ex art. 669 decies il giudice è chiamato a rinnovare, in
base ai nova allegati, la valutazione in ordine alla possibilità di confermare l’autorizzazione
al sequestro o di revocarla per il venir meno di uno od entrambi i presupposti di legge, altri
essendo invece i profili relativi al controllo sull’operato del custode. Sic rebus stantibus,
pare altresì da escludere qualsiasi nesso tra la sostituzione del custode e la conoscenza dello
stato del giudizio di merito. Né può essere invocata, a sostegno di questa tesi, l’ultima parte
dell’art. 669 duodecies, che demanda “ogni altra questione” a tale giudizio. La norma si riferisce infatti proprio a questioni altre rispetto all’attuazione ed attiene, propriamente, al merito
delle situazioni soggettive cautelate attraverso il sequestro.
52
In particolare, non sembra ipotizzabile né un eventuale reclamo da parte del custode, il quale
è un semplice ausiliare privo di un diritto soggettivo all’espletamento dell’incarico; né dalle
parti (o dai terzi), che possono sì sollevare contestazioni in ordine alla regolarità o opportunità
della gestione, ma non hanno interesse a lamentare il mutamento della persona del custode.
53
Tarzia, Giudice e custode nel sequestro giudiziario, in Riv. dir. proc., 1993, p. 307 ss, in
Nota a T. Milano 7 luglio 1992, per il quale solo la concentrazione dei poteri di controllo sulla
custodia e di approvazione del rendiconto assicura quella continuità di funzioni necessaria ad
un corretto svolgimento della custodia dei beni sequestrati. Nello stesso senso anche Corsini,
Il sequestro giudiziario, cit., p. 937. Contra invece T. Cagliari 28 novembre 1996, in Riv. giur.
sarda, 1997, p. 393, con Nota di Montaldo.
54
Cass. 17 dicembre 2004, n. 23465, per la quale la risoluzione avviene con ordinanza non impugnabile neppure con ricorso ex art. 111 cost., comma 7°. In termini anche Cass. 10 novembre
1999, n. 12463, in Foro. it., 2001, I, c.2639, con Nota di Lombardi.
88
l’attuazione delle misure cautelari
Il provvedimento assume la forma dell’ordinanza in virtù dell’espresso
richiamo dell’art. 593 c.p.c. agli artt. 263 e segg., soluzione che coincide peraltro con quella adottata in generale dall’art. 669 duodecies in parte qua e, in
applicazione degli artt. 263 e 264 c.p.c., richiamati dall’art. 593 c.p.c. anche
per il processo esecutivo, non è impugnabile55. Dovrebbe altresì dedursene
la non modificabilità e revocabilità, in quanto l’approvazione del rendiconto
comporta la cessazione dei poteri di controllo del giudice sull’attuazione (o
sul segmento di attuazione, in caso di rendiconti parziali)56.
Altro aspetto da esplorare è quello del compenso al custode, la cui disciplina va ricostruita ai sensi dell’art. 522, richiamato, quanto agli obblighi e diritti
del custode, dall’art. 676, ultimo comma.
Dell’art. 522 non va tuttavia applicata la parte che nega al terzo nominato
custode dall’ufficiale giudiziario il compenso se non richiesto e riconosciuto
dall’ufficiale stesso al momento della nomina. Nel sequestro la nomina del custode è infatti sempre effettuata dal giudice nel provvedimento autorizzativo,
e dunque il compenso spetta anche al terzo nonchè al debitore in riferimento
ai beni immobili, atteso il mancato richiamo dell’art. 676 all’art. 559, che nega
espressamente il diritto al compenso al debitore nominato custode di beni immobili pignorati.57
Secondo alcuni Autori il compenso dovrebbe essere liquidato dal giudice
del merito nella sentenza,58 dato che alla pubblicazione di quest’ultima è collegato il venir meno della cautela, mentre rimarrebbe affidato al giudice della
cautela nelle altre ipotesi di inefficacia previste dall’art. 669 novies.
Questa soluzione non sembra tuttavia accettabile per una serie di ragioni. Anzitutto, la liquidazione del compenso è potere strettamente dipendente
dall’espletamento della custodia, attenendo perciò all’“attuazione” del sequestro e non al merito del diritto cautelato. Di poi, il venir meno della cautela
consegue, per espressa disposizione di legge, esclusivamente alla pronuncia
negativa sul diritto, mentre in caso di pronuncia positiva se ne ammette la
sopravvivenza fino a che la pronuncia stessa non sia concretamente in grado
di essere eseguita.59
Sembra allora senz’altro preferibile opinare per la competenza del giudice
dell’attuazione60 a disporre la liquidazione, non ostandovi neppure il rilievo
Cass. 15 dicembre 2000, n.15835.
V. amplius Luiso, voce Rendiconto (diritto privato e diritto processuale civile), in Enc.
dir., Milano, 1988, XXXIX, 789 ss; Rampazzi, Il giudizio civile di rendiconto, Milano,
1990, passim.
57
Così Cantillo-Caturani, Il sequestro giudiziario e conservativo, Milano, 1989, p. 52; Cass.
30 maggio 1997, n.4870. Il compenso non spetta invece alla parte nominata custode dei beni
mobili, ai sensi dell’art. 522, comma 2°.
58
Santulli, op. ult. cit., p. 20.
59
Su questa problematica generale, si rimanda a Cirulli, op.ult. cit., p. 1 e ss.
60
Il che, peraltro, significa, in sostanza, rimetterla al giudice della cautela che ha nominato
il custode, attesa la coincidenza tra i due magistrati, ed in consonanza con il tenore letterale
55
56
Capitolo 3 – Il procedimento
89
che il compenso del custode, rientrando nelle spese di lite, ne segue la sorte in
relazione agli esiti del giudizio di merito. Il provvedimento del giudice dell’attuazione che ponga provvisoriamente a carico di una delle parti il pagamento,
ai sensi degli artt. 65, 2° c. e 53 disp.att., non esclude infatti che il vincitore le
ripeta dalla controparte, avendo il provvedimento il solo scopo di far ottenere
al custode le sue spettanze.61
La liquidazione avviene con decreto, che è titolo esecutivo ex art. 53 disp.
att. (l’art. 65, comma 2°).62
La giurisprudenza di legittimità si è in più occasioni pronunciata sulla natura del decreto de quo, definendolo come ingiunzione di pagamento assimilabile al decreto monitorio e dunque opponibile ai sensi dell’art. 645,63 sia pure
escludendo che l’assimilazione si estenda anche ad altri profili di disciplina,
quali il rispetto del termine per la notifica del provvedimento all’intimato a
pena di perdita di efficacia del decreto stesso64.
Oggi la disciplina applicabile è contenuta negli artt. 168 ss del D.P.R. n.
115/2002 (T.U. in materia di spese di giustizia): il decreto di liquidazione,
motivato, è titolo provvisoriamente esecutivo opponibile, entro venti giorni
dalla comunicazione, davanti al presidente dell’ufficio giudiziario competente (che nel nostro caso è quello di appartenenza del giudice della cautela). È
possibile altresì, per gravi motivi, la sospensione dell’esecuzione provvisoria
con ordinanza non impugnabile.
3.2. Segue: poteri ed obblighi del custode. La legittimazione processuale,
l’amministrazione dei beni ed i contratti
L’art. 676 individua i poteri ed obblighi del custode attraverso il rinvio agli
artt. 521 e 522, dettati per la custodia dei mobili pignorati, e 560, dettato invece per la custodia degli immobili pignorati.
Tali disposizioni, la cui sedes è quella dell’espropriazione forzata, non
sono tuttavia richiamate in toto ma solo quanto alla individuazione di poteri
ed obblighi, per ogni altro aspetto, che pure trova specifica disciplina negli
artt. 521, 522 e 560, occorrendo invece fare riferimento al regime generale
della custodia ed alla lex specialis del sequestro giudiziario.
dell’art. 65 (in quest’ultimo senso, fondando la decisione proprio sull’art. 65, Cass. 12 agosto
1995, n. 8865, Foro. it., 1996, I, c. 982, T. Bologna, 10 marzo 1994, in Giur. mer., 1995, p. 519,
con Nota di Ricciardi).
61
Costa, op. cit., p. 574. Non bisogna infatti dimenticare che, dal punto di vista del custode, il
compenso ha natura di corrispettivo dovuto per l’espletamento del munus publicum ed al cui
pagamento sono tenute le parti in solido. A tal proposito la giurisprudenza di legittimità ritiene
che ciascuna delle parti sia legittimata a richiedere la liquIdazione del compenso: così Cass. 1
dicembre 2000, n. 15345.
62
Santulli, op. cit., p. 20.
63
Cass. 20 febbraio 2003, n. 2625, che ne ha anche escluso l’impugnabilità ex art. 111 cost. In
senso conforme Cass. 5 luglio 1991, n. 7418.
64
T. La Spezia 13 gennaio 1988, in Archivio civ., 1988, p. 689.
90
l’attuazione delle misure cautelari
Così, in relazione sia al giudice competente che alla nomina del custode;
così, ancora, in riferimento al primo comma dell’art. 521, comma 1, che detta
norme restrittive sulla nomina delle parti all’ufficio di custode; e 521, comma
2, che impone la sottoscrizione, da parte del custode, del verbale da cui risulta
la sua nomina. Neppure è applicabile l’art. 522 nel suo primo comma che, ut
supra, stabilisce in quali casi non spetta al custode nominato dall’ufficiale
giudiziario il compenso.
In realtà, a parte l’obbligo di rendere il conto di cui si è già detto, le disposizioni richiamate appaiono funzionali unicamente a sancire il divieto di dare
in locazione l’immobile sequestrato senza l’autorizzazione del giudice (così
l’art. 560, che si riferisce peraltro all’autorizzazione del giudice dell’esecuzione, e sul quale perciò si tornerà).
Occorre dunque applicare il principio generale che si ricava dal contenuto
del potere, che consiste nella conservazione ed amministrazione di beni determinati; occorre altresì avere riguardo al modo in cui si atteggia la disciplina
relativa agli aspetti sostanziali non regolati espressamente, che devono essere
integrati con le norme civilistiche sul deposito; nonchè, ancora, alla disciplina
processuale, che prevede la conoscibilità dell’avvenuta investitura (es. artt.
555 e 559 c.p.c.) e la materiale immissione in possesso o la interversione del
titolo.
La giurisprudenza di legittimità ha definito il custode come rappresentante
d’ufficio, in qualità di ausiliario del giudice, di un patrimonio separato costituente centro di imputazione di rapporti giuridici attivi e passivi. Come tale, il
custode è dunque legittimato attivo e passivo in tutte le azioni che riguardino
il patrimonio stesso, in relazione a diritti sorti dal momento dell’investitura
sino a quello della cessazione dell’incarico.65
La legittimazione del custode appare così limitata alle azioni relative alla
conservazione (amministrazione) del bene e non si estende invece a quelle
relative all’accertamento della titolarità di un diritto sul bene sequestrato. Occorre tuttavia, secondo la giurisprudenza di legittimità, aver anche riguardo,
per ritagliare i concreti limiti della legittimazione attiva del custode, alla necessità di salvaguardare la funzione strumentale della cautela. A tal fine si è
riconosciuto al custode il potere di esercitare l’azione diretta ad assicurarsi la
disponibilità del bene funzionale all’incarico da assolvere,66 escludendosi inCass. 15 maggio 2002, n. 10252; Cass. 28 agosto 1997, n. 8146; Cass. 4 luglio 1991, n.
7354.
66
Cass. 17 luglio 2001, n. 9692, che ha cassato con rinvio la decisione di merito perché il giudice non aveva adeguatamente valutato se la legittimazione del custode, che aveva proposto
azione di accertamento dell’inefficacia o nullità della cessione delle quote sequestrate di una
s.r.l. intervenuta dopo la sua nomina, riguardasse l’esercizio dei poteri in concreto conferitigli
e la sua azione avesse lo scopo di salvaguardare la funzione del sequestro. In tale ambito, per
l’esercizio dell’azione o la difesa in giudizio non è necessaria alcuna autorizzazione giudiziale,
secondo un orientamento ormai consolidato sia in dottrina che in giurisprudenza (Verde F., Il
sequestro, cit., p. 143).
65
Capitolo 3 – Il procedimento
91
vece il potere di azione nelle ipotesi di legittimazione del possessore o maiori
causa del proprietario dei beni, quali, ad esempio, quelle di cui agli artt. 948,
1168 e 1170 c.c.
La conclusione, ineccepibile in astratto e facilmente sostenibile in relazione alle azioni appena indicate, non è tuttavia così incontroversa in altre
ipotesi, quale quella della legittimazione del custode di azioni o quote sociali
a proporre l’azione di cui all’art. 2409 c.c.
Secondo una prima opinione, essendo il potere di denuncia connesso inscindibilmente all’iscrizione nel Registro dei soci senza che rilevi l’effettiva
proprietà, il sequestratario ne sarebbe ex necesse sprovvisto.67 Altra opinione fa invece leva sul carattere pubblicistico del controllo giudiziale previsto
dall’art. 2409 c.c. per affermare la legittimazione del custode68, discutendosi
solo se essa debba considerarsi esclusiva o concorrente con quella del socio.
Oggi l’art. 2352 ultimo comma c.c., dettato per le società per azioni ma applicabile anche alle s.r.l. in virtù del richiamo operato dall’art. 2471 bis c.c., prevede che i diritti amministrativi diversi da quello di voto e di opzione spettino
al custode. La dottrina sembra tuttavia orientata ad ammettere anche oggi la
legittimazione concorrente del socio.69
In relazione ai poteri del custode in ordine all’amministrazione dei beni
sequestrati, si rinvengono in dottrina varie posizioni.
Secondo una prima opinione, compete al custode il potere di compiere,
senza necessità di autorizzazione giudiziale ad hoc, ogni atto necessario ed
utile alla gestione o conservazione della cosa, dovendosi all’uopo far riferimento allo scopo oggettivo dell’atto ed esclusi, comunque, tutti quegli atti
destinati a riverberare i loro effetti anche in epoca successiva alla definizione
della controversia.70
Altra opinione distingue invece tra atti di ordinaria e straordinaria amministrazione, per i quali ultimi soltanto è necessaria l’autorizzazione, salvo che
appaia incompatibile con l’urgenza di adottare l’atto71.
T. Como 13 novembre 1999, in Società, 2000, p. 734. V. anche T. Bologna 3 agosto 1999, in
Giur. comm., 2000, II, p. 111, per il quale il custode deve essere autorizzato a consultare i libri
sociali e ad esercitare gli altri poteri di controllo tipici del socio, in presenza di elementi che
facciano presumere la presenza di irregolarità nella gestione, ed al fine di valutare l’opportunità
di intraprendere altre iniziative.
68
T. Milano 19 febbraio 1999, in Società, 1999, p. 972.
69
Conte, Il sequestro conservativo, cit., p. 1058, ove anche ulteriori riferimenti bibliografici.
70
Così Calvosa, voce Sequestro giudiziario, cit., p. 72, per il quale rientrano in questa categoria
anche gli atti diretti ad incrementare la capacità produttiva dell’azienda, nei casi in cui solo in
tal modo se ne può assicurare la gestione, e previa autorizzazione del giudice; Cass. 17 febbraio
1975, n. 260; Cass. 2 dicembre 1993, n. 11950, in Giust. civ., 1994, I, p. 672; App. Brescia, 4
dicembre 1965, in Giust. civ., 1996, I, p. 1208; Cass. 3 marzo 1987, n. 2232. In tal caso è tuttavia necessario chiedere la giudice la ratifica dell’atto di straordinaria amministrazione: così
Vellani, v. Custode, cit., p. 53.
71
Vellani, Custode, cit., p.52 ss.; Redenti, Diritto processuale civile, III, Milano, 1954, passim.
67
92
l’attuazione delle misure cautelari
In contrario si è tuttavia ritenuta la non sostenibilità di tale distinguo, ben
potendo lo stesso atto rientrare nell’una categoria o nell’altra a seconda della
natura del bene e delle esigenze che hanno giustificato il sequestro.72 Altri autori ancora ritengono infine che bisogna far esclusivo riferimento alle direttive
di volta in volta impartite dal giudice.73
Un tale panorama di opinioni rivela tutta la difficoltà di identificare a priori, ed a prescindere dal tipo di beni sequestrati e dai criteri e limiti fissati dal
giudice, quali siano in generale i poteri del custode.
L’unico criterio di massima individuabile in generale resta dunque
quello ricavabile dalla funzione del sequestro, come ha riconosciuto anche la giurisprudenza di legittimità in tema di sequestro penale, per la
quale il limite ultimo dei poteri del custode è dato dalla amministrazione
e gestione dei beni intesi quali patrimoni separati,74 nel senso già supra
specificato.
Un tipico atto per il quale è richiesta la previa autorizzazione giudiziale
è la locazione del bene sequestrato, come del resto risulta testualmente dal
combinato disposto degli artt. 676 e 560, comma 2°,75 nonché la rinnovazione
tacita della stessa, trattandosi di nuovo negozio giuridico bilaterale eccedente
l’ordinaria amministrazione.
Il problema della latitudine dei poteri del custode si fa sentire in modo più
pressante in alcune fattispecie particolari, quali il sequestro d’azienda e quello
di azioni o quote societarie.
Quanto al primo, ad una posizione dottrinale che riconosce al custode il
potere di continuare la gestione per aumentare la produttività dell’azienda con
l’unico limite di osservare le prescrizioni del giudice,76 se ne contrappone altra
che demanda invece al custode i soli atti conservativi77.
Secondo altro orientamento, gli atti di incremento della produttività sarebbero consentiti solo laddove l’azienda goda già di un avviamento oggettivo
che prescinde dalla persona dell’imprenditore, restando preclusi in ipotesi in
cui il prestigio dell’impresa sia legato invece alla sua figura (cd. avviamento
soggettivo).78
Costa, op. cit., p. 570.
Andrioli, Commento, cit., p. 176; Provinciali, Sequestro di azienda, Napoli, 1959. Quanto
all’uso della cosa sequestrata, v. Ferri, voce Sequestro, cit., passim.
74
Cass. 30 maggio 2000, n. 7147.
75
V., da ultimo, Cass. 30 ottobre 2002, n. 15297.
76
Provinciali, Sequestro, cit., p.110 ss; Coniglio, Il sequestro giudiziario e conservativo, cit, p.
189 ss.
77
Satta, Commentario, cit., p. 196; Ferrara jr, Teoria giuridica dell’azienda, Milano, 1949, p.
429 ss.
78
Andrioli, Commento, cit., p. 177. La casistica mostra come i poteri del custode siano limitati al mero controllo dell’operato del titolare dell’attività d’impresa nel caso di sequestro di
azienda farmaceutica, per la quale la legge n. 475/1968 e succ. int. impone la coincidenza nella
stessa persona della qualità di titolare, che ha la conduzione tecnico-professionale dell’impresa,
e di gestore. Di talchè, ove custode non sia nominato lo stesso titolare, la gestione resta affidata
72
73
Capitolo 3 – Il procedimento
93
Come è stato giustamente messo in rilievo79, anche in caso di sequestro
d’azienda non è possibile formulare in astratto criteri e linee di tendenza
generali cui il custode debba attenersi, dipendendo essi dalla situazione,
che è compito del giudice valutare traducendola in concreti comandi e direttive.80
In riferimento al sequestro giudiziario di azioni e quote di società, i problemi più rilevanti postisi in concreto sono stati quelli relativi alla legittimazione
ad esercitare i diritti sociali ed in particolare quello di voto.
La soluzione che aveva trovato maggior consenso tra gli interpreti era
quella di attribuire tale complesso di diritti al custode secondo le direttive
del giudice della cautela. Ciò in coerenza con la funzione della cautela che
è proprio quella di sottrarre il complesso di poteri e facoltà derivanti dalle
partecipazioni societarie al sequestrato, per consentirne un dispiegarsi non
pregiudizievole ad alcuno dei contendenti perché sotto controllo giudiziale.81
Oggi la risposta allo spinoso quesito è fornita dal legislatore del d. lgs. n.
6/2003: a mente dell’art. 2352 c.c.82, il diritto di voto spetta al custode, mentre
il diritto di opzione resta in capo al socio. In ipotesi di aumento gratuito del
capitale sociale il sequestro si estende automaticamente alle azioni di nuova
emissione. Ai sensi dell’ultimo comma della disposizione, i diritti diversi da
quello di voto e di opzione spettano invece sempre al custode. La disposizione
tace in ordine all’esercizio del diritto di recesso (la cui casistica è indicata
dagli artt. 2437 e 2473 c.c.): la dottrina ritiene oggi, così come prima del d.
lgs. n. 6/2003, che esso debba restare sospeso in pendenza della lite, in base
alla duplice considerazione del suo carattere fortemente discrezionale e della circostanza che, ove esercitato prima della definizione della controversia,
farebbe venir meno l’oggetto stesso del contendere, che si trasformerebbe in
una somma di denaro.83
comunque al titolare, ed il custode mantiene poteri di vigilanza e controllo, sotto la direzione
del giudice (Cass., sez.un. 17 gennaio 1986, n. 274, in Foro. it., 1986, I, c.1910).
79
Cantillo-Caturani, Il sequestro giudiziario e conservativo, cit., p. 56; Coniglio, Il sequestro,
cit., p. 211.
80
Con riferimento invece al sequestro giudiziario di eredità, che rappresenta l’ipotesi più ricorrente di sequestro di universitas iuris, la giurisprudenza di legittimità ha affermato la legittimazione del custode al compimento senz’altro anche di atti si straordinaria amministrazione,
come il pagamento dell’imposta di successione sul compendio, allo scopo di scongiurare il pregiudizio tipicamente legato alla natura della universitas, per il resto ammettendo che il custode
abbia l’amministrazione del compendio ereditario in attesa della definizione della controversia
divisoria tra gli eredi (Cass. 3 marzo 1987, n. 2232, in Giur. amm, 1988, p. 235. In dottrina
Protettì, Il sequestro civile, Napoli, 1982, p. 113 ss).
81
V., per tutti, Verde F., Il sequestro, cit., p. 113 ss; Luiso, Diritto, cit., p. 248.
82
Dettato per le società per azioni ma applicabile anche alle s.r.l. in virtù del richiamo operatovi
dall’art. 2468, ultimo comma.
83
In tal senso, prima della riforma del diritto societario, Morera, Contributo, cit., p. 544 ss;
dopo la riforma v. invece Corsini, Il sequestro, cit., p. 904; Lorenzoni, in AA.VV., La riforma
delle società. Commentario al d. lgs.17 gennaio 2003, n. 6, a cura di Sandulli e Santoro, Torino,
2003, p. 159.
94
l’attuazione delle misure cautelari
Infine, il diritto patrimoniale alla percezione dei dividendi resta in capo al
socio.
Quanto la regime degli atti posti in essere dal custode in carenza dell’autorizzazione, è ius receptum che non siano nulli ma solo colpiti da inefficacia
relativa, cioè inopponibili a coloro che risulteranno, all’esito del giudizio di
merito, avere diritti sul bene sequestrato (e salva, secondo alcuni,84 la ratifica
da parte di costoro, secondo lo schema adottato per gli atti del falsus procurator). Ciò anche in ragione della circostanza che gli atti del custode non
possono in alcun modo irradiare i propri effetti anche in epoca successiva alla
definizione della controversia, immutando la condizione giuridica dei beni
sottoposti al vincolo,85 in ragione della natura pur sempre provvisoria del vincolo di sequestro.
Infine. La panoramica sul contesto normativo di riferimento e sull’interpretazione consolidatasi su di esso consente di constatare come al custode in
quanto tale non competa alcun potere di alienazione dei beni affidatigli.
È infatti la sua una semplice detenzione processuale provvisoria, destinata
a sfociare nella restituzione del bene a quella tra le parti che risulterà, all’esito del giudizio di merito, avervi diritto:86 il dovere di custodia si identifica
cioè con il dovere di tenere condotte che sono l’opposto della “autonomia
proprietaria.”87
3.3. Segue: sequestro giudiziario e potere di disposizione giuridica del
bene in capo al sequestrato
Se questi sono i limiti imposti al custode, quid invece quanto ai poteri dispositivi del sequestrato?
Il dubbio si giustifica in quanto questi mantiene, fino all’esito della controversia sul diritto cautelato, la posizione formale di titolare e dunque anche
il potere di disporre giuridicamente del bene, posto da un canto che il principio consensualistico esclude quale presupposto dell’alienazione il possesso
materiale, qui passato al custode; e dall’altro che la misura non comporta la
limitazione o privazione della capacità di agire o della posizione giuridica del
sequestrato rispetto ai beni.
Recente dottrina ha sciolto il dubbio nel senso che proprio l’esistenza
del regime pubblicistico della custodia comporti un divieto di disposizione sia giuridica che materiale del bene anche in capo al sequestrato88 con
Calvosa, voce Sequestro, cit., p. 72; Zumpano, op. cit., p. 124; Vaccarella – Verde, Codice,
cit., p. 376.
85
Cass. 17 ottobre 1994, n. 8462, in Rep Giust. civ., 1994, voce Esecuzione immobiliare, n. 4.
86
V., in tal senso, Vellani, voce Custode, cit., p. 57;
87
In questi termini si esprime Gambaro, Il diritto di proprietà, in Trattato di diritto civile e
commerciale diretto da Cicu e Messineo, Milano, 1995, p. 688.
88
Ci si riferisce alla monografia di R. Caponi, Il sequestro giudiziario dei beni nel processo
civile, cit. L’a., attraverso una ricognizione della storia dell’istituto ed una ricostruzione in
chiave sistematica dello stesso, arriva alla conclusione che il sequestro giudiziario comporti
84
Capitolo 3 – Il procedimento
95
considerazioni assolutamente condivisibili che affondano le proprie radici
nella storia.
All’entrata in vigore dei codici del 1942 non vi era infatti dubbio che il
sequestro giudiziario garantisse anche contro i rischi di alienazione del bene
da parte del sequestrato, cioè che vi fosse un generale divieto di alienare
le res sottoposte a sequestro sia conservativo che giudiziario. Nonostante i
codici civile e di procedura civile previgenti fossero silenti sul punto, il codice penale Zanardelli puniva infatti il reato di chi avesse sottratto, convertito a proprio profitto o rifiutato di consegnare cose sottoposte a sequestro
o pignoramento, e la dottrina dell’epoca considerava proprio la presenza
di una fattispecie di reato come sintomatica dell’esistenza di un obbligo di
non alienare.
L’art. 2085 del c.c. disponeva poi il divieto di alienazione dell’immobile
pignorato qualificando il debitore esecutato come sequestratario giudiziale
e l’interpretazione consolidata estendeva la norma anche al sequestro giudiziario.89
Nel passaggio alla codificazione attuale si rinviene nel codice civile
una disciplina (basata sugli stessi criteri di quella del pignoramento di cui
agli artt. 2913-2918) degli effetti sostanziali del sequestro conservativo
ma non di quello giudiziario; e nel codice di rito la prescrizione della
trascrivibilità del solo sequestro conservativo sugli immobili (e mobili
registrati).
Ma se tali dati normativi impediscono di concludere che sequestro giudiziario e sequestro conservativo abbiano la medesima efficacia sostanziale, ciò
non comporta automaticamente l’abbandono della prospettiva che considera
immanente anche al sequestro giudiziario il divieto di alienazione come elaborato in costanza dei codici previgenti. Anzi.
Il fatto che il bene sia in regime pubblicistico di custodia allo scopo di preservarne la consistenza materiale al fine della consegna a chi risulterà averne
diritto impone90 infatti di considerarlo come sottratto, per la durata del vincolo, al potere di disposizione anche giuridica di colui che, in pendenza della
controversia, se ne legittima titolare pur non essendone custode.91 Ciò trova
conferma nella sanzione penale che colpisce ex art. 388, comma 5 c.p., il
custode che viene meno ai suoi obblighi; ed ex art. 388, comma 3 c.p. il proprietario del bene che sottrae, sopprime, distrugge, disperde o deteriora una
non solo un vincolo di indisponibilità materiale, ma anche di indisponibilità giuridica del
bene.
89
Così Caponi, Il sequestro, cit., p. 69 ss., cui si rinvia anche per maggiori ragguagli sul quadro
normativo previgente e sulla dottrina e giurisprudenza dell’epoca.
90
Così Caponi, Il sequestro giudiziario di beni nel processo civile, cit., p. 168 ss, per il quale
appunto il divieto di alienazione colpisce il destinatario passivo della misura indipendentemente dal fatto che sia stato nominato custode, per la logica attinente alla funzionalità dell’istituto,
prima ancora che per diritto positivo.
91
Coniglio, Il sequestro giudiziario e conservativo, cit., p. 167.
96
l’attuazione delle misure cautelari
cosa (di sua proprietà) sottoposta (a pignoramento o) a sequestro conservativo
e giudiziario.92
Ciò posto, occorre tuttavia subito rilevare come altro è ritenere immanente al sequestro giudiziario un divieto di disposizione giuridica sia in capo al
custode che a chi ha subìto la misura; altro è stabilire il regime degli atti di
disposizione posti in essere nonostante il divieto.
Al di là dei profili di responsabilità penale e civile, si apprezza qui la differenza tra sequestro conservativo e sequestro giudiziario sul piano della tecnica
legislativa.
Nel primo l’art. 2906 c.c. ricollega direttamente alla misura, rectius alla sua
“attuazione”, la sanzione di inefficacia relativa degli atti di disposizione. Il che ben
si comprende data la natura di mezzo di conservazione della garanzia patrimoniale,
ove i beni sono riguardati nella sola prospettiva della trasformazione in denaro, cui
si attaglia la presenza di una lex specialis che risolve a monte il conflitto con altri
diritti insistenti sugli stessi beni ad instar di quanto accade nel pignoramento.93
Nel sequestro giudiziario i beni sono invece riguardati nella loro individualità, quale oggetto di una specifica pretesa (in riferimento ad una controversia
sulla proprietà o sul possesso ex art. 670, n. 1); la cautela si risolve perciò nel
vincolo della custodia e il divieto di alienazione che vi è connaturato appare
affidato alla diversa tecnica impositiva di obblighi, e dunque ad un condotta
(dell’obbligato, appunto) pur sempre volontaria.
Ecco perché si pone qui, e non nel sequestro conservativo, il problema
ulteriore del regime dell’atto di disposizione comunque posto in essere in violazione dell’obbligo di non alienazione.
Trattandosi di conflitto tra due diritti insistenti sullo stesso bene, quello di
chi ha ottenuto il sequestro e quello dell’acquirente lite pendente, occorrerà
applicare, in assenza di lex specialis, il regime generale della circolazione
giuridica. Il rimedio non è dunque collegato ex lege al sequestro giudiziario in
quanto tale, come nel caso del sequestro conservativo, ma ad altri fenomeni,
come la litispendenza ex art. 111 e la salvezza anche sul piano sostanziale dei
diritti acquistati dai terzi quando ricorrono alcune condizioni stabilite di volta
in volta dalla legge sostanziale.
3.4. Segue. Il problema della trascrizione del sequestro giudiziario. La
pubblicizzazione del sequestro sui mobili e le sue ricadute sull’effettività
della misura
Si è appena rilevato come gli artt. 679 c.p.c. e 2693 c.c. prescrivano
la trascrizione del sequestro conservativo rispettivamente sui beni imCosì ancora Caponi, Il sequestro, cit., p. 160 ss, ove anche indicazioni bibliografiche.
Secondo Caponi, Il sequestro, cit., p. 175 ss., siccome il sequestro conservativo è strumentale alla realizzazione di crediti in denaro, anche risarcitori, la tecnica legislativa che sancisce
l’inopponibilità degli atti di disposizione al creditore sequestrante è funzionale alla realizzazione di questa soglia minima di tutela giurisdizionale, che è appunto quella risarcitoria.
92
93
Capitolo 3 – Il procedimento
97
mobili e su quelli mobili registrati, mentre nessuna norma preveda un
simile incombente ove sia disposto il sequestro giudiziario di questi
stessi beni.94
Sciogliere il nodo della possibile trascrivibilità del sequestro giudiziario
impone di chiarire preliminarmente la ratio della possibile applicabilità di
questa formalità al nostro istituto.
È noto che la trascrizione è tecnica di risoluzione del conflitto ingenerato dalla circolazione giuridica dei diritti. Limitatamente ai profili di interesse in questa sede, viene in rilievo il conflitto tra colui che propone una
domanda giudiziale avente ad oggetto diritti su beni immobili o mobili registrati, e colui che acquisti i medesimi diritti dalla controparte giudiziale.
La risoluzione del conflitto è dalla legge affidata ad una serie di fattori, uno
dei quali è sempre il rapporto cronologico tra la trascrizione della domanda
e quella dell’atto di disposizione: se la prima è precedente alla seconda, la
sentenza favorevole alla controparte del dante causa sarà opponibile anche
Interrogatasi sulle ragioni della scelta normativa e sulla logica e l’opportunità sottese al
differente regime, la dottrina ha prodotto diverse interpretazioni. Secondo Andrioli, Commento, cit., 182; e Cantillo–Caturani, Il sequestro, cit., 51, la giustificazione del differente
regime risiederebbe nella diversa funzione delle due misure, la prima incidente sulla disponibilità giuridica del bene, nel senso di rendere inopponibili al sequestrante gli atti di
disposizione successivi all’adempimento della formalità, la seconda, invece, funzionale alla
custodia e gestione dei beni fino alla pronuncia di merito. Basandosi su questa differenza,
Calvosa, Il processo cautelare, il sequestro e i provvedimenti d’urgenza, Torino, 1970, p.
610, ha così sottolineato l’inutilità della trascrizione in caso di sequestro giudiziario, attesa
la sua strumentalità rispetto ad una controversia sulla proprietà o sul possesso, per la quale il
legislatore, prevedendo la trascrizione della domanda, risolve il problema della disposizione
giuridica del bene da parte del suo possessore attuale. Più di recente Luiso, Diritto processuale civile, cit., 200 ss., ha ritenuto che la trascrizione de qua non sia possibile proprio per
queste ragioni. A questa lettura se ne contrappongono altre (Satta, Commentario, cit., 205;
L. Ferri, Trascrizione immobiliare, in Scialoja-Branca, Commentario del codice civile, Bologna, 1977, 353) per le quali invece la mancata previsione di questa formalità per il sequestro giudiziario integra una lacuna normativa e che, non ravvisando ragioni per la differenza
di trattamento, propongono di superarla facendo ricorso all’art. 2645 c.c. o all’applicazione
analogica della normativa in materia pubblicitaria; o, ancora, a ragioni di coerenza sistematica, data la funzione di vincolo giuridico che limita la disponibilità del bene, che anche il
sequestro giudiziario assume (Ferri C., voce Sequestro, cit. 471. In giurisprudenza hanno
ammesso la trascrivibilità del sequestro T. Modena 5 maggio 1995 e T. Pescara 7 agosto
1995, in Giur mer., 1996, I, 242; T. Messina, 23 ottobre 1967, in Foro. it., 1968, I, 830, con
Nota di Rovelli). Vi è poi chi ritiene che una lacuna in tal senso neppure esista, reputando
ancora in vigore l’art. 19 del R.D. 30 dicembre 1923 n. 3272, che, alla lett. l) individua, tra
le trascrizioni obbligatorie di atti pertinenti alla giurisdizione, anche gli ordini di sequestro
di immobili dati ai sensi degli artt. 1875, n. 1 c.c. e 921 c.p.c., del 1865 (Bracci, Il sequestro giudiziario, Napoli, 1966, 254). Parte della più recente dottrina ha infine rilevato che
la trascrivibilità del sequestro giudiziario non incontra ostacoli insormontabili nel silenzio
della legge (Vullo, L’attuazione, cit., 292 segg., ed., ivi, ampi riferimenti bibliografici sullo
stato della questione in dottrina e giurisprudenza, cui adde Santulli, op. cit., 2 ss) Potrebbe
dunque in ipotesi ammettersi la trascrizione anche di un atto non menzionato e tuttavia in
grado di produrre gli stessi effetti di quelli espressamente previsti (L. Ferri, Trascrizione,
cit., 171).
94
98
l’attuazione delle misure cautelari
all’avente causa:95 così il combinato disposto degli artt. 111 c.p.c. e 2652,
2653, 2690 c.c.
Il sequestro giudiziario di immobili o mobili registrati, in quanto custodia o gestione in attesa della consegna all’avente diritto finale, non appare
da sé solo in grado di impedire la disposizione giuridica che, in virtù del
principio consensualistico, non presuppone il possesso dei beni che con il
sequestro è passato al custode. Ed anche se si ritiene, come è parso preferibile (supra, § 3.3), che il sequestro comporti per sua stessa natura il divieto
di alienazione in capo all’attuale titolare, è ben possibile che tale divieto
sia violato.
Quid allora? Per il sequestro conservativo soccorre la norma dell’art. 2906
c.c., anch’essa recante la risoluzione di un conflitto, che sanziona senz’altro e
sempre con l’inefficacia relativa gli atti di disposizione giuridica compiuti in
costanza di sequestro.
Per il sequestro giudiziario, viceversa, non esiste alcuna previsione di tal
genere.
In assenza di lex specialis occorre allora fare capo alle disposizioni generali che disciplinano il conflitto tra chi chiede la tutela e l’avente causa della sua
controparte, cioè appunto alla disciplina della litispendenza ex art. 111 c.p.c.,
che richiama quella della trascrizione della domanda giudiziale.
Ciò fa comprendere come non occorra tanto chiedersi se il sequestro giudiziario protegga dai soli rischi di dispersione materiale del bene, o anche da
quelli di disposizione giuridica. Come si è già accennato infatti tale misura, una volta attuata, comporta sempre un divieto di disposizione giuridica in
capo al sequestrato (oltre che, ovviamente, al custode). Il problema è invece
nella tecnica legislativa che da un lato affida il rispetto del vincolo (e dunque
anche l’inalienabilità del bene) a quella che è pur sempre una condotta volontaria dell’obbligato; e dall’altro non ricollega alcun effetto di inopponibilità al
sequestro giudiziario in quanto tale.
Mentre nel sequestro conservativo il problema è risolto automaticamente con la prevalenza sempre delle ragioni del sequestrante dalla lex specialis
dell’art. 2906 c.c., nel sequestro giudiziario la disciplina applicabile va ricercata nelle disposizioni generali sulla circolazione dei diritti (immobiliari).
Ciò è tanto vero che se, in ipotesi è attuato un sequestro giudiziario ma non è
trascritta la domanda giudiziale di merito, l’atto dispositivo del diritto sul bene
oggetto di sequestro, se trascritto, è pienamente opponibile al sequestrante
nonostante il bene sia in regime pubblicistico di custodia.
Se dunque la funzione di proteggere la parte contro atti di disposizione giuridica del bene in pendenza della controversia sull’appartenenza è appreIn applicazione del principio che la durata del processo non deve ridondare a danno della
parte che ha ragione: v. per tutti, anche se limitatamente ai profili di rilevanza processualistica
del complesso istituto, Luiso, Diritto processuale civile, cit., I, 387 ss; Caponi, Il sequestro
giudiziario, cit., 178 ss.
95
Capitolo 3 – Il procedimento
99
stata dalle norme sulla trascrizione, appare evidente la carenza di interesse
che inficia l’istanza di sequestro giudiziario di beni immobili o mobili registrati in base alla sola allegazione del periculum legato alla disposizione
giuridica.96
Si svuota così di contenuti il problema della trascrivibilità del sequestro
giudiziario.
Questa conclusione di carattere generale non esclude tuttavia in modo
assoluto l’ipotizzabilità di una trascrizione del sequestro giudiziario in particolari ipotesi in cui si alleghi, pur sempre accanto al periculum di distruzione od occultamento materiale, anche quello di disposizione giuridica97
del bene immobile o mobile registrato. In tal caso infatti, richiesto il sequestro ante causam, non soccorrerebbe la trascrizione della domanda giudiziale contro gli atti di disposizione intervenuti nelle more della relativa
proposizione.98
Il ricorrente dovrebbe però pur sempre dimostrare, oltre ai pericula tipici
di questa misura, anche un rischio di alienazione che presenti forti caratteristiche di concretezza ed imminenza, attesa la brevità del termine per l’instaurazione del giudizio di merito, e quindi la possibilità di ovviarvi comunque con
lo strumento tipico della trascrizione della domanda.
Per quel che riguarda invece la circolazione dei diritti aventi ad oggetto
beni mobili o universalità di mobili, in cui non è applicabile il regime della
trascrizione, occorre distinguere.
Se si tratta di universalità, la disposizione generale applicabile è quella
dell’art. 111 c.p.c., per il quale l’acquisto pendente lite non è opponibile alla controparte che ha attuato il sequestro, secondo il criterio generale
e residuale dell’atto di data certa anteriore, applicabile alla fattispecie in
assenza di lex specialis di diverso tenore. Anche in tale caso il sequestro
giudiziario, incidendo solo sulla materiale disponibilità delle res poste in
regime di custodia, non è in grado di sterilizzare, da sé solo, l’eventuale alienazione, che però, in applicazione del criterio generale dell’art. 111
c.p.c., non è opponibile per definizione al sequestrante, dato che avviene
dopo l’instaurazione della lite.
Gli effetti descritti sono tuttavia conseguenza, come si è già rilevato per i
beni immobili, non del sequestro giudiziario in quanto tale ma della litispendenza.
Così Caponi, Il sequestro giudiziario, cit., p. 180 ss; Corsini, Il sequestro, cit., p. 874, il quale
rileva altresì come la via della trascrizione è più semplice in quanto automatica e non sottoposta, come il sequestro giudiziario, ad una preventiva valutazione del giudice; Luiso, Diritto
processuale cit., IV, p. 248 ss.
97
Ferri, voce Sequestro, cit., p. 471. La giurisprudenza di legittimità ha, di recente, chiarito a
questo proposito che il periculum va valutato con riguardo alla concreta situazione di fatto,
di talchè l’opportunità del sequestro non è esclusa da istituti che hanno finalità diverse, come
appunto la trascrizione delle domande (Cass. 5 gen. 2000, n. 46).
98
Vullo, L’attuazione, cit., p. 293.
96
100
l’attuazione delle misure cautelari
È in riferimento ai beni mobili che il sequestro giudiziario solo in quanto tale si pone invece come strumento concretamente in grado di porre reali
ostacoli al perfezionarsi dell’acquisto a titolo originario disciplinato dall’art.
1153 c.c. Ciò in quanto, ponendo il bene mobile in regime pubblicistico di
custodia, lo sottrae alla parte che ne può attualmente disporre impedendone la
traditio ad un eventuale terzo di buona fede, ed impedisce il perfezionamento della fattispecie dell’art. 1153 c.c. Nulla esclude dunque, in applicazione
del principio consensualistico, che la disposizione giuridica del bene avvenga
comunque da parte del sequestrato ma si riveli, in applicazione dell’art. 111
c.p.c., inopponibile all’attore che ha eseguito il sequestro.
La conclusione non è tuttavia scontata. È infatti ben possibile anzitutto
che la custodia venga affidata alla controparte del sequestrante, che dunque,
restando nel materiale possesso del bene, può operarne la traditio e perfezionanre la fattispecie dell’art. 1153 c.c. È altresì possibile che il terzo nominato
custode, violando i propri doveri, trasferisca materialmente il bene ad un soggetto in buona fede, con lo stesso risultato.
Ora, stante la stretta compenetrazione tra autorizzazione del sequestro e
sua attuazione, la sottrazione del bene al vincolo pubblicistico della custodia
ha quale effetto (oltre che l’acquisto del diritto in capo al terzo) la perdita di
efficacia della misura per sopravvenuta carenza del suo oggetto.
Né potrebbe ammettersi, per escludere tale conclusione, un semplice rinnovo della fase di investitura del custode contro il terzo stesso, attuale possessore: egli infatti, in virtù dell’atto dispositivo, vanta una posizione giuridica
incompatibile con l’attuazione, da cui è anzi protetto expressis verbis dall’art.
677, comma 3° che, com’è noto, prescrive l’audizione del terzo detentore, il
quale può opporsi ai sensi dell’art. 211 solo se la sua è una posizione compatibile con l’investitura del custode in riferimento al bene.
Salva l’applicazione delle sanzioni penali e civili a carico del custode e/o
del sequestrato, non resta perciò che arrendersi alla sopravvenuta inutilità
della cautela, e richiedere un nuovo sequestro giudiziario nel contraddittorio
dell’attuale titolare del bene (e sempre che ve ne siano i presupposti).
L’inconveniente deriva dal fatto che, a differenza di quanto accade nei casi
in cui è applicabile il regime della trascrizione, nel sequestro mobiliare non
esistono meccanismi pubblicitari in grado di rendere edotti i terzi dell’esistenza del vincolo, neppure potendo ritenersi sufficiente, quando si verifica, lo
spossessamento.
Il che, evidentemente, insieme al fatto che la custodia si risolve in una condotta volontaria dell’obbligato che ben può divergere da quella dovuta, rende
estremamente probabile che il bene sia materialmente trasmesso ad un terzo e
che questi, ignorandone lo status, ne acquisti la proprietà in modo opponibile
al sequestrante.99
99
Caponi, Il sequestro, cit., p. 182 ss.
Capitolo 3 – Il procedimento
101
Per evitare l’inconveniente potrebbe allora rivelarsi prezioso l’utilizzo di
forme di pubblicizzazione del sequestro giudiziario tali da assicurare, nel caso
concreto, la conoscibilità del vincolo in capo ad un numero il più possibile
ampio di soggetti. La predisposizione di tali forme potrebbe essere richiesta
da una delle parti in sede di concessione della cautela, o anche in corso di
attuazione, oppure disposta d’ufficio dal giudice ex art. 676, quale particolare
cautela idonea a rendere più sicura la custodia.
Così realizzata la conoscenza del vincolo, anche l’eventuale traditio del
bene al terzo non sarebbe più in grado di perfezionare la fattispecie dell’art.
1153 c.c. per difetto di buona fede: essendo la posizione del terzo recessiva
rispetto a quella del sequestrante; ed essendo altresì irragionevole e contrario
ai fini dell’ordinamento100 proteggere una posizione acquisita con la consapevolezza di violare un provvedimento del giudice; l’“attuazione” (intesa come
investitura del custode) potrebbe dunque essere ripetuta direttamente nei confronti del terzo in mala fede, il quale dovrebbe ritenersi obbligato a consegnare il bene al custode.101
In tal caso perciò la pubblicità, come la trascrizione, si rivelerebbe idonea
a conciliare l’esigenza che la durata del processo non danneggi chi vi ricorre
con la sicurezza della circolazione giuridica dei beni,102 operando una scelta
della posizione da proteggere basata sulla conoscibilità del vincolo quale presupposto della sua opponibilità.103
La sovrapponibilità tra le due ipotesi non va tuttavia sopravvalutata, la trascrizione essendo onere cui è correlata una presunzione di generale conoscibilità; 104 la pubblicità essendo invece fenomeno che, non previsto generaliter
In questo senso Caponi, op. cit., p. 184.
Soggetto diverso da colui che, in violazione degli obblighi afferenti al suo munus publicum,
ha operato la traditio del bene al terzo. In tal caso non varrebbe neppure obiettare, per sostenere
comunque la sopravvenuta inefficacia del sequestro, lo spirare del termine dell’art. 675. La sottrazione del bene da un lato è infatti, per definizione, successiva alla costituzione del vincolo,
che si è verificata nei termini; dall’altro concreta ipotesi di violazione dei doveri inerenti alla
custodia, non potendosi imputare a condotta non diligente del sequestrante.
102
Ancora in proposito, è interessante richiamare il caso risolto da P. Parma 19 marzo 1999, in
Giur. it., 2000, I, p. 304 ss., con Nota di Falciano, cit., in cui il sequestrato, nominato custode di
un autoveicolo su cui era stato disposto un sequestro giudiziario non trascritto, lo aveva alienato
ad un terzo, il quale però non era mai venuto a conoscenza del sequestro. Costui richiedeva così,
ex art.. 700, la restituzione dell’autoveicolo, dal quale dipendeva il suo lavoro, che egli era stato
illegittimamente sottratto, con provvedimento abnorme della Polizia Stradale, per essere affidato ad altro custode. Ebbene il Pretore, nell’accogliere il ricorso ex art. 700, sostiene proprio che
non è ammissibile una nuova fase di esecuzione dello stesso sequestro contro il terzo, perché
costui era in buona fede al momento dell’acquisto, in quanto ignorava il vincolo esistente sul
bene. Lascia così intendere che, ove vi fosse stata la trascrizione del sequestro la conoscibilità
del vincolo avrebbe autorizzato una recessività della posizione di costui rispetto alla ripetizione
della fase attuativa.
103
Così Caponi, op. cit., p. 183.
104
In funzione della salvaguardia della sicurezza dei traffici giuridici. Essa realizza cioè una
forma di pubblicità legale: Pugliatti, voce Conoscenza, in Enc. dir., IX, Milano, 1961, p. 45
100
101
102
l’attuazione delle misure cautelari
dalla legge ma solo di volta in volta dal giudice, non appare correlabile ad una
presunzione di generale conoscibilità erga omnes.
Occorrerebbe dunque pur sempre di verificare, caso per caso, se il terzo
sia venuto effettivamente a conoscenza del sequestro, il che pone l’ulteriore
problema di stabilire a quale delle parti interessate, e cioè chi ha già ottenuto il sequestro o il terzo, spetti l’onere della relativa prova. E la risposta è
suscettibile di variare, con tutta probabilità, in relazione alla preferenza per
le esigenze legate alla protezione di chi agisce in giudizio, o alla sicurezza
nella circolazione giuridica dei beni.105 Se si privilegiano le prime, anche in
considerazione del fatto che vi è già stato un provvedimento sul periculum
lamentato, bisognerà far gravare sul terzo, che dev’essere sentito in fase attuativa ai sensi dell’art. 677, 3° c., l’onere della dimostrazione di aver ignorato
l’esistenza del sequestro.
Se, viceversa, si privilegia la seconda, sarà il sequestrante a dover dimostrare la mala fede soggettiva del terzo.
4. L’“attuazione” del sequestro conservativo: a) sui beni mobili e sui crediti
Veniamo adesso all’attuazione del sequestro conservativo sui beni mobili e
sui crediti che è disciplinata, ex art. 678, dalle norme sul pignoramento dei
medesimi beni.
Considerazioni già effettuate consentono di ascrivere al richiamo un carattere limitato alle sole modalità tecniche di realizzazione del vincolo sui
beni:106 così, il giudice competente a gestire l’intera vicenda attuativa è, come
già rilevato, quello della cautela e non quello dell’esecuzione,107 e non sono
necessarie le c.d. formalità preliminari della notifica del provvedimento e del
precetto.108
ss; ID., La trascrizione, in Trattato di diritto civile e commerciale diretto da Cicu e Messineo,
Milano, 1957, p. 217 ss; Caponi, Il sequestro, cit., p. 182.
105
Caponi, op. cit., p.194 ss.
106
Pototschnig, L’esecuzione dei sequestri, cit., p. 762; Vullo, L’attuazione, cit., p. 300. Anche
prima della l. n.353/1990 la prevalente dottrina era tuttavia orientata in questo senso, e proprio
facendo leva sulla differenza strutturale e funzionale tra l’attuazione de qua e l’esecuzione
forzata. V. per tutti, Zumpano, voce Sequestro, cit., 126; ma già in questo senso, Calvosa, Il processo cautelare, cit., p. 573 ss; Andrioli, Commento, 3a ed., IV, cit., p. 184. In giurisprudenza,
Cass. 20 aprile 1993 n. 4635; Cass. 24 settembre 1990 n. 9688; Cass. 20 maggio 1969 n. 1784;
P.Pietrasanta, 23 febbraio 1988, in Arch. civ., 1989, p. 527 ss; P.Milano, 19 agosto 1986, in Giur.
it., 1987, I, 2, c. 81ss, con Nota di Tommaseo.
107
Così anche Vullo, L’attuazione, cit., p. 299ss.
108
Questi incombenti possono anzi rivelarsi addirittura contrari, in certi casi, allo spirito di altre
norme del procedimento cautelare uniforme applicabili alla fattispecie come, ad esempio, l’art.
669 sexies, comma 2°, che prevede la concedibilità della misura in assenza di contraddittorio se
la convocazione della controparte possa pregiudicare l’attuazione. Una notifica del provvedimento che la preannunci vanificherebbe dunque lo scopo dell’istituto.
Capitolo 3 – Il procedimento
103
L’“attuazione” avviene dunque ai sensi dell’art. 513 e ss., riguardanti il
pignoramento presso il debitore in luoghi che gli appartengono o in altri dei
quali abbia l’immediata disponibilità: all’ufficiale giudiziario109 potrà presentarsi il caso del comma 3° dell’art. 494 c.p.c., e cioè il deposito, come oggetto
di sequestro, di una somma pari al credito ed alle spese, aumentata di due
decimi110; ma anche quello del comma 1 della disposizione, cioè il pagamento
dell’importo del credito vantato.
Sicuramente applicabile anche al sequestro conservativo è altresì l’istituto
della riduzione di cui all’art. 496,111 per lamentare che il valore dei beni sottoposti
a vincolo supera quello del credito cautelato e delle spese. L’opposta soluzione
emersa nella giurisprudenza di merito,112 e per la quale l’istanza andrebbe invece
formulata ai sensi dell’art. 669 decies, non tiene in adeguato conto che oggetto
del sequestro conservativo è il credito cautelato. Perciò, se si intende lamentare
che i beni vincolati superano il valore del credito, la sedes è quella dell’apposizione del vincolo, ove la scelta dei beni avviene, (art. 496) e non quella della
modifica del contenuto precettivo del dictum (art. 669 decies).
Ad ulteriori riflessioni sui rapporti con la revoca dell’art. 669 decies dà
poi luogo l’istituto disciplinato dall’art. 684, norma speciale compresa nel
richiamo agli artt. 677 e segg. che autorizza il debitore ad ottenere la revoca
del sequestro prestando idonea cauzione per l’ammontare del credito e delle
spese in ragione del valore delle cose sequestrate.
Vi è infatti chi ritiene l’istituto equivalente, quanto alla sostanza di trasferimento del vincolo dai beni alla cauzione, alla conversione del pignoramento
di cui all’art. 495,113 che pertanto non trova diretta applicazione nel sequestro
conservativo.
Che, non operando i criteri di competenza territoriale di cui all’art. 26, non può essere adito direttamente dalla parte ma dev’essere nominato dal giudice nel provvedimento o successivamente.
110
La norma infatti, dettata per il pignoramento in generale, è applicabile al pignoramento presso il debitore e dunque, in virtù del richiamo dell’art. 678, al sequestro de quo.
111
Cass. 9 febbraio 1994 n. 1336; Cass. 7 novembre 1992 n. 12050; Cass. 27 aprile 1985 n.
2746; Cass. 20 luglio 1962 n. 1979, in Foro pad., 1963, I, p. 298, con Nota di. Teglio; Cass.
25 giugno 1954 n. 2201; Ferri, voce Sequestro, p. 479; Id, Procedimenti cautelari, cit., p. 90;
Vullo, L’attuazione, cit., p. 301.
112
Nel caso oggetto dell’ordinanza del T. Lucca 8 aprile 2003, resa sul reclamo avverso un’ordinanza del giudice istruttore dichiarativa dell’inammissibilità dell’istanza di riduzione, il giudice
ha occasione di rilevare, sia pure in via di obiter dictum, che l’istituto che incide sull’entità del
sequestro è la modifica dell’ordinanza ex art. 669 decies, mentre l’oggetto del sequestro, come
quello del pignoramento, va modulato appunto con l’istanza di riduzione. Di contrario avviso si
era mostrato, invece, l’istruttore la cui ordinanza è stata oggetto di reclamo.
113
Cass. 3 settembre 1999 n. 9291; Cass. 18 gennaio 1995 n. 520; Cass. 1 dicembre 1994 n.
10254; T.Ancona, 2 giugno 1992, in DM, 1994, 194; Cass. 31 maggio 1988 n. 3705; Cass. 18
febbraio 1986 n. 951; App.Lecce, 12 gennaio 1995, in DM, 1996, 175 ss. In dottrina, già Carnelutti, Istituzioni del processo civile italiano, III, Padova, 1956, p. 162; Satta, Commentario, cit.,
IV, p. 229; Coniglio, Il sequestro giudiziario, cit., p. 137ss; Pototschnig, L’esecuzione, cit., 773;
Luiso, Diritto processuale civile, IV, cit., passim; Zumpano, voce Sequestro, cit., p. 132.
109
104
l’attuazione delle misure cautelari
Per Altri114 invece, il tenore letterale della norma corrisponde alla reale
sostanza del fenomeno, nel quale la prestazione della cauzione determina la
vera e propria revoca della misura.
La difficoltà di inquadramento è legata al richiamo dell’art. 684, piuttosto
che ad una somma di denaro, ad una cauzione115 che può consistere, oltre che
in titoli del debito pubblico e libretti bancari anche, secondo un uso piuttosto
frequente,116 in garanzie fideiussorie, assicurative e bancarie. In tali ultimi casi
viene infatti a mancare l’oggetto materiale su cui trasferire il vincolo cautelare, tale non potendosi considerare, almeno in senso stretto, il quantum oggetto
del distinto rapporto fideiussore-creditore.117
E la mancanza dell’oggetto si riverbera nei sequestri sull’efficacia della
misura, elidendola.
Queste considerazioni sono alla base della lettura118 per la quale è necessario operare dei distinguo tra i casi di cauzione avente ad oggetto denaro o
valori equivalenti, nei quali si creerebbe una vera e propria conversione del
sequestro analoga a quella di cui all’art. 495 c.p.c.; e quelli in cui invece la
cauzione sia costituita da garanzie personali o reali, in cui il provvedimento
deve ritenersi senz’altro revocato, con la conseguente caducazione di ogni
questione relativa alla sua legittimità.
Quest’ultima soluzione appare preferibile ove non si ritenga tout court
inammissibile la prestazione di queste garanzie ai sensi dell’art. 684.119
La doppia anima del fenomeno si riverbera però sui profili di disciplina,
che appaiono alquanto diversi. Nel primo caso, l’inquadramento nello schema
Del Pasqua, Sulla revoca del sequestro conservativo a seguito di cauzione, Foro it, 1955, I,
c. 275 ss.
115
L’art. 86 disp.att. al c.p.c. prevede quale oggetto di cauzione, in via generale, il versamento
di una somma di denaro, oppure il deposito di titoli del debito pubblico.
116
In tal caso, l’idoneità allo scopo dovrebbe pur sempre essere valutata dal giudice ai sensi
dell’art.119: T.Trapani, 8 aprile 1992, in Riv. dir. proc., 1993, p. 918; contra, T. Palermo 9
dicembre 1992, ivi, per il quale non è da annoverarsi, tra gli oggetti di cauzione ex art.684, la
fideiussione, con conseguente inammissibilità della richiesta così formulata.
117
T. Napoli 22 febbraio 1985, in Riv.dir.agr. 1985, p. 192; T.Venezia, 19 sett. 1973, in DM,
1974, p. 361; Colesanti, Sulla giustizia, sindacabilità ed efficacia di un provvedimento presidenziale di revoca-conversione di sequestro conservativo,in Giur.It, 1972, I, 2, 71ss.
118
Andrioli, Commento, cit., p. 210; Redenti, Diritto processuale civile, III, cit., p. 80 ss; T.
Brindisi, 8 aprile 1991, in DM, 1993, 1066; T. Savona, 26 marzo 1981, in DM, 1981, p. 390;
T. Genova, 12 aprile 1979, in DM, 1979, p. 585; T. Venezia, 19 settembre 1973, in DM, 1974,
p. 361. Contra, nel senso che si tratti ugualmente di conversione dell’oggetto, invece, si sono
espresse Cass. 1 dicembre 1994 n. 10254; T. Livorno, 27 agosto 1993, in DM, 1994, p. 214; T.
Milano 5 aprile 1993, in Banca, borsa, tit. cred., 1994, II, p. 68; App. Lecce, 12 gennaio 1995,
in DM, 1996, p. 175 ss.
119
Ciò anche in considerazione del fatto che, ove in questo caso si propendesse per l’inquadramento del fenomeno in termini di conversione dell’oggetto del sequestro, bisognerebbe poi
ammettere che, con la sentenza di merito, la trasformazione in pignoramento apra il concorso
di altri eventuali creditori, pur rispetto alla diversa titolarità soggettiva di queste obbligazioni:
così Satta, Commentario, cit., p. 229, in base al rilievo che, altrimenti, la fideiussione finirebbe
con il risolversi in un privilegio per il sequestrante.
114
Capitolo 3 – Il procedimento
105
della revoca ex art. 669 decies impone che il dato testuale dell’art. 684 relativo
all’inimpugnabilità dell’ordinanza120 sia superato a favore della reclamabilità
ex art. 669 terdecies,121 da un altro dato testuale, l’art. 669 quaterdecies nella
parte in cui estende ai sequestri il rito cautelare.
La relativa domanda va poi proposta al giudice di merito, e quindi in consonanza con il dato letterale dell’art. 684, e proprio l’offerta delle garanzie
dovrebbe configurare quel mutamento nelle circostanze idoneo ad ottenere
una revoca del sequestro già disposto.
Nel caso in cui venga invece offerta, a titolo di cauzione, una somma di
denaro ed in cui perciò il fenomeno debba effettivamente leggersi in chiave
di conversione del sequestro, la relativa istanza, ad onta del tenore letterale
dell’art. 684, andrà proposta al giudice che ha disposto la misura in quanto
competente anche a gestirne l’attuazione. La fattispecie è anzi emblematica
di quella stretta compenetrazione tra autorizzazione ed attuazione che è tipica
del sequestro: trattandosi di sostituire l’oggetto sul quale il vincolo è stato in
primis attuato (profilo squisitamente attuativo), se per qualunque motivo la
sostituzione non si perfeziona regolarmente, la misura diviene inefficace per
mancanza del suo oggetto (amplius infra). Quanto al provvedimento con cui il
giudice pronuncia, deve ritenersi stavolta prevalente il dato testuale della non
impugnabilità,122 trattandosi effettivamente di atto “esecutivo” vero e proprio.
L’istanza è però liberamente riproponibile con la precisazione che deve escludersi un’iniziativa ufficiosa del giudice,123 in generale invece ammissibile per
la determinazione delle modalità di attuazione.
Veniamo ora alla custodia. Sia pure in modo diverso da quanto accade
nel sequestro giudiziario, anche nel sequestro conservativo l’attuazione nella
sua dimensione dinamica coincide, in riferimento ai beni incisi, con la custodia dei beni. È vero infatti che una loro eventuale disposizione giuridica
è inopponibile al creditore sequestrante; ma è altrettanto vero che il vincolo
sui beni presuppone la loro conservazione materiale, prius indispensabile di
ogni effetto giuridico di conservazione della garanzia patrimoniale, alla quale
la trascrizione, cui è collegato il regime di inopponibilità, evidentemente, non
è da sola funzionale. Si pensi inoltre al caso dei beni mobili, ove la custodia assume la funzione cruciale già evidenziata per il sequestro giudiziario:
l’eventuale perfezionamento della fattispecie di acquisto a titolo originario ex
art. 1153 c.c. comporta infatti la sopravvenuta inefficacia del vincolo124. Da
E che si considera altresì non ricorribile ex art. 111, comma 7° cost. perché non decisoria:
Cass.1 dicembre 1994 n.10254; Cass. 8 agosto 1979 n.4574; T.Milano, 17 dicembre 1976, in
MT, 1977, p. 250.
121
Montesano-Arieta, Diritto processuale civile, III, cit., p. 300.
122
Tale previsione è peraltro coerente con quella dell’art. 669 duodecies, per il quale tutte
le determinazioni relative all’attuazione della cautela assumono appunto la forma dell’ordinanza.
123
Ciò perché una tale iniziativa è esclusa anche dall’art. 495 per la conversione.
124
Ferri, Procedimenti cautelari, cit., p. 99.
120
106
l’attuazione delle misure cautelari
questo punto di vista, dunque, si apprezza appieno la vicinanza funzionale tra
sequestro giudiziario e sequestro conservativo.
Essendo poi il custode pur sempre un ausiliare del giudice e dunque sottoposto al suo costante controllo, le questioni relative alla regolarità della
sua nomina, al suo compenso e alla sua sostituzione, ed in generale agli atti
del suo ufficio, altro non rappresentano che tale controllo, e restano perciò
attratte, come accade nel sequestro giudiziario, allo stesso giudice della
cautela.
Un altro gruppo di norme, dettate per l’espropriazione forzata e applicabili
al sequestro conservativo, è quello costituito dagli artt. 514 e 515, che prevedono limiti assoluti o relativi alla pignorabilità dei beni.
Ciò appare comprensibile non solo in base al dato formale che rientrano
tra quelle richiamate dall’art. 678, ma anche in virtù della funzione stessa del
sequestro che, trasformandosi in pignoramento ai sensi dell’art. 686, deve necessariamente aver avuto ad oggetto beni sottoponibili a quest’ultimo.125
E proprio in riferimento alle ipotesi di impignorabilità occorre poi stabilire
a chi spetti la competenza a decidere le relative contestazioni, ed alla luce di
quali norme.
La considerazione dei profili strutturali e funzionali del sequestro impone
di ricorrere alla figura dell’inefficacia: l’errore consistente nella scelta di beni
impignorabili comporta la sottrazione dei beni stessi al vincolo126 e quindi
senz’altro la mancata attuazione tout court nel termine di perenzione.
Ove la dedotta impignorabilità riguardi tutti i beni in concreto sequestrati,
la misura sarà inefficace in toto, mentre ove riguardi solo una parte di essi, si
tradurrà in concreto, nella sottrazione di quegli specifici beni al vincolo. 127
In base a questi criteri guida, dovrà quindi ritenersi inammissibile il sequestro conservativo
delle somme di denaro e dei crediti pecuniari dello Stato e degli enti pubblici, in quanto patrimonio vincolato a scopi di natura pubblica, salvo che le somme esistenti presso le Tesorerie non
abbiano ancora ricevuto uno specifico vincolo derivante da previsione di bilancio: così Ferri,
Procedimenti cautelari, cit., p. 98.
126
L’impostazione si rinviene in autorevole dottrina a proposito dell’opposizione all’esecuzione
in cui si fa valere l’impignorabilità dei beni: essa, infatti, non è che il diritto a procedere o meno
in executivis in quanto si afferma su determinati beni. Così Satta-Punzi, Diritto processuale
civile, cit., p. 717.
127
Una figura di sequestro conservativo sulla quale sono stati avanzati parecchi dubbi è il
“sequestro presso se stesso”, che si ha quando il sequestrante sottopone a vincolo cose o
somme che egli stesso detiene, sostenendo di non doverle alla controparte, perché contesta
il debito o vanta un controcredito ( e sul quale v. in generale, Ferri, Procedimenti cautelari,
cit., p. 100 ss). Parte della dottrina e della giurisprudenza (Andrioli, Commento, cit., IV, p.
187-188. Satta, Commentario al Codice di Procedura Civile, IV, 1, Milano, 1968, p. 208;
Ferri, Procedimenti cautelari, cit., p. 100; P.Foggia 29 gen 1988, Foro. it., 1988, I, c. 1317;
in riferimento alla difficoltà di individuare le forme di esecuzione v. T. Ancona, 15 ottobre
1985, in Giust. civ., 1986, I, p. 1175; T.Parma, 20 aprile 1978, in Giust. civ., 1979, I, p. 366;
in dottrina, Montesano-Arieta, Diritto, cit., p. 295.) ritiene che non possa ricorrersi a questa
figura né quando il credito del sequestrante sia consacrato in un titolo esecutivo, nel qual caso
questi troverà compiuta tutela nelle forme previste dalle norme sul giudizio di merito o su
125
Capitolo 3 – Il procedimento
107
Quanto all’attuazione del sequestro presso terzi, l’art. 678 rinvia alle norme sul relativo pignoramento.
A parte quindi il rilievo che trovano applicazione, anche in questo caso, le
norme dettate dall’art. 545 sull’impignorabilità di alcuni crediti, per espressa
disposizione della norma speciale il sequestrante dovrà citare il terzo a comparire davanti al tribunale del luogo in cui risiede per rendere la dichiarazione
di cui all’art. 547.
A questo punto, però, i due modelli si divaricano, perché quello speciale
prevede la sospensione del processo di accertamento dell’obbligo del terzo
fino all’esito del giudizio sul credito cautelato, salvo che sia il terzo stesso a
chiedere l’accertamento immediato dei propri obblighi.
Occorre in proposito ribadire (supra, cap. II, sez. I) l’enorme valore
sistematico del riferimento al contesto del previgente giudizio di convalida
perché ispirato alla logica, coessenziale alla natura del sequestro, della concentrazione in un unico giudice, (quello appunto della convalida), di ogni
profilo attinente sia alla concessione che all’attuazione del sequestro, e cui
era rimesso anche il giudizio di accertamento dell’obbligo del terzo che lo
avesse richiesto.
Ciò ai fini della valutazione della portata da attribuire, nel contesto attuale
ove è scomparso il riferimento dell’art. 678 al giudizio di convalida,128 alla
quello esecutivo, se già intrapreso; né quando opera l’istituto della compensazione giudiziale
prevista dal comma 2° dell’art. 1243 c.c., che non potrebbe essere elusa dalla concessione di
un sequestro di questo tipo. Secondo altri (Merlin, voce Procedimenti, cit., p. 497; Coniglio,
Il sequestro, cit., p. 117) invece proprio nei casi in cui uno dei crediti non sia liquido, e perciò
non possa operare la compensazione, o nel caso di beni mobili, per i quali l’istituto non opera
affatto, il sequestro presso se stesso costituisce un utile strumento di tutela, in presenza degli
specifici presupposti di legge. Alcuna giurisprudenza di legittimità (Cass. 8 febbraio 1992 n.
1407, in Giur. it., 1992, I, 1, c. 2176; Cass. 19 dicembre 1975 n. 4182; Cass. 19 luglio 1954 n.
2581; indirettamente, anche T.Roma, 18 agosto 1994, in Giust. civ., 1995, I, 1931, con Nota
di Santagada) ed altri Autori (Bucolo, Il pignoramento e il sequestro presso il terzo, Padova,
1986, p. 443; Coniglio, Il sequestro, cit., p. 116; Pototschnig, Il sequestro conservativo, in
AA.VV., Il nuovo processo cautelare, cit, p. 49 ss.) ritengono infine che tale sequestro sia
sempre ammissibile, sicché il discorso si sposta sulle concrete modalità con le quali darvi
attuazione. Superando l’opinione espressa dalla più risalente giurisprudenza che riteneva applicabili le norme del pignoramento presso terzi (T. Milano, 24 febbraio 1949, in Foro. it.,
1949, I, c. 885; T.Roma, 4 febbraio 1946, in Foro. it., 1947, I, c. 703; Cass. 16 luglio 1943
n. 1860), la giurisprudenza più recente (Cass. 8 febbraio 1992 n. 1407, in Giur.it., 1992, I,
1, c. 2176; Corte conti 3 marzo 1982 n.28, in Riv. Corte conti, 1982, I, 1, p. 117; Corte conti
6 luglio 1973, n.13, in Giust.civ., 1974, III, p. 101) ritiene che sia sufficiente, allo scopo di
identificare l’oggetto della misura cautelare, la sola presentazione dell’istanza di sequestro in
mani proprie. In particolare, le formalità relative alla citazione del terzo sarebbero superflue
per la coincidenza di questa figura con quella del sequestrante.
128
Che creava una speciale competenza funzionale del giudice della convalIda e del merito a
conoscere anche della causa di accertamento dell’obbligo del terzo: così Vullo, op.cit., p. 303.
La ratio della disposizione è da rintracciare nell’esigenza, ove i giudizi di convalida e di merito
avessero avuto esito negativo, di evitare un giudizio, quello di accertamento dell’obbligo del
terzo, rivelatosi poi inutile (così Satta, Commentario, cit., passim; Cass. 25 ottobre 1980 n.
108
l’attuazione delle misure cautelari
competenza del giudice del luogo di residenza del terzo, che come già rilevato
non può ritenersi estesa ad ogni aspetto del procedimento di “attuazione”, ma
è limitata alle sole formalità in cui si risolve, nella fattispecie, la costituzione
del vincolo.
Nessun problema di rilievo sembra poi comportare l’ipotesi in cui intervenga sentenza favorevole al sequestrante prima della definizione del giudizio
ex art. 548 c.p.c., anche ove si ritenga che la sola pubblicazione trasformi il
sequestro in pignoramento. Quest’ultimo rimane infatti sospeso ex lege fino
all’esito del giudizio sul suo oggetto.
Resta infine da chiarire la portata del richiamo, operato dall’ultimo comma
dell’art. 678, all’art. 610 nel caso sorgano difficoltà che non ammettono dilazione nel corso dell’esecuzione del sequestro.129
1306, in Foro. it., 1981, I, c. 493 spiega la ratio della differenza rispetto al regime di sospensione del processo esecutivo operante invece nel pignoramento presso terzi con il rilievo che
qui l’accertamento dell’esistenza del credito del debitore verso il terzo, essendo l’oggetto del
pignoramento stesso, è pregiudiziale, di talché, senza la relativa determinazione, questo viene
caducato. Nel sequestro invece tale rapporto di pregiudizialità non è ravvisabile, sia perché il
diritto a cautela del quale è concesso potrebbe risultare inesistente, sia perché bisognerà comunque attendere la relativa sentenza perché la cautela si converta in pignoramento). È stato
tuttavia autorevolmente rilevata l’assurdità di rimettere la scelta di ottenere un accertamento
immediato al terzo, finendo il creditore sequestrante, comunque tenuto all’instaurazione del
giudizio di convalida, per dipendere da costui (Satta, Le nuove disposizioni sul processo civile,
Padova, 1951, p. 61). Oggi perciò tale causa, sempre di competenza del tribunale, procede
parallelamente a quella sul merito e, qualora dovesse essere definita prima dell’altra con esito
negativo, il venir meno dell’oggetto renderebbe inefficace il sequestro ex art. 669 novies. Stessa
conseguenza si avrebbe ove fosse definito prima il giudizio di merito nel senso dell’inesistenza
del diritto cautelato, essendo l’efficacia della misura non più legata al passaggio in giudicato
della sentenza ma alla sua semplice pubblicazione. In tal caso, il venir meno del sequestro travolge anche il giudizio sull’accertamento dell’obbligo del terzo: così Pototschnig, L’attuazione,
cit., p. 796. Di diverso avviso si è invece mostrata la giurisprudenza di legittimità, sostenendo che il giudizio relativo all’obbligo del terzo possa proseguire indipendentemente dal venir
meno della misura cautelare, avendo ad oggetto un rapporto autonomamente valutabile (Cass.
7 luglio 1993 n. 7307). Si è tuttavia rilevato che tale giudizio avrebbe un oggetto diverso da
quello originario, costituito dal rapporto obbligatorio così com’era al tempo del sequestro. Su
questo particolare aspetto, e sulla connessa possibilità che l’oggetto del processo venga allargato, Luiso, Diritto proc. civile, III, cit, p. 83 ss.
129
La norma, infatti, dettata per l’esecuzione per consegna o rilascio (e sotto questo aspetto
criticata già da Andrioli, Commento, IV, cit., p. 184) demanda al giudice dell’esecuzione la
risoluzione di queste difficoltà. Si è rilevato che il significato del richiamo era, nel previgente regime, meno inopportuno di quanto potesse sembrare all’apparenza, il suo scopo essendo
quello di consentire una rapida soluzione delle questioni più urgenti, con modalità più snelle
di quelle previste per l’espropriazione. Infatti la giurisprudenza limitava l’uso dell’art. 610
alla fase strettamente materiale dell’esecuzione, restando riservato ogni ulteriore profilo alla
competenza del giudice della convalida e del merito (P. Como 29 settembre 1990, in Foro. it.,
1991, I, c. 662; P. Roma 17 settembre 1986, in Foro. it., 1987, I, c. 2525; Cass. 2 aprile 1966
n. 862, in Foro. it., 1997, I, c. 115). Oggi, mutato il contesto, si è rilevata la frammentazione
processuale cui darebbe luogo (Pototschnig, L’attuazione, cit., p. 768 ss. Questo aspetto viene
realisticamente messo in rilievo anche da chi, come la Santulli, v. Sequestro, cit., p. 14, ritiene
ancora in vigore la norma, e ritiene sussistente la competenza generale del giudice dell’ese-
Capitolo 3 – Il procedimento
109
Le considerazioni sistematiche più volte effettuate sulla struttura e funzione dei sequestri e sul complesso quadro di discipline che presiede alla loro
autorizzazione-attuazione fanno propendere senz’altro per la prevalenza, sul
richiamo stesso, dei dati normativi che individuano nel giudice della cautela
l’unico competente a gestire ogni aspetto dell’iter “attuativo”.
4.1. Segue. L’attuazione del sequestro conservativo: b) sui beni immobili e
sui beni mobili registrati
L’“attuazione” del sequestro conservativo sugli immobili è affidata, dal laconico disposto dell’art. 679, alla trascrizione del provvedimento nei Registri
Immobiliari del luogo dove i beni si trovano ed al già rilevato richiamo, quanto agli obblighi di custodia, all’art. 559.
A differenza che nell’art. 678 il modus operandi è qui direttamente stabilito, senza alcun rinvio alle norme sul pignoramento immobiliare se non quanto
al profilo della custodia.
Ciò non vuol dire, però, che non trovino applicazione altre norme previste
per l’esecuzione immobiliare o ad essa applicabili, quali la revoca ex art. 684
o la riduzione ex art. 496 ed altre ancora delle quali si dirà.
La trascrizione della cautela integra dunque la modalità attuativa del
sequestro conservativo immobiliare,130 ma l’art. 679 non prevede la notifica al debitore né del provvedimento autorizzativo né dell’avvenuta tracuzione per il controllo sulla fase attuativa) sicchè si tende a ritenere il richiamo inoperante,
per intervenuta abrogazione ai sensi dell’art. 15 delle disposizioni preliminari al codice civile
(ancora Pototschnig, L’attuazione, cit., p. 768 ss). Altra dottrina è invece orientata nel senso
di ritenere tuttora in vigore l’art. 610 (Attardi, Le nuove disposizioni, cit., p. 267; Olivieri, I
provvedimenti cautelari, cit., p. 691 e 730; Santulli, op.ult.cit., p. 14), e di ritenere, inoltre,
che competente a sovrintendere all’attuazione del provvedimento sia il giudice dell’esecuzione
(Luiso, in Consolo-Luiso, Sassani, Commentario¸cit., p. 680 ss.; Montesano-Arieta, Diritto,
cit., p. 474; P.Roma, 31 ottobre 1995, in Giur.mer., 1996, p. 226.
130
Luiso, Diritto processuale cit., IV, 241 ss ; Ferri, Procedimenti cautelari, cit., p. 96. Benché l’art. 679 taccia in proposito, si ritiene comunemente che debba essere redatta anche una
nota di trascrizione contenente gli estremi identificativi degli immobili e dei diritti sui quali
il sequestro andrà ad incidere, ai sensi dell’art. 555 (Cass. 24 novembre 1962 n.3183; Cass.
5 agosto 1997 n.7218, la quale precisa che la nota deve contenere anche i limiti della somma
entro cui il sequestro è stato autorizzato, potendo al contrario il Conservatore dei Registri
Immobiliari rifiutarsi di ricevere la nota. V, anche, Ferri, Procedimenti cautelari, cit., p. 96ss).
Va subito precisato che ai problemi relativi alla validità della costituzione del vincolo si affiancano quelli relativi alla regolarità della nota di trascrizione ai sensi dell’art. 2665 c.c., il cui rischio grava interamente sul creditore (Cass. 26 gennaio 1980 n.643; Conte, Il sequestro, cit., p.
182) essendo indipendenti dalla legittimità del sequestro. Anche ove si converta correttamente
in pignoramento, esso non serve infatti a sanare i vizi della trascrizione (Cass. 23 aprile 1980
n. 2671, in Vita Not., 1980, III, p. 1957), sicchè il creditore sequestrante non potrà giovarsene
in pregiudizio dei subacquirenti che abbiano trascritto il loro acquisto dopo la trascrizione del
sequestro che, per essere nulla, è stata cancellata (Cass. 17 giugno 1994 n. 5870). Qualora,
però, il provvedimento che ordina la cancellazione risultasse illegittimo, la relativa ordinanza
di revoca dovrebbe essere annotata a tutela dei terzi (App. Catania 23 novembre 1971, in Riv.
dir. ind., 1972, p. 108).
110
l’attuazione delle misure cautelari
scrizione, ponendo problemi di coordinamento con il richiamo, operato
al comma 2, all’art. 559:131 quest’ultima norma, dettata per il pignoramento immobiliare, prevede infatti che il debitore sia costituito custode
dei beni al momento del pignoramento e presuppone che il relativo atto
gli venga notificato, come sancisce appunto l’art. 555. Per questo si è
soliti132 distinguere il momento in cui si producono le conseguenze legate
all’inopponibilità degli atti, che risale al perfezionarsi della trascrizione;
da quello in cui sorgono gli obblighi di custodia, che coincide invece con
l’avvenuta notifica.
Nel caso del sequestro conservativo invece al mancato riferimento testuale133 alla notifica si aggiunge oggi l’abrogazione delle norme sul giudizio di
convalida, che prevedevano una serie di oneri informativi a carico del sequestrante, aventi ad oggetto sia l’inizio dell’attuazione che le operazioni successive, dando l’impressione che non vi sia più alcuna necessità di tenere il
debitore informato sugli sviluppi dell’attuazione a suo carico, e ponendo il
problema di conciliare quest’assenza di informazione con l’assunzione degli
obblighi inerenti alla custodia.134
Si tratta, allora, di verificare se tali oneri gravino effettivamente sul debitore o se invece continuino, anche oggi, a gravare sul creditore.
Dato l’interesse attuale del debitore a conoscere, a diversi fini,135 l’inizio
Vullo, op.cit., p. 306 ss.
Si vedano già le classiche trattazioni di Andrioli, Commento, 3a ed., IV, cit., p. 191, di Satta,
Commentario, IV. 1, cit., p. 210; contra, però, si registra una risalente decisione di legittimità,
per la quale anche l’assunzione degli obblighi relativi alla custodia decorre dalla trascrizione
del sequestro (Cass. 19 febbraio 1965 n. 280, Foro. it., 1965, I, c. 1047 ss., con osservazioni
di Florino).
133
Così Pototschnig, L’esecuzione, cit., p. 442; F.Verde, Il sequestro, cit., p. 246; Conte, Il
sequestro conservativo, cit., p. 178. Rileva Coniglio, Il sequestro, cit., p. 127, che la mancata previsione della notifica al debitore deriva dalla circostanza che nel sequestro non c’è
bisogno di precostituire un documento per la trascrizione, essendovi già il provvedimento
autorizzativo.
134
Così, se nel sequestro reso inaudita altera parte la notifica del provvedimento serve a dar
notizia, indirettamente, anche dell’attuazione (così Vullo, op.cit., p. 309), nel caso in cui la misura venga invece concessa in contraddittorio il successivo inizio delle attività esecutive resta
sconosciuto, gravando sul debitore l’onere di informarsi sull’inizio delle operazioni perché da
quel momento incombono su di lui gli obblighi e le responsabilità del custode.
135
Il debitore ha anzitutto interesse a dolersi di un mancato inizio dell’attuazione nel termine
di decadenza di cui all’art. 675, o di irregolarità verificatesi nel corso della procedura. Inoltre, non è da sottovalutare il ruolo che la custodia assume anche nel sequestro conservativo,
perché il deterioramento o addirittura la distruzione del bene vanificano la cautela anche
se viene mantenuto intatto l’effetto di inopponibilità al sequestrante degli atti dispositivi
dei beni sottopostivi (Ferri, Procedimenti cautelari, cit., p. 87). Anzi, sotto questo profilo
il creditore può avere interesse a chiedere la nomina di un altro custode dei beni al posto
del debitore, ed al giudice (che l’art. 559 identifica, ovviamente, in quello dell’esecuzione,
ma che nel caso del sequestro conservativo deve ritenersi quello della cautela), per poter
provvedere in merito, è imposto di sentire anche il debitore, il quale deve dunque, in qualche
modo, essere pur sempre notiziato.
131
132
Capitolo 3 – Il procedimento
111
delle operazioni esecutive, si può aderire all’opinione136 che ritiene esistente
anche per il creditore sequestrante, come per quello pignorante, l’onere di
notificare al debitore il provvedimento e la nota di trascrizione da cui risultano gli estremi indentificativi dell’atto, perché possano sorgere gli obblighi
inerenti alla custodia.
Del resto, si ritiene pacificamente che tali oneri informativi debbano comunque essere assolti nei confronti del terzo nominato custode,137 sicchè sarebbe difficilmente giustificabile il diverso (e deteriore) trattamento riservato
al debitore. La soluzione, non osteggiabile in base al solo rilievo di una mancata previsione diretta, da parte dell’art. 679, trova invece la sua ratio proprio
nel rinvio alle norme sulla custodia, che deve ritenersi necessariamente esteso
anche a quelle altre norme collegate che ne assicurano la razionale applicazione, quale, appunto l’art. 555 in parte qua, ma anche l’art. 560.
Va infine rilevato che gli oneri informativi in discorso non inficiano direttamente, ove omessi, l’efficacia e la validità del sequestro ma hanno rilievo ai
soli fini dell’assunzione degli obblighi di custodia. In sostanza, ove si ritenga,
come appare preferibile, di accogliere la tesi appena esposta, dovrà ammettersi che il debitore non assuma questi obblighi fino alla notifica del provvedimento e della nota di trascrizione, e che le conseguenze della scorretta
conservazione del bene nel frattempo verificatesi non faranno scattare la sua
responsabilità per omessa o cattiva custodia.
Venendo al sequestro conservativo sui beni mobili registrati, secondo un’opinione138 anch’esso si esegue con le forme del pignoramento mobiliare. Queste modalità mettono al riparo, attraverso lo spossessamento o comunque l’interversione
del titolo del possesso in detenzione iure publico, dal rischio di una sottrazione
materiale del bene, ma per ottenere il fine precipuo della misura, e cioè l’opponibilità ai terzi del vincolo, è pur sempre necessaria la notifica del provvedimento
autorizzativo al debitore e la trascrizione dell’atto notificato al P.R.A.139
Altra opinione140 ritiene invece che solo tali ultime formalità realizzino
l’attuazione della misura con carattere costitutivo, mentre le attività afferenti allo spossessamento ed alla custodia avrebbero un ruolo eventuale, e comunque secondario. La fattispecie trova regolamentazione normativa nell’art.
2693 c.c., ove si menziona espressamente la sola necessità della trascrizione
del provvedimento successiva alla sua notifica, per gli effetti di cui all’art.
2906 c.c., senza alcun riferimento ad attività materiali in qualche modo riconducibili al pignoramento mobiliare.
Ferri, voce Sequestro, cit., p. 480; ID., Procedimenti cautelari, cit., p. 96 ss; Redenti, Diritto
proc. civ., 2a ed., III, cit., p. 69.
137
Ferri, Procedimenti, cit., p. 97.
138
Satta, Commentario, cit., p. 207.
139
Satta, op.ult.cit., p. 207; Andrioli, Commento, cit., p. 190; Cass. 22 febbraio 1955 n.532;
Cass. 10 febbraio 1954 n.335, in Foro. it., 1954, I, c. 304.
140
Luiso, Diritto processuale civile, III, cit., passim; Andrioli, op.cit., p. 190.
136
112
l’attuazione delle misure cautelari
Sezione II
La prospettiva dell’esecuzione forzata
(l’“attuazione” delle cautele anticipatorie)
Parte I
L’attuazione delle cautele di condanna pecuniaria
1. Premessa: l’esecuzione delle cautele di condanna pecuniaria tra richiamo agli artt. 491 e segg. del c.p.c. e disciplina sostanziale dei rapporti
tra il patrimonio del debitore ed i suoi creditori
Come si è già avuto occasione di rilevare, la ricostruzione del procedimento
di “attuazione” delle cautele di pagamento si risolve, in virtù del rinvio operato dall’art. 669 duodecies agli artt. 491 e segg. in quanto compatibili, in
quella dell’espropriazione intrapresa dal beneficiario della cautela in assenza di adempimento dell’obbligato. Una ricostruzione da condurre, stando al
solo tenore letterale dello stesso art. 669 duodecies, in base alle disposizioni
espressamente richiamate, filtrate però alla luce del limite di compatibilità con
il contesto cautelare di riferimento, vale a dire con la ratio dell’ordine cautelare e con la struttura del processo speciale che lo assiste (e di cui l’attuazione
è solo una fase).
Si è però anche già visto (supra, cap. II, sez. II, parte I bis) come questa
scelta imponga di allargare la prospettiva ben oltre il complesso di disposizioni che regolano il pignoramento e la vendita forzata con relative appendici,
fino ad abbracciare l’intero sistema della responsabilità patrimoniale disegnato dagli artt. 2740, 2741 e 2910 c.c.
L’art. 669 duodecies impone infatti a chi ha ottenuto una condanna pecuniaria un unico canale di accesso al patrimonio del debitore, il pignoramento,
comune anche ad ogni altro creditore legittimato in base a titolo esecutivo
cui è rivolta la disciplina generale dell’espropriazione forzata da esso stesso
richiamata.
La considerazione del patrimonio del debitore quale garanzia dell’adempimento delle obbligazioni per tutti i creditori, sancita dall’art. 2740 c.c., è
dunque il più rilevante presupposto di sistema dell’art. 669 duodecies, ed è
qui che l’interprete è chiamato a confrontarsi anche con il più rilevante profilo
di complicazione (concettuale prima ancora che tecnica) indotto da questa
scelta del legislatore e già più volte evocato: quel “concorso dei creditori”
(spesso identificato anche con la locuzione par condicio creditorum) che
costantemente puntella le disposizioni che costruiscono la complessa trama
dell’espropriazione.
In realtà il concorso dei creditori non è che lo specchio di questa complessità.
Posta al servizio della realizzazione di crediti “certi”, l’espropriazione nasce infatti dall’iniziativa di chi è in possesso di un titolo esecutivo, ma è al
Capitolo 3 – Il procedimento
113
contempo costruita in modo da ospitare le pretese alla soddisfazione di una
serie di creditori, diversi dal procedente, anche non legittimati ad autonoma
azione. La “certezza” del credito da realizzare non deriva sempre da un accertamento giurisdizionale (è quanto accade per i creditori non titolati e per
quelli con titolo stragiudiziale) sicché (oltre che l’esecutato, anche) gli stessi
creditori concorrenti possono contestare le reciproche ragioni di credito e/o di
prelazione provocando strascichi di sospensione della procedura.
E proprio la confluenza in un unico processo di pretese tra loro profondamente diverse sia perché basate su situazioni legittimanti diverse; sia perché,
ove basate su titoli esecutivi, scontano comunque le profonde differenze
(soprattutto sotto il profilo della “resistenza” all’opposizione all’esecuzione
ed alle contestazioni distributive ex art. 512) tra titoli esecutivi giudiziali
e stragiudiziali, finisce per creare una reciproca interferenza che rallenta e
rende meno probabile la (integrale) soddisfazione di quegli stessi creditori
concorrenti141 a cui vantaggio operano le regole che ne consentono la partecipazione.
Ed è qui che il percorso ricostruttivo si fa più accidentato perché, nella
concreta misura in cui questo modello si ritiene esportabile nel processo cautelare, si erode, più o meno consistentemente, l’effettività (sia sotto il profilo
della materiale soddisfazione che dei tempi necessari ad ottenerla) della tutela
cautelare nella sua fase più cruciale, quella esecutiva, appunto.
Si pone perciò un quesito di fondo: sono le disposizioni processuali funzionali a consentire il concorso e quindi fonte dei cennati profili di ineffettività
a doversi ritenere non trasponibili nel contesto cautelare, ostandovi il limite
di compatibilità posto dall’art. 669 duodecies; o è invece proprio il limite di
compatibilità a dover recedere al cospetto di un processo, quello espropriativo, che in quanto posto al servizio della responsabilità patrimoniale non tollera che una applicazione in blocco, persino quanto alle disposizioni non espressamente richiamate dal legislatore cautelare (come si è già visto accadere, ad
esempio, per le regole di competenza)?
La risposta a questa domanda impone, prima di tutto, un esame più approfondito del fenomeno “concorso dei creditori”.
2. Il “concorso dei creditori”: diverse rationes dietro una formula ambigua
Riguardato quale effetto, il “concorso dei creditori” indica sempre e costantemente la confluenza delle pretese alla soddisfazione di più creditori in un
unico processo espropriativo che, per sua stessa natura, crea le premesse di
una possibile insoddisfazione totale o parziale dei singoli crediti concorrenti
se il compendio pignorato o il ricavato si rivelino in concreto insufficienti.
Sempre che una ragione di prelazione, consentendone la soddisfazione preferenziale, non li
sottragga alla logica della soddisfazione concorrente.
141
114
l’attuazione delle misure cautelari
Riguardata invece sotto il profilo delle cause da cui deriva, quella del “concorso dei creditori” si rivela formula ambivalente, avendo rationes ispiratrici
diverse e perciò diversamente rilevanti ai fini degli sviluppi ricostruttivi della
disciplina processuale dell’attuazione.
In una prima accezione il concorso affonda direttamente le radici nella
regola della responsabilità patrimoniale, che l’art. 2741 c.c. traduce in senso
dinamico come “uguale diritto dei creditori di essere soddisfatti sui beni del
debitore”, e che l’art. 2910 c.c. concretizza a sua volta nel potere di ciascuno
di far “espropriare i beni del debitore, secondo le regole stabilite dal codice
di procedura civile”.
La uguaglianza dei creditori appare dunque, da questo punto di vista, prescrizione di diritto sostanziale da intendersi quale riconoscimento142 del potere
di ciascuno di essi (beninteso, solo in presenza dei requisiti di legge processuale) di agire in executivis, che proprio in quanto uguale non può essere
negato o compresso neppure in presenza di altre azioni esecutive sugli stessi
beni, con le quali va dunque coordinato.
Questa regola va però integrata, nella stessa legislazione sostanziale che
la pone, con il regime delle cause legittime di prelazione (art. 2741c.c.):143 se
l’azione esecutiva investe beni già vincolati in favore di altri creditori, sono
infatti costoro in qualità di privilegiati a dover essere soddisfatti per intero e
con preferenza anche sul creditore procedente.144
Sui profili di intersezione tra diritto sostanziale e processo in riferimento all’art. 2910 v.,
ad esempio, Pugliatti, Esecuzione forzata e diritto sostanziale, Milano, 1935, p. 142; Busnelli, Art. 2910, cit., p. 255 ss; Satta, Diritto processuale, cit., p. 576 ss, per il quale “La formula statica dell’art. 2910 c.c.: «il creditore può far espropriare» si risolve dinamicamente
nell’altra: «il creditore è chi può espropriare». V. oggi anche Luiso, Diritto cit., III, 21. L’a.,
ivi, ricava la necessità del rispetto delle prelazioni sostanziali (scopo per la realizzazione del
quale non solo è consentito l’intervento dei creditori privilegiati, ma è anche predisposto il
meccanismo di comunicazione ex art. 498 c.p.c.) del tutto condivisibilmente, dall’impostazione generale dei rapporti tra diritto e processo. A me pare tuttavia che se portata precettiva
diretta è da riconoscere agli artt. 2740 e 2741 c.c., è proprio quella di imporre la soddisfazione preferenziale dei titolari di cause di prelazione sui beni espropriati. Di incidenza diretta
di tali norme sull’espropriazione come processo è cioè lecito parlare non a proposito dell’organizzazione su basi concorsuali, ma proprio della necessità di consentire la soddisfazione
preferenziale dei titolari di cause legittime di prelazione
143
Il coinvolgimento necessario dei creditori privilegiati è una costante dell’espropriazione,
almeno fino alle riforme della XIV legislatura. Il legislatore del 2006 ha infatti escluso dall’ambito degli interventori i creditori muniti di privilegio non risultante da pubblico registro sicché,
ad esempio, per tutti i crediti di cui all’art. 2751 bis c.c., per i quali è previsto un privilegio
speciale sui mobili del debitore, si verifica, tramite il processo, una indebita vanificazione della prelazione, in quanto a tali creditori sono preferiti proprio quelli che possono intervenire
nell’espropriazione da altri intrapresa sui beni sui quali il privilegio insiste. Per i profili di
incostituzionalità v. amplius supra, cap. I, sez. II, § 2, in nota.
144
Concorso di azioni esecutive e di creditori muniti di cause legittime di prelazione appaiono
dunque anche nella prospettiva storica elementi costanti dei modelli esecutivi “singolari” esaminati. Così, già Carnelutti, Lezioni di diritto processuale civile, Padova, 1929, p. 32; ma si
vedano anche, nel medesimo senso, Andrioli, voce Intervento dei creditori, in Enc. dir., XXII,
142
Capitolo 3 – Il procedimento
115
Il “concorso dei creditori” considerato quale effetto di: a) coordinamento di
azioni esecutive individuali sugli stessi beni e b) coinvolgimento dei creditori
privilegiati nell’espropriazione dei beni vincolati a garanzia del loro credito
anche se intrapresa da altri, è dunque regola imposta dalla disciplina sostanziale, e che il legislatore processuale attua, proprio nell’ambito dell’espropriazione, quanto al primo aspetto con la tecnica del pignoramento congiunto (ex
art. 493, c. 1 anche nella variante dell’unione di pignoramenti mobiliari ex art.
523) o successivo (art. 493, c. 2), cui consegue la riunione in unico processo
(art. 493, ultimo comma); e quanto al secondo con la tecnica dell’apertura
dell’espropriazione del bene vincolato all’intervento dei creditori a cui favore
il vincolo stesso fu posto (e che di solito, sprovvisti di titolo esecutivo, non
hanno autonoma azione: artt. 498 e 499).
Anche l’inquadramento dei rapporti tra il sequestro conservativo e pignoramento insistenti sugli stessi beni deve ricostruirsi alla luce della legislazione sostanziale (artt. 2905-2906 c.c.) che disegna la funzione del sequestro
collocandolo tra i mezzi di conservazione della garanzia patrimoniale ed il
regime dei suoi effetti in termini di inopponibilità al sequestrante degli atti di
disposizione dei beni successivi alla costituzione del vincolo. Poiché cioè si
tratta, secondo la lezione della Cassazione, di un «pignoramento condizionato
… all’evento, futuro ed incerto, del sopravvenire, nel giudizio di merito, della
sentenza di condanna esecutiva»,145 ne consegue, in caso di pignoramento successivo al sequestro ad opera di altro creditore sugli stessi beni, un fenomeno
nella sostanza equivalente a quello della coesistenza di più pignoramenti che
si è già descritto.146
Il sequestrante non può dunque, in attuazione della stessa ratio sostanziale
del sequestro quale “pignoramento anticipato”, restare estraneo alla distribuzione del ricavato della vendita se i beni sui quali ha attuato il vincolo sono
colpiti da successivo pignoramento. Ed il legislatore processuale attua queste
prescrizioni, che trovano significativa consonanza nell’art. 686, comma 2° per
il quale il sequestrante partecipa con i creditori pignoranti alla distribuzione
del ricavato, consentendo l’intervento del sequestrante (art. 499) nell’espropriazione che abbia colpito i beni già sequestrati.
In una seconda accezione il “concorso dei creditori” è invece l’effetto
dell’intervento nell’espropriazione da altri intrapresa, che il legislatore processuale consente (non solo ai creditori privilegiati o sequestranti, per i quali
la partecipazione è imposta dalle ragioni appena dette, ma anche) ad una serie
più o meno ampia di creditori (secondo l’originario art. 499, oltre che a quelli
con titolo esecutivo, a quelli non legittimati ad autonoma azione esecutiva
Milano, 1972, p. 486; Garbagnati, voce Concorso dei creditori, cit., p. 533; Carnacini, voce
Intervento dei creditori nell’espropriazione forzata, in Enc. giur. Treccani, Roma, 1989; Salanitro, voce Procedure concorsuali, in Enc. giur. Treccani, Roma, 1991, p. 2 ss.
145
Così Cass. 25 giugno 1977, n. 2733, in Giur. it., 1977, I, 1, c. 2243 e segg.
146
Ancora Cass. 25 giugno 1977, n. 2733 cit.,
116
l’attuazione delle misure cautelari
né titolari di cause legittime di prelazione;147 secondo il testo attuale della
disposizione invece solo a quelli titolati e ad altri ivi individuati) anche a prescindere dall’esistenza di ragioni di prelazione o di un preesistente sequestro
o ancora dal fatto che abbiano indirizzato la loro azione esecutiva sugli stessi
beni già pignorati o su cui è in corso un altro pignoramento.
L’intervento non attua qui alcuna prescrizione sostanziale, gli artt. 2740,
2741 e 2910 c.c. limitandosi, come appena rilevato, ad imporre la soglia
minima dell’accesso al patrimonio responsabile attraverso autonoma azione esecutiva e solo in presenza delle condizioni legittimanti previste dal
codice di rito.
Esso è invece consentito sia a creditori titolati, che ben potrebbero anche
agire in via autonoma, sia addirittura a creditori privi di azione esecutiva, che
accedono al patrimonio responsabile solo in virtù di una espropriazione già da
altri intrapresa perché non possono autonomamente farlo.
Ciò premesso, al concorso dei creditori occorre anzitutto guardare come
effetto (concorrenza di più pretese alla soddisfazione in unico processo e sugli stessi beni), valutandone l’impatto sia sulla ratio cautelare dell’ordine di
pagamento che sulle regole processuali (artt. 669 bis-terdecies) che tale ratio
sono chiamate a realizzare.
La rilevanza delle diverse rationes che lo ispirano tornerà tuttavia a palesarsi, come si vedrà, quanto alle conseguenze da trarne sul piano ricostruttivo.
3. Gli effetti del “concorso dei creditori”nel contesto espropriazione del
Libro III del c.p.c...
Per comprendere portata ed effetti del concorso nel contesto cautelare è
opportuno esaminare quanto accade nell’espropriazione forzata intrapresa
L’esperienza storica mostra come dal modello francese che consentiva loro generaliter di beneficiare dell’esecuzione intrapresa da altri, si sia poi passati a quello dei codici del 1940-1942,
in cui la ripartizione del prezzo tra tutti non è norma precettiva posta dal legislatore sostanziale,
ma solo linea di tendenza del legislatore processuale. L’eguale diritto dei creditori di essere
soddisfatti sui beni del debitore, che nell’art. 1949 del codice civile del 1865 era riempito di
valore precettivo sostanziale dagli artt. 2076-2092 che regolamentavano l’espropriazione immobiliare, confluisce immutato nell’art. 2741 del codice civile vigente, ma ad esso si affianca
ormai il solo l’art. 2910, che consente a ciascun creditore di far espropriare i beni del debitore,
secondo le norme del codice di rito. Il legislatore sostanziale del 1942, a differenza di quello
del 1865, si disinteressa completamente della distribuzione del ricavato lasciando quest’aspetto
al legislatore processuale. Sicché, pur essendo certo che, a partire dalle codificazioni napoleoniche, il sistema dell’esecuzione singolare sia stato di fatto improntato al riconoscimento, più
o meno ampio, del potere di intervenire in capo ai creditori chirografari sprovvisti di titolo
esecutivo ( del che è evidente traccia anche nel codice civile attuale, ove gli artt. 2913-1915
e 2917-2918 si riferiscono appunto ai creditori che intervengono nell’espropriazione) non si
tratta di prescrizione che il legislatore processuale è vincolato in alcun modo a rispettare e men
che mai in modo assoluto.
147
Capitolo 3 – Il procedimento
117
in ipotesi omologa a quella che si intende qui ricostruire, quella cioè del
creditore che, in base a provvedimento di condanna pecuniaria, effettui un
pignoramento.
Ebbene, qui proprio il possibile concorso dei creditori (risultante da entrambi i meccanismi evocati) complica notevolmente tempi ed entità della
soddisfazione.
La presenza di creditori che non hanno un accertamento giudiziale del
credito (quelli privi di titolo esecutivo ma anche privilegiati o provvisti di
titolo solo stragiudiziale) e cui nondimeno si consente, nello stesso processo, di essere soddisfatti al pari o addirittura con preferenza persino sul
creditore procedente, comporta infatti la necessità di consentire al debitore ed agli altri creditori di contestarne le ragioni, anche di prelazione, che
si traduce a sua volta in quella di aprire un processo dichiarativo.148 Con
l’ulteriore possibilità che il giudice dell’esecuzione sospenda la distribuzione in riferimento alle quote di tutti i creditori, ivi compreso lo stesso
procedente, se esposte a possibile rimodulazione all’esito della contestazione.149
Sicché, in definitiva, persino chi ha già ottenuto un provvedimento di condanna e in base ad esso ha intrapreso il pignoramento rischia di vedere la
propria soddisfazione subordinata sia in senso cronologico che quantitativo
(l’accertamento di altri crediti concorrenti importa la falcidia della quota a
Necessità, è appena il caso di notare, connaturata alle esigenze di difesa sia del debitore, che
ha interesse a pagare solo gli effettivi creditori; sia degli altri creditori intervenuti, che hanno
interesse ad escludere chi non abbia reali ragioni di credito o diritti di prelazione, a causa della
possibile falcidia della loro quota in sede di riparto. Da questo punto di vista perciò il congegno
di cui all’art. 512 risulta perfettamente coerente con la premesse adottate dal c.p.c., ed anzi necessario ( come rileva Capponi, La verificazione dei crediti nell’espropriazione forzata, Napoli,
1990, p. 95). Sul punto, per tutti, Oriani, La determinazione, cit., p.134 ss.
149
Com’è noto, infatti, la sospensione della distribuzione del ricavato in caso di controversie di
cui all’art. 512 (nel testo precedente alla modifica del 2005) è obbligatoria, ma, ai sensi dell’art.
624, comma 2°, può essere anche parziale, investire cioè i soli crediti che effettivamente potrebbero essere interessati da modifiche quantitative nel computo della relativa quota all’esito del
giudizio dichiarativo. Ma ciò non sempre giova al creditore (procedente o) munito di titolo esecutivo giudiziale. Anche se ha iscritto ipoteca giudiziale in virtù del provvedimento di condanna
pecuniaria ed è quindi normalmente protetto dalla sospensione della distribuzione rispetto ai
creditori chirografari o privilegiati di grado successivo al suo, questi potrebbe tuttavia trovarsi a
concorrere, sugli stessi beni, con altri creditori ipotecari i cui crediti o ragioni di prelazione, o il
cui ordine di prelazione siano contestati, così da rendere necessaria la sospensione della distribuzione anche nei suoi confronti. Non conta, ai fini che qui interessano, con quanta frequenza
ciò accada: resta il fatto che il concorso comporta la inevitabile posposizione della concreta
soddisfazione di un creditore che ha già un provvedimento di condanna, rispetto ad un creditore
che tale accertamento non ha ancora. Su questi temi, anche per interessanti esemplificazioni del
fenomeno descritto, mi pare ancora di grande attualità lo scritto di Verde, Ancora sui rapporti
tra l’opposizione all’esecuzione e la contestazione dei crediti, in Riv. dir. proc., 1965, p. 298
ss. Della circostanza che anche dopo le riforme degli istituti in discorso avvenute nella scorsa
legislatura i termini del problema non cambiano in maniera sostanziale si darà diffusamente
conto infra, nel testo e nelle note.
148
118
l’attuazione delle misure cautelari
ciascuno spettante in caso di insufficienza del ricavato) all’esito di un altro e
diverso processo dichiarativo.
E poiché il correttivo è rappresentato dall’iscrizione di ipoteca
giudiziale,150 non è lo status di creditore procedente in base a provvedimento di condanna, ma solo la prelazione collegata al provvedimento stesso il
vero baluardo dell’effettività della tutela del credito a cui presidio fu intrapresa l’esecuzione.
Né il quadro appare significativamente mutato a seguito dei nova normativi151 che consentono, da un lato, l’intervento a limitate categorie di creditori
privi di titolo esecutivo; e dall’altro che le contestazioni distributive di cui
all’art. 512 siano decise non in un ordinario processo dichiarativo, come finora
previsto, ma dallo stesso giudice dell’esecuzione con ordinanza impugnabile
ex art. 617, e con mera facoltà (e non obbligo) di sospendere la distribuzione.
L’esclusione di intere categorie di creditori (quelli non titolati) non è infatti
sintomo, da sé sola, di semplificazione del modello sotto il particolare profilo qui in esame.152 Ciò soprattutto in ragione dell’introduzione della tecnica
dell’accantonamento153 delle somme (eventualmente) spettanti ai creditori non
titolati i cui crediti non siano stati riconosciuti dal debitore, e che può interferire anche pesantemente con la soddisfazione di chi ha già ottenuto la condanna
ed in base ad essa ha preso l’iniziativa processuale, non diversamente dalla
sospensione della distribuzione.154
L’ipotesi è infatti quella del creditore procedente in base a provvedimento di condanna. Si
tratta, peraltro, di correttivo non unico, cui può affiancarsi anche quello olim previsto dall’art.
527 ed oggi trasfuso nell’art. 499, comma 4°, ove l’ipoteca giudiziale concorra con altri diritti
di prelazione sul compendio pignorato, e quindi vi sia il rischio di falcidia della quota in sede
di distribuzione.
151
Introdotte dal d.l. n. 35/2005 convertito, con modificazioni, dalla l. n. 80/2005; dalla l. n.
263/2005, e dalla l. n. 52/2006, attraverso la modifica degli artt. 499, 512 e 624 c.p.c.
152
Restano pur sempre presenti i creditori con titolo esecutivo stragiudiziale (che non hanno
perciò ottenuto alcuna condanna), quelli sequestranti, le cui ragioni potrebbero risultare inesistenti, quelli legittimati in base alle scritture contabili ex art. 2214 c.c. ed infine i creditori
privilegiati senza titolo esecutivo il cui credito sia stato riconosciuto dal debitore, per i quali
è sempre possibile una contestazione di merito ai sensi dell’art. 512, capace di provocare la
sospensione della distribuzione e la falcidia della quota del creditore che ha già ottenuto una
condanna giudiziale.
153
Sempre che ne facciano istanza e dimostrino di avere proposto, nei trenta giorni successivi
all’udienza in contraddittorio con il debitore, l’azione necessaria all’ottenimento del titolo esecutivo. L’accantonamento ha comunque durata massima di tre anni (artt. 499, ultimo comma;
510, comma 3°).
154
Il che appare di tutta evidenza nel caso in cui l’incapienza del patrimonio renda attualmente impossibile (almeno finchè dura l’accantonamento) la soddisfazione totale o parziale
di questi ultimi se l’ipoteca giudiziale che li assiste non ha grado pozione rispetto ai privilegi dei crediti riconosciuti. Dal punto di vista sistematico poi l’accantonamento, in quanto
immobilizzazione di somme in attesa che un processo dichiarativo conduca aliunde ad una
condanna –titolo esecutivo, realizza al massimo quel ripiegarsi dell’esecuzione vera a propria sulla cognizione, che sacrifica le ragioni del creditore che ha già ottenuto una condanna
del debitore. Sic stantibus, può ragionevolmente affermarsi che tra il regime di cui al pre150
Capitolo 3 – Il procedimento
119
La nuova disciplina dell’intervento e delle contestazioni distributive non
fa anzi che confermare come ogni modello esecutivo basato sull’inclusione,
accanto a quello consacrato nel provvedimento di condanna, di altri crediti,
soprattutto se non previamente accertati dal giudice, lungi dal realizzare l’effettività della tutela giurisdizionale, si traduca in un fattore di fisiologica complessità della procedura e di probabile insoddisfazione del diritto del creditore
procedente.
3.1. Segue: … e nell’espropriazione intrapresa in base a cautela di pagamento: inconciliabilità
Se nel suo stesso terreno di elezione il “concorso dei creditori” si traduce in un
fattore di complicazione tecnica che allontana il modello processuale che ne è
caratterizzato da ogni parametro di effettività della tutela del creditore che ha
ottenuto la condanna e in base ad essa effettuato il pignoramento, ancor più
devastante se ne rivela l’impatto con la ratio della cautela di pagamento e con
il sistema di regole che ne informa il processo, di cui l’espropriazione imposta
dall’art. 669 duodecies è solo un segmento.
La cautela di pagamento è infatti, per definizione, l’unico mezzo per
scongiurare, nel caso specifico, il lamentato periculum. L’ordinamento
consente oggi alle parti, attraverso l’art. 669 octies,155 di evitare il giudivigente art. 512 e quello risultante dagli attuali artt. 499, 510 e 512, via sia una differenza
di tecnica processuale, ma non un effettivo divario quanto alle concrete dinamiche della
decisione sui crediti contestati.
155
Una precisazione si impone. La strumentalità quale caratteristica funzionale ineliminabile
della tutela cautelare riassume l’Idoneità della cautela “anticipatoria” a neutralizzare il lamentato periculum impartendo una norma agendi parametrata (in positivo ed in negativo) sulla
disciplina sostanziale del rapporto. Sotto il profilo della struttura processuale essa ha tuttavia
assunto, nel nostro ordinamento, una duplice connotazione. Il procedimento cautelare uniforme
adottato nel 1990 aveva infatti tradotto il principio di strumentalità (funzionale) della cautela
al merito nell’onere, posto dall’art. 669 octies nel testo originario, di instaurare il giudizio di
merito in un termine perentorio, e di coltivarlo fino al suo naturale esito, pena l’inefficacia
della cautela. L’art. 23 del d. lgs. n. 5/2003 sul processo societario prima (oggi abrogato); e
la l. n. 80/2005 che ne ha generalizzato la previsione poi, hanno invece inaugurato il regime
noto come di strumentalità “attenuata” o “eventuale”. L’art. 669 octies comma 6° nella attuale
formulazione prevede infatti che la mancata instaurazione del giudizio di merito nei termini
o la sua successiva estinzione non comportano l’inefficacia dei provvedimenti d’urgenza ex
art. 700 c.p.c. e degli altri idonei ad anticipare gli effetti della decisione di merito (previsti dal
codice civile o dalla legislazione speciale), nonché dei provvedimenti resi su denuncia di nuova
opera o danno temuto. Ratio della previsione è evitare, in ossequio all’economia processuale,
il giudizio dichiarativo quando il risultato ottenuto con la cautela è già pienamente satisfattivo
dell’interesse delle parti, come da esse stesse (pre)valutato (e secondo un’opzione di tecnica
processuale già auspicata da una parte della dottrina e praticata, ad esempio, nel Progetto di
riforma della Cd. Commissione Liebman nel 1980, e poi nel Progetto della Commissione Tarzia nel 1996. Più di recente, la soluzione era stata adottata nel Progetto di riforma redatto dalla
Commissione Vaccarella nel 2003, ed è successivamente confluita nel testo di legge introduttivo del processo societario, il d. lgs. n. 5/2003, oggi abrogato). Il regime dei rapporti tra cautela e
giudizio di merito introdotto nel 1990 ed oggi ancora applicabile alle misure conservative, non
120
l’attuazione delle misure cautelari
zio di merito, riconoscendo autonomo rilievo all’interesse ad agire in via
cautelare: ottenuto l’ordine di pagamento156 l’iter attuativo non può dunque
ritenersi condizionato all’esito di un giudizio dichiarativo (neppure) sul diritto cautelato.
Ma vi è di più. La disciplina del reclamo (art. 669 terdecies, comma 6°)
non consente la sospensione dell’esecuzione del provvedimento se non in
base all’allegazione di motivi sopravvenuti che potrebbero comportare un
grave danno alla controparte, sicché l’unica sede deputata alla sospensione è
quella del riesame. Il che ben si comprende dato che involge la necessità di
rinnovare il bilanciamento tra il periculum ed il fumus addotti dal beneficiario
e l’emergere per la prima volta di un grave danno derivante alla controparte
dall’esecuzione del provvedimento anche in ragione del fumus di fondatezza
del reclamo157. Se poi la cautela è concessa solo in sede di reclamo, nessuna
sospensione appare ipotizzabile.158
L’apertura dell’attuazione ex art. 669 duodecies ad altri creditori comporta invece un risultato nella sostanza assimilabile proprio alla sospensione
dell’esecuzione cautelare sub specie di attribuzione del ricavato al beneficiaincarna dunque l’essenza della strumentalità. Si tratta, al contrario, di una scelta di tecnica processuale che, in quanto tale, è rimessa alla ragionevole discrezionalità del legislatore ordinario
e non è in grado di incidere sui profili ricostruttivi della cautela (v. amplius, per tutti, Tiscini,
I provvedimenti decisori senza accertamento, cit., ove anche indicazioni bibliografiche essenziali). Che la diversa scelta compiuta per le cautele anticipatorie nel 2005 non muti la sostanza
della cautela e della sua strumentalità funzionale alla tutela finale, è dimostrato dal fatto che
quest’ultima continua ad essere destinata, ove sopravvenga, a sostituirsi alla regula iuris posta
dalla prima, altro essendo la qualità degli effetti, cioè la loro attitudine a stabilizzarsi sul piano
giuridico; altro il regime cronologico della loro efficacia, cioè il tempo durante il quale hanno
modo di dispiegarsi. Tale tempo può essere più o meno lungo senza che gli effetti cessino, solo
per questo, di essere provvisori perché destinati comunque a cadere di fronte quelli della tutela
dichiarativa destinata al giudicato sostanziale. La conclusione ha anche oggi precisi riscontri
testuali nell’immutata disciplina dell’inefficacia della misura in caso di accertamento dell’inesistenza del diritto cautelato, da un lato; e nella prescrizione ( di nuovo conio, ma da tale punto
di vista superflua) che l’autorità della misura cautelare non è invocabile in un diverso processo,
dall’altro. D’altra parte, che alla strumentalità dovesse guardarsi sotto il profilo squisitamente
funzionale e non strutturale era conclusione cui parte della dottrina perveniva già ampiamente
prima del 2003, anno che ha, con il d. lgs. n. 5 del 17 gennaio, visto nascere l’esperienza della
cd. strumentalità attenuata, poi esportata al c.p.c. : v., ad esempio, Merlin, voce Procedimenti
cautelari, cit., p. 428.
156
Se ed in quanto nessuna delle parti abbia ottenuto una sentenza che dichiari inesistente
il diritto cautelato (ex art. 669 novies, comma 3°), ed ove non siano esperiti reclamo ex art.
669 terdecies, nel corso del quale (e solo per motivi sopravvenuti) sia disposta la sospensione
dell’attuazione, o istanza di modifica/revoca ex art. 669 decies che abbia esito positivo.
157
Comastri, Commento all’art. 669 octies, in Commentario alle riforme del processo civile, a
cura di Briguglio e Capponi, Padova, 2007, I, p. 164 ss. Sui motivi di inopportunità di una scelta
così restrittiva e sulle critiche della dottrina si sofferma Vullo, L’attuazione, cit., p. 176 ss.
158
Infine, nei residui casi (su cui amplius infra, cap. IV, sez. II, parte I) in cui è ipotizzabile ex
art. 624 c.p.c., la sospensione dell’esecuzione cautelare è disposta dal giudice cui l’esecutato
o il terzo propongono opposizione per farne valere l’ingiustizia per motivi sopravvenuti ( o
l’inesistenza del provvedimento).
Capitolo 3 – Il procedimento
121
rio che, per trovare causa nella già rilevata esigenza di accertamento dei crediti non consacrati nel provvedimento di condanna, avviene al di fuori dei limiti
imposti dalla disciplina processuale cautelare.
L’attuazione cautelare, che secondo la sua lex specialis159 è svincolata dallo
svolgersi del giudizio di merito sul credito del procedente ed entro certi limiti
dallo stesso riesame del provvedimento cautelare nelle sedi ad hoc (potendo
essere sospesa solo a certe condizioni) finisce quindi per essere subordinata
all’esito del possibile giudizio dichiarativo necessario all’accertamento di un
altro credito che, per essere “concorrente” (criterio meramente processuale)
con quello cautelare, con esso ha il solo nesso estrinseco e casuale di riguardare lo stesso debitore160. Il tutto senza neppure la possibilità, per il benefiLa specialità del rito, è appena il caso di notare, appare coerente con gli interessi “sensibili”
realizzabili attraverso la tutela cautelare (e su cui v. amplius supra, cap. I, sez. I), e dunque non
solo non lede il principio di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost., ma è anzi imposta dalle sue
stesse finalità, come ricostruite dalla giurisprudenza costituzionale e di merito in riferimento
all’art. 24 cost. (su cui, ancora, v. amplius supra, cap. I, sez. I e II). Del resto, con specifico riferimento alla cognizione cautelare, i forti profili di specialità della procedura, che si modellano
e adattano alla sommarietà della cognizione, anche prima della loro consacrazione normativa
all’art. 669 sexies, non sono mai stati messi in discussione, in base all’ovvio rilievo che una
cognizione ricalcata su quella ordinaria vanificherebbe lo scopo della tutela cautelare: v., ad es.
Luiso, Diritto processuale civile, IV, cit., 192 ss e passim.
160
Prima della riforma dell’art. 669 octies la necessità che si realizzasse anche nell’attuazione delle cautele di pagamento la par condicio creditorum era stata sostenuta in base
all’assunto che il pagamento eseguito per soddisfare un credito urgente avesse carattere satisfattivo, cioè desse vita ad effetti irreversibili. Era questa l’opinione di Verde, L’attuazione,
cit., 738 ss, il quale, pur consapevole che l’interesse non patrimoniale del debitore all’adempimento può essere soddisfatto solo con un pagamento, riteneva comunque che l’irreversibilità degli effetti accomunasse il fenomeno alla soddisfazione. L’ a. rilevava inoltre che il
proliferare di provvedimenti anticipatori di pagamento, anche in via cautelare, con efficacia
di titolo esecutivo, fosse sintomatico della necessità che le relative tecniche di attuazione si
modellassero su quelle esecutive del Libro III del c.p.c. L’opinione desta perplessità perchè
il pagamento è, per definizione, l’unico mezzo per scongiurare lo specifico periculum da
ritardata soddisfazione, e non è giuridicamente diverso da un qualunque facere a carattere
continuato per il quale, in assenza di conferma in sede di merito, le singole prestazioni già
eseguite danno vita ad obblighi di restituzione, mentre quelle ancora da eseguirsi cessano di
essere doverose. La differenza risiede dunque soltanto nella struttura assunta dall’obbligo
(e nella conseguente diversa tecnica di rimozione dei relativi effetti in rerum natura) non
nella sua funzione, che, impressa dal provvedimento d’urgenza, è e resta di natura schiettamente cautelare È bene infatti ribadire che la stabilità degli effetti, estranea in quanto tale al
provvedimento cautelare, va intesa dal punto di vista giuridico, non da quello materiale della
durata effettiva né da quello delle attività concretamente necessarie per la loro rimozione,
come sembra riconoscere lo stesso Verde, op. ult. cit., p. 744, che, a proposito degli ordini di
compiere attività fungibili e dei divieti di realizzare opere removibili che non darebbero vita
ad effetti satisfattivi, sostiene che anche in tali casi c’è qualcosa di irreversibile, in quanto
ciò che è avvenuto non può essere cancellato. A Suo avviso tuttavia, in questi casi, a differenza che in quelli di pagamento, il rilievo della vicenda giocherebbe sul piano del fatto, e
non modificherebbe situazioni giuridiche. Ancora una volta sono d’ausilio le limpide pagine
di Calamandrei, Introduzione allo studio sistematico, cit., p. 14 ss e passim, il quale, nel tratteggiare la differenza tra provvedimenti cautelari ed altri tipi di provvedimenti provvisori,
159
122
l’attuazione delle misure cautelari
ciario della cautela di pagamento, di acquisire almeno lo status di creditore
privilegiato, essendo da escludersi l’iscrivibilità di ipoteca giudiziale. Anche
qui dunque la confluenza di più pretese alla soddisfazione sugli stessi beni
importa il duplice possibile effetto della sospensione della distribuzione e
della possibile falcidia in caso di insufficienza del ricavato per tutti i crediti
concorrenti.
Non può allora che prendersi atto che lo svolgersi fisiologico del processo
di espropriazione contraddice, impedendolo, lo svolgersi fisiologico del processo cautelare in fase esecutiva: il complesso di regole richiamate dall’art.
669 duodecies (491 e segg.) e quelle del processo ove devono attecchire (669
bis-terdecies) si rivelano in antitesi tra loro.
4. Gli sviluppi ricostruttivi: la rilevanza delle diverse rationes del concorso dei creditori
Riguardato quale effetto, il concorso dei creditori innesca dunque dinamiche
inconciliabili con le regole del processo cautelare. È allora il momento di trovare risposta al quesito, posto in apertura, se possa escludersi il concorso stesso dall’espropriazione quando intrapresa dal creditore cautelare, in ossequio
al limite di compatibilità posto dall’art. 669 duodecies; o se invece vi siano
ragioni di sistema tali da imporne sempre e comunque l’applicazione, sicché,
afferma che mentre nei primi la provvisorietà degli effetti è volta a prevenire il danno connesso al ritardo del provvedimento principale nell’attesa di quest’ultimo, nei secondi essa
si fonda sulla opposta previsione della mancanza del provvedimento principale. In sintesi
perciò gli effetti, in entrambi i casi aventi ab inizio durata limitata nel tempo, sono diversi
non in rerum natura, ma nella loro configurazione giuridica. Ciò sembra trovare conferma
sia nel dettato normativo, che disciplina, all’art. 669 novies, l’inefficacia del provvedimento
cautelare, dando al relativo giudice il potere di adottare le misure per il ripristino; sia nel
fatto che vi sono ordini cautelari di struttura complessa, quali quelli di reintegra nel posto
di lavoro, in cui ad obblighi di fare si affiancano obblighi di dare ed obblighi di pagamento
della retribuzione. Sarebbe infatti difficilmente sostenibile che tra questi, tutti discendenti
dal medesimo provvedimento cautelare, alcuni abbiano carattere provvisorio, ed altri carattere satisfattivo. Del resto, proprio il caso della retribuzione, che per sua natura è periodica,
conferma che il distinguo risiede nella struttura concretamente assunta dall’obbligo, dato
che solo per i pagamenti già eseguiti si configurano eventuali obblighi restitutori, mentre per
quelli ancora da eseguirsi si ripropone lo schema degli ordini che cessano automaticamente
se non confermati in sede di merito. Ciò, evidentemente, a meno di non voler considerare i
pagamenti già eseguiti come satisfattivi, e quelli da eseguirsi come cautelari. Non pare superfluo aggiungere che anche gli ordini di consegna o rilascio che si esauriscono una tantum
danno luogo ad obblighi restitutori, non configurandosi, in questo senso, meno satisfattivi
di un pagamento. Contra, Verde, L’attuazione, cit., p. 743, per il quale i crediti di denaro
non possono essere soddisfatti in via cautelare, ma sono soddisfatti tout court, e quando si
scopre che non esistevano sorgono obblighi di restituzione. L’a. continua affermando che la
prospettiva sarebbe invece diversa ove il provvedimento ordinasse la consegna o il rilascio,
perché la sua attuazione si concreterebbe in un temporaneo trasferimento della detenzione
del bene. L’affermazione lascia però perplessi, non apparendo agevole percepire la differenza tra le due ipotesi, che peraltro l’a. stesso non si dilunga ad illustrare.
Capitolo 3 – Il procedimento
123
in definitiva, o il creditore cautelare rinuncia a monte all’espropriazione o, se
vi ricorre, si sottopone integralmente alle sue regole, ivi comprese quelle che
realizzano il concorso.
Per sciogliere il nodo occorre a mio avviso scindere le ipotesi in cui il
concorso stesso deriva dall’applicazione dei meccanismi (pignoramento congiunto o successivo con riunione in unico processo; intervento dei creditori
privilegiati o sequestranti) con i quali l’espropriazione attua le regole sancite
dagli artt. 2740, 2741 e 2910 c.c. (e per il sequestro conservativo dagli artt.
2905-2906 c.c.); da quelle in cui invece il concorso stesso è il risultato del
semplice intervento consentito, dal legislatore processuale nell’esercizio della
sua discrezionalità, ad altri creditori a prescindere dalla necessità di attuare
quelle prescrizioni sostanziali.
Ricorre la prima ipotesi quando: a) sui beni colpiti dall’attuazione cautelare gravino cause legittime di prelazione; b) intervenga il pignoramento, da
parte di uno o più creditori in base a titolo esecutivo, di beni già colpiti dal
pignoramento ex art. 669 duodecies o, al contrario, sia il creditore cautelare
ad espropriare beni già vincolati da creditori titolati (mera variante di questo
schema è quella che coinvolge diversi pignoramenti separatamente intrapresi
ex art. 669 duodecies sugli stessi beni); c) intervenga il pignoramento in base
a titolo esecutivo o ex art. 669 duodecies sugli stessi beni sui quali è già stato
attuato un sequestro conservativo.
Ricorre invece la seconda ipotesi quanto, perfezionatosi il pignoramento ai
sensi dell’art. 669 duodecies, si avvalgono della semplice facoltà di intervento nel processo i creditori (non privilegiati né sequestranti) indicati dall’art.
499.
4.1. Segue: quando il concorso dei creditori è al servizio della regola della
responsabilità patrimoniale
Partendo dal profilo sub a), occorre ribadire che le cause legittime di prelazione, pegno, ipoteca, privilegi, sono stabilite dal legislatore sostanziale, che ne
disegna anche l’ordine interno di graduazione, per garantire ai loro titolari la
soddisfazione con preferenza sugli altri creditori ogni volta che i beni gravati
siano sottoposti, da uno qualunque di essi, ad espropriazione.
Gli artt. 2741 e 2910 del codice civile, letti in combinato disposto con gli
artt: 2745-2783 bis (che disciplinano i privilegi); 2784-2807 (che disciplinano
il pegno); e 2808-2899 (che disciplinano l’ipoteca), impongono quindi al legislatore processuale di congegnare l’espropriazione in modo da consentire ai
creditori privilegiati di soddisfarsi per intero e con preferenza su tutti gli altri
creditori (e salva la distribuzione percentuale se concorrono sugli stessi beni
più cause di prelazione). Ciò che il legislatore processuale fa consentendo
l’intervento di questi creditori, anche provocato (artt. 498 e 499). Si tratta,
come più volte rilevato, di un presupposto di sistema dell’art. 669 duodecies, sicché la disciplina dell’attuazione cautelare che quel sistema evoca
124
l’attuazione delle misure cautelari
non può escludere dall’espropriazione i creditori che sui beni colpiti vantino un diritto di prelazione, avendo una fonte solo processuale (l’art. 669
duodecies) che, da sé sola, non può sovvertire il quadro sostanziale delle
cause di prelazione.
Ne consegue che, ove il pignoramento intrapreso in base ad una cautela di pagamento colpisca beni gravati da cause legittime di prelazione, deve
ritenersi applicabile l’art. 498 c.p.c. e l’avviso ivi sancito per i creditori cd.
iscritti, i quali avranno l’onere di intervenire nella procedura per soddisfarsi
con preferenza sul ricavato della vendita161. Inoltre, sempre in applicazione
dell’art. 498, comma 3°, la vendita non potrà disporsi in carenza della prova
dell’avvenuta notifica dell’avviso.162
Emerge dunque con chiarezza che il sistema non consente, allo stato, di
prescindere dal concorso derivante dall’intervento (anche provocato) dei
creditori privilegiati, realizzando la soddisfazione preferenziale del beneficiario della cautela anche in danno di questi ultimi. Un simile risultato
avrebbe infatti richiesto una disciplina speciale che, prima di tutto sul piano
sostanziale e solo poi su quello processuale, corredasse la cautela di pagamento in quanto tale di una causa di prelazione, e ne specificasse la collocazione (preferenziale) nei rapporti con le altre. Così invece non è stato, e
di tanto occorre prendere atto.
2. Considerazioni e conclusioni analoghe valgono anche per il diverso profilo, sub b), del possibile pignoramento, da parte di uno o più creditori titolati, o
di uno o più creditori cautelari, degli stessi beni sui quali si è già perfezionato
il pignoramento ex art. 669 duodecies.
Dal combinato disposto degli artt. 2741 e 2910 del codice civile (v. ancora
subito supra) si ricava infatti l’altro principio di diritto sostanziale che informa
il sistema della responsabilità patrimoniale: a ciascun creditore è riconosciuta,
in presenza delle condizioni legittimanti del codice di rito, l’azione esecutiva
sui beni del debitore, in caso di concorrenza di altre iniziative processuali (anche speciali, come quella cautelare de qua) imponendosene il coordinamento
e non invece l’esclusione dell’una in favore dell’altra.
Ne consegue che il solo fatto che vi sia un’attuazione cautelare non può
impedire ad un qualunque creditore, titolato o cautelare, di intraprendere
l’espropriazione degli stessi beni già vincolati dal beneficiario della cautela,
ponendosi piuttosto il problema del coordinamento delle diverse azioni esecutive, che avviene ai sensi dell’art. 493, comma 2° per il quale il pignoramento
successivo deve essere riunito al/ai precedente/i.
Tra i creditori iscritti vanno annoverati anche quelli ex art. 2812, commi 1° e 2°, sui quali v.
amplius Luiso, Diritto processuale, cit., III, p. 160 ss.
162
Problematica appare invece la posizione dei creditori privilegiati non iscritti, atteso che è
loro inibito, secondo l’attuale tenore dell’art. 499 c.p.c., l’intervento nel processo. Allo stato,
tale intervento è dunque da ritenersi inibito anche nell’espropriazione iniziata in base a provvedimento cautelare, atteso il richiamo alle norme proprie di questa.
161
Capitolo 3 – Il procedimento
125
E proprio la possibile riunione ex post, imprescindibile perché i medesimi
beni non possono essere venduti ed acquistati che una volta sola, ha già imposto il radicamento della competenza nel giudice dell’esecuzione ex art. 484
(malgrado la disposizione esuli da quelle richiamate: v. amplius supra, cap.
II, sez. II).
2.1. Alla luce di queste stesse considerazioni va affrontato il profilo della pignorabilità, da parte del beneficiario della cautela, di beni già colpiti da pignoramento da parte di uno o più creditori titolati.
Il beneficiario della cautela potrà senz’altro procedere a pignoramento successivo163 secondo la lex specialis dell’art. 669 duodecies164 ma ne conseguirà
comunque la riunione con i pignoramenti già effettuati165.
Per riassumere, in ognuna delle ipotesi sub b) l’azione esecutiva singolarmente intrapresa da un creditore vuoi in base a titolo esecutivo che a cautela di
pagamento comporta, investendo gli stessi beni, la riunione in unico processo,
sicché il concorso che ne deriva è anzitutto quello di ciascun creditore olim
procedente.
Ma vi è di più. Se tra le espropriazioni separatamente condotte sugli stessi
beni rientrano quelle fondate su titolo esecutivo e legittimanti perciò anche
Il che toglie vigore alla questione, posta dalla più attenta dottrina (Luiso, Diritto processuale,
cit., III, p. 121, ma oggetto anche della pronuncia di T. Lucca 23 aprile, 2010, in Riv. es. forz.,
2010, con Nota di Delle Donne, Dei difficili ed irrisolti rapporti tra cautela di pagamento,
titolo esecutivo e disciplina restrittiva dell’intervento nell’espropriazione: un caso esemplare
di denegata tutela.) della sorte del creditore cautelare in ipotesi unico bene del debitore già
sottoposto a pignoramento da parte di creditori titolati, atteso il mancato riconoscimento della
qualifica di titolo esecutivo alla cautela ed il dato concorrente dell’attuale esclusione dal novero
degli interventori ex art. 499 proprio dei creditori non titolati (con alcune eccezioni). Dell’intervento infatti il creditore cautelare può fare a meno, l’art. 669 duodecies legittimandolo direttamente al pignoramento del bene stesso che, se anche si colloca come successivo ed ha dunque
de facto gli effetti di un intervento tardivo se avviene dopo un certo momento processuale, ha
comunque il vantaggio di “blindare” la posizione del creditore cautelare rispetto alle vicende
del primo pignoramento, che non saranno in grado di travolgere anche quello da lui effettuato.
Non può peraltro non rilevarsi l’estrema inopportunità della scelta dal punto di vista dell’esborso economico, senz’altro molto impegnativo se correlato ad un pignoramento piuttosto che ad
un semplice intervento. Ciò soprattutto in considerazione delle esigenze che hanno giustificato
l’emissione della cautela di pagamento.
164
Non a semplice intervento se si nega, come a me pare si debba, la natura di titolo esecutivo
alla cautela de qua. Se sul piano strettamente formale occorre comunque operare questa distinzione, de facto le differenze in punto di distribuzione del ricavato tra intervento e pignoramento
successivo non vi sono, in quanto il beneficiario della cautela, solo in quanto tale, non potrà
comunque ricevere un trattamento preferenziale.
165
Quanto invece all’eventualità che più creditori cautelari procedano ad un unico pignoramento, è applicabile l’art. 493, comma 1°, mentre in caso di pignoramento da parte di un beneficiario di cautela di pagamento su un bene già pignorato ex art. 669 duodecies, o sottoposto
a sequestro conservativo, si applica l’art. 493, comma 2°, facendosi luogo a pignoramento
successivo. La distribuzione del ricavato tra i vari beneficiari della cautela (e solo tra costoro),
nonché la posizione del creditore che ha eseguito il sequestro conservativo, restano regolate
dalle disposizioni comuni dettate per l’espropriazione, in ossequio al richiamo agli artt. 491 e
ss in quanto compatibili, ed all’assenza di altre indicazioni di segno contrario
163
126
l’attuazione delle misure cautelari
l’intervento dei creditori ai sensi dell’art. 499,166 la riunione in unico contenitore processuale fa da traino all’applicazione integrale della disciplina del
Libro III del c.p.c. e dunque anche a quella dell’intervento stesso.
In definitiva, qui il concorso si può manifestare addirittura in entrambe le
sue configurazioni sicché, stante la sua ineliminabilità per le ragioni già viste,
o il beneficiario della cautela si sottopone alle sue dinamiche o rinuncia, a
monte, alla strada dell’espropriazione forzata.
Veniamo infine al profilo sub c), in cui su beni già colpiti da sequestro
conservativo intervenga pignoramento sia ex art. 669 duodecies sia in base a
titolo esecutivo.
Ora, qui è la stessa funzione del sequestro conservativo, quella cioè di
conservare la garanzia patrimoniale attraverso un vincolo di inopponibilità
qualitativamente identico a quello del pignoramento ma realizzato in attesa
del sopravvenire del titolo esecutivo,167 ad imporre il coordinamento tra l’iniziativa del creditore sequestrante e quella del pignorante, e ciò prima ed a
prescindere dalla sentenza di condanna.168 Il sequestro conservativo affonda
Ed al netto delle posizioni dei creditori privilegiati, di cui è già detto sub a), e di quelle dei
creditori sequestranti, di cui si dirà sub c).
167
Luiso, Diritto processuale civile, IV, cit, 237 ss.
168
È noto come nel regime previgente la posizione del creditore sequestrante rispetto al pignoramento successivo intervenuto sugli stessi beni fosse oggetto di vivace dibattito in dottrina e
giurisprudenza, soprattutto in ragione del fatto che il creditore sequestrante non è, per definizione, titolare di un credito certo perché sub iudice (egli è infatti in attesa di una sentenza di
condanna), laddove proprio tale certezza è richiesta per l’intervento nell’espropriazione. Sicché
la Cassazione, e con essa un nutrito filone dottrinale, tendevano a riconoscere il suo diritto
all’intervento nel processo esecutivo solo se il sequestro si fosse già convertito in pignoramento
ex art. 686, leggendo il secondo comma di questa disposizione (“Se i beni sequestrati sono stati
oggetto di esecuzione da parte di altri creditori, il sequestrante partecipa con essi alla distribuzione della somma ricavata”) alla luce del primo comma, che regola appunto le modalità della
conversione del sequestro in pignoramento, (v. in tal senso Cass. 8 settembre 1970, n. 1348, in
Foro. it. 1971, I, c. 451). L’orientamento venne sottoposto a serrate critiche ed infine la stessa
Cassazione è andata in contrario avviso (Cass. 25 giugno 1977, n. 2733, cit., seguita da T. Bologna, 16 gennaio 1989, in Giust. civ., 1989, I, p. 2201), proprio facendo leva sulla considerazione
della struttura e funzione del sequestro conservativo, quale «pignoramento condizionato …
all’evento, futuro ed incerto, del sopravvenire, nel giudizio di merito, della sentenza di condanna esecutiva», con la conseguenza che in ipotesi di pignoramento, successivo al sequestro, ad
opera di altro creditore ne consegue «il fenomeno della coesistenza di più pignoramenti sugli
stessi beni». Sicché il sequestrante «acquista la posizione di creditore intervenuto nel processo
esecutivo promosso da altro creditore» ; «tale diritto è condizionato all’esito favorevole, per il
sequestrante, della controversia in atto, tra il medesimo sequestrante ed il sequestrato». Trova
perciò, secondo la Corte, applicazione l’art. 512, ai sensi del quale «il giudice dell’esecuzione
… può alternativamente, o sospendere il processo esecutivo o provvedere a distribuzione parziale della somma ricavata accantonando la parte che spetterebbe al sequestrante, nell’uno e
nell’altro caso fino al sopravvenire della sentenza di condanna esecutiva». A conforto della
conclusione militavano poi (e militano tuttora) precisi dati normativi, quali gli artt. 158 disp. att.
e 547 c.p.c., dai quali si evince chiaramente la necessità che il creditore sequestrante sia messo
in condizioni di intervenire nell’espropriazione che abbia colpito beni già da lui vincolati. Ma
v. contra, in dottrina, Capponi, L’intervento del creditore sequestrante nel processo di espro166
Capitolo 3 – Il procedimento
127
cioè le proprie radici nella regola della responsabilità patrimoniale allo stesso
modo dell’azione esecutiva, di cui punta ad assicurare la fruttuosità ed in cui
si converte ai sensi dell’art. 686, comma 1°, sicché il creditore sequestrante
ha lo stesso diritto “di essere soddisfatto sui beni del debitore” del creditore
pignorante.
L’assenza attuale della condanna-titolo esecutivo, che connota il sequestro
quale misura squisitamente cautelare169, lungi dal potersi intendere come fattore che rende la posizione del sequestrante recessiva rispetto a quella di chi
pignori i beni già sequestrati, è dunque il presupposto del coordinamento, che
a me pare necessario ed imprescindibile, tra la misura cautelare e l’azione esecutiva, pena la negazione della stessa ragion d’essere della prima.170
Diversa è però la tecnica con cui il coordinamento stesso si realizza: non
la riunione, come nel caso di più pignoramenti, ma l’intervento del creditore
sequestrante nell’espropriazione. Anche in tal caso perciò, come in quello dei
creditori privilegiati, l’intervento è posto al servizio di una regola di diritto
sostanziale.
In sintesi dunque, ove il pignoramento intrapreso in base a cautela di pagamento colpisca beni già vincolati in virtù di sequestro conservativo, non
può escludersi il coinvolgimento del creditore sequestrante nella procedura,
ciò che del resto emerge chiaramente dagli artt. 158 att. e 547, oltre che dal
chiarissimo tenore dell’art. 686, comma 2°. Trova perciò applicazione l’art.
499 laddove prevede l’intervento del sequestrante e la necessità della verifica
imposta dal comma 6° della disposizione con la conseguente alternativa tra
l’accantonamento (alle condizioni e nella misura di cui allo stesso comma 6°
ed all’art. 510, comma 2° e 3°)171 o senz’altro la partecipazione alla distribuzione del ricavato.
priazione del bene successivamente pignorato, in Riv. dir. proc. 1987, p. 848 e segg; Id, Note in
tema di concorso tra misure cautelari e misure esecutive, Nota a T. Bologna cit. Per un efficace
quadro di sintesi v. oggi Conte, Osservazioni a prima lettura sull’art. 499 c.p.c. novellato e profili di costituzionalità dei limiti all’intervento del creditore sequestrante, in www.judicium.it.).
La soluzione dell’intervento, con il duplice sbocco dell’accantonamento o della partecipazione
alla distribuzione è stata, com’è noto, recepita dall’attuale art. 499.
169
Luiso, op. loco ult. cit.
170
Così anche, con argomentazioni molto convincenti, Pototschnig, Il sequestro conservativo,
cit., p. 60 ss. Ma v. altresì, in dottrina, Ferri, voce Sequestro, cit, p. 460 e segg., spec. p. 484; e
Cantillo - Santangeli, Il sequestro nel processo civile, cit., p. 374. 171
Il che impone peraltro di considerare l’assoluta inadeguatezza della scelta di mantenere
l’accantonamento per un termine massimo di soli tre anni, che presuppone una efficienza della
giustizia civile ben lontana dalla realtà delle cose. Con la conseguenza che, spirato il termine
senza che il giudizio di condanna intrapreso dal sequestrante verso il sequestrato abbia condotto
a sentenza, ne consegue una vanificazione di fatto del sequestro conservativo che diviene, nella
sostanza, inidoneo a realizzare gli stessi scopi cui è destinato (e su cui v. amplius Conte, La riforma delle opposizioni e dell’intervento nelle procedure esecutive con requiem per il sequestro
conservativo, in www.judicium.it).
128
l’attuazione delle misure cautelari
4.2. Segue: quando il concorso dei creditori è solo il frutto di una scelta
del legislatore processuale
Ben diverso si mostra invece il quadro quando il concorso dei creditori deriva semplicemente dalla scelta di aprire l’espropriazione alla partecipazione
di creditori diversi dal procedente, e che né hanno intrapreso un sequestro
conservativo o una azione esecutiva sugli stessi beni su cui si è già perfezionato o è in corso un altro pignoramento, né sono titolari di cause legittime di
prelazione su quegli stessi beni. Si tratta segnatamente, ai sensi dell’art. 499
c.p.c. nel testo attualmente vigente, dei creditori provvisti di titolo esecutivo e
di quelli tenuti alle scritture contabili di cui all’art. 2214 c.c.
L’intervento, solo in quanto tale, non è imposto da alcuna ragione di
carattere sostanziale: l’art. 2910 c.c. si limita infatti a stabilire che il creditore può far espropriare i beni del debitore nei limiti posti dal codice
di rito sicché, in definitiva, le regole processuali dell’azione espropriativa
(sia quanto a presupposti che a svolgimento) sono rimesse, e proprio dalla
disciplina sostanziale, alla discrezionalità del legislatore processuale.172 Il
quale ha ritenuto, con l’art. 499 c.p.c., che la pendenza di una espropriazione già da altri intrapresa possa innescare la semplice partecipazione di altri
creditori in “chiave minore”.
Ed infatti l’intervento si configura per i creditori titolati come opzione che
si affianca, senza escluderla, a quella dell’autonoma azione esecutiva (che
resta impregiudicata e ben può autonomamente investire anche altri beni),
e che si rivela “in chiave minore”173 rispetto a quella finchè non si traduce,
Secondo quello che è, peraltro, un consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità in riferimento ad ogni rito.
173
Non ignoro che sulla natura dell’intervento dei creditori titolati si è storicamente stratificato
un dibattito che ha coinvolto la più autorevole dottrina, che è solita ricondurlo ad esercizio di
azione espropriativa, laddove l’intervento non titolato è invece ascritto alla diversa e “minore”
azione satisfattiva (v. già Garbagnati, Espropriazione, azione esecutiva e titolo esecutivo, cit.,
p. 1360, e poi Id, Il concorso dei creditori nel processo di espropriazione, cit; Satta, Commentario al codice di procedura civile, III, Milano, 1965, p. 174; Montesano, La cognizione sul
concorso dei creditori nell’esecuzione ordinaria, in Riv. trim. dir. proc. civ., cit., p. 561; e più di
recente la monografia di Saletti, Processo esecutivo e prescrizione. Contributo alla teoria della
domanda esecutiva, Milano, 1992, p. 45 ss, mentre per la manualistica sufficit il rinvio a Capponi, Manuale di diritto dell’esecuzione forzata, Torino, 2010, p. 209 ss e passim) e la stessa
giurisprudenza di legittimità, che proprio su tale differenza fonda il tradizionale assunto che il
creditore titolato intervenuto può essere attaccato in ogni momento del processo esecutivo con
l’opposizione all’esecuzione (v. ad esempio Cass. 16 maggio 1987, n. 4516, in Riv. dir. proc.,
1989, p. 584 ss, con Nota di Capponi, Intorno ai rimedi “cognitivi” avverso l’accertamento dei
crediti nella conversione del pignoramento). Mi limito qui ad osservare, rinviando per più ampi
ragguagli all’efficace sintesi di Capponi, Manuale, cit., passim che, ai limitati fini di questo
studio, è innegabile che l’intervento in quanto tale non si differenzia, per i creditori titolati, da
quello dei creditori privi invece di titolo se non nelle occasioni in cui si traduca in atto il ruolo,
altrimenti solo potenziale, del titolo esecutivo (non a caso la giurisprudenza ritiene indispensabile l’allegazione del titolo solo nel momento in cui diviene rilevante ai fini del compimento di
atti di impulso processuale da parte del creditore intervenuto).
172
Capitolo 3 – Il procedimento
129
attualizzando la funzione del titolo esecutivo, in atti di impulso processuale;
e per i creditori privi di titolo come opportunità174 offerta in un contesto in cui
lo stesso legislatore processuale esclude, a monte, la loro legittimazione in via
autonoma.
Ma se l’intervento, in quanto tale, non ha addentellati nella legislazione
sostanziale, men che mai appare idoneo ad incarnare, come pure sostiene un
nutrito filone interpretativo,175 il diritto di azione garantito dagli artt. 3 e 24
Cost. e, per questa via, l’effettività della tutela giurisdizionale.
La Corte costituzionale176 afferma infatti sì che la fase di esecuzione forzaÈ quantomai opportuno il ricorso alla plastica definizione fornita, dell’azione espropriativa, da Satta, Diritto processuale civile, Padova, 1987, p. 576 ss: “La formula statica
dell’art. 2910 c.c.: «il creditore può far espropriare» si risolve dinamicamente nell’altra:
«il creditore è chi può espropriare», ed il confronto con le riflessioni effettuate da Vaccarella (Esecuzione forzata, in Riv. es. forz, 2007, p. 16 ss) sulla posizione dei creditori non
titolati cui è consentito l’intervento: «È appena il caso di rilevare che questa scelta del
legislatore del 1942 (quella di costruire il processo esecutivo come aperto a tutti i creditori
anche privi di titolo esecutivo: n.d.a.) non risponde ad alcuna necessità, nemmeno in relazione al sopravvenuto art. 3 Cost., essendo del tutto evidente che nulla impone di consentire
al creditore privo di titolo esecutivo di soddisfarsi nel corso di un’esecuzione forzata promossa da un creditore, viceversa, fornito di titolo esecutivo, e con lui concorrendo in sede di
riparto: la stessa necessità di definire come “satisfattiva” l’azione (esecutiva anch’essa) di
tale creditore in contrapposizione a quella “espropriativa” del creditore titolato dimostra
la profonda diversità delle due situazioni e l’assurdità della pretesa di costituzionalizzare
surrettiziamente la regola espressa dall’art. 2741 travasandola nel processo esecutivo».
Nello stesso senso anche Verde, Diritto processuale civile, III, Bologna, 2011, p.73 ss. Diametralmente opposta, invece, la posizione di Luiso, Diritto, cit., III, p. 122, per il quale
“(…) niente impedisce al legislatore di restringere l’intervento nell’espropriazione a talune
categorie di creditori (ad es., a quelli muniti di titolo esecutivo; oppure a quelli che possono
fornire una prova documentale del loro credito, come accade nelle procedure concorsuali)
a condizione che consenta, a chi non appartiene ad una delle categorie prescelte, di munirsi
(…) di un titolo di legittimazione a partecipare alla distribuzione del ricavato, ottenendo nel
frattempo l’accantonamento delle somme a lui potenzialmente spettanti”.
175
V., ad esempio, Ziino, nella monografia Esecuzione forzata e intervento dei creditori, cit.,
spec. p. 174 ss, precedente alle modifiche legislative della scorsa legislatura. L’a. riprende peraltro alcune posizioni già espresse anche da Tarzia, Parità e discriminazioni tra i creditori nelle procedure concorsuali, cit., 153 ss (ma si veda anche l’ultimo scritto edito del compianto a.,
Par aut dispar condicio creditorum, in Riv. dir. proc., 2005, p. 1 ss.), e da Costantino, Le esecuzioni forzate speciali, Milano, 1984, p. 24 ss, e (ri)propone una ricostruzione della par condicio
creditorum non in termini di istituto tipico del processo espropriativo del Libro III del c.p.c., nel
quale anzi si realizza in modo imperfetto, ma di “ principio immanente nel nostro ordinamento
giuridico”, connaturato ad ogni forma di attuazione coatta di obbligazioni pecuniarie. L’aggancio all’art. 24 avviene in riferimento all’effettività della tutela, sub specie di garanzia non solo
del diritto ad ottenere una sentenza di merito, ma anche di quello di tutela adeguata nella fase
di esecuzione forzata. In tal senso deporrebbero anche il nuovo testo dell’art. 111 cost. e l’art. 6
della Convenzione Europea sulla salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali,
che fondano il concetto di “giusto processo di esecuzione.”
176
La Corte costituzionale si è pronunciata in questi termini, ma sempre in riferimento ai rapporti tra il processo di cognizione che conduce alla sentenza e l’effettiva esecuzione (del dictum) della sentenza stessa. V., ad esempio, Corte cost. 8 settembre 1995, n. 419, in Foro. it.,
1995, I, c. 2641, per la quale gli artt. 3 e 24 cost. garantiscono il soddisfacimento effettivo
174
130
l’attuazione delle misure cautelari
ta deve considerarsi parte integrante del processo ai fini dell’effettività della
tutela, pena l’illusorietà del ricorso alla giurisdizione.
Ma proprio per questo il principio si applica esclusivamente al rapporto
tra il processo di cognizione che ha messo capo alla condanna e quello susseguente di esecuzione, alla cui efficienza è affidata l’effettività della tutela impartita nel giudizio dichiarativo. Sicché, in sintesi, la lezione della Corte è da
leggere esclusivamente nel senso che l’effettività della tutela giurisdizionale
deve garantirsi non solo in fase dichiarativa, ma anche in quella che si rende
necessaria in caso di inottemperanza spontanea alla condanna pecuniaria177.
Che, a sua volta, deve garantire l’accesso al patrimonio del debitore, sia pure
secondo le regole del codice di rito.
Ma si è già rilevato (supra, § 3) come l’espropriazione sia fenomeno ben
più ampio e frastagliato di un processo esecutivo posto esclusivamente al servizio della realizzazione del provvedimento di condanna pecuniaria.
Proprio l’intervento, innescando il concorso di creditori che si legittimano
in base ai più diversi presupposti, ne rappresenta il fattore di maggiore complicazione tecnica ed ineffettività della tutela del creditore procedente (anche
in base a provvedimento di condanna): realizzando l’eguale trattamento processuale di situazioni radicalmente diverse l’espropriazione del Libro III del
c.p.c. finisce anzi per essere l’antitesi dell’effettività della tutela proprio di
chi ha già ottenuto il provvedimento di condanna ed in base ad esso accede al
patrimonio del debitore.
Del che mi pare che lo stesso legislatore processuale mostri da sempre
precisa consapevolezza quando prevede (olim nell’art. 527 per il solo pignoramento mobiliare, oggi con un ambito generalizzato di applicabilità nell’art.
499, comma 4°) il correttivo dell’estensione del pignoramento. Com’è noto,
si tratta della facoltà, riconosciuta al pignorante, di indicare ai creditori (chidei diritti e degli interessi accertati in giudizio nei confronti di qualsiasi soggetto, mediante
l’effettiva esecuzione della sentenza. Così anche Corte cost. 24 luglio 1998 n. 321, in Foro. it.,
1998, I, c. 3048, secondo la quale il diritto di agire in giudizio per la tutela dei propri diritti ai
sensi dell’art. 24, comma 1° cost. comprende la fase di esecuzione forzata, la quale è diretta
a rendere effettiva l’attuazione dei provvedimenti giurisdizionali. Si tenga inoltre presente la
vicenda dell’esecuzione delle ordinanze cautelari rese dal giudice amministrativo, alle quali
la giurisprudenza del Consiglio di Stato ha esteso in via pretoria la tecnica dell’ottemperanza
proprio facendo leva sulla necessità di una adeguata tecnica esecutiva per assicurare l’effettività
della tutela cautelare (e su cui v. amplius supra, cap. I, sez. III, § 2.2).
177
V. anche Taruffo, Note sul diritto alla condanna e all’esecuzione forzata, in Riv. crit. dir.
priv., 1986, p. 665, per il quale un’adeguata attuazione della garanzia costituzionale impone
non che vi sia un processo esecutivo purchessia, che fornirebbe una risposta meramente formale
all’interesse del creditore, ma che vi sia un processo esecutivo efficace, ciò che invece non accade, tra l’altro, anche a causa dell’attuazione del concorso dei creditori secondo una tendenziale parità: “il concorso dei creditori non è un valore di rilevanza tale da giustificare una radicale
compressione del diritto del creditore procedente di vedere soddisfatto il suo credito, tenendo
conto del rilievo costituzionale di tale diritto, a fronte di una scelta di opportunità come quella
che induce a favorire il passaggio dall’esecuzione individuale a quella concorsuale”.
Capitolo 3 – Il procedimento
131
rografari) tempestivamente intervenuti178 altri beni utilmente pignorabili, con
l’invito ad estendere ad essi il vincolo se provvisti di titolo esecutivo, o invece
ad anticipare le spese in caso contrario, affinché egli stesso proceda all’estensione nel loro interesse. In difetto179, scatta la preferenza in sede di distribuzione del ricavato a favore del pignorante.
Ora, posto che l’estensione configura ad ogni effetto un nuovo e diverso
pignoramento su altri beni, a me pare evidente l’intento di apprestare un contrappeso alle conseguenze negative create al pignorante proprio dal successivo intervento.
Intento raggiunto in prima battuta depotenziando i vantaggi insiti nell’intervento stesso (i creditori titolati saranno onerati di effettuare quel nuovo
pignoramento che avevano inteso evitare limitandosi a beneficiare dell’iniziativa altrui; i creditori non titolati dovranno comunque, sostenendo le spese
dell’estensione, “pagare” il vantaggio di una soddisfazione consentita pur in
assenza di autonoma legittimazione); e in seconda battuta creando una prelazione processuale a favore del pignorante, a presidio della sua soddisfazione
integrale. Come dire: l’intervento è ammesso, ma se pregiudica la soddisfazione di chi ha intrapreso l’esecuzione su un patrimonio che, per consistenza,
avrebbe consentito autonome iniziative su altri e diversi beni, è questa la via
maestra da seguire pena, in difetto, la penalizzazione in sede distributiva.
Ritorna dunque ancora la prelazione quale strumento di correzione degli
squilibri creati (dal concorso indotto) dall’intervento. Si tratta tuttavia, stavolta, di prelazione di natura processuale180 (il processo crea lo squilibrio consentendo l’intervento, il processo lo corregge), il che è sintomatico proprio del
fatto che più ampia è la possibilità di realizzo offerta dal patrimonio, meno
tollerabile appare il semplice intervento piuttosto che l’aggressione di altri
beni per quello stesso ordinamento che pure l’intervento consente.
Mi pare allora di poter concludere nel senso che l’intervento ex art. 499 è il
frutto di una scelta di pura tecnica processuale che affonda le sue radici nella
storia181 ma che, in quanto tale, ben può essere esposta a mutamenti, come
mostrano i nova normativi che nel 2005 hanno rivisto in senso fortemente restrittivo la legittimazione all’intervento, ed allargato l’ambito di applicazione
del meccanismo dell’estensione di cui si è appena detto.
Cioè solo a coloro la cui posizione è effettivamente in grado di incidere sulle possibilità di
soddisfazione.
179
Si intende: in difetto di estensione o anticipazione delle spese senza giusto motivo, o anche
in difetto di risposta (ipotesi, quest’ultima, contemplata ad litteras dal solo art. 527, oggi abrogato).
180
Ma che può affiancarsi, se il pignorante si legittima in base a provvedimento di condannatitolo esecutivo, a quella già vista nei precedenti §§, di natura sostanziale, vale a dire l’ipoteca
giudiziale collegata proprio alla condanna pecuniaria. Ciò che è verosimile avvenga, ad esempio, se comunque la prelazione è di grado tale rispetto ad altre da mettere comunque a rischio
l’integrale soddisfazione.
181
V. amplius supra, Cap. I, sez. II, parte II.
178
132
l’attuazione delle misure cautelari
Queste premesse hanno, come già detto, precise ricadute sul piano ricostruttivo.
Trovando l’intervento dei creditori (non privilegiati né sequestranti) una
fonte solo processuale (l’art. 499 in parte qua), e rivelandosi inconciliabile sia
con la ratio cautelare dell’ordine di pagamento che con le regole processuali
che lo assistono, il limite di compatibilità posto da un’altra disposizione processuale per di più speciale, l’art. 669 duodecies, appare stavolta sufficiente
ad inibirne l’applicazione nel contesto di una espropriazione intrapresa dal
beneficiario di una cautela.
Sicché, secondo questa lettura, inapplicabili si rivelano le disposizioni generali contenute negli artt: 499, Intervento (ad esclusione, come più volte rilevato, che per il riferimento ai creditori privilegiati ed a quelli sequestranti);
500, Effetti dell’intervento; 510, Distribuzione della somma ricavata; 511,
Domande di sostituzione; 512, Risoluzione delle controversie. Con particolare riguardo all’espropriazione mobiliare, sono inapplicabili: l’art. 525, Condizione e tempo dell’intervento; l’art. 526, Facoltà dei creditori intervenuti;
l’art. 527, Diritto dei creditori intervenuti alla distribuzione (articolo abrogato
dalla L. n. 80/2005 ma il cui contenuto è confluito, come già rilevato, nella
nuova formulazione dell’art. 499); l’art. 528, Intervento tardivo; l’art. 541,
Distribuzione amichevole; l’art. 542, Distribuzione giudiziale. Con particolare
riguardo all’espropriazione presso terzi, è inapplicabile l’art. 551, Intervento.
Con particolare riguardo a quella immobiliare, sono infine inapplicabili: l’art.
563, Condizioni e tempo dell’intervento (articolo abrogato dalla L. n. 80/2005,
essendo oggi la disciplina generale dell’intervento contenuta nel nuovo art.
499); l’art. 564, Facoltà dei creditori intervenuti; l’art. 565, Intervento tardivo; l’art. 596, Formazione del progetto di distribuzione; l’art. 597, Mancata
comparizione; l’art. 598, Approvazione del progetto.
L’art. 669 duodecies va allora letto nel senso che il creditore cautelare può,
in assenza di pagamento da parte del debitore, far pignorare i suoi beni al
fine di soddisfarsi sul ricavato della loro vendita forzata. Gli atti di disposizione eventualmente effettuati dal debitore nelle more tra il pignoramento e
la vendita saranno perciò inopponibili al creditore cautelato (e solo a lui, e
salva l’estensione ai creditori intervenuti perché privilegiati182), risolvendosi
il conflitto con i diritti dei terzi secondo le regole ordinarie previste dagli art.
491 c.p.c., e 2912 ss. c.c., come accade ex art. 2906 c.c. per il sequestro conservativo.
Concludendo sul punto, occorre rilevare come la “chiusura” dell’espropriazione in ipotesi intrapresa dal beneficiario della cautela all’intervento dei
creditori (non privilegiati né sequestranti) di cui all’art. 499 c.p.c. possa in
concreto rivelarsi l’unico sistema in grado di sfruttare appieno l’opportuniQuanto invece ai creditori che hanno già attuato un sequestro giudiziario, l’inopponibilità
degli atti successivi è già loro assicurata a far data dal precedente momento in cui il sequestro
stesso è stato attuato.
182
Capitolo 3 – Il procedimento
133
tà offerta da un patrimonio la cui consistenza sia tale da consentire ad altri
eventuali creditori di indirizzare il pignoramento su beni diversi (e dunque di
ospitare, in applicazione integrale del Libro III del c.p.c., anche il semplice
intervento, ex art. 499, di creditori privi di autonoma azione, con la possibilità
di sfruttare l’estensione prevista dal c. 4).
La chiusura “isola” cioè l’iniziativa del creditore cautelare su determinati
beni dirottando quella degli altri sulla restante parte del patrimonio del debitore plurindebitato, e realizzando nel contesto cautelare una ratio in buona
sostanza corrispondente a quella che l’art. 499, comma 4° (su cui amplius
supra) persegue con la tecnica dell’estensione del pignoramento, vale a dire la
integrale soddisfazione del pignorante183.
5. Le norme sull’esecuzione forzata ed il vaglio di compatibilità dell’interprete: una ipotesi ricostruttiva
Esclusa, nei limiti appena indicati, l’applicabilità alla procedura intrapresa dal
beneficiario della cautela delle disposizioni che consentono l’intervento dei
creditori (non privilegiati) e di quelle che variamente lo presuppongono, si
può ora passare all’esame delle altre norme che disegnano l’espropriazione
forzata per verificare anche di esse l’applicabilità al contesto cautelare o il
valore da attribuire al loro eventuale mancato richiamo.
Partendo senz’altro da quelle sulle formalità preliminari all’esecuzione,
contenute negli art. 479-482, esse non sono comprese, appunto, nel richiamo
operato dall’art. 669 duodecies, e dunque non appare necessaria né la notifica
del provvedimento munito della formula esecutiva, né quella del precetto184,
né il rispetto del termine dilatorio dell’art. 482. In generale, infatti, la presenza di questi termini, funzionali a consentire l’adempimento volontario prima
È però anche ovvio che, questa essendone la logica, la “chiusura” stessa non si riveli idonea,
in concreto, a raggiungere lo scopo che vi si è qui riconnesso in ipotesi di debitore plurindebitato e patrimonio (tracciabile) ridotto o addirittura consistente in unico cespite. Qui ritorna
allora la probabilità che più creditori, cautelari e non, pignorino gli stessi beni, sicché il vulnus
all’integrale soddisfazione, che si era escluso all’interno, è arrecato dall’esterno della procedura
intrapresa dal creditore cautelare e non consente, stavolta, alcuna protezione a suo favore, derivando da autonome azioni di cui si impone la riunione con quel che ne segue. Ma è quest’ultimo un rischio ineliminabile perchè insito nella dipendenza della soddisfazione dei creditori
dall’esistenza e consistenza (dimostrabile) del patrimonio responsabile, e dunque destinato comunque ad aumentare o diminuire in ragione di queste variabili.
184
Sarà perciò inapplicabile il comma 1° dell’art. 489 c.p.c., per il quale le notificazioni e le
comunicazioni ai creditori pignoranti si fanno nella residenza dichiarata o nel domicilio eletto
nell’atto di precetto. Tali notifiche dovrebbero effettuarsi o nella cancelleria del g.e. (secondo
chi ritiene che vi sia tale competenza: v., oltre a chi scrive, Vullo, L’attuazione, cit., p. 157)
oppure (essendo la notifica nei luoghi indicati dall’art. 489 una mera facoltà, non un obbligo:
Castoro, Il processo di esecuzione, 8a ed., Milano, 1998, p. 145) secondo le regole ordinarie
previste dagli art. 137 ss; oppure,ancora, secondo modalità ritenute consone all’urgenza della
procedura dal giudice della cautela.
183
134
l’attuazione delle misure cautelari
dell’inizio della procedura, mal si concilia con l’urgenza del provvedimento
cautelare, che ne impone una immediata attuazione.185
Sotto il profilo dei particolari adattamenti necessari all’applicazione della normativa richiamata dall’art. 669 duodecies, può poi rilevarsi come non
sarebbe necessario procedere alla vendita in presenza, ad esempio, di un pagamento all’Ufficiale giudiziario, circostanza peraltro ammessa dall’art. 494
c.p.c. anche per l’esecuzione forzata.
Pare altresì da escludere l’applicabilità di altre norme che, comprese
nel richiamo agli art. 491 e segg., preparano e consentono il concorso dei
creditori.
È il caso del comma 3° dell’art. 494, che prevede il deposito di denaro nelle mani dell’Ufficiale Giudiziario quale oggetto di pignoramento, o dell’art.
495, che prevede la conversione del pignoramento di beni in pignoramento
di somme nel corso della procedura. È evidente, infatti, che la presenza di
denaro renderebbe superflua la restante procedura espropriativa se esso coprisse (come del resto le stesse norme testualmente prevedono) l’ammontare
del (solo) credito cautelato186.
Applicabili appaiono invece l’istituto della riduzione del pignoramento
di cui all’art. 496, e quello della cessazione della relativa efficacia, di cui
all’art. 497 c.p.c. Benché la disciplina cautelare non preveda alcun limite di
questo genere per l’attuazione delle misure diverse dai sequestri, il termine
di cui all’art. 497 sembra coerente con il carattere urgente del provvedimento e con l’interesse del creditore ad ottenere quanto prima soddisfazione. Al contempo, appare funzionale anche alla tutela degli interessi del
debitore, impedendo che sul suo patrimonio gravi sine die un vincolo di
inopponibilità, secondo una ratio assimilabile a quella dell’art. 675 (su cui
amplius supra, sez. I).
Applicabili sono infine le disposizioni sull’impignorabilità, sicché qui
lo sbarramento all’accesso ad una porzione di patrimonio è insuperabile.
L’impignorabilità, sia assoluta che relativa, è infatti, una limitazione che
la legge sostanziale pone al principio della responsabilità universale del
debitore, ed in assenza di una lex specialis che compia un diverso bilanciamento di interessi, i soli strumenti dell’ermeneutica non sono in grado
di sovvertire tale opzione normativa considerando prevalente l’interesse
del beneficiario della cautela su quello del debitore a godere di quegli
Il che non esclude che, date le particolari circostanze del caso, assegnare al debitore un
termine possa rivelarsi, in concreto, più fruttuoso che sperimentare direttamente l’aggressione
forzata del suo patrimonio, sia in termini di tempo che di costo obiettivo delle operazioni. Il
senso di quanto affermato nel testo è infatti solo quello di escludere che il creditore sia vincolato a concedere termini dilatori, come avviene nell’esecuzione forzata ( e salve le eccezioni
ivi previste).
186
È verosimile supporre che per la conversione il debitore debba offrire una somma corrispondente al solo credito cautelato, sempre che però non si debba considerare l’intervento (necessario, come già rilevato) di creditori privilegiati o sequestranti.
185
Capitolo 3 – Il procedimento
135
stessi beni in natura, nel che si risolve, appunto la ratio dell’impignorabilità.187
Torna dunque quell’intreccio della disciplina processuale dell’espropriazione con la disciplina sostanziale, sulla quale solo il legislatore avrebbe potuto incidere, ponendo disposizioni di favore per il beneficiario della cautela,
ciò che invece non è accaduto.
5.1. Segue: le norme sulla vendita forzata
La compatibilità delle norme che disciplinano la vendita forzata, sia in generale che con particolare riguardo a quella mobiliare ed immobiliare, con
il contesto cautelare, va valutata in riferimento alla disciplina complessivamente considerata. La vendita forzata è infatti un subprocedimento finalizzato
alla trasformazione dei beni in denaro che comporta la creazione di effetti
sostanziali in capo ai terzi acquirenti secondo le regole dell’acquisto a titolo
derivativo.188
Ciò non significa però che la disciplina vada applicata pedissequamente nel suo complesso quantitativo, dovendosene espungere, in coerenza con
quanto già rilevato, le disposizioni che consentono l’intervento dei creditori
(non privilegiati né sequestranti) ex art. 499.
Pare segnatamente da valorizzare,189 come del resto le riforme della XIV
legislatura hanno fatto anche per l’espropriazione forzata190, l’istituto della
vendita a mezzo di commissionario prevista, per i beni mobili, dagli artt. 532
e 533 c.p.c. Ciò in ragione della maggiore snellezza della procedura, (rispetto
a quella di vendita all’incanto) che normalmente avviene a trattativa privata,
e nella quale è possibile, in linea di massima, che lo stesso commissionario si
renda acquirente dei beni pignorati191.
Quanto alla vendita immobiliare, per la quale non è prevista la figura del
commissionario, sembra invece senz’altro da preferire la procedura senza
incanto, anche con specifico riferimento agli avvisi di vendita, dall’efficacia e diffusione dei quali dipende, in buona sostanza, la riuscita dell’operazione192.
V. amplius, sulla ratio dell’impignorabilità, ex multis, Vaccarella, Titolo esecutivo, cit., p.
349 ss.
188
E salva l’applicazione della disciplina codicistica sull’acquisto in buona fede dei beni mobili,
applicabile anche alla vendita forzata. Sul punto, per tutti, Luiso, Diritto processuale civile,cit.,
III, 155 ss e passim.
189
Seguendo il suggerimento di Arieta, I provvedimenti d’urgenza, cit., p. 332 ss.
190
Com’è noto, l’art. 532 è stato in questo senso modificato prima dalla L. n. 80/2005, di conversione del d. l. n. 35/2005, e poi dalla l. n. 52/2006.
191
Su questi aspetti, si rimanda, per tutti, a Bove-Capponi-Martinetto-Sassani, L’espropriazione
forzata, in Giur. sist. Dir. e proc. civ., 1988, cit., passim, ed ai riferimenti ivi riportati.
192
Perciò andranno rispettate le formalità previste dall’art. 570, il cui espletamento risponde
tutto sommato, all’interesse del creditore al reperimento di acquirenti.
187
136
l’attuazione delle misure cautelari
A qualche dubbio dà adito invece la trasponibilità, nel contesto attuativo delle
cautele di pagamento, del divieto, per il debitore, di rendersi acquirente dei propri
beni, previsto dall’art. 571. Se si fa leva sulla considerazione che, in caso contrario, questi otterrebbe il vantaggio di far cancellare le ipoteche ed il pignoramento
sull’immobile,193 dovrebbe dedursi la vigenza del divieto in materia cautelare anche perché, se il debitore è effettivamente in possesso di denaro, dovrebbe usarlo
per ottemperare all’ordine di pagamento.194 Se, viceversa, si fa leva su considerazioni sistematiche legate all’urgenza della procedura, id est alla necessità che
in modo o nell’altro si raggiunga la soddisfazione del beneficiario della cautela,
dovrebbe ritenersi ammissibile l’acquisto anche da parte del debitore; conclusione alla quale vanno, tutto sommato, le preferenze di chi scrive.
Quanto all’art. 572, avente ad oggetto la deliberazione sull’offerta, ai sensi
della l. n. 80/2005 e della successiva l. n. 263/2005 l’attuale formulazione del
comma 2° prevede oggi che se l’offerta di acquisto è inferiore al valore dell’immobile aumentato di un quinto, il giudice non può far luogo alla vendita se vi è il
dissenso del creditore procedente: l’eliminazione del riferimento al dissenso del
creditore intervenuto195 rende dunque utilizzabile il congegno del comma 2° della
norma in toto, in quanto prevede la sola audizione del creditore procedente, che
nel nostro caso è il beneficiario della cautela.
La vendita con incanto, pur non auspicabile data la lunghezza e complessità
del subprocedimento che la caratterizza, può in concreto rendersi necessaria a
causa del fallimento di precedenti tentativi di liquidazione; in tal caso, andranno
comunque applicate le norme processuali all’uopo dettate dal codice di rito196.
Lo stesso è a dirsi per quelle relative al versamento del prezzo197, alla decadenza dell’aggiudicatario198 e al trasferimento del bene espropriato199, che, in
quanto regolanti gli effetti di natura sostanziale in capo a terzi, non possono
mancare neppure in un contesto cautelare.
È questa, secondo Monteleone, Diritto processuale civile, Padova, 2000, p. 1016, la ratio del
difetto di legittimazione del debitore all’acquisto forzato dei propri beni.
194
Così, nell’ambito dell’esecuzione forzata, ancora Monteleone, op. loco ult.cit., con argomento che, secondo Nicoletti, Il divieto al debitore di fare offerte nella vendita forzata, in Riv. trim.
dir. proc. civ., 1965, p. 183, non tiene conto della possibilità di ricorso al credito. È tuttavia da
rilevare che sulla ratio del divieto sono state avanzate diverse ricostruzioni. Secondo alcuni
autori (Luiso, Diritto processuale civile, cit., III, 133; Andrioli, Commento, cit., p. 246) non
avrebbe senso che il debitore acquistasse da se stesso; secondo altri, invece (Castoro, Il processo di esecuzione nel suo aspetto pratico, Milano, 1994, p. 574), il divieto in parola è il portato
di una riprovazione morale, che va accettata come tale.
195
Presente invece nel testo previgente.
196
Quindi l’art. 576, Contenuto del provvedimento che dispone la vendita, 577, Indivisibilità
dei fondi; 578, Delega a compiere la vendita; 579, Persone ammesse agli incanti; 580, Prestazione della cauzione; 581, Modalità dell’incanto; 582, Dichiarazione di residenza o elezione
di domicilio dell’aggiudicaTario; 583, Aggiudicazione per persona da nominare; 584, Offerte
dopo l’incanto.
197
Art. 585, Versamento del prezzo.
198
Art. 587, Inadempienza dell’aggiudicatario.
199
Art. 586, Trasferimento del bene espropriato.
193
Capitolo 3 – Il procedimento
137
Particolarmente consono a tale contesto sembra poi l’istituto della delega
delle operazioni di vendita200.
Naturalmente, anche gli artt. 534 bis e 591 bis, che prevedono la delega
rispettivamente per i mobili registrati e per gli immobili, necessitano di alcuni
adattamenti imposti dalle premesse adottate, che escludono sia l’applicabilità delle norme funzionali alla realizzazione del concorso dei creditori sia di
quelle riguardanti altri istituti incompatibili con l’attuazione cautelare. Vanno
dunque escluse, dall’ambito delle operazioni del professionista delegato, la
formazione del progetto di distribuzione ed i provvedimenti sulle istanze di
assegnazione.
Proseguendo nella carrellata delle disposizioni sulla vendita forzata, si
giunge all’assegnazione in caso di esito negativo degli incanti. Ma appare
arduo ritenere che il beneficiario della cautela abbia interesse a richiedere l’assegnazione del bene, sia perché egli ha necessità di ottenere subito una somma
di denaro (non essendogli perciò di alcun aiuto l’acquisto di un bene del debitore), sia perché la relativa istanza deve, in alcuni casi, contenere l’offerta in
pagamento proprio di una somma di denaro201; circostanza, questa, che sembra
contrastare con il presunto stato di bisogno che ha fondato la concessione del
provvedimento cautelare.
Quanto all’amministrazione giudiziaria prevista dagli artt. 591 e 592 e
segg., essa sembra, in linea di massima, contrastare con il contesto urgente della procedura attuativa. Più consono sembra un nuovo incanto per monetizzare
i beni anche se a condizioni meno vantaggiose202 per il creditore procedente.
Un margine di proficua utilizzabilità dell’istituto può tuttavia ipotizzarsi ove
si tratti di bene suscettibile di rendite in denaro, che potrebbero assegnarsi
periodicamente al creditore.
5.2. Segue: le norme sul pignoramento presso terzi
Nel novero delle disposizioni richiamate dall’art. 669 duodecies in parte qua
rientrano anche gli artt. 543-554 che disciplinano il pignoramento presso terzi,
sicchè anch’esso, calato nel contesto cautelare, deve muoversi tra limite di
compatibilità delle disposizioni richiamate e presupposti di sistema dell’art.
669 duodecies.
Art. 591 bis, Delega delle operazioni di vendita. L’articolo è stato modificato prima dalla l. n.
80/2005 e poi dalla l. n. 263/2005, nel senso che la delega è possibile non solo, come accadeva
precedentemente, per la vendita con incanto, ma anche per quella senza incanto. La delega è
inoltre possibile non solo ad un notaio del circondario del tribunale, ma anche ad un notaio di
altro circondario, nonché ad altri professionisti iscritti nell’apposito elenco previsto dall’art.
179 ter disp. att.
201
Ai sensi dell’art. 589 c.p.c., come oggi modificato dalla l. n. 80/2005, di conversione del d.
l. n. 35/2005.
202
Ai sensi del comma 2° dell’art. 591 c.p.c., come modificato dalla l. n. 80/2005 e dalla l. n.
263/2005.
200
138
l’attuazione delle misure cautelari
La scelta di annoverare nel patrimonio responsabile anche i crediti, riguardati quali beni aggredibili dall’azione esecutiva, sconta la difficoltà del coinvolgimento di terzi, debitori del debitore, rispetto ai quali nessun valore ha il
titolo che il creditore pignorante vanta verso il suo debitore diretto.203
Tale coinvolgimento mostra due facce perché è funzionale ad una duplice
esigenza: da un lato definire l’oggetto stesso dell’espropriazione; dall’altro,
ed al contempo, fornire le più adeguate garanzie ad un soggetto che, essendo
solo debitore del debitore, non deve subire dall’espropriazione forzata verso il
suo creditore un pregiudizio maggiore di quello che subirebbe, sul piano sostanziale, se il credito fosse ceduto,204 ciò che l’ordinamento ammette mantenendo per il debitore ceduto la duplice possibilità di adempiere o di contestare
l’an e/o il quantum del credito anche nei confronti del creditor creditoris in un
ordinario giudizio di cognizione.205
Di qui la medesima alternativa offertagli nell’ipotesi in cui il credito sia
oggetto di espropriazione (artt. 543-550) in termini di dichiarazione circostanziata di essere debitore; o del rifiuto di renderla, che sposta sul creditore
procedente l’onere, se intende comunque sottoporre ad espropriazione il creAl centro dell’indagine si pone perciò la ricognizione della posizione di questa figura
nell’economia generale del pignoramento effettuato presso di lui (Vaccarella, Espropriazione,
cit., spec. p. 102 ss). Pur essendo infatti pacifico che egli è estraneo al rapporto sostanziale dal
quale deriva il credito azionato in via esecutiva, è invece opinabile che sia terzo anche nei confronti della procedura espropriativa. Ciò in virtù del fatto che egli vi è coinvolto sin dal primo
atto di esecuzione, dato che il pignoramento viene anche a lui notificato, e da quel momento
scattano a suo carico gli obblighi di custodia (art. 546 c.p.c.) che verranno meno solo con il successivo ordine giudiziale di adempiere in favore del creditore procedente, con i relativi risvolti
penali; sempre da quel momento egli ha inoltre perso la facoltà di adempiere nei confronti del
proprio creditore. Tuttavia, a parte qualche opinione contraria in dottrina, (Bucolo, Il pignoramento e il sequestro presso il terzo, cit., passim), la giurisprudenza sembra decisamente orientata nel senso di negare la qualità di parte del processo esecutivo al debitor debitoris, (Cass. 10
settembre 1998 n. 8966; Cass. 19 settembre 1995 n. 9888, in Giust. civ., 1996, I, p. 308, con
Nota di Frangini) considerandolo piuttosto un mero ausiliare di giustizia (Cass. 1 luglio 1993
n. 7151; Cass. sez. un. 18 dic. 1987 n. 9047) ai fini della conservazione del bene e della sua
più puntuale identificazione. Conseguentemente, un ordine a suo carico potrebbe configurarsi
solo se egli decidesse di collaborare rendendo la dichiarazione, o a seguito di sentenza resa nel
giudizio di accertamento nei suoi confronti ex art. 548 c.p.c. Di questa impostazione sembra
espressione la tendenza a ritenere che la dichiarazione del terzo non costituisca oggetto di un
vero e proprio obbligo e neppure di un onere, almeno per quel che riguarda specificamente
l’indicazione analitica delle cose possedute e delle somme dovute ( Bove, in Bove- Capponi- Martinetto-Sassani, L’espropriazione forzata, cit; va tuttavia rilevato che la giurisprudenza
della Cassazione distingue tra mancata dichiarazione e dichiarazione mendace, quest’ultima
considerata fonte di responsabilità extracontrattuale nei confronti del creditore procedente per
esserne derivato l’allontanamento nel tempo della soddisfazione del suo credito: Cass. 19 settembre 1995 n. 9888, cit; Cass. sez. un. 18 dicembre 1987 n. 9407, Giust. civ., 1989, I, p. 537,
con Nota di Alessandri).
204
Così Vaccarella, Espropriazione, cit., p. 103, il quale ricostruisce la dichiarazione positiva
del terzo come idonea a realizzare una “cessione forzata” del credito, che come tale deve dare
le stesse garanzie offerte al terzo dalla cessione volontaria.
205
Vaccarella, Ibidem.
203
Capitolo 3 – Il procedimento
139
dito, di promuoverne l’accertamento in una sede di cognizione piena. L’ordinamento non si accontenta cioè di una semplice affermazione del creditore per
sottoporre a vincolo il credito, ma rinuncia all’accertamento pieno solo se vi
rinuncia, a monte, il debitor debitoris.
Se dunque nucleo ineliminabile di questa espropriazione è quello della garanzia offerta al terzo in termini di accertamento pieno del suo obbligo206,
garanzia alla quale solo volontariamente egli può rinunciare senza che il creditore procedente possa in alcun modo influirvi, si profila un esito, quello
del possibile accertamento ex art. 548 che, se appare coerente con la logica
dell’espropriazione forzata che si ripiega sull’accertamento per identificare il
suo oggetto, si rivela invece problematico nell’attuazione cautelare.
L’apertura di un processo dichiarativo (che accerti l’esistenza di un credito
diverso da quello del procedente) con sospensione automatica della procedura
esecutiva in corso realizza infatti il tipico meccanismo processuale che, subordinando l’esperimento delle operazioni attuative all’esito di un giudizio a
cognizione piena,207 appare in antitesi con l’essenza stessa della cautela sia in
quanto ispirata alla ratio di rimozione di un pregiudizio imminente ed irreparabile, sia in quanto caratterizzata da un modello procedimentale che consente
di prescindere, per l’esecuzione coatta, persino dall’accertamento del credito
del procedente.
Di un simile esito si è già rilevata l’esistenza, tra le pieghe dell’espropriazione, nel possibile accantonamento e nella possibile sospensione della
distribuzione del ricavato a favore del beneficiario della cautela in virtù della
necessità di accertare, in apposite sedi dichiarative, i crediti di altri concorrenti
nella medesima espropriazione (artt. 499, 510, 512 c.p.c.), e se ne è riconosciuta l’incompatibilità con il contesto cautelare.
Nel caso in esame, tuttavia, la situazione appare profondamente diversa.
Qui la possibile apertura del giudizio dichiarativo non è in alcun modo
scindibile dalla procedura espropriativa, come si è ritenuto invece nell’ ipotesi
appena richiamata, perché, prima ancora che frutto di una scelta tecnica, è
imposta da esigenze di sistema legate all’identificazione dell’oggetto stesso
dell’espropriazione, un’identificazione che il legislatore208 ritiene, in assenza
di dichiarazione del terzo, raggiungibile con quell’unico mezzo.
La dottrina non manca di rilevare la forte portata cognitiva della procedura, peraltro imposta da esigenze di sistema del tutto ineliminabili: così Vaccarella, Espropriazione, cit., p.
102 ss, il quale opportunamente rileva come, nel passaggio dalla codificazione del 1865 a
quella attuale sia rimasta immutata l’esigenza di rimettere al terzo la scelta tra perfezionare
l’oggetto del pignoramento o esigere dal creditore l’onere dell’accertamento pieno, nei suoi
confronti.
207
Diverso, è il caso di precisarlo, da quello cui è eventualmente strumentale il procedimento
cautelare.
208
Almeno quello italiano. In altri ordinamenti invece la situazione è diversa perché l’accertamento pieno non condiziona il perfezionarsi del vincolo: v. amplius Vaccarella, Ibidem.
206
140
l’attuazione delle misure cautelari
Perciò, più che incompatibile con il contesto cautelare in alcuni suoi particolari snodi, questa procedura si presta ad essere riguardata quale canale di
accesso al patrimonio che solo a certe condizioni, cioè in presenza di crediti
per i quali il terzo non ha realistiche ragioni per rifiutare/omettere la dichiarazione (così sottoponendosi all’onere di difendersi in giudizio) ed il creditore
per contestarla (ad esempio quelli da lavoro dipendente), consente nel modo
più rapido ed efficiente la soddisfazione del procedente.
In difetto al creditore cautelare non resta invece che l’alternativa tra intraprendere il giudizio ex art. 548 o abbandonare questa strada a favore, sempre
che sia possibile, di altri canali di accesso al patrimonio.
Sicché ciò che accade qui non è che lo specchio di un dato ineliminabile per ogni creditore che non ottenga un adempimento volontario: il
rischio in cui incorre è infatti connaturato all’essere la sua soddisfazione
(coatta) dipendente dall’esistenza e capienza del patrimonio responsabile209 ed è perciò identico in ogni modalità di espropriazione forzata (anche se in quelle dirette è meno evidente accontentandosi l’ordinamento di
indici identificativi meno stringenti quali l’appartenenza o l’indicazione
del creditore).
È alla luce di queste premesse che va compiuto l’esame delle disposizioni
sul pignoramento presso terzi, a partire dall’art. 543, applicabile nella parte in
cui prevede l’ingiunzione al debitore di cui all’art. 492, l’indicazione del credito per cui si procede e quella delle cose o somme dovute con l’intimazione al
terzo di non disporne senza ordine di giudice; ed inapplicabile invece laddove
prevede l’indicazione del titolo esecutivo e del precetto, atteso che, come si è
visto, la loro notifica non è imposta nell’espropriazione cautelare.
Anche la citazione del terzo per la dichiarazione circa le somme dovute al
debitore, e di quest’ultimo perché vi presenzi, è ineliminabile mentre la competenza, per le ragioni di sistema altrove evidenziate (supra, cap. II, sez. II,
parte I) è radicata presso il giudice dell’esecuzione, nel caso specifico identificato in quello del luogo di residenza del terzo. A tal proposito la recente modifica dell’art. 547210 che consente in alcune ipotesi211 al terzo di comunicare la
dichiarazione con raccomandata, appare particolarmente consona al contesto
di un pignoramento effettuato in via cautelare.
Gli obblighi di custodia del terzo trovano la loro fonte nell’art. 546, dato
che lo scopo cui tende la procedura impone di evitare che, ove abbia cose o
somme di denaro dovute al debitore, ne disponga autonomamente; mentre
l’art. 547 regola i contenuti della dichiarazione, nonché la chiamata nel processo del creditore sequestrante nel termine perentorio fissato dal giudice, e
Luiso, Diritto processuale civile, cit., I, passim, descrive la situazione del creditore come
permanentemente dipendente da quella del suo debitore quanto a possibilità di soddisfazione
del suo credito tramite azione espropriativa, in assenza di adempimento volontario.
210
Ad opera dell’art. 11 della l. n. 52/2006.
211
Precisamente quelle nelle quali non si tratti di crediti di cui all’art. 545, comma 3° e 4°.
209
Capitolo 3 – Il procedimento
141
gli artt. 548 e 549 i rapporti tra la dichiarazione, le contestazioni ed i possibili
sbocchi.
Gli artt. 552 e 553, che disciplinano l’assegnazione e la vendita delle cose
e crediti dovuti dal terzo sono applicabili nella misura in cui, trattandosi di
somme esigibili in un termine superiore a novanta giorni o di censi e rendite
perpetue o temporanee, il creditore cautelare possa, mercè l’assegnazione, beneficiare comunque di una somma di denaro.
Il limite di compatibilità fa invece da sbarramento all’applicazione dell’art.
551 che disciplina l’intervento dei creditori (non privilegiati né sequestranti),
per le ragioni già ampiamente esposte (supra, §§ precedenti) e cui sufficit
pertanto rinviare.
È però possibile anche qui, come per le altre forme di espropriazione già
esaminate, che il concorso di più creditori sia la conseguenza del fatto che
le cose o somme su cui si indirizza l’azione del creditore cautelare siano già
state pignorate, derivandone l’applicazione dell’art. 550, comma 1°, sicché il
terzo deve indicare i pignoramenti già effettuati presso di lui. Stesso discorso
va fatto nell’ipotesi in cui le cose o somme siano successivamente pignorate
da altro creditore titolato, che è considerato alla stregua di un interventore ai
sensi dei comma 2° e 3° del medesimo articolo.
Sicché, in definitiva, in presenza di una dichiarazione positiva del terzo
(che il creditore cautelare non intenda comunque contestare), ed in assenza di
interferenze derivanti da precedenti o successivi pignoramenti o da cause di
prelazione, il pignoramento presso terzi “chiuso” all’intervento di altri creditori (e dunque, da questo punto di vista, strutturalmente molto vicino al modello dell’ottemperanza quando utilizzato per realizzare crediti pecuniari nei
confronti della PA attingendo alle casse degli enti tesorieri) è forse il tipo di
accesso al patrimonio del debitore che meglio si presta a realizzare le esigenze
cautelari, mentre diviene in assoluto quello più inidoneo in ipotesi di rifiuto od
omissione della dichiarazione del terzo perché affida proprio l’individuazione
della porzione di patrimonio aggredibile all’esito di un giudizio dichiarativo.
Tra questi due estremi si colloca la già ventilata ipotesi in cui, perfezionatosi il
pignoramento, concorrano sugli stessi beni o crediti altri pignoramenti o cause di
prelazione: qui l’allontanarsi dell’obiettivo della soddisfazione del creditore cautelare non deriva dalle peculiarità dell’espropriazione in esame, ma da più generali
ragioni di sistema comuni, come già visto, ad ogni tipo di espropriazione forzata.
Parte II
L’attuazione della cautele recanti ordini di fare-non fare-dare
1. La fissazione delle modalità esecutive ed il controllo sull’attuazione
Al “giudice che ha emanato il provvedimento cautelare” l’art. 669 duodecies affida,
ex multis, la fissazione delle modalità di attuazione della cautela. Che siano stabilite
142
l’attuazione delle misure cautelari
a seguito di apposito ricorso che inaugura la fase di esecuzione forzata212; oppure che
siano già fissate nel provvedimento concessivo;213 esse sono sempre frutto di valutazioni giudiziali non condizionate dal contenuto delle istanze di parte. A differenza
di quanto accade nella determinazione del contenuto precettivo del provvedimento,
ove operano il principio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato dell’art.
112 e dunque l’alternativa tra accoglimento e rigetto; qui i poteri giudiziali sono
discrezionali e solo in senso lato orientati dalle indicazioni di parte.214
Al giudice adito ex art. 669 duodecies con istanza di fissazione delle modalità
attuative viene infatti chiesto, non diversamente che in ogni esecuzione forzata, un
Nella sua formulazione letterale la disposizione sembra presupporre che sia il giudice dell’attuazione adito con ricorso ad hoc a fissare per la prima volta le modalità di attuazione del dictum. Tale
potere si affianca infatti, nella struttura sintattica della disposizione, a quelli di controllo sull’attuazione e di risoluzione di difficoltà e contestazioni sicuramente ascrivibili al giudice dell’attuazione
in quanto tale, e non in quanto invece “giudice che ha emanato il provvedimento cautelare”. Così, in
dottrina, Fornaciari, L’attuazione dell’obbligo di consegna dei minori, cit., p. 287; Merlin, I provvedimenti, cit., p. 426; Luiso, Commentario, cit., p. 684; Dini-Mammone, I provvedimenti, cit., p. 689.
In giurisprudenza v. P.Brindisi, 14 gennaio 1999, in Foro. it., 1999, I, c. 1668 ss. Della conclusione
sembra conferma a contrario la diversa formulazione dell’art. 342 ter c.c. che disegna il contenuto del
decreto recante gli ordini di protezione contro gli abusi familiari, a mente del quale il giudice “con il
medesimo decreto (con cui ha disposto gli ordini di protezione: n.d.a.) determina le modalità di attuazione. Ove sorgano difficoltà o contestazioni in ordine all’esecuzione, lo stesso giudice provvede con
decreto ad emanare i provvedimenti più opportuni per l’attuazione, ivi compreso l’ausilio della forza
pubblica e dell’ufficiale sanitario”. Nel modello processuale del 2001 appare chiaro che le modalità
di attuazione sono naturaliter indicate nel decreto che dispone gli ordini di protezione, mentre diverso
è il decreto con il quale sono adottati i provvedimenti opportuni per l’attuazione V., per tutti, Auletta,
L’azione civile contro la violenza nelle relazioni familiari, cit., p. 1045 ss.
213
Sulla scia di posizioni manifestatesi anche prima dell’introduzione del rito cautelare uniforme (Tommaseo, I provvedimenti, cit.; sul dibattito in corso di dottrina, Vullo, op.cit., p. 61ss.) parte della dottrina
ritiene che il modus procedendi possa essere fissato dal giudice già in sede di concessione del provvedimento (secondo Attardi, Le nuove disposizioni sul processo civile, cit., p. 266, il giudice deve determinare tali modalità in tale sede). È interessante tenere in proposito presente la recente opzione dell’art.
34 del Codice del processo amministrativo che, tra i contenuti della sentenza di merito che mette capo
al giudizio dichiarativo, annovera espressamente (comma 1°, lett. e) le misure idonee ad assicurare
l’attuazione del giudicato e delle pronunce non sospese, compresa la nomina di un commissario ad
acta. V. amplius, sul punto, Lipari, L’effettività della decisione tra cognizione ed ottemperanza, in
www.judicium.it. nonché Sassani, Arbor actionum. L’articolazione della tutela nel codice del processo
amministrativo, in Riv. dir. proc., 2011, passim, per il quale proprio l’art. 34 in parte qua consente
di concludere per “(…) la possibile superfluità del ricorso ad un autonomo e successivo giudizio di
ottemperanza, dal momento che la sentenza di accoglimento non solo potrà contenere normalmente
gli elementi prescrittivi alla cui emersione è deputato il giudizio di ottemperanza, e le concrete misure
attuative, ma potrà programmare anche il procedimento di sostituzione dell’amministrazione inottemperante”. Ciò tuttavia in alcun modo comporta che il giudizio di ottemperanza divenga superfluo o
addirittura si confonda con quello dichiarativo, come conferma lo stesso a. “In tali casi lo spazio per il
giudizio autonomo di ottemperanza si ridurrà quindi al controllo ex post dell’operato del commissario
ad acta, nonché all’esercizio della eventuale domanda di risarcimento «dei danni derivanti dalla mancata esecuzione, violazione o elusione del giudicato» (art. 112 c. 3).”
214
Ancora Tommaseo, I provvedimenti, cit, passim. Lo stesso non appare escluso neppure nelle
esecuzioni del Libro III del c.p.c., come dimostra il singolare caso risolto da Cass. 2 settembre 1982
n.4798, in Giust. civ. Rep., 1982, v. Esecuzione forzata di obblighi di fare e di non fare, 9, ove la
Corte ha ritenuto superfluo il ricorso alla procedura prevista dall’art. 612 c.p.c., perché già nella
sentenza era stata disposta, in caso di esecuzione forzata, la nomina di un tecnico.
212
Capitolo 3 – Il procedimento
143
intervento sanzionatorio dell’inottemperanza della controparte e quindi la predisposizione dei modi dell’invasione forzosa della sua sfera giuridica o comunque
della sua surrogazione forzata, in assenza della quale il beneficiario, pur avendo
ottenuto il provvedimento, non è in grado di realizzare il suo interesse. Delle due
allora l’una: o il “rigetto” dell’istanza è motivato dalla (ritenuta) inesistenza attuale
del diritto di procedere ad esecuzione forzata, ed allora quest’ultima non può avere
luogo per (asserito) difetto dei suoi presupposti; o tale diritto processuale esiste, ed
allora l’esecuzione è necessaria e deve avere luogo, anche se il giudice ritiene di
adottare modalità diverse da quelle eventualmente indicate dall’istante.
È perciò da escludere che il giudice possa rigettare il ricorso ex art. 669 duodecies solo in base all’argomento che le modalità indicate dalla parte215 non appaiono praticabili in relazione al tipo di provvedimento da attuare.
Il caso, che ha impegnato la giurisprudenza di merito in uno dei suoi primi
approcci con l’art. 669 duodecies, appare sintomatico proprio della errata applicazione del principio della domanda e di quello della corrispondenza tra il chiesto
ed il pronunciato che non trovano qui cittadinanza, potendo al contrario il giudice
ridisegnare discrezionalmente le modalità esecutive anche in modo completamente diverso dalle (peraltro solo) eventuali richieste o indicazioni di parte.
Il contenuto concreto che le modalità di attuazione possono assumere216
Così invece, sorprendentemente, il provvedimento di cui si ha notizia leggendo la motivazione di T. Pisa 29 agosto 1994, in Giust. civ., 1995, I, p. 1375 ss, con Nota di Ferroni.
216
I termini del dibattito che ha impegnato la dottrina si sono appuntati fondamentalmente sul rilievo
della genericità forse eccessiva della disposizione che, in parte qua, è stata talora addirittura tacciata
di non avere portata precettiva: così Fornaciari, L’attuazione, cit., p. 283; Luiso, Commentario, cit., p.
683, il quale parla, in proposito, di “lacuna normativa”; Cecchella, Il processo cautelare, Torino, 1997,
p. 175, il quale ritiene addirittura che l’art.669 duodecies in parte qua si limiti a dettare una norma
sulla competenza del giudice dell’attuazione, “non potendo avere una valenza giuridica significativa
l’affidamento a tale giudice delle modalità di attuazione (...)”; Tommaseo, Commento agli artt.73-77
della Legge 26 nov. 1990 n.353, in Corr. giur, 1991, p. 105, il quale ritiene la disciplina dell’attuazione,
in generale, frammentaria e, in parte qua, non particolarmente felice. Due orientamenti si sono formati
circa il significato da attribuirvi: secondo il primo di essi, la disposizione consacrerebbe una deformalizzazione della procedura che permetterebbe al giudice di prescindere senz’altro dal modulo degli artt.
605 e segg, scegliendo le forme ritenute più consone al caso concreto, con il duplice limite dell’idoneità
al raggiungimento dello scopo ex artt. 121 e 131 c.p.c. (Verde, in Verde-Di Nanni, Codice di procedura
civile annotato, cit., p. 505; Merlin, voce Procedimenti, cit., p. 426; Saletti, Le riforme del codice di rito
in materia di esecuzione forzata e di attuazione delle misure cautelari, Riv. Trim. dir. proc. civ., 1992,
p. 454, nota 27; Proto Pisani, La nuova disciplina del processo civile, Napoli, 1991, p. 366; Dini-Mammone, I provvedimenti, cit., p. 677 ss.); e del rispetto degli artt. 2930 e 2933 c.c. (P. Salerno, Sez. Eboli,
23 novembre 1993, in Giur. mer., 1995, I, p. 68, con Nota di De Cecilia; e da T. Bari 12 febbraio 1997,
in Giur. it., 1998, p. 276). Secondo altro orientamento, invece, sarebbe comunque e sempre necessario
applicare in via esclusiva gli artt. 605 e segg., essendo inimmaginabili modalità attuative diverse da
quelle tipizzate nel Libro III del c.p.c. (Attardi, Le nuove disposizioni sul processo civile, cit., p. 266;
Luiso, Commentario, cit., p. 684; Olivieri, I provvedimenti cautelari nel nuovo processo civile, cit., p.
730, il quale si muove tuttavia sul terreno pratico, prevedendo che, di fatto, le modalità attuative non
potranno che coincidere con quelle di cui agli artt. 605 e ss., e comunque ipotizza una certa semplificazione del procedimento). Come si può notare, i termini stessi del dibattito appaiono sintomatici della
già rilevata (cap. I, sez. II, parte I) tendenza a ricostruire l’art. 669 duodecies esclusivamente secondo
gli schemi strutturali dei rapporti tra provvedimento-titolo esecutivo e processo esecutivo degli artt.
605 ss. Il riferimento alla genericità del dettato normativo, che non avrebbe prestato attenzione alla
215
144
l’attuazione delle misure cautelari
varia, evidentemente, in relazione al contenuto precettivo della cautela,217 sicchè se l’obbligo da eseguire consiste semplicemente in una consegna o in un
ricostruzione degli aspetti operativi del modello; ed addirittura la sua definizione in termini di norma
priva di reale portata precettiva; si giustificano infatti solo attraverso il confronto con gli artt. 605 ss,
che disegnano i contorni delle operazioni materiali di consegna-rilascio, o danno al giudice dell’esecuzione il potere di determinare modalità di attuazione del (dictum contenuto nel) provvedimento-titolo
in riferimento ad obblighi di fare- disfare che generaliter di risolvono in una o più operazioni materiali.
Sempre nell’ottica che ricostruisce l’attuazione cautelare alla luce delle esecuzioni degli artt. 605 ss
si è poi data soluzione al problema pratico della necessità o meno di notificare all’obbligato il titolo
esecutivo ed il precetto, rimettendo all’interessato la scelta. Si è così deciso che, pur non essendo l’ordinanza cautelare titolo esecutivo, una volta intimato il precetto la controparte ha l’onere di esperire
l’opposizione all’esecuzione per far valere la carenza del diritto di agire in executivis (T. Torre Annunziata 10 novembre 1999, in Giur. mer., 2000, p. 295. Implicitamente, data la decisione sull’opposizione,
T.Monza, 13 giugno 2002 n.1829, cit. oltre). È poi noto il caso in cui, intimato precetto per obblighi
di fare in base a provvedimento possessorio, si richiede anche il pagamento delle relative spese, per le
quali si intraprende espropriazione forzata accanto all’esecuzione per l’adempimento del facere (v. il
caso deciso da Cass. 15 gennaio 2003 n.481, in Riv. es. forz., 2004, con Nota di Delle Donne). Quanto
alle spese, la Cassazione, esplicitamente (ri)affermando la non assimilabilità dell’attuazione cautelare
all’esecuzione forzata e la conseguente non necessità che la prima sia preceduta dai relativi adempimenti preparatori, ha tuttavia escluso che esse siano recuperabili a mezzo di espropriazione forzata (che
va dichiarata d’ufficio inammissibile per carenza di titolo esecutivo, tale non essendo il provvedimento
cautelare: così ancora Cass. 481/2003, cit. Ma v. anche Cass. n. 5010/2008 cit., per la riaffermazione
generale dell’alterità tra esecuzioni del Libro III del c.p.c. ed attuazione ex art. 669 duodecies.) Va
infine rilevato come in una fattispecie approdata recentemente in sede di legittimità l’obbligato in base
a provvedimento cautelare avesse proposto opposizione ex art. 617 avverso la comunicazione dell’avviso di accesso nei suoi locali dell’ufficiale giudiziario al fine di immetterne in possesso i ricorrenti per
l’esecuzione di alcuni lavori, in ossequio a quanto disposto dal provvedimento d’urgenza. Il tribunale
aveva rigettato l’opposizione in base all’assunto che, ai sensi dell’art. 669 duodecies, le relative doglianze fossero riservate al giudizio di merito. A seguito di ricorso in cassazione, la Corte ha però avuto
modo di precisare che il processo esecutivo disegnato dall’art. 669 duodecies in parte qua è diverso da
quelli esecutivi del Libro III del c.p.c., essendo tutte le contestazioni relative all’attuazione riservate al
relativo giudice, appunto (così Cass. 26 febbraio 2008, n. 5010).
217
Quest’impostazione trova un certo seguito in giurisprudenza: P. Salerno, sez. Eboli, 23 novembre 1993, in Giur. mer., 1995, I, p. 68, con Nota di De Cecilia; P. Salerno 6 giugno 1991,
in Arch. civ., 1992, p. 185, per la quale il giudice dell’attuazione gestisce ogni aspetto della
procedura, comprese le modalità di attuazione; P. Parma 13 febbraio 1992, in Giust. civ., 1992,
I, p. 1364, che ritiene applicabili, in via analogica, le disposizioni dell’art. 612 c.p.c.; P. Brindisi
– Mesagne 14 gennaio 1999, in Foro. it., 1999, I, c. 1668; T. Perugia 31 luglio 1999, in Rass.
giur. umbra, 2000, p. 707, con Nota di Bontà; T. Torre Annunziata 10 novembre 1999, in Giur.
mer., 2000, p. 295; In quest’ottica anche P. Siracusa 9 novembre 1994, in Giur. it., 1995, I, 2, c.
159, per la quale il giudice dell’attuazione risolve le difficoltà con ordinanza, su istanza della
parte che ha interesse all’attuazione, non con decreto su istanza dell’ufficiale giudiziario. In
realtà, la formula dell’art. 669 duodecies sembra sufficientemente elastica per ricomprendere
entrambe le situazioni, salvo l’obbligo di emettere ordinanza previa audizione delle parti. T.
minori Perugia, 13 giugno 1997, in Rass. giur. umbra, 1998, con Nota di Tarquinio; T. Roma
6 novembre 2000, in Giur. lav. 2000, p. 179, con Nota di Sordi. Singolare, e sorprendente, T.
Padova 22 novembre 1996, in Foro. it., 1997, I, c. 1264, che propone una soluzione articolata
in questi termini: l’attuazione avviene nelle forme dell’esecuzione in forma specifica, per cui
spetta al pretore emanare i relativi provvedimenti, seppure sotto il controllo del giudice dell’attuazione. La questione, nel senso indicato nel testo, registra anche alcuni significativi interventi
della Corte di Cassazione: Cass. 9 gennaio 1996 n. 80, in Giur. it., 1997, I, 1, c. 88; Cass. 25
giugno 1997 n. 5672; Cass. 15 gennaio 2003 n. 481, cit.
Capitolo 3 – Il procedimento
145
rilascio, piuttosto che una o più prestazioni di fare-disfare esauribili una tantum, al giudice della cautela non resterà che disporne modalità e tempi.218
Qui l’incidenza dell’attuazione sullo status quo è limitata a poche e predeterminabili attività materiali sul cui corretto compimento, che chiude la vicenda attuativa nel suo aspetto dinamico, il giudice si limita a vigilare dopo
averne indicato, appunto, le modalità, non diversamente, in buona sostanza,
da quanto è chiamato a fare il giudice dell’esecuzione ex artt. 605 e segg.
Non così, invece, quando la cautela miri a ricostruire o vada ad incidere su
un rapporto giuridico che è fonte di una complessa rete di obblighi e facoltà
reciproci e permanenti tra le parti come nei casi, paradigmatici, dell’ordine di
reintegra del lavoratore illegittimamente licenziato (o dell’ordine di adibire
il lavoratore stesso a mansioni identiche od equivalenti a quelle precedentemente svolte) adottato ex art. 700 c.p.c. o dell’annullamento delle delibere
societarie adottato ex art. 2378, comma 3° c.c219.
Qui proprio la struttura sostanziale del rapporto cautelato mette l’obbligato
in condizioni di ripetere,220 ad nutum, l’atto o il comportamento che gli sono
stati inibiti con il provvedimento cautelare, o di altrimenti eluderne221 il contenuto precettivo, rendendolo nella sostanza lettera morta.
Il fatto che tale quomodo possa coincidere con quello dell’esecuzione ex artt. 605 ss non
appare allora ascrivibile alla necessità di utilizzare il canovaccio di quest’ultima per ragioni
sistematiche o logiche, ma solo alla struttura in concreto assunta dall’obbligo (imposto in sede)
cautelare.
219
A queste va accomunata una terza tipologia di ipotesi che, pur non rientrando nello schema
dei rapporti privati in cui una parte ha il potere di provocare unilateralmente (e salvo il controllo successivo in forma impugnatoria) modificazioni nella sfera giuridica dell’altra, sono
caratterizzate dal perdurare della situazione di fatto che ha ingenerato il comportamento (poi
ritenuto) illecito, che consente all’obbligato sia di reiterarlo sia di altrimenti eludere la cautela
attraverso comportamenti solo formalmente ossequiosi al suo contenuto precettivo. È il caso,
ad esempio, delle inibitorie ex art. 700 c.p.c. degli illeciti concorrenziali, ove l’imprenditore
colpito dall’inibitoria, e dunque obbligato ex art. 700 a non porre in essere alcune condotte
integranti concorrenza sleale, reiteri semplicemente quelle già sanzionate o eluda altrimenti il
dictum cautelare.
220
L’ illustrazione della definizione e delle problematiche connesse alla perdurante posizione
potestativa dell’obbligato, soprattutto sul versante dell’esecuzione forzata del provvedimento
di reintegra reso in via ordinaria, si deve all’ampia indagine che Sassani ha condotto nelle monografie Impugnativa dell’atto e disciplina del rapporto, Padova, 1989, passim, e Dal controllo
del potere all’attuazione del rapporto, cit., passim., ove il lettore troverà anche il corredo di
indicazioni bibliografiche e giurisprudenziali essenziali.
221
L’elusione è comportamento complesso che esita nella sostanziale violazione degli obblighi
posti dal provvedimento e che assume particolare evidenza nei casi in cui al provvedimento
possa ascriversi esclusivamente una portata conformativa che non si iscrive o è dubbio che si
iscriva in un dispositivo di vera e propria condanna strictu sensu intesa: si pensi al decreto o alla
sentenza ex art. 28 St. Lav. che dichiarino l’antisindacalità di un comportamento esauritosi uno
actu e che neppure abbia prodotto conseguenze materiali da rimuovere. Ma si pensi anche alle
inibitorie, come ad esempio quelle pronunciate in materia concorrenziale ex artt. 2598 e 2599
c.c., a seguito della declaratoria che determinati comportamenti integrano gli estremi della anticoncorrenzialità. Altro settore ove l’elusione ha un forte impatto è poi, per le medesime ragioni,
quello dell’annullamento delle delibere societarie.
218
146
l’attuazione delle misure cautelari
La fissazione delle modalità attuative ed il potere di controllo sull’attuazione assumono allora ben diversa fisionomia.
Il primo profilo involge l’interpretazione del provvedimento funzionale a
trarre da un dispositivo standardizzato e sinteticamente formulato (reintegra,
sospensione, inibitoria) uno schema analitico dei singoli obblighi imposti,
solo poi potendosene verificare l’(in)adempimento ai fini delle conseguenti
determinazioni.
Il controllo sullo stato dell’attuazione comporta invece la fissazione di
un termine entro il quale l’obbligato dovrà ottemperare pena la surrogazione
coatta,222 nonché la fissazione di una o più udienze successive per verificare lo
stato dell’adempimento.
È nella giurisprudenza civile del lavoro223 che si riscontra l’avocazione al
giudice dell’attuazione, in virtù dei poteri di gestione globale della fase attuativa che l’art. 669 duodecies in parte qua gli rimette, della valutazione globale
delle condotte che il datore di lavoro ha assunto dopo l’emissione dell’ordine
di reintegra per appurarne da un lato il contrasto con il contenuto del provvedimento; e dall’altro la non giustificabilità alla luce di obiettive, e perciò lecite,
esigenze imprenditoriali.224
I provvedimenti adottati ex art. 669 duodecies recano dunque l’ordine di adozione di singole condotte di segno opposto a quelle commissive fino ad allora
poste in essere dal datore, che il provvedimento attuativo indica analiticamente
in quanto contenuto concreto della regula già sinteticamente posta dalla cautela
(fissazione delle modalità di attuazione). L’ordine di “reintegra” nel posto di laÈ il caso, ad es., di T. Roma 3 marzo 1998, in Nuovo dir., 1998, p. 275, che ha ordinato al
datore di lavoro di astenersi da ogni comportamento in contrasto con l’obbligo di riassumere il
lavoratore, entro tre giorni dalla notifica del provvedimento; o il caso di T. Pisa 29 agosto 1994,
cit., che assegna agli obbligati un termine di trenta giorni, sempre dalla notifica dell’ordinanza,
entro il quale eseguire i lavori ivi previsti; T. Trani 21 novembre 2000, in Giur. mer., 2001, I,
che ordina al provveditore di eseguire l’ordinanza entro cinque giorni.
223
T. Roma 20 novembre 1995, in Riv. crit. dir. lav., 1996, p. 533 ss; T. Roma 28 maggio 1998, in Il
nuovo dir., 1998, p. 559 ss; T. Roma 14 febbraio 1997, che con passaggi interpretativi in parte diversi,
giunge alla stessa conclusione; T. Latina 5 dicembre 1997, in Il nuovo dir., 1998, p. 53. V, per una
panoramica sul tema, Tatarelli, Il licenziamento individuale e collettivo, Padova, 1997, p. 32 ss.
224
Questo tipo di impostazione si ritrova spesso anche nella giurisprudenza di legittimità, a
proposito del caso classico di elusione della sentenza del giudice del lavoro, costituito dalla
riassunzione del lavoratore con contestuale trasferimento ad altra sede. Si veda, ad es., Cass.
7 marzo 2002 n. 12123, in Giur. it., 2003, p. 1599 ss, con Nota di Falcioni, che ha ritenuto
illegittimo tale comportamento, ritenendo che il lavoratore vada comunque, anche in presenza
di ragioni organizzative e tecniche di segno diverso, reinserito nella stessa sede ove operava al
momento del licenziamento. Ciò allo scopo di evitare che tali ragioni siano utilizzate in modo
strumentale, cioè al solo scopo di dissimulare un motivo illecito. Solo dopo la reintegra, e dimostrando che il trasferimento è l’unica via per adempiere all’ordine del giudice, l’imprenditore
potrebbe legittimamente trasferire il lavoratore. È evidente come, in questo modo, il giudice
si spinga molto in là nella valutazione della discrezionalità imprenditoriale, che non rimane
intangibile per il solo fatto che vi siano più strade in concreto percorribili per l’utilizzazione del
lavoratore, ma assume i contorni dell’inevitabilità.
222
Capitolo 3 – Il procedimento
147
voro (o nelle precedenti mansioni o in altre equivalenti, oppure entrambi) è infatti, secondo questa logica, espressione sintetica che rimanda ad una nutrita serie di
prestazioni di fare, dare, e pati, che in sede di attuazione va scomposta nelle sue
componenti elementari per verificarne l’adempimento rispetto a ciascuna.
L’impostazione è ancora più evidente nella giurisprudenza formatasi in
materia di rapporto di lavoro nei confronti dell’amministrazione.225 Qui i
provvedimenti resi ex art. 669 duodecies contengono infatti, oltre all’ordine
specifico di adottare singole condotte riconducibili alla “reintegra” (nel posto
di lavoro o nelle precedenti mansioni), anche un meccanismo surrogatorio in
grado di scattare automaticamente in caso di ulteriore inottemperanza o elusione dell’ordine: la nomina dell’ausiliare226 che provvederà al posto dell’amministrazione. Essi appaiono dunque assolutamente autosufficienti, cioè in
grado di fornire al beneficiario, proprio in sede di attuazione, il “bene della
vita” riconosciutogli con il provvedimento cautelare.227
Quest’ultima giurisprudenza, in particolare, mostra la vocazione a porsi come
anello di congiunzione tra l’esperienza consolidatasi nel giudizio di ottemperanza ai provvedimenti del giudice amministrativo, alla cui giurisdizione era olim
attratta la gran parte del contenzioso con la PA in materia di lavoro dipendente; e
l’applicazione dell’art. 669 duodecies nella parte in cui riserva proprio al giudice
T. Catania 18 aprile 2001, in www.lexitalia.it, con Nota di Mercurio, il quale, peraltro, trattandosi
di reintegra di dirigente, ha ritenuto sufficiente il solo accompagnamento dell’ufficiale giudiziario
sul posto di lavoro; T. Roma 3 giugno 2003, in Riv. crit. dir. lav., 2003, p. 99 ss, il quale, in riferimento all’ordine di reintegra in equivalenti mansioni di un noto giornalista televisivo, già reso dal
tribunale nei confronti della Rai, è sceso nel merito della valutazione delle proposte che l’azienda
ha, in un arco di tempo successivo all’ordine, fatto al giornalista. Valutato dunque che i programmi
proposti non potevano ritenersi né per fasce orarie di messa in onda, né per durata, né per qualità,
equivalenti a quelli affidati al giornalista prima della sua rimozione, ha ordinato alla Rai l’affidamento di un programma di cui ha indicato analiticamente tutte le caratteristiche, specificando
persino le dotazioni di mezzi e spazi all’uopo necessari. Il provvedimento, nella sua portata iniziale,
è stato modificato in sede di reclamo con ord. del 23 luglio 2003 (ivi): tuttavia, il tribunale ha pur
sempre precisato che l’ordinanza ex art. 669 duodecies è legittima nella misura in cui l’indicazione
delle modalità attuative si limiti a dare contenuto concreto al principio di equivalenza delle nuove
mansioni rispetto alle precedenti, sancendo in tal modo la necessità di tale indicazione analitica.
226
Le ordinanze dei tribunali di Catania e Trani già citate, dopo aver valutato la condotta
dell’amministrazione ed averne ritenuto l’elusività rispetto al provvedimento di reintegra urgente, hanno nominato il solo ufficiale giudiziario in base all’assunto che, non essendovi alcun
bisogno di adottare atti organizzativi, la presenza di un commissario ad acta fosse superflua.
227
Lo scarto qualitativo nel senso evidenziato nel testo si avverte appieno sol che si operi un
confronto con altri provvedimenti di giudici del lavoro, i quali pure ritengono ammissibile l’ordine urgente di reintegra del pubblico dipendente. A parte il caso in cui venga rigettato il ricorso
ex art. 669 duodecies per asserita incoercibilità dell’ordine di reintegra nelle precedenti mansioni (v., ad esempio, T. Benevento 22 marzo 2001, in Lav. pubbl .amm., 2001, n. 2), vi sono infatti
pronunce che glissano apertamente il problema delle concrete modalità di attuazione in sede
cautelare. Si veda, ad esempio, T. Lecce 28 febbraio 2003, in www.salentolavoro.it, 2003,
per il quale, sorprendentemente, tutto quanto attiene all’inadempimento degli obblighi imposti
alla PA dall’ordine cautelare esula dal giudizio ex art. 669 duodecies. Ciò in base all’assunto,
altrettanto sorprendente, che, stabilite le modalità di attuazione, in caso di inadempimento, sarà
il giudice dell’esecuzione a dare i relativi provvedimenti.
225
148
l’attuazione delle misure cautelari
dell’attuazione la gestione globale dell’esecuzione. Ed è per questo che applica,
nel contesto attuativo disegnato da questa disposizione, lo schema, finora inedito
per il giudice ordinario ma tipico proprio del giudizio di ottemperanza, del rinvio
ad altra udienza per verificare lo stato dell’attuazione228.
Nel contesto cautelare civile proprio quest’ultimo profilo conta, del resto, su
un preciso dato testuale: il potere di controllo sull’attuazione che l’art. 669 duodecies in parte qua rimette al relativo giudice e che proprio in tal senso ha modo
di enuclearsi come autonomo rispetto agli altri (fissazione delle modalità di attuazione e risoluzione di difficoltà e contestazioni) individuati dalla disposizione.
Le più interessanti applicazioni di questa lettura dell’art. 669 duodecies si
rinvengono nel trattamento che riserva alla reiterazione dell’atto illegittimo
(licenziamento o assegnazione di mansioni inferiori a quelle precedentemente
svolte) da parte del datore dopo l’emissione della cautela.
Esso non è considerato229 alla stregua di un’altra e diversa violazione e
T. Roma 3 giugno 2003, cit.
Anche in ragione della corretta valutazione della portata precettiva della pronuncia di annullamento.
In particolare Sassani, Impugnativa dell’atto, cit., p. 166 ss. ha dimostrato come la sentenza che, ai
sensi dell’art. 18 St. Lav., accoglie l’impugnativa del licenziamento per motivi non di forma (nel qual
caso i limiti oggettivi del giudicato non ostano alla ripetizione corretta dell’iter di licenziamento) esibisca spesso una portata oggettiva che va ben oltre il semplice annullamento dell’atto. Ciò in quanto il
venir meno di quest’ultimo estingue la controversia solo se si accerta che il nuovo esercizio del potere
(sfociato nel ritiro dell’atto o in un nuovo atto) è conforme alle regole di cui il ricorrente medesimo ha
lamentato appunto la violazione. Al giudizio di illegittimità dell’atto va cioè riconosciuta una portata
valutativa dei comportamenti che nell’atto finale sono sfociati, ed al rapporto di durata la conformazione in base ad una serie di regulae iuris poste dal giudice all’esercizio del potere. A risultati non dissimili
è giunta la dottrina (per tutti, Vaccarella, Il procedimento di repressione della condotta antisindacale,
cit., passim) che ha esaminato la portata precettiva del provvedimento reso ex art. 28 St. Lav. che,
com’è noto, consente la repressione delle condotte antisindacali del datore di lavoro attraverso l’ordine
di cessazione e la rimozione degli effetti. Il dibattito suscitato dalla norma all’indomani della sua introduzione si è focalizzato sul reale interesse ad agire di chi chiede la tutela, che è quello di ottenere un
provvedimento che consenta l’efficace repressione dei comportamenti antisindacali. Ma tale efficacia
non è concretamente pensabile se il provvedimento repressivo non è costruito anche come inibitoria
per il futuro. Ciò vale soprattutto, anche se non solo, per quei comportamenti che si esauriscono uno
actu, quali, ad esempio, la minaccia datoriale di trattenere la retribuzione dell’intera giornata lavorativa
anche se lo sciopero è di poche ore. Per essi, all’evidenza, non avrebbero senso né l’ordine di cessazione della condotta né quello di rimozione degli effetti. Negare che il provvedimento ex art. 28 cit. abbia
portata inibitoria di tutti i possibili comportamenti futuri che esibiscano quelle caratteristiche, sulla base
della loro precedente qualificazione in termini di antisindacalità, equivale perciò di fatto a svuotare di
ogni significato lo stesso strumento di tutela. Anche in tal caso prequalificazione di comportamenti,
quelli che hanno dato luogo al processo, ed elevazione degli stessi ad archetipo di comportamenti
antisindacali: id est proiezione pro futuro della portata precettiva del provvedimento, che impedisce la
ripetizione tendenzialmente all’infinito di ogni altro comportamento storicamente nuovo, eppure sussumibile negli estremi della classe di comportamento già censurata. Lo stesso schema si ripropone per
l’annullamento delle delibere societarie, ove è ravvisabile una portata precettiva che va dal ripristino
dello stato di fatto e di diritto precedente all’adozione della delibera, nei casi in cui è stato modificato
proprio in virtù della delibera sospesa (cd. effetto ripristinatorio); alla ben più pregnante conformazione
dei comportamenti futuri degli organi titolari del potere di cui la delibera è esplicazione e degli altri
organi sociali comunque obbligati a non porre in essere atti contrastanti con lo stato di fatto e di diritto
conseguente alla rimozione della delibera viziata (cd. effetto conformativo).
228
229
Capitolo 3 – Il procedimento
149
come tale attratto ad una nuova fase dichiarativa230, ma come violazione/
elusione della cautela già resa e perciò attratto alla competenza del giudice
Allo scopo di ottenere una nuova declaratoria di illegittimità che spesso neppure lascia emergere la natura di elusione di un precedente dictum, come rilevato alla nota precedente . V.
amplius Luiso, Rinnovazione dell’atto di licenziamento e limiti cronologici della cosa giudicata, in Giust. civ., 1985, p. 559 ss; Sassani, Impugnativa dell’atto, cit., p. 41 ss. Mette conto
rilevare che per le tipologie di provvedimenti (descritti alla nota precedente) ove alla portata
ripristinatoria si accompagna la più complessa portata conformativa consistente in una serie di
vincoli all’an e quomodo dell’esercizio del potere, viene in rilievo l’inadeguatezza delle tecniche esecutive disegnate dal Libro III del c.p.c. Per la valutazione e repressione delle condotte
sanzionate non appare infatti né sufficiente né adeguato lo schema altamente formalizzato di
attività predeterminate per forme e contenuto, in cui si risolvono le esecuzioni per obblighi di
fare- disfare-consegna-rilascio degli artt. 605 e segg. Anche quando portata ripristinatoria e
portata conformativa convivono (il che non è detto), ciò che è eseguibile con la tecnica dell’esecuzione cd. “in forma specifica” è solo il ripristino dello status quo, e sempre che sia formalizzato in uno specifico dispositivo riconoscibile come “di condanna”. Quanto poi al non facere,
esso non appare eseguibile forzatamente in quanto tale, ma solo nella misura in cui si tratti di
eliminare quanto costruito o prodotto in sua violazione. Ed è per questo che la pura e semplice
reiterazione dell’atto (già sanzionato come) illegittimo, o la sua elusione, non trovano adeguata
collocazione all’interno della procedura esecutiva “in forma specifica”, ove al giudice dell’esecuzione è inibita ogni interpretazione del provvedimento-titolo esecutivo. Con la conseguenza
che, come mostra la casistica edita, la successiva elusione o reiterazione delle condotte consumatasi nel tempo è trattata come materia di nuovo processo di cognizione davanti al giudice
ordinariamente competente, con il risultato di degradare una posizione che è già di pretesasoggezione ad altra ove le parti sono sullo stesso piano come se occorresse fissare per la prima
volta la regula dei loro rapporti, in un percorso tendenzialmente infinito che vede di volta in
volta il processo chiudersi, ma l’interesse alla tutela permanere (amplius Sassani, op. loco ult.
cit). In giurisprudenza si rinviene spesso la tendenza a ricostruire l’art. 669 duodecies e l’attuazione che esso disegna attraverso il prisma dell’esecuzione in forma specifica di cui agli artt.
605 e segg. e dunque della logica appena illustrata. V., ad esempio, P. Catania 2 agosto 1996, in
Giur mer, 1996, p. 265 ss: a fronte dell’istanza ex art. 669 duodecies di attuazione del provvedimento con il quale era stata ingiunta al datore, ex art. 700, la rassegnazione “nelle originarie
mansioni od in altre equivalenti” il giudice della cautela, ritenuta la forte portata “cognitiva”
delle relative valutazioni, esclude l’applicabilità dell’art. 669 duodecies che, letto alla luce degli
artt. 612 e 613, non consentirebbe, a suo dire, di entrare nel merito da un lato della complessa
portata precettiva della cautela già resa; dall’altro dell’atto con il quale l’imprenditore ha adibito il lavoratore a mansioni diverse da quelle precedentemente svolte, per verificarne la reale
portata elusiva della cautela. Perciò, sull’assunto che l’istanza ex art. 669 duodecies abbia in
realtà ad oggetto altra situazione lesiva dei diritti del lavoratore, la riqualifica come nuova domanda ex art. 700 e, valutati ex novo il fumus boni iuris ed il periculum in mora, la accoglie.
Stessa oscillazione tra competenza funzionale del giudice dell’attuazione e ricorso ex novo si
ritrova in T. Lucca 2 ottobre 2000, Giust. civ, 2001, I, p. 231, con Nota di Luiso, in riferimento
ad una reintegra in possesso. Trattasi di un modo di vedere che trova riscontro in quello di molti
interpreti che, anche se con diversità di sfumature, tendono ad assumere quale referente dell’attuazione ex art. 669 duodecies in parte qua il modulo degli artt. 612 e ss. Secondo l’interpretazione più restrittiva (Attardi, Le nuove disposizioni sul processo civile, cit., 266; Cecchella, Il
processo cautelare, cit., p. 175; Fornaciari, L’attuazione dell’obbligo di consegna dei minori, p.
286) neppure sarebbero immaginabili modalità operative diverse da quelle di cui agli artt. 605
e segg. c.p.c. Secondo altra linea più moderata, invece (Merlin, voce Procedimenti, cit., p. 426;
Proto Pisani, La nuova disciplina, cit., p. 366; Verde, in Verde-Di Nanni, Codice, cit., p. 505)
il procedimento è deformalizzato, nel senso che il giudice può adottare forme più consone alla
celerità della procedura.
230
150
l’attuazione delle misure cautelari
dell’attuazione sub specie valutazione e controllo sullo stato dell’attuazione
stessa.
Lo schema logico adottato è quello noto come della “giurisprudenza
dell’elusione” sviluppatosi presso il giudice amministrativo dell’ottemperanza al fine di vagliare e reprimere non solo il silenzio o il rifiuto di eseguire il
dictum da parte della PA, ma anche l’adozione di atti o comportamenti solo
formalmente ottemperanti, ma nella sostanza elusivi della reale portata del
giudicato.231
1.1. Segue: la nomina degli ausiliari. L’emersione della figura del cd.
commissario ad acta
Il quadro appena evocato va integrato con l’illustrazione del ruolo svolto dagli
ausiliari232 del giudice.
Anche qui linea guida si rivela la ricognizione dei tipi di ordini contenuti
nel provvedimento cautelare.
Al cospetto di obblighi di consegna o rilascio la sola presenza dell’ufficiale
giudiziario si rivela infatti sufficiente ad assicurare il superamento fisico di
eventuali resistenze dell’obbligato. Lo stesso è a dirsi per gli obblighi di fare/
disfare o di pati che il debitore debba adempiere in ambiti territoriali di sua
appartenenza o di appartenenza del beneficiario, come avviene nei provvedimenti di reintegra in possesso.
Esistono però situazioni, quale ad esempio quella già evocata della reintegra nel posto di lavoro (o in precedenti o equivalenti mansioni), ove l’attuazione richiede (anche) una attività complessa e continuata non esauribile nella
fisica rimozione delle difficoltà che si frappongono al reingresso in azienda,
ma caratterizzata da profili giuridico-organizzativi rispetto ai quali la figura
dell’ufficiale giudiziario non appare da sé sola adeguata. Ed è ancora la giuriPer la ricostruzione e gli sviluppi della quale si rinvia ancora a Sassani, Dal controllo del
potere, cit., spec. p. 112 ss. L’a. ritiene proprio la “logica dell’elusione” uno dei maggiori contributi all’effettività della tutela giurisdizionale nel processo amministrativo. L’impostazione
è oggi recepita anche dal legislatore, che all’art. 114 del Codice del processo amministrativo
stabilisce che è proprio il giudice (dell’ottemperanza) a conoscere di tutte le questioni relative
all’esatta ottemperanza, e che ben si presta ad una applicazione anche ad altri settori particolarmente sensibili della tutela cautelare, quale quelli della sospensione delle delibere societarie
e delle inibitorie.
232
Sotto questo profilo si è rilevato (Luiso, Commentario, cit., p. 682) come la regola di competenza posta dall’art. 669 duodecies possa comportare una distanza anche notevole tra il giudice
dell’attuazione ed il luogo in cui questa deve avvenire, con conseguenti problemi di coordinamento con la circoscrizione dell’ufficiale giudiziario addetto all’attuazione che, ai sensi dell’art.
106 del D.P.R. n. 1229/1959, può anche essere diverso da quello dell’ufficio del giudice. Per
ovviare a questi inconvenienti si è ritenuto (Proto-Pisani, La nuova disciplina, cit., p. 365; DiniMammone, I provvedimenti, cit., p. 687) che il giudice possa avvalersi di ausiliari appositamente designati. La soluzione ha però suscitato le perplessità di chi (Luiso, Commentario, cit., p.
682) ha rilevato, al contrario, l’impossibilità di attribuire poteri coercitivi a soggetti diversi da
quelli cui la legge espressamente li conferisce
231
Capitolo 3 – Il procedimento
151
sprudenza lavoristica a fornire un ventaglio di scelte operative calibrate sulle
peculiarità del caso concreto.
Applicando le soluzioni pionieristiche della giurisprudenza pretorile sulla
reintegra del lavoratore illegittimamente licenziato,233 anche pronunce più recenti mostrano come l’apporto dell’ausiliare si riveli indispensabile rispetto a
compiti che, lungi dall’avere solo carattere operativo-materiale (come accade
per l’ufficiale giudiziario), non avrebbero potuto comunque essere espletati
direttamente dal giudice.234
Ciò è particolarmente evidente se calato nel contesto del passaggio al giudice ordinario di gran parte della giurisdizione sui rapporti di lavoro alle dipendenze della P.A., che ha fatto emergere anche nella giurisprudenza civile235
una figura di ausiliare in buona sostanza assimilabile al commissario ad acta
Un certo orientamento di giudici di merito ritiene infatti, com’è noto, che sia possibile ottenere il reingresso coattivo del lavoratore in azienda per l’affidamento delle mansioni, attraverso
l’ufficiale giudiziario, abilitato a richiedere l’intervento dell’Ispettore del lavoro o, eventualmente, di un esperto in organizzazione aziendale (oltre che, ovviamente, della forza pubblica
per vincere le resistenze): così P. Roma 12 marzo 1992, in Dir. lav., 1992, p. 269; P. Padova
17 marzo 1980, in Foro. it., 1980, c. 1779; P. Bologna 28 novembre 1981, in Lavoro 80, 1983,
p. 128; P. Roma 18 dicembre 1979, in Riv. giur. lav. 1979, II, p. 1048. In particolare, in questi
casi il giudice ha autorizzato l’ufficiale giudiziario ad avvalersi di ausiliari. Il Pretore di Roma,
nell’ord. 25 agosto 1979, in Foro. it., 1979, I, c. 2132, ha direttamente demandato ad un esperto
in materia aziendale (sotto la sorveglianza dell’ufficiale giudiziario) di compiere tutte le attività
necessarie acché i lavoratori illegittimamente licenziati potessero disbrigare le mansioni cui
erano adibiti prima. V. anche, in materia di ordinanza cautelare nell’interesse della prole, T.
minori Perugia 13 giugno 1997, in Rass. giur. umbra, 1998, p. 17 con Nota di Tarquinio.
234
Sassani, Dal controllo, cit., p. 160 ss. L’a. ritiene che l’art. 68 c.p.c. costituisca una “norma
valvola” del sistema, che codifica un principio di ragionevolezza operativa, per il quale le attività (non in materia decisoria né appartenenti alla categoria degli atti della serie processuale) che
il giudice non è in grado di compiere da solo, anche se non di carattere solo materiale (ipotesi,
quest’ultima, prevalente nel processo civile), possono essere svolte da ausiliari (anche) diversi
dall’ufficiale giudiziario.
235
T. Trani 21 novembre 2000, in Lav. pubbl. amm., 2002, n.1; T.Catania 18 aprile 2001, in
www.lexitalia.it , ad esempio, ritengono sufficiente la nomina dell’Ufficiale giudiziario se non
vi è bisogno, per la concreta reintegra, dell’adozione di veri e propri atti amministrativi. In particolare, il Tribunale di Catania ritiene che il pubblico dipendente possa pretendere l’adozione
di quei comportamenti imposti dal giudice, servendosi sia del giudizio di ottemperanza davanti
al giudice amministrativo, in caso di necessaria adozione di atti amministrativi presupposti, e
come tali esterni al rapporto di lavoro, sia del processo esecutivo davanti al giudice ordinario.
Ancora, si legga T.Ariano Irpino 16 dicembre 2002, per il quale la necessità di nominare un
commissario ad acta ruota intorno al principio di effettività della tutela sancito dall’art. 24 cost.
Infatti, se per attuare un provvedimento di reintegra nelle specifiche funzioni precedentemente
svolte è necessario incidere sia sul provvedimento organizzativo di demansionamento sia su
quelli con cui è stata riorganizzata l’attività complessiva dell’ufficio, ciò rientra nei poteri del
giudice ordinario, che vi provvede proprio attraverso il commissario. In difetto, infatti, ci si
troverebbe di fronte ad una tutela dimidiata, in quanto il provvedimento cautelare non potrebbe
trovare attuazione. Si tratta però, con tutta evidenza, di atti paritetici che rientrano nella giurisdizione del giudice ordinario. Dovrebbe invece ricorrersi (anche) al giudizio di ottemperanza
in caso, ad esempio, di soppressione del reparto di una struttura sanitaria quale atto presupposto
dell’assegnazione del personale ospedaliero ad altra sede.
233
152
l’attuazione delle misure cautelari
noto all’esperienza del giudizio di ottemperanza ma sconosciuto, almeno finora, all’esecuzione civile, ma il cui apporto si è rivelato fondamentale proprio
al cospetto della complessa attività giuridico-organizzativa (ove) necessaria236
al reinserimento del lavoratore nel tessuto dell’amministrazione da cui era
stato allontanato.
Ed è sempre la giurisprudenza che vi ricorre a segnarne i distinguo rispetto
al commissario ad acta protagonista dell’ottemperanza amministrativa.
La ricognizione delle pronunce di merito mostra infatti come il giudice
civile ricorra, in qualità di commissario ad acta, ad esperti nell’organizzazione degli uffici della PA nello specifico settore che riguarda la controversia,
ad esempio funzionari/ dirigenti di un comparto diverso da quello alla cui
inottemperanza bisogna far fronte, ai fini del compimento di tutti gli atti non
provvedimentali che si rendano necessari al concreto ripristino del dipendente
nelle funzioni illegittimamente sottrattegli.
Diversa resta perciò la figura dell’ausiliare civile rispetto al commissario
ad acta cui ricorre il giudice amministrativo, che, pur essendo in concreto un
funzionario amministrativo, è incaricato di adottare quelli che ancora oggi
sono veri e propri atti amministrativi presupposti, ove si rendano necessari per
la reintegra del dipendente adottata dal giudice ordinario. Si tratta di quegli
atti che disciplinano le linee fondamentali degli uffici, o di quelli di indirizzo
politico-amministrativo, la cui adozione è prodromica a quella degli atti organizzativi interni ( assegnazione delle mansioni, ad esempio) al rapporto tra
dipendente e PA, e sui quali permane la giurisdizione amministrativa.237
L’emersione tra gli ausiliari del giudice civile di una figura in buona sostanza assimilabile a quella del commissario ad acta amministrativo porta con
sé il problema di stabilire il regime degli atti compiuti in adempimento del suo
mandato.
Tale attività può rivelarsi infatti, nel caso concreto, superflua: si pensi al ripristino in funzioni
direttive. Esso non comporta, di solito, alcuno specifico obbligo in capo all’amministrazione,
oltre quello di consentire il reingresso del lavoratore nei locali dell’ufficio, ed in particolare
presso la sua postazione. Si tratta infatti di figura professionale con funzioni predeterminate per
legge, e trasfuse nel concreto contratto di assunzione, oltre che determinabili per relationem,
in quanto il provvedimento del giudice fa riferimento, di solito, alla reintegra nelle precedenti
funzioni. V, amplius, si vis, Delle Donne, Spunti per una riflessione in tema di tutela cautelare
dei dipendenti delle Pubbliche Amministrazioni,in Giust. civ., 2003, II, p. 281 ss.
237
In tal caso, il beneficiario della cautela dovrebbe ricorrere prima alle forme del giudizio
di ottemperanza davanti al giudice amministrativo (e quindi alla nomina del commissario ad
acta quale ausiliario del giudice amministrativo), e solo dopo la rimozione o modifica dell’atto
presupposto ricorrere al giudice ordinario ex art. 669 duodecies, per l’adozione, se del caso
attraverso la nomina di un altro commissario ad acta, stavolta ausiliario del giudice ordinario,
degli atti paritetici eventualmente necessari per la riassunzione concreta della sua posizione di
lavoratore dipendente dell’amministrazione. Sui profili problematici di questo doppio binario,
v. le considerazioni di Zingales, L’attuazione delle ordinanze cautelari del giudice ordinario
in materia di pubblico impiego privatizzato, in T.A.R, 2000, II, p. 560 ss; e di Police, Inottemperanza della PA ai provvedimenti del giudice ordinario (in materia di pubblico impiego) ed
esecuzione in forma specifica, in Dir. proc. amm., 2003, p. 948 ss.
236
Capitolo 3 – Il procedimento
153
La domanda cui occorre trovare risposta è dunque: gli atti (nella forma amministrativi, anche se non più espressione di potere autoritativo) compiuti dal
commissario al fine di realizzare o consentire il reinserimento del lavoratore
nel tessuto dell’amministrazione che lo aveva estromesso, a quale regime di
controlli sono sottoponibili e da parte di chi?
La risposta conta sulla convergenza di due precisi dati normativi, l’art. 68
sugli ausiliari del giudice; e l’art. 669 duodecies nella parte in cui concentra il
potere di controllo sull’attuazione nel giudice della stessa.
Applicando l’art. 68, il commissario rientra nel novero degli ausiliari ed è
dunque sottoposto al controllo del giudice cui se ne deve la nomina, che nel
nostro caso è il giudice dell’attuazione. Applicando l’art. 669 duodecies in
parte qua ne consegue che se l’attuazione è affidata al commissario ad acta,
il controllo del giudice dell’attuazione si traduce in controllo sull’operato del
commissario stesso238-239.
Come ha ben messo in rilievo anche la giurisprudenza amministrativa, la conformità al giudicato degli atti commissariali va valutata non solo con i parametri ricavabili dalla originaria
sentenza, ma anche con quelli indicati dalla successiva ed inoppugnabile sentenza di ottemperanza con cui lo stesso commissario risulta essere stato nominato: così Tar Sicilia-Sez. Palermo,
20 settembre 1991, n.532, in TAR, 1991, p. 705.
239
Alla stessa soluzione si è progressivamente giunti nel settore della giustizia amministrativa
in riferimento al controllo sul commissario ad acta da parte del giudice dell’ottemperanza da
cui ha ricevuto l’investitura, in forme immanenti al giudizio stesso: v. N.Saitta, Sistema, cit.,
p. 332 ss; Sassani, Dal controllo del potere, cit., p. 162 ss; Cons. Stato 12 novembre 1990, n.
963; Cons. Stato 3 febbraio 1995, n. 153; C. Stato 1 febbraio 1993, n. 216; Tar Abruzzi 11 aprile 1996, n. 282; Tar Campania-Napoli 27 novembre 1995, n. 603; Tar Lazio –Latina 3 aprile
1995, n. 338; Tar Sicilia-Catania 7 marzo 1992, n. 157. V. inoltre Travi, Lezioni di giustizia
amministrativa, Torino, 2000, p. 309; Nigro, Giustizia amministrativa, Bologna, V ed., 2000,
p. 327 ss; Caputi Jamberghi, Commissario ad acta e processo amministrativo, in www.judicium.
it; Giacchetti, Il commissario ad acta nel giudizio d’ottemperanza: si apre un dibattito, in Foro
amm., 1986, p. 1967 ss; Villata, Riflessioni in tema di giudizio di ottemperanza ed attività
successiva alla sentenza di annullamento, in Studi per il centenario della quarta sezione, II,
Roma, 1989, p. 949; Cioffi, Sul regime degli atti del commissario ad acta nominato dal giudice
dell’ottemperanza, in I Tar, 2001, 1; Caputi Jamberghi, v. Commissario ad acta, in Enc. dir.,
Aggiornamento, Milano, 2002, VI, 302; Cannada Bartoli, v. Giustizia amministrativa, in Dig.
it, disc. pubbl., sez. civ.,VII, Torino, 1992, 508 ss. Secondo Cioffi, op. loco ult. cit., gli atti
commissariali esauriscono progressivamente l’interesse al ricorso, ed hanno dunque la tipica
funzione di soddisfare le situazioni soggettive azionate all’insegna del principio di chiusura.
Cons. Stato 29 gennaio 1996, n.102, in Foro amm., 1996, p. 134, per il quale il commissario
ad acta, agendo per investitura ed in sostituzione del giudice dell’ottemperanza, resta sempre
soggetto al controllo di quest’ultimo. D’altra parte, le competenze commissariali, che sono
unicamente quelle attribuite dal giudice, non si identificano con l’esercizio dei poteri funzionali
dell’amministrazione inottemperante, ma mirano esclusivamente a soddisfare l’interesse del
ricorrente vittorioso, non quello primario rimesso all’amministrazione commissariata, sicchè
gli atti commissariali non possono ritenersi soggetti all’ordinario controllo impugnatorio: così
Tar Abruzzo, Sez. Pescara, 11 aprile 1996, n. 282, in Foro amm, 1996, p. 2709; Tar Lazio, Sez.
Latina, 3 aprile 1995, n. 338, in TAR, 1995, I, p. 2167; Tar Lazio, Sez. Latina, 7 marzo 1995, n.
258, in TAR, 1995, I, p. 1572.
238
154
l’attuazione delle misure cautelari
Applicando queste regole può perciò opinarsi nel senso che, ad esempio,
quest’ultimo possa rivolgersi direttamente al giudice dell’attuazione per chiedere chiarimenti sui suoi compiti o prospettare difficoltà nel compimento
dell’incarico240, come oggi previsto testualmente nel giudizio di ottemperanza
ma anche nell’esecuzione del libro III del c.p.c. dall’art. 613 c.p.c., che impone all’ufficiale giudiziario di sottoporre al giudice dell’esecuzione le difficoltà
eventualmente insorte.
Potrà poi aversi la triplice possibilita che sia l’amministrazione a lamentare
vizi o errori nell’operato del commissario, o la stessa esorbitanza dai limiti dei
suoi poteri; che sia il beneficiario a lamentare che gli atti commissariali siano
non esattamente in linea con i limiti fissati dal giudice ex art. 669 duodecies,
o esorbitanti dal potere, o addirittura contrari allo stesso dictum cautelare; che
siano terzi a lamentare di essere stati illegittimamente incisi da atti commissariali erroneamente compiuti nei loro confronti241. In tali casi sarà in prima battuta proprio il giudice dell’attuazione a provvedere con ordinanza sentiti tutti
gli interessati, secondo il modulo generale previsto dall’art. 669 duodecies.
Un’ultima notazione merita infine la figura dell’ausiliare del giudice nel
contesto dell’attuazione cautelare, e cioè che non sembra possibile ad esso attribuire, neppure per ordine del giudice, poteri coercitivi che la legge disegna
come esclusivi dell’ufficiale giudiziario. Men che mai poi tali poteri potrebbero essere attribuiti direttamente al beneficiario della cautela. In entrambi i casi,
infatti, il provvedimento si sostituirebbe alla legge, nel secondo addirittura
creando una nuova figura di autotutela.242
Sicchè appare preferibile sostenere che il giudice dell’attuazione nomini
anche un ufficiale giudiziario il quale, oltre ad espletare i compiti in concreto
assegnatigli, assisterà gli (altri eventuali) ausiliari ove, per espletare i loro,
debbano vincere difficoltà o resistenze.
2. Le misure coercitive
Occorre a questo punto chiedersi se anche nel contesto dell’attuazione cautelare sia possibile applicare un istituto solo di recente generalizzato nell’ambito
del processo civile ed amministrativo, e codificato rispettivamente dall’art.
614 bis c.p.c. e dall’art. 114 cpa: le misure coercitive.243
N. Saitta, Sistema, cit., p. 327 ss. Si tratta di soluzioni oggi recepite dall’art. 114, comma 7°
del Codice del processo amministrativo.
241
V., per l’omologa impostazione e soluzione del problema nell’ambito dell’ottemperanza
Cons. Stato 14 luglio 1997, n. 826, in Foro amm., 1997, p. 1972.
242
Vullo, L’attuazione, cit., p. 205 e specialmente nota 66.
243
Il dibattito italiano sull’esecuzione indiretta è tradizionalmente molto acceso: v., ex multis,
Taruffo-Silvestri, voce Esecuzione forzata, III, Esecuzione forzata e misure coercitive, in Enc.
dir., XIII, Milano, 1989, p. 2 ss; Luiso, Diritto processuale, cit., III, p. 9 ss; Colesanti, Misure
coercitive e tutela dei diritti, in Riv. dir. proc., 1980, p. 601 ss; Taruffo, L’attuazione esecutiva
dei diritti: profili comparatistici, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1988, p. 142 ss; Chiarloni, Misure
240
Capitolo 3 – Il procedimento
155
Dispone l’art. 614 bis che con il provvedimento di condanna ad un facere
infungibile e a un non facere il giudice fissa, su istanza di parte e salvo che
non lo ritenga manifestamente iniquo, la somma dovuta dall’obbligato per
ogni violazione, inosservanza successiva o ritardo nell’esecuzione del provvedimento.244 La condanna pecuniaria è espressamente qualificata come titolo
esecutivo.
La disposizione, collocata nel Libro III, Titolo IV, del c.p.c. dedicato
all’esecuzione forzata ed in particolare a quella degli obblighi di fare e di non
fare presuppone dunque che l’inottemperanza spontanea al provvedimento di
condanna (sub specie di violazione, inosservanza successiva o ritardo) non
consenta all’interessato l’accesso all’enforcement ai sensi degli artt. 612 ss
essendo le prestazioni infungibili245, ma solo l’espropriazione fondata sulla
condanna accessoria al pagamento della misura compulsoria.
Il suo ambito di applicazione, in virtù del riferimento al provvedimento
piuttosto che alla sentenza, è però ritenuto abbastanza ampio da comprendere ogni provvedimento di struttura condannatoria alle prestazioni indicate, e
dunque anche le cautele anticipatorie.
coercitive e tutela dei diritti, Milano, 1981; Capponi, Astreintes nel processo civile italiano?, in
Giust. civ., 1999, II, p. 1588 ss. Per un esame in relazione all’art. 669 duodecies prima dell’introduzione dell’art. 614 bis v. altresì Vullo, L’attuazione, cit., p. 222 ss.
244
La concreta determinazione della somma avviene in riferimento a vari parametri, quali il
valore della controversia, la natura della prestazione, il danno quantificato o prevedibile, ed
ogni altro elemento ritenuto utile.
245
La Relazione al d.d.l. n. 1441, poi trasfuso nella L. n. 69/2009 (art. 54) precisa infatti chiaramente che trattasi di scelta funzionale a consentire la “coercizione indiretta per l’adempimento degli obblighi di fare infungibili e per gli obblighi di non fare”. Com’è noto, la figura
dell’esecuzione indiretta tramite misure coercitive pecuniarie a beneficio del creditore, quale è
quella qui in discorso, non è, in quanto tale, limitata ai soli obblighi per i quali non è possibile
l’utilizzo della tecnica esecutiva surrogatoria in ragione della loro infungibilità, ma ad ogni tipo
di obbligo, anche fungibile, nel qual caso si affianca all’esecuzione diretta. È solo l’ordinamento italiano che, almeno per le esecuzioni del Libro III del c.p.c. ed a differenza, ad esempio,
di quello francese, ha limitato la scelta ai soli obblighi infungibili. In dottrina la conclusione
non appare però del tutto scontata (v., ad esempio, Consolo, Una buona “novella” al c.p.c.: la
riforma del 2009 (con i suoi artt. 360 bis e 614 bis) va ben al di là della sola dimensione processuale, in Corr. giur, 2009, p. 741 ss., il quale propone una applicabilità dell’art. 614 bis anche
all’inadempimento dell’obbligo di stipulare il contratto definitivo, cui pone rimedio la sentenza
dell’art. 2932 c.c. e che dunque è considerato ex lege fungibile). V. anche Capponi (a cura di),
L’esecuzione processuale indiretta, Milano, 2011, ove ampio risalto è dato all’esame delle posizioni espresse sia prima che dopo l’introduzione dell’art. 614 bis, dalle quali emerge l’insoddisfazione per soluzioni troppo restrittive (v. specialmente l’Introduzione di Capponi). Stessa
oscillazione è rinvenibile nella prima applicazione giurisprudenziale: v. T. Terni, 6 agosto 2009,
ord., in Giur. it., 2010, p. 637 ss, con Nota di Mazzamuto, L’esordio della comminatoria di cuiall’art.614 bis nella giurisprudenza di merito, 639 ss., che concede l’astreinte in una denuncia
di danno temuto (tipicamente fungibile) sull’assunto che i tempi necessari all’abbattimento del
manufatto attraverso l’esecuzione forzata diretta potrebbero aggravare il danno già prodotto.
Nella giurisprudenza amministrativa v., si vis, TAR Campania 15 aprile 2011, n. 2161, in Riv.
es. forz., 2011, con Nota di Delle Donne, Astreinte e condanna pecuniaria della PA tra Codice
di procedura civile e Codice del processo amministrativo.
156
l’attuazione delle misure cautelari
L’omologa disposizione del Codice del processo amministrativo attribuisce
invece il potere di disporre la misura non al giudice della cognizione246 ma a
quello dell’ottemperanza (la relativa statuizione è comunque qualificata come
titolo esecutivo), sicchè qui lo scenario muta sensibilmente rispetto a quello
civilistico perchè convivono (o possono convivere) due esecuzioni forzate: il
giudizio di ottemperanza, nell’alveo del quale nasce appunto la condanna alla
misura; e l’eventuale espropriazione forzata per la riscossione della relativa
somma in ipotesi di inottemperanza.
Il Codice del processo amministrativo dunque da un lato configura l’astreinte come frutto dei poteri discrezionali di cui il giudice dell’ottemperanza dispone, in sede esecutiva, per assicurare l’adempimento della PA rispetto a
tutte le pronunce rese (tra gli altri) dal giudice amministrativo; dall’altro, e
di conseguenza, non reca alcuna limitazione, neppure implicita, alla struttura
condannatoria del provvedimento o alla natura fungibile o meno delle prestazioni, perchè ogni decisione giudiziale in quanto tale obbliga sempre ed allo
stesso modo la PA soccombente all’ottemperanza.
Tornando al contesto cautelare, nulla vieterebbe in astratto di ritenere: a)
adottando l’opzione dell’art. 614 bis c.p.c., che il giudice della cautela emetta
un unico provvedimento cautelare recante sia l’ordine di facere infungibile o
di non facere, sia la condanna al pagamento di una somma in caso di inottemperanza-violazione del dictum; b) oppure, adottando l’opzione dell’art. 114
del Codice del processo amministrativo, che l’irrogazione della misura coercitiva possa rientrare tra i provvedimenti opportuni che l’art. 669 duodecies
rimette alla discrezionalità del giudice dell’attuazione247.
In concreto mi pare però che quest’ultima opzione sia da escludere perché
l’art. 614 bis, applicabile nell’ambito della giurisdizione ordinaria, ha compiuto una netta scelta di campo a favore della esclusiva competenza a disporre
la misura in capo giudice della tutela dichiarativa.
Sicchè, se in assenza di tale indicazione ben si sarebbe potuto annoverare
tra gli ampi poteri riconosciuti dall’art. 669 duodecies al giudice dell’attuazione anche quello di disporre l’astreinte puntando sull’ applicazione estensiva
dell’art. 114 del Codice del processo amministrativo e sulle più volte rilevate
similitudini strutturali tra l’attuazione in esame ed il giudizio di ottemperanza;
Partendo dal disposto dell’art. 34, comma 1°, lett. e) del Codice del processo amministrativo,
che consente già nella sentenza finale l’adozione di misure attuative del dictum (ivi compresa
la nomina del commissario ad acta), tra i primi commentatori si è adombrata l’Idea dell’adottabilità anche delle misure de quibus: così, ci sembra, Lipari, L’effettività della decisione tra
cognizione ed ottemperanza, cit.
247
Quest’ultima soluzione sembra anzi attagliarsi particolarmente ai dicta di contenuto complesso (ad esempio, la sospensione di una delibera societaria o l’inibitoria di una condotta di
concorrenza sleale), ove all’istanza di fissazione del modus exequendi sub specie di scomposizione in singole unità strutturali del dictum sinteticamente espresso, si accompagni quella
dell’adozione per le singole condotte infungibili di una misura coercitiva per l’inadempimentoviolazione-ritardo.
246
Capitolo 3 – Il procedimento
157
la presenza di una lex specialis impedisce questo sbocco. Con l’ulteriore corollario che troveranno applicazione diretta, davanti al giudice chiamato a pronunciarsi sull’istanza cautelare, tutti i limiti (struttura solo condannatoria a prestazioni
di fare infungibili e non fare; inapplicabilità alle controversie di lavoro) previsti
dall’art. 614 bis, nessun rilievo potendo assumere il ben più ampio ed onnicomprensivo248 tenore dell’art. 114 del Codice del processo amministrativo.
Sezione III
Riepilogo
1. L’“attuazione” cautelare e i differenti scopi cui è asservita
I procedimenti di “attuazione” cautelare esaminati attingono da disposizioni
diverse, e da diversi contributi integrativi dell’interprete, le regole processuali
che li governano.
Nell’“attuazione”dei sequestri due sono i profili che servono a qualificare
la ratio più profonda di queste cautele e quindi a spiegare come se ne è individuata la disciplina applicabile.
Il primo, e direi fondante profilo, emerge dall’art. 675 che pone in capo
al beneficiario un onere di diligenza nel perfezionamento del vincolo. La disposizione illustra il ruolo assunto dall’iniziativa dello stesso beneficiario che
perde il potere di avvalersi dell’autorizzazione giudiziale in tal senso se non
provvede nel termine di perenzione. Quest’ultimo, a sua volta, realizza il bilanciamento tra l’interesse del primo a vincolare i beni e quello della controparte
a non veder gravare sul proprio patrimonio sine die una siffatta minaccia.
Si spiega dunque perché la mancata apposizione del vincolo nel termine su
almeno uno dei beni; o l’apposizione avvenuta nei termini ma poi rivelatasi
invalida (e tale cioè da non aver investito alcun bene nel termine), importino
l’inefficacia della misura.
Si spiega altresì il secondo dei cennati profili, e cioè la considerazione del
richiamo dell’art. 669 duodecies agli artt. 677 e segg., ed alle norme sull’esecuzione in forma specifica cui a loro volta queste disposizioni variamente rinviano, come limitato alle sole formalità funzionali alla costituzione del vincolo,
lasciando i profili dinamici (il vincolo riguardato nella dimensione di durata) alle
disposizioni che regolano la custodia, in cui il vincolo stesso si risolve.
Nell’“attuazione” delle cautele anticipatorie muta invece lo scenario: il
beneficiario della cautela è posto in posizione di pretesa nei confronti della
controparte del rapporto cautelato, che ha l’obbligo di realizzarla pena la
surrogazione coatta. Nessuno specifico onere di diligenza grava sul beneficiario, cui è riconosciuto a tutto tondo il potere di attivare quella che è
248
V. amplius, si vis, Delle Donne, Astreinte e condanna pecuniaria, cit., passim.
158
l’attuazione delle misure cautelari
tecnicamente una esecuzione forzata nei diversi modi predisposti dall’art.
669 duodecies.
Qui però i profili comuni si esauriscono, ciascuna esecuzione restando disciplinata da sue proprie regole processuali, a loro volta ricostruibili attraverso
autonomi percorsi.
Nell’“attuazione” delle cautele recanti condanne pecuniarie il legislatore,
limitandosi a rinviare agli artt. 491 e segg. in quanto compatibili, ha conferito
al beneficiario della cautela il potere di aggredire il patrimonio responsabile
attraverso l’espropriazione forzata, così collocando la sua pretesa alla soddisfazione in un contesto più ampio e generale ove operano le regole sostanziali
sulla responsabilità patrimoniale sancite dagli artt. 2740, 2741 e 2910 c.c.
Proprio perché collocato in tale contesto, il tipo di tutela esecutiva che
riceve il creditore cautelare si rivela però, sotto il profilo dell’intensità, assolutamente inadeguato al carattere “sensibile” della sua pretesa, funzionale a
scongiurare il periculum.
L’espropriazione è infatti un procedimento lungo e complesso per una serie
di ragioni strutturali, che spaziano dalla obiettiva lunghezza e delicatezza delle operazioni di vendita forzata; alla necessità, in assenza o contestata dichiarazione del terzo ex art. 543, di aprire un processo dichiarativo per accertare
esistenza ed entità del credito dell’esecutato verso il terzo e così di identificarne lo stesso oggetto. Affidare ad essa la concreta realizzazione della cautela è
dunque scelta che, a monte, allontana nel tempo la prospettiva della soddisfazione del creditore cautelare che non abbia a far affidamento sull’adempimento volontario dell’obbligato.
Gran parte della sua complessità l’espropriazione deriva però anche, e direi
soprattutto, dall’essere strutturata in modo da consentire, attraverso il meccanismo dell’intervento di cui all’art. 499, la confluenza delle pretese alla
soddisfazione di una serie di creditori. L’esistenza ed entità del loro credito,
così come la stessa legittimazione all’intervento, divengono possibile oggetto
di contestazioni (dell’esecutato e dei creditori stessi) comportando spesso, nei
termini ampiamente esaminati, strascichi di sospensione dell’intera procedura
in sede di distribuzione del ricavato.
Per ragioni già indagate proprio questo meccanismo, fonte di ineffettività
della tutela giurisdizionale del credito già nel suo stesso ambito di applicazione, si è rivelato incompatibile con la ratio cautelare della condanna pecuniaria
e con le regole del processo deputato ad incarnarla (artt. 669 bis-terdecies).
Questa inconciliabilità ha indotto dunque a chiedersi se la conseguenza sul
piano ricostruttivo possa essere l’inapplicabilità dell’art. 499 e di tutte le altre
disposizioni che l’intervento stesso presuppongono o regolano, in ossequio al
limite di compatibilità posto dall’art. 669 duodecies. E la risposta è stata positiva perché dell’intervento stesso (ad eccezione che per i creditori privilegiati
e per quelli sequestranti, come subito appresso) si è riconosciuta (per le ragioni esposte ai §§ 4 e segg.) la consistenza di scelta tecnica di natura proces-
Capitolo 3 – Il procedimento
159
suale, sicché proprio il limite di compatibilità posto da un’altra disposizione
processuale speciale, l’art. 669 duodecies, per l’appunto, appare sufficiente ad
inibirne l’applicazione in ambito cautelare.
Si è però anche constatato come la concorrenza di più pretese alla soddisfazione nella stessa espropriazione non derivi solo dall’intervento, ma trovi
causa in regole di carattere sostanziale. Ciò accade, anzitutto, ove sui beni
pignorati ex art. 669 duodecies gravino cause legittime di prelazione, ciò che
impone, ai sensi dell’art. 2741 c.c., il coinvolgimento dei creditori privilegiati nell’espropriazione. Ebbene qui l’art. 499, nella parte in cui consente il
loro intervento (anche provocato: art. 498), attua proprio tale prescrizione sostanziale, sicché non si può prescindere dall’applicarlo, sia pure solo in parte
qua.
Ma la concorrenza di più pretese imposta dalla disciplina sostanziale si
verifica anche ove più azioni esecutive separatamente intraprese sia ai sensi
dell’art. 669 duodecies che in base a titolo esecutivo convergano sugli stessi
beni. Qui il loro coordinamento, necessario perché imposto dagli artt. 2740,
2741 e 2910 c.c. e dunque imprescindibile anche in presenza di una espropriazione intrapresa dal beneficiario della cautela, avviene con la riunione dei
pignoramenti in unico processo, ove i creditori olim procedenti concorreranno
alla distribuzione.
Infine, anche se sugli stessi beni pignorati gravi un precedente sequestro
conservativo, la partecipazione all’espropriazione del sequestrante è imposta
da ragioni di carattere sostanziale legate alla stessa ratio del sequestro (artt.
2905-2906 c.c.), e si realizza attraverso l’intervento consentito oggi dall’art.
499.
L’aspetto di maggior debolezza del modello immaginato dal legislatore
dell’art. 669 duodecies sotto il profilo dell’effettività della tutela del creditore
cautelare è allora rintracciabile in una duplice prospettiva: quella dei rapporti
esterni tra l’attuazione intrapresa dal beneficiario della cautela e quella di altri
creditori che, in base a titolo esecutivo, eventualmente colpiscano gli stessi
beni o abbiano già eseguito un sequestro conservativo; e quella dell’interferenza interna, nella vicenda attuativa cautelare, dei diritti dei creditori con
cause di prelazione sui beni colpiti dal pignoramento ex art. 669 duodecies in
parte qua.
Quanto al primo profilo, l’interferenza esterna di altre azioni esecutive
sfocia nella riunione dei più pignoramenti (quello ex art. 669 duodecies in
parte qua e quello/i in base a titolo esecutivo) in un unico processo esecutivo
ove concorreranno alla distribuzione non solo i creditori olim separatamente
procedenti, ma anche, in applicazione integrale della disciplina del Libro III
del c.p.c., i creditori che siano legittimati all’intervento ex art. 499 c.p.c. in
alcuna delle espropriazioni riunite se basate su titolo esecutivo, e alle quali
dunque si applica integralmente la disciplina del Libro III del c.p.c. In ipotesi
di sequestro conservativo già gravante sui beni pignorati, il coinvolgimento
160
l’attuazione delle misure cautelari
del sequestrante avviene invece, come già rilevato, attraverso il suo intervento
nel processo espropriativo.
Quanto al secondo profilo, quello cioè della possibile esistenza di privilegi sui beni pignorati dal creditore cautelare, manca, a monte, una disciplina
sostanziale che conferisca al beneficiario della cautela una posizione di forza
rispetto agli altri creditori del comune debitore.
Il che risulta evidente dal confronto con altre discipline speciali, quelle
dettate per le cd. esecuzioni per autorità del creditore, come l’espropriazione dell’autoveicolo (d. l. n. 436/1927); l’espropriazione di beni oggetto di
privilegio agrario (l. n. 1769//1928); la vendita coattiva della cosa data in pegno (art. 2796 c.c.) od oggetto di ritenzione privilegiata (art. 2756, comma 3°
c.c.); la vendita per autorità del creditore (art. 1515 c.c.). In queste ultime, in
particolare, il diritto sostanziale, operando un bilanciamento di interessi, riconosce ai soli creditori legittimati il potere di vendere il bene per soddisfarsi
sul ricavato, 249 escludendo dalla procedura di liquidazione persino altri creditori privilegiati di grado pozione, in ossequio ad una specifica graduatoria dei
privilegi250. Sicché, pur non potendosi impedire il pignoramento successivo
del bene (o, secondo altra lezione, del ricavato della vendita) da parte di altri
creditori titolati, con la conseguente apertura all’intervento dei creditori ex art.
499, la posizione del creditore privilegiato resta comunque intatta, in quanto
è il diritto sostanziale a conferirgli una prelazione di grado pozione rispetto a
tutti gli altri creditori.
Ciò non accade per il beneficiario di una cautela di pagamento, la cui posizione è dunque recessiva rispetto ad a quelle più“forti” dei creditori privilegiati a cui vantaggio finisce per essere portata a buon fine l’attuazione cautelare.
Veniamo all’“attuazione” delle cautele recanti ordini di facere-non faceredare.
Qui l’esecuzione è disegnata autonomamente dall’art. 669 duodecies in
parte qua, che ne affida la gestione globale al giudice che ha reso la cautela,
in particolare sotto i profili, specificamente esaminati in questo capitolo, della
fissazione delle modalità di attuazione e del controllo sullo stato di quest’ultima.
Ciò significa che al giudice è rimesso il potere di imporre le modalità attuative che ritiene più consone al tipo di precetto da eseguire, da quelli strutturalmente più semplici a quelli più complessi, quali gli ordini di reintegra nel
posto di lavoro resi ex art. 700 c.p.c. o le sospensive di delibere societarie
Vaccarella, Titolo esecutivo, cit., p. 42 ss.
V. amplius, ancora Vaccarella, Titolo esecutivo, precetto, cit., p. 48 ss, ove anche indicazioni
bibliografiche. Contra, v. l’opinione, rimasta sostanzialmente isolata, di Rubino, Il pegno, cit.,
p. 260. È questa una delle conferme che il principio nulla executio sine titulo si applica esclusivamente alle esecuzioni forzate del Libro III del c.p.c., ma non si estende ad altri fenomeni che
pure concretano una vendita coatta di beni del debitore, quali appunto quelli di cui si è riferito
nel testo. V. amplius, Vaccarella, Titolo esecutivo, cit., p. 48 ss.
249
250
Capitolo 3 – Il procedimento
161
rese ex art. 2374, comma 3°, c.c. Nella giurisprudenza civile del lavoro,
soprattutto alle dipendenze della PA, se ne sono riscontrate le letture più interessanti nel senso dell’autoattribuzione, in sede di attuazione, di penetranti
poteri di interpretazione della portata precettiva della cautela da eseguire,
al fine di valutare se le condotte della PA potessero ritenersi ottemperanti o
se ne fosse necessaria la surrogazione coatta. A tal uopo si è rivelata utile
la fissazione di una serie di udienze successive allo scopo di controllare lo
stato dell’attuazione.
L’assenza di una rigida predeterminazione procedurale (presente invece
nelle cautele di condanna pecuniaria), rende il modello esecutivo costruito dal
legislatore cautelare idoneo ad assumere una duplice concreta fisionomia.
La prima di esse appare molto somigliante, almeno sotto questo limitato
profilo (e salvo quanto si dirà in ordine alle difficoltà e contestazioni), all’esecuzione in forma specifica del Libro III del c.p.c. perché riguarda cautele di
contenuto strutturalmente semplice (ad esempio recanti ordini di consegna, rilascio), ove non si pongono problemi di interpretazione del provvedimento251
ma solo occorre stabilire modalità e tempi di operazioni materiali esauribili in
uno o più atti predeterminati e di durata limitata.
La seconda appare invece modellata sulla fisionomia che assume il giudizio di ottemperanza quando assiste le pronunce di annullamento del giudice
amministrativo ove, al contrario, la complessità del contenuto precettivo252 da
Il che ha una sua precisa ragione, da tempo evidenziata dalla dottrina che ha studiato il
tema. I processi esecutivi del Libro III del c.p.c. si rivelano infatti soluzione di diritto positivo modellata sul titolo esecutivo. Quest’ultimo, a sua volta, è il risultato dell’evoluzione
dell’esecuzione forzata, che alle origini si presentava come una nuova azione di cognizione (cd. actio iudicati) funzionale alla ricognizione del diritto accertato in sentenza, nella
prospettiva dell’aggressione forzosa della sfera giuridica dell’obbligato che non adempisse
volontariamente. Il titolo esecutivo è cioè la soluzione che rende superflua la mediazione, tra
la sentenza e la sua esecuzione, di una nuova (ri)cognizione, operando la già rilevata astrazione del potere giurisdizionale esercitato dalla questione dell’an e del quomodo del diritto
accertato. Nel titolo è infatti formalizzato il dictum da eseguire sub specie di dispositivo di
condanna. V. amplius Sassani, Dal controllo del potere, cit., spec. p. 22 ss, nonché, anche
nella prospettiva storica, Vaccarella, op. loco ult. cit.
252
Anche qui le radici sono profonde. Riprendendo il discorso intrapreso alla nota precedente,
occorre rilevare come le sentenze del giudice amministrativo, quando annullano atti amministrativi, esibiscono un contenuto complesso di accertamento che si irradia conformando l’ulteriore agire dell’amministrazione. L’astrazione realizzabile con la tecnica del titolo esecutivo
non è qui praticabile perché la struttura del dispositivo non è tale da formalizzare da un lato una
precisa condanna dell’amministrazione e dall’altro le pretese del cittadino. Questo spiega le
caratteristiche del giudizio di ottemperanza, che dell’actio iudicati mantiene la struttura interna
e previa della (ri)cognizione. È al suo interno che vengono infatti determinati progressivamente, attraverso l’interpretazione della sentenza nella sua globalità (dispositivo, che reca il solo
annullamento, e motivazione), gli obblighi dell’amministrazione nei confronti del cittadino.
Il giudizio di ottemperanza “estrae” cioè dalla sentenza, formalizzandoli in specifici ordini
di fare-non fare, gli obblighi stessi, realizzando attraverso una ulteriore fase “di cognizione”
quello che la sentenza civile di condanna -titolo esecutivo ha già in sé: così ancora Sassani, op.
loco ult. cit.
251
162
l’attuazione delle misure cautelari
realizzare richiede al giudice dell’ottemperanza (che è lo stesso che ha reso
la pronuncia) un grosso contributo in termini di interpretazione del provvedimento e di verifica, in una serie non predeterminabile di udienze, dello stato
dell’ottemperanza da parte della PA o del commissario ad acta.
Una figura di ausiliare molto simile a quest’ultimo è emersa anche nell’attuazione cautelare civile delle pronunce rese contro la PA in materia di lavoro
dipendente. Ancora una volta è stata la giurisprudenza del lavoro alle dipendenze della PA ad adottare logiche ed istituti invalsi nel giudizio di ottemperanza amministrativo, cui era olim affidata l’esecuzione forzata delle pronunce
di lavoro perchè attratte alla giurisdizione amministrativa. L’individuazione
del regime degli atti del commissario si è avvalsa, nel contesto dell’attuazione
civile, sia dell’art. 68 c.p.c. che inquadra la figura tra quelle degli ausiliari del
giudice; sia dell’art. 669 duodecies che rimette al giudice il controllo sull’attuazione, dal cui combinato disposto si è ricavata la competenza esclusiva
del giudice dell’attuazione a conoscere di ogni profilo dell’attività commissariale in quanto attività esecutiva. La soluzione trova peraltro riscontro sia
nel giudizio di ottemperanza (ove si è imposta prima nelle ricostruzioni della
dottrina e nelle pronunce della giurisprudenza ed oggi nel Codice del processo
amministrativo) sia nell’esecuzione in forma specifica del Libro III del c.p.c.,
ove l’art. 613 prescrive che per le difficoltà e contestazioni l’ufficiale giudiziario, ausiliare protagonista di questo modulo esecutivo, si rivolga al giudice
dell’esecuzione che lo ha nominato.
La figura dell’ausiliare nominato dal giudice si è rivelata elemento in grado
di accomunare non solo i moduli di esecuzione forzata evocati, ma addirittura
l’“attuazione” dei sequestri.
Riguardati nella prospettiva esclusivamente formale del procedimento, sia
i primi che quest’ultima si risolvono infatti in una serie di atti rimessi ad un
ausiliare che, in quanto tale, è sottoposto al controllo del giudice per il quale
svolge le sue funzioni.
Il fatto che nei primi tale attività sia esecutiva in senso tecnico, e nella
seconda sia invece strumentale all’espletamento di una custodia pubblicistica
è fattore che, da tale limitato punto di vista, non elimina le similitudini di
struttura e perciò almeno in parte di soluzioni tecniche prospettabili, come sta
per rilevarsi (infra, cap. IV).
È questa la migliore riprova della totale estraneità, se non sotto il profilo
funzionale, tra l’attuazione delle cautele di condanna pecuniaria e quella delle
cautele di fare-non fare-consegna-rilascio immaginate dall’art. 669 duodecies,
e della conseguente lontananza dei percorsi ricostruttivi delle discipline applicabili.
CAPITOLO 4
la tutela delle parti e dei terzi
Sommario: Sezione I. La prospettiva del vincolo pubblicistico sui beni (l’“attuazione” dei
sequestri) – 1. La tutela delle parti. Il ruolo delle opposizioni esecutive ex artt. 615 e 617
– 2. La tutela dei terzi tra procedimento cautelare uniforme e opposizione ex art. 619 c.p.c.
– Sezione II. La prospettiva dell’esecuzione forzata (l’“attuazione” delle cautele anticipatorie) – Parte I. La tutela delle parti e dei terzi nell’attuazione delle cautele di condanna
pecuniaria – 1. La tutela delle parti e dei terzi – Parte II. La tutela delle parti e dei terzi
nell’attuazione delle cautele recanti prestazioni di fare-non fare-dare – 1. Premessa: un
approccio interpretativo di ampio respiro per un dato normativo elastico – 2. I provvedimenti che fissano le modalità di attuazione ed il loro regime di riesame in caso di aberrante
interpretazione del provvedimento – 3. I provvedimenti ex art. 669 duodecies che si pronunciano sulle condizioni legittimanti il ricorso all’enforcement o la sua prosecuzione ed il
loro regime di riesame – 3.1. Segue: attuazione e questioni di competenza – 4. Attuazione e
terzi incisi dal dictum e dalla procedura esecutiva: premessa – 4.1. Segue: la tutela dei terzi
direttamente incisi dal dictum – 4.2. Segue: la tutela dei terzi incisi dalla procedura attuativa
– Sezione III. Riepilogo – 1. La tutela delle parti e dei terzi tra “attuazione” dei sequestri ed
“attuazione” delle cautele anticipatorie
Sezione I
La prospettiva del vincolo pubblicistico sui beni
(l’“attuazione” dei sequestri)
1. La tutela delle parti. Il ruolo delle opposizioni esecutive ex artt. 615 e
617
Occorre adesso esaminare da vicino il profilo, più volte sfiorato nel corso dello
studio, delle contestazioni delle parti in merito all’“attuazione” dei sequestri
riguardata nella duplice connotazione di costituzione del vincolo e di sua permanenza che nel previgente regime erano attratte al giudizio di convalida.1
Così Vullo, L’attuazione, cit., p. 311 segg.; per una ricognizione delle posizioni degli interpreti
prima della riforma, Zumpano, voce Sequestro, cit, passim ; Cass. 30 gen. 1976 n. 319, Foro.
it., 1976, I, c. 1253, con Nota di Barone; Cass. 20 aprile 1993 n. 4635 cit.; Cass. 11 gennaio
1988 n. 26; si tendeva però talvolta anche ad ammettere che, ove sorgessero difficoltà o altri tipi
di problemi di carattere squisitamente materiale, essi venissero risolti dal giudice dell’esecuzione, in base al rinvio dell’art. 677 agli artt. 605 e segg., e quindi all’art. 610.
1
164
l’attuazione delle misure cautelari
Il contesto normativo di riferimento è ancora quello ove il richiamo dell’art.
669 duodecies agli artt. 677 e seguenti, che a loro volta rinviano, per quanto
qui di interesse, agli artt. 615 e 617 c.p.c. in quanto compatibili, si affianca
all’art. 669 quaterdecies che estende automaticamente ai sequestri l’applicabilità del rito cautelare. L’alternativa si pone dunque tra utilizzabilità delle
opposizioni esecutive, in applicazione di quel richiamo; e rinvio dell’art. 669
quaterdecies (anche) all’art. 669 duodecies , segnatamente nella parte in cui
affida al giudice della cautela un triplice ordine di poteri: a) la determinazione
delle modalità di attuazione; b) la risoluzione di difficoltà e contestazioni; c)
il controllo sull’attuazione (al netto delle altre questioni riservate al giudizio
di merito).
Il dubbio è stato risolto in modo alternante, a volte optando per l’utilizzabilità dei rimedi di cui agli artt. 615 e 617,2 altre volte invece puntando sull’art
669 duodecies in parte qua.3
La possibile soluzione non può assumere carattere generalizzato, dovendo
tener conto delle molte variabili che, nel contesto peculiare in esame, la influenzano. Appare dunque preferibile un approccio differenziato per ciascuno
dei due volti che l’attuazione assume, costituzione del vincolo e sua durata nel
tempo, e per i quali vengono in rilievo diverse fonti di disciplina.
Le caratteristiche strutturali e funzionali più volte evidenziate hanno già
consentito di riconoscere nel giudice che ha reso il provvedimento autorizzatiCosì, sembra, Santulli, op. cit., p. 13, la quale ritiene le ordinarie opposizioni esecutive proponibili nei limiti in cui le relative questioni non possono essere risolte con i rimedi propri del
procedimento cautelare uniforme.
3
È questa la posizione espressa, sia pure con diversità di accenti, dalla maggioritaria dottrina:
Merlin, voce Procedimenti, cit. 426, che ritiene le relative questioni prospettabili al giudice
che ha emanato la cautela, affinché adotti i provvedimenti opportuni ex art. 669 duodecies;
Luiso, in Consolo, Luiso, Sassani, Commentario, cit., p. 686; Proto Pisani, Lezioni, cit., p.
703; Saletti, Provvedimenti urgenti per il processo civile, in Commentario a cura di Tarzia e
Cipriani, Padova, 1999, p. 393. Né è mancato chi ha ipotizzato una disciplina differenziata per i
sequestri conservativi, che sarebbero soggetti alle opposizioni esecutive, e per quelli giudiziari,
i quali sarebbero invece attratti all’area di operatività dell’art. 669 duodecies: così Pototsching,
L’attuazione, cit., p. 765. L’a. formula questa ipotesi nel contesto delle sue riflessioni dedicate
alla ricostruzione del regime applicabile all’attuazione dei sequestri, per il quale l’art. 669 duodecies opera sì un richiamo agli artt. 677 e segg. ma, subito dopo, disegna due discipline differenziate, per le restanti misure cautelari, in base al loro oggetto; di talchè, si potrebbe essere
indotti a credere, a voler privilegiare il punto di vista dell’oggetto, che il sequestro conservativo
e quello giudiziario debbano essere eseguiti con regimi diversi, e segnatamente il primo con
le modalità degli artt. 491 e segg., il secondo con quelle di cui all’art. 669 duodecies, II parte.
Quanto alla dottrina precedente alla riforma del 1990, essa escludeva le opposizioni esecutive
dal novero dei rimedi spendibili per contrastare uno scorretto iter attuativo, e non solo in ragione dell’esistenza del giudizio di convalida. Si faceva infatti generaliter leva sulla irriducibilità
del fenomeno attuativo de quo a quello esecutivo disegnato dal Libro III del c.p.c. , in ragione
della più volte rilevata interdipendenza tra fase di autorizzazione e fase di attuazione che rende i
sequestri assolutamente peculiari rispetto alle cautele a struttura “anticipatoria” (v. in proposito,
oltre allo studio di Liebman, Unità, cit., p. 248 ss., anche Calvosa, La tutela cautelare, cit., p.
550 ss; Zumpano, voce Sequestro, cit., p. 126 ss).
2
Capitolo 4 – La tutela delle parti e dei terzi
165
vo anche quello cui compete la gestione globale della vita della misura perché
i suoi poteri si irradiano direttamente in fase “attuativa”.
Ciò in quanto quest’ultima, nell’accezione di permanenza del vincolo della
custodia su determinati beni, va riguardata senz’altro, nel sequestro giudiziario, come dialettica tra il giudice ed un suo ausiliare. Sono perciò gli artt.
65, 66, 676 e 677, ad imporre la concentrazione nel giudice della cautela del
controllo sulla cd. fase dinamica dell’“attuazione”. Quanto al sequestro conservativo gli artt. 678 e 679,4 come già visto (supra, cap. II, sez. I, § 2) disegnano un quadro più frastagliato di rapporti tra giudice della cautela e custode,
sicchè sarà alla disciplina di volta in volta richiamata che occorre fare capo per
i profili di nomina, sostituzione, rendiconto, etc.
Anche il quomodo della costituzione del vincolo, la cd. fase statica dell’attuazione, muta in ragione dell’essere il sequestro giudiziario o conservativo
nonché della tipologia dei beni incisi.
Nel sequestro giudiziario le relative modalità sono rimesse, in alcuni casi
più che in altri (si pensi all’ipotesi del sequestro di azienda rispetto a quello
di un semplice immobile) alla determinazione del giudice della cautela che
stabilisce in concreto i limiti della custodia.
Il controllo sull’attuazione sub specie di investitura del custode compete
dunque al giudice della cautela che il custode ha nominato. Ne consegue che
se le parti lamentino invalidità o irregolarità nell’investitura o ancora la divergenza degli atti compiuti dallo schema fissato nel provvedimento autorizzativo, anche tali doglianze saranno attratte al medesimo giudice che, ex art. 669
duodecies in parte qua, le risolve con ordinanza. Con la precisazione che, se
le irregolarità appaiano tali da inficiare la stessa costituzione del vincolo sui
beni (come ad esempio la giurisprudenza ritiene che accada per l’omissione
o l’invalidità del preavviso di rilascio nel sequestro giudiziario), il ricorso al
giudice della cautela, verosimilmente teso alla correzione o ripetizione delle
formalità, non esclude che medio tempore spiri il termine dell’art. 675 senza
che il vincolo si perfezioni, aprendosi la strada alla procedura per la dichiarazione di inefficacia ex art. 669 novies.
Nel sequestro conservativo le modalità di costituzione del vincolo sono
invece predeterminate dalla legge in ragione del tipo di bene colpito, secondo
modalità in buona sostanza assimilabili a quelle imposte per il pignoramento.
Anche in tal caso dunque le doglianze delle parti sulla invalidità degli atti di
costituzione del vincolo, intesa come divergenza dallo schema legale, possono ritenersi demandate al giudice della cautela che le risolve con ordinanza.
Ed anche in tal caso se la correzione dell’iter di costituzione del vincolo non
è possibile nel termine dell’art. 675, il provvedimento autorizzativo diviene
inefficace e si apre la strada alla procedura ex art. 669 novies. Le stesse consiTali ultime due disposizioni nella parte in cui disciplinano direttamente alcuni aspetti della
custodia rimandando per altri alla lex generalis degli artt. 65 e 66.
4
166
l’attuazione delle misure cautelari
derazioni valgono quanto alle doglianze sulla corretta identificazione pratica
del bene (così come indicato nel provvedimento autorizzativo) da sottoporre a
sequestro giudiziario o a sequestro conservativo correlato ad una revocatoria
ex art. 2905, comma 2, c.c.; o ancora sulla sottoposizione a sequestro conservativo ex art. 2905, comma 1°, c.c. di un bene impignorabile.
Occorre tuttavia rilevare che esiste una differenza rispetto a quanto accade
nel sequestro giudiziario di un singolo bene o nel sequestro conservativo reso
ai sensi dell’art. 2905, comma 2°, c.c.: se l’invalidità riguarda solo alcuni beni
e non tutti, non è possibile inferirne la sopravvenuta inefficacia globale perché
il sequestro persiste sui residui beni. Occorre allora chiedersi se lo strumento
reattivo da riconoscere al sequestrato possa comunque ritenersi quello previsto dall’art. 669 novies , che reca la disciplina generale dell’inefficacia ed
attiene perciò al vincolo nella sua interezza.
A me pare che qui, essendo lo scopo perseguito quello di sottrarre alcuni dei beni al vincolo, sia rintracciabile la medesima logica che è alla base
dell’opposizione all’esecuzione quando utilizzata, ex art. 615, comma 2°, per
contestare l’impignorabilità dei beni; e che ispirava altresì il previgente giudizio di convalida, cui erano attratti anche questi profili.
Sicchè potrebbero in astratto soccorrere, ferma restando la possibilità di
allegazione, in prima battuta, al giudice in sede attuativa, sia l’opposizione
all’esecuzione ex art. 615, comma 2°, da proporre però non al giudice dell’esecuzione ma a quello del sequestro perché è da quest’ultimo e non dalla prima
che nasce il pregiudizio;5 sia l’art. 669 novies, applicato però in via estensiva,
cioè mirante all’ottenimento di un’inefficacia non a tutto tondo ma unidirezionale, cioè rispetto a determinati beni.
Si può altresì ipotizzare anche una terza via, segnatamente quella che si
diparte dall’ordinanza resa dal giudice in seguito alle contestazioni e ne consente il reclamo, via percorsa (infra, sez. II, parte II) in tema di attuazione
delle cautele recanti ordini di fare-non fare-dare.
La soluzione preferibile appare quella dell’applicazione dell’art. 669 novies perché tale rimedio è strutturato in modo tale da modularsi sul tipo di
“resistenza” delle difese delle parti e da coinvolgere in prima battuta il giudice
dell’attuazione. La norma prevede infatti sia la possibilità che, contestati la
valida costituzione del vincolo o l’impignorabilità dei beni si raggiunga un
accordo delle parti; sia quella di aprire un giudizio a cognizione piena che, in
assenza di accordo, consenta un disteso accertamento della validità del vincolo o della pignorabilità dei beni, realizzando una logica in buona sostanza
riconducibile a quella dell’opposizione dell’art. 615, comma 2°.
Quanto invece alle contestazioni relative all’esistenza delle condizioni di
concedibilità del provvedimento, o alla circostanza che non sia stato correttaIn applicazione della medesima logica che ispira l’opposizione dell’art. 615, comma 2°, che è
indirizzata al giudice dell’esecuzione in quanto è lui che sovrintende alla fonte del pregiudizio,
l’esecuzione, appunto.
5
Capitolo 4 – La tutela delle parti e dei terzi
167
mente individuato, nel provvedimento autorizzativo del sequestro giudiziario
( o del sequestro conservativo ex art. 2905, comma 2° c.c.) il bene sottoposto
a vincolo, esse sfuggono alla logica della sede “attuativa”, trovando naturale
collocazione nella sede deputata al riesame del provvedimento autorizzativo,
cioè il reclamo ex art. 669 terdecies.
Le contestazioni sulla perdurante efficacia della misura per le altre ragioni previste dalla legge confluiscono invece nella sede dell’art. 669 novies, e
quelle sull’esistenza del diritto a cautela del quale fu concesso il sequestro nel
giudizio di merito.
Il quadro abbozzato consente dunque di ritenere che lo spazio di operatività delle opposizioni di cui agli artt. 615 e 617, in teoria applicabili ai sequestri,
sia eroso dalla struttura e funzione delle misure de quibus, come costruite dal
legislatore.
2. La tutela dei terzi tra procedimento cautelare uniforme e opposizione
ex art. 619 c.p.c.
La fase di “attuazione” di un sequestro può a vario titolo pregiudicare soggetti terzi, ponendo il problema della loro tutela e dei modi in cui può
esplicarsi.
Il pregiudizio mostra una duplice caratterizzazione: può nascere direttamente dal contenuto precettivo del dictum o solo dalla sua concreta “attuazione”, il che impone di modulare diversamente i rimedi esperibili.
Premessa comune e fondante è però che i sequestri sono sempre e comunque vincoli su beni e dunque i pregiudizi possibili, quale che ne sia la fonte,
sono tali rispetto a beni che si assumano estranei all’area di legittima incidenza della misura.
Il problema della tutela dei terzi nel contesto dei sequestri è dunque null’altro che problema di tutela di chi accampi diritti prevalenti su beni che sono o
saranno sottoposti al vincolo della custodia.
Partendo dal pregiudizio nascente dallo stesso contenuto precettivo del
dictum, occorre anzitutto distinguere tra sequestro giudiziario e conservativo.
Nel sequestro giudiziario, come già rilevato, l’individuazione dei beni e la
nomina del custode entrano a far parte direttamente del contenuto precettivo
della misura: chi assume di avere sui beni stessi una posizione incompatibile
e prevalente deve allora incidere proprio su tale contenuto, unico interesse
essendone la sottrazione del bene al vincolo. A tale scopo non perciò soccorre
l’art. 677, comma 3° che consente al terzo detentore di essere sentito anche
solo in fase “attuativa”. La previsione riguarda infatti la semplice detenzione
che, non incompatibile con il sequestro, rende l’audizione strumentale proprio
all’investitura del custode. Essa codifica anzi l’opposto principio che le posizioni incompatibili ed autonome rispetto alla misura vanno valutate in via
preventiva non essendo ipotizzabile, rispetto ad esse, alcun ordine giudiziale
168
l’attuazione delle misure cautelari
dato esclusivamente in sede di “attuazione” né mostrandosi sufficiente, per i
loro pretesi titolari, l’audizione in quella sede.6
La contestazione investe infatti l’oggetto della misura così come identificato e,
mirando a sottrarlo al relativo vincolo, finisce con il negarne l’esistenza piuttosto
che (limitarsi ad) indirizzarne l’attuazione sul bene effettivamente sottopostovi.
Ai terzi deve dunque riconoscersi un rimedio in grado di intaccare il provvedimento autorizzativo ridefinendone il contenuto,7 la questione dovendosi
affrontare nella sede deputata alla concessione.
È pur vero che, risolvendosi il sequestro giudiziario nella custodia del
bene fino alla pronuncia di merito è da escludere, in linea di massima, un
pregiudizio per terzi titolari di posizioni incompatibili e prevalenti rispetto
a quella del sequestrante, ma privi del possesso del bene,8 il custode offrendo le migliori garanzie di conservazione. Non è tuttavia da escludersi un
interesse attuale dei terzi ad entrarne in possesso allo scopo di esercitare le
prerogative ad esso inerenti, come ad es. i diritti sociali in relazione alla asserita titolarità di azioni o quote sociali. In simili casi, l’esercizio dei diritti
da parte del custode9 non risponde ai loro interessi e può anzi pregiudicarli,
riproponendo la necessità di individuare uno strumento in grado di attaccare il provvedimento reso inter alios: questa volta, però, senza neppure
È l’opinione di Luiso, Diritto processuale civile, IV, p. 220 ss e passim. Al contrario, Cass.
20 luglio 2002, n. 9925, in Corr. giur, 2002, p. 377 ss., con Nota di D’Ascola, è intervenuta sul
tema statuendo che il terzo detentore dell’immobile sequestrato che, in sede di esecuzione della
misura, assuma di averne acquistato la proprietà per usucapione, possa rivolgersi direttamente
al giudice dell’attuazione.
7
La differenza tra questa ipotesi e quella di pregiudizio da mera attuazione scorretta risiede cioè
nel fatto qui oggetto di contestazione è il provvedimento che ha concesso il sequestro senza
sentire uno degli interessati (il terzo che vanta un diritto incompatibile), mentre nell’altra la
contestazione è rivolta contro l’ordinanza con cui il giudice si è pronunciato esclusivamente in
relazione all’identificazione del bene su cui attuare il vincolo.
8
Così, con considerazioni condivisibili, Consolo, Intervento del terzo nel giudizio cautelare,
reclamo del terzo e pregiudizio da mera attuazione scorretta (da farsi valere in altro modo),
in Giur. It., 1996, I, 2, c. 190 ss. Piuttosto, potrebbe invece ipotizzarsi un attuale interesse dei
terzi ad influire sulla nomina, o sulla sostituzione, del custode, essendo proprio su questa figura
che si incentra la buona riuscita del sequestro, come meglio si chiarirà nei paragrafi successivi.
Perciò, ove costoro ritengano che il custode indicato dal giudice non offra sufficienti garanzie
di attuare una corretta ed oculata gestione dei beni, soprattutto in relazione ai mobili, (per i quali
l’eventuale acquisto in buona fede da parte di un altro soggetto ex art. 1153 c.c. vanificherebbe
non solo il sequestro, ma anche il diritto di ciascuno dei contendenti), non può escludersi, in
linea di principio, la possibilità di un loro ricorso in tal senso, ex art. 669 duodecies, al giudice
dell’attuazione. Rimane comunque il fatto, però, che la nomina e la sostituzione sono governate
dalla discrezionalità del giudice, almeno nel caso di sequestro giudiziario.
9
L’opinione espressa da larga parte della dottrina era, prima del d. lgs. n. 6/2003, nel senso di
attribuire al custode, sotto la direzione del giudice (ancorché diversamente concepita da alcuni
autori rispetto ad altri), il potere di esercitare il diritto di voto in relazione alle azioni o quote sequestrate. V. per tutti, Morera, Contributo allo studio del sequestro di azioni o quote di società,
cit., p. 492 ss. Oggi, com’è noto, il nuovo art. 2352 c.c., come modificato dal d. lgs. n. 6/2003,
ha risolto expressis verbis il problema.
6
Capitolo 4 – La tutela delle parti e dei terzi
169
l’illusione ottica dell’attuazione portata avanti contro di loro, visto che non
hanno il possesso dei beni.
La soluzione appare allora quella del reclamo nei confronti del provvedimento autorizzativo, in applicazione dell’art. 669 terdecies10. Il thema
decidendum dell’impugnazione finirà con il coincidere, in buona sostanza,
con quello dell’opposizione di terzo di cui all’art. 404, comma 1°, c.p.c. di
cui condivide la ratio di revoca della cautela già resa. La tutela ordinaria
del terzo è invece assicurata dall’intervento ad excludendum nel giudizio
di merito.
Queste considerazioni valgono anche per il sequestro conservativo reso ai
sensi dell’art. 2905, comma 2°, c.c. Malgrado l’interesse del creditore che agisce in revocatoria ordinaria nei confronti del debitore ex art. 2901 c.c. non sia
quello di ottenere il bene in natura ma solo di esercitare il diritto processuale
di sottoporlo ad esecuzione forzata, nondimeno il sequestro conservativo è
disposto, ex art. 2905, comma 2°, c.c., solo ed esclusivamente nei confronti di
Per contrastare la soluzione dell’apertura del reclamo anche ai terzi non potrebbe obiettarsi
che la legittimazione al mezzo è data dall’art. 669 terdecies alle sole parti della fase in prime
cure (così invece Corsini, Il reclamo, cit., p. 263 ss; T. Chieti 25 marzo 1994 (ord), soc. Belli
c/Consorzio Cooperative Costruttori, inedita, riportata da Cirulli, op.cit., p. 175, nota 250; T.
Camerino, 30 agosto 1993, Idalstrade/SIME, inedita, citata da Cecchella, Op.loco ult. cit., p.
244; Laudisa, Tutela del destinatario del provvedimento cautelare e del terzo, in Corr. giur,
1992, p. 97 ss), per l’evidente rilievo (Cirulli, La nuova disciplina, cit., p. 173) che se il destinatario passivo del provvedimento, che è stato già sentito, è legittimato al reclamo, maiori
causa dovrà esserlo chi, parimenti inciso dal provvedimento, neppure abbia avuto l’opportunità
di spiegare aliunde le sue difese. Diversamente argomentando i terzi verrebbero privati della
tutela cautelare tout court; e tale carenza, a meno di non essere supplita dall’accesso a quella
d’urgenza ex art. 700 per paralizzare gli effetti del provvedimento pregiudizievole, aprirebbe
la strada ad un grave dubbio di costituzionalità dell’art. 669 terdecies per contrasto con gli artt.
3 e 24 cost . Com’è noto, è in questo modo che gli interpreti hanno cercato di porre rimedio al
pregiudizio subito da terzi dall’attuazione di un provvedimento reso inter alios: così P. Trieste
13 dicembre 1979, in Foro. it., 1980, I, c. 848, per assicurare proficuamente l’esecuzione di un
sequestro conservativo; T. Cagliari, 19 giugno 1992, in Riv. giur. sarda, 1994, p. 66, con Nota
di Luminoso; P. Olbia, 3 marzo 1987, ivi, 1988, p. 743, con Nota di Olla; P. Milano 19 agosto
1986, in Foro. it., 1987, I, c. 2526, per sospenderne gli effetti; T. Firenze 1 giugno 1968, in Giur.
it., 1969, I, 2, c. 411, con Nota di Carpi, per paralizzarne l’esecuzione. È soprattutto la dottrina
ad aver fatto leva sulla differente posizione del convenuto, che ha avuto l’opportunità di essere
sentito, e del terzo, che di tale diritto è stato deprivato: così, ad esempio, Biavati, Note sulla
tutela del terzo nei procedimenti cautelari, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1983, p. 998 ss. Molte
altre voci si sono invece levate contro questa impostazione, ritenuta contraria al precipuo fine
della tutela d’urgenza, che è solo quello di assicurare gli effetti di una sentenza di merito. Così,
fra gli altri, Montesano, I provvedimenti urgenti nel processo civile, cit, p. 46; Tommaseo, I
provvedimenti, cit., p. 184 ss; Mandrioli, Corso di diritto processuale civile, III, Torino, 1998,
p. 376. Da ultimo, il dibattito è stato riacceso da P. Parma 19 marzo 1999, in Giur. it., 2000, c.
304, con Nota di Falciano, che ha concesso la tutela d’urgenza al terzo che, affermatosi titolare
di un diritto sul bene oggetto di sequestro giudiziario, non abbia avuto altre possibilità di tutela
contro tale provvedimento. Pur non potendosi accedere a tale lettura, è indubbio che questa, ed
altre consimili pronunce, costituiscono un’utile e proficua provocatio alla ricerca di un efficace
strumento di tutela delle ragioni dei terzi contro il pregiudizio ‘da attuazione’ di una misura
cautelare.
10
170
l’attuazione delle misure cautelari
quello specifico bene, sotto il profilo strutturale atteggiandosi proprio come
un sequestro giudiziario11. Nulla esclude dunque che anche in riferimento a
tale bene un terzo vanti un diritto incompatibile e prevalente nei confronti
delle parti del giudizio ordinario di revocatoria ex art. 2901 c.c.
Nel sequestro conservativo disposto invece ai sensi dell’art. 2905, comma
1°, c.c., problemi di tal genere non si pongono. I beni oggetto del vincolo
non sono indicati nel provvedimento autorizzativo poichè non rilevano nella
loro individualità ma solo per il valore di realizzo all’esito della vendita o
assegnazione forzata, con la conseguenza che problemi di corretta identificazione sono configurabili esclusivamente nella successiva fase di apposizione
del vincolo.
Veniamo adesso al pregiudizio derivante direttamente dall’“attuazione”
del provvedimento autorizzativo.
Anche la concreta attuazione di un sequestro giudiziario12 o conservativo
può infatti, per un errore nell’identificazione del bene, colpire un terzo che ne
vanti la proprietà o altro diritto prevalente ed incompatibile.
L’evenienza è stata oggetto d’indagine anche prima dell’introduzione del
procedimento cautelare uniforme, quando l’intervento principale del terzo nel
giudizio di convalida13 era soluzione privilegiata dagli interpreti. Non era invece ritenuta ammissibile l’opposizione di terzo ex art. 619.14
V. amplius Conte, Il sequestro, cit., p. 1026 ss.
Pototschnig, L’attuazione, cit., p. 783. L’a. rileva che anche per il sequestro giudiziario, che
può svolgersi con le forme previste per l’esecuzione per consegna o rilascio, vale l’eventualità,
prospettata dalla più attenta dottrina, di un errore dell’ufficiale procedente nell’identificazione
del bene, tale da legittimare un’opposizione ex art. 619. A tal proposito, espressamente, Luiso,
L’esecuzione, ultra partes, cit., p. 406 ss. e Diritto processuale civile, cit., III, p. 273 ss.
13
Oltre che un’azione di accertamento negativo o di rivendica dei beni sequestrati, evidentemente sempre possibile: Tommaseo, Sull’inammissibilità della sospensione cautelare dell’efficacia del sequestro, in Nota a P. Milano, 19 agosto 1986, in Giur. it., 1987, I, 2, c. 81 ss;
Bianco, Inammissibilità del ricorso all’art. 700 c.p.c. di un terzo nell’ambito del procedimento
di sequestro, Giur. mer., 1981, I, p. 364 ss; Cass. 26 marzo 1981, n. 1777; Cass., 11 luglio 1967,
n. 1709. In generale, a favore del riconoscimento della legittimazione del terzo, i cui beni siano
stati erroneamente assoggettati al sequestro, a rivendicarli con autonoma azione nei confronti
del debitore e del creditore precedente, si registra l’autorevole opinione espressa da Satta in
Commentario cit., p. 220.
14
Per tutti Vullo, L’attuazione, cit., p. 306ss. Una certa frangia di dottrina e giurisprudenza però,
forse cogliendo l’inadeguatezza dell’affidare la tutela di un soggetto estraneo al procedimento
ma ingiustamente leso dai suoi esiti aberranti, ad un giudizio ordinario, ammetteva anche il
ricorso alla procedura d’urgenza ex art. 700 c.p.c. In questo modo, si rendeva infatti possibile
la paralisi degli effetti distorti dell’“attuazione” del sequestro, ove ne derivasse al terzo un pregiudizio imminente ed irreparabile: così Biavati, Note sulla tutela del terzo, cit., p. 1014 ss; Id,
Errata esecuzione del sequestro e tutela cautelare del terzo, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1983,
p. 1416 ss.; P. Brescia, 26 marzo 1979, in Foro. it., 1980, I, c. 2939 ss.; P. Bergamo, 21 ottobre
1968, in Giust. civ., 1969, I, p. 359. V.amplius. Cap. I. I critici di questa impostazione tuttavia
non mancavano perché, pur essendo la tutela d’urgenza più efficace di quella ordinaria del giudizio di convalida, era comunque subordinata alla dimostrazione di un pregiudizio imminente
ed irreparabile in capo al terzo: così Levoni, Ancora qualche notazione sulla tutela del terzo
11
12
Capitolo 4 – La tutela delle parti e dei terzi
171
La soluzione al problema, assente nella legislazione anteriore al 1990, non
trova espressione testuale neppure nell’attuale normativa ridefinita dalla riforma del 1990, rimanendo perciò ancora esclusivo appannaggio degli interpreti.
La ricerca è oggi indirizzata verso strade in parte diverse da quelle già percorse sia per la scomparsa del giudizio di convalida, che sembrerebbe richiamare
in causa proprio l’opposizione ex art. 619; sia per la presenza degli artt. 669
novies e 669 duodecies che, senz’altro applicabili ai sequestri, si prestano a divenire punto di riferimento per l’identificazione di una nuova sede di elezione
della tutela di terzi estranei al procedimento e tuttavia da esso pregiudicati.15
La possibile soluzione passa ancora una volta per la verifica dell’idoneità
dell’art. 669 duodecies, che demanda al giudice della cautela, cui compete il
controllo sull’attuazione, la risoluzione di difficoltà e contestazioni, a riempire la lacuna normativa.
La risposta sembra essere, almeno in parte, positiva: la formulazione estremamente elastica della disposizione non esclude che tra le contestazioni ivi
previste rientri anche la doglianza del terzo sull’errata identificazione del bene
su cui il giudice, sentite anche le parti originarie, ben potrebbe in prima battuta
rendere ordinanza (con cui eventualmente escludere il bene stesso dal vincolo). E poiché il pregiudizio del terzo non discende dal contenuto della misura
pregiudicato da un sequestro illegittimamente eseguito, AA.VV., Studi in onore di Crisanto
Manduali, I, Milano, 1995, p. 571.
15
In particolare, nell’interpretazione estensiva dell’art. 669 novies è stato ravvisato lo strumento per offrire ai terzi la possibilità di difendersi adducendo la mancanza di una valida ed efficace
esecuzione del sequestro in quanto incidente su beni diversi da quelli indicati nel provvedimento di autorizzazione (nel caso di sequestro giudiziario). Di qui la possibilità di farne valere
l’inefficacia ai sensi dell’art. 669 novies e, in corso di procedura, di chiedere ex art. 700 c.p.c.
l’anticipata cessazione degli effetti del vincolo sui beni illegittimamente sottoposti ad esso:
così Pototsching, L’attuazione, cit., p. 788. L’idea dell’uso, in corso di procedura ex art. 669
novies, del rimedio di cui all’art. 700 c.p.c., del resto, trova corrispondenza nella possibilità,
normativamente prevista, che il giudice adotti, in quella sede, i provvedimenti ex art. 669 decies
(Levoni, Ancora qualche notazione, cit., p. 579 ss., Santulli, op. cit., p.16, in riferimento al sequestro conservativo); Consolo, Intervento del terzo, cit., p. 187 ss, ha invece proposto il ricorso
all’art. 619 c.p.c. Molto suggestiva appare la posizione espressa da Pototsching, L’attuazione,
cit., cui non potrebbero obiettarsi né la tassatività delle ipotesi di inefficacia, né l’inutilizzabilità dell’art. 700 per anticipare, rispetto al momento della sua declaratoria, la cessazione del
vincolo sul bene, dato che quest’ultimo non andrebbe ad intaccare gli effetti fisiologici di altra
pronuncia (è uno degli argomenti “classici” di contrasto al ricorso alla tutela d’urgenza in casi
come quelli de quibus: v. Tommaseo, I provvedimenti, cit., p. 184 ss), ma più semplicemente ad
incidere su una situazione materiale (che si è rivelata) pregiudizievole proprio a causa di una
aberratio di quegli effetti. Se proprio volesse ravvisarsi una interferenza della tutela urgente
con gli effetti di altra pronuncia giudiziale, essa consisterebbe perciò, al più, nel riportarne al
suo alveo naturale l’attuazione, quale effetto mediato della tutela cautelare riconosciuta alla
posizione protetta di un terzo. Quanto poi alla necessità che questi deduca un pregiudizio imminente ed irreparabile, ciò non incide sulla qualità della sua tutela, ma, al contrario, costituisce
l’interesse alla rimozione urgente degli effetti pregiudizievoli (è l’obiezione di Levoni, op. cit.,
p. 571. Se il terzo non vantasse alcun pregiudizio imminente ed irreparabile, non avrebbe alcun
diritto alla tutela cautelare, e potrebbe attendere gli esiti del giudizio di merito).
172
l’attuazione delle misure cautelari
ma da una aberratio nella sua “attuazione”, l’intervento correttivo del giudice
non incide sul contenuto del provvedimento, in caso di sequestro giudiziario e
di sequestro conservativo ex art. 2905, comma 2, c.c16
Se tuttavia attorno alla questione della corretta identificazione del bene
non si aggrega comunque il consenso delle parti e del terzo, la situazione si
complica perché la sede “attuativa” diviene insufficiente.
Qui si discute infatti della prevalenza/opponibilità del diritto di un terzo su
un bene che un creditore pretende sottoporre a vincolo almeno fino all’esito
del giudizio di merito, sicchè il carattere cautelare del sequestro non appare
in sé capace di distinguere, sotto il profilo dell’intensità del pregiudizio cui il
terzo stesso va incontro, questa ipotesi da quella del pignoramento piuttosto
che della consegna/rilascio in presenza di un titolo esecutivo.
Una sedes solo cautelare non appare dunque sufficiente occorrendone una
che consenta l’accertamento pieno dell’esistenza del diritto sul bene inciso in
capo al terzo piuttosto che al presunto debitore (o anche solo dell’opponibilità
al creditore sequestrante, in caso di sequestro conservativo).
Nel processo esecutivo lo strumento ad hoc è quello dell’opposizione ex
art. 61917 che, proposta al giudice dell’esecuzione (perché è davanti a lui che si
svolge l’esecuzione diretta fonte del pregiudizio del terzo) consente in primis
la possibile sospensione delle operazioni e poi sia lo sbocco dell’accordo tra le
parti che, in difetto, l’accertamento pieno delle posizioni coinvolte.
Nel previgente regime dell’attuazione dei sequestri operava invece il giudizio di convalida che consentiva, ex multis, la verifica della correttezza delle
operazioni attuative (nel termine di perenzione) attraverso un giudizio di cognizione piena ed esauriente, che sotto tale profilo si rivelava particolarmente
utile dato il coinvolgimento di diritti di terzi.
La logica però è la stessa perché, al netto delle differenti tecniche adottate, nell’un caso e nell’altro era consentita la verifica della correttezza delle
operazioni di perfezionamento del vincolo in una sede di cognizione piena ed
esauriente, cioè in grado di ospitare la funzione dichiarativa indispensabile
alla verifica dei diritti insistenti sul bene18.
In caso di sequestro conservativo, attesa la diversa considerazione che i beni vi assumono,
il problema neppure si pone, i beni essendo individuati solo al momento della costituzione del
vincolo.
17
V., per tutti, Luiso, Diritto processuale civile, III, Milano 2010, 270 ss; Capponi, Manuale
cit., p. 355 ss e passim; Vaccarella, Opposizione di terzo all’esecuzione, in Titolo esecutivo,
precetto, opposizioni, in Giurisprudenza sistematica di diritto processuale civile, diretta da
Proto Pisani, Torino, 1993, p. 315 ss.
18
Esigenza avvertita anche da chi, come Vullo, L’attuazione, cit., p. 323 ss, opta per un intervento del terzo nel giudizio di merito. A me pare tuttavia che i profili dell’appartenenza del bene
siano estranei al thema decidendum del giudizio di merito, sicchè l’intervento del terzo sarebbe
difficilmente giustificabile, trattandosi di situazione ben diversa da quelle che ne consentono
l’intervento ad excludendum ex art. 105, prima parte. Mancherebbe inoltre il meccanismo di
possibile sospensione delle operazioni che coinvolgono il bene, garantito invece sia dall’opposizione ex art. 619 che dell’art. 669 novies, su cui v. infra nel testo.
16
Capitolo 4 – La tutela delle parti e dei terzi
173
In che modo tale logica, rimasta immutata, può essere realizzata nell’attuale contesto dell’attuazione dei sequestri?
A me pare che le due alternative possibili siano quella dell’opposizione
ex art. 619 che, come già rilevato, sembra richiamata in causa proprio dalla
scomparsa del giudizio di convalida19; e l’utilizzo, sia pure in via estensiva
nei termini che saranno precisati, della dichiarazione di inefficacia prevista
dall’art. 669 novies.
Il primo capo dell’alternativa imporrebbe la reinterpretazione dell’opposizione in riferimento alla competenza, che non dovrebbe essere del giudice
dell’esecuzione (inesistente: ritorna qui la rilevanza del contesto cautelare,
e dunque del limite di applicabilità del rinvio agli artt. 677 e segg.) ma del
giudice del sequestro.
Il secondo capo importerebbe invece una interpretazione estensiva dell’art.
669 novies, atteso che non sempre la sottrazione del bene al vincolo, scopo
perseguito dal terzo, ridonda in causa dell’inefficacia dell’intero sequestro,
che ben potrebbe ancora legittimamente insistere su altri beni.20 Sicchè qui
l’inefficacia si mostrerebbe come solo soggettiva, cioè nei confronti, appunto,
del terzo, realizzando una logica più vicina a quella dell’opposizione dell’art.
619 (ma anche dell’opposizione ex art. 615, comma 2° rispetto all’esecutato)
che a quella immaginata dall’art. 669 novies che, nel riferirsi ad ogni causa
di inefficacia della misura, ha riguardo al venir meno del vincolo nella sua
interezza21.
La soluzione avrebbe però il pregio di basarsi sull’utilizzo di uno strumento endocautelare, e dunque utilizzabile in virtù del richiamo dell’art. 669
quaterdecies all’applicabilità di tutte le disposizioni del rito uniforme; ed in
più consentirebbe al terzo stesso di realizzare il suo interesse ad ottenere una
dichiarazione di inefficacia del sequestro (non a tutto tondo ma solo) nella parte in cui colpisce un bene su egli accampa diritti, e diverso da quello
(correttamente) individuato nel provvedimento autorizzativo del sequestro
giudiziario o conservativo ex art. 2905, comma 2°, c.c., o su beni diversi da
quelli appartenenti al patrimonio del debitore nel sequestro conservativo ex
art. 2905, comma 1° c.c.
La procedura per la declaratoria di inefficacia offrirebbe inoltre anch’essa,
come l’opposizione degli artt. 615, comma 2° e 619 c.p.c., un duplice sbocco:
l’immediata esclusione del bene dal vincolo con ordinanza esecutiva se vi è
consenso delle parti sulla causa di inefficacia; e un ordinario giudizio di cognizione se la presenza di contestazioni rende necessario l’accertamento sul
diritto del terzo (con la connessa possibilità di ottenere l’anticipazione della
Si è infatti già rilevato (supra, nel testo) come essa attretrasse nel previgente regime proprio
per la presenza del giudizio di convalida.
20
È questo il caso del sequestro conservativo ove solo uno o alcuni dei beni colpiti si assumano
di un terzo, mentre il vincolo è correttamente posto su altri beni.
21
E che realizza la logica dell’art. 675.
19
174
l’attuazione delle misure cautelari
decisione favorevole al terzo ai sensi dell’art. 669 decies: così l’art. 669 novies, comma 2°).22 Nella sostanza dunque l’esito del procedimento ex art. 669
novies finirebbe con l’essere la sottrazione del bene al vincolo, con il vantaggio però che le contestazioni in ordine al diritto del terzo confluiscono nella
adeguata sede di un giudizio dichiarativo.
Infine. A me pare che anche per l’“attuazione” del sequestro conservativo
possano valere considerazioni analoghe a quelle emerse soprattutto in dottrina, sulla legittimazione dei terzi subacquirenti di beni già pignorati all’opposizione ex art. 619, proposta allo scopo di sottrarre i beni acquistati al vincolo
di un pignoramento per qualunque ragione invalido23.
Se infatti la validità del perfezionamento del sequestro conservativo è di
solito indifferente per il terzo perché suo interesse tipico non è inficiare il vincolo ma sottrarvi un bene che, in quanto oggetto di un suo diritto prevalente
ed incompatibile, è estraneo allo spettro della responsabilità patrimoniale, ciò
non vale per chi legittimamente soggiace al sequestro pur non essendo il presunto obbligato, ad esempio per aver acquistato un bene già sequestrato. In tal
caso infatti egli finisce per avere un interesse omologo a quello del sequestrato
sicchè non mi pare gli si possa negare la possibilità di allegare tutto lo spettro
di ragioni di invalidità della costituzione del sequestro che competono di solito proprio alla parte che (legittimamente) subisce il sequestro stesso.
Sezione II
La prospettiva dell’esecuzione forzata
(l’“attuazione” delle cautele anticipatorie)
Parte I
La tutela delle parti e dei terzi nell’attuazione
delle cautele di condanna pecuniaria
1. La tutela delle parti e dei terzi
Anche i profili di disciplina relativi alla tutela delle parti e dei terzi nei confronti della procedura attuativa delle cautele di pagamento deve preliminarmente confrontarsi con la scelta dell’art. 669 duodecies in parte qua in favore
del rinvio (sia pure) selettivo agli artt. 491 e segg.
In tale ultimo caso è inoltre possibile l’anticipazione del provvedimento finale di inefficacia
in virtù del richiamo dell’art. 669 novies, comma 2°, all’art. 669 decies.
23
V., si vis, Delle Donne, Sulla deducibilità con l’opposizione ex art. 619 c.p.c. dell’estinzione
del processo esecutivo e sulla legittimazione dell’esecutato poi fallito ad opporsi ex artt. 615 e
617 all’esecuzione singolare proseguita dal curatore ex art. 107 l. fall. , in Riv. es. forz. , 2011,
p. 139 ss, ove anche indicazioni bibliografiche di base.
22
Capitolo 4 – La tutela delle parti e dei terzi
175
Proprio tale rinvio complica infatti il quadro di questa procedura esecutiva rispetto a quello delle altre cautele “anticipatorie”, perché vi innesta un
autonomo subprocedimento (pignoramento/vendita forzata) caratterizzato da
un forte apporto della disciplina sostanziale, che plasma il pignoramento in
virtù degli effetti che esso irradia sulle situazioni giuridiche del debitore, dei
creditori e dei terzi, una volta chiusa la parentesi processuale.
Questo subprocedimento, pur essendo strumentale a realizzare la pretesa
del creditore cautelare, si caratterizza quindi per avere vita e problemi propri,
non afferenti direttamente e solamente al tipico thema decidendum di ogni
esecuzione forzata, vale a dire la verifica dell’attuale persistenza dell’inadempimento volontario e la determinazione delle modalità di quello coatto, come
accade negli altri casi.
Si ripropone perciò anche per gli artt. 615, 617 e 619 c.p.c., compresi nel
rinvio agli artt. 491 e segg. e recanti la disciplina dello spettro di difese che
l’esecutato ed i terzi a qualunque titolo coinvolti nella procedura possono
svolgere, la necessità di distinguere tra presupposti di sistema che allargano la
prospettiva all’applicazione anche di norme non richiamate, e limite di compatibilità con il contesto di riferimento che invece la restringe.
Tra i presupposti di sistema che qui vengono in immediato rilievo vi è
senz’altro quello del giudice dell’esecuzione, che sovrintende all’espropriazione in base a cautela di pagamento, ed i cui criteri di competenza territoriale
si intrecciano con l’individuazione degli ausiliari che ne sono protagonisti24.
Il contesto in cui collocare il tema della tutela delle parti e dei terzi nei
confronti dell’espropriazione forzata dell’art. 669 duodecies è invece quello
del processo cautelare disegnato dagli artt. 669 bis-terdecies.
Esso appare strutturato in una fase funzionalmente di cognizione in quanto
deputata alla valutazione dell’esistenza dei presupposti per l’emissione della
cautela (con le appendici del riesame e della modifica-revoca), ed in cui le
parti sono in posizione paritetica; ed una fase di esecuzione forzata, in quanto deputata alla realizzazione coatta del dictum in assenza di ottemperanza
dell’obbligato, e nella quale le parti sono in posizione di pretesa-soggezione.
Sicchè, nella verifica concreta di quali siano le difese spendibili ed i mezzi
destinati ad ospitarle occorre anzitutto valutare se il processo cautelare non sia
strutturato in modo tale da imporre regole diverse cui occorre fare capo.
Partendo senz’altro dall’applicabilità dell’art. 615 c.p.c. e dell’opposizione
all’esecuzione che codifica, ci si avvede subito25 che l’ambito di applicazione
si profila come residuale in virtù della presenza di specifiche sedi, cautelari o
di merito, idonee ad accogliere lo spettro di difese spendibili26.
Si tratta di un quadro complesso per un primo approccio con il quale si rinvia, per tutti, a
Capponi, Manuale, cit., 79 ss.
25
Luiso, in Consolo-Luiso-Sassani, Commentario, cit., p. 681; Saletti, Commento all’art. 669
duodecies c.p.c., in AA. VV., Provvedimenti urgenti, cit., p. 391.
26
Vullo, L’attuazione, cit., p. 168; Saletti, Le riforme, cit., p. 460.
24
176
l’attuazione delle misure cautelari
Così, ad esempio, le cause sopravvenute di inefficacia della misura andranno rilevate ai sensi dell’art. 669 novies,27
mentre gli errores in procedendo e/o in iudicando che inficiano il provvedimento cautelare alla radice (e che lo rendono inidoneo a fondare l’esecuzione forzata) trovano, secondo un’impostazione generale che si rinviene anche
nei rapporti tra titolo esecutivo giudiziale ed opposizione ex art. 615 c.p.c,
nella sede deputata al riesame la loro fisiologica collocazione, e vanno perciò
dedotti con il reclamo ai sensi dell’art. 669 terdecies28.
L’inesistenza del diritto a cautela del quale fu concesso il provvedimento è
infine oggetto del giudizio di merito29.
In parte diversa è l’opinione della Merlin, voce Procedimenti, cit., p. 427, nota 282, per la
quale l’opposizione all’esecuzione sarebba esperibile ove, venuta in essere una causa di inefficacia della misura, essa non sia stata ancora dichiarata ai sensi dell’art. 669 novies.
28
Verde-Di Nanni, Codice, cit., p. 504; Merlin voce Procedimenti, cit., p. 426; Vullo, L’attuazione, cit., p. 169. Per l’affermazione del principio nei rapporti tra sentenza e giudizio
di impugnazione, v., a titolo meramente esemplificativo, Furno, Disegno sistematico delle
opposizioni nel processo esecutivo, Firenze, 1942; Garbagnati, voce Opposizione all’esecuzione (dir. proc. civ.) Noviss. Dig. It., XI, Torino, 1976, 1068 ss; Vaccarella, Titolo esecutivo,
precetto, opposizioni, cit., p. 243 ss.; per il rilievo che, ove il fatto estintivo, modificativo o
impeditivo sia sorto durante il termine per l’impugnazione (escluso il ricorso per cassazione), questa concorra con l’opposizione all’esecuzione, Luiso, Diritto processuale civile, cit.
III, p. 244 ss; Oriani, voce Opposizione all’esecuzione, in Dig.it., disc. priv., sez. civ., XIII,
Torino, 1995, p. 585 ss.
29
Di recente l’utilizzabilità dell’opposizione ex art. 615 per contestare l’inesistenza del diritto cautelato, e per questa via il diritto di procedere ad esecuzione forzata, è stata proposta
alla luce delle modifiche dell’art. 669 octies che, com’è noto, hanno reso solo facoltativo il
giudizio di merito. Secondo questa impostazione non essendo più necessariamente prevista
una sede ad hoc per ottenere l’accertamento negativo del diritto cautelato; ed essendo comunque la cautela priva di stabilità; qualsiasi sua ragione di ingiustizia, compresa quella derivante
dall’inesistenza della posizione soggettiva cautelata, può essere fatta valere in qualunque sede,
compresa quella dell’art. 615 c.p.c. (così, in particolare, Tiscini, I provvedimenti decisori senza
accertamento, cit, p. 157 ss). La conclusione, nei termini in cui è formulata, si attaglia perfettamente a provvedimenti sommari privi della stabilità derivante dal giudicato e cui la legge
riconosce la qualità di titoli esecutivi. Si pensa, in particolare, all’ordinanza ex art. 19 del d.
lgs. n. 5/2003, ove l’inidoneità a formare giudicato sostanziale (ma solo formale) da un lato; e
la possibilità di appello in via esclusiva dall’altra; alterano i tradizionali rapporti esistenti, per
i titoli giudiziali, tra motivi di gravame e motivi di opposizione all’esecuzione. I due rimedi si
pongono infatti, per scelta dell’art. 19 cit. che opta per una operatività limitata del principio di
conversione dei vizi di nullità in motivi di impugnazione (art. 161, comma 1°), in posizione di
sequenzialità: finchè sono pendenti i termini per l’appello, tutti i vizi e le ragioni di ingiustizia
del provvedimento-titolo esecutivo sono ivi denunciabili; scaduti i termini, il provvedimento
va incontro al giudicato formale sicchè l’invalidità resta preclusa, ma l’ingiustizia è ancora
sine die denunciabile in ogni sede, compresa quella dell’opposizione all’esecuzione, appunto.
La confluenza dei profili di ingiustizia del dictum da eseguire nell’alveo del giudizio di opposizione all’esecuzione appare dunque conclusione sostenibile nel contesto dei provvedimenti
condannatori assisiti dall’esecuzione forzata del Libro III del c.p.c. se una scelta del legislatore
ordinario, come quella consacrata nell’art. 19 cit., ridisegna i confini tra motivi spendibili solo
nelle sedi impugnatorie (ingiustizia/invalidità del provvedimento) e motivi spendibili in sede di
opposizione all’esecuzione. Nessuna di queste due condizioni è tuttavia riscontrabile nel processo cautelare. Qui infatti i motivi di ingiustizia/invalidità del provvedimento erano da sempre,
27
Capitolo 4 – La tutela delle parti e dei terzi
177
I fatti sopravvenuti che incidono, elidendolo, sul diritto di procedere ad
esecuzione forzata (ad esempio, il pagamento) esulano invece dalle sedi dichiarative cautelari perché rappresentano il tipico thema decidendum dell’esecuzione forzata. E poiché quest’ultima si svolge davanti al giudice dell’esecuzione che in quanto tale ha predeterminati e limitati poteri di valutazione del
merito di questa e di ogni altra questione, non può che dedursene l’utilizzabilità dell’opposizione all’esecuzione ex art. 615.30
Applicando inoltre la sistematica dell’inesistenza del provvedimento (derivante dalla mancata sottoscrizione del giudice, ma anche dalle altre ipotesi
enucleate dalla giurisprudenza) anche al nostro contesto, occorre aggiungere
che tale vizio, ove non allegato in sede impugnatoria, può indifferentemente
farsi valere in ogni sede in cui venga in rilievo il profilo dell’(in)esistenza del
provvedimento, e dunque anche in sede di opposizione all’esecuzione.
Restano ancora come appartenenti all’ (astratta) area di operatività di
quest’ultima l’impignorabilità dei beni31 e, secondo una dottrina,32 la eccessività del cumulo dei mezzi di espropriazione. Si tratta stavolta di due profili
non afferenti al thema decidendum tipico dell’esecuzione forzata ma al subprocedimento di pignoramento-vendita in cui questa particolare esecuzione
forzata si risolve.
e restano anche in costanza del nuovo regime, appannaggio del rimedio impugnatorio (art. 669
terdecies), e di quello della modifica-revoca ex art. 669 decies, l’uno successivo all’altro. Al
contrario, l’(in)esistenza del diritto non rileva mai in via diretta, ma solo attraverso il filtro della
valutazione in termini di fumus rimessa al giudice di prime cure, dell’impugnazione o della
modifica-revoca ex art. 669 decies, appunto. Essa appare altresì in grado di incidere concretamente sulla esecuzione forzata cautelare solo se accertata in sentenza e comunque all’esito del
procedimento previsto dall’art. 669 novies. Quanto poi al giudizio di merito, esso non è oggi,
né è mai stato in passato, tra le sedi deputate alla denuncia dell’ingiustizia (e/o dell’invalidità)
della cautela, ciò che invece accadeva, ad esempio, per il giudizio di convalida del sequestro,
e non è dunque in alcun modo fungibile, sotto il profilo del thema decidendum, con il reclamo.
La circostanza che possa anche mancare, in ossequio al nuovo tenore dell’art. 669 octies, non
altera allora l’area dei motivi spendibili in fase di impugnazione, come accade invece nel caso
dell’ordinanza ex art. 19 cit.
30
Occorre rilevare che il pagamento può configurarsi sia quale fatto estintivo del diritto cautelato sia quale fatto estintivo del diritto di procedere ad esecuzione forzata. A me pare perciò che,
applicando lo schema dei rapporti tra allegazione delle sopravvenienze in sede impugnatoria (o
di modifica/revoca, che secondo la lex specialis degli artt. 669 decies e terdecies si pongono in
successione) ed allegazione delle stesse in sede di opposizione all’esecuzione, se il pagamento sopravviene in tempo utile perché si alleghi in sede di reclamo, va ivi allegato quale fatto
estintivo del diritto cautelato e perciò causa di revoca della cautela (Vullo, L’attuazione, cit., p.
175 in nota 134). Se però sopravviene in corso di esecuzione e spirati i termini per il reclamo,
occorre allegarlo in sede di opposizione all’esecuzione. Non mi sento perciò di concordare con
chi ne ritiene invece la deducibilità ai sensi dell’art. 669 decies, in sede di modifica/revoca,
perché il pagamento comporta l’esaurimento dei fini pratici della misura, ma non incide sulla
sua perdurante efficacia (così anche, condivisibilmente, Merlin, voce Procedimenti, cit., p. 426
e nota 283).
31
Merlin, voce Procedimenti, cit, p. 426.
32
Andolina, Profili della nuova disciplina dei provvedimenti cautelari in generale, in Foro. it.,
1993, V, c. 65 ss.
178
l’attuazione delle misure cautelari
In entrambi i casi è perciò impossibile rintracciare una sede ad hoc interna al processo cautelare (reclamo, revoca-modifica, inefficacia) o al giudizio
sul diritto cautelato, dovendosi senz’altro attingere al bacino di disciplina del
Libro III del c.p.c.; il che, applicato al profilo dell’eccessività del cumulo
dei mezzi di espropriazione, chiama in causa l’art. 483. Ecco allora un’altra
disposizione che, insieme a quella identificativa del giudice dell’esecuzione
pur non essendo compresa nel richiamo operato dall’art. 669 duodecies è da
ritenersi applicabile per ragioni di funzionalità di un sistema che, identificando l’esecuzione coatta con l’espropriazione, impone l’adozione di ogni
contromisura in grado, come quella qui in esame, di correggerne eventuali
eccessi o squilibri.
Per l’impignorabilità dei beni il discorso è in parte diverso. Qui, a differenza di quanto si è visto accadere nei sequestri33, la doglianza dell’esecutato che chieda la esclusione del bene dal vincolo in virtù della sua
particolare destinazione non ridonda a carico dell’efficacia della misura
e non consente perciò l’utilizzo dello schema dell’inefficacia che in quel
contesto si era ritenuto di adottare, sicchè l’opposizione all’esecuzione
ex art. 615, comma 2° appare l’unica sede in cui queste difese possono
essere spese.
Va infine rilevato come il limite di compatibilità riemerga in relazione ai
motivi spendibili, che sono limitati anche in virtù dell’inapplicabilità delle
disposizioni che codificano le formalità preliminari della notifica del titolo
esecutivo e del precetto, sicchè una opposizione a precetto non sarebbe, nel
nostro caso, configurabile.
Queste considerazioni valgono anche per l’opposizione ex art. 619, il cui
thema decidendum è strettamente collegato al subprocedimento pignoramento-vendita ed appare pertanto privo di una sedes di elezione all’interno del
procedimento cautelare o del giudizio di merito.
Il terreno dell’opposizione all’esecuzione per i motivi suddetti sia ex
art. 615 che 619 c.p.c. è quello in cui si profila una possibile intersezione
tra un istituto tipico dell’espropriazione, innestato nel contesto cautelare, e
la restante disciplina di questo processo: la possibile sospensione dell’esecuzione.
Di essa, in effetti, si occupa un’altra disposizione del processo cautelare,
quell’art. 669 terdecies34 c. 6 che permette la sospensione anche dell’efficacia
esecutiva della cautela solo in presenza di motivi sopravvenuti in grado di
fondare l’allegazione (e la prova) di un grave danno per la controparte del
beneficiario.
Giudiziario e conservativo correlato ad una azione revocatoria ex art. 2905, comma 2°, c.c.
in riferimento al bene individuato, o conservativo in riferimento a tutti i beni illegittimamente/
erroneamente colpiti dal vincolo: amplius supra, sez. I.
34
Di cui si è già detto supra, Cap. III, Sez. II, Parte I, § 1, a proposito della possibile sospensione della distribuzione indotta dall’apertura dell’espropriazione ad altri creditori.
33
Capitolo 4 – La tutela delle parti e dei terzi
179
L’art. 624 è invece la sedes della disciplina della sospensione nell’ambito
del processo esecutivo, ove è subordinata al riscontro di più generici “gravi
motivi”.
Sulla questione del possibile coordinamento tra le due discipline pesano,
a monte, da un lato l’obiettiva incertezza sulla latitudine dei criteri di valutazione che ispirano la sospensione ex art. 624, che non conoscono concordia di
vedute in dottrina35 e giurisprudenza; e dall’altro sulla stessa definizione del
“grave danno” imposto dall’art. 669 terdecies in parte qua36.
Prima di esaminare la questione, è però appena il caso di notare che la
fattispecie è diversa da quella, già esaminata, della possibile sospensione della distribuzione del ricavato a favore del beneficiario della cautela
in virtù della necessità di accertare, in apposite sedi dichiarative, i crediti di altri concorrenti nella medesima espropriazione (artt. 499, 510, 512
c.p.c.)37. Lì la sospensione (che attiene alla distribuzione dato il momento
processuale in cui i congegni descritti operano)38 è stata ritenuta senz’altro
inconciliabile con il contesto dell’attuazione cautelare in quanto precipitato di un modello processuale che consente un’inammissibile interferenza,
nell’iter di soddisfazione del creditore cautelare, delle vicende di soggetti
diversi dalle parti del rapporto cautelato con il provvedimento di condanna
pecuniaria.
Qui, viceversa, si tratta proprio dell’iter esecutivo iniziato dal beneficiario della cautela nei confronti dell’obbligato, ed in particolare di valutare la possibilità della rimodulazione delle reciproche posizioni alla
luce dell’inesistenza del provvedimento cautelare; o del sopravvenuto
pagamento; o ancora dell’ingiustizia del pignoramento per essere i beni
A chi, come Luiso, Diritto processuale, III, cit, 292 ss (seguito, sul punto, da Vullo,
L’attuazione, cit., p. 171 ss), ritiene che la valutazione riposi sulla sintesi di due elementi,
il fumus di fondatezza dell’opposizione da un lato; ed il pregiudizio patito dal creditore per
la sospensione del processo esecutivo, insieme al danno patito invece dall’esecutato per
la sua continuazione; si contrappone che invece individua le coordinate della valutazione
in modo affatto diverso, e segnatamente riferibile, ad esempio, alle condizioni personali o
patrimoniali delle parti (è questo un orientamento fatto proprio dalla dottrina meno recente:
v., ad esempio, Furno, La sospensione del processo esecutivo, Milano, 1956, p. 95 ss): v.
amplius Capponi, Manuale, cit., p. 372 ss, nonché Petrillo, Commento all’art. 624 c.p.c., in
Commentario alle riforme del processo civile, a cura di Briguglio e Capponi, III, Processo
di esecuzione, cit., p. 612 ss.
36
V. le ampie considerazioni di Olivieri, I provvedimenti cautelari nel nuovo processo civile
(legge 26 novembre 1990, n. 353), cit., p. 688 ss.
37
Ed è altresì diversa dall’ipotesi di possibile contestazione, in sede di opposizione all’esecuzione, dell’ingiustizia della cautela, di cui si è detto supra. Qui non si discute infatti non della
(in)giustizia della cautela, che si dà anzi per scontata nella sua portata generale, ma dell’ingiustizia dell’esecuzione, perché vi è stato un adempimento, o perché ha colpito beni estranei alla
garanzia patrimoniale.
38
Ma lo stesso è a dirsi per l’accantonamento di cui agli artt. 499, comma 6° e 510, che comunque impedisce per il momento la distribuzione di quanto sarebbe dovuto ai creditori per cui è in
corso l’accertamento nelle sedi ordinarie.
35
180
l’attuazione delle misure cautelari
colpiti sottratti al novero di quelli costituenti garanzia generica in virtù di
impignorabilità o dell’essere oggetto di diritti incompatibili e prevalenti
di un terzo.
L’ambito di applicabilità dell’art. 624 va allora vagliato nel consueto
quadro dei distinguo tra causae petendi che possono fondare l’istanza in
sede impugnatoria, e causae petendi estranee a tale ambito.
Ora, a me pare che, escluso per ragioni di sistema che l’opposizione
(dell’esecutato come del terzo) sia proponibile per motivi diversi da quelli individuati,39 la sospensione possa ed anzi debba chiedersi al giudice
dell’esecuzione per la semplice ragione che, sia pure per motivi diversi,
si è fuori dall’ambito fisiologico delle causae petendi che possono fondare la stessa richiesta ai sensi dell’art. 669 terdecies, comma 6°. Qui si
lamenta che, per ragioni sopravvenute è necessario soppesare diversamente i presupposti, periculum e fumus, che giustificarono l’emissione
della cautela in prime cure alla luce dell’emergere di un grave danno
derivante al reclamante anche in virtù del fumus di fondatezza dell’impugnazione40.
Nel caso in esame l’istanza di sospensione in alcun modo involge invece profili di (ri)esame dell’ingiustizia/invalidità della cautela, ma anzi
ne presuppone la piena vitalità perché si basa esclusivamente sul diverso
assunto dell’ingiustizia di un’esecuzione che prosegue nonostante ne sia
venuto meno il presupposto (inadempimento attuale) o coinvolga beni diversi da quelli validamente aggredibili (causa petendi ne sono circostanze
estranee al riesame impugnatorio). Nell’ipotesi di provvedimento inesistente, l’istanza di sospensione si basa poi su un vizio che sfugge alle regole dell’art. 161, comma 1° c.p.c. e torna dunque liberamente allegabile
in qualunque sede.
E men che mai per motivi attinenti all’inesistenza originaria o sopravvenuta del diritto
cautelato, sicchè neppure la sospensione potrebbe mai chiedersi per tali ragioni: così anche
Comastri, Commento all’art. 669 octies, in Commentario alle riforme del processo civile,
a cura di Briguglio e Capponi, cit., I, p. 164 ss. Inesistenza che, è bene ribadire, in materia
cautelare non rileva mai direttamente, ma è sempre filtrata dalla valutazione del fumus o in
sede di reclamo o in sede di modifica-revoca ex art. 669 decies. Il giudizio di merito, in altri
termini, non è mai una delle sedi deputate alla valutazione dell’ingiustizia o all’invalidità
della cautela, sicchè non appare fungibile con le sedi ad hoc. Le stesse conclusioni valgono
per ogni causa petendi che sia tipica delle sedi impugnatorie e che quindi resta preclusa con
la preclusione dell’impugnazione (il che nulla ha a che vedere con il riconoscimento alla
cautela di un’efficacia anche lontanamente paragonabile a quella del giudicato sostanziale,
che allo stato deve recisamente escludersi).
40
Olivieri, I provvedimenti cautelari, cit., p. 728, ritiene, ad esempio, che l’inibitoria possa
essere concessa anche in base ad una diversa valutazione del quadro fattuale che ha giustificato
l’emissione della cautela, mentre Vullo, L’attuazione, cit., p. 178, ritiene invece che necessitino
comunque nuovi fatti o emergenze. Ad ogni buon conto, comunque, è evidente che al giudice
del reclamo è richiesta una nuova valutazione dei presupposti di concedibilità della cautela, alla
luce del fumus dell’impugnazione.
39
Capitolo 4 – La tutela delle parti e dei terzi
181
Il provvedimento sarà poi reclamabile ai sensi dell’art. 669 terdecies, ai
sensi dell’art. 624, comma 2°.41
Il catalogo delle parentesi di cognizione del processo esecutivo comprese nel richiamo agli artt. 491 e segg si conclude con l’opposizione agli atti
prevista dall’art. 617 c.p.c.. Essa assurge nella realtà applicativa dei processi
esecutivi del Libro III del c.p.c. a generale mezzo di controllo della regolarità
formale della procedura e della congruità ed opportunità delle scelte effettuate
dal giudice e trasfuse in atti del processo, da parte di chiunque vi abbia interesse.42
Nel contesto dell’attuazione cautelare la regolarità della procedura, intesa come corrispondenza al modello descritto nelle norme che la disciplinano, assume specifico rilievo proprio in riferimento al subprocedimento di
pignoramento/vendita, che ha una sua propria autonomia e coerenza interna
in ragione dei molti profili di diritto sostanziale che involge sia sul piano
oggettivo che soggettivo. L’opposizione dell’art. 617 si rivela allora l’unica sede nella quale questi profili estranei alle sedi “dichiarative” cautelari
(reclamo, modifica – revoca, inefficacia) e di merito (esistenza del diritto
cautelato) ma tipici della sola espropriazione, possono essere affrontati e
risolti. Del pari, deve ritenersi possibile la sospensione della procedura ai
sensi dell’art. 618, comma 2°.43
Il limite di compatibilità con il contesto cautelare di riferimento riemerge
però in riferimento alla scelta dei motivi spendibili a sostegno dell’ opposizione.
Deve cioè ritenersene esclusa la praticabilità in riferimento alle nullità delle formalità preliminari (notifica del titolo e del precetto), essendosene esclusa
l’applicabilità all’attuazione cautelare.
Infine. Si è già rilevato che la necessità sistematica di coordinare l’azione
del creditore cautelare con altre eventuali iniziative processuali di creditori titolati impone di incanalare, a seguito della riunione, tutte le procedure
nell’alveo dell’espropriazione regolata in toto dal Libro III del c.p.c.. Ove ciò
accada, i margini di utilizzabilità delle opposizioni esecutive anche da parte
dell’esecutato in base a cautela di pagamento si riespandono fino al limite
ultimo consentito nel loro contesto naturale di elezione44.
Nel testo attualmente vigente e risultante dalle modifiche apportatevi, da ultimo, dall’art. 18
della l. n. 52/2006.
42
Sull’opposizione agli atti esecutivi, si rimanda, per tutti, all’ampia monografia di Oriani,
L’opposizione agli atti esecutivi, Napoli, 1987.
43
Nel testo oggi vigente e risultante dalle modifiche operatene dall’art. 15 della l. n. 52/2006,
su cui amplius Luiso, Diritto processuale civile, cit., III, p. 292; Capponi, Manuale, cit., p.
367 ss.
44
Ciò vale anche per i margini della legittimazione passiva, che torna ad espandersi per coinvolgere tutti i creditori intervenuti muniti di titolo esecutivo, laddove invece nell’opposizione
all’esecuzione cautelare che qui si è ritenuto essere chiusa a tale intervento, la legittimazione
passiva deve ritenersi limitata al creditore cautelare.
41
182
l’attuazione delle misure cautelari
Parte II
La tutela delle parti e dei terzi nell’attuazione
delle cautele recanti prestazioni di fare-non fare-dare
1. Premessa: un approccio interpretativo di ampio respiro per un dato
normativo elastico
Il tema della tutela delle parti e dei terzi nei confronti dei provvedimenti resi,
ai sensi dell’art. 669 duodecies, dal giudice dell’attuazione delle cautele recanti prestazioni di fare-non fare-dare pone l’interprete di fronte ad uno scenario
completamente diverso da quelli appena evocati. Qui non è possibile contare
su caratteristiche funzionali/strutturali così marcate da imporre di calare la
dinamica della tutela delle parti e dei terzi negli schemi dell’inefficacia, come
è accaduto per i sequestri; e neppure occorre confrontarsi da vicino con un
unico complesso normativo, quello che disegna l’espropriazione forzata nel
Libro III del c.p.c., di cui si impone in parte l’innesto all’interno del processo
cautelare ed in parte la valutazione di compatibilità con le regole che lo governano e la ratio che le ispira, come è accaduto per le cautele di condanna
pecuniaria.
Il legislatore si è infatti limitato a stabilire che al giudice che ha emanato
il provvedimento cautelare compete, per quanto qui interessa da vicino, il potere di risoluzione di difficoltà e contestazioni, mentre “ogni altra questione è
riservata al giudizio di merito”.
L’interprete si trova allora nella condizione di dover riempire di contenuti
questa previsione estremamente elastica e di trovare soluzioni per i profili,
per lo più proprio attinenti alle modalità di tutela delle parti e dei terzi, non
regolati affatto.
L’assenza di una struttura processuale rigida e predefinita e del rinvio ad
uno specifico complesso normativo rendono le coordinate entro cui muoversi
molto meno stringenti di quelle finora esaminate.
Ciò che occorre tener presente è solo la natura di esecuzione forzata del
fenomeno, sicchè l’individuazione di una possibile disciplina può avvalersi
dell’osservazione di quanto accade in altri fenomeni esecutivi noti all’ordinamento, e dell’utilizzazione delle regole e delle soluzioni tecniche ed ermeneutiche invalse in quelli che esibiscono struttura simile a quella disegnata
dall’art. 669 duodecies in parte qua.
Il tutto, evidentemente, calato nel contesto complessivo del processo cautelare degli artt. 669 bis-terdecies, di cui l’attuazione è solo una fase.
Proprio la bussola dell’attuazione come esecuzione forzata, letta quale
semplice segmento del processo cautelare, consente di orientare, in via preliminare, la delimitazione dell’ambito delle contestazioni prospettabili al giudice dell’attuazione, escludendone anzitutto quelle relative all’ingiustizia o
invalidità del provvedimento concessivo o reiettivo della cautela, o alla mo-
Capitolo 4 – La tutela delle parti e dei terzi
183
difica – revoca in base a mutamenti nelle circostanze e/o sopravvenienze. In
tali casi la tutela è infatti assicurata dal legislatore cautelare in altrettante sedi
sia strutturalmente che funzionalmente di cognizione (artt. 669 decies e terdecies). Lo stesso è a dirsi per i profili attinenti all’esistenza del diritto cautelato,
che sono oggetto del giudizio di merito (rectius: del processo dichiarativo che
conduce alla tutela finale)45.
Diverso è invece il caso in cui si contesta che il procedimento attuativo è
in sé è viziato perché non adeguato alla situazione da realizzare; o che l’interpretazione della cautela è scorretta ai fini della sua realizzazione pratica.
Qui si discute infatti dell’an e/o quomodo di realizzazione della pretesa del
beneficiario in assenza di adempimento volontario, che è il tipico thema decidendum dell’esecuzione forzata: sono dunque queste le contestazioni che
l’art. 669 duodecies affida alla competenza del giudice dell’attuazione e che
l’interprete non può sottrarre al loro alveo naturale in assenza di diversa scelta
del legislatore46.
Sicchè al giudizio dichiarativo in prospettiva del giudicato non appaiano
automaticamente ascrivibili solo in quanto tali tutte le questioni che involgono attività cognitive se la cognizione ha, come nei casi appena esaminati,
carattere funzionalmente esecutivo,47 perché tale giudizio ha un oggetto
Della ritenuta insostenibilità della conclusione in favore dell’opposizione all’esecuzione in
ragione del regime di strumentalità attenuata introdotto nel 2005 per le cautele “anticipatorie”
con la modifica dell’art. 669 octies c.p.c. si è già detto. Qui può inoltre aggiungersi che la
soluzione contrasterebbe con la struttura assunta dall’esecuzione cautelare, caratterizzata dalla
concentrazione nel relativo giudice della cognizione di ogni difficoltà e contestazione, risolte
con ordinanza che, come si vedrà, può ritenersi reclamabile. Ragioni attinenti alla diversa struttura processuale ostano perciò alla soluzione nel caso delle cautele in discorso, come meglio
sarà chiarito infra.
46
Rectius, in presenza della precisa scelta legislativa di riservare la gestione globale dell’attuazione cautelare al giudice che ha reso il provvedimento.
47
Nella sua dimensione processuale l’enforcement (nella definizione funzionale adottata supra,
Cap. I, sez. I, § 3) si caratterizza sempre e naturaliter per la presenza di congegni funzionali alla
verifica dell’esistenza del binomio pretesa-soggezione ai fini dell’attivazione del meccanismo
complesso di attività, materiali come giuridiche, strumentali alla surrogazione dell’obbligato.
Ciò perché deve mostrarsi in grado di consentire da un lato la ricognizione della consistenza
della Normsituation da realizzare; e dall’altro l’asseverazione che il comportamento successivo
al dictum è contrario al suo contenuto precettivo o non lo realizza (del tutto o compiutamente).
È sotto questo profilo che i diversi modelli di esecuzioni forzate noti al nostro ordinamento si
divaricano, esibendo diversità anche notevoli nel modo di consentirne la (ri)cognizione e la
decisione. In riferimento all’archetipo delle esecuzioni forzate codificate dal Libro III del c.p.c.
costituisce acquisizione consolidata l’estraneità, alla organizzazione in forme processuali, della
componente cognitiva. L’affermazione merita però, alla luce delle premesse appena adottate,
una precisazione. Intesa quale valutazione della ricorrenza dei presupposti per l’emanazione
degli atti esecutivi la cognizione è infatti sicuramente riscontrabile nei processi del Libro III del
c.p.c. (v., per tutti, Luiso, Diritto processuale, cit., III, passim; Capponi, Manuale, cit., p. 43 ss
e passim). L’astrazione indotta in questi ultimi dalla presenza del titolo esecutivo la riduce però
alla soglia minima: il binomio pretesa –soggezione è già cristallizzato nel titolo di talché il solo
esame formale dello stesso basta a consentire il dispiegarsi delle attività dirette alla realizzazione materiale della pretesa. A loro volta, tali attività consistono in formalizzate operazioni di
45
184
l’attuazione delle misure cautelari
diverso e giammai confondibile con quello tipico di ogni sede tecnicamente
esecutiva.
2. I provvedimenti che fissano le modalità di attuazione ed il loro regime
di riesame in caso di aberrante interpretazione del provvedimento
È nel contesto appena evocato che occorre valutare se esista un rimedio generale che consenta il riesame dei provvedimenti resi, ai sensi dell’art. 669
duodecies, dal giudice dell’attuazione.
Nel processo cautelare il riesame nella forma del reclamo è testualmente
previsto dall’art. 669 terdecies, come corretto prima dalla Corte costituzionale e poi dal legislatore del 2005, nei soli confronti delle pronunce che concedono o negano la misura.48 Dei provvedimenti resi ex art. 669 duodecies,
sia quelli di fissazione delle modalità di attuazione sia quelli opportuni resi
su difficoltà e contestazioni, il legislatore cautelare invece tace, limitandosi
al riferimento all’audizione delle parti in sede attuativa prima che il giudice
emetta ordinanza.
Diversa appariva invece la formulazione dell’art. 23, comma 5°, del d. lgs.
n. 5/2003 sul processo societario, oggi abrogato, che nel prevedere il reclamo
ex art. 669 terdecies contro tutti i provvedimenti in materia cautelare aveva,
nell’interpretazione dei più, generalizzato il rimedio anche ad ogni provvediinvasione forzosa della sfera giuridica dell’obbligato che in alcuni casi, per la loro semplicità,
neppure coinvolgono il giudice dell’esecuzione (v., per tutti, ancora Sassani, Dal controllo del
potere, cit., p. 19 ss, ove anche i necessari riferimenti bibliografici). Ogni contestazione in
ordine agli aspetti tipici dell’enforcement già rilevati, e cioè la portata effettiva del dictum e la
reale esistenza di una inottemperanza allo stesso, confluisce nella separata sede dell’opposizione all’esecuzione, ove thema decidendum è l’esistenza del diritto di procedere ad esecuzione
forzata (art. 615 c.p.c.). È questa, a sua volta, una posizione di consistenza solo processuale e
giammai confondibile con l’an ed il quomodo della posizione giuridica sostanziale consacrata
nel provvedimento. Il giudizio disegnato dall’art. 615 ospita infatti la verifica di quegli aspetti
del binomio pretesa- soggezione che non risultano dal provvedimento-titolo (in senso documentale): per tutti, Luiso, Diritto processuale, cit., III, 31 ss e passim. Ciò non accade nelle
esecuzioni forzate non organizzate intorno al titolo esecutivo. In esse non è possibile forzare
la sfera giuridica dell’obbligato a prescindere dal suo consenso senza la previa ricognizione
dell’esistenza del binomio pretesa-soggezione.
Di questa diversa struttura di judicium executivum, storicamente la prima ad essere attestata
nell’esperienza giuridica, è archetipo il giudizio di ottemperanza alle sentenze del giudice amministrativo.
48
Su questo dato normativo si è poi innestata una giurisprudenza che ad oggi sembra in parte
orientata nel senso dell’esperibilità del mezzo anche contro i provvedimenti di modifica-revoca
resi ex art. 669 decies, sull’assunto della loro natura squisitamente cautelare. V., ad esempio, T.
Padova 12 novembre 1998, in Giur. it., 2000, p. 87, con Nota di Corsini; T. Milano 20 giugno
1997, in Giur. it., 1998, c. 1625; T. S.M. Capua Vetere 5 novembre 1996, in Foro. it., 1997, I,
c. 1634, con Nota di Mutarelli; T. S. Angelo dei Lombardi 5 maggio 2002, in Giur. mer., 2002,
p. 936; T.Torino 20 novembre 2001, in Giur. it., 2002, p. 1405; v. invece contra T. Messina 29
novembre 2005, in Giur. mer., 2007, p. 377; T. Milano 29 agosto 2002, in Giur. it., 2003, p.
2087.
Capitolo 4 – La tutela delle parti e dei terzi
185
mento reso in sede di attuazione. La formula generalizzante non è stata tuttavia, a differenza di altre soluzioni tecniche sperimentate nel rito societario,
estesa anche all’ambito del procedimento cautelare del c.p.c.
Occorre allora chiedersi a quale rimedio sia affidata la tutela delle parti che
intendano dolersi di questi provvedimenti.
La giurisprudenza di merito ha dato il suo contributo.
Sulla premessa che i provvedimenti ex art. 669 duodecies siano integrativi della misura da eseguirsi, ne ha ritenuto l’assoggettabilità alla medesima
disciplina. Ha perciò affermato la reclamabilità del provvedimento di diniego
della determinazione delle modalità di attuazione,49 nonché la irreclamabilità
del provvedimento positivo reso ex art. 669 duodecies ma già in sede di reclamo, attesa la inoppugnabilità di questi provvedimenti,50 e la non revocabilitàmodificabilità ai sensi dell’art. 669 decies, in assenza, nel caso di specie, dei
presupposti previsti da quest’ultima norma.51
Della soluzione, ma prima ancora dell’impostazione del problema, è tuttavia lecito dubitare52 proprio alla luce della fisionomia positiva del processo
cautelare (in relazione specifica alle misure qui in esame).
Si è infatti già rilevato53 come esso esibisca una fase sia strutturalmente che
funzionalmente di cognizione, in quanto deputata alla valutazione dell’esistenza dei presupposti per l’emissione della cautela (con le appendici del riesame
e della modifica-revoca: artt. 669 decies e terdecies), ed in cui le parti sono in
posizione paritetica; ed una fase di esecuzione forzata, in quanto deputata alla
realizzazione coatta della pronuncia in assenza di ottemperanza dell’obbligato, e nella quale le parti sono in posizione di pretesa-soggezione.
Si tratta di fasi strutturalmente distinte e caratterizzate da diversi presupposti e diversi themata decidenda. In particolare l’attuazione, in quanto fenomeno tecnicamente esecutivo, contiene quale elemento naturale la ricognizione del contenuto precettivo54 da realizzare, in ciò annidandosi margini più o
meno ampi di errore cui occorre apprestare rimedio.
T. Latina 5 dicembre 1997, cit.; T. Bari 29 febbraio 1996, in Foro. it., 1996, I, c. 2914.
T. Roma 17 aprile 1997, cit.
51
T. Padova 16 agosto 2002.
52
Di questo topos è traccia anche in quella dottrina per la quale il giudice, nel dettare i parametri
attuativi e nel rendere i provvedimenti opportuni all’esito di difficoltà e contestazioni, incide
sempre, pur in mancanza dei mutamenti richiesti dall’art. 669 decies, sul contenuto precettivo della cautela, atteso che al suo interno non sarebbe distinguibile in modo netto la fase di
cognizione da quella di attuazione : v. Montesano-Arieta, Il nuovo processo civile. Legge n.
353/1990, Napoli, 1991, 147.
53
Amplius supra, parte I.
54
Nel senso chiarito supra, § precedente.V. inoltre, ad esempio, Cons. Stato 6 ottobre 1999, n.
1299, in Cons. Stato, 1999, I, p. 1641; Cons. Stato 28 dicembre 1999, n. 1963, in Foro amm.,
1999, p. 2438, che ha chiarito come spetti in ogni caso al giudice dell’ottemperanza procedere
alla ricognizione del contenuto della decisione da eseguire, con riferimento allo stesso quadro
processuale che ha costituito il substrato materiale e giuridico della sentenza.
49
50
186
l’attuazione delle misure cautelari
La conferma arriva dall’osservazione di altri processi esecutivi noti all’ordinamento: nel giudizio di ottemperanza alle sentenze del giudice amministrativo è considerata, ad esempio, appellabile la sentenza pronunciata, per
quanto qui di interesse, sulla portata precettiva della sentenza (di annullamento dell’atto illegittimo) da eseguire55.
Ma anche nel modello ove la presenza del titolo esecutivo riduce al minimo l’ambito della (ri)cognizione, l’esecuzione di cui all’art. 612 c.p.c., l’ordinanza con cui il giudice fissa le relative modalità è per diritto vivente ritenuta
appellabile quando si lamenta che abbia travalicato o frainteso il contenuto
precettivo della sentenza da eseguire.56
In due modelli processuali tra loro lontanissimi per struttura è dunque dato
riscontrare, al di là dell’inconciliabilità dei percorsi seguiti, una stessa conclusione: e cioè che i provvedimenti resi per la determinazione delle modalità
esecutive, in quanto funzionali all’interpretazione del dictum da eseguire, vanno sottoposti a riesame nella misura in cui si assuma che ne abbiano travalicato la reale portata precettiva. Ed in entrambi, per contro, se i provvedimenti
stessi si mantengono nel loro alveo naturale non sono soggetti a riesame.57
Cons. Stato 6 ottobre 1999, n. 1329, in Foro amm., 1999, p. 2069; Cons. Stato 10 febbraio
1998, n. 153, in Foro amm., 1998, p. 412; Cons. Stato sez. IV, 28 luglio 1998, n. 1121, in Cons.
Stato, 1998, I, p. 1130 ha ritenuto appellabile la sentenza di ottemperanza attributiva di diritti
non strettamente dipendenti dal giudicato. Cons. Stato, sez. IV, 8 maggio 1995 n. 324, in Giur.
it., 1996, III, 1, c. 94, ha infine ritenuto l’appellabilità della sentenza resa in sede di ottemperanza che abbia pronunciato sulla avvenuta esecuzione del giudicato, sul carattere elusivo o
meno dei provvedimenti adottati dall’amministrazione e sulla fondatezza delle pretese azionate
in asserita esecuzione del giudicato e quando infine contengano statuizioni aberranti o estranee
ad esso.
56
La giurisprudenza di legittimità applica il consolidato principio, di cui essa stessa ha delineato i contorni, della prevalenza della sostanza sulla forma: poiché l’ordinanza che il giudice
dell’esecuzione ha reso ex art. 612 ha in concreto assunto un contenuto che va la di là di quello
suo proprio perché ha travisato la portata precettiva della sentenza da eseguire, essa assume la
sostanza di una sentenza; e precisamente della sentenza resa all’esito del giudizio (strutturalmente di cognizione ma funzionalmente esecutivo) deputato all’interpretazione del dictum da
eseguire, cioè l’opposizione ex art. 615. Come tale va dunque trattata quanto a regime di impugnazione: Cass. 18 marzo 2003, n. 3992, in Riv. es. forz., 2004, p. 251; Cass. 18 marzo 2003, n.
3990, in Foro. it., 2003, I, c. 2034; Cass. 1 febbraio 2000, n.1071, in Foro. it., 2001, I, c. 1028,
con Nota di Fabiani; Cass. 27 agosto 1999, n.9012; Cass. 10 febbraio 1994, n. 1365; Cass.10
aprile 1992, n.4407, in Foro. it., 1994, I, c. 2864, con Nota di Fabiani; Cass. 14 maggio 1991, n.
5370, in Foro. it., 1992, I, c. 1868; Cass. 21 agosto 1991, n. 8776; per il regolamento necessario
di competenza se l’ordinanza detti le modalità esecutive rigettando l’eccezione di incompetenza
si è invece pronunciata Cass. 21 novembre 1995, n.12022.
57
Nell’ambito dell’ottemperanza alle sentenze del giudice amministrativo, si esclude pacificamente dall’appello la sentenza (di ottemperanza) che contenga disposizioni meramente attuative del giudicato (v. amplius infra per i riferimenti); per parte sua l’ordinanza resa ex art.
612, fisiologicamente atto esecutivo attinente al quomodo dell’esecuzione dell’obbligo di faredisfare, è impugnabile, finchè si mantiene nei suoi limiti fisiologici, con l’opposizione agli atti
esecutivi, mezzo deputato appunto al controllo generale di tutti gli atti del processo esecutivo.
Si veda poi, di recente, Cass. 22 aprile 2009, n. 9599, in www.cortedicassazione.it, la quale parte dalla differenza tra contenuto fisiologico degli atti esecutivi e contenuto che invece vada al di
55
Capitolo 4 – La tutela delle parti e dei terzi
187
Il problema risolto è dunque lo stesso. Riguardato quale possibile superamento dei limiti del contenuto precettivo del provvedimento da eseguire, esso
si pone in modo identico, aprendo la via del riesame pieno, sia nel giudizio
di ottemperanza58 sia in un modello esecutivo in cui per definizione non è
là dei limiti legislativamente per essi fissati. La Corte ha infatti dichiarato l’inammissibilità di
un ricorso in Cassazione avverso un provvedimento con cui il giudice dell’esecuzione si era limitato, ex art. 609, a revocare un precedente ordine all’ufficiale giudiziario di asportare dei beni
mobili dallo stabile oggetto di rilascio forzato. Ciò in quanto tale provvedimento ha appunto la
natura fisiologica di atto volto al dettare disposizioni funzionali a superare difficoltà temporanee insorte nel rilascio, e non ha alcuna valenza di risoluzione di questioni relative all’an o al
quomodo dell’esecuzione forzata; esso non può dunque ritenersi impugnabile né in Cassazione,
né con l’opposizione all’esecuzione ex art. 615 né con quella agli atti esecutivi ex art. 617.
Occorre poi ricordare l’art. 70 del d. lgs. n. 546/1992 che, come già rilevato, reca la disciplina
dell’ottemperanza alle sentenze delle Commissioni tributarie, il quale dispone che la sentenza
resa in sede di ottemperanza è impugnabile solo con il ricorso in cassazione per violazione
delle norme sul procedimento. L’ambito dei motivi deve però comunque ritenersi esteso a tutti
quelli indicati dall’art. 360 c.p.c.: v, ad esempio, Cass. 8 febbraio 2008, n. 3057, per la quale la
censurabilità della sentenza di ottemperanza “per inosservanza delle norme sul procedimento”
di cui al comma 10 dell’art. 70 cit., deve intendersi in senso ampio, inclusivo non soltanto della
violazione delle norme disciplinanti appunto il giudizio di ottemperanza, ma anche di ogni altro
error in procedendo in cui sia incorso il giudice dell’ottemperanza, ivi compreso il mancato o
difettoso potere-dovere di interpretare ed eventualmente integrare il dictum costituito dal giudicato. Si veda inoltre anche Cass. 3 marzo 2005, n. 4596, per la quale la censura di cui al comma
10 dell’art. 70 cit. è esperibile contro ogni violazione di legge, sia essa regolatrice del processo
che del rapporto sostanziale. V. amplius su questi aspetti, anche per le relative citazioni, Tavormina, Note sull’esecuzione delle sentenze tributarie, in www.judicium.it.
58
Occorre qui una digressione esplicativa in riferimento alla tendenza, emersa anche nel recente Codice del processo amministrativo (ma già rivelatasi nell’art. 342 ter c.c. sugli ordini
di protezione contro gli abusi familiari, su cui v. anche cap. III, sez. II, parte II, § 1), a consentire che già il provvedimento dichiarativo rechi alcuni contenuti tradizionalmente tipici del
giudizio di ottemperanza, appunto. Si tratta, segnatamente, dell’art. 34 del Codice che, come
già rilevato (supra, cap. III, sez. II, parte II, § 1 in nota), prescrive che la sentenza dichiarativa
possa recare, oltre ai suoi contenuti tipici, anche l’indicazione delle misure idonee a consentire
la realizzazione del decisum da parte della PA e la nomina del commissario ad acta. Il che fa
dire a Sassani, Arbor actionum, cit, che “Al modello di processo di esecuzione a cognizione
integrata (ottemperanza), oggi si affianca il modello di processo di cognizione a esecuzione
integrata”. La conclusione trova una significativa consonanza in quanto già sostenuto anni
addietro da Montesano, I provvedimenti d’urgenza, cit., p. 118, che riguardo al contenuto del
provvedimento d’urgenza ex art. 700 c.p.c. affermava che “(…) il contenuto del provvedimento
del giudice corrisponde non soltanto a quello di una sentenza di condanna, ma anche a quello dell’ordinanza con la quale il pretore, a norma dell’art. 612 c.p.c., determina le modalità
dell’esecuzione forzata di un obbligo di fare o di non fare. (…)”. Questa linea di tendenza non
è tuttavia in alcun modo in grado di inficiare la ricostruzione del processo esecutivo, sia esso
l’ottemperanza piuttosto che l’esecuzione del Libro III del c.p.c. o l’attuazione delle cautele
anticipatorie, come intrinsecamente diverso da quello dichiarativo che mette capo al dictum
da eseguire forzosamente. Esso ha infatti una diversità di oggetto e di scopo, che resta intatta
anche se il giudice della tutela dichiarativa si avvale della facoltà di integrare il provvedimento
con disposizioni funzionali alla sua attuazione. L’esecuzione resta infatti pur sempre necessaria
non solo per verificare lo stato dell’attuazione anche sotto il profilo dell’eventuale elusione, ma
anche per porre rimedio all’eventuale inottemperanza, che certo non è in sé assicurata dall’apprestamento in via anticipata di misure di tipo “esecutivo”.
188
l’attuazione delle misure cautelari
sostenibile né è mai stata sostenuta alcuna contaminazione o unicità procedimentale tra concessione della tutela ed esecuzione forzata: l’esecuzione ex
artt. 612 ss.
Ed in entrambi i casi59 non viene in rilievo l’esistenza ed il modo di essere
della Normsituation riconosciuta o dei vizi del provvedimento che la contiene,
ma solo l’interpretazione della sua portata ai fini dell’esecuzione forzata.
Nulla autorizza dunque a credere, alla luce della struttura processuale
dell’attuazione cautelare da un lato; e degli altri modelli esecutivi evocati
dall’altro60; che in materia cautelare il problema vada affrontato e risolto
in modo diverso da questo in ragione dell’essere i provvedimenti ex art.
La conclusione non appare smentita dalla circostanza che prima che il legislatore ordinario
(rispettivamente con l’art. 10 della l. n. 205/2000 e con l’art. 70 del d. lgs. n. 546/1992) riservasse alla Corte dei conti e alle Commissioni tributarie l’ottemperanza alle loro stesse sentenze,
a quest’ultima, in via pretoria attribuita al giudice amministrativo (secondo le regole di competenza previste per le sentenze del giudice ordinario dal comma 1° dell’art. 37 l. Tar), si riteneva
pacificamente inibita ogni attività integrativa del dictum da eseguire. Se infatti è vero che in
tali ipotesi l’enforcement modellato sulla tecnica dell’ottemperanza assumeva caratteristiche
particolari, vedendosi sottratta una parte del suo naturale thema decidendum (la possibile integrazione del dictum, appunto), è altresì vero che ciò non accadeva perché l’enforcement stesso
mutasse la propria natura, ma per ragioni attinenti all’ordine costituzionale delle giurisdizioni,
che impediva ingerenze nelle sfere riservate ad altri comparti giurisdizionali aventi pari dignità
costituzionale. Il limite era dunque da rintracciare non nella tecnica esecutiva, ma in motivi
esterni, di carattere appunto ordinamentale. Il legislatore ha corretto questa distorsione per la
Corte dei conti e per le Commissioni tributarie: l’attribuzione allo stesso giudice che ha reso
la sentenza della gestione globale dell’ottemperanza restituisce infatti pienamente all’archetipo esecutivo de quo tutto il suo naturale thema decidendum perché rimuove il limite ordinamentale che ne impediva il dispiegarsi. Non così invece per i giudici ordinari le cui sentenze
ancora oggi, se è scelta la via dell’ottemperanza, non possono essere soggette ad integrazione
da parte del giudice amministrativo, fermi invece restando comunque gli altri contenuti tipici
dell’ottemperanza stessa (verifica del binomio pretesa-soggezione sub specie di verifica della
eventuale (in)ottemperanza o elusione dell’amministrazione, dell’adozione di provvedimenti
conseguenti, ivi compresa la nomina del commissario ad acta; di verifica degli altri aspetti
dell’avvenuta esecuzione, etc.). Sic stantibus perciò proprio la circostanza che l’appello fosse
negato contro le sentenze rese dal Tar in sede di ottemperanza della sentenza resa da altro giudice speciale sull’assunto dello sbarramento ordinamentale all’interpretazione-integrazione del
dictum, conferma a contrario che ratio dell’appellabilità è appunto, come sostenuto nel testo,
la portata decisoria della sentenza de qua sub specie di interpretazione-integrazione del dictum
da eseguire.
60
Può rivelarsi illuminante in proposito Cass. sez. un. 24 dicembre 2009, n. 27365 che,
recependo l’orientamento già espresso da Cass. 23 gennaio 2009, n. 1732, afferma, ai fini
del computo della durata irragionevole del processo, la dualità e non sovrapponibilità tra
giudizio di cognizione amministrativo e susseguente giudizio di ottemperanza, le cui durate
non possono sommarsi. Tale distinguibilità del processo amministrativo di cognizione da
quello di ottemperanza è analoga, per la Corte, a quella tra processo di cognizione davanti al
giudice civile e processo esecutivo ex Libro III del c.p.c., anche se qui appaiono più evidenti
le differenze strutturali. E così come è impensabile creare un legame tra la decisione passata
in giudicato del giudice ordinario e la conseguente azione esecutiva, così deve riconoscersi
la differenza tecnica ed ontologica tra giudizio amministrativo di cognizione e susseguente
processo di ottemperanza.
59
Capitolo 4 – La tutela delle parti e dei terzi
189
669 duodecies integrativi di quelli resi in sede di cognizione, o della possibile unità del procedimento simile a quella che si è visto caratterizzare i
sequestri.
Si tratta allora solo di verificare quale possa essere il mezzo di riesame nei
confronti di provvedimenti che, resi ex art. 669 duodecies, si assuma abbiano
in qualunque modo travisato o stravolto la portata precettiva della cautela.
E qui soccorre ancora la prospettiva comparatistica: nel modello dell’ottemperanza il riesame assume struttura impugnatoria (appello) essendo l’interpretazione del provvedimento rimessa allo stesso giudice dell’esecuzione e
trasfusa in una sentenza; in quello dell’esecuzione “titolata” del Libro III del
c.p.c. il riesame è invece esterno ed assume le forme del giudizio contenzioso
di primo grado (l’opposizione all’esecuzione ex art. 615), non avendo trovato
spazio all’interno del processo esecutivo61.
Siccome nel nostro caso la scelta del legislatore cautelare è stata di rimettere al giudice dell’attuazione senza limitazione alcuna la cognizione di ogni
difficoltà e contestazione insorte in corso di procedura secondo una tecnica
molto simile a quella dell’ottemperanza, la soluzione impugnatoria appare anche qui la più opportuna.
La forma deve però essere quella del rimedio tipico del processo cautelare,
cioè il reclamo.
Ovviamente, thema decidendum ne sarà non il riesame della cautela (o
l’esame degli eventuali vizi del provvedimento concessivo o del procedimento) ma quello del provvedimento reso ex art. 669 duodecies sotto il profilo dell’interpretazione (asseritamente aberrante) che proprio della cautela
ha fornito.
L’applicabilità dell’art. 669 terdecies è infatti non diretta ma analogica,
sicchè prescinde sia dal fatto che testualmente (e prima ancora nella ratio della sentenza della Consulta che ne ha esteso l’ambito di applicazione) questa
disposizione consente il reclamo solo contro i provvedimenti che accolgono o
rigettano l’istanza cautelare; sia dall’ulteriore circostanza che l’art. 669 duoEd in entrambi i processi esecutivi la situazione è identica: mentre in sede di riesame del
provvedimento di cognizione si sottopone a critica il dictum o si denunciano vizi del provvedimento che lo contiene o del procedimento pregresso; nella sede di riesame del provvedimento
attuativo (sentenza di ottemperanza, provvedimento ex art. 612) si presuppone al contrario
che il dictum sia quello già reso, ma se ne contesta la aberrante interpretazione. V., per la formulazione di questi rilievi nel contesto dell’opposizione all’esecuzione ex art. 615 verso titoli
esecutivi giudiziali Luiso, Diritto processuale, cit., III, p. 244 ss; per la diversità dell’ambito
del giudizio di ottemperanza rispetto a quello che ha portato alla sentenza da eseguire v. invece,
ad esempio, Tar Puglia, Sez. Bari, 17 novembre 1998, n. 861, in TAR, 1999, I, p. 1108, per il
quale la parte che non abbia proposto l’eccezione di prescrizione nel giudizio di merito non può
proporla per la prima volta nel giudizio di ottemperanza, atteso che il giudicato amministrativo
copre il dedotto e il deducibile; o Cons. Stato 25 luglio 2000, n. 4093, in Foro amm., 2000, p.
2723, per il quale non sono ammissibili nel giudizio di ottemperanza motivi che involgono la
contestazione del giudicato formatosi a seguito della mancata impugnazione della sentenza da
eseguire, ancorché dedotti quali censure attinenti alle modalità di esecuzione.
61
190
l’attuazione delle misure cautelari
decies è silente sul punto, prevedendo la sola vis attractiva dell’attuazione
rispetto alle difficoltà e contestazioni, con la garanzia del contraddittorio; sia
ancora dalla diversa formulazione olim adottata dall’art. 23, comma 5° del d.
lgs.. n. 5/2003 sul processo societario, che ammetteva il reclamo ex art. 669
terdecies contro tutti i provvedimenti in materia cautelare e che, oggi abrogato, non è stato recepito anche nel procedimento cautelare uniforme.
La configurazione del reclamo quale mezzo a critica vincolata si spiega
con la circostanza che la fissazione delle modalità di attuazione è, come già
chiarito (supra, cap. III, sez. II, parte II), espressione di poteri discrezionali
del giudice, non vincolato dai principi della domanda e della corrispondenza
tra chiesto e pronunciato: nei confronti del relativo provvedimento non è dunque ravvisabile un interesse al reclamo che si appunti solo sulla fissazione di
diverse modalità esecutive. 62 Al contrario, esso (ri)emerge se quelle in concreto fissate si rivelino conseguenza di un errore nella interpretazione della
portata del provvedimento da eseguire63.
La premessa adottata in ordine ai rapporti tra cautela e provvedimento attuativo ex art. 669 duodecies (il provvedimento ex art. 669 duodecies è altro
da quello che ha disposto la cautela) consente poi di escludere che, una volta
sottoposto a reclamo quest’ultimo, l’ulteriore gestione globale dell’attuazione
passi al giudice dell’impugnazione. Infatti il “giudice che ha emanato il provvedimento cautelare” è e resta quello di prime cure che ha reso la cautela, il
riesame svolgendosi rispetto ad un diverso provvedimento (quello ex art. 669
duodecies) ed avendo un diverso oggetto (l’interpretazione che l’ordinanza
attuativa ha dato del dictum)64.
Le parti potranno certo sollecitare in sede attuativa una modifica-correzione dell’iter già
fissato, ma non hanno una pretesa giuridicamente rilevante acchè ciò accada. A tal uopo appare
sufficiente il generale potere di controllo che il giudice della cautela ha sull’attuazione, che gli
consente anche d’ufficio di modulare il quomodo della realizzazione del dictum in base alle
circostanze concrete, anche previa audizione delle parti.
63
Tale soluzione, che esclude l’interesse al reclamo solo per ottenere una mera modifica del
modus exequendi non supportata dalle contestazioni suddescritte, non è inedita, essendosi al
contrario consolidata nell’ambito del giudizio di ottemperanza, dove la giurisprudenza esclude
l’appellabilità delle sentenze recanti mere misure attuative del giudicato. V. Nigro, Giustizia
amministrativa, cit., spec. p. 356; N. Saitta, Sistema, cit., p. 333 ss. V. ad esempio, in giurisprudenza, Cons. Stato 16 ottobre 1995, n. 808, in Foro amm., 1995, p. 2162, che ha ritenuto inammissibile la censura relativa alla congruità del termine assegnato per l’esecuzione in rapporto al
complesso degli adempimenti imposti ed al necessario intervento di organi estranei all’amministrazione intimata; il principio della inappellabilità delle sentenze meramente istruttorie o attuative del giudicato trova origine in ad. plen. 29 gennaio 1980, n. 2, ed è stato più volte ribadito: v,
ad esempio, Cons. Stato 12 marzo 1994, n. 331; Cons. Stato 8 maggio 1995, n. 324.
64
L’autonomia del giudizio e delle sentenze di ottemperanza rispetto al giudizio di cognizione
ed alle sentenze conclusive dello stesso è rivendicata da Nigro, Giustizia amministrativa, cit.,
p. 356 ss e passim, che proprio su questa base ritiene debba affermarsi la generale appellabilità
delle sentenze rese all’esito del giudizio di ottemperanza stesso. V. anche N. Saitta, Sistema,
cit., p. 333 ss. Tale autonomia delle due fasi processuali e dei relativi provvedimenti conclusivi
(sentenze), pare testimoniata anche da un preciso dato normativo: l’art. 70, ultimo comma, del
62
Capitolo 4 – La tutela delle parti e dei terzi
191
È anzi plausibile sostenere che, una volta accolto il reclamo la fissazione
delle nuove modalità di attuazione spetti comunque al giudice dell’attuazione.
Il che, è appena il caso di notare, non significa escludere in qualche modo la
natura anche rescissoria dell’impugnazione, ma al contrario focalizzare l’attenzione sul suo thema decidendum che è esclusivamente l’interpretazione del
dictum, vera base dell’interesse all’impugnazione, e non la semplice modifica
delle modalità di attuazione.65
Occorre però sciogliere l’ulteriore nodo della possibile impugnazione dei
provvedimenti attuativi se resi dal giudice del reclamo al quale compete, nel
caso concreto, l’attuazione del dictum.
Se il presupposto della reclamabilità fosse la loro inscindibilità dalla cautela, i provvedimenti attuativi dovrebbero ritenersi reclamabili solo se lo erano
quelli di cognizione che vanno asseritamente ad “integrare”. La conclusione
sarebbe dunque nel senso della loro irreclamabilità, per definizione, se resi già
dal giudice del reclamo, come coerentemente conclude, sul punto, la già citata
giurisprudenza di merito.
Siffatto problema non si pone nei processi esecutivi del Libro III del c.p.c.,
data la già rilevata confluenza delle contestazioni in un autonomo giudizio di
primo grado. Esso è invece tipico di un altro modello processuale in cui la fase
esecutiva appartiene alla competenza del giudice che ha reso il provvedimento
da eseguire: il giudizio amministrativo di ottemperanza ove, in caso di competenza del Consiglio di Stato, le sentenze (rese in sede di ottemperanza) sono
effettivamente considerate, a differenza di quelle dei tribunali amministrativi,
inappellabili ma solo ricorribili in Cassazione per motivi di giurisdizione ai
sensi dell’art. 111, comma 8° cost.
Ma proprio per questo la soluzione non appare estensibile al contesto cautelare.66
d. lgs. n. 546/1992 che, com’è noto, disegna un’ottemperanza alle sentenze rese dalle Commissioni tributarie autonomamente regolata, prevede che le sentenze rese nel giudizio di ottemperanza stesso sono esclusivamente impugnabili in Cassazione. Trattasi, all’evidenza, di mezzo
di impugnazione altro e diverso anche nella forma rispetto a quello previsto per le sentenze rese
nel giudizio dichiarativo.
65
Il che trova conferma nella giurisprudenza di legittimità che, nell’ambito dell’esecuzione
per obblighi di fare-non fare, ritiene che in caso di appello contro l’ordinanza ex art. 612 non
competa al giudice dell’appello anche la fissazione delle modalità di attuazione, che restano
alla competenza funzionale del giudice dell’esecuzione: così Cass. 18 marzo 2003, n. 3990, in
Foro. it., 2003, I, c. 2034.
66
Nel sistema della giustizia amministrativa il Consiglio di Stato è infatti organo supremo le
cui decisioni non sono impugnabili se non nei ristretti limiti fissati direttamente dalla Costituzione all’art. 111 appunto, oltre che con la revocazione ex art. 395 (oggi ai sensi dell’art.
106 del Codice del processo amministrativo) e l’opposizione di terzo (oggi ai sensi dell’art.
108 del medesimo Codice). Le sentenze del supremo giudice non sono dunque appellabili
perché non esiste alcun giudice superiore. Tale conclusione ha ricevuto anche l’avallo della
Corte costituzionale, che ha chiarito come nel sistema di giustizia amministrativa la normale
appellabilità delle sentenze dei tribunali amministrativi convive con casi di competenza in
unico grado del Consiglio di Stato, quale appunto quella sull’ottemperanza: Corte cost. 31
192
l’attuazione delle misure cautelari
Qui non si pongono infatti problemi ordinamentali legati al fatto che il
provvedimento è reso da chi è istituzionalmente il giudice supremo nell’ambito del comparto giurisdizionale di riferimento.
Poiché inoltre il provvedimento ex art. 669 duodecies è diverso dalla cautela, non può ritenersi reso in sede di riesame solo perché adottato dal giudice
del reclamo. Altrimenti detto, esso è reso dal giudice del reclamo non perché
si è in sede di impugnazione, ma solo in applicazione di una regola di competenza, proprio come accadrebbe se fosse emesso dal giudice di primo grado in
quanto “giudice che ha emanato il provvedimento cautelare”.
Non può allora escludersene la reclamabilità al giudice che l’art. 669 terdecies67 indica come giudice del reclamo in caso di provvedimenti emessi da un
giudice collegiale (quale è sempre quello del reclamo): e cioè, in alternativa,
altro collegio dello stesso tribunale o tribunale più vicino68.
Ed anche in tal caso, esauritasi la parentesi impugnatoria, l’attuazione ritornerà sotto il controllo del giudice del reclamo (stavolta cognitivo) che, in
quanto giudice che ha reso il provvedimento cautelare, è e resta quello cui
compete anche la gestione globale dell’attuazione stessa.
3. I provvedimenti ex art. 669 duodecies che si pronunciano sulle condizioni legittimanti il ricorso all’enforcement o la sua prosecuzione ed il
loro regime di riesame
Come accade in ogni forma di tutela giurisdizionale e quindi anche in quella
esecutiva nelle sue diverse morfologie positive, al giudice compete la verifica
dell’esistenza dei presupposti processuali o comunque delle condizioni previste dalla legge per dare ulteriore corso alla procedura fino al suo fisiologico
esaurimento, e la cui ritenuta assenza69 comporta il rigetto della domanda, che
sanziona la chiusura del procedimento senza il raggiungimento del fine cui è
preordinato.
marzo 1988, n. 395, la quale ha escluso che l’art. 125, comma 2° cost. imponesse il principio
del doppio grado di giurisdizione in materia di giustizia amministrativa, avendo la norma
solo la funzione di imporre l’appellabilità delle sentenze (ed altri provvedimenti assimilabili) del TAR. Non sarebbe perciò precluso al legislatore di creare ipotesi di competenza
in unico grado del Consiglio di Stato. V. amplius Travi, Lezioni, cit. ,p. 105 ss; N.Saitta,
Sistema, cit., p. 333 ss.
67
Applicabile, come già chiarito, solo in via estensiva.
68
Va peraltro segnalato che la Cassazione, con ord. 24 giugno 2009, n. 14819, in www.cortedicassazione.it, ha statuito che la Corte d’appello divisa in più sezioni è competente a decidere il
reclamo contro la cautela emessa in controversia di lavoro dalla sezione lavoro della medesima
Corte d’appello.
69
Anche di uno solo di essi (ad esempio la competenza, la legittimazione, etc): v., ad esempio,
T. Lucca 2 ottobre 2000, in Giust. civ., 2001, I, p. 231, con Nota di Luiso, che rigetta il ricorso
ex art. 669 duodecies per incompetenza; P. Latina 14 gennaio 1999, in Foro. it., 1999, I, c. 1669,
che fa lo stesso.
Capitolo 4 – La tutela delle parti e dei terzi
193
Il giudice dell’esecuzione può dunque accogliere o rigettare il ricorso ex
art. 669 duodecies, motivando in ordine all’esistenza o inesistenza di una o più
condizioni legittimanti il prosieguo della procedura70.
È possibile, ed in che termini, la contestazione di tali provvedimenti?
In altri modelli processuali il problema trova soluzioni articolate: nei processi esecutivi del Libro III del c.p.c. la contestazione sulla correttezza della
delibazione compiuta dal giudice al fine di orientare la direzione dell’esecuzione71 non trova spazio all’interno della procedura, ma diviene oggetto di
separata fase di cognizione inaugurata dall’opposizione ex art. 617 (se si contesta il rigetto dell’istanza di tutela esecutiva), o da quella ex art. 615 (se si
contesta il diritto di procedere ad esecuzione).
Nel giudizio di ottemperanza alle sentenze amministrative, la giurisprudenza si è consolidata nel ritenere ammissibile l’appello72 che, nel processo
amministrativo anche dichiarativo, è il mezzo generale di riesame che assiste
le sentenze ma anche le ordinanze.73
L’evenienza può tuttavia presentarsi anche nel corso dell’attuazione, ben potendo accadere
che si alleghi il sopravvenire di circostanze ostative alla prosecuzione dell’enforcement, di cui
si chiede dunque la chiusura (v. amplius infra, § successivo). Ed anche in tali casi il giudice
dell’attuazione si pronuncerà con ordinanza disponendo la chiusura della procedura o la sua
continuazione fino al fisiologico epilogo
71
Occorre ancora contestualizzare. Siamo nell’ambito di procedure esecutive titolate, in cui
non vi è spazio, come invece accade nel processo di cognizione, per la decisione delle questioni
di rito attinenti ai presupposti processuali. Il giudice dell’esecuzione si limita allora a delibare
sull’esistenza dei presupposti processuali specifici al fine di stabilire se concedere la tutela
esecutiva oppure no. In caso ritenga inesistenti le condizioni per la messa in moto dell’esecuzione, rigetta il ricorso. La vera decisione sull’esistenza dei presupposti processuali specifici è
dunque assunta all’interno di quel giudizio di cognizione esterno ma funzionalmente collegato
che è inaugurato dall’opposizione ex art. 617 o 615 a seconda dei casi. Su questi aspetti, qui ex
necesse appena accennati, v. amplius Luiso, Diritto processuale, cit., III, 52 ss.
72
Cons. Stato 10 agosto 2000, n.4459, in Foro amm., 2000, p. 2638; Cons. Stato 13 dicembre
1999, n. 2106, in Foro amm., 1999, p. 2510; Cons. Stato 5 maggio 1998, n. 632, in Foro amm.,
1998, p. 1460.
73
Anche in tal caso occorre contestualizzare. Il giudizio di ottemperanza è il frutto della “bruta”
interpretazione creatrice della giurisprudenza perché, per storia e tradizione, non ha ricevuto,
fino al Codice del processo amministrativo del 2010, compiuta preregolamentazione legislativa, come invece è accaduto nell’ambito del processo civile e della relativa esecuzione forzata.
In quel contesto apparivano perciò molto più sfumate, nell’ambito dello stesso giudizio dichiarativo che pure era quello più compiutamente regolamentato dalla legge, anche le differenze tra
l’oggetto delle sentenze e quello delle ordinanze (ad esempio la sentenza poteva avere anche
un contenuto istruttorio), ed unico era il mezzo di riesame per tutti i provvedimenti, l’appello,
appunto. V. amplius, su questi complessi aspetti che qui è possibile solo accennare, Nigro, Giustizia amministrativa, cit., 292 ss, nonché 354, per il quale “nel processo amministrativo (…)
la sentenza non ha-o può non avere-soltanto il contenuto che, nel processo civile, gli assegna
l’art. 297 c.p.c. (…) ma è uno strumento buono per tutti gli usi; assume cioè contenuti vari, i
quali spesso per giunta si combinano”. Oggi il Codice, al Titolo IV del Libro I, intitolato alle
Pronunce giurisdizionali, dà una sistemazione generale alla materia: gli artt. 33-36 stabiliscono
in quali casi è pronunciata sentenza, ordinanza o decreto e quali siano i contenuti delle sentenze
di rito e di merito. L’appello si conferma invece mezzo generale di impugnazione anche delle
pronunce cautelari(art. 62) e delle sentenze rese in sede di ottemperanza (art. 114, comma 9°).
70
194
l’attuazione delle misure cautelari
Al netto della diversità delle soluzioni tecniche, la sostanza del problema
affrontato si mostra ancora una volta la stessa: il provvedimento esecutivo che
abbia affrontato e risolto (in un modo o nell’altro) la questione dell’esistenza
dei presupposti processuali speciali e delle condizioni legittimanti l’accesso
o il successivo svolgersi della procedura è oggetto di riesame (in forma impugnatoria nell’ottemperanza; in forma di cognizione contenziosa per la prima volta ex art. 617, con l’appendice del ricorso ex artt. 111 cost., comma
7° e 360, ultimo comma; o anche ex art. 615, con l’appendice dell’appello,
nell’esecuzione “titolata” del Libro III del c.p.c.).
Ciò in quanto l’esecuzione è parte integrante della tutela dichiarativa cui
afferisce ed anzi metro di misura della sua effettività, in quanto deputata ad
assicurare la realizzazione coatta della pronuncia in assenza di ottemperanza
dell’obbligato. La conclusione è oggi patrimonio della dottrina ma anche della
giurisprudenza sia costituzionale che della Corte europea dei diritti dell’uomo74.
Com’è noto, la dottrina si interroga da tempo sui riflessi dei nuovi comma 1° e 2° dell’art.
111 cost., interpretati anche alla luce dell’art. 6 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali sul processo esecutivo. Si leggano,
in proposito, senza pretesa di completezza, Tarzia, Il giusto processo di esecuzione, in Riv.
dir. proc., 2002, p. 330 ss; Id., L’art. 111 Cost. e le garanzie europee del processo civile, ivi,
2001, p.1 ss; Comoglio, Principi costituzionali e processo di esecuzione, ivi, 1994, p. 458 ss.
In particolare, e senza entrare nel merito della complessa problematica, ciò che è necessario
in questa sede rilevare è che la Corte Europea ha enucleato il concetto che l’esecuzione di
una sentenza, di qualsiasi giurisdizione, deve essere considerata parte integrante del processo
ai sensi dell’art. 6 della Convenzione ( v. sentenza Hornsby c. Grecia del 13 marzo 1997;
ma anche, sostanzialmente in termini, sent. Burdov c. Russia del 4 sett. 2000 ), altrimenti il
ricorso alla giurisdizione si rivelerebbe puramente illusorio. La presenza di un orientamento
restrittivo emerso nella stessa giurisprudenza della Corte di Strasburgo ( su cui si rimanda
a Focarelli, Equo processo e convenzione europea dei diritti dell’uomo, Padova, 2001, 7477), per il quale l’art. 6 riguarderebbe i soli procedimenti in cui vi sia decisione su diritti,
con esclusione proprio del processo esecutivo, la cui unica garanzia europea sarebbe dunque
quella della ragionevole durata, ha stimolato la dottrina ad interrogarsi. In particolare, anche
alla luce del nuovo dettato costituzionale, ci si è chiesti se effettivamente il processo esecutivo, per le sue caratteristiche, potesse ritenersi fuori dall’ambito di protezione della norma. A
tal proposito, è stato osservato che l’art. 111 cost. contiene una dizione molto ampia di giusto
processo, e come tale attribuibile ad ogni processo, a prescindere dal suo oggetto. Studi
approfonditi hanno inoltre da tempo riconosciuto anche al processo di esecuzione carattere
contraddittorio, sia sotto il profilo della notifica dei relativi atti prodromici, sia sotto quello
dell’obbligo del giudice di sentire le parti e di pronunciarsi sulle loro istanze. Contraddittorio
attenuato, ma suscettibile di realizzarsi pienamente nelle parentesi di opposizione. Quanto
alla terzietà ed imparzialità del giudice dell’esecuzione, la diversità intrinseca della funzione
giudicante da quella esecutiva escludono qualunque dubbio in proposito ( v. Tarzia, Il giusto
processo, cit., p. 337). Il processo esecutivo sembra dunque avere tutti i requisiti del “ giusto
processo regolato dalla legge” di cui al nostro testo costituzionale, e avere piena cittadinanza
nell’ambito delle garanzie assicurate dalla Costituzione e dalla Convenzione, la quale non
contiene disposizioni sostanzialmente diverse. La complessa vicenda, qui riassunta nelle sue
tappe essenziali con inevitabili semplificazioni, è tuttavia indicativa di quella che è stata
definita ( ancora Tarzia, Il giusto processo, cit., p. 334) l’evoluzione della concezione della
funzione giurisdizionale, che insieme ai contenuti dell’attività esercitata ,valorizza la posi74
Capitolo 4 – La tutela delle parti e dei terzi
195
Il beneficiario ha dunque nei confronti dell’ufficio quello che plasticamente l’art. 615 definisce diritto di procedere ad esecuzione forzata,75 cui corrisponde l’obbligo di dar corso all’esecuzione in presenza delle condizioni
legittimanti. Il che, evidentemente, esclude sia che il giudice possa rifiutare
la tutela, sia che i provvedimenti resi all’esito della relativa domanda restino
privi di riesame. La pretesa allo svolgimento dell’esecuzione in presenza delle
condizioni legittimanti trova infatti il suo limite proprio nell’assenza di tali
condizioni, cui corrisponde la pretesa del (presunto) obbligato di ottenere la
chiusura della procedura (e l’obbligo dell’ufficio di disporla).
In tale ambito rientra anche l’ipotesi, che pure ha trovato riscontro nella
pratica, in cui il giudice adito ai sensi dell’art. 669 duodecies adotti una
pronuncia di inammissibilità del ricorso rifiutando76 di determinare le modalità di attuazione. Tipico è il caso del rifiuto di dettare le modalità attuative di un ordine di reintegra nel posto di lavoro, sull’assunto della sua
incoercibilità77.
La giurisprudenza di merito avverte intuitivamente che in tali casi il giudice, pur non pronunciandosi formalmente sulla sussistenza dei presupposti di
concedibilità del provvedimento finisce, nella sostanza, per incidervi perché,
privandolo della coercitività, lo rende tamquam non esset.78 L’impostazione è
zione del giudice, le modalità di svolgimento delle sue funzioni, il vincolo al principio del
contraddittorio, con ciò ricacciando indietro, se mai ve ne fosse bisogno, l’antica tentazione
di ridurre il processo esecutivo a fenomeno marginale, in ossequio al brocardo jurisdictio in
sola notione consistit. Su questa vicenda si rimanda da ultimo, anche per gli ulteriori riferimenti bibliografici e giurisprudenziali, a Ziino, Esecuzione forzata e intervento dei creditori,
cit., p. 187 ss.
75
In termini di “diritto all’esecuzione” si esprime, ad esempio, Tar Veneto, 10 gennaio 2001, n.
464; v. anche Cons. Stato 3 febbraio 1996, n. 120, che mette in evidenza la rilevanza costituzionale del giudizio di ottemperanza, intesa come necessità che vi sia uno strumento di giustizia
effettiva che permetta il conseguimento reale del bene o dell’utilità riconosciuti dal giudicato in
assenza di un comportamento in tal senso del soccombente.
76
Ad es., il Pretore di Fondi con ord. 8 ottobre 1997 ha denegato la determinazione delle modalità di attuazione di un ordine di reintegra nel posto di lavoro sostenendone l’integrale ineseguibilità forzata (il tutto è riportato dalla motivazione di T. Latina 5 dicembre 1997, in Foro. it.,
1999, c. 2117 ss); T. Pisa 10 agosto 1994, in Giust. civ., 1995, I, c.1375 ss, con Nota di Ferroni,
ha rigettato l’istanza di attuazione avanzata ex art.66 duodecies, con le modalità indicate dai
ricorrenti, riservando le questioni proposte alla fase di merito.
77
Nel giudizio di ottemperanza si registrano problemi analoghi a proposito delle cd. sentenze
autoesecutive, rispetto alle quali la soddisfazione dell’avente diritto si realizza immediatamente
ad opera della stessa sentenza di annullamento. Così, la giurisprudenza ha escluso in tali casi il
ricorso al giudizio di ottemperanza, il quale presuppone al contrario che la sentenza di annullamento contenga, anche implicitamente, ulteriori statuizioni volte ad ordinare all’amministrazione il compimento di attività consequenziali al fine di attribuire al beneficiario il bene della vita
cui ha diritto: v. Cons. Stato 23 aprile 1999, n. 713, in Foro amm., 1999, 661; per applicazioni
a sentenze ritenute autoesecutive v. Cons. Stato 17 marzo 1998, n. 307, in Foro amm., 1998,
715; Cons. Stato, ad. plen., 4 dicembre 1998, n. 8, in Foro amm., 1998, f. 11-12; Cons. Stato 19
febbraio 1998, n. 190, in Foro amm., 1998, p. 431.
78
Aspetto messo limpidamente in evidenza da T. Pisa 29 agosto 1994, in Giust. civ., 1995, I, p.
1375, con Nota di Ferroni, e da T. Latina 5 dicembre 1997, cit., che ha definito il diniego delle
196
l’attuazione delle misure cautelari
presente anche in molta dottrina, che tende ad equiparare il rigetto del ricorso
ex art. 669 duodecies ad una sostanziale revoca della cautela79.
Il ricorso alla fictio della revoca implicita della cautela non sembra tuttavia
necessario.
Del rigetto del ricorso ex art. 669 duodecies non può infatti predicarsi la natura di revoca della cautela, più di quanto del rigetto del ricorso ex art. 612 non
possa sostenersi la natura di revoca della sentenza di condanna al fare- disfare.
Più semplicemente, sbarrando l’accesso all’esecuzione forzata, il rigetto
della domanda di tutela esecutiva priva il beneficiario di quel diritto processuale che la legge gli riconosce. Che ciò si traduca in una elisione dell’effettività della tutela (cautelare ma anche giurisdizionale a tutto tondo) rendendola
nella sostanza tamquam non esset è conclusione ricavabile dalla ratio della
predisposizione, da parte dell’ordinamento, di una fase di esecuzione forzata
dotata di copertura costituzionale.
Si tratta perciò di problema, ancora una volta, non tipico dei rapporti tra
concessione ed attuazione cautelare, ma comune ad ogni processo in cui il dictum debba essere forzosamente eseguito in assenza di collaborazione dell’obbligato.
La soluzione del riesame è allora sostenibile anche nell’attuazione cautelare, affidandola all’applicazione analogica dell’art. 669 terdecies, utilizzabile
sia contro il provvedimento di rigetto del ricorso per assenza di uno o più
presupposti processuali o altre condizioni legittimanti; sia contro il provvedimento che abbia disposto le modalità di attuazione, con ciò implicitamente
risolvendo in senso non impediente la questione della loro esistenza.80
Stessa conclusione è sostenibile ovviamente per i provvedimenti resi in
corso di attuazione su ricorso di chi alleghi sopravvenienze tali da fondare la
richiesta di chiusura della procedura esecutiva.
modalità attuative come revoca del precedente provvedimento di reintegra nel posto di lavoro;
v. altresì T. Bari 29 febbraio 1996, in Foro. it., 1996, I, c. 2914.
79
V. ad esempio, ex multis, Corsini, Il reclamo cautelare, cit., p. 236; Ferroni, in Nota, cit., p.
1381
80
Secondo Olivieri, Brevi considerazioni, cit., il complesso delle norme del c.p.c. modificate
dalla l. n. 80/2005 consente di ritenere reclamabili (sia le ordinanze di revoca e modifica sia) le
ordinanze rese dal giudice in sede di attuazione ex art. 669 duodecies. Ciò in base al rilievo che
l’art. 669 terdecies, laddove nella nuova formulazione prevede la reclamabilità dell’ordinanza
che concede la cautela o rigetta la domanda, minus dixit quam voluit. Come nel processo esecutivo si è dovuto riconoscere alle parti un rimedio generale di controllo del corretto esercizio
dei poteri discrezionali del giudice (l’opposizione agli atti esecutivi), così in quello cautelare il
reclamo dovrebbe considerarsi rimedio generale esperibile ogni volta in cui vi sia esercizio di
poteri discrezionali da parte del giudice, come appunto nel caso dei provvedimenti attuativi ed
in quelli di revoca-modifica. La conclusione mi pare condivisibile appieno, anche nella parte
in cui l’a. ritiene di ravvisare il formarsi di una disciplina tendenzialmente unica per il procedimento sommario (cautelare e non), in cui proprio il reclamo assume funzione impugnatoria
generale. L’approdo è nella sostanza il medesimo raggiunto nel testo, sia pure attraverso percorsi parzialmente diversi.
Capitolo 4 – La tutela delle parti e dei terzi
197
Occorre infine prendere in esame il caso in cui in sede attuativa vogliano
contestarsi quei vizi del provvedimento concessivo della cautela (ad esempio,
la mancata sottoscrizione) che, nell’ambito della sistematica costruita intorno
alla sentenza, si definiscono di inesistenza81 e tali dunque da sfuggire alla logica della conversione in motivi di impugnazione di cui all’art. 161, comma 1°,
restando allegabili in qualunque sede rilevi l’esistenza del provvedimento.
Applicando la categoria dell’inesistenza e la sua disciplina anche in materia cautelare si può dedurre che tali vizi fondano di certo l’interesse al reclamo avverso il provvedimento concessivo in applicazione diretta dell’art. 669
terdecies. Scaduti i relativi termini però la questione dell’inesistenza non è
preclusa, mantenendo tutta la sua rilevanza ai fini dell’an dell’attuazione, il
che la attrae in prima battuta alla competenza del giudice dell’attuazione che
provvederà sentite le parti, con ordinanza. Avverso quest’ultima sarà poi esperibile il reclamo (in applicazione stavolta analogica dell’art. 669 terdecies)82.
3.1. Segue: attuazione e questioni di competenza
Tratti di forte peculiarità presenta, nell’ambito dei presupposti processuali
speciali dell’attuazione, la competenza. Ciò in quanto nel sistema processuale
cautelare è assente l’istituto della translatio iudicii.
Secondo Recchioni, L’attuazione delle misure cautelari e le opposizioni esecutive, Relazione
al Convegno Le opposizioni esecutive tenutosi a L’Aquila il 23 settembre 2004, 21 ss, in www.
judicium.it. in tal caso soccorrerebbe invece il rimedio dell’opposizione all’esecuzione. Alla
stessa conclusione l’a. arriva per i casi: a) di provvedimento anticipatorio meramente dichiarativo; b) di comando pronunciato contro soggetto estinto o privato della capacità di stare in
giudizio, etc; c) di sopravvenuta caducazione del provvedimento per essere stato già revocato o
modificato in peius ex art. 669 decies, o in sede di reclamo; d) di provvedimento di cui sia cessata l’efficacia ex art. 669 novies; d) di già avvenuta spontanea attuazione del provvedimento.
La soluzione non appare tuttavia condivisibile alla luce del fatto, quanto all’ipotesi sub a), che
l’interpretazione della cautela da eseguire è tipico thema decidendum dell’esecuzione forzata,
ed è dunque davanti al giudice dell’attuazione che va in prima battuta affrontato, salva la reclamabilità del provvedimento reso ex art. 669 duodecies. Dell’opposizione all’esecuzione non vi
è bisogno, qui applicandosi la diversa tecnica della cognizione interna alla procedura attuativa
e del riesame in forma impugnatoria. Quanto poi alla possibilità che il corso dell’attuazione
prosegua nonostante la cautela sia stata revocata in sede di reclamo o modifica-revoca; o sia
già stata dichiarata inefficace; o sia sopravvenuta sentenza di inesistenza del diritto cautelato;
sufficit osservare che si tratta anche qui di questioni squisitamente attuative, in quanto afferenti all’an dell’attuazione, occorrendo dunque che l’interessato provi al giudice dell’attuazione la sopravvenienza del provvedimento di revoca-modifica o di inefficacia o della sentenza
chiedendo la chiusura della procedura. Il relativo provvedimento sarà poi impugnabile sotto
il profilo del venir meno del diritto di procedere all’enforcement nei termini già riferiti nel
testo. L’aspetto più delicato della questione, colto dall’a. e probabilmente alla base della sua
opzione per l’opposizione ex art. 615, attiene alla tempestività del blocco di una attuazione che
non ha più alcun titolo, ed in questo l’art. 624 gioca un forte ruolo. Allo scopo sembra tuttavia
soccorrere il fisiologico funzionamento dei meccanismi endocautelari del ricorso al giudice
dell’attuazione e del reclamo avverso il relativo provvedimento esecutivo.
82
Secondo la medesima impostazione adottata supra, al § 1 della parte I della sez. II, per le
cautele di pagamento.
81
198
l’attuazione delle misure cautelari
Nel suo ambito naturale di applicazione esso consente, com’è noto, di accoppiare alla declaratoria di incompetenza l’indicazione del diverso ufficio
competente, che è vincolante ove il giudizio sia riassunto ai sensi dell’art. 5083
e che, anche ove non vincolante, impone al secondo giudice di proporre il regolamento di competenza d’ufficio per individuare definitivamente il giudice
competente.
L’assenza del congegno nel nostro contesto comporta perciò che in caso di
rigetto del ricorso ex art. 669 duodecies per incompetenza, se anche vi fosse
l’indicazione del diverso giudice ritenuto competente, non sarebbe vincolante
per quest’ultimo, che ben potrebbe a sua volta adottare una pronuncia declinatoria dando vita ad un conflitto negativo.
Si può dunque ben affermare che, a fronte di un rigetto del ricorso ex art
669 duodecies per incompetenza, il ricorrente abbia facoltà di proporre subito
reclamo o di riproporre la domanda ex art. 669 duodecies ad altro giudice e, a
fronte di un nuovo diniego, reclamare questo secondo provvedimento.
Occorre tuttavia anche prendere atto che il rimedio non è risolutivo proprio
perché la decisione del giudice del reclamo84 non è in parte qua più vincolante
per gli altri giudici, di quanto non lo sia quella del giudice dell’attuazione. E
ciò per ragioni di sistema (la scelta tecnica di non utilizzare il congegno della
translatio) che prescindono dalla natura e struttura del reclamo.
Un orientamento di recente profilatosi nella giurisprudenza di legittimità
esclude sempre e comunque l’esperibilità del regolamento di competenza nei
confronti dei provvedimenti resi ex art. 669 duodecies proprio sull’assunto
della loro naturale reclamabilità. Sarebbe infatti proprio quella del reclamo
la sede più idonea per la discussione in ordine ad ogni profilo di riesame del
provvedimento de quo, ivi compreso quello della competenza85.
La conclusione, in sé esatta in ordine ad ogni altro profilo di riesame e
forse accettabile nella misura in cui di fatto il secondo giudice (adito in seguito alla pronuncia declinatoria) si ritenga competente, non tiene tuttavia in
adeguato conto proprio l’eventualità del conflitto negativo che il reclamo non
è in grado di assicurare per le già evidenziate ragioni di sistema.
Olivieri, I provvedimenti, cit, p. 709; Cirulli, La nuova disciplina, cit, p. 137; Arieta, in Montesano-Arieta, Il nuovo processo civile, cit, p. 135; Dini-Mammone, op. cit.,p. 479.
84
Bisogna infatti realisticamente riconoscere che tale risultato potrebbe aversi, al più, ove il
giudice del reclamo accolga le doglianze del ricorrente, ritenendo la competenza del primo
giudice. In tal caso infatti il primo giudice dovrebbe adeguarsi alla pronuncia del giudice superiore in applicazione dei principi generali sulle impugnazioni, e sempre ammesso che il tenore
dell’art. 669 terdecies, a mente del quale non è mai ammesso il rinvio al primo giudice, consenta in tal caso di ritenere che il giudice del reclamo debba rimettere le parti davanti al primo
giudice che si era ritenuto incompetente. Ma se il giudice del reclamo rigetta invece l’impugnazione confermando l’incompetenza, la questione rimane aperta.
85
Cass. 19 aprile 2002, n. 5739; Cass. (ord.) 1 aprile 2004, n. 6485; Cass. 12 gennaio 2005, n.
443.
83
Capitolo 4 – La tutela delle parti e dei terzi
199
Né ha pregio l’argomento, di recente assunto a sostegno della soluzione
ostativa al regolamento d’ufficio anche in caso di doppia declinatoria resa in
sede di cognizione,86 della natura non definitiva dell’ordinanza cautelare, a
differenza di quanto accade per la sentenza o il provvedimento di forma diversa rispetto ai quali il rimedio è stato pensato.
Nell’ambito del giudizio dichiarativo nella prospettiva del giudicato, l’ammissibilità del regolamento di competenza esclusivamente nei confronti provvedimento con cui la questione è decisa ha infatti una precisa ratio: consentire
l’impugnazione solo quando il giudice si spoglia definitivamente del potere
decisorio sulla questione stessa, che dunque o è sottoposta al giudice dell’impugnazione o si cristallizza per effetto del giudicato.
Se invece il giudice deliba in senso non impediente la questione non è in
alcun modo pregiudicata, perfezionandosi solo in sede decisoria la perdita
definitiva del potere. Sarà dunque rispetto al provvedimento finale che andrà
valutato l’interesse all’impugnazione.
Tornando al processo cautelare, il provvedimento con il quale il giudice, in
sede di cognizione o di attuazione, declina la propria competenza, è un’ordinanza che, in quanto chiude la fase processuale davanti al giudice adito, è processualmente definitiva. Non essendovi dunque possibilità che il giudice ritorni sulla sua decisione, l’interesse all’impugnazione deve considerarsi attuale,
del che la Cassazione stessa appare pienamente consapevole nel momento in
cui ammette la generale reclamabilità del provvedimento declinatorio della
competenza, sia reso in sede di cognizione che di attuazione cautelare.
L’ammissibilità del reclamo non implica tuttavia l’esclusione del regolamento di competenza, in quanto tale forma di riesame non appare, ut supra, ad
esso equivalente sul piano della stabilità e della vincolatività della decisione
per il diverso giudice indicato come competente, e dunque non appare idonea
allo scopo cui dovrebbe assolvere, lasciando la parte in balìa di un possibile
conflitto negativo di competenza che le sbarra di fatto l’accesso alla tutela (sia
sub specie di ottenimento della stessa che di relativo enforcement).
L’argomento della pretesa non definitività dell’ordinanza cautelare87 si rivela dunque formalistico sotto un duplice profilo. Esso non sembra correttamente individuare l’accezione della definitività presupposta dagli artt. 42-45;
Cass. 9 luglio 2009, n. 16091, in www.cortedicassazione.it, (riferita a periodo antecedente alla
l. n. 69/2009 che ha imposto, per la pronuncia sulla competenza, la diversa forma dell’ordinanza) per la quale appunto non sarebbe in alcun modo assimilabile l’ordinanza cautelare con cui
si assume la declinatoria di competenza, alla sentenza prevista dall’art. 42. Il riferimento alla
sentenza da parte dell’art. 45 appare così stringente per la Corte, da indurla a ritenere comunque
inammissibile il regolamento di competenza anche in caso di doppia declinatoria, perché in
materia cautelare non vi sarebbero provvedimenti definitivi come quelli appunto aventi forma
di sentenza nel giudizio di merito. L’interessato potrebbe anzi, secondo la Corte, iniziare il
giudizio di merito ed in quella sede far valere la questione di competenza, che dunque potrebbe
trovare soluzione attraverso i congegni previsti dalla legge agli artt. 42-45.
87
Così Cass. 9 luglio 2009, cit.
86
200
l’attuazione delle misure cautelari
di conseguenza, disconosce un dato incontestabile: e cioè che la declinatoria di
competenza cautelare chiude il processo davanti al giudice adito proprio come
la declinatoria di competenza chiude il processo davanti al giudice della tutela
dichiarativa. Che nel primo caso, a differenza che nel secondo, la domanda
sia riproponibile ex art. 669 septies non muta i termini del problema, perché
l’interessato non ha strumenti di riesame (né da parte dello stesso giudice né
da parte di altri giudici) che gli rendano certezza in ordine all’individuazione
del giudice cui compete la concessione o l’attuazione della cautela.
Non è dunque la forma del provvedimento (che deriva da scelte del legislatore ordinario nell’organizzazione dei singoli processi) ad assumere rilievo,
quanto la sua definitività intesa (in senso processuale, id est) come idoneità a
chiudere la fase processuale davanti al giudice che l’ha resa.
Nel giudizio dichiarativo ove il regolamento d’ufficio trova il suo ambito
di applicazione, e nel giudizio cautelare, ricorre dunque una medesima ratio:
quella di evitare il conflitto negativo e reale di competenza.
Ad onta della soluzione negativa fornita di recente dalla Cassazione, l’applicazione dell’art. 45 (almeno) in caso di doppia declinatoria di competenza in sede di attuazione cautelare88 trova dunque spazio in via analogica. Il regolamento d’ufficio dovrebbe cioè ritenersi praticabile sia da parte
del secondo giudice, come testualmente prevede la norma, sia da parte del
beneficiario della cautela, che si legittima in base all’allegazione di non
avere in concreto un giudice che si dichiari competente a gestire l’enforcement89.
La soluzione non appare certo priva di inconvenienti, importando l’innesto, nell’ambito di uno snodo molto delicato del processo cautelare, di un
giudizio di cassazione caratterizzato da tempi notoriamente lunghi. Allo stato,
tuttavia, occorre prendere atto che si tratta del minore dei mali, profilandosi in
sua assenza seri problemi sul piano dell’effettività della cautela e, nel contesto
della strumentalità attenuata dell’art. 669 octies, della tutela giurisdizionale
tout court.
In realtà la conclusione vale, a nostro avviso, anche per la declinatoria resa in sede di concessione della cautela, per tutte le ragioni limpidamente evidenziate da Cass. 5 dicembre 2003, di
cui subito alla nota successiva.
89
Sufficit a tal proposito richiamare l’argomento fondamentale utilizzato da Cass. 5 dicembre
2003, n. 18680, in Giust civ., 2004, I, p. 2955, con Nota di Nicita, poi superata da Cass. 9 luglio
2009 cit. resa a composizione del contrasto di giurisprudenza, per aprire la strada al regolamento d’ufficio in materia cautelare. La pronuncia del 2003 si riferiva alle declinatorie di competenza rese in sede di cognizione, ma l’argomento si attaglia perfettamente anche all’ipotesi di
declinatorie rese in sede di attuazione ex art. 669 duodecies: e cioè che non può accettarsi che
l’ordinamento non preveda alcuno strumento processuale con cui dirimere una situazione in cui
non vi sia un giudice obbligato a conoscere della domanda cautelare, a meno di non ipotizzare,
nel sistema delineato dall’art. 669 septies, un potenziale vulnus ai principi costituzionali di cui
agli artt. 3 e 24 cost.
88
Capitolo 4 – La tutela delle parti e dei terzi
201
4.Attuazione e terzi incisi dal dictum e dalla procedura esecutiva:
premessa
Uno dei più delicati problemi posti dall’attuazione delle cautele di fare-non
fare-dare è quello, che ha già affaticato gli interpreti prima della riforma del
1990,90 della tutela dei terzi pregiudicati dal provvedimento cautelare o dalla
sua attuazione.91
Pregiudiziale alla sua soluzione ermeneutica92 è la delimitazione del tipo di
Per il quale si rimanda a Biavati, Note sulla tutela del terzo nei procedimenti cautelari, cit.,
p. 998 ss; Id, Tecniche di tutela del terzo nei procedimenti cautelari, cit., p. 37ss; Id, Errata
esecuzione di un sequestro e tutela cautelare del terzo, cit., p. 1416 ss; Levoni, Op. cit., in Studi
in onore di C.Mandrioli, I, cit., Milano, 1995.
91
Alcuni commentatori hanno lamentato l’assoluta indifferenza del legislatore del 1990, che non
avrebbe in alcun modo contribuito alla soluzione della delicata questione (v. Tarzia, in Provvedimenti urgenti per il processo civile, a cura di Tarzia e Cipriani, cit., Commento all’art.669
terdecies, p. 397, nota 10; più di recente, D’Ascola, Attuazione del sequestro giudiziario e tutela del terzo, in Corr. giur, 2002, p. 378 ss). Altri, al contrario, ha letto nella generalizzazione del
contraddittorio sia nella fase di concessione che di attuazione grosse potenzialità per realizzare
l’audizione, accanto alle parti originarie, anche di ulteriori soggetti a vario titolo interessati o
controinteressati (Salvaneschi, La domanda e il procedimento, in Il nuovo processo cautelare,
a cura di Tarzia, cit., p. 284, per la quale va peraltro comunque preso atto dell’esistenza di una
lacuna normativa, mantenuta pur nel sistema delle sommarie informazioni).
92
Per la quale gli interpreti si sono profusi in una serie di soluzioni diversificate ed ispirate in
molti casi proprio alla logica del caso concreto, come mostra la breve casistica che segue. Così,
T. Verona 30 maggio 2000, in Giur. mer., 2001, I, p. 29 ss, ha negato l’accesso al reclamo al
terzo che rivendicava la proprietà della cosa oggetto del sequestro giudiziario reso inter alios,
in base all’assunto che questi, pur legittimato all’intervento in appello ex art. 344 e all’opposizione ex art. 404, non poteva considerarsi litisconsorte necessario pretermesso; contra per la
legittimazione tout court del terzo, T. Roma 29 maggio 2000, in Giur. it., 2000, 2065; T. Torre
Annunziata 5 maggio 2000, in Giur. mer. 2001, ha riconosciuto al terzo la legittimazione all’intervento nella procedura ante causam, in quanto data la sua qualità di condomino, egli andava
visto come implicato nella richiesta di cautela urgente; T. Agrigento 11 ottobre 2000, in Riv.
crit. dir. lav., 2001, p. 265 ss, ha riconosciuto la legittimazione al reclamo al lavoratore che si
assumeva leso dalla pronuncia ex art. 700 resa inter alios, in materia di accertamento del diritto
di precedenza nel trasferimento ai sensi dell’art. 33 della l. n. 104/1992; T. Roma, sez. Lavoro,
20 luglio 2000, in Giur. it., 2001, I, 497, con Nota di Brida, ha ritenuto inammissibile l’intervento del sindacato stipulante il contratto collettivo nazionale di lavoro di cui sia controversa
l’interpretazione, nel procedimento cautelare promosso dal singolo dipendente. T. Roma 27
marzo 2000, in Foro. it., 2000, I, c. 1697, ha dichiarato inammissibile il reclamo proposto dal
pubblico ministero, che nel caso specifico non era dotato di potere di azione, e che non aveva
preso parte alla fase cautelare. T. Roma 12 marzo 2001, in Giust. civ., 2002, I, p. 751, con Nota
di Giorgetti, ha ritenuto che la necessità di integrare il contraddittorio ex art. 102 sia valutabile
nel procedimento cautelare esclusivamente in ragione degli effetti dell’emanando provvedimento, e non di quelli della futura sentenza di merito. Per T. Treviso 4 ottobre 2001, in Corr.
giur 2002, p. 377ss, il terzo che si affermi titolare del diritto di proprietà su azioni sottoposte a
sequestro giudiziario inter alios non può intervenire in sede di attuazione, ma solo nel giudizio
di merito (eventualmente anche agendo ex novo). Contra Cass. 20 luglio 2001 n.9925 ivi, che
dichiara inoltre inammissibile il rimedio di cui all’art. 619. Notevole, per grado di elaborazione,
T. Rovigo 25 settembre 2000, in Giur. it., 2001, 2294, con Nota di Gennari, che vede l’interesse
del terzo al reclamo nell’impossibilità, da parte sua, di intervenire nel procedimento cautelare, e
90
202
l’attuazione delle misure cautelari
pregiudizio patito e del soggetto che lo lamenta. Limitando il discorso al solo
interesse costituito dal pregiudizio alle proprie ragioni,93 si può partire dalla
summa divisio operata da dottrina e giurisprudenza tra il pregiudizio derivante
dalla stessa concessione del provvedimento e quello derivante invece solo
dalla sua esecuzione.
Ricorre la prima ipotesi quando il regolamento di interessi contenuto nel
provvedimento incide negativamente sulla sfera giuridica di un soggetto che
non ha partecipato alla relativa fase di concessione.
La fattispecie è quella del c.d. ‘pregiudizio da esecuzione’94 individuato
dalla dottrina cui si deve l’enucleazione dell’interesse all’impugnazione nelle
forme dell’art. 404, comma 1, e ricorre qualora il provvedimento imponga un
facere incompatibile con quello cui l’obbligato è tenuto nei confronti di un
terzo, titolare di una posizione autonoma e prevalente rispetto a quella su cui
si è formato il convincimento del giudice.
Si pensi, a titolo esemplificativo, al caso di un lavoratore che venga collocato (illegittimamente) a riposo, o in mobilità,95 o sottratto alle sue originarie
mansioni, con contestuale assegnazione del suo posto ad altro dipendente.
Ma la situazione è identica nel caso di un litisconsorte necessario pretermesso in fase cautelare.96
nell’idoneità del provvedimento stesso ad infliggere un pregiudizio immediato e diretto ad una
sua situazione soggettiva protetta. In termini, anche T. Catanzaro 27 maggio 1997, in Rass. Avv.
Stato, 1998, I, p. 424. Si rimanda, per ulteriori rilievi, a Corsini, Il reclamo, cit., p. 258 ss, nonché a T. Verona 28 marzo 1995, in Giur. it., 1996, I, 2, c. 187, con Nota di Consolo, che ritiene
ammissibile l’intervento volontario sul rilievo del ritardo che comporterebbe l’esperimento dei
rimedi di cui agli artt. 404 e 619; T. Ravenna 9 giugno 1997, ivi, 1998, c. 698, che ha ammesso
l’intervento secondo le regole dell’art. 105, ove il terzo possa avere utilità o pregiudizio dal
provvedimento (e quindi in una prospettiva più ampia); P. Monza 11 giugno 1996, in Giur.
it., 1997, I, 2, 232, con Nota di Cecchella; T. Torino 3 gennaio 1994, in Giur. it., 1994, I, 2, c.
1118, con Nota di Michieletto, che ha riconosciuto la legittimazione al reclamo al litisconsorte
necessario pretermesso.
93
È noto, infatti, che gli interpreti hanno, sia pure con diversità di accenti, enucleato una tipologia d’interessi all’intervento nel procedimento cautelare corrispondente a quella di cui all’art.
105. V., per tutti, Consolo, Intervento del terzo nel giudizio cautelare, reclamo del terzo e pregiudizio da mera attuazione scorretta (da farsi valere in altro modo), in Nota a T. Verona cit.,
e Gennari, in Nota a T. Ravenna 9 giugno 1997, cit., per le opportune puntualizzazioni circa la
diversa portata del fenomeno in materia cautelare.
94
V. per tutti, Luiso, Diritto processuale civile, cit., II, passim.
95
Le ipotesi sono tratte dalla realtà applicativa, anche se, in essa, il rapporto con altro dipendente è stato instaurato dopo l’emissione del provvedimento d’urgenza. Quanto alla prima, si veda
T. Trani, 21 novembre 2000, in Giur. mer., 2001; quanto alla seconda, T. Agrigento 11 ottobre
2000, cit. Per ulteriore casistica, Corsini, Il reclamo, cit., p. 261ss.
96
Qui il discorso è complicato dall’interferenza con altri temi contigui, quale quello dell’esistenza, e dei limiti, del litisconsorzio necessario in fase cautelare, e della legittimazione all’intervento. Non potendo, in questa sede, neppure sfiorarli, ci si limiterà ad esprimere la preferenza
per la tesi che riconosce cittadinanza ai due istituti nel processo cautelare solo ove al terzo derivi pregiudizio già dal regolamento di interessi contenuto nella misura, a nulla rilevando quello
che risulterà dalla futura sentenza di merito. Di talché la domanda di cautela andrà proposta nei
confronti di tutti i litisconsorti, che saranno anche legittimati all’intervento, solo ove il prov-
Capitolo 4 – La tutela delle parti e dei terzi
203
Per terminare la breve carrellata sui terzi pregiudicati dalla misura, sembra
possibile accedere alla tesi che fa rientrare in tale ambito anche gli aventi causa ed i creditori di una delle parti, che lamentino il dolo o la collusione a loro
danno ai sensi dell’art.404, comma 2°, sempre che ciò si sia tradotto in una
misura immediatamente lesiva dei loro interessi.97
Il profilo del pregiudizio derivante direttamente e solo dall’attuazione della
misura attiene invece all’invasione della sfera giuridica di terzi a causa di un
errore materiale nel compimento delle attività di esecuzione.98
La domanda cui occorre trovare risposta è dunque la seguente: in che modo
potranno tali soggetti lamentare il pregiudizio da essi subito?
4.1. Segue: la tutela dei terzi direttamente incisi dal dictum
In riferimento alla prima delle ipotesi evocate, quella cioè del pregiudizio “da
esecuzione”, qualora esso derivi da una sentenza passata in giudicato o comunque esecutiva, nel processo civile il problema è risolto legittimando il
terzo all’opposizione dell’art. 404, comma 1, che consente anzitutto la sospensione delle operazioni esecutive da cui nasce il pregiudizio e poi la ridecisione, in contraddittorio delle parti orginarie, della Normsituation della sentenza
impugnata99.
Progressivamente la giurisprudenza costituzionale ha esteso il rimedio anche a provvedimenti diversi dalla sentenza100, ed anche al di fuori del processo
vedimento produca effetti nella loro sfera giuridica, a prescindere dal fatto che l’accertamento
pieno dovrà necessariamente, e comunque, avvenire anche nei loro confronti: così Consolo,
Intervento, cit., p. 188 ss; Gennari, op.ult.cit., p. 698; T. Roma 12 marzo 2001, cit., in tema di
litisconsorzio necessario. Sull’intervento, v. le interessanti pronunce conformi di T. Catanzaro
27 maggio 1997, cit., e T. Rovigo 25 settembre 2000, cit., sulla delimitazione dell’interesse del
terzo, anche se con riferimento al reclamo.
97
Così Cirulli, La nuova disciplina dei rimedi contro i provvedimenti cautelari, cit., p. 166 ss.
L’a. utilizza l’esempio del locatore che, d’accordo con il conduttore, ottenga un provvedimento
d’urgenza di immediato rilascio dell’immobile a danno del subconduttore.
98
Netta mostrandosi la differenza con la fattispecie appena illustrata. Lì era l’attuazione in
quanto corretta realizzazione del dictum a pregiudicare le ragioni di chi non aveva partecipato
alla fase di concessione. Mezzo al fine si rivelava allora la contestazione (nelle forme processuali del reclamo ma con la sostanza di una opposizione ex art. 404; o di intervento nel relativo
giudizio) del provvedimento concessivo. Qui, viceversa, il dictum in quanto tale non pregiudica
alcuna posizione altrui, ma è al contrario un errore materiale nel corso della sua attuazione ad
incidere illegittimamente nella sfera giuridica altrui.
99
Il che ben si comprende: l’enforcement realizza il contenuto precettivo del provvedimento.
È dunque quest’ultimo che deve essere rimodulato per una efficace e definitiva rimozione del
pregiudizio, a nulla valendo contrastare solo l’esecuzione forzata in quanto tale.
100
È nota infatti l’apertura del sistema verso l’esperibilità del rimedio previsto dall’art. 404
anche contro provvedimenti che, pur diversi dalla sentenza, ne assumano la medesima potenzialità lesiva: così Corte cost. 7 giugno 1984 n. 167, in Giust. civ., 1984, I, p. 2361, ha dichiarato
l’illegittimità costituzionale dell’art.404 nella parte in cui non ammette il rimedio ivi previsto
avverso l’ordinanza di convalida di sfratto per finita locazione, emanata per la mancata comparizione dell’intimato o per la sua mancata opposizione, pur comparso; Corte cost. 22 ottobre
1985 n. 237, in Giust. civ., 1986, I, p. 3 e Corte cost. 26 maggio 1995 n.192, in Giust. civ., 1995,
204
l’attuazione delle misure cautelari
(davanti al giudice) civile, in particolare alle sentenze sia di primo grado che
d’appello dei giudici amministrativi, per le quali non era testualmente previsto101.
Occorre allora verificare se nel sistema processuale cautelare sia rintracciabile un rimedio che realizzi la ratio sottesa alla tutela che in altri processi
riveste la forma dell’opposizione dell’art. 404 in parte qua.
Considerato che occorre intaccare e rimodulare il contenuto del dictum
cautelare il rimedio appropriato sembra quello del reclamo del terzo102 che si
legittimi in base all’allegazione del “pregiudizio da esecuzione” nei termini
surriferiti. Ove il giudizio di reclamo sia in corso perché promosso da una
delle parti originarie, egli potrà intervenirvi (qualora invece la sua esistenza
emerga nel corso dell’istruttoria cautelare, potrà altresì esservi chiamato su
istanza di parte o per ordine del giudice) e chiedere, anche aderendo ad analoga richiesta già formulata dal reclamante, la sospensione dell’attuazione103.
I, p. 2017, hanno fatto altrettanto in riferimento all’ordinanza di sfratto per morosità e a quella
di convalida di licenza per finita locazione; infine Corte cost. 20 dicembre 1988 n. 1105, ivi,
1989, I, p. 805, si è pronunciata in riferimento all’ordinanza di affrancazione del fondo ex art.4
L. 22 luglio 1986 n. 607.
101
Corte cost. 17 maggio 1995, n. 177, richiamandosi agli artt. 3 e 24 cost., ha dichiarato l’illegittimità costituzionale degli artt. 36 l. Tar nella parte in cui non prevede l’opposizione di terzo
ordinaria fra i mezzi di impugnazione delle sentenze del Consiglio di Stato e dell’art. 28 della
stessa legge, nella parte in cui non prevede l’opposizione di terzo fra i mezzi di impugnazione
delle sentenze dei Tar divenute giudicato. V. amplius Travi, Lezioni, cit., p. 298 ss. Oggi la revocazione e l’opposizione di terzo sono espressamente previste dagli artt. 106 e ss del Codice
del Processo amministrativo.
102
Una delle ipotesi di legittimazione del terzo al reclamo emersa in sede applicativa è quella
in cui pur dopo l’ordine di reintegra del lavoratore il datore abbia costituito un nuovo rapporto
con un altro soggetto chiamato, al posto del beneficiario della reintegra stessa, ad espletare
le mansioni che sarebbero spettate a quest’ultimo. La giurisprudenza di legittimità formatasi
sull’esecuzione della sentenza di reintegra (così, in particolare, Cass. 7 marzo 2002 n. 12123,
cit.; Cass. 2 ottobre 2002 n. 14142, inedita; Cass. 14 ottobre 2000 n. 13727, in Or. giur. lav.,
2001, I, p. 343; Cass. 7 gennaio 1998 n. 77, in Studium Iuris, 1998, II, p. 827; Cass. 13 marzo
1997 n. 2229, in Not. giur. lav., 1997, p. 227. Per la giurisprudenza di merito si vedano T.Milano
22 febbraio 1997, in Or. Giur. Lav., 1997, p. 181; T.Milano 29 novembre 1997, Ibidem, 1021.
In dottrina v. Zingales, op. loco cit.) ha in più occasioni precisato che la sostituzione del lavoratore licenziato con un altro deve ritenersi provvisoria e condizionata alla definitiva reiezione
dell’impugnativa del licenziamento, non potendo perciò costituire una delle ragioni tecnico-organizzative che consentono il trasferimento del lavoratore reintegrato ad altra sede. La posizione del sostituto appare dunque, se è davvero tale, recessiva rispetto a quella del lavoratore illegittimamente licenziato: la (ri)assegnazione del posto vacante non è infatti che la conseguenza
della condotta datoriale censurata con il provvedimento di reintegra. Non varrebbe perciò a
quest’ultimo aggredire il provvedimento attuativo con cui il giudice fissi, ex art. 669 duodecies,
il modus exequendi dell’ordine di reintegra, anche disponendo la sua estromissione dal posto
che occupa. Tale provvedimento mira infatti alla realizzazione del contenuto del dictum, solo
a quest’ultimo potendo ascriversi portata pregiudizievole, se il controinteressato assume che la
sua è una posizione prevalente rispetto a quella del lavoratore reintegrato.
103
Va piuttosto rilevato che la brevità temporale del procedimento e la difficoltà di venirne a
conoscenza per i terzi, e di individuare controinteressati per le parti, rendono molto più frequente l’ipotesi che il provvedimento si formi in prime cure o in entrambi i gradi di giudizio senza
Capitolo 4 – La tutela delle parti e dei terzi
205
Il reclamo104 andrà esperito entro quindici giorni dalla conoscenza che il terzo
acquisisca del provvedimento.105
Contro quest’ultima opzione non potrebbe validamente obiettarsi che la
legittimazione al mezzo è data dall’art. 669 terdecies alle sole parti della fase
in prime cure;106 o che ciò contrasta con i principi generali sulle impugnazioni,
caratterizzati dalla summa divisio tra mezzi riservati alle parti e mezzi riservati
ai terzi.107
Neppure nella sua sede naturale il distinguo tra appello ed opposizione di
terzo appare infatti così netto quando il terzo lamenti un pregiudizio derivante
da sentenza ancora appellabile o per la quale già pende l’appello, essendone
consentito l’intervento. Proprio l’art. 344 è anzi la riprova di come un mezzo
di impugnazione normalmente riservato alle parti possa aprirsi ad accogliere
un thema decidendum più ampio in virtù del coinvolgimento di terzi.
Si può dunque concludere che il reclamo, esperito dalle parti, assuma la
sostanza dell’impugnazione a critica libera disegnata dall’art. 669 terdecies;
la loro partecipazione. Per ovviare all’inconveniente Cecchella, Per una tesi (tradizionale) sul
procedimento possessorio e una tesi (non tradizionale) sulla opposizione ordinaria del terzo,
cit., 240 ss, propone di affidare la tutela dei terzi proprio all’opposizione ex art. 404 comma
1°. La soluzione, però, non convince. Non è tanto il riferimento della norma alle sole sentenze
esecutive o passate in giudicato a destare perplessità ( ritiene invece stringente questo riferimento, Corsini, Il reclamo, cit., 266, collegandolo funzionalmente all’idoneità al giudicato),
quanto piuttosto il fatto che l’opposizione è un giudizio su diritti in prospettiva del giudicato
e non può dunque innestarsi, per rimuoverlo, su un provvedimento cautelare che si è limitato
a fissare un assetto di interessi senza alcuna valenza decisoria. Queste considerazioni mettono
a nudo i limiti dell’altra soluzione proposta (Saletti, in Nuove leggi civili commentate, 1992,
394, Commento all’art.669 duodecies il quale, però, ammette anche il reclamo; Proto Pisani,
La nuova disciplina, cit., 365. Merlin, voce Procedimenti, cit., p. 426), vale a dire l’intervento
ad excludendum nel giudizio di merito, con facoltà di chiedere la modifica o revoca al giudice
istruttore. Ciò in quanto questi è privo del potere di sospensione di cui sopra, senza contare poi
la circostanza che oggi un giudizio di merito potrebbe anche non esservi, e dunque la tutela dei
terzi deve poter essere assicurata autonomamente già in fase cautelare, id est direttamente verso
la fonte del pregiudizio che allegano.
104
Secondo l’autorevole parere già fatto proprio da Tarzia, Commento, cit., 397; v. anche Cirulli, op.cit., 173 ss.
105
Il termine è stato elevato da dieci a quindici giorni dall’art. 669 terdecies come modificato
dalla l. n. 80/2005.
106
Corsini, Il reclamo, cit., 263 ss; T. Chieti 25 marzo 1994 (ord), soc. Belli c/Consorzio Cooperative Costruttori, inedita, riportata da Cirulli, op.cit., p. 175, nota 250; T. Camerino, 30 agosto
1993, Idalstrade/SIME, inedita, citata da Cecchella, op.loco ult. cit., p. 244; Laudisa, Tutela del
destinatario del provvedimento cautelare e del terzo, cit., p. 97ss. Ciò in quanto (Cirulli, La
nuova disciplina, cit., 173) se il destinatario passivo del provvedimento, che è stato già sentito,
è legittimato al reclamo, maiori causa dovrà esserlo chi, parimenti inciso dal provvedimento,
neppure abbia avuto l’opportunità di spiegare aliunde le sue difese. Diversamente argomentando i terzi verrebbero privati della tutela cautelare tout court; e tale carenza, a meno di non essere
supplita dall’accesso a quella d’urgenza ex art. 700 per paralizzare gli effetti del provvedimento
pregiudizievole, aprirebbe la strada ad un grave dubbio di costituzionalità dell’art. 669 terdecies
per contrasto con gli artt. 3 e 24 cost .
107
Ancora Corsini, Il reclamo, cit., p. 263.
206
l’attuazione delle misure cautelari
esperito invece dal terzo, assuma la sostanza di una opposizione ex art. 404,
comma 1°.108 Ed in entrambi i casi, come conferma l’art. 344 nel sistema processuale che accoglie invece la summa divisio tra mezzi riservati alle parti e
mezzi riservati ai terzi, motivi diversi e legittimazioni diverse sono ospitati
all’interno di uno stesso contenitore processuale.
Della soluzione proposta sono state evidenziate le serie ricadute pratiche:109
ad esempio, lo ‘spezzettamento’ della fase impugnatoria avverso la medesima
misura; il fatto che il reclamo del terzo, se preceduto da quello della parte, andrebbe formalmente proposto contro un provvedimento del collegio, ad onta
della espressa non riesaminabilità delle pronunce già rese in sede di reclamo.
Si è altresì rilevato come questa soluzione proietti “in un incerto e lungo futuro” la esperibilità del mezzo, sul rilievo che il termine potrebbe iniziare a
decorrere, per il terzo, mesi o anni dopo la pronuncia cautelare110.
Le obiezioni tuttavia non convincono.
Si è infatti già rilevato che ove riservato ai terzi il reclamo ospiti un oggetto che è nella sostanza quello di una opposizione di terzo ex art. 404,111
dell’impugnazione disegnata dall’art. 669 terdecies venendo dunque in rilievo
la forma processuale (ivi compresi i termini, decorrenti dalla conoscenza del
provvedimento, e la competenza) e non il thema decidendum. Inoltre, proprio
l’opposizione di terzo, anche nel suo ambito di applicazione naturale disegnato dall’art. 404 e dalla giurisprudenza costituzionale, è un mezzo di impugnazione proponibile sine die, non essendo predeterminabile il momento in cui
nasce il relativo interesse.
Sicchè pare plausibile concludere nel senso che: a) se pende il giudizio di
reclamo, il terzo può intervenirvi o essere chiamato. In tal caso il thema decidendum originario si allarga ad accogliere le ragioni del terzo (come accade
Con i dovuti distinguo che, giova ripeterlo a scanso di equivoci, derivano dal fatto che il riferimento all’opposizione di terzo riguarda i presupposti soggettivi ed i motivi dell’impugnazione
disegnati dall’art. 404, non invece le relative forme processuali. Così, il reclamo avente tale
contenuto non andrà proposto al giudice che ha reso il provvedimento, ma secondo le regole
previste dall’art. 669 terdecies. In tal senso anche Cirulli, op loco ult..cit., p. 174, nota 245.
109
V. Corsini, Il reclamo, cit., p. 264 ss. Non sembra invece potersi accedere alla tesi per la
quale il provvedimento cautelare non è idoneo, ex se, a pregiudicare il terzo in quanto, in caso di
tardivo inizio del giudizio di merito, diviene inefficace, mentre in caso contrario viene assorbito
dalla sentenza, di talché solo contro quest’ultima saranno esperibili i rimedi previsti dall’ordinamento. Così Basilico, I rimedi nei confronti dei provvedimenti cautelari alla luce dei nuovi
artt.669 decies e 669 terdecies, in Giur. it., 1994, IV, c. 22 ss. L’a. non sembra infatti tener conto
che, nelle more della pronuncia e della stessa dichiarazione di inefficacia, il provvedimento
cautelare trova comunque attuazione. Ciò vale, naturalmente, a maggior ragione oggi, dopo
che le note modifiche all’art. 669 octies hanno eliminato la causa di inefficacia consistente nel
mancato inizio del giudizio di merito in un termine perentorio.
110
Consolo, Intervento del terzo, cit., passim.
111
L’ipotesi in cui manchi il giudizio di merito perché deferito a collegio arbitrale o a giudice
straniero o non ancora incardinato, non dovrebbe comportare profili particolarmente problematici, dato che è sempre identificabile il giudice del reclamo, mentre i terzi potranno iniziare, nei
termini previsti dall’art. 669 octies, un autonomo giudizio di accertamento.
108
Capitolo 4 – La tutela delle parti e dei terzi
207
nell’appello ex art. 344); b) se invece il termine per il reclamo è già spirato o
il giudizio si è già concluso, il terzo potrà esperire l’impugnazione nel termine
decorrente dalla conoscenza del provvedimento e davanti al giudice competente in caso di misura emessa da un collegio (che tale è sempre il giudice del
reclamo).
Parti del giudizio saranno sempre e comunque anche quelle originarie, a
conferma del fatto che nelle forme processuali del reclamo si porta all’attenzione del giudice il tipico thema decidendum dell’opposizione di terzo.
4.2. Segue: la tutela dei terzi incisi dalla procedura attuativa
Esaurito l’esame del pregiudizio provocato dal contenuto precettivo del
provvedimento, rimane da affrontare quello del pregiudizio derivante invece
dall’invasione della sfera giuridica di terzi a causa di un errore nel compimento delle attività esecutive.
Qui, a differenza che nel caso precedente, non è la pronuncia in quanto tale
a pregiudicare la sfera giuridica di un soggetto diverso dall’obbligato, ma un
errore materiale nel corso della sua attuazione.
Il soggetto che lamenti tale incisione troverà dunque anzitutto una sedes
adeguata davanti al giudice dell’attuazione. La sua può infatti senz’altro considerarsi una contestazione relativa all’attuazione sulla quale il giudice rende
ordinanza sentite anche le parti originarie. La dizione letterale dell’art. 669
duodecies, che fa riferimento alle sole parti, non appare in alcun modo ostativa a questa conclusione trattandosi pur sempre di contestazioni sulle modalità
esecutive il cui alveo naturale è quello dell’esecuzione stessa e si pone quale
presupposto delle conseguenti opportune disposizioni correttive.
Occorre invece chiedersi se avverso tale provvedimento sia ipotizzabile un
riesame, ed in quale forma.
Nei processi esecutivi del c.p.c. la valutazione della ragioni del terzo è affidata all’opposizione ex art. 619.112 Nel giudizio di ottemperanza alle sentenze
amministrative, il terzo può invece lamentare davanti al giudice dell’ottemperanza l’errore in cui è incorso il commissario ad acta113.
Siccome nell’attuazione cautelare la cognizione (funzionalmente esecutiva) è interna alla procedura, proprio come si è più volte rilevato accadere nel
giudizio di ottemperanza, alla fattispecie si attaglia il rimedio impugnatorio
del reclamo.
Anche in tal caso però si tratterà di una applicazione analogica dell’art.
669 terdecies sia quanto al provvedimento reclamabile, che non è la cautela
ma l’ordinanza resa ex art. 669 duodecies (il provvedimento attuativo che reca
le determinazioni del giudice in ordine alle lamentele del terzo, previa audiPer tutti, Merlin, voce Procedimenti, cit., p. 426, ed ivi, indicazioni bibliografiche.
Cui è demandata la surrogazione dell’amministrazione e la richiesta delle opportune disposizioni correttive: v., ad esempio, Cons. Stato 14 luglio 1997, n. 826, in Foro amm., 1997, p.
1972.
112
113
208
l’attuazione delle misure cautelari
zione sua e delle parti originarie); sia quanto a legittimazione, che appartiene
a chi allega l’incisione della sua sfera giuridica a causa di un errore materiale
nell’attuazione del dictum.114
Occorre inoltre precisare che l’impugnazione dei terzi sub specie di reclamo avverso l’ordinanza ex art. 669 duodecies, come del resto la loro audizione
in sede attuativa, riguarda esclusivamente i profili relativi all’identificazione
del bene inciso dall’attuazione: dato l’interesse a difendersi sul punto specifico, il reclamo va riconosciuto anche alle parti, che dovranno inoltre partecipare (rectius essere chiamate) al relativo giudizio ove iniziato dal terzo.115
Secondo il modello proposto dunque, l’identificazione del bene è discussa
in sede cautelare in doppio grado, e nel contraddittorio di tutti gli interessati,
salva la valutazione dei profili di merito in autonomo giudizio.116
Sezione III
Riepilogo
1. La tutela delle parti e dei terzi tra “attuazione” dei sequestri ed “attuazione” delle cautele anticipatorie
L’esame dell’“attuazione” cautelare dal punto di vista della tutela delle parti e
dei terzi ha evidenziato alcuni punti di contatto tra l’“attuazione” dei sequestri
Nella sostanza, il meccanismo realizza dunque la stessa ratio dell’opposizione di terzo
all’esecuzione ex art. 619.
115
Così come, al contrario, il terzo dovrà essere chiamato in caso di reclamo esperito da una
delle parti originarie.
116
Non invece all’interno del giudizio (eventualmente) già in corso sul diritto cautelato, per
il semplice fatto che il terzo non vi ha interesse: questo giudizio ha infatti un oggetto diverso dal diritto sul bene erroneamente inciso dall’attuazione cautelare. Interessante, in tema
di tutela del terzo, l’opinione di Olivieri, Brevi considerazioni, cit., passim, per il quale la
nuova disciplina del procedimento cautelare introdotta dalla l. n. 80/2005 con la modifica
di molte sue norme, fornisce un contributo alla soluzione di questo delicato snodo. In particolare, il pregiudizio da concessione del provvedimento potrebbe giustificare il reclamo del
terzo in base ad un preciso dato testuale, l’art. 27, comma 1° del d. lgs. n. 5 del 2003, contenuto nelle Disposizioni generali del procedimento in camera di consiglio, che consente il
reclamo ad ogni soggetto interessato. Considerato che, a seguito dell’attenuazione del nesso
di strumentalità della cautela al merito introdotto anche per i provvedimenti cautelari non
societari dal nuovo art. 669 octies, i provvedimenti cautelari che anticipano gli effetti della
decisione di merito tendono ad avvicinarsi, quanto alla stabilità, ai provvedimenti sommari
non cautelari, può delinearsi la presenza di un unico genus, quello dei provvedimenti sommari, appunto, per i quali, se cautelari, sono applicabili norme dettate per i provvedimenti
sommari non cautelari. In particolare, pare applicabile proprio l’art. 27, comma 1°cit., che
prevede testualmente, per i provvedimenti sommari non cautelari, il reclamo di ogni interessato, così ricomprendendo sicuramente i terzi non coinvolti in prima battuta nell’emissione
del provvedimento cautelare. Le considerazioni, oggi superate, com’è noto, dalla sopravvenuta abrogazione del processo societario ad opera della l. n. 69/2009, restano comunque di
grande rilievo sistematico.
114
Capitolo 4 – La tutela delle parti e dei terzi
209
e quella delle cautele anticipatorie, per altri confermando invece le profonde
diversità tra i due fenomeni.
Sotto il primo profilo, in entrambe la natura formale di fase del processo
cautelare consente di delimitare l’ambito delle difficoltà e contestazioni riservate all’area dell’“attuazione” da quelle che trovano la loro sede di elezione in
altre disposizioni del processo cautelare, come ad esempio i profili di esistenza/inesistenza del diritto cautelato, ed altre.
L’attrazione delle contestazioni delle parti e dei terzi sulla correttezza/
validità della procedura in prima battuta al giudice dell’attuazione è invece
profilo strutturale che accomuna sequestri e cautele di condanna a prestazioni di fare-non fare-dare, e trova la propria giustificazione nella rimessione a
questo giudice del controllo sul procedimento nella sua globalità, anche se nel
caso dei sequestri perché l’“attuazione” stessa è funzionalmente inscindibile
dall’autorizzazione anche in virtù del ruolo fondamentale assunto dal bene; e
nel caso delle cautele recanti ordini di fare-non fare-disfare perché l’art. 669
duodecies ne rimette la gestione globale al giudice stesso.
Ma anche questi due procedimenti tornano subito a divaricarsi quanto alla
possibilità di impugnare le ordinanze rese sulle contestazioni.
Nei sequestri l’onere di diligenza imposto al beneficiario dall’art. 675 c.p.c.;
e l’impossibilità di riguardare il vincolo senza il bene su cui insiste; comportano che se le contestazioni investono l’invalidità della sua costituzione nel
termine di perenzione il sequestro deve considerarsi inefficace (quantomeno
sui singoli beni cui l’invalidità si riferisce). Sicchè per le parti, ma anche per i
terzi, si apre la via della procedura disegnata dall’art. 669 novies che consente
l’esame di questi profili in sede squisitamente cautelare (davanti al giudice
dell’attuazione) in presenza di accordo sulle cause di inefficacia o in quella
più consona di un giudizio a cognizione piena in presenza di contestazioni.
Per le cautele di fare-non fare gli schemi dell’inefficacia non hanno evidentemente senso perchè manca la compenetrazione tra autorizzazione e vincolo su beni più volte descritta come peculiare dei sequestri.
Qui il giudice, in esplicazione del triplice potere di determinazione delle
modalità di attuazione; di risoluzione di difficoltà e contestazioni e di controllo sull’attuazione stessa, ha per scelta inequivocabile dell’art. 669 duodecies
in parte qua il pieno controllo su ogni doglianza, delle parti o dei terzi, che
involga in qualunque modo il diritto di procedere ad esecuzione forzata sub
specie di “attuazione” o la sua correttezza procedurale (ad esempio, ma non
solo, sotto il profilo della competenza), che risolve con ordinanza.
In assenza dello stringente richiamo ad uno specifico modello processuale
esterno, ed al contempo di una espressa presa di posizione del legislatore,
la soluzione del riesame pieno di questo provvedimento esecutivo è apparsa
sostenibile perché praticata anche in altri processi esecutivi noti all’ordinamento, ed è stata ammantata delle forme, consone al contesto del processo
cautelare, del reclamo.
210
l’attuazione delle misure cautelari
L’applicazione dell’art. 669 terdecies è stata però considerata analogica
e non diretta in quanto il provvedimento impugnato ed il thema decidendum
dell’impugnazione stessa sono diversi rispettivamente dal provvedimento
cautelare da eseguire e dalla contestazione del suo contenuto precettivo o della sua validità.
Ed è sotto questo profilo che è tornata ad emergere la profonda diversità
tra l’“attuazione” di queste, in quanto cautele anticipatore, e l’“attuazione” dei
sequestri. In quanto fenomeno esecutivo, della prima e dei provvedimenti resi
dal suo giudice non può in alcun modo predicarsi la inscindibilità con la fase
di cognizione, né la natura integrativa della cautela, come si legge invece in
alcune pronunce giurisprudenziali.
L’esecuzione è sempre una fase processuale distinta da quella dichiarativa, sottoposta a diversi presupposti, avente propria disciplina e che può
anche mancare in presenza di ottemperanza volontaria dell’obbligato. Ciò
è vero nelle esecuzioni forzate civilistica ed amministrativa evocate non
meno che nell’attuazione delle cautele “anticipatorie”, e non è smentito
dal fatto che possa in concreto essere affidata allo stesso magistrato che
ha concesso il provvedimento da eseguire piuttosto che al magistrato di un
diverso ufficio.
Nei sequestri, viceversa, l’“attuazione”, pur essendo inaugurata da autonomo atto d’impulso del beneficiario perché formalmente fase del processo
cautelare, è necessaria non meno della concessione, in difetto di alcuna utilità
mostrandosi lo stesso provvedimento concessivo. Qui l’identità tra giudice
che ha autorizzato il sequestro e giudice chiamato a sovrintenderne l’“attuazione” è imposta, come si è rilevato nel II capitolo, da ben altre ragioni che
quelle di tecnica processuale che ispirano alcune delle esecuzioni forzate oggi
note, ed è per questo che sopravvive anche al mutamento di queste.
E lo stesso è a dirsi per i poteri di controllo sulla procedura e di risoluzione
delle possibili contestazioni, che riguardano sempre l’operato dell’ausiliare
e la validità della costituzione del vincolo sui beni, con le conseguenze già
individuate sul piano proprio degli strumenti reattivi riconosciuti alle parti ed
ai terzi.
Quanto alle cautele di condanna pecuniaria, il rinvio agli artt. 491 e segg.
coinvolge anche gli artt. 615-619 c.p.c. Sicchè qui, al netto dei profili riservati alla fasi dichiarative del processo cautelare, le contestazioni sull’an ed
il quomodo dell’esecuzione (che si traducono in quelle sull’an o quomodo
dell’espropriazione, anche in questo apprezzandosi lo scarto con l’attuazione
delle cautele di fare-dare) sono attratte senz’altro alle opposizioni esecutive
disegnate da queste disposizioni.
Sotto altro ma connesso profilo, la ricorrenza sia nell’attuazione dei sequestri che in quella delle cautele di pagamento di un vincolo pubblicistico su
beni (il pignoramento ed il sequestro), mostra come la stessa logica finisca per
accomunare le opposizioni degli artt. ex artt. 615, comma 2° e 619 e l’ineffi-
Capitolo 4 – La tutela delle parti e dei terzi
211
cacia del sequestro per invalidità delle modalità di costituzione del vincolo nel
termine di perenzione.
Per le prime interesse immediato dell’opponente è la sottrazione del bene
al vincolo in quanto estraneo allo spettro della responsabilità patrimoniale
(per impignorabilità o esistenza di diritti incompatibili e prevalenti di terzi), e
non la caducazione della procedura esecutiva nel suo complesso, che tuttavia
è risultato eventuale e derivante dall’accoglimento dell’opposizione rispetto
all’unico bene pignorato.
Lo stesso accade se si lamenti l’invalidità della costituzione del sequestro
conservativo nel termine, perché l’accoglimento della contestazione determina l’inefficacia della misura nel suo complesso solo se non vi erano altri beni
sui quali il vincolo era stato correttamente apposto. In caso contrario invece lo strumento della declaratoria di inefficacia di cui all’art. 669 novies si
presta a realizzare la logica (in parte diversa) delle opposizioni esecutive “al
pignoramento”, cioè a realizzare lo svincolo di beni senza inficiare l’intera
procedura.
Le differenze rimangono tuttavia rilevanti.
Ove l’attuazione identifica un fenomeno di esecuzione forzata, in esito alle
opposizioni ex artt. 615, c. 2 e 619 può certo chiudersi la procedura in corso,
ma il titolo che l’aveva fondata, non essendo stato in alcun modo intaccato, è
spendibile per sorreggere un nuovo e diverso enforcement.
Ove invece l’attuazione identifica un vincolo pubblicistico su beni la chiusura della procedura ridonda a danno della stessa giuridica efficacia del provvedimento autorizzativo, il quale non potrà essere nuovamente speso.
Lo scarto più profondo tra la sostanza schiettamente esecutiva dell’“attuazione” delle cautele di condanna pecuniaria e quella dell’“attuazione” dei
sequestri è tutto in questo rilievo, che al contempo spiega la logica che ispirava il previgente giudizio di convalida cui queste contestazioni, pur in astratto
ascrivibili all’ordine di quelle fondanti le opposizioni degli artt. 615 e 619,
erano attratte: di convalida della misura non poteva infatti discorrersi senza
considerarne i profili di efficacia (anche) in relazione alla corretta identificazione del suo oggetto.
La tutela delle parti e dei terzi si è infine rivelata cartina al tornasole
dell’identità funzionale dell’attuazione delle cautele di condanna pecuniaria
e di quelle di condanna a prestazioni di fare-non fare-dare, nonché delle altre esecuzioni forzate note all’ordinamento ed in più occasioni evocate; ed al
contempo della diversità, e direi anzi irriducibilità, delle strutture processuali
che le assistono.
In tutte le esecuzioni la tutela delle parti e dei terzi è sempre e costantemente assicurata attraverso la contestazione del diritto di procedere ad esecuzione
forzata (o specularmente del rifiuto della tutela esecutiva), delle invalidità/
irregolarità della procedura o attraverso l’allegazione delle posizioni incompatibili e prevalenti di terzi rispetto alla pretesa del creditore procedente.
212
l’attuazione delle misure cautelari
Ciò che muta sono le forme in cui tali tutele si manifestano: sicchè, tornando al contesto cautelare, le opposizioni ex artt. 615-619 si sono mostrate praticabili laddove è stato un preciso richiamo ad imporle (cautele di condanna
pecuniaria); e si sono escluse laddove invece in virtù di una diversa struttura
processuale è il giudice dell’attuazione a decidere le medesime contestazioni
già in sede esecutiva, aprendosi perciò la via direttamente al riesame in forma
impugnatoria (cautele che impongono prestazioni di fare-non fare- dare).
Le opposizioni degli artt. 615-619 c.p.c. ed il reclamo avverso i provvedimenti resi ex art. 669 duodecies hanno così mostrato il loro volto di soluzione
tecnica diversa al servizio di un medesimo ordine di problemi praticabile, a
scapito di altre, solo se lo consente o impone la struttura processuale dell’esecuzione in concreto considerata.
CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE
L’analisi condotta nei precedenti capitoli ha mostrato come l’“attuazione”,
riguardata nella prospettiva unitaria di fase del processo cautelare, sia organizzata in un procedimento basato su autonomi presupposti, inaugurato da un
autonomo atto ed avente sue proprie regole, diverse da quelle che governano
la fase di concessione della cautela.
In questo stesso schema astratto si calano da un lato l’“attuazione” dei sequestri, deputata alla creazione di un vincolo pubblicistico su beni; e dall’altra
l’“attuazione” delle cautele anticipatorie, vero e proprio fenomeno di esecuzione forzata.
Della prima viene in evidenza quella compenetrazione con la fase di autorizzazione già messa in luce dalla dottrina degli anni cinquanta del novecento
(punto di partenza, come visto, dell’evoluzione del pensiero sull’attuazione
cautelare), attorno alla quale era stato costruito il previgente giudizio di convalida, ed oggi attestata non solo dal perdurante onere di diligenza imposto al
beneficiario dall’art. 675 c.p.c., ma anche dall’identificazione tra il giudice
dell’autorizzazione e quello dell’“attuazione” stessa.
Della seconda, viceversa, viene in rilievo non solo sotto il profilo formale – strutturale dell’essere fase di un più ampio processo, ma anche sotto
il profilo funzionale, la netta separazione con la fase di concessione della
cautela.
È questo il profilo qualificante, e comune, tra l’attuazione delle cautele di
pagamento e quella delle altre cautele anticipatorie, e derivante dalla comune
appartenenza all’area dell’esecuzione forzata.
Si tratta di caratteristica ineliminabile su cui non incidono in alcun modo
le diverse scelte di tecnica processuale del legislatore, in particolare sotto il
profilo della competenza che solo nell’esecuzione delle cautele di fare-non
fare-dare è rimessa allo stesso giudice (e che ragioni di migliore funzionalità
della procedura hanno qui consentito di identificare con lo stesso magistrato
che ha reso la cautela), mentre in quelle di pagamento è rimessa al diverso
giudice dell’art. 484 c.p.c. (e 545).
Dei due processi apprestati dal legislatore del 1990, quello che assiste
l’esecuzione forzata delle cautele recanti ordini di fare-non fare, consegna-
214
l’attuazione delle misure cautelari
rilascio è il meno strutturato, caratteristica che la dottrina spesso indica come
deformalizzazione non sempre attribuendovi valenza positiva.
È indubbio che ampio ed indeterminato, almeno ex ante, sia il potere
lasciato al giudice dell’attuazione (e della cautela) di gestire l’intera vicenda attuativa, ed è proprio questo aspetto che si presta ad una duplice
lettura.
L’osservazione della realtà applicativa evidenzia il volto migliore della
deformalizzazione, quello cioè che avvicina il modello alle esigenze cautelari che l’intero processo disegnato dagli artt. 669 bis-terdecies è destinato a
realizzare. La rimessione allo stesso giudice dell’attuazione non solo della determinazione delle modalità di esecuzione, ma anche della risoluzione di ogni
difficoltà e contestazione, previa audizione delle parti (e con una possibile
appendice impugnatoria del provvedimento “attuativo”) è prontamente colta
da buona parte della giurisprudenza di merito. Una ampia ed articolata casistica vede proprio il giudice dell’attuazione costruire la procedura esecutiva
di volta in volta necessaria in relazione al tipo di provvedimento da eseguire,
anche facendo largo ricorso alla figura dell’ausiliare.
Profilo che, se assume scarso rilievo nelle cautele recanti semplici ordini
di fare-disfare o di consegna –rilascio (ove si presterebbe perfettamente allo
scopo anche una struttura processuale come quelle disegnate dagli artt. 605 e
segg. c.p.c.), ne assume invece uno preponderante nelle cautele di contenuto
complesso del tipo di quelle recanti ordini di reintegra nel posto di lavoro ex
artt. 700 c.p.c. e 18 St. Lav., o sospensioni di delibere societarie ex artt. 2378
c.c., aventi larghissimo impiego nella pratica per la grande rilevanza degli
interessi tutelati. Qui la possibilità di elusione da parte dell’obbligato impone
infatti non solo un penetrante intervento interpretativo del giudice dell’attuazione, ma anche un costante controllo sul comportamento dell’obbligato stesso, che lo schema “libero” dell’art. 669 duodecies in parte qua ben si presta
a realizzare.
L’altro volto della deformalizzazione è invece quello che allontana lo stesso modello da ogni parametro di effettività nella misura in cui si traduce in
scarsa pregnanza delle regole processuali. Il legislatore cautelare ha infatti
omesso di regolare, tra gli altri, lo snodo fondamentale del regime dell’incompetenza cautelare. L’assenza di un meccanismo che consenta in modo
certo l’individuazione del giudice, unita alla scarsa sensibilità mostrata dalla
giurisprudenza di legittimità, che nega persino in caso di conflitto negativo
il regolamento necessario di competenza, rischiano infatti di portare ad una
sostanziale impossibilità di accedere all’enforcement cautelare per l’obiettiva
impossibilità di identificare il suo giudice.
Altro scenario si apre invece per le cautele di pagamento, ove la scelta di
aprire la strada all’espropriazione del Libro III del c.p.c. si rivela per molti
versi inopportuna ed infelice, e per altri addirittura in conflitto con la restante
disciplina del processo cautelare.
Considerazioni conclusive
215
Qui, al contrario che per le altre cautele anticipatorie di cui si è appena
detto, si riscontra una quasi totale assenza di casistica giurisprudenziale.
La ben nota lunghezza e complessità dell’espropriazione1, che il legislatore
ha in più riprese tentato di arginare anche sul suo terreno di elezione con interventi correttivi su alcuni snodi nevralgici, 2 mal si adatta ad un contesto in
cui l’esecuzione del provvedimento è funzionale a realizzare la rimozione di
un periculum in mora, come mostra il proliferare, in altri settori, di strumenti
alternativi contro l’inadempimento delle obbligazioni pecuniarie.3
Sotto altro ma connesso profilo, il potere conferito al creditore cautelare di
aggredire il patrimonio del debitore deve misurarsi, in un quadro disegnato da
regole sostanziali che il legislatore cautelare non ha ritenuto in alcun modo di
modificare, con la presenza sia di cause legittime di prelazione sia di azioni
esecutive di altri creditori sugli stessi beni.
Il che conduce ad un duplice, inaccettabile risultato quando, come accade
nella stragrande maggioranza dei casi, il patrimonio del debitore (per come
è o per come appare) non consente la coesistenza di pignoramenti distinti su
distinti beni: che nel primo caso l’espropriazione del beneficiario della cautela
rischia di andare a solo beneficio del creditore che su quei beni vanta una causa di prelazione; e che nel secondo la riunione dei più e diversi pignoramenti
che ne consegue, innesca (da sola o anche in combinazione con l’operare della
regola dell’intervento ex art. 499) il meccanismo che consente l’accantonamento delle somme che spetterebbero ad uno o più dei creditori non titolati intervenuti ma contestati dal debitore, in attesa che si procurino un titolo
esecutivo (artt. 499, comma 6°; 510); o la sospensione della distribuzione in
attesa che vengano risolte le contestazioni degli altri creditori o del debitore
(art. 512).
Ma proprio tali due ultimi esiti appaiono in aperto contrasto sia con la
ratio della tutela cautelare che con la struttura del processo che quella ratio è
destinato a realizzare.
Sotto il primo profilo essi rinviano ad un incerto futuro la soddisfazione del
creditore cautelare, pure assistito da ragioni di urgenza; sotto il secondo entrano in rotta di collisione con la disciplina del processo cautelare, che agli artt.
Si veda, per alcuni allarmanti dati in merito, Massarelli, Ragionevole durata dell’espropriazione immobiliare e realtà territoriale, in Riv. es. forz., 2003, p. 98 ss.
2
Si possono citare, a titolo meramente esemplificativo, l’art. 495, in tema di conversione del
pignoramento, e l’art. 567, in tema di istanza di vendita, come modificati a seguito delle riforme
della XIV legislatura.
3
Si tratta del già citato d. lgs. n. 170/2004, reso in attuazione della Direttiva CE n. 47/2002 sui
contratti di garanzia finanziaria, per il quale (art. 6, comma 2°) ai contratti di garanzia finanziaria che prevedono il trasferimento della proprietà con funzione di garanzia non si applica
l’art. 2744 del codice civile, vale a dire il divieto del patto commissorio. Risulta evidente la
tendenza a reagire all’inadempimento delle obbligazioni pecuniarie con strumenti extraprocessuali, l’efficace funzionamento dei quali è garantito a monte da un semplice automatismo: il
trasferimento della proprietà sull’oggetto della garanzia.
1
216
l’attuazione delle misure cautelari
669 octies e terdecies consente che l’esecuzione abbia senz’altro luogo pur
in assenza ed a prescindere da ogni accertamento del credito con efficacia di
giudicato, e che l’efficacia esecutiva della cautela o l’esecuzione non possano
essere sospese se non per ragioni sopravvenute, allegabili solo in sede di reclamo (e perciò valutabili dal giudice del “merito” cautelare in via esclusiva)
o di opposizione all’esecuzione nei casi in cui è esperibile.
Nell’ambito naturale di applicazione dell’espropriazione i descritti svantaggi sono, per il creditore munito di titolo giudiziale, controbilanciati dalla
possibilità di iscrivere ipoteca giudiziale, cioè di procurarsi una ragione di
prelazione che gli consenta, entro il limite dell’ordine di graduazione legale
dei privilegi insistenti sugli stessi beni, di svincolarsi dalla sospensione della
distribuzione (ed eventualmente cumulabile con il congegno dell’estensione
del pignoramento di cui all’art. 499, comma 4°).
Per il creditore cautelare nessuna forma di prelazione è invece collegata
all’emissione del provvedimento in quanto tale: il legislatore non ha percorso
la strada che lo aveva condotto, nel 2003, ad attribuire ad un altro provvedimento pure privo degli effetti di giudicato sostanziale, l’ordinanza dell’art. 19
del d. lgd. n. 5/2003 (oggi abrogato), l’idoneità all’iscrizione di ipoteca giudiziale. Ciò non solo nell’intervento del 1990 che ha disegnato il procedimento
cautelare uniforme, ma neppure nel 2005 quando, disancorandone l’efficacia
dall’instaurazione del giudizio sul diritto cautelato e dal perseguimento del
provvedimento finale, ha conferito alla cautela anticipatoria l’idoneità a soddisfare, da sola, l’interesse ad agire del beneficiario, rendendo superflua la via
dell’accertamento in prospettiva del giudicato.
Questa assenza di “protezione” ha ricadute tanto più pesanti in un quadro
normativo ed economico caratterizzato, ut supra (v. cap. I, sez. II, parte II
), da una vera e propria “fuga” dalla responsabilità universale, sia dal punto
di vista soggettivo che oggettivo, le scelte del legislatore sostanziale ormai
orientandosi, nell’ottica particolaristica della scelta degli interessi da tutelare,
verso la predisposizione per ogni classe di creditori di una specifica forma di
garanzia.
Né sul versante squisitamente processuale le cose stanno molto diversamente, la scelta di “chiudere” l’espropriazione del Libro III del c.p.c. ad una
classe di creditori e di allargare il novero dei titoli esecutivi stragiudiziali, recentemente compiuta dal patrio legislatore, altro non essendo che la valutazione in termini di maggior peso di alcune tipologie di interessi rispetto ad altre.
In tale contesto la cautela di pagamento, rispetto alla quale il legislatore
cautelare non ha operato che sul piano processuale con tutti i limiti già evidenziati, si trova dunque in una situazione di totale emarginazione sotto il profilo
della effettiva possibilità di soddisfazione del suo beneficiario.
Negli snodi “sensibili” in cui la disciplina dell’espropriazione entra in
conflitto con quella cautelare l’interprete non può autonomamente adottare
correttivi in senso compatibile con la ratio di quest’ultima perché dovrebbe
Considerazioni conclusive
217
compiere una scelta tra interessi in conflitto che in quanto tale compete al solo
legislatore (sostanziale).4
L’impossibilità di conciliare la normativa richiamata dall’art. 669 duodecies (gli artt. 491 e segg. c.p.c.) con quella ove deve attecchire (artt. 669
bis-terdecies c.p.c.) consegna così, nella maggior parte dei casi, la soddisfazione del beneficiario di una cautela di pagamento alla buona volontà
dell’obbligato.
E la scelta di campo a favore di un modello strutturato in ogni suo aspetto e
forgiato da una lunghissima elaborazione teorica ed applicativa, quale l’espropriazione del Libro III del c.p.c., finisce per trasformarsi, ben più di quello
deformalizzato adottato per le altre cautele anticipatorie, in una formidabile
causa di ineffettività della tutela.
Ciò anche in ragione della circostanza, di non poco momento, che sia l’effettività dell’attuazione cautelare da un lato, con la quale molteplici profili dell’espropriazione del Libro III del
c.p.c. collidono; sia il riconoscimento dell’azione esecutiva ad ogni creditore nei termini già
ampiamente riferiti dall’altro; sono profili della tutela giurisdizionale dei diritti cui si riconnette
rilievo costituzionale.
4
INDICE DEGLI AUTORI
E DELLE OPERE CITATE
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Giordano, L’azione sociale di responsabilità proponibile dal singolo socio ai sensi del
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224
indice degli autori e delle opere citate
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Riv. trim. dir. proc. civ., 1968, p. 511.
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specie d’urgenza nel processo civile italiano, in Riv. dir. proc., 1985, p. 221.
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indice degli autori e delle opere citate
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Tarzia L’art. 111 Cost. e le garanzie europee del processo civile, in Riv. dir. proc.,
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Tarzia, Par aut dispar condicio creditorum, in Riv. dir. proc., 2005, p. 1.
Tavormina, Note sull’esecuzione delle sentenze tributarie, in www.judicium.it.
Tiscini, I provvedimenti decisori senza accertamento, Torino, 2009.
Tomaiuoli, La revoca degli amministratori e l’azione di responsabilità promossa dal
socio, dai creditori sociali e dal curatore fallimentare, in www.judicium.it
Tommaseo, I provvedimenti d’urgenza, Padova, 1983.
Tommaseo, Sull’inammissibilità della sospensione cautelare dell’efficacia del
sequestro, in Giur. it., 1987, I, 2, c. 81.
Tommaseo, voce Provvedimenti d’urgenza,in Enc. dir., XXXVII, Milano, 1988.
Tommaseo, Commento agli artt.73-77 della Legge 26 nov. 1990 n.353, in Corr. giur,
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esecutivo, precetto, opposizioni, in Giurisprudenza sistematica di diritto e procedura
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Vaccarella, Opposizione di terzo all’esecuzione, in Titolo esecutivo, precetto,
opposizioni, in Giurisprudenza sistematica di diritto processuale civile, diretta da
Proto Pisani, Torino, 1993, p. 315.
Vaccarella, Il procedimento cautelare dopo l’intervento della Corte costituzionale sul
reclamo avverso i provvedimenti negativi, in Giust. civ., 1995, II, p. 527.
Vaccarella, Espropriazione presso terzi, in Dig. it., disc. priv., sez. civ., VIII, Torino,
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Vaccarella, Esecuzione forzata, in Riv. es. forz, 2007, p. 16.
Vaccarella-Verde, Codice di procedura civile commentato, Torino, 1997.
Vellani, voce Custode, in Dig. it., disc. priv., sez. civ., V, Torino, 2002.
Verde, Ancora sui rapporti tra l’opposizione all’esecuzione e la contestazione dei
crediti, in Riv. dir. proc., 1965, p. 298.
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indice degli autori e delle opere citate
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Zumpano, voce Sequestro giudiziario, in Enc. dir., XLII, Milano, 1990.
INDICE ANALITICO
(Il numero romano tondo indica i Capitoli e quello corsivo le Parti)
A
Anticipatorietà
- nozione: I, Sez. I, § 2.2
- cautelare: I, Sez. I, § 2.2; II, Sez. II; III, Sez. II; III, Sez. II ; IV, Sez. II.
- rapporti con il provvedimento anticipato: I, Sez. I, § 2.2
- in relazione alla “conservazione”: I, Sez. I, § 1.
Astreinte
- applicazione all’attuazione delle cautele anticipatorie: III, Sez. II, II , § 2
- disciplina applicabile: III, Sez. II, II , § 2
Audizione delle parti
- in sede attuativa: III, Sez. II, II, § 1; IV, Sez. II, II, § 2.
C
Commissario ad acta
- nell’attuazione delle cautele anticipatorie di condanna ad un facere-dare: III,
Sez. II, II, § 1.1
Competenza sull’attuazione
- nei sequestri: II, Sez. I, §§ 1, 2.
- nelle cautele anticipatorie di condanna pecuniaria: II, Sez. II, I bis, § 1.
- nelle cautele anticipatorie di condanna ad un facere-dare; II, Sez. II, II, § 1.
- Ratio delle differenze: II, Sez. III, § 1.
Concorso dei creditori
- nell’evoluzione storico-sistematica: II, Sez. II, I, §§ 1, 2, 2.1, 3.
- nella disciplina positiva: III, Sez. II, I, §§ 2, 3
- nell’attuazione cautelare: III, Sez. II, I, §§ 4, 4.1, 4.2.
Conservazione
- struttura e funzione conservativa: I, Sez. I, §§ 2, 2.1, 2.3
- attuazione dei sequestri: II, Sez. I; III, Sez. I; IV, Sez. I
Custode
- nel sequestro giudiziario: II, Sez. I, § 1; III, Sez. I, §§ 3, 3.1, 3.2.
- nel sequestro conservativo: II, Sez. I, § 2; III, Sez. I, §§ 4, 4.1.
E
Elusione
- rilevanza nelle cautele di condanna ad un facere-dare: III, Sez. II, II, § 1.
- controllo sull’attuazione: III, Sez. II, II, §§ 1, 1.1, 2.
232
indice analitico
Esecuzione forzata
- rapporti con l’attuazione cautelare nella disciplina positiva: I, Sez. I, §§ 1, 3, 4;
II, Sez. II, I bis, § 1; III, Sez. II, I, § 5; II, §§ 1, 1.1; 2.
- rapporti con l’attuazione cautelare nella prospettiva storica: I, Sez. II, §§ 1, 4.
- versus attuazione dei sequestri: I, Sez. I, §§ 3, 4; IV, Sez. I, §§ 1, 2.
F
Fumus boni iuris
- in generale: I, Sez. II, § 2.
- in riferimento alla sospensione dell’esecutività: IV, Sez. II, I, § 1.
I
Intervento dei creditori
- v. concorso dei creditori
L
Limite di compatibilità
- nelle cautele di condanna pecuniaria: I, Sez. I, § 3; II, Sez. II, I bis, § 1; III, Sez.
II, I, §§ 1-5.
O
Opposizioni esecutive
- nell’attuazione dei sequestri: IV, Sez. I, §§ 1, 2.
- nell’attuazione delle cautele anticipatorie pecuniarie: IV, Sez. II, I, § 1.
- rapporti con l’attuazione delle altre cautele anticipatorie: IV, Sez. III, § 1.
Ottemperanza
- tecnica di esecuzione in generale: I, Sez. I, § 3.
- rapporti con l’attuazione delle cautele anticipatorie non pecuniarie: III, Sez. II,
II, §§ 1, 2, 3.
P
Periculum in mora
- nella dottrina classica: I, Sez. II, § 2
- nella giurisprudenza di merito: I, Sez. I, § 2.2
Procedimento cautelare
- disciplina uniforme: I, Sez. I, §§ 1, 3; IV, Sez. I, §1; Sez. II, I, § 1, II, §§ 2, 3, 4.
- rapporti con l’esecuzione forzata: I, Sez. I, §§ 3, 4; Sez. II, §§ 1, 2, 3, 4.
- cognizione sommaria: I, Sez. II, § 2.
- teoria dell’unità del: I, Sez. II, § 2.
Provvedimenti d’urgenza
- nella giurisprudenza costituzionale: I, Sez. II, §§ 3, 4.
- nella giurisprudenza di merito: I, Sez. I, § 2.2., III, Sez. II, II, §§ 1, 1.1.
R
Reclamo
- contro i provvedimenti attuativi: IV, Sez. II, II, §§ 2, 3.
- a tutela dei terzi: IV, Sez. II, II, §§ 4, 4.1, 4.2.
indice analitico
233
Regolamento di competenza
- nell’attuazione delle cautele anticipatorie: IV, Sez. II, II, § 3.1.
Responsabilità patrimoniale
- in genere: I, Sez. I, § 3; II, Sez. II, I.
- nell’evoluzione storica: II, Sez. II, I, §§ 2, 2.1, 3.
S
Sequestri
- scopo: I, Sez. I, § 2.1
- natura dell’ “attuazione”: I, Sez. I, § 3
- termine di perenzione per l’attuazione: III, Sez. I, § 2.
- conservativo, attuazione: II, Sez. I, § 2; III, Sez. I, §§ 4, 4.1; IV, Sez. I, §§ 1, 2.
- giudiziario, attuazione: II, Sez. I, § 1; III, Sez. I, §§ 3, 3.1, 3.2, 3.3, 3.4.
T
Tertium genus
- consistenza dell’attuazione rispetto all’esecuzione ed alla cognizione: I, Sez. II,
§ 2.
Trascrizione
- quale modalità di attuazione del sequestro conservativo: III, Sez. I, § 4.1.
- nel sequestro giudiziario: III, Sez. I, § 3.4.
Tutela cautelare
- scopo: I, Sez. I, § 2, 2.1, 2.2, 2.3; Sez. II, § 2, 3.
- rilevanza costituzionale: I, Sez. II, § 3; III, Sez. II, I, § 3.1
- rapporti con l’intervento dei creditori: III, Sez. II, I, §§ 3.1, 4, 4.1, 4.2.
V
Vendita forzata
- nell’attuazione delle cautele di condanna pecuniaria: III, Sez. II, I, § 5.1.