LA SATIRA IN AZIONE: ISTRUZIONI PER L`USO SECONDO UN

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4.12
LA SATIRA IN AZIONE:
ISTRUZIONI PER L'USO
SECONDO UN PEPAIDEUMENOS
MORENA DERIU
(Università di Trento, dottoranda)
Non passa quasi giorno senza vignette, battute e articoli a carattere satirico, un
genere che affonda le radici nell’antichità. C’è stato un tempo, il mondo grecoromano del II sec. d.C., in cui a fare satira era un pepaideumenos, un ‘educato’
appartenente all’ambiente culturale della Seconda Sofistica, un mondo elitario
dove il solco tra ‘educati’ e non era, se possibile, ancora più ampio dei secoli
precedenti.
Il pepaideumenos in questione era Luciano di Samosata, passato alla storia della
letteratura per la continua tensione tra serio e faceto, nota, agli addetti ai lavori,
come spoudaiogeloion, nient’altro che il comico sotto il cui amaro sorriso si celano
contenuti seri. Era una satira costituita da vari ingredienti, dalla più fine parodia
letteraria ai più evidenti stereotipi, il che lascia presumere che nel II come nel XXI
secolo, il pubblico si dividesse tra quanti erano in grado di cogliere e di trarre
piacere dalle allusioni più sottili (ai tempi di Luciano, pepaideumenoi come lui) e
un gruppo meno ristretto, in grado di fruire delle tematiche generali e di ridere
degli stereotipi.
Allora come oggi, infatti, per chi fa satira il riso è strumento di denuncia, un
piacere naturale e condiviso, che assume i tratti di una vera complicità, ai danni del
malcapitato di turno. Attraverso il riso, Luciano esprimeva la propria concezione
dell’uomo, permettendo al pubblico di partecipare al processo di denuncia, nel
solco della tradizione del serio-comico; la realtà, misera, impalpabile e malferma
era commentata mediante l’ironia, la parodia, l’invettiva e lo scherno.
A differenza di molta satira moderna, però, quella lucianea è produzione
letteraria, oltre tutto estremamente problematica, e che, pur sfruttando paradigmi,
sfugge a facili categorizzazioni. Questo stato di cose è congeniale alla natura stessa
del dialogo satirico, un ibrido, un prodotto letterario nuovo, fortemente radicato
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nella tradizione letteraria e pure, a detta dello stesso Luciano (cf. Bis acc., Prom.
es, Zeux.), fondato sulla contaminazione di generi tradizionalmente lontani:
commedia, dialogo platonico e satira menippea.
Pur nelle differenze, dunque, in epoche tanto distanti, l’umorismo della satira
nasce dalla voglia di divertirsi e divertire; dietro le battute e i toni, spesso ironici e
sarcastici, si cela un acuto osservatore, calato nella realtà del tempo e consapevole
dei fermenti e delle trasformazioni che stanno investendo la società. Da questo
nascono gli stereotipi, sviluppati, sfruttati e logorati anche all’inverosimile e,
tuttavia, fonte continua di riso.
A Luciano (forse più che ai satireggiatori moderni) va il merito di averli saputi
sfruttare e tenere vivi. I suoi bersagli preferiti appartengono a quella élite culturale
di cui egli stesso è parte e che ora, negli Amanti della menzogna o l'incredulo
troviamo riunita, alla maniera del Fedone platonico, attorno al letto di un malato
(dove, a dispetto dei toni, delle pose e del precedente, questi intellettuali si
abbandonano a una serie di storielle su eventi soprannaturali), ora riunita a banchetto, con i peggiori vizi da ingordi, ubriaconi e ladri (cf. Paras., Tim., Symp.),
mascherati dall’aspetto esteriore nobile e maestoso (cf. Demon. 13, Eun. 9, Herm.
86, Hist. conscr. 17, Pisc. 37).
Difficile dire come avranno reagito i diretti interessati alla satira spietata di un
papaideumenos con cui condividevano formazione culturale ed estrazione sociale;
qualche volta, magari, con un sorriso accondiscendente e qualche altra, andando a
colpire Luciano nel suo “tallone d’Achille”, l’originalità derivante dalla contaminazione di tradizioni diverse, un tratto, a detta dello stesso autore, osteggiato da
non pochi detrattori (cf. Bis acc., Prom. es, Zeux.). Quel che è certo è che Luciano
dovette colpire nel segno, se ancora un secolo dopo un certo Filostrato sceglieva di
passarlo sotto silenzio nelle Vite dei sofisti.
A cosa porta tutto questo? A riconoscere una certa attualità nell’universo
satirico lucianeo, negli stereotipi, nei modi e negli intenti. Questo è possibile
perché, se si vuole una satira efficace, è indispensabile che il suo creatore conosca
profondamente la società in cui vive e la osservi spietatamente. Questo è il contributo che la satira può dare alla società. Allora come oggi, l’oggetto dell’osservazione è una società in trasformazione, piena di contraddizioni e fonte inesauribile
di motivi di denuncia, una società in difficoltà quando si tratta di passare dal piano
della satira a quello della concretezza, avvalendosi di una buona dose di autocritica e di auto-ironia. Di questo, di certo Luciano era consapevole; la sua satira si
ferma alla denuncia, non rappresenta mai il cambiamento o, meglio ancora, la via
per giungere al cambiamento, pena la perdita di quel punto di vista privilegiato, che
gli permette di osservare dall’interno, ma con distacco, la società in cui vive e che
conosce profondamente. Estremamente critico nei confronti del gruppo di cui è
parte, Luciano sceglie di continuare a fare il proprio mestiere: denunciare,
denunciare e ancora denunciare. E le sue parole non saranno state sparse invano, se
ancora quasi duemila anni dopo divertono e indicano la strada per una satira super
partes, distruttiva, che lascia l’azione nelle mani di chi dovrebbe, “per mestiere”,
finalmente dare il via al cambiamento.
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