Infezioni delle basse vie respiratorie in età pediatrica

Rivista Italiana di Genetica e Immunologia Pediatrica - Italian Journal of Genetic and Pediatric Immunology
Anno IV numero 2 - aprile 2012 | direttore scientifico: Carmelo Salpietro - direttore responsabile: Giuseppe Micali
Infezioni delle basse vie respiratorie in età pediatrica
Ilaria Avarello, Carla Cimino, Giovanna Di Dio, Salvatore Leonardi e Mario La Rosa
Dipartimento di Scienze Mediche e Pediatriche, UO Broncopneumologia, Allergologia e Fibrosi Cistica, Università di Catania
Introduzione
Le infezioni acute delle vie respiratorie (Acute Respiratory tract Infections, ARI)
rappresentano un problema sanitario di grande rilevanza essendo ancor oggi una delle
maggiori cause di morbosità e mortalità nel mondo (1) . Esse rappresentano circa il 50%
di tutte le malattie in bambini di età < 5 anni. In funzione della loro localizzazione
primitiva nel tratto respiratorio possono essere classificate come superiori, medie e
inferiori. Le infezioni delle vie aeree inferiori rappresentano meno del 10% del totale.
Esse possono essere causate da virus, batteri, funghi, protozoi o parassiti. Le infezioni
virali sono quelle che si riscontrano più frequentemente (90% dei casi), seguite da quelle
batteriche (2) .
Tra fattori di rischio responsabili della patologia ricordiamo:
- Fattori sociali ed economici (sovraffollamento ambientale)
- Scolarizzazione precoce
- Sesso (maggiore incidenza nel sesso maschile)
- Inquinamento ambientale (fumo passivo)
- Temperatura domestica superiore ai 18 °C
- Aria secca o alto tasso di umidità (<25 °C o >60 °C)
- Alterazioni anatomiche
- Malattie genetiche e metaboliche
- Immunodeficienza
- Malnutrizione
Le infezioni del tratto respiratorio inferiore più comuni in età pediatrica sono: bronchiti,
bronchioliti e polmoniti. Esse si manifestano con una maggiore frequenza nei bambini di
età inferiore al primo anno di vita e più spesso nel 2° semestre quando viene meno la
protezione fornita dagli anticorpi materni acquisiti per via transplacentare. L’incidenza
mostra un picco durante il periodo d’immissione del bambino in comunità (asilo-scuola),
ma in generale si osserva una tendenza alla diminuzione delle forme sintomatiche con
l’aumentare dell’età. E’ stato infatti calcolato che gli episodi sintomatici sono 30-40 per
ogni 100 bambini nel primo anno di vita con riduzione a 3 per anno per ogni 100 bambini
intorno ai 10-14 anni. Gli agenti patogeni responsabili delle infezioni delle basse vie
respiratorie sono differenti a seconda della specifica localizzazione. La bronchite acuta è
più spesso associata al virus respiratorio sinciziale, al Mycoplasma pneumoniae o ai
virus influenzali; la bronchiolite al virus respiratorio sinciziale; la polmonite al
Mycoplasma pneumoniae, al virus respiratorio sinciziale, allo Streptococcus
pneumoniae, all’Haemophilus influenzae o alla Clamydia trachomatis. E’ possibile inoltre
sospettare l’eziologia dell’infezione in relazione all’età del paziente. Le infezioni da virus
respiratorio sinciziale sono infatti più comunemente riscontrate nei primi 2-3 anni di vita,
quelle da clamidia nei primi mesi di vita, le infezioni
da Mycoplasma predominano fra i 6 e 12 anni, quelle da Streptococcus pneumoniae e
Haemophilus influenzae possono riscontrarsi a tutte le età con una maggiore prevalenza
fra il primo anno di vita e i 6 anni e infine, le infezioni da virus influenzali e adenovirus
possono riscontrarsi a qualsiasi età. Nell’ultimo decennio è stato evidenziato un aumento
delle resistenze ad alcune classi di antibiotici che rende più difficile il trattamento delle
infezioni causate soprattutto dallo pneumococco e dall’Haemophilus influenzae. Sono
però attualmente disponibili vaccini specifici immunogeni utilizzabili anche nei bambini
più piccoli.
Bronchite Acuta
La bronchite acuta è un processo infiammatorio del tratto bronchiale che non coinvolge
gli alveoli polmonari. Gli agenti patogeni responsabili sono prevalentemente virus e in
particolare il virus respiratorio sinciziale, i virus influenzali, il parainfluenzale di tipo 3, gli
adenovirus 1 e 7 e i rinovirus. Talvolta l’eziologia è di origine batterica con possibile
isolamento dell’Haemophilus influenzae, degli streptococchi, di Moraxella catharralis e
degli stafilococchi. Mycoplasma pneumoniae, e in misura minore Clamydia pneumoniae,
sembrano essere coinvolti nel 20-30% dei quadri clinici. Frequenti risultano anche le
coinfezioni e le sovrainfezioni batteriche. Alcuni fattori ambientali come le perfrigerazioni,
l’umidità e agenti atmosferici irritanti sembrano facilitare l’estensione di
un’infezione primitiva delle vie aeree superiori ai bronchi. La bronchite acuta è spesso
preceduta da un’infezione virale delle vie aeree superiori. Il piccolo paziente presenta
dapprima sintomi aspecifici d’infezione delle alte vie aeree, successivamente intorno alla
terza-quarta giornata si osserva la comparsa di una tosse secca e stizzosa più o meno
produttiva. Talvolta è presente vomito, causato dall’incapacità del bambino
ad espettorare, e dolore toracico in sede retrosternale esacerbato dai colpi di tosse.
Dopo 5-l0 giorni in genere il muco gradualmente si fa meno denso e la tosse si riduce.
L’intero episodio dura complessivamente 2 settimane circa. I reperti all’esame obiettivo
variano in base all’età del paziente e allo stadio della malattia. I reperti precoci quando
presenti consistono in febbricola e segni a carico delle vie respiratorie superiori, come
rinofaringite, congiuntivite e rinite. L’auscultazione del torace può non evidenziare nulla
di significativo in questa fase iniziale. Con la progressione della sindrome e
il peggioramento della tosse, i suoni polmonari divengono più aspri, con crepitii
grossolani e fini e sibili sparsi ad alta frequenza. Le radiografie del torace sono normali o
presentano un aumento della trama bronchiale. La diagnosi di bronchite acuta è
essenzialmente clinica. Gli esami di laboratorio sono di scarsa utilità per la breve durata
della malattia; l’incremento degli indici di flogosi, quando rilevato, è privo di qualsiasi
specificità. Nella pratica i test rapidi per l’identificazione degli agenti virali sono
realizzabili in una percentuale trascurabile di casi. Quando il decorso clinico è
prolungato, può essere utile la ricerca di Mycoplasma pneumoniae e Clamydia
pneumoniae mediante test diagnostici specifici (sierologici, metodiche di biologia
molecolare o eventualmente colture da essudato nasofaringeo). La presenza di sintomi
persistenti o ricorrenti dovrebbe far sospettare entità diverse dalla bronchite acuta. Non
esiste una terapia specifica per la bronchite acuta. La malattia è autolimitante e gli
antibiotici non accelerano la guarigione (3-4). Cambiamenti frequenti della posizione
possono facilitare il drenaggio polmonare, nei lattanti. L’umidità talvolta allevia i sintomi
nei bambini più grandi, pur non modficando il decorso della malattia. I sedativi della
tosse possono dare un sollievo sintomatologico, ma anche aumentare il rischio di
suppurazione e d’ispessimento delle secrezioni e, pertanto, dovrebbero essere utilizzati
con giudizio. Nella fase acuta di malattia non è indicato l’uso di farmaci antistaminici,
decongestionanti, mucoattivi e steroidi inalatori. Nella fase di convalescenza se la tosse
produttiva infastidisce il bambino possono essere usati i mucoregolatori. Nei casi in cui
la bronchite acuta induce iperreattività bronchiale, l’uso dei β2 stimolanti short-acting
(salbutamolo, clanbuterolo) può essere utile
per il controllo dei sintomi. Gli antimicrobici non si rendono in genere necessari; trovano
indicazione però se l’affezione non si risolve entro 5-6 giorni a causa dell’avvenuta
sovrainfezione batterica. I preparati di scelta sono i macrolidi in considerazione della
rilevanza eziologica dei batteri atipici (eritromicina 40-50 mg/kg/die per os in 3-4 dosi per
10-14 giorni; claritromicina 25 mg/kg/die per os in due dosi per 3 giorni; azitromicina 10
mg/kg/die per os in un’unica dose per 3 giorni) . In caso di mancata risposta clinica, sono
consigliate le aminopenicilline o amoxicillina + acido clavulanico. Nella maggior parte dei
casi la bronchite acuta è una malattia benigna e di breve durata. In qualche caso può
essere complicata da un successivo coinvolgimento polmonare o nel soggetto con meno
di 2 anni d’età da una bronchiolite. Si ammette inoltre che le bronchiti acute recidivanti
possano concorrere all’insorgenza di bronchiectasie.
Bronchiolite
La bronchiolite è un’affezione respiratoria acuta caratterizzata da un interessamento
infiammatorio dei bronchioli. E’ la più comune infezione acuta delle basse vie respiratorie
nell’infanzia. L’agente eziologico più frequente è il virus respiratorio sinciziale (VRS)
(45-75% dei casi) (5), seguito dai virus parainfluenzali di tipo 3 e tipo 1 e dagli
adenovirus (6). Il metapneumovirus umano è un’importante causa primaria di infezione
respiratoria, ma può anche dar luogo a una coinfezione con il VRS (7). Più raramente
sono responsabili i virus influenzali, il parainfluenzale di tipo 2, i rinovirus e gli
enterovirus. Il Mycoplasma, e nei lattanti con meno di 3 mesi, la Clamydia trachomatis
possono più raramente causare un quadro di bronchiolite. Non vi sono evidenze di una
altre cause batteriche per la bronchiolite, sebbene la polmonite batterica sia talvolta
confusa clinicamente con la bronchiolite e quest’ultima sia in casi rari seguita da
una sovrainfezione batterica. Ogni anno il 21% dei bambini del Nord America sviluppano
una patologia del tratto respiratorio inferiore, nella maggior parte dei casi si tratta
comunque di una forma lieve di bronchiolite. L’infezione da VRS è responsabile di circa
50.000-80.000 ospedalizzazione l’anno tra i bambini nel primo anno di vita con 200-500
decessi (8-9). L’aumento del tasso di ospedalizzazione può essere conseguente a una
più precoce epoca di scolarizzazione, a un cambiamento dei criteri di ricovero
ospedaliero e/o ad un aumento della sopravvivenza dei neonati prematuri e di altri
soggetti a rischio di malattia da virus respiratorio sinciziale severa.
La bronchiolite rappresenta la manifestazione clinica della prima infezione da VRS,
infezione che nel bambino avviene in epoca precoce. Il 35% dei bambini di età inferiore
a un anno possiede infatti anticorpi neutralizzanti anti-VRS mentre la percentuale sale
all’80-90% nei bambini di 4 anni. La patologia interessa quindi esclusivamente i bambini
di età inferiore ai 2 anni, con una incidenza massima nel 2° trimestre di vita a causa
della presenza degli anticorpi di origine materna nei primi mesi di vita extrauterina.
L’infezione può comunque insorgere con minore frequenza a qualsiasi età in quanto una
precedente infezione non previene la possibilità di infezioni successive. La malattia è più
comune nei maschi, predilige i mesi invernali e l’inizio della primavera (circa il 15% dei
lattanti si ammala in coincidenza con l’epidemia annuale d’influenza), talora
manifestandosi con piccole epidemie in collettività (3, 10).
I fattori di rischio principali sono (11):
- Nati pretermine
- Età inferiore ai 6 mesi
- Condizioni di sovraffollamento
- Esposizione al fumo di sigaretta
- Storia familiare di asma e atopia
- Mancato allattamento al seno materno
Il virus si trasmette per contatto diretto con le secrezioni nasali di soggetti infetti. Esso
penetra nelle vie aeree del lattante e si localizza a livello dei bronchioli causando necrosi
dell’epitelio bronchiale a cui fa seguito un processo di rigenerazione di cellule non
ancora ben equipaggiate per il trasporto delle secrezioni, che si accumulano all’interno
del piccolo lume insieme alle cellule responsabili della flogosi. Contemporaneamente si
assiste alla comparsa di edema della sottomucosa e dell’avventizia con conseguente
ostruzione delle piccole vie aeree. Quando l’ostruzione è completa, l’aria può essere
intrappolata e riassorbita con conseguenti fenomeni di atelettasia. Nelle ostruzioni
parziali può esservi invece una distensione alveolare con meccanismo a valvola che
impedisce la fuoriuscita dell’aria con conseguente enfisema. Le alterazioni descritte non
sono comunque uniformemente distribuite e accanto ad aree colpite se ne osservano
altre indenni. Le conseguenze fisiopatologiche sono rappresentate dalla
compromissione degli scambi gassosi. Nelle forme di media gravità si ha ipossiemia, ma
gli scambi di CO2 sono ancora sufficienti per l’attività compensatoria delle zone
risparmiate dal processo infiammatorio; nelle forme più gravi all’ipossia si aggiunge
ipercapnia. Non tutti i lattanti colpiti dall’infezione sviluppano la malattia e sembra che
alcuni fattori anatomici e immunologici legati all’ospite giochino un ruolo significativo
nella gravità della sindrome clinica. Poiché la resistenza al flusso di aria è
inversamente proporzionale al raggio del lume alla quarta potenza, si comprende come i
lattanti che di base presentano vie aeree più piccole e una ridotta funzione polmonare
presentano un’infezione a decorso più severo (12). Nei bambini con bronchiolite si
sviluppano spesso anticorpi specifici anti-VRS della classe IgE che facilitano la
liberazione di mediatori come i leucotrieni responsabili in parte della broncoostruzione. La presenza di anticorpi preesistenti riduce la risposta clinica e la gravità
della malattia. Nelle donne in età feconda il tasso anticorpale è di 13, 7 log2: esso è più
alto nelle donne che abbiano dei figli ed è proporzionale al numero dei figli; il
trasferimento transplacentare di questi anticorpi protegge il neonato ed il lattante di pochi
mesi dalle forme gravi della malattia. Fra i diversi anticorpi, quello che si correla
maggiormente con la protezione è l’anticorpo verso la proteina di fusione (F) (2). Recenti
dati suggeriscono che le risposte, durante le infezioni da virus respiratorio sinciziale
sono parzialmente modificate dall’interazione della proteina virale G con il recettore
CX3CR1 della chemochina dell’ospite: due polimorfismi del gene CX3CR1
modificherebbero la sua affinità con il suo naturale ligando (fractalchina). Il periodo
d’incubazione è di 3-5 giorni. Il lattante presenta inizialmente segni d’infezione delle vie
aeree superiori come rinorrea, starnuti e tosse. A distanza di 2-3 giorni l’estensione del
processo infiammatorio ai bronchioli si rende evidente con comparsa di tosse stizzosa,
polipnea, dispnea espiratoria e respiro sibilante (13). La febbre è presente nel 90-95%
dei casi e la sua entità in generale correla con la gravità della malattia, cosi come i segni
generali rappresentati da malessere, anoressia e vomito. I piccoli pazienti appaiono
irrequieti, specie nelle ore notturne, perdono l’appetito e presentano frequentemente
vomito. La fase più critica della malattia si riscontra tra le 48 e le 72 ore dall’insorgenza
della dispnea, verificandosi più spesso in questo intervallo di tempo intense crisi di
apnea, disidratazione e acidosi respiratoria (5). Se non s’interviene con la terapia
adeguata il bambino è a rischio di morte per insufficienza respiratoria. Superata questa
fase critica si osserva un rapido miglioramento clinico del paziente.
All’ispezione il lattante con bronchiolite acuta presenta i segni di difficoltà respiratoria
acuta: alitamento delle pinne nasali, tachipnea fino alla dispnea, crisi di cianosi
intermittente, rientramenti al giugulo, intercostali e sottocostali, prolungamenti della fase
espiratoria. All’obiettività toracica si apprezza un reperto auscultatorio variabile
rappresentato da fini rantoli inspiratori ed espiratori, oppure da ronchi e sibili che in
alcuni casi simulano un accesso di asma bronchiale. Vi è tachicardia e sono di possibile
riscontro sintomi d’infezione delle vie aeree superiori (faringite, congiuntivite, otite).
Fegato e milza sono in genere palpabili per l’abbassamento del diaframma secondario
all’iperinflazione toracica. La diagnosi è soprattutto clinica e si basa anche su dati
epidemiologici familiari e di comunità. Gli esami strumentali e di laboratorio sono solo di
supporto al fine di un più completo inquadramento della malattia e della definizione
eziologica.
La radiografia del torace può essere normale ma spesso rileva i segni dell’enfisema
(aree di iperdiafania, abbassamento del diaframma, aumento dei diametri toracici), zone
di
addensamento,
atelettasia,
ingrandimento
degli
ili,
rinforzo
della
trama broncovascolare (14-15). L’emogasanalisi mette in evidenza un quadro di
ipossiemia e più raramente, quando i meccanismi respiratori di compenso (muscoli
accessori
della
respirazione)
cominciano
ad
esaurirsi,
d’ipercapnia.
L’esame emocromocitometrico è indicativo per un processo virale, ma non è
caratteristico potendosi osservare sia leucocitosi, sia leucopenia; la VES risulta normale
o aumentata. La diagnosi eziologica delle forme virali può essere effettuata con
metodiche rapide come l’immunofluorescenza diretta o i test immunoenzimatici, che
permettono l’identificazione dei potenziali agenti infettivi nelle secrezioni nasofaringee
(16-17).
La diagnosi differenziale va posta con altre patologie respiratorie del primo anno di vita
associate a respiro fischiante come l’asma, la polmonite, la presenza di corpi estranei
nelle vie aeree, l’insufficienza cardiaca, il reflusso gastro-esofageo, la fibrosi cistica.
La prognosi è buona e la malattia giunge a guarigione in circa 7 giorni. La letalità non
supera l’1-5% ed è limitata al prematuro, ai soggetti defedati e malnutriti, ai portatori di
cardiopatie congenite. L’exitus può sopravvenire improvvisamente per crisi di apnea,
insufficienza respiratoria, scompenso cardiaco o a causa di sovrainfezioni batteriche
(soprattutto da stafilococchi, pneumococchi, H. influenzae) . In circa il 20% dei pazienti,
la bronchiolite ha un decorso protratto, con anomalie della funzione polmonare e degli
scambi gassosi che possono persistere per mesi. I bambini che hanno presentato una
bronchiolite (circa 40%) possono negli anni successivi presentare un aumento
della broncoreattività e una maggiore incidenza di asma bronchiale (18). Non esiste un
consenso circa la migliore strategia per la gestione di questa malattia e la terapia varia
sensibilmente nei diversi contesti e paesi (19-20). Il trattamento è sostanzialmente di
supporto col fine principale di stabilizzare il paziente dal punto di vista respiratorio e
metabolico. Nella maggior parte dei casi si ricorre all’ospedalizzazione dei bambini per le
condizioni generali che appaiono compromesse. La saturazione dell’ossigeno infatti
spesso è inferiore al 95% e la frequenza respiratoria supera i 70 atti respiratori al
minuto. Il principale presidio terapeutico è rappresentato dall’ossigenoterapia che
migliora in genere rapidamente la fatica respiratoria e l’agitazione del bambino, condotta
con tutte le necessarie precauzioni: concentrazione non troppo elevata di ossigeno
e somministrazione intermittente. In caso di evoluzione in insufficienza respiratoria è
indicata la ventilazione meccanica o l’intubazione naso-tracheale. Importante è anche la
reidratazione necessaria per la perdita di liquidi a seguito dell’intensa polipnea e dalla
loro scarsa introduzione legata alla compromissione dello stato generale. Nei casi con
grave impegno respiratorio è indicata l’adrenalina (0, 25 mg/kg fino a un massimo 5
mg). Il razionale del suo utilizzo è quello di sfruttare sia l’azione alfa-adrenergica sia
quella beta- adrenergica in modo da associare all’effetto broncodilatatore anche quello
vasocostrittore e antiemedigeno (21-23). I broncodilatatori (β2 agonisti) risultano efficaci
in una minoranza di casi poiché l’ostruzione bronchiale è sovente legata all’ispessimento
della parete e all’occlusione del lume da parte del muco (24-25) discutibile sembra
l’utilità dei corticosteroidi che di fatto agiscono sulla sola componente spastica ed
essudatizia (26). L’impiego di antibiotici è privo di qualsiasi vantaggio, considerata la
natura di solito virale della malattia; l’uso di antimicrobici è giustificato solo quando un
cambiamento del quadro clinico e del decorso suggerisce l’eventualità di una
sovrainfezione batterica. In questi casi il trattamento va eseguito in regime di ricovero
dopo aver ottenuto appropriati prelievi per colture batteriche. La terapia può essere
empirica utilizzando amoxicillina o cefalosporine. Non ancora conclusivi sono i risultati
degli studi sperimentali che valutano l’efficacia dell’interferone-α, delle
preparazioni endovenose contenenti alti titoli di anticorpi anti-VRS, dell’amantadina e
della rimantadina nella terapia della bronchiolite causata da VRS.
Nei lattanti per i quali si prevede un rischio elevato e nei nati pretermine ha dimostrato
una buona efficacia protettiva l’infusione delle immunoglobuline specifiche anti-virus
respiratorio sinciziale ad alto titolo e a dosi elevate (750 mg/kg una volta al mese per via
endovenosa) o del palivizumab, un anticorpo monoclonale da somministrare per via
intramuscolare (alla dose di 15 mg/kg una volta al mese) prima di entrare nella stagione
della bronchiolite (27).
Polmonite
Si definisce polmonite infettiva il processo infiammatorio, generalmente a decorso acuto
o subacuto, che interessa il parenchima polmonare distalmente ai bronchioli terminali,
con accumulo locale di cellule infiammatorie e di secrezioni che porta all’esclusione
dell’area interessata dagli scambi gassosi. La polmonite è una causa importante di
morbilità e mortalità nei bambini soprattutto in quelli di età inferiore ai 5 anni. La
sua incidenza è di circa 146-159 milioni di nuovi episodi l’anno nei Paesi in via di
sviluppo e si ritiene che sia causa di circa 4 milioni di decessi tra i bambini in tutto il
mondo (28, 29). Attualmente l’incidenza della polmonite acquisita in comunità nei
Paesi sviluppati è stimata a 0, 026 episodi per anno-bambino mentre è di 0, 280 episodi
per anno-bambino nei Paesi in via di sviluppo. Nei Paesi sviluppati inoltre dal periodo
antecedente l’era antibiotica ad oggi la mortalità si è ridotta del 97% (30). La riduzione
della mortalità è anche conseguente all’introduzione dei vaccini contro Haemophilus
influenzae di tipo b, che in passato era un’importante causa di polmonite batterica nei
bambini piccoli e del vaccino antipneumococcico che ha ridotto l’incidenza globale di
polmonite nei lattanti e nei bambini nel primo anno di vita del 30%, del 20% nel secondo
anno di vita e del 10% circa nei pazienti di età superiore ai 2 anni. Classicamente le
polmoniti si dividono in nosocomiali e comunitarie (31) . Le polmoniti nosocomiali (NP,
Nosocomial Pneumania) sono quelle che compaiono in pazienti ospedalizzati per altre
cause, dopo almeno 48 ore di ricovero o entro 7 giorni dalla dimissione che segue un
ricovero di almeno 3 giorni, le polmoniti comunitarie (CAP, Community
Acquired Pneumonia) sono invece quelle causate da microrganismi acquisiti in ambiente
extra-ospedaliero. La causa di polmonite nel singolo paziente è spesso difficile da
determinare, poiché la coltura diretta di tessuto polmonare è una tecnica invasiva,
praticata raramente. Le colture effettuate sull’escreato, ossia su campioni ottenuti dalle
vie respiratorie
superiori, generalmente non riflettono accuratamente la causa dell’infezione delle vie
aeree inferiori. Utilizzando gli esami diagnostici attualmente disponibili, è possibile
identificare una causa batterica o virale nel 40-80% dei bambini con polmonite acquisita
in comunità (32, 33). In ambiente comunitario le polmoniti del bambino sono per circa
l’80% ad eziologia virale e per il 20% batteriche. L’eziologia batterica risulta la più
frequente nei bambini in età scolare; molto spesso la causa è un unico batterio (34%),
ma a volte possono essere presenti anche batteri diversi (3%) o un batterio e un virus
(23%). Il patogeno batterico più comune è lo Streptococcus pneumoniae (44%), seguito
da Mycoplasma pneumoniae (14%) e Clamydia pneumoniae (9%). Oltre
allo pneumococco, altre cause batteriche di polmonite in bambini precedentemente sani
comprendono lo Streptococco di gruppo A e lo Stafilococcus aureus. Nei Paesi in via di
sviluppo S. pneumoniae, H. influenzae, S. aureus sono le principali cause di
ospedalizzazione e di morte da polmonite nei pazienti pediatrici, sebbene nei bambini
con infezione da HIV debbano essere presi in considerazione anche Mycobacterium
tubercolosis, i micobatteri atipici, Salmonella ed E. coli (34). I patogeni virali sono una
causa importante d’infezioni delle vie respiratorie inferiori nei lattanti e nei bambini di età
inferiore a 5 anni. Fra questi riscontriamo più spesso il virus respiratorio sinciziale, il virus
dell’influenza A e più raramente i virus parainfluenzali 1-3, gli adenovirus e i rinovirus.
Accanto a questi ricordiamo anche il coronavirus (CoV) non-SARS e il metapneumovirus
umano (hMPV) che probabilmente sono responsabili di gran parte di quel 21% di casi di
polmonite del bambino nei quali non era stato messo in evidenza alcun un agente
eziologico. I coronavirus respiratori umani non-SARS sono conosciuti da decenni come
agenti infettivi delle vie aeree. Essi causano infezioni delle vie aeree superiori ed inferiori
nei lattanti e nei bambini tanto che dal 3 all’8% dei bambini con polmonite hanno un titolo
anticorpale elevato per i coronavirus respiratori.
Il metapneumovirus umano è molto simile al virus respiratorio sinciziale. Si tratta di un
patogeno ubiquitario che colpisce tutti i gruppi di età prediligendo però i lattanti e i
bambini di età inferiore ai 2 anni. In un’ampia casistica di bambini con infezioni delle vie
respiratorie inferiori, 49 su 248 (20%) presentavano un’infezione causata da
metapneumovirus umani. In Italia il metapneumovirus è causa del 12, 2% delle polmoniti
nei bambini (7). Gli agenti infettivi isolati nei pazienti con polmonite presentano una
frequenza di riscontro che varia in funzione dell’età del paziente (tabella 1), dello stato
immune, della presenza di malattie croniche come la fibrosi cistica, della
situazione epidemiologica locale e della frequenza del paziente in ambienti ospedalieri.
Tabella 1. Agenti eziologici raggruppati in base all’età del paziente
Da Kliegman RM, Marcdante KJ, Jenson HJ, Behrman RE: Nelson Essentials of
Pediatrics, 5th ed Philadelphia, Elsevier, 2006, p. 504
Di norma il tratto respiratorio inferiore è mantenuto sterile da specifici meccanismi di
difesa fisiologici che comprendono la clearance muco-ciliare, le immunoglobuline A (IgA)
secretorie e dal riflesso della tosse, inoltre sono presenti altri meccanismi di difesa
immunologica polmonari che comprendono i macrofagi alveolari e immunoglobuline
diverse dalle IgA.
Qualunque condizione che alteri uno o più di questi meccanismi di difesa contribuisce
ad aumentare il rischio di polmonite.
Per l’età pediatrica risultano particolarmente importanti tre situazioni:
- La precoce scolarizzazione, per la facilità con la quale si possono sviluppare infezioni
virali o batteriche
- La presenza nell’aria dell’ambiente in cui vive il bambino di fumo passivo di sigarette,
che può determinare una paralisi dei fisiologici movimenti delle ciglia
- Una concomitante infezione virale delle vie aeree che blocca, spesso completamente,
l’attività ciliare
L’inoculazione nel tratto respiratorio di microrganismi patogeni induce una risposta
infiammatoria acuta dell’ospite che dura, tipicamente, due settimane.
Le polmoniti virali sono caratterizzate dall’accumulo di cellule mononucleate nello spazio
mucoso perivascolare, che comporta una parziale ostruzione delle vie aeree obiettivabile
clinicamente dalla comparsa di sibili e crepitii.
La malattia progredisce quando gli pneumociti di 2° ordine perdono la loro integrità
riducendo quindi la produzione di surfactante e dando luogo alla formazione di
membrane ialine con successivo sviluppo di edema polmonare.
Nelle polmoniti batteriche gli alveoli sono pieni di liquido proteinoso che innesca
l’ingresso di eritrociti e polimorfonucleati (epatizzazione rossa), seguita dalla
deposizione di fibrina e dalla degradazione delle cellule infiammatorie (epatizzazione
grigia).
Durante la fase di risoluzione i detriti intracellulari vengono rimossi dai macrofagi
alveolari.
Questa fase di consolidazione spiega il reperto obiettivo di ottusità alla percussione e di
riduzione di penetrazione di aria all’auscultazione.
Inoltre la maggior rigidità del parenchima e la ridotta espansibilità determinano la
riduzione del volume corrente con conseguente aumento della frequenza respiratoria
finalizzata a mantenere un’adeguata ventilazione.
Si crea inoltre un’alterazione del rapporto ventilazione/perfusione (aree mal ventilate, ma
ben perfuse) con conseguente ipossiemia.
Si parla di polmonite ricorrente per indicare due o più episodi in un anno, o tre o più
episodi in assoluto di polmonite, con guarigione radiografica tra gli eventi. In un bambino
che va incontro a polmonite batterica ricorrente si deve ricercare una malattia di base
sottostante.
La diagnosi differenziale si pone con malattie ereditarie (fibrosi cistica, anemia
falciforme), alterazioni immunitarie, alterazioni ciliari (sindrome delle ciglia immobili,
sindrome di Kartagener), alterazioni anatomiche. I segni clinici variano in base all’età e
all’eziologia, batterica o virale, della polmonite.
Le polmoniti batteriche e virali sono spesso precedute nei primi giorni da sintomi
aspecifici d’infezione delle vie aeree superiori, tipicamente rinite e tosse.
Nella polmonite virale è di solito presente febbre. La tachipnea è la manifestazione
clinica più importante della polmonite.
E’ comune un aumento del lavoro respiratorio accompagnato da retrazioni toraciche
intercostali, sottocostali e sovrasternali, alitamento delle pinne nasali e utilizzo dei
muscoli accessori. La tosse è frequente e solitamente di tipo irritativo.
L’auscultazione del torace può rivelare crepitii e sibili o rantoli fini inspiratori.
A volte sono presenti altri sintomi quali mialgia, malessere, astenia, cefalea nel
bambino più grande.
Alla radiografia del torace si riscontrano infiltrati diffusi di broncopolmonite, la conta dei
globuli bianchi è di rado elevata e i linfociti predominano nella formula.
I bambini con infezione da batteri atipici (M. pneumoniae e C. pneumoniae) hanno
un’età media di 5 anni (da 9 mesi a 13 anni)
e presentano tosse, prevalentemente stizzosa, febbre normalmente < 39°C.
All’auscultazione del torace si apprezzano rantoli fini inspiratori.
Nella polmonite dovuta a batteri tipici (S. pneumoniae, S. pyogenes, S. aureus), presenti
da soli o associati ad altri virus, l’esordio è tipicamente improvviso, con brividi scuotenti
seguiti da febbre elevata, tosse e dolore toracico.
Nei bambini più grandi e negli adolescenti, un’affezione delle vie aeree superiori di breve
durata è seguita dall’esordio improvviso di brividi scuotenti e febbre accompagnati da
sonnolenza, con periodi intermittenti di irrequietezza, respiro rapido, tosse secca,
stizzosa, non produttiva, ansia e occasionalmente delirio. In molti bambini è tipico il
riscontro d’immobilizzazione del lato affetto per ridurre al minimo il dolore pleuritico e
migliorare la ventilazione. I reperti dell’esame obiettivo dipendono dallo stadio della
polmonite.
Nelle fasi precoci sono comunemente udibili sul campo polmonare affetto una riduzione
del murmure vescicolare, crepitii sparsi e ronchi.
Con il progressivo consolidamento o l’insorgenza di complicanze della polmonite, come
versamenti, empiema e piopneumotorace si percepisce ottusità alla percussione e il
murmure vescicolare può essere diminuito.
Spesso dal lato affetto si osserva un ritardo dell’escursione respiratoria. La distensione
addominale può essere notevole, a causa della distensione gastrica provocata dall’aria
ingerita o da ileo e talvolta può essere presente dolore addominale se la polmonite
riguarda il lobo inferiore.
Il fegato può sembrare aumentato di volume a causa dello spostamento verso il basso
del diaframma, secondario all’iperinflazione dei polmoni o all’insufficienza cardiaca
sovrapposta. La radiografia del torace mostra spesso un’area di opacità lobare, presente
nel 75% delle polmoniti da batteri tipici, alla quale può associarsi un versamento pleurico
(10-30% dei casi) . I sintomi descritti negli adulti con polmonite pneumococcica possono
presentarsi nei bambini più grandi, mentre sono di raro riscontro nei lattanti e nei
bambini piccoli, in cui il quadro clinico ha una variabilità notevolmente maggiore. Nei
lattanti vi possono essere un’infezione prodromica delle vie aeree superiori e una
riduzione dell’appetito, cui fa seguito la comparsa improvvisa di febbre, irrequietezza,
ansia e distress respiratorio che si manifesta con grunting, alitamento delle pinne nasali,
retrazioni delle zone sovraclaveari, intercostali e sottocostali, tachipnea, fame d’aria e
spesso cianosi. I risultati dell’esame obiettivo possono essere fuorvianti, in particolare
nei lattanti di pochi mesi, con reperti minimi rispetto al grado di tachipnea.
Alcuni lattanti con polmonite batterica possono avere disturbi gastrointestinali associati
come vomito, anoressia, diarrea e distensione addominale.
La rapida progressione dei sintomi è caratteristica dei casi più severi di polmonite
batterica.
L’anamnesi e un accurato esame obiettivo rappresentano i cardini per la diagnosi di
polmonite. La valutazione del paziente con sospetta polmonite deve includere
l’osservazione delle condizioni generali, la rilevazione della
frequenza respiratoria, della temperatura corporea e della SaO2, l’eventuale presenza di
rientramenti intercostali e l’uso dei muscoli accessori della respirazione. I reperti
ascoltatori di più frequente riscontro sono i rantoli crepitanti, la riduzione asimmetrica del
murmure vescicolare, il soffio bronchiale.
Tuttavia nelle fasi iniziali di una polmonite batterica, il reperto auscultatorio può essere
completamente negativo.
Nei bambini con età fino a 3 anni la diagnosi di polmonite batterica diventa più probabile
se il paziente presenta temperatura superiore a 38, 5° C, rientramenti intercostali e
frequenza respiratoria maggiore di 50 atti al minuto, mentre la presenza di respiro
sibilante rende più verosimile un’eziologia virale o da Mycoplasma pneumoniae. La
frequenza respiratoria deve essere misurata per un minuto mentre il bambino è
tranquillo e considerando che la febbre stessa determina un incremento della frequenza
di circa 10 a/m per ogni grado di temperatura.
L’Organizzazione Mondiale di Sanità ha stabilito dei criteri specifici per età per la
definizione di tachipnea:
- FR (frequenza respiratoria) >60 atti/minuto per bambini sotto i 2 mesi di età
- FR>50 atti/minuto per bambini dai 2 ai 12 mesi
- FR>40 atti/minuto per bambini da 1 a 5 anni
- FR>30 atti/minuto per bambini oltre i 5 anni di età (35)
In pazienti che presentino segni e sintomi respiratori in assenza di febbre è necessario
escludere altre patologie: asma bronchiale, inalazione di corpo estraneo, patologia
cardiaca o polmonare sottostante. La radiografia del torace non offre informazioni utili
alla diagnosi eziologica di polmonite non modificando le scelte terapeutiche e quindi nei
casi certi di polmonite non complicata non c’è indicazione ad eseguire tale indagine.
La radiografia del torace deve invece essere richiesta nei casi clinicamente dubbi, se si
sospettino complicanze e in tutti i bambini di età inferiore a 5 anni con febbre elevata da
causa non determinata al fine di escludere una polmonite silente.
Deve essere inoltre eseguita per il follow-up delle forme resistenti a terapia (persistenza
della sintomatologia 48-72 ore dopo l’inizio della terapia antibiotica), nelle forme con
interessamento lobare completo e in caso d’insorgenza di complicanze
(30). L’individuazione e il riconoscimento dell’agente patogeno causale fornisce
l’evidenza diagnostica dell’eziologia della malattia e rappresenta l’approccio ideale al
trattamento mirato. Nella realtà clinica però anche in regime di ricovero ospedaliero le
difficoltà di ottenere un campione idoneo sono rilevanti.
La raccolta dell’escreato, infatti, è molto problematica nel bambino di età inferiore agli 8
anni e in ogni caso il rischio di contaminazione con la saliva è elevato. La flora batterica
tradizionale ritrovata nel tampone faringeo e nasale o nell’aspirato nasofaringeo non può
rappresentare con certezza quella presente nelle vie aeree inferiori. L’emocoltura va
sempre praticata, ma è un’indagine caratterizzata da bassa sensibilità.
La ricerca di una risposta sierologica specifica verso virus e batteri è utile soprattutto a
fini epidemiologici ma non per un approccio terapeutico immediato, la risposta viene
infatti fornita dai laboratori dopo parecchi giorni e sono necessari due
campioni di siero (uno prelevato in fase acuta e uno a distanza di almeno 3-4 settimane
dall’esordio della malattia) per avere dati adeguati. I valori che si riscontrano nelle forme
batteriche e in quelle virali sono ampiamente sovrapponibili. In linea generale la
marcata leucocitosi (>20.000/mm3) con neutrofilia sembra avere valore indicativo, anche
se assolutamente non conclusivo, per un quadro batterico, cosi come la positività a
valori elevati degli indici di flogosi.
Un eventuale trattamento antibiotico della polmonite nel bambino è essenzialmente un
trattamento empirico, cioè basato su criteri indiretti (dati epidemiologici, età, quadro
clinico ed altro) piuttosto che da elementi scaturiti direttamente dalla diagnosi eziologica.
Nei bambini da 2 mesi fino a 5 anni, nel sospetto di un’eziologia batterica è corretto
iniziare con amoxicillina ad alti dosaggi (90 mg/kg/die, in 2-3 somministrazioni) o
eventualmente amoxicillina-acido clavulanico, per coprire anche le forme parzialmente
resistenti di pneumococco che nel nostro Paese sono circa il 13%. Il trattamento orale va
continuato per 7-10 giorni. L’amoxicillina per bocca ha un’efficacia equivalente alla
penicillina iniettabile anche nel trattamento delle polmoniti gravi del bambino da 3 mesi a
5 anni. Nelle polmoniti non gravi del bambino piccolo può essere sufficiente anche un
trattamento della durata di soli 3 giorni.
E’ possibile iniziare con una singola dose di ceftriazone (Rocefin: 50 mg/kg, dose
massima 1 gr/die), prima della somministrazione dell’antibiotico per bocca (36).
Nel bambino di oltre i 5 anni d’età e in quelli in cui si sospetti una polmonite da agenti
atipici è razionale l’utilizzo di macrolidi, come l’azitromicina, per 7-10 giorni. Nei pazienti
con polmoniti particolarmente gravi, all’amoxicillina ad alte dosi o al ceftriaxone per via
parenterale, può essere associato un macrolide sin dall’inizio. Tuttavia deve essere
sempre preferito l’uso di un solo farmaco nei primi 2-3 giorni per vedere se il paziente
risponde alla terapia iniziale. Se dopo 24-72 ore il bambino non è migliorato o se
presenta segni e sintomi ingravescenti, senza tuttavia presentare complicazioni, è
corretto somministrare un secondo antibiotico o un antibiotico diverso da quello
inizialmente prescritto.
Il trattamento empirico della sospetta polmonite batterica, in un bambino ricoverato,
richiede un approccio basato sulle manifestazioni cliniche al momento della
presentazione. Il cardine della terapia è la somministrazione di cefuroxima
(150 mg/kg/die), cefotaxima o ceftriaxone per via parenterale, quando si ipotizza una
eziologia batterica.
Se si sospetti una polmonite virale è ragionevole evitare la terapia antibiotica.
Bisogna però ricordare che fino al 30% dei pazienti con infezione virale nota può avere
un patogeno batterico coesistente e pertanto bisogna prestare attenzione al
deterioramento delle condizioni cliniche del paziente che può essere segno di
sovrainfezione batterica. L’evoluzione della polmonite infettiva è oggi generalmente
favorevole.
Tipicamente, i pazienti con polmonite batterica non complicata acquisita in comunità
rispondono alla terapia con un miglioramento della sintomatologia clinica entro 48-96
ore dall’inizio degli antibiotici ed entro 7-10 giorni dall’inizio della malattia, con una
corrispondente progressiva normalizzazione
della leucocitosi e degli altri indici di flogosi.
Molto più lunghi (circa 2-3 settimane) sono i tempi di scomparsa della tosse e dei rumori
polmonari residui, mentre ancora più lunghi (da 1 a 5 mesi) sono i tempi di
normalizzazione delle immagini radiologiche. Quando il paziente non risponde a una
terapia antibiotica appropriata (polmonite a lenta risoluzione), occorre esaminare
una serie di fattori:
1) possibili complicanze, come empiema pleurico;
2) resistenza batterica;
3) eziologia non batterica, come virus o aspirazione di corpi estranei o cibo;
4) ostruzione bronchiale da parte di lesioni endobronchiali, corpi estranei o tappi di
muco;
5) malattie preesistenti, come immunodeficienza, discinesia ciliare, fibrosi cistica;
6) altre cause non infettive (bronchiolite obliterante, polmonite da ipersensibilità,
polmonite eosinofila) .
Le complicanze della polmonite in genere sono la conseguenza della diffusione diretta
dell’infezione batterica nella cavità toracica (versamento pleurico, empiema, pleurite) o di
una batteriemia con diffusione ematogena. Circa il 20% delle forme ad eziologia virale
causano una reazione pleurica. S. aureus, S. pneumoniae, S. pyogenes sono invece la
causa più comune di empiema il quale si riscontra con una frequenza di in 1 caso ogni
150 bambini ospedalizzati per polmonite interessando, cosi, 3, 3 bambini ogni 100.000.
Complicanza poco comune in età pediatrica è l’ascesso polmonare causato più
frequentemente da
S. aureus e Klebsiella pneumoniae. Le complicanze extrapolmonari, solitamente rare,
includono, invece, la disidratazione, la cardite, la meningite, le
meningoencefaliti e gli ascessi cutanei.
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www.geneticapediatrica.it trimestrale di divulgazione scientifica dell'Associazione Pediatrica di Immunologia e Genetica
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