Benessere organizzativo sportello di ascolto psicologico come

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Benessere organizzativo
Lo sportello di ascolto psicologico
come strumento di contrasto
allo stress lavoro correlato
di Claudia Righetti
Psicologa del lavoro Consulente di pubbliche amministrazioni
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La novità introdotta dal D.Lgs. n. 81/2008 è un concetto di salute che rimanda ad uno ‘‘stato
di completo benessere fisico, mentale e sociale, non consistente solo in un’assenza di
malattia o d’infermità’’. L’obiettivo di questo articolo è di analizzare lo sportello psicologico
di ascolto quale dispositivo organizzativo per favorire il benessere dei singoli e
dell’organizzazione, per contrastare il rischio dello stress lavoro correlato e infine per
supportare attivamente il singolo dipendente e/o i gruppi di lavoro nella soluzione di
problemi e criticità psicologiche che nascono nel contesto di lavoro. Le esperienze ad oggi in
essere nelle organizzazioni pubbliche, sono ancora quantitativamente circoscritte e la
maggior parte di esse si colloca ancora in una fase di sperimentazione. Tale scritto fornisce,
a partire dall’esperienza sul campo dell’autrice, un quadro dei punti di forza e delle zone
d’ombra di questo innovativo strumento organizzativo per il benessere dei lavoratori
Premessa
Il decreto ‘‘Sicurezza ‘‘(D.Lgs. n. 81/2008) fornisce un’innovativa nozione giuridica di salute che comporta una più ambiziosa soglia di tutela della stessa. Infatti, da
un concetto che poneva la salute come uno stato prossimo all’assenza di malattia si
parla oggigiorno di uno ‘‘stato di completo benessere fisico, mentale e sociale, non
consistente solo in un’assenza di malattia o d’infermità.’’
A seguito della nuova formula legislativa un datore di lavoro per la sicurezza deve
garantire al lavoratore il completo benessere in ambito lavorativo, ossia una condizione di pieno appagamento e di totale soddisfazione sul lavoro.
In sostanza la svolta giuridica della nuova cornice normativa è riconducibile al dovere da parte del datore di lavoro di salvaguardare le tre dimensioni in cui si articola
l’esperienza lavorativa e il benessere/malessere ad essa collegato:
dimensione ergonomica: star bene inteso in termini fisici;
dimensione psichica: si tratta a questo livello non solo di preservare il lavoratore
da patologie psichiche ma anche di assicurargli una condizione di piena soddisfazione sul piano mentale ed in particolare motivazionale;
dimensione relazionale: intesa come una buona condizione individuale di relazioni lavorative. La vita sociale nei contesti di lavoro deve consentire un buon livello di
soddisfazione dei bisogni sociali e di appartenenza.
L’art. 28 del suddetto decreto obbliga il datore di lavoro alla valutazione di ‘‘tutti i
rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori, ivi compresi quelli riguardanti gruppi di lavoratori esposti a rischi particolari, tra cui anche quelli collegati allo stress
lavoro-correlato’’.
Il nuovo quadro giuridico, di conseguenza, pone una forte sfida di cambiamento alle
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organizzazioni lavorative che vogliano essere effettivamente attente a rispettare la
novità giuridica ed a cogliere le implicazioni culturali da esse derivanti. Più in specifico, l’azione diretta alla tutela di tale ‘‘idea’’ di salute richiede, una pluralità di
azioni e di miglioramenti su diversi livelli dell’organizzazione, della gestione delle
persone e dei gruppi di lavoro ed una marcata attenzione a tutte le azioni cosiddette
di prevenzione primaria.
Per prevenzione primaria (o promozione della salute) s’intende la riduzione della
probabilità dell’evento dannoso attraverso la realizzazione di interventi volti a promuovere condizioni favorevoli alla salute (‘‘determinanti della salute’’) e ad eliminare i fattori di rischio. In questo senso lo sportello di ascolto psicologico può configurarsi come un vero e proprio fattore di contrasto allo stress lavoro-correlato nonché come una azione organizzativa di prevenzione primaria.
Principali forme di disagio psicologico nei contesti di lavoro
La prevenzione e la gestione del disagio psicologico negli ambienti di lavoro rappresenta una grande sfida per il futuro delle organizzazioni lavorative e più in generale della società civile.
La psicologia del lavoro parla di vere e proprie patologie da convivenza organizzativa. Per convivenza organizzativa, s’intende quell’insieme di processi che stanno
alla base del vivere insieme nei luoghi di lavoro, luoghi nei quali si realizza una
transazione ben più ricca, complessa e profonda della sola dinamica tempo-faticaretribuzione.
Nel lavoro s’investono energie, emozioni e speranze in vista dell’espressione e del
soddisfacimento d’istanze personali quali bisogni, valori, motivazioni, che sono determinanti per il benessere e la salute psicofisica del soggetto.
Il contesto socio-lavorativo di riferimento di un individuo, il ruolo ricoperto e il sistema di ruoli al cui interno si colloca concorrono a costituire la rappresentazione
del sé e il valore ad essa connesso.
Oggigiorno tutelare e valorizzare il patrimonio di risorse umane implica essere consapevoli che la complessità della convivenza lavorativa nelle organizzazioni è in aumento anche in conseguenza dei cambiamenti sociali, economici, politici e culturali
e della crescente incertezza e instabilità del contesto. La gerarchia quale meccanismo di coordinamento principe, le procedure e in generale le tradizionali leve di gestione del personale risultano progressivamente inadeguate a stimolare la motivazione lavorativa il senso di appartenenza all’organizzazione, la creatività e il fare squadra.
La convivenza organizzativa è pertanto in crisi, non è più garantita da un sistema di
regole, funzioni e confini ma deve essere continuamente rinnovata, gestita e negoziata.
Stress, burnout, stalking, straining, mobbing, workhaolic sono solo alcuni dei nomi
coniati nel mondo scientifico per descrivere forme di disagio e compromissione della salute psicofisica dei lavoratori.
Cresce la sofferenza, il disagio e l’insofferenza e spesso, al fine di coprire e superare
la perdita di senso, si assiste a nuove forme di autoritarismo e oppressione che si
manifestano in relazioni non solo verticali (capo-collaboratore) ma anche orizzontali
(collega-collega).
La compromissione della salute nei contesti di lavoro si estrinseca, in alcuni casi, in
vere e proprie patologie con quadri sintomatologici e clinici ben definiti, talvolta assume forme più sfumate e meno inquadrabili ma non per questo meno destabilizzanti per l’individuo.
Al fine di consentire una sommaria ricognizione dei principali quadri di malessere,
verrà fornita una sintetica descrizione delle forme di sofferenza psichica nel lavoro
di più frequente menzione teorica e rilevanza clinica (tav. 1).
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La presentazione è fatta secondo un ordine di progressione alfabetica e non di importanza o diffusione.
Tavola 1
Definizioni
Bossing
Il mobbing verticale, o bossing, è una forma di terrorismo psicologico che viene programmato e messo in atto come strategia dell’azienda o dai vertici dirigenziali come vera e propria azione aziendale di riduzione, ringiovanimento o razionalizzazione del personale, oppure di semplice eliminazione di una persona indesiderata. Esso viene compiuto prevalentemente dai quadri o dai dirigenti dell’azienda con lo scopo preciso di indurre il dipendente
divenuto ‘‘scomodo’’ alle dimissioni, al riparo da qualsiasi problema di tipo sindacale.
Burnout
Il termine burnout, introdotto da Freudenberg negli anni ’70 e ripreso e reso famoso da
Christina Maslach, configura una condizione di stress lavorativo riscontrabile con maggiore
frequenza tra i soggetti impegnati in attività assistenziali: si tratta quindi di una patologia
professionale particolarmente rilevante per l’area socio-sanitaria. Recentemente si è riconosciuta la diffusione della sindrome del burnout in tutte le professioni ad alta intensità relazionale ovvero in tutte le professionalità che sono a stretto contatto con il pubblico: insegnanti, assistenti sociali, operatori sanitari, ma anche soggetti, fino a poco tempo fa insospettabili, come operatori di call center, venditori, impiegati addetti agli sportelli, etc.
Secondo Zani e Cicognani (Zani e Cicognani, Psicologia della salute, Edizioni Il Mulino,
2000, pag. 157.) il burnout ‘‘psicologicamente rappresenta il tipo di risposta ad una situazione avvertita come intollerabile, in quanto l’operatore percepisce una distanza incolmabile tra quantità delle richieste rivoltegli dagli utenti e risorse disponibili (individuali e organizzative) per rispondere positivamente a tali richieste. Ne deriva un senso di impotenza acquisita, dovuta alla convinzione di non poter fare nulla per modificare la situazione, per eliminare l’incongruenza tra ciò che si ritiene che l’utente si aspetti e ciò che si è in grado di
offrirgli’’.
Christina Maslach ha definito il burnout come ‘‘una sindrome di esaurimento emotivo, depersonalizzazione e ridotta realizzazione personale’’. In particolare, lo stato di ‘‘esaurimento emotivo’’ (EE) si caratterizza per la mancanza dell’energia necessaria ad affrontare la
realtà quotidiana, con sentimenti di apatia e distacco emotivo nei confronti del lavoro. Il
soggetto si sente svuotato, sfinito, le sue risorse emozionali sono appunto ‘‘esaurite’’.
Con il termine ‘‘depersonalizzazione’’ (DP) Maslach ha indicato un atteggiamento di ostilità, che coinvolge primariamente la relazione professionale d’aiuto, vissuta con fastidio,
freddezza, cinismo. Di conseguenza, l’operatore tenta di sottrarsi al coinvolgimento, limitando la quantità e qualità dei propri interventi professionali, al punto da rispondere evasivamente alle richieste d’aiuto, e sottovalutare, o negare, i problemi del paziente. L’ambito
della ‘‘ridotta realizzazione professionale’’ (PA) infine si riferisce ad un sentimento di fallimento professionale, per la percezione della propria inadeguatezza al lavoro, sottesa dalla
consapevolezza del disinteresse e dell’intolleranza verso la sofferenza degli altri, con il conseguente senso di colpa per le modalità impersonali e disumanizzate che hanno ormai sostituito l’efficacia e la competenza nel trattare con i pazienti. Alla situazione psicologica e
relazionale sopra descritta si associano generalmente sintomi fisici, (es. astenia, cefalea, disturbi del sonno, etc.). Nel complesso, la sindrome di burnout deriva da uno squilibrio tra le
richieste professionali e la capacità individuale di affrontarle. Tale stato esprime una sollecitazione emozionale di frustrazione e demoralizzazione, con difese inadeguate e comportamenti disadattati.
Disturbo di adattamento - Situazione di malessere e intensa sofferenza soggettiva con compromissione della funzioDA (o sindrome di disadatta- nalità lavorativa, sociale e relazionale, che compare in seguito ad uno o più eventi o situamento)
zioni di stress psicosociale. La reazione disadattativa che il disturbo sottende, pur essendo
di breve durata, è tuttavia causa di una alterazione significativa del funzionamento sociale
e lavorativo. Le manifestazioni prevalenti appartengono all’area dei disturbi d’ansia (instabilità emotiva, stati di allerta, incapacità di rilassarsi, sonno disturbato, ansia somatizzata) o
all’area dei disturbi depressivi. È fondamentale per questa diagnosi una comprensibile relazione con l’evento stressante. Può assumere forma acuta o cronica a seconda che l’alterazione duri meno o più di sei mesi. In quest’ultimo caso (Disturbo dell’adattamento cronico), la durata dei disturbi è maggiore di 6 mesi in risposta ad un fattore stressante cronico
o ad un fattore stressante che ha conseguenze protratte.
L’interazione tra evento e reazione del soggetto è molto stretta nel DA; vi sono eventi traumatici anche rilevanti che possono non provocare alcuna conseguenza in certi soggetti, all’opposto vi sono eventi di vita anche più modesti che possono indurre un DA anche grave
e pervasivo.
Tra i sintomi clinici del Disturbo dell’adattamento si annoverano: ansia, irritabilità, preoccu-
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pazione per il futuro, irrequietezza, umore depresso, facilità al pianto, sentimenti di perdita
di speranza, assenze ingiustificate al lavoro, vandalismi/risse, guida spericolata, inadempienza verso responsabilità legali, lamentele fisiche o sintomi somatici, ritiro sociale, sentimenti di impotenza rispetto al futuro, sentimento di incapacità ad affrontare la situazione.
Disturbo di adattamento de- Insieme di atti ed azioni che comportano conseguenze chiare e rilevanti sulla posizione larivante da costrittività orga- vorativa e sulle possibilità di svolgimento del lavoro del soggetto coinvolto.
nizzativa
A titolo esemplificativo rientrano in questo ambito: trasferimenti ingiustificati, mancata assegnazione di compiti lavorativi con conseguente sottoutilizzo delle competenze, mancata
attribuzione dei necessari strumenti/attrezzature di lavoro, esclusione reiterata da iniziative
di formazione e riqualificazione professionale.
Spesso tal atti fanno parte di un’azione più ampia di mobbing che come tale si avvale anche di azioni vessatorie e intimidatorie afferenti all’area dei comportamenti interpersonali
(es. assenza di saluto).
Mobbing
Una forma di terrorismo psicologico che implica un atteggiamento ostile e non etico posto
in essere in forma sistematica da uno o più soggetti, di solito nei confronti di un unico individuo che, a causa di tale persecuzione, si viene a trovare in una condizione indifesa e
diventa oggetto di continue attività vessatorie e persecutorie, che ricorrono con una frequenza sistematica e nell’arco di un periodo di tempo non breve, causandogli considerevoli
sofferenze mentali, psicosomatiche e sociali. (H. Leymann).
Nel mobbing vi sono diversi attori: il mobbizzato o vittima ovvero colui o colei che subisce il
mobbing, il mobber o aggressore che è colui che mette in atto le azioni persecutorie, i sidemobber coloro che aiutano concretamente e attivamente il mobber partecipando alle azioni vessatorie, gli ‘‘spettatori silenziosi’’ ovvero tutti coloro che pur non partecipando in prima persona, permettono le azioni mobbizzanti con un atteggiamento di non intervento.
Molestia sessuale (sofferen- Sofferenza psicologica che deriva da un comportamento lesivo a connotazione sessuale o
za psicologica da Sexual Ha- qualsiasi altro tipo di discriminazione basata sul sesso effettuato ai danni di una persona e
rassment)
tale da lederne la dignità nell’ambiente di lavoro. Sono inclusi atteggiamenti fisici nonché
comportamenti verbali e non verbali. C’è molestia quando c’è asimmetria di potere tra l’aggressore e la vittima o quando il comportamento è indesiderato ed offensivo per chi lo subisce.
Stalking
Condotta persecutoria attuata a partire da istanze sentimentali o passionali non condivise.
Lo stalking è agito in un ambiente di lavoro per motivi contingenti (vittima e persecutore
condividono il medesimo ambiente di lavoro) oppure perché l’ambiente di lavoro è considerato dal molestatore come il più sicuro o quello che facilita l’accessibilità alla vittima. Lo
stalking è comunque un’aggressione e anche quando esordisce con modalità blande (bigliettini, fiori,...) ha in sé un alto potenziale lesivo.
Straining
La parola straining è letteralmente traducibile dalla lingua inglese come «forzatura» o
«sforzo». La differenza tra lo straining e il mobbing, è stata individuata nella mancanza
«di una frequenza idonea (almeno alcune volte al mese) di azioni ostili ostative: in tali situazioni le azioni ostili che la vittima ha effettivamente subito sono poche e troppo distanziate nel tempo, spesso addirittura limitate a una singola azione, come un demansionamento o un trasferimento disagevole». Pertanto, mentre il mobbing si caratterizza per
una serie di condotte ostili, continue e frequenti nel tempo, per lo straining è sufficiente
una singola azione con effetti duraturi nel tempo (come nel caso di un demansionamento)».
In sintesi le caratteristiche dello straining sono:
— l’azione persecutoria è unica;
— i suoi effetti sono prolungati nel tempo;
— la vittima si trova in costante inferiorità gerarchica rispetto al persecutore.
Tra le tipologie di azioni ostili esercitate le più frequenti sono l’atto demansionante o una
azione il cui risultato è l’isolamento sistematico, per esempio il dislocamento della vittima in
un ufficio dove sia l’unico occupante. Altra possibilità è il ‘‘trasferimento impossibile’’ ovvero in una città lontana e/o incompatibile con la situazione privata della vittima.
Stress
Secondo la definizione dell’Accordo quadro europeo, che è parte integrante del D.Lgs. n.
81/2008, ‘‘lo stress è una condizione, accompagnata da sofferenze o disfunzioni fisiche,
psichiche, psicologiche o sociali, che scaturisce dalla percezione individuale di non essere
in grado di rispondere alle richieste o di non essere all’altezza delle aspettative’’. In tal senso, si comprende come lo stress sia l’espressione di un processo di interazione tra il lavoratore e il suo contesto di lavoro nel quale numerosi fattori (stressors) possono concorrere
a determinare conseguenze indesiderate per gli individui e per la stessa organizzazione. Per
il NIOSH – National Institute for Occupational Safety and Health lo stress lavorativo può essere definito come ‘‘l’insieme di reazioni fisiche ed emotive dannose che si manifesta quan-
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do le richieste poste dal lavoro non sono commisurate alle capacità, risorse, esigenze del
lavoratore. Lo stress connesso al lavoro può influire negativamente sulle condizioni di salute
e provocare perfino infortuni’’.
Stress ergonomico
Condizione di stress legata al contenuto tecnico del lavoro e relativa quindi all’adattamento
delle richieste del compito alle capacità medie del sistema uomo/macchina. Può riferirsi: 1)
all’ambiente fisico e alle attrezzature di lavoro (problemi riguardanti l’affidabilità, la disponibilità, l’idoneità o la manutenzione o riparazione di attrezzature e impianti); 2) alla progettazione dei compiti (mancanza di varietà o cicli di lavoro brevi, lavoro frammentario o
privo di significato, sottoutilizzo di abilità, alta incertezza); 3) al carico/ritmo di lavoro (carico
di lavoro eccessivo o scarso, mancanza di controllo sui ritmi, alti livelli di pressione in termini
di tempo); 4) all’orario di lavoro (lavoro per turni, orari di lavoro non flessibili, orari imprevedibili, orari lunghi o impossibili).
Stress negoziale
Condizione di stress legata al contesto sociale di lavoro e relativa quindi alla difficoltà di
conciliare punti di vista, interessi ed esigenze differenti di cui possono essere portatori i diversi soggetti nell’ambiente di lavoro e che quindi richiedono uno ‘‘sforzo’’ di negoziazione
individuale o collettiva. Può riferirsi: 1) alla cultura e alla funzione organizzativa (scarsa comunicazione, basso livello di sostegno per la soluzione dei problemi e la crescita personale,
mancanza di definizione di obiettivi aziendali); 2) all’ambiguità e al conflitto di ruolo; 3) allo
sviluppo di carriera (stagnazione o incertezza, promozione al di sopra o al di sotto, bassa
retribuzione, precarietà del posto di lavoro, basso valore sociale del lavoro); 4) ai livelli di
autonomia decisionale, controllo, partecipazione; 5) ai rapporti interpersonali sul lavoro
(isolamento sociale e fisico, rapporti scadenti con i superiori, conflitto interpersonale, mancanza di sostegno sociale). A tali fattori si aggiungono quelli connessi ai rapporti casa/lavoro (esigenze conflittuali di lavoro e di casa, scarso sostegno a casa, problemi di doppia carriera).
Workaholic
Sindrome da dipendenza dal lavoro o sindrome da workaholism è un disturbo che rientra
nell’area dei disturbi ossessivo compulsivi inducendo nella persona un comportamento patologico di eccessiva dedizione al lavoro, fino a porre in secondo piano la vita sociale e familiare causando danni sia a livello psichico che socio- relazionale. I workaholic vivono in
esclusiva funzione del lavoro e non riescono più a distinguere il lavoro dalla vita privata
e gradualmente lo usano per colmare tutti gli spazi della vita extra-lavorativa arrivando talvolta ad annullare la propria personalità.
Whistleblowing
Letteralmente questo termine indica l’azione del ‘‘suonare il fischietto, fischiettare’’ nell’uso che viene fatto nella letteratura psicologica indica ‘‘origliare, informare segretamente’’.
Non si tratta di una conflittualità o di un atteggiamento persecutorio a sé stante, ma di una
singola azione negativa che può essere usata all’interno di un processo di mobbing o di
stalking.
Rientrano in questo ambito: il far circolare false voci sul conto di una persona, il parlare alle
sue spalle e tutta quella serie di azioni che gettano discredito sull’immagine e sulla reputazione della persona.
Con tale termine s’indica anche un processo di delazione compiuto da superiori nei confronti di un dipendente che ha denunciato gravi irregolarità dell’azienda. In questo caso
si configura come una vera e propria rappresaglia nei confronti del dipendente visto come
‘‘traditore’’.
Finalità dello sportello di ascolto e aspetti organizzativi
Lo sportello intende fornire un servizio di ascolto, di comprensione e di analisi delle
cause del disagio psicologico che si manifesta nell’ambito dell’esercizio del proprio
ruolo professionale.
È un dispositivo che l’organizzazione può approntare per contenere la sofferenza
psicologica dei propri lavoratori e per favorirne la manifestazione della stessa a fini
risolutivi. Usualmente si rivolge a singoli e gruppi di lavoro che ritengono di vivere
e/o condividere una particolare situazione di disagio.
Il disagio psicologico, nell’ambiente di lavoro, nasce il più delle volte, dall’intersezione di tre grandi variabili:
1) il contesto lavorativo, sia interno che esterno;
2) il ruolo lavorativo: intendendo con ciò l’insieme di aspettative che convergono
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su una persona da parte degli interlocutori professionali interni ed esterni (si pensi a
questo proposito alla delicatezza della relazione con il proprio superiore);
3) il soggetto: ciascun essere umano è chiamato a fronteggiare anche nella propria
vita personale eventi che possono temporaneamente compromettere l’equilibrio e la
stabilità psicologica ed influenzare negativamente l’esercizio della propria professionalità.
Il colloquio permette, all’interno di uno spazio professionale, di analizzare e leggere
la propria esperienza di disagio al fine di coglierne gli elementi causali soggettivi,
organizzativi e/o afferenti al contesto più ampio e conseguentemente di individuare
azioni future personali e/o organizzative per prevenire e fronteggiare le situazioni di
disagio.
Lo sportello non si configura pertanto come uno spazio terapeutico in cui affrontare
nodi profondi o rileggere la propria esperienza passata ma piuttosto come un contesto
psicoeducativo che permetta di affinare le proprie strategie mentali e comportamentali in particolare per la riduzione del malessere esperito nell’ambiente di lavoro.
Il disagio lavorativo include qualsiasi situazione o condizione oggettiva che comporti un malfunzionamento della struttura organizzativa (intesa sia in senso fisico
che organizzativo) e che causi a persone o a gruppi di persone che lavorano all’interno della stessa, impedimenti e/o difficoltà nell’accesso a spazi, strutture, servizi,
informazioni, opportunità, risorse o riconoscimento per il ruolo od il lavoro svolto.
Al fine di favorire l’accesso e la funzionalità dello sportello di ascolto sono raccomandati alcuni aspetti organizzativi:
il rispetto della privacy favorito dalla dislocazione del servizio presso un ente diverso dall’organizzazione stessa e logisticamente separato (ad esempio lo studio medico che effettua le visite di sorveglianza sanitaria per le professionalità per le quali
la stessa è prevista);
la possibilità di effettuare un colloquio alla settimana;
l’individuazione di un numero massimo di accessi (da un minimo di 4 ad un massimo di 6) al fine di salvaguardare un uso corretto dello spazio di ascolto. Fissare il
numero massimo consente di promuovere un uso adeguato dello sportello limitando
la possibilità che lo stesso sia rappresentato e percepito come uno spazio psicoterapeutico.
L’approccio utilizzato nella conduzione dei colloqui è quello del problem solving
con momenti psico-educativi volti ad accrescere le risorse dell’utente funzionali alla
gestione della situazione critica e disagiante (di fondamentale importanza è incentivare il ruolo proattivo dell’utente nel risolvere le criticità segnalate).
Il percorso di ascolto si basa su una intervista autobiografica che attraverso l’uso di
domande aperte aiuta la persona a interpretare la situazione di disagio ricostruendone le dinamiche sottese e la causalità. Il punto fondamentale per la ricostruzione della causalità è l’esplorazione della dimensione del locus of control ovvero l’analisi
dei fattori di causalità che dipendono dal soggetto e sono sotto al suo controllo.
Strategico nel processo di ascolto è far capire alla persona i confini della propria
‘‘area di responsabilità individuale’’ affinché possa comprendere, da un lato, cosa
può attivamente fare per cambiare la situazione, dall’altro, cosa deve accettare in
quanto ‘‘dato di fatto’’ ed elemento della realtà che non è sotto al suo controllo.
In tal modo lo sportello di ascolto non corre il pericolo di configurarsi come un ‘‘tribunale’’ o peggio ancora come uno ‘‘sfogatoio’’, ma si mantiene aderente alla sua
mission: rappresentare un contesto di problem solving finalizzato allo sviluppo e al
cambiamento al fine di favorire lo sviluppo di condizioni lavorative migliori dal
punto di vista psicologico.
La struttura di massima degli incontri prevede le seguenti fasi:
anamnesi e ricostruzione degli elementi causali (1-2 incontri);
analisi e interpretazione delle soluzioni tentate (1 incontro);
identificazione delle possibili strategie di risoluzione e fronteggiamento: cosa / come / quando/ chi (1-2 incontri);
verifica e feedback (1 incontro).
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Al fine di favorire l’organizzazione lavorativa nella messa a punto di azioni di prevenzione del disagio lavorativo è consigliabile la messa a punto di una scheda di
accesso al servizio che permetta la raccolta di alcuni dati quali - quantitativi. L’analisi dei dati raccolti deve essere condotta con appositi programmi di trattamento dati,
in modo aggregato, cosı̀ da garantire l’assoluta non riconoscibilità dei rispondenti e
in modo da fare emergere le eventuali tipologie di professionalità più colpite, le
aree/servizi di maggiore criticità, i disagi più ricorrenti.
In questo modo lo sportello psicologico si configura come un valido sensore in grado di mappare zone dove gli standard di salute organizzativa sono compromessi e
conseguentemente valutare laddove vi sia una ricorsività di tipologie di sofferenza le
opportune azioni organizzative sia a livello di struttura che di processi.
Considerazioni qualitative sull’esperienza svolta in due amministrazioni
comunali
Nell’ambito dell’esperienza svolta in due sportelli di ascolto di altrettante amministrazioni comunali ho avuto modo di rilevare che alla base della sofferenza psicologica nel lavoro è spesso sottesa un’eziologia multifattoriale. In particolare nella
dinamica dello stress ma in generale nel disagio psichico giocano un ruolo significativo le differenze interindividuali e la dialettica estremamente soggettiva del rapporto individuo/ambiente. In altre parole ciò che ad una persona può causare una
forma pesante e invalidante di stress può lasciare indifferente un’altra.
Nel corso dell’esperienza di chi scrive si è avuto modo di isolare 4 principali forme
di sofferenza:
— disagi di tipo relazionale;
— disagi di tipo motivazionale;
— disagi misti (relazionale e motivazionale);
— disagi psicologici da stress ergonomico (interazione uomo - macchina).
La dimensione relazionale nei suoi differenti vettori rappresenta senz’altro la criticità più frequentemente segnalata.
Tavola 2
I protagonisti del disagio relazionale
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L’ambiente di lavoro, a causa di una serie di variabili organizzative e socio-economiche, è divenuto sempre più complesso e la convivenza tra le persone sempre meno fluida e capace di integrare in modo costruttivo le diversità.
Le relazioni si inceppano e generano un terreno fertile per incomprensioni che spesso sono risolte attraverso il ricorso a due stili relazionali antinomici: la negazione /
evitamento (si fa finta che tutto vada bene) e l’aggressione colpevolizzante che spesso attiva una spirale conflittuale con conseguenze distruttive per ambo le parti (si
perde entrambi).
L’asse relazionale dove si concentra la maggiore sofferenza è quello con il proprio
superiore a dimostrazione che la leadership rappresenta un processo particolarmente delicato e complesso che non si risolve nell’esercizio dell’autorità conferita dall’organizzazione e nemmeno nella pura e semplice managerialità (gestione degli assi
di coordinamento: programmazione, organizzazione e valutazione del lavoro nonché motivazione dei lavoratori).
Al leader è richiesto l’esercizio di un’autorevolezza che passa sempre di più attraverso fattori comportamentali soft (quali ad esempio l’ascolto, il coinvolgimento e
la partecipazione nei processi decisionali) e attraverso la comprensione delle variabili contingenti al contesto operativo di appartenenza.
L’esercizio della leadership risulta perlopiù compromesso secondo i collaboratori da
problemi relazionali derivanti da:
stile di direzione eccessivamente accentratore e autoritario;
eccesso di tolleranza da parte del responsabile verso colleghi che hanno una scarsa
prestazionalità a causa di problemi personali che vengono portati nel lavoro (perdita
equità);
tendenza del capo al ‘‘dividi et impera’’: scarsa regia, poco gioco di squadra, bassa visione d’insieme, assenza di riunioni;
scarsa considerazione/valorizzazione dell’esperienza professionale posseduta dalla persona;
poco ascolto e coinvolgimento nei processi decisionali (fattore questo esasperato
all’interno delle amministrazioni che promuovono i processi di progettazione partecipata con la cittadinanza e che pertanto spiccano per l’incongruenza sui processi
interni).
Per quanto concerne le relazioni tra i colleghi l’elemento crescente di diversità rappresenta senz’altro, se non adeguatamente gestito, un fattore di incremento della difficoltà di convivenza. Basti pensare alle diversità di genere, generazionali, razziali,
di posizione contrattuale, solo per citarne alcune, per cogliere sia le potenzialità (diversità come riserva di idee) sia le complessità che ne derivano (diversità come blocco decisionale e operativo e come perdita di efficienza).
Nelle relazioni tra colleghi emergono:
atteggiamenti di mancato riconoscimento della diversità;
comportamenti discriminatori verso colleghi che manifestano comportamenti permeati da perfezionismo e zelo;
scarsa tolleranza verso approcci lavorativi differenti dal proprio;
approcci comunicativi improntati al richiamo del livello gerarchico (‘‘Io sono un
C e quindi conto più di te che sei un B’’).
Infine particolarmente consistenti sono i casi di disagio di carattere motivazionale
che derivano da:
scarso allineamento tra risorse percepite dal soggetto e compiti affidati: stress da
sottoutilizzo delle competenze o da richieste superiori alle risorse percepite;
scarsa varietà dei compiti affidati e delle competenze utilizzate;
sensazione di inutilità e scarsa dignità;
sensazione di abbandono (scarso supporto del responsabile);
intolleranza verso i contenuti del lavoro;
ingresso di una nuova figura di leadership con atteggiamenti e stili direttivi completamente differenti e non in continuità con la cultura organizzativa del gruppo di
lavoro.
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Conclusioni: lo sportello di ascolto per il benessere organizzativo
Il benessere organizzativo inteso come costante miglioramento dell’interfaccia tra
persona e organizzazione sarà un’esigenza sempre più diffusa in particolare per tutte
le organizzazioni che, in vista di crescente razionalizzazione delle risorse, dovranno
tendere a performance migliori contraendo quantitativamente la propria forza lavoro.
Persone che stanno bene fanno star bene l’organizzazione a cui appartengono.
Il benessere è la risultante di un insieme di fattori tra essi lo sportello di ascolto si
configura come un dispositivo in grado di intervenire sia nella dinamica del sintomo
(aiuto alla persona) sia nella prevenzione (analisi degli elementi organizzativi causali e delle prassi che contrastano con il benessere dei dipendenti)
Un’organizzazione che intende promuovere il benessere deve necessariamente chiedersi, a fronte di qualsiasi forma di sofferenza psicologica, come sta, anche indirettamente e inconsapevolmente, contribuendo alla manifestazione di quel disagio.
Dall’esperienza effettuata allo sportello di ascolto ritengo che vi siano alcune condizioni organizzative che possono favorire/sfavorire il benessere dei singoli, dei
gruppi e dell’organizzazione.
Nella fattispecie considero cruciali i seguenti fattori:
lo stile di leadership adottato da coloro che ricoprono ruoli con responsabilità di
gestione di persone e/o di gruppi di lavoro;
la diffusione di una cultura che promuove il contrasto e la discussione come momenti di costruzione e integrazione delle diversità;
la diffusione di una cultura dell’equità e non dell’uguaglianza;
l’attenzione al design organizzativo nelle sue molteplice forme: allineamento tra
procedure e processi, ruoli, metodi di lavoro.
10/2012
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