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Siamo ancora al "whatever it takes"?
Author : Oliviero Pesce
Categories : Europa
Date : nov 21, 2014
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Il 2015 comincerà con un'Europa in condizioni di regresso, certo. Un rapido esame delle
differenze di popolazione, PIL, PIL pro-capite dei stati USA, delle quattro nazioni del Regno
Unito e ancor più delle Divisioni amministrative della Repubblica Popolare Cinese, mette in luce
come il concetto di area monetaria ottimale sia introvabile in natura. Quelle che effettivamente
esistono sono aree nelle quali una moneta unica viene efficacemente regolata e gestita, con
criteri quanto più possibile unitari e condivisi, sia sul piano della politica monetaria che di
quella fiscale e più in generale della politica degli investimenti e della allocazione – pubblica e
privata – delle risorse. Essendo ineliminabili alcune differenze intrinseche (il mercato finanziario
di Londra non può essere gestito dal Galles, né quello di New York dal Montana) è auspicabile
una specializzazione produttiva delle varie componenti all’interno di ogni area (agricoltura,
risorse minerarie) fondata sulla natura, che ha ancora un certo peso.
Soffermiamoci sulla globalizzazione. In un mondo nel quale la produzione si svolge nei settori
più avanzati su scala planetaria piuttosto globale che non (come nel secolo scorso)
multinazionale, e in cui ogni output contiene quote di input importati, a partire da larga parte di
quelli energetici (petrolio, gas, carbone) l’idea di poter competere a partire da una valuta
debole e svalutabile (senza neppure tenere conto dei costi finanziari in termini di spread e
interessi passivi che questo comporta) è un portato della schiavitù – come ben aveva visto
J.M.Keynes – delle costruzioni teoriche e di schemi mentali assunti acriticamente dal passato;
senza neppure ricordare di alcune realtà storiche di quello stesso passato. Come la "clausola
oro" o "clausole valutarie" sul debito pubblico di paesi fortemente indebitati con l’estero. La
pretesa perdita di sovranità degli stati nazionali, non può essere imputata a terzi quando
discende da un debito che tende a farsi insostenibile; assunto non per investire creando fonti di
rimborso ma per coprire spese correnti.
Tutto ciò premesso andiamo a riconsiderare i presupposti sui quali l’Europa è stata sempre
basata e che si vogliono disattendere per interessi nazionali, oggi predominanti: gli out out del
Regno Unito, il rigore indiscriminato e non bilanciato da misure collettive anticicliche.
Presupposti, ancora una volta, assai miopi.
Nel preambolo, i firmatari del trattato dichiaravano e via via confermarono di: essere determinati
a porre le fondamenta di un'unione sempre più stretta fra i popoli europei; essere decisi ad
assicurare mediante un'azione comune il progresso economico e sociale dei loro paesi,
eliminando le barriere che dividono l'Europa; avere per scopo essenziale il miglioramento
costante delle condizioni di vita e di occupazione dei loro popoli; riconoscere che
l'eliminazione degli ostacoli esistenti impone un'azione concertata intesa a garantire la
stabilità nell'espansione, l'equilibrio negli scambi e la lealtà nella concorrenza; essere
solleciti di rafforzare l'unità delle loro economie e di assicurarne lo sviluppo armonioso
riducendo le disparità fra le differenti regioni e il ritardo di quelle meno favorite; essere
desiderosi di contribuire, grazie a una politica commerciale comune, alla soppressione
progressiva delle restrizioni agli scambi internazionali; voler confermare la solidarietà che
lega l'Europa ai paesi d'oltremare e assicurare lo sviluppo della loro prosperità conformemente
ai principi dello statuto delle Nazioni Unite; essere risoluti a rafforzare le difese della pace e
della libertà e a fare appello agli altri popoli d'Europa, animati dallo stesso ideale, perché si
associno al loro sforzo.
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Tali intenzioni si sono tradotte in concreto nell'istituzione di un mercato comune e di un'unione
doganale ma anche in politiche comuni molto timide e assai determinate da parametri di
bilancio adatti a contesti di sviluppo molto diversi e superati.
È vero: per la sopravvivenza bisogna fare “whatever it takes”come affermava più di due anni fa
il presidente della BCE Mario Draghi, ma è ancora possibile definire questo pressante
whatever?
Foto Wikipedia
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