2. l`analisi dei libri di testo - CISADU

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Scuola e culture. Materiali di antropologia della mediazione scolastica
Fabrizio Magnani, Immagine dell'altro e strategie identitarie nei libri di testo per le scuole elementari
Tesi di laurea
Università degli Studi di Roma 'La Sapienza' - Facoltà di Lettere e Filosofia - Corso di laurea in
Teorie e pratiche dell'antropologia - a.a. 2001/2002
Relatore: prof. Laura Faranda
Documento pubblicato sul sito del Dipartimento di Studi glottoantropologici e Discipline musicali il
14 luglio 2004 http://rmcisadu.let.uniroma1.it/glotto/index.html
2. L'ANALISI DEI LIBRI DI TESTO
2.1 Considerazioni preliminari
Ci sembra di poter subito anticipare alcuni aspetti particolarmente
importanti. Come ci si aspettava, si mostra sempre indispensabile il
rimando ad approfondimenti e alla mediazione dell’insegnante. È questa,
d’altronde, una componente essenziale del processo educativo, che va
sottolineata in tutta la sua importanza e imprescindibilità e che non fa
altro che ribadire la necessità di lavorare sul terreno della formazione. È
l’insegnante colei che realmente indirizza e media, come giusto che sia,
il percorso di studio del bambino, attraverso la sua peculiare
preparazione professionale, i suoi valori, le sue griglie interpretative, che
la portano a problematizzare, selezionare, approfondire, o piuttosto
ignorare. In tal modo, nella realtà, può avvenire che ad un ristretto spazio
dedicato nei libri di testo ad un particolare argomento non corrisponda
necessariamente una minore trattazione in classe. Tuttavia, ci si trova
alcune volte di fronte ad esercizi, domande di verifica e sollecitazioni ad
approfondimenti che non presentano alcun supporto nella presentazione
dei contenuti. Pur conferendo un’importanza ancora maggiore alla guida
dell’insegnante, tutto ciò non fornisce sicuramente un buon servizio
nell’indirizzarne il lavoro. Nonostante il limitato arco di tempo dei testi
presi in considerazione, la ricerca sembra inoltre individuare, anche nel
confronto con le indagini precedenti, alcuni segnali di mutamento. Già
nel 1999, il Primo rapporto sull’integrazione degli immigrati in Italia,
riconosceva che: “rispetto al passato molte cose sono già cambiate in
meglio: c’è una maggiore attenzione verso i paesi non europei e verso le
relazioni nord-sud del mondo,
etnocentrismi,
è
aumentata
sono diminuiti pregiudizi ed
la
coerenza
interna
e
la
problematizzazione”1.
Eppure, a dire il vero, il primo impatto con i testi presi in esame è stato
piuttosto sconcertante. Se è vero che si riscontra una maggiore attenzione
1
Cfr. G. Zincone (a cura di), Commissione per le politiche di integrazione degli immigrati,
“Allegato. Osservazioni sulle…”(capitolo III), in Primo rapporto sull’integrazione degli immigrati in
Italia, op. cit..
18
alla trappola del pregiudizio e dello stereotipo, è anche vero che lo
spazio dedicato all’altro è quasi inesistente; segno questo, o di
disinteresse
per
le
problematiche
dell’antropologia
e
dell’interculturalismo, oppure, azzardo un’ipotesi, risultato paradossale
proprio di quel tentativo di evitare la banalità della semplificazione o le
argomentazioni così fortemente criticabili come quelle individuate nelle
ricerche precedenti, nonché riflesso della svolta che in questi ultimi anni
ha portato a privilegiare il discorso dell’Uguaglianza su quello della
Differenza.
Direzioni di cambiamento ci sembrano tuttavia evidenti nel confronto tra
due sussidiari, entrambi editi dalla Giunti, per la classe quinta: il testo
adottato nel precedente anno scolastico e quello di nuova adozione. A
distanza di un solo anno vengono introdotti significativi cambiamenti e
correzioni che mostrano una crescente penetrazione della coscienza
antropologica nella realtà educativa ed un reale interesse verso le
tematiche
interculturali
come
d’altronde
suggerito
dai
nuovi
orientamenti. Era forse un processo già in via di definizione nel
“vecchio” sussidiario, sia pur in maniera molto approssimativa e
criticabile, che trova tuttavia un valido proseguimento nel suo
successore. Tuttavia, anche questo testo, pur emergendo per la ottica
19
maggiormente “relazionale”, non riesce ad andare oltre la considerazione
che le culture siano diverse anche se allo stesso tempo uguali, in virtù del
riconoscimento dei diritti universali sanciti dall’ONU. I testi per le classi
quinte rappresentano un caso emblematico di difficoltà teoriche più
ampie e saranno oggetto di un discorso particolare e più vasto in grado di
consentirci alcune riflessioni sul tema dell’intercultura.
2.2 Matematica e Scienze
Questa materie, come ci si aspettava, sono quelle che meno ci offrono
possibilità di incontro con una pluralità di punti di vista. Unica eccezione
è forse l’accenno, nei sussidiari per le terze, a sistemi di numerazione
diversi dal nostro, sia pur limitato a quelli adottati dalle grandi civiltà del
passato. Tuttavia, anche qui, più che un confronto tra diversi e
convenzionali sistemi di numerazione sembra piuttosto emergere un
percorso di perfezionamento che attraversa la storia: “col passare del
tempo ogni civiltà ha usato segni diversi per rappresentare la quantità
fino ad arrivare alle nostre cifre”2 (corsivo nostro). Ciò nonostante, il
2
Testo n. 3, pag. 19.
20
testo n. 3 sottolinea la convenzionalità del contare attraverso due amici,
Paola e Amir, che, pur ottenendo risultati diversi, calcolano entrambi
l’esatto numero di caramelle avendo contato in basi diverse. Sempre si
sottolinea, sia pur all’interno della sezione storica, il contributo portato
alla nostra numerazione dal contatto con gli arabi dai quali deriva
l’adozione delle cifre decimali. Le “Scienze” confermano le scarse
aspettative verso un discorso che, per eccellenza, detiene il paradigma
dell’oggettività. In questo senso diviene addirittura impossibile
sviluppare una critica nei confronti delle sezioni dedicate a questa
materia, che tautologicamente non possono non presentare contenuti e
metodi “scientifici”. È questo il nocciolo forse più duro della nostra
società, quello che meno siamo disposti a contrattare, a rendere
convenzionale, a confrontare. Perché la scienza non è solo una materia,
ma anche e soprattutto un modo di esperire la realtà, uno dei più forti nel
guidare la percezione del mondo. Ci si occupa così del metodo
scientifico, di ambienti, di tassonomie animali e vegetali, di educazione
alimentare, di fenomeni atmosferici e terrestri, di forze naturali, del
corpo umano e dei sensi attraverso i quali percepiamo ed esperiamo il
mondo. Trovare in questi argomenti la possibilità di aprire un varco alla
21
Diversità è impresa difficile ed equivale a rivedere lo stesso statuto della
disciplina. Evidentemente, questo non è compito dei libri di testo.
Eppure, e proprio per quanto appena detto, fondamentale sarebbe il
tentativo della Scienza di aprirsi al confronto. Considerare, per esempio,
i diversi paesaggi in relazione alla percezione che di questi hanno coloro
che li abitano, nonché differenti cosmologie e classificazioni della realtà
naturali, significherebbe essere ormai aperti alla Diversità e ampliare i
nostri orizzonti di percezione dei fenomeni che ci circondano.
2.3 Storia
La presentazione degli avvenimenti storici ricalca generalmente la
consueta scansione dei contenuti. Si affronta il periodo che va dalla
preistoria alle grandi civiltà del passato, nelle terze classi, dalle vicende
dell’impero romano al rinascimento, nelle quarte, e l’epoca successiva
fino ai nostri giorni, nell’ultimo anno. Questa impostazione, tenuto anche
conto delle comprensibili limitazioni nello spazio e delle semplificazioni
del linguaggio imposte a tali testi, certamente non facilita il compito di
rispettare le indicazioni dei Programmi, per cui bisogna “evitare che il
22
bambino percepisca, come progressione deterministica, la successione
dei vari tipi di società fatti oggetto di studio”3. Utili a rompere tale
successione lineare sono invece i rimandi tra passato e attualità e i
collegamenti interdisciplinari con gli Studi Sociali che vengono proposti
da alcuni sussidiari (come ad esempio il n. 1). In questo modo oltre a
permettere un maggiore coinvolgimento del bambino, la stessa Storia,
sembra fornire una possibilità di confronto dinamico con la Diversità.
Per quanto riguarda la preistoria, non ho incontrato, fortunatamente,
quelle raccapriccianti analogie tra i nostri antenati primitivi e i
Boscimani, simbolo vivente “della vita sociale e politica delle più
antiche comunità preistoriche”, in cui si erano imbattute quasi dieci anni
fa le insegnati del Movimento di Cooperazione Educativa4. Piuttosto
discutibile mi sembra, tuttavia, la ricorrente definizione di “preistoria”
come “tempo trascorso prima dell’invenzione della scrittura”5, che di
fatto escluderebbe dalla storia tutte le culture a tradizione orale, senza
neanche riuscire a definire un periodo applicabile all’intera umanità e
finendo così per legittimare analogie come quella riportata poc’anzi. Un
3
Cfr. D.P.R. 12 febbraio 1985, n. 104, “nuovi programmi didattici per la scuola primaria” (Storia,
indicazioni didattiche), pubblicato nel Suppl. Ord. Gazz. Uff. 29 marzo 1985, n. 76 e con le
correzioni, pubblicate nella Gazz. Uff. 6 maggio 1985, n. 105.
4
P. Falteri, Interculturalismo…,op. cit., p. 38.
23
approccio diverso propone il testo n. 3, dove la “preistoria” diventa
semplicemente un nome convenzionale che indica un periodo di tempo
lunghissimo,
5
che
gli
storici
suddividono
Cfr. testo n. 1.
24
in
sottoperiodi.
È facile osservare come generalmente vengano prese in considerazione
esclusivamente le grandi civiltà del passato che hanno contribuito più o
meno direttamente allo sviluppo della nostra. E così, salvo rarissime
eccezioni, le culture ‘altre’ continuano a diventare degne di storia solo a
partire dall’incontro-scontro con l’Occidente. È il caso degli arabi, fatti
oggetto di un discreto spazio dedicato all’Islam e a Maometto al fine di
introdurre l’espansione araba e le crociate; di cui pure si sottolineano le
ricchezze, lo splendore dell’architettura, le innovazioni che portarono in
campo geografico, matematico, medico e le nuove colture fino ad allora
sconosciute. Simbolo di minaccia per l’Occidente e la cristianità, di
alterità radicale ed irriducibile, gli arabi sono stati nella storia, e
continuano ad essere, oggetto di molte attenzioni nell’immaginario
occidentale; una considerevole quantità di studi − “orientalismi” come
direbbe Said − che, in funzione di un’identificazione, per opposizione,
dei valori della nostra civiltà, operano disletture e distorsioni notevoli.
La stessa cultura cattolica ha costruito la propria identità attraverso
l’opposizione al mondo ebraico (da cui doveva differenziarsi e prendere
le distanze) e a quello islamico (che addirittura, fino a Goethe e Kant,
viene privato della dignità di religione a sé, venendo piuttosto
considerato un'eresia cristiana da combattere). Anche i libri di testo per
25
le scuole riflettono questo difficile rapporto con l’oriente. Ne Il segreto
delle cose si legge ad esempio:
“Un principio molto importante per i mussulmani era (ed è) quello della
guerra santa: le guerre e le conquiste armate sono non solo giustificate,
ma anche obbligatorie, perché bisogna cercare di convertire all’Islam il
maggior numero di popoli possibile”6.
Quella parentesi preoccupante ripropone nel presente l’immagine
dell’arabo nemico della cristianità. Si compie una pericolosa operazione
logica per cui viene costituita la classe dei mussulmani, comprendente
individui aventi tra i principi fondamentali della propria religione, quello
di combattere le altrui − le ‘nostre’ − forme di vita e fedeltà culturali, o
di puntare, come sosteneva una famosa lettera al Corriere della Sera di
Oriana Fallaci all’indomani del 11 settembre, “alla scomparsa della
nostra libertà e della nostra civiltà”7. È come se si affermasse che uno
dei principi fondamentali del cristianesimo è quello di bruciare al rogo
gli eretici e distruggere templi e tradizioni religiose dei “pagani”. Tanto
l'Islam quanto il mondo occidentale sono fenomeni complessi, sfaccettati
26
e non univoci, che sarebbe un errore identificare tout court con la
componente più oscurantista, spesso utilizzata come ideologia di stato e
come strumento di potere e di consenso. Allo stesso modo sarebbe stato
opportuno sottolineare i valori di confronto e apertura che hanno segnato
la tradizione Islamica; valori d'altronde ispirati dal suo testo sacro, il
Corano, nonostante le distorsioni fatte dal mondo occidentale del termine
Jihad” come “guerra santa”8. Vanno evidenziati, tuttavia, anche molti
segnali di apertura. Lo stesso testo getta uno sguardo su alcuni aspetti
della cultura araba e sollecita una ricerca sull’immigrazione di arabi in
Italia con l’aiuto della maestra. Il testo n. 7 riporta un passo del Corano,
mentre Sapere e saper fare 4 si distingue per l’attenzione posta nei
confronti del contributo dell’islamismo nel superamento delle divisioni
tra le diverse tribù (anche qui si riporta una fonte araba). Sottolinea
inoltre la violenza degli Arabi nella conquista, ma anche la loro capacità
di tolleranza verso le popolazioni sottomesse ed il rispetto delle diverse
culture. Uno spazio intitolato “le culture si incontrano”, interamente
6
Testo n. 6, p. 239.
Oriana Fallaci, La Rabbia e l'Orgoglio, da Il Corriere della sera, 29 settembre 2001.
8
È un’interpretazione, questa, radicata e presente ben prima dell’attentato alle Twin Towers di New
Tork, anche se diventato di gran moda in seguito a quell’evento. Lo stesso esempio, sopra riportato, di
lettura dell’Islam da parte del testo n. 6, mostra una paura dell’universalismo del mondo arabo che
precede quell’avvenimento.
7
27
dedicato alla “cultura degli arabi”, invita inoltre il bambino a riflettere
28
sulla derivazione araba di molte parole della lingua italiana e di giochi
diffusi come le carte e gli scacchi tentando di sfruttare le capacità dello
scambio in una prospettiva interculturale: “conosci qualche bambino
arabo? Chiedigli di insegnarti alcune parole o semplici frasi, magari
quelle che si usano quando ci si saluta: se le imparerai potrai rivolgerti a
lui nella sua lingua”9. Allo stesso modo vengono affrontate le matrici di
uno scontro che, con le crociate, diventa presto non solo religioso, ma
anche commerciale ed economico, trasformandosi in una guerra di
conquista le cui violenze vengono denunciate dal testo (sia pur attraverso
la ‘nostra’ voce: quella di un anonimo crociato). Nessun riferimento
invece all’attentato dell’11 settembre dello scorso anno, nemmeno nel
testo di nuova adozione per le quinte. In quanto irruzione violenta e
minacciosa dell’alterità all’interno dello stesso simbolo mondiale del
progresso, della tecnologia, della civiltà occidentale dei diritti e delle
libertà, quell’avvenimento risulta forse troppo recente, forse troppo
terrificante e resta avvolto dall’oscurità del silenzio.
In relazione al viaggio di Colombo, il testo n. 5 invita chiaramente a
riflettere sulla relatività del termine “scoperta”, specificandone il senso
tutto occidentale, dovuto all’ignoranza di un continente già abitato.
9
Testo n. 5, p. 245.
29
Tuttavia, questo valore parziale della conoscenza e dell’incontro si
protrae anche nel presente: le antiche civiltà americane compaiono nella
storia solo a partire dal momento della propria “scoperta”, generalmente
con un brevissimo spazio dedicato. Formula scuola 3 è l’unico tra i
sussidiari analizzati a dedicare, nella presentazione delle civiltà del
passato, uno spazio autonomo a “I popoli dell’Asia” (generalmente
ignorati), e a “la storia antica delle Americhe”, indipendentemente dal
viaggio di
Colombo. Si tratta di brevissimi accenni, che tuttavia
rimandano utilmente ad approfondimenti e discussioni di classe
attraverso l’imprescindibile mediazione dell’insegnante. Ovunque sono
presenti riflessioni critiche circa il comportamento dei conquistadores,
alcune volte anche cadendo nel mito del ‘buon selvaggio’, ma le fonti
riportate esprimono esclusivamente il nostro punto di vista: non viene
lasciato il minimo spazio alla voce di coloro che furono “scoperti”. Si
verifica così, in tutti sussidiari, e in relazione a quasi ogni contatto con la
Diversità, ciò che Said individuava a proposito della nostra immagine
dell’Oriente e cioè la tautologia secondo la quale se l’altro “fosse in
grado di fornire una rappresentazione di se stesso, l’avrebbe già fatto”10:
l’altro è incapace di parlare, lo facciamo noi. L’unica eccezione è un
10
Edward W. Said, Orientalismo, Feltrinelli, Milano 2001, p. 30.
30
brevissimo testo tratto dal Popol Vuh che Sapere e Saper fare 5 riporta
all’interno dello spazio dedicato ai maya. In questo sussidiario, di nuova
adozione, veramente notevole è l’attenzione dedicata alla descrizione dei
“popoli del continente americano” particolarmente nel confronto con gli
altri testi analizzati. È l’unico che “incontra” nel suo viaggio storico,
oltre alle tre grandi civiltà americane, gli indios della foresta amazzonica
accennando alla loro struttura sociale, alle abitazioni, alla divisione dei
ruoli sessuali, all’importanza della manioca e della figura dello
sciamano. Gli indiani del nord America non sono fatti oggetto di ampio
spazio ed approfondimento, salvo utilizzarli in funzione critica per
denunciare le colpe dell’Occidente nello sterminio. In questo senso, pur
facendo riferimento a differenze nell’organizzazione economica dei vari
gruppi, lo spazio si limita ad un disegno raffigurante “organizzati”,
“sereni” e “pacifici” Creek11. In Formula scuola 5 viene riportata la
denuncia di Toro Seduto, capo dei Sioux. Ciò nonostante − anche in
questo testo − i pellirosse vengono trattati solo in relazione allo sterminio
diventando piuttosto uno specchio delle responsabilità
storiche
dell’Occidente: gli Indiani vivono ancora oggi “confinati in territori
11
Cfr. testo n. 9, pp. 222-223.
31
recintati, le riserve”12. Viene proposta, tuttavia, una ricerca sulle loro
attuali condizioni di vita. Singolare il caso che emerge da un confronto
tra il testo della Cetem per la classe terza e quello per la classe quarta. Ci
si aspetterebbe, e solitamente così avviene, che ad un maggiore
approfondimento degli argomenti nelle classi superiori corrisponda
anche una aumentata possibilità confronto, meno superficiale e
semplificato con la diversità culturale. E invece avviene il contrario: sia
pur non rappresentando un progetto mirato all’educazione interculturale,
il libro per le terze presenta una maggiore apertura alla Diversità, mentre
nel testo per le quarte sono in genere scarsi, se non nulli, i riferimenti a
valori e culture altre. Qui, nella sezione storica, troviamo un brevissimo
spazio dedicato all’incontro con il diverso con un piccolo accenno alla
cultura dei soli aztechi. Non si può ovviamente non fare riferimento alle
violenze − solo fisiche in verità − subite dagli indios, morti nei
combattimenti o per malattie, carestie, ma anche per le schiavitù cui
furono sottoposti. Esente da colpe sembra essere, tuttavia, sia
l’evangelizzazione, cui non si fa nemmeno riferimento (come d’altronde
anche in altri testi), sia la politica spagnola che più volte aveva
12
Testo n. 10, p. 216.
32
condannato le violenze sugli indios che “i sovrani spagnoli
desideravano…fossero trattati con amore”13.
Ovunque vengono tuttavia denunciate le violenze di spagnoli e
portoghesi sulle popolazioni americane, costrette alla schiavitù, decimate
dal lavoro, dai maltrattamenti, dalle malattie, fatti oggetto di un vero
sterminio. Anche in questo caso le fonti utilizzate sono esclusivamente
occidentali: nel testo n. 7 si riporta una lettera di denuncia inviata al re di
Spagna da un soldato che aveva partecipato alla spedizione contro gli
Incas. Allo stesso modo, viene condannata la tratta degli schiavi
deportati in America dall’Africa, con le disumane condizioni del viaggio,
la fame, i maltrattamenti. Non viene colta, tuttavia, l’occasione per
sottolineare anche la ricchezza generata da questo forzato contatto
culturale che, pur nella sua drammaticità, ha dato luogo ad uno dei più
fecondi fenomeni di sincretismo, con fermenti che hanno la loro origine
già nella comune esperienza della deportazione, nelle stive delle navi e
che saranno, sul territorio americano, segno di grande dinamismo
culturale.
Nella parte dedicata al colonialismo si tenta di stimolare una riflessione
sull’ideologia etnocentrica che, a giustificazione della conquista e del
13
Testo n. 7, p. 215.
33
dominio sui territori occupati, poneva la necessità di portare la civiltà a
popolazioni ritenute primitive14. Viene così denunciata l’azione dei
conquistatori che “sconvolsero tradizioni e modi di vivere dei popoli
africani e portarono oppressioni e sofferenze che ancora oggi non sono
state superate”15.
Il nazismo offre la possibilità di interrogarsi e riflettere sull’ideologia
razzista e sullo sterminio degli ebrei. A tal fine, Sapere e Saper fare 5
sfrutta il confronto e le possibilità mimetiche offerte da fotografie
“forti”, che ritraggono i drammatici volti dei bambini dietro il filo
spinato di un campo di concentramento, o al momento della cattura da
parte dei soldati tedeschi .
2.4 Geografia
Dal punto di vista di un’educazione alla differenza, ci si può aspettare
molto da questa disciplina che potrebbe essere, e di fatto è in alcuni casi,
una validissima chiave di avvicinamento alle tematiche interculturali.
14
Cfr. ad esempio i testi nn. 8 e n. 9.
34
Nella moderna Geografia, nuovi orizzonti si sono aperti grazie alle
ricerche sullo sviluppo sostenibile e al rinnovato interesse per il concetto
di “paesaggio”, che può venire indagato non solo come “aspetto della
superficie terrestre”16, ma anche nei modi in cui “viene percepito e
vissuto dall’individuo e dalle comunità”17. D’altronde, l’immagine del
proprio corpo è in stretta relazione con la creazione del proprio
ambiente. Anche i programmi ministeriali per le elementari colgono
questo aspetto quando rilevano come il movimento dell’individuo si
sviluppi “in un rapporto continuo con l’ambiente”18 e come lo stesso
paesaggio riveli la sua dinamicità anche in relazione agli spostamenti
umani. Antropologicamente profonda appare la necessità di un punto di
riferimento simbolico, senza il quale – come ci insegna De Martino –
cadremmo vittime dell’angoscia e dello ‘spaesamento’: privi di ogni
riferimento spaziale
perderemmo il rapporto con il “campanile di
Marcellinara”19. Tutto ciò si traduce didatticamente nella necessità di
considerare l’ambiente come “spazio esistenziale” e nel sottolineare
15
Testo n. 10, p. 220.
G. Barbieri, F. Canigiani, L. Cassi, Geografia e ambiente. I grandi problemi del mondo attuale,
Utet Libreria, Torino 1991, p. 35.
17
A. Vallega, Geografia umana, Mursia, Milano 1989, p. 299.
18
Cfr. D.P.R. 12 febbraio 1985, n. 104, “nuovi programmi… ” (Educazione motoria, Obbiettivi e
contenuti), op. cit..
19
Cfr. E. De Martino, La fine del mondo. Contributo all'analisi delle apocalissi culturali, Einaudi,
Torino 1977, pp. 480 ss., in cui si riporta la famosa storia di un anziano pastore in preda all’angoscia
16
35
per aver perso il suo punto di riferimento: il campanile di Marcellinara. La soggettività rischia lo
sradicamento e la frantumazione, lo sguardo si perde senza più un centro verso cui orientarsi.
36
l’importanza che la definizione dell’ambiente e del paesaggio ricopre nei
percorsi identitari. Utilissimo sarebbe un tale approccio nell’avvicinare il
fenomeno della migrazione. Lo “straniero” ci insegna che un confine può
non essere un limite, ma un transito e una soglia. Si pensi alla relazione
del migrante con il paesaggio che attraversa durante il suo spostamento,
in particolar modo il paesaggio marino, l’acqua, le maree, la percezione
che di esso hanno coloro che si avventurano ad attraversarlo. Le maree
diventano così maree di persone, di sentimenti, desideri, speranze,
percezioni di un paesaggio che si pone come zona liminare di un rito di
passaggio verso una nuova vita ed una nuova identità. Sono, queste,
possibilità di lettura ed utilizzo del sapere geografico che raramente
vengono colte dalla maggioranza dei testi analizzati, che finiscono così
col ripercorrere la consolidata divisione, che nel secondo ciclo della
scuola elementare scandisce il passaggio dall’Italia, all’Europa, al “resto
del mondo”. È così che, in particolare nella classe terza, emerge
l’assenza di informazioni pertinenti, mentre le culture ‘altre’ trovano
spazio solo nei successivi volumi, quando vengono varcati i confini
italiani ed europei. Se è vero che uno degli scopi della geografia è quello
di fornire gli strumenti concettuali e mentali, tali da orientare il bambino
a vari livelli, dal vicino al lontano, è altrettanto vero che, anche e proprio
37
nei testi per le terze − dove vengono affrontati i vari ambienti in
relazione alla presenza dell’uomo − si potrebbero avvicinare modalità di
rapporto e percezione del paesaggio diverse; cosa che forse aiuterebbe a
rafforzare la nostra stessa “geografia”, intesa non tanto come disciplina,
quanto come possibilità di pensare l’ambiente e lo spazio, indicando
nuove forme di interazione attraverso le quali definire continuamente la
nostra identità. Il testo di nuova adozione della Giunti per la classe
quinta sottolinea (rispetto alla vecchia edizione della casa editrice) che
le culture non possono essere che una pluralità e che le attività produttive
non sono imposte in maniera deterministica dall’ambiente, ma sono
anche frutto di scelte culturali (“Tante culture, tanti paesaggi” è il titolo
di un paragrafo): i paesaggi sono differenti non solo per “il clima, il
suolo, le piante, ma anche perché i popoli hanno culture diverse, con
esperienze e conoscenze differenti”20. Fuori da questa eccezione, si
privilegia
la
capacità
dell’uomo
di
modificare
l’ambiente,
determinandolo quasi in forma univoca; e il senso di questa modifica si
svolge essenzialmente in direzione di un paesaggio industrializzato,
urbano, tipicamente occidentale, come confermato dalle numerose
fotografie che accompagnano i testi. Così avviene ad esempio nel
20
Testo n. 9, p. 169.
38
sussidiario n. 3 che infine, mostrando l’immagine di un tratto di costa
con una baia e l’ambiente naturale della macchia mediterranea, invita il
bambino ad immaginare e rappresentare lo stesso ambiente dopo
l’intervento dell’uomo, suggerendo una strada, un porto ed una spiaggia
attrezzata per i turisti21. Formula scuola 5 sembra, ad un primo
approccio, dare la possibilità di immaginare ‘altre’ forme di rapporto con
il territorio, ma ci si accorge presto come si limiti a notare la presenza di
popolazioni che “ancora oggi” sopravvivono in condizioni ostili. Così,
nella descrizione della foresta equatoriale, si sottolinea la capacità di
vivere in questo difficile ambiente da parte di piccole popolazioni che
“ancora oggi […] vi si trovano”22, mentre “nel deserto vivono ancora
oggi alcune popolazioni nomadi di commercianti e di pastori”23. Il tema
della modernità diventa in tal modo una operazione di distinzione del
nostro “noi” rispetto agli “altri”: “Noi moderni siamo diversi dai nostri
antenati […] e da coloro che ancora oggi, nelle vaste periferie del
mondo, si attardano in forme di vita tradizionali”24. In questo senso, il
meccanismo della domesticazione dell’alterità sembra perpetuarsi nel
21
Cfr. testo n. 3, p. 147
Testo n. 10, p. 263.
23
Ivi, p. 265.
22
39
presente attraverso il linguaggio dell’economia, che, ancora una volta,
configura gli ‘altri’ in termini di categorie residuali. Le culture vengono
così caratterizzate come “sottosviluppate”, “arretrate”, o, con una
ipocrisia terminologica, “in via di sviluppo” ed inserite in un processo di
avanzamento tecnologico che vede ancora una volta ‘noi’ ai vertici. Si
aprono, tuttavia, spunti di critica all’agricoltura commerciale e al nostro
modo di intendere lo sviluppo. Si denuncia lo sfruttamento delle risorse
ad opera di multinazionali25, anche se il mondo dei sistemi globali è visto
sempre come forza che agisce dall’esterno piuttosto che come forza
integrante26. Formula scuola 5 sottolinea la presenza di ONG che
sperimentano nuove iniziative con attività economiche tradizionali e
aprono reti di Commercio Equo e Solidale. Vengono indicati come
fattori di sviluppo anche “il rispetto e la valorizzazione della diversità
che arricchiscono” e “la cancellazione o riduzione del debito estero”27. Si
considera l’importanza non solo di risorse energetiche e industriali, ma
anche le risorse umane, tra le quali si annoverano la “diversità dei
popoli”, “la molteplicità di lingue” e dialetti e “i valori religiosi e
24
F. Remotti, Noi, primitivi. Lo specchio dell’antropologia, Bollati Boringhieri, Torino 1990,
p. 232.
25
Cfr. testo n.10, p.275.
26
Cfr. G. E. Marcus, “L’etnografia nel sistema mondo”, in Scrivere le culture, (a cura di Clifford J.
e Marcus G. E.), Meltemi, Roma 1997, p. 211.
27
Testo n. 10, p. 277.
40
41
morali”. Il sentimento religioso, in particolare, è descritto come
“patrimonio di tutti gli esseri umani di ogni luogo e di ogni tempo”
anche se assume diverse forme nelle varie religioni28. Oltre a quelle
monoteiste e politeiste, ci sono quelle animiste che, in Africa, in Sud
America e in Australia, “credono negli spiriti presenti nella natura e
praticano riti magici”.
Anche il quaderno operativo Scoprire non fa riferimento ad ambienti e
relazioni tra uomo e territorio non occidentali, nonostante la sezione di
geografia proponga “un percorso attraverso i luoghi abitati dall’uomo”.
Va notata tuttavia la volontà, qui ancora più evidente, di orientare il
bambino nell'ambiente che lo circonda e in cui vive, passando
gradualmente ai luoghi più lontani. Lo stesso percorso, dal vicino al
remoto, viene adottato in questo testo anche in relazione agli ambiti di
socializzazione. Si nota in proposito il tentativo di costituire un gruppo
classe che si arricchisca della presenza al suo interno di bambini di
diversa provenienza, carattere, religione e capacità. D’altronde sappiamo
come sia considerata pedagogicamente importante l’identificazione, da
parte del bambino con un gruppo di appartenenza. Un’operazione
28
Ivi, p. 279.
42
essenziale in ottica interculturale che tuttavia rimane, in questo testo,
l’unico momento di incontro tra ‘diversi’.
Per quanto riguarda il territorio italiano, si segue la consueta
presentazione delle regioni con particolare attenzione alle caratteristiche
fisiche ed economico-produttive. Sapere e saper fare 4 presenta una
serie di “cartoline turistiche” che ne mostrano le attrattive. In questo
senso si muovono anche le immagini che fotografano aspetti di folklore e
attività lavorative artigianali che, non accompagnate da alcun
approfondimento, sembrano porsi nel quadro di una promozione turistica
che ovviamente presenta unicamente gli aspetti più belli, colorati ed
incontaminati. E cosi Napoli diventa, fotograficamente, il Vesuvio e una
pianta di pomodori San Marzano29. Lo stesso discorso vale tuttavia
anche per altri sussidiari, dove sembra ancora forte l’inerzia del vecchio
modo di presentare l’Italia come paese unito, culturalmente omogeneo,
la cui diversità si manifesta esclusivamente nei dati fisici del clima del
territorio, in quelli dello sviluppo economico industriale. In alcuni casi si
accenna tuttavia alle minoranze linguistiche delle Regioni a statuto
speciale e al fenomeno dell’emigrazione nelle terre del Mezzogiorno. In
relazione ai fenomeni sociali del territorio italiano, Formula Scuola 4
29
Cfr. testo n. 5, pp.200-201.
43
presenta un primo contatto con il fenomeno dell’immigrazione
all’interno di un piccolo spazio dedicato all’importanza di materie prime
ed energetiche di cui necessita il nostro Paese. In tal modo “il fenomeno
migratorio che si sta verificando, al di là delle difficoltà che comporta,
dà un apporto di giovani risorse umane ad un Paese, il nostro, che
invecchia sempre più”30. È questa, storia vecchia e radicata, come
mostrano anche le attuali legislazioni in materia di immigrazione che,
legando il permesso di soggiorno al contratto di lavoro, seguono “la
convinzione che i migranti possono venire in questo paese … fin quando
servono a noi; se e perché devono supplire alla denatalità che ci
affligge…o per svolgere mansioni pesanti, nocive e indesiderate,
nell’industria manifatturiera, nell’agricoltura, nell’edilizia”31. Allo stesso
modo “in Veneto non c’è il problema della disoccupazione, anzi molti
operai extra-comunitari vi hanno trovato lavoro”32. Si allude così ad una
equiparazione tra lavoro specializzato e appartenenza comunitaria,
riproponendo l’immagine dell’extra-comunitario disoccupato e capace di
trovare un’impiego solo quando c’è disponibilità e abbondanza di offerte
lavorative. Altrove, nel testo, si tenta di considerare l’arrivo degli
30
Testo n. 7, p. 221.
D. Greco, “I servi della legge”, da Il Manifesto, 25 settembre 2002.
32
Testo n. 7, p. 257.
31
44
stranieri attraverso il confronto con le migrazioni di italiani nel passato,
anche se le considerazioni rimangono quasi esclusivamente sul piano
economico33. Nessun vero interesse alla comprensione del fenomeno,
letto come mero spostamento nello spazio e contributo economico. Ne Il
Segreto delle cose, al tema dell’immigrazione non è dedicato alcuno
spazio autonomo, anche se vengono formulate alcune domande
esclusivamente mirate a sollecitare una serie di riflessioni sui problemi
del sottosviluppo dei loro paesi di provenienza e delle difficoltà nel
rapporto con gli italiani. Percorso tra l’altro impraticabile e che rimanda
all’eventuale
discussione
in
classe
attraverso
la
mediazione
dell’insegnante. Lo stesso si può dire dell’approccio che Nuovo imparare
a studiare 5 dedica al recente arrivo nella nostra terra di gente di varia
provenienza; fenomeno che viene collegato all’emigrazione di italiani tra
la fine del XIX secolo e l’inizio del XX. Manca tuttavia una reale
riflessione sulla fecondità che, più volte nel corso della storia, l’incontroscontro con l’altro, le migrazioni, il contatto culturale hanno generato
nella vita sociale. Il fenomeno migratorio risulta così un qualcosa di
molto recente: “fino a qualche tempo fa gli studiosi classificavano i
popoli…in razze. Poi a causa di un’intensa migrazione di popoli, le
33
Cfr. testo n. 7, p. 243.
45
razze si sono ‘mescolate’ al punto che spesso non è possibile
distinguerle chiaramente. Oggi gli studiosi preferiscono distinguere le
popolazione mondiale in base alla cultura”34. Si possono tuttavia
incontrare anche considerazioni di tipo etico sul futuro della società
multietnica. Il testo n. 10 segnala la presenza in Italia di molti bambini di
varia provenienza che “nel nostro Paese hanno trovato un luogo più
favorevole per vivere. Il nostro futuro è con tutti loro”35.
Il sussidiario n. 9 sottolinea come dalla capacità di “vivere insieme anche
se di cultura, di lingua e di religioni diverse […] dipenderà il nostro
futuro”36.
I testi per la quinta classe manifestano la possibilità di utilizzare la
Diversità in funzione unificante. È il caso dell’Europa; fatta oggetto di
uno spazio quasi doppio rispetto a quello dedicato agli altri continenti nel
complesso; della quale si sottolineano non solo la varietà dei paesaggi,
ma anche i contatti culturali avvenuti nel passato attraverso guerre,
commercio, migrazioni e le influenze delle altre culture che gli europei
hanno saputo integrare con la propria. Viene alla mente l’importanza che
la valorizzazione della diversità − sia pur mitizzata − assunse per gli
34
Testo n. 8, p. 24.
Testo n. 10, p. 317.
36
Testo n. 9, p. 312.
35
46
ideologi della giovane America che rivendicava, nella delicata fase della
sua costituzione, una autonomia storica ed una originalità culturale37. Si
fa riferimento, sia pur con semplici accenni, ai vari gruppi etnici e
minoranze linguistiche presenti nelle varie regioni europee. Tuttavia, la
vera Diversità è rappresentata dai Lapponi, abitanti di territori e climi
particolarmente ostili, caratterizzati da scarsi contatti con le altre
popolazioni e quasi in via di estinzione: “oggi sono rimasti circa 300.000
lapponi, ma pochi di loro sono ancora nomadi”38(corsivo nostro). Le
regioni europee più occidentali si caratterizzano in particolare per
l’economia fortemente sviluppata, soprattutto nel settore industriale, ma
anche grazie ad un’agricoltura meccanicizzata e ad un fiorente
commercio e turismo. Per quanto riguarda i paesi dell’Est, viene
ricordata l’economia “arretrata”, “povera”, ma in “via di sviluppo”
grazie ai nuovi rapporti con l’Unione Europea che hanno permesso, dopo
il crollo del comunismo, di avviare “trasformazioni molto profonde per
raggiungere un maggior grado di sviluppo e di benessere”39. Della exIugoslavia e dell’Albania si ricordano le “guerre civili” che hanno
portato morte e distruzione, con centinaia di migliaia di profughi in fuga.
37
Cfr. U. Fabietti, Storia dell’antropologia, Zanichelli, Bologna 1991, p. 32 ss.
Testo n. 9, p. 191.
39
Testo n. 10, p. 294.
38
47
Il testo n. 10 accenna all’intervento dei Paesi aderenti alla NATO, sia pur
all’interno di una ossimorica guerra per la pace, mentre in Sapere e saper
fare 5 il ruolo degli europei viene menzionato esclusivamente per l’opera
dei volontari provenienti da tutto il continente per portare soccorso alle
popolazioni in guerra, così come si ricordano anche gli “aiuti
internazionali” volti alla ricostruzione. Qui, a proposito dell’Albania,
troviamo l’unica fotografia che non presenta le caratteristiche di una
cartolina “turistica”: si tratta di un bambino kossovaro in un campo di
profughi, dopo aver fatto la fila per il pane. Il riferimento è alla grave
crisi sociale e politica del ‘97 e del ’99, quando “le forze militari
internazionali dell’ONU sono intervenute a placare la rivolta”40.
Formula scuola 5 presenta l’Albania come “il Paese europeo più povero
e arretrato”, Paese di emigrazione, nonostante siano in corso, “con
l’aiuto anche dell’Italia, programmi di sviluppo economico e culturale”41
(corsivo nostro). Le fotografie mostrano una nave di profughi, un
bambino dietro un filo spinato e finalmente la sua felice accoglienza tra
gli altri bambini della scuola: “quando hanno la fortuna di essere in Italia
40
41
Testo n. 9, p. 199.
Testo n. 10, p. 301.
48
con la loro famiglia, i bambini albanesi si mostrano sereni e molto pronti
a imparare la nostra lingua”42.
Nuovo imparare a studiare 5 sottolinea come gli Europei siano il
risultato della mescolanza di vari popoli, facendo quindi immaginare
un’identità creola del nostro paese. Si dichiara, tuttavia, che la situazione
per cui ad ogni nazionalità non corrisponde uno Stato è una causa di
conflitti tra minoranze e Stato. Sicuramente vittima della semplificazione
che il grado scolastico impone al linguaggio e al contenuto, tale
affermazione rischia però di essere eccessivamente banalizzante e
pericolosa. Una logica conseguenza potrebbe essere quella secondo la
quale se ognuno stesse a casa propria non ci sarebbero molte guerre. A
proposito, mi sembrano adeguate le parole di Fabio Dei apparse in un
editoriale di Cooperazione Educativa:
“Non si prende abbastanza in considerazione la possibilità che, almeno
in parte, il discorso etnico, i sentimenti di appartenenza, il senso delle
differenze siano le conseguenze e non le cause di conflitti”43.
Dopo la descrizione regionale dell’Italia e quella per stati dell’Europa, si
42
Ivi.
49
passa poi al resto del mondo seguendo la classica scansione dei
contenuti. Comprimendo il discorso in pochissime pagine, il rischio di
coltivare la scorciatoia dello stereotipo è qui ancora maggiore. Entrando
fortemente in gioco la selezione degli argomenti da trattare, diventano
ancor più manifeste non solo le immagini dell’altro, ma anche i valori
che riteniamo importanti per rappresentare il mondo e rapportarci alle
culture ‘altre’. In questo senso, l’incontro con l’altro si appiattisce su
considerazioni di tipo economico, con un mondo diviso tra Nord e Sud,
Paesi ricchi e Paesi poveri, sviluppati e sottosviluppati (o in via di
sviluppo), avanzati e arretrati. È impossibile certamente non tener conto
delle effettive asimmetrie di potere, degli squilibri nella distribuzione
delle risorse, alla base della disuguaglianza tra i popoli della terra e della
riduzione del mondosud a “resto del mondo”44. Queste ‘relazioni di
potere’ intervengono prepotentemente anche nella rappresentazione
dell’altro, tanto che ancora valide sembrano le considerazioni di Falteri:
“i popoli extraoccidentali vengono a definirsi […] come mancanti o
bisognosi di (capitali, derrate, tecnologie…)”, oppure come specchio
43
F. Dei, “Il relativismo culturale dopo l’11 settembre”, in Cooperazione Educativa, la rivista
pedagogica e culturale del Movimento di Cooperazione Educativa, Edizioni Junior, maggio-giugno
2002.
44
Per questo aspetto cfr. anche A. Gnisci, Una storia diversa, Meltemi, Roma 2001, p. 59.
50
delle responsabilità storiche dell’Occidente “piuttosto che oggetto di
autonoma considerazione”.45
I paesi asiatici, ad esempio, hanno un’economia arretrata se si eccettuano
le zone industrializzate. In Sapere e saper fare 5 una fotografia mostra
una bambina al lavoro: “in molti paesi dell’Asia i bambini lavorano in
condizioni di sfruttamento e schiavitù”46. L’india, in particolare, è un
paese che non riesce a “produrre a sufficienza per alimentare tutti”47. Nel
concentratissimo spazio che le è dedicato, l’equivoco sembra dietro
l’angolo. Immediatamente dopo la constatazione delle deficienze
alimentari del paese, viene presentato, quasi in contrasto, quasi come una
colpa, il tabù alimentare che vieta il consumo di bovini, considerati
animali sacri. Il discorso non porta a nessun approfondimento e
rinchiude l’India nel suo più classico stereotipo: Paese poverissimo,
eppure il “più spirituale del mondo”.
L’America settentrionale è il continente più sviluppato del mondo. Gli
USA, in particolare, sono la più grande potenza economica − grazie alla
ricchezza del sottosuolo e alla “capacità di sfruttarla con tecnologie
avanzate” − e militare − con un esercito “presente in varie parti del
45
P. Falteri, Interculturalismo…, op. cit., pp 12-13.
Testo n. 9, p. 208.
47
Ivi.
46
51
mondo, a volte in missioni di pace”48. Vengono ricordati come società
multietnica, in cui la maggioranza della popolazione discende da europei
e africani, con una minoranza di amerindi. Il testo n. 10 accenna ai
problemi presenti anche in uno Stato ricco come gli Usa:
disoccupazione, disuguaglianze sociali, problema della convivenza
razziale49. Nel sussidiario n. 9, una critica non facilmente accessibile ad
un osservatore distratto è presente in una parziale sovrapposizione della
statua della libertà, simbolo di New York, e un disegno raffigurante lo
sterminio dei pellirosse i cui sopravvissuti vivono ancor oggi “confinati
in territori limitati, le riserve”50. Resta ad ogni modo evidente la
“chiusura” degli Indiani d’America all’interno di un discorso tutto
Occidentale, che attinge a quell’alterità come serbatoio mitico dalle
molteplici funzioni. Conviene così immaginarli chiusi nelle riserve, sia
per le possibilità di critica delle colpe dell’Occidente, sia come
possibilità di riscatto e purificazione dai mali della modernità. È un
discorso, tuttavia, che non riguarda i soli “pellirosse”, ma che può
facilmente estendersi ad altre forme di alterità presentate, scelte tra
popolazioni lontane, ancora legate alle loro tradizioni e tuttavia “in
48
Ivi, p. 314.
Cfr. testo n. 10, p. 314.
50
Cfr. testo n. 9, p. 215.
49
52
pericolo”: gli indios dell’amazzonia, che si legano alle preoccupazioni
ambientaliste per la distruzione della foresta, e gli aborigeni australiani,
che si oppongono alla distruzione portata dal “bianco colonizzatore”.
“I paesi dell’America centro-meridionale sono poveri, […] la ricchezza è
distribuita in modo diseguale, […] molti si trasferiscono nelle città, dove
spesso vivono in quartieri di baracche nelle periferie”51. Argentina, Cile
e Brasile vengono tuttavia definiti “in via di sviluppo”. In Nuovo
imparare a studiare 5, nessuna finestra sugli aspetti culturali viene
aperta nonostante la voce “cultura” presente nel titolo di un paragrafo. A
meno che essa non si riferisca ad una fotografia di favelas brasiliane
(accompagnata da una didascalia che spiega le condizioni di miseria e
povertà in cui vive la maggioranza popolazione) o ad una del carnevale
di Rio (non accompagnata da alcuna spiegazione)52.
Sapere e saper fare 5 cita gli Yanomami, dei quali sottolinea la profonda
conoscenza dell’ambiente in cui vivono e tuttavia “in pericolo per il
continuo disboscamento della foresta amazzonica”53. Una certa
ambiguità è presente nella definizione che di loro viene data come
“popolazioni antiche”. Da un lato perché evoca il parallelo con i nostri
51
Ivi, pag. 217.
Testo n. 8, p. 76.
53
Testo n. 9, p. 217.
52
53
antenati primitivi e dall’altro perché, anche quando positivamente riferito
ad una presunta profondità di radici e tradizioni culturali, configura un
certo immobilismo. Non è forse un caso che questo termine non venga
usato per i paesi industrializzati.
Nel senso di critica dei “bianchi colonizzatori”, vengono presentati gli
aborigeni australiani. La voce dell’altro viene, ancora una volta,
“recitata” dall’Occidente. Lo stesso sussidiario riporta in proposito la
storia di un film di Herzog, Dove sognano le formiche verdi54, in cui gli
aborigeni combattono per difendere un posto per loro sacro dalla
distruzione. Si tratta di un buon film, interessante da considerare anche
da un’ottica antropologica, tuttavia la fonte è, ancora una volta,
esclusivamente occidentale. L’Occidente mantiene il monopolio della
rappresentazione dell’altro utilizzando i suoi canali di comunicazione:
“Andiamo al cinema” è il titolo dell’ingrandimento55.
I paesi africani si configurano come tra i più poveri al mondo nonostante
la ricchezza di risorse minerarie ed energetiche. Tale disponibilità del
sottosuolo non diventa in Africa fonte di sviluppo perché “mancano le
strutture necessarie al loro sfruttamento e la manodopera specializzata è
54
55
Herzog W., Dove sognano le formiche verdi, Australia, 1984.
cfr. Testo n. 9, p. 219.
54
quasi inesistente”56 (corsivo nostro). Non a caso possibilità di
“progresso” vengono dal turismo, legato alle bellezze naturali e alla
presenza di animali selvaggi, e da progetti di cooperazione
internazionale. Un altro elemento caratterizzante dei Paesi africani è la
presenza di numerosi popoli e tribù, spesso in contrasto fra loro, con
conflitti che sfociano in vere e proprie guerre. In questo, la colpa è anche
degli europei che “hanno tracciato confini che non tenevano conto delle
differenze tra le varie popolazioni”57.
È chiaro che l’esperienza
coloniale non è stata solo una questione di confini e che la presenza di
etnie diverse in uno stesso territorio nazionale non è giustificazione di
conflitti. In campo culturale un “ingrandimento” viene aperto sugli
aspetti folcloristici della musica, della danza e del cibo. Nonostante la
superficialità, anche obbligata, di un simile approccio, tale spazio
diventa una valida occasione di incontro con la realtà africana;
soprattutto in Nuovo imparare a studiare 5, dove si sollecita una
riflessione comparativa con il modo di concepire la musica e le occasioni
del ballare e musicare proprie dei bambini della classe.
56
57
Testo n. 9, p. 211.
Ivi
55
In Sapere e saper fare 5, il confronto è molto più banale e unilaterale:
“se nella tua classe ci sono dei ragazzi di questi Paesi fatti dare qualche
ricetta e…buon appetito!”58.
2.5 Studi Sociali
Pur nella sua brevità, lo spazio dedicato agli Studi sociali ci consente di
affrontare il discorso dei valori della nostra società e delle istituzioni
indicate a garantirli. Il significato della parola “valore” viene individuato
negli ideali di democrazia, libertà, cultura e solidarietà. Questi
costituiscono il “bene comune”, tutelato, nello Stato italiano, dalla carta
costituzionale, dalle istituzioni nazionali e dalle forze di polizia59. Manca
una reale attenzione al tema della migrazione. Non si va oltre il livello
dell’accoglienza o la necessità di convivere in una società multietnica, in
“una sommatoria di esperienze e di tradizioni affiancate, tenute e
considerate come separate”60. In tal modo, ci si limita spesso a
considerazioni di tipo assistenziale e caritatevole: “in ogni comunità […]
58
Ivi, p. 211.
Cfr. ad esempio testo n. 7.
60
A. Gnisci, Una storia diversa, op. cit., p. 101.
59
56
ci sono persone che hanno bisogno di aiuto e di compagnia: sono i
malati, gli anziani, i disabili o gli stranieri che si sono appena
trasferiti”61.
L’ONU è fatta oggetto di particolare attenzione. Ispirata ai temi dello
sviluppo e della pace, dovrebbe promuovere una cooperazione
internazionale, eppure rivela spesso il suo volto occidentale. Nonostante
riunisca membri di 189 paesi, nel testo n. 10, diventa una organizzazione
formata dalle sole nazioni più sviluppate e ricche, riunitesi per risolvere i
problemi dei Paesi in difficoltà e per portare pace e ricostruzione nel
mondo62.
Le
fotografie
rappresentano
situazioni
di
disagio,
malnutrizione, mancanza di cibo, scarse condizioni igieniche, con i
soldati dell’ONU impegnati nei soccorsi.
Ampio spazio è dato all’Unione Europea, con la cui costituzione ogni
Paese d’Europa può assumere “un ruolo da protagonista”, potendo
“contare molto nel mondo”. È una unità di cui si vogliono trovare le
radici nel Sacro romano impero e nell’impero romano, che rappresentava
61
Testo n. 5, p. 287. Allo stesso modo, anche il Nuovo imparare a studiare 4 presentava nella stessa
pagina tre fotografie: una coppia di persone anziane, un disabile, un immigrato nel suo precario lavoro
di venditore ambulante.
62
Cfr. testo n. 10, p. 117.
57
una omogenea ed “unica realtà politica e culturale”, con una lingua
comune, il latino, “almeno tra le persone più istruite” 63.
Grandi ambiguità porta con sé il concetto di “nazione”. Da un lato lo si
vuole distinguere dallo Stato, dall’altro diviene quasi sinonimo di
cittadinanza o ancora, finisce per alludere ad una omogeneità culturale
all’interno di una stessa “comunità nazionale”: in Nuovo imparare a
studiare 5, la “nazione” diventa un “territorio che riunisce genti legate
dalla stessa lingua e da tradizioni e storia comuni”64 unite “dalla
coscienza di condividere una stessa cultura”65. Tale interpretazione
sembra francamente non più condivisibile e pone enormi complicanze in
contesti caratterizzati da forti scambi culturali, così come nel definire la
“nazionalità” di figli di “coppie miste”. Il rischio è quello di
naturalizzare il concetto di “nazionalità” così come, ancora più
frequentemente e per ossimoro, si fa con quello di cultura. E’ l’idea per
cui
una
“nazione”
diviene
metafora
dell’identità,
attraverso
l’individuazione di un’unica cultura ed un'unica lingua, e, al contempo,
luogo di esclusione e cancellazione di altre realtà subalterne e marginali,
che impongono piuttosto l’esigenza di una lettura multiculturale e
63
Ivi, p. 249.
Testo n. 8, p. 86.
65
Ivi, p. 37.
64
58
multilinguistica della società e la rottura di quella riduttiva, eppure
diffusa, equazione tra lingua-cultura-nazione. La storia e la realtà attuale
ci aiutano a comprendere come tutte le identità siano composite. Utili, in
questo senso, ci appaiono le riflessioni di Glissant, che pone l’attenzione
sui pericoli che si manifestano quando ci si immagina attraverso la
costruzione di “un’identità a radice unica, che esclude ogni altra”66.
Pericoli concreti, d’altronde, spesso drammatici come in Iugoslavia, in
Libano o nelle relazioni tra Occidente e mondo islamico, ma che più
quotidianamente si manifestano nel sentirsi minacciati nell’incontro con
identità differenti: “ci sembra che … se non siamo più noi stessi siamo
perduti!”67.
66
67
È. Glissant, Poetica del diverso, Meltemi, Roma 1988, p. 20.
Ivi.
59
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