Scuola e culture. Materiali di antropologia della mediazione scolastica Fabrizio Magnani, Immagine dell'altro e strategie identitarie nei libri di testo per le scuole elementari Tesi di laurea Università degli Studi di Roma 'La Sapienza' - Facoltà di Lettere e Filosofia - Corso di laurea in Teorie e pratiche dell'antropologia - a.a. 2001/2002 Relatore: prof. Laura Faranda Documento pubblicato sul sito del Dipartimento di Studi glottoantropologici e Discipline musicali il 14 luglio 2004 http://rmcisadu.let.uniroma1.it/glotto/index.html 2. L'ANALISI DEI LIBRI DI TESTO 2.1 Considerazioni preliminari Ci sembra di poter subito anticipare alcuni aspetti particolarmente importanti. Come ci si aspettava, si mostra sempre indispensabile il rimando ad approfondimenti e alla mediazione dell’insegnante. È questa, d’altronde, una componente essenziale del processo educativo, che va sottolineata in tutta la sua importanza e imprescindibilità e che non fa altro che ribadire la necessità di lavorare sul terreno della formazione. È l’insegnante colei che realmente indirizza e media, come giusto che sia, il percorso di studio del bambino, attraverso la sua peculiare preparazione professionale, i suoi valori, le sue griglie interpretative, che la portano a problematizzare, selezionare, approfondire, o piuttosto ignorare. In tal modo, nella realtà, può avvenire che ad un ristretto spazio dedicato nei libri di testo ad un particolare argomento non corrisponda necessariamente una minore trattazione in classe. Tuttavia, ci si trova alcune volte di fronte ad esercizi, domande di verifica e sollecitazioni ad approfondimenti che non presentano alcun supporto nella presentazione dei contenuti. Pur conferendo un’importanza ancora maggiore alla guida dell’insegnante, tutto ciò non fornisce sicuramente un buon servizio nell’indirizzarne il lavoro. Nonostante il limitato arco di tempo dei testi presi in considerazione, la ricerca sembra inoltre individuare, anche nel confronto con le indagini precedenti, alcuni segnali di mutamento. Già nel 1999, il Primo rapporto sull’integrazione degli immigrati in Italia, riconosceva che: “rispetto al passato molte cose sono già cambiate in meglio: c’è una maggiore attenzione verso i paesi non europei e verso le relazioni nord-sud del mondo, etnocentrismi, è aumentata sono diminuiti pregiudizi ed la coerenza interna e la problematizzazione”1. Eppure, a dire il vero, il primo impatto con i testi presi in esame è stato piuttosto sconcertante. Se è vero che si riscontra una maggiore attenzione 1 Cfr. G. Zincone (a cura di), Commissione per le politiche di integrazione degli immigrati, “Allegato. Osservazioni sulle…”(capitolo III), in Primo rapporto sull’integrazione degli immigrati in Italia, op. cit.. 18 alla trappola del pregiudizio e dello stereotipo, è anche vero che lo spazio dedicato all’altro è quasi inesistente; segno questo, o di disinteresse per le problematiche dell’antropologia e dell’interculturalismo, oppure, azzardo un’ipotesi, risultato paradossale proprio di quel tentativo di evitare la banalità della semplificazione o le argomentazioni così fortemente criticabili come quelle individuate nelle ricerche precedenti, nonché riflesso della svolta che in questi ultimi anni ha portato a privilegiare il discorso dell’Uguaglianza su quello della Differenza. Direzioni di cambiamento ci sembrano tuttavia evidenti nel confronto tra due sussidiari, entrambi editi dalla Giunti, per la classe quinta: il testo adottato nel precedente anno scolastico e quello di nuova adozione. A distanza di un solo anno vengono introdotti significativi cambiamenti e correzioni che mostrano una crescente penetrazione della coscienza antropologica nella realtà educativa ed un reale interesse verso le tematiche interculturali come d’altronde suggerito dai nuovi orientamenti. Era forse un processo già in via di definizione nel “vecchio” sussidiario, sia pur in maniera molto approssimativa e criticabile, che trova tuttavia un valido proseguimento nel suo successore. Tuttavia, anche questo testo, pur emergendo per la ottica 19 maggiormente “relazionale”, non riesce ad andare oltre la considerazione che le culture siano diverse anche se allo stesso tempo uguali, in virtù del riconoscimento dei diritti universali sanciti dall’ONU. I testi per le classi quinte rappresentano un caso emblematico di difficoltà teoriche più ampie e saranno oggetto di un discorso particolare e più vasto in grado di consentirci alcune riflessioni sul tema dell’intercultura. 2.2 Matematica e Scienze Questa materie, come ci si aspettava, sono quelle che meno ci offrono possibilità di incontro con una pluralità di punti di vista. Unica eccezione è forse l’accenno, nei sussidiari per le terze, a sistemi di numerazione diversi dal nostro, sia pur limitato a quelli adottati dalle grandi civiltà del passato. Tuttavia, anche qui, più che un confronto tra diversi e convenzionali sistemi di numerazione sembra piuttosto emergere un percorso di perfezionamento che attraversa la storia: “col passare del tempo ogni civiltà ha usato segni diversi per rappresentare la quantità fino ad arrivare alle nostre cifre”2 (corsivo nostro). Ciò nonostante, il 2 Testo n. 3, pag. 19. 20 testo n. 3 sottolinea la convenzionalità del contare attraverso due amici, Paola e Amir, che, pur ottenendo risultati diversi, calcolano entrambi l’esatto numero di caramelle avendo contato in basi diverse. Sempre si sottolinea, sia pur all’interno della sezione storica, il contributo portato alla nostra numerazione dal contatto con gli arabi dai quali deriva l’adozione delle cifre decimali. Le “Scienze” confermano le scarse aspettative verso un discorso che, per eccellenza, detiene il paradigma dell’oggettività. In questo senso diviene addirittura impossibile sviluppare una critica nei confronti delle sezioni dedicate a questa materia, che tautologicamente non possono non presentare contenuti e metodi “scientifici”. È questo il nocciolo forse più duro della nostra società, quello che meno siamo disposti a contrattare, a rendere convenzionale, a confrontare. Perché la scienza non è solo una materia, ma anche e soprattutto un modo di esperire la realtà, uno dei più forti nel guidare la percezione del mondo. Ci si occupa così del metodo scientifico, di ambienti, di tassonomie animali e vegetali, di educazione alimentare, di fenomeni atmosferici e terrestri, di forze naturali, del corpo umano e dei sensi attraverso i quali percepiamo ed esperiamo il mondo. Trovare in questi argomenti la possibilità di aprire un varco alla 21 Diversità è impresa difficile ed equivale a rivedere lo stesso statuto della disciplina. Evidentemente, questo non è compito dei libri di testo. Eppure, e proprio per quanto appena detto, fondamentale sarebbe il tentativo della Scienza di aprirsi al confronto. Considerare, per esempio, i diversi paesaggi in relazione alla percezione che di questi hanno coloro che li abitano, nonché differenti cosmologie e classificazioni della realtà naturali, significherebbe essere ormai aperti alla Diversità e ampliare i nostri orizzonti di percezione dei fenomeni che ci circondano. 2.3 Storia La presentazione degli avvenimenti storici ricalca generalmente la consueta scansione dei contenuti. Si affronta il periodo che va dalla preistoria alle grandi civiltà del passato, nelle terze classi, dalle vicende dell’impero romano al rinascimento, nelle quarte, e l’epoca successiva fino ai nostri giorni, nell’ultimo anno. Questa impostazione, tenuto anche conto delle comprensibili limitazioni nello spazio e delle semplificazioni del linguaggio imposte a tali testi, certamente non facilita il compito di rispettare le indicazioni dei Programmi, per cui bisogna “evitare che il 22 bambino percepisca, come progressione deterministica, la successione dei vari tipi di società fatti oggetto di studio”3. Utili a rompere tale successione lineare sono invece i rimandi tra passato e attualità e i collegamenti interdisciplinari con gli Studi Sociali che vengono proposti da alcuni sussidiari (come ad esempio il n. 1). In questo modo oltre a permettere un maggiore coinvolgimento del bambino, la stessa Storia, sembra fornire una possibilità di confronto dinamico con la Diversità. Per quanto riguarda la preistoria, non ho incontrato, fortunatamente, quelle raccapriccianti analogie tra i nostri antenati primitivi e i Boscimani, simbolo vivente “della vita sociale e politica delle più antiche comunità preistoriche”, in cui si erano imbattute quasi dieci anni fa le insegnati del Movimento di Cooperazione Educativa4. Piuttosto discutibile mi sembra, tuttavia, la ricorrente definizione di “preistoria” come “tempo trascorso prima dell’invenzione della scrittura”5, che di fatto escluderebbe dalla storia tutte le culture a tradizione orale, senza neanche riuscire a definire un periodo applicabile all’intera umanità e finendo così per legittimare analogie come quella riportata poc’anzi. Un 3 Cfr. D.P.R. 12 febbraio 1985, n. 104, “nuovi programmi didattici per la scuola primaria” (Storia, indicazioni didattiche), pubblicato nel Suppl. Ord. Gazz. Uff. 29 marzo 1985, n. 76 e con le correzioni, pubblicate nella Gazz. Uff. 6 maggio 1985, n. 105. 4 P. Falteri, Interculturalismo…,op. cit., p. 38. 23 approccio diverso propone il testo n. 3, dove la “preistoria” diventa semplicemente un nome convenzionale che indica un periodo di tempo lunghissimo, 5 che gli storici suddividono Cfr. testo n. 1. 24 in sottoperiodi. È facile osservare come generalmente vengano prese in considerazione esclusivamente le grandi civiltà del passato che hanno contribuito più o meno direttamente allo sviluppo della nostra. E così, salvo rarissime eccezioni, le culture ‘altre’ continuano a diventare degne di storia solo a partire dall’incontro-scontro con l’Occidente. È il caso degli arabi, fatti oggetto di un discreto spazio dedicato all’Islam e a Maometto al fine di introdurre l’espansione araba e le crociate; di cui pure si sottolineano le ricchezze, lo splendore dell’architettura, le innovazioni che portarono in campo geografico, matematico, medico e le nuove colture fino ad allora sconosciute. Simbolo di minaccia per l’Occidente e la cristianità, di alterità radicale ed irriducibile, gli arabi sono stati nella storia, e continuano ad essere, oggetto di molte attenzioni nell’immaginario occidentale; una considerevole quantità di studi − “orientalismi” come direbbe Said − che, in funzione di un’identificazione, per opposizione, dei valori della nostra civiltà, operano disletture e distorsioni notevoli. La stessa cultura cattolica ha costruito la propria identità attraverso l’opposizione al mondo ebraico (da cui doveva differenziarsi e prendere le distanze) e a quello islamico (che addirittura, fino a Goethe e Kant, viene privato della dignità di religione a sé, venendo piuttosto considerato un'eresia cristiana da combattere). Anche i libri di testo per 25 le scuole riflettono questo difficile rapporto con l’oriente. Ne Il segreto delle cose si legge ad esempio: “Un principio molto importante per i mussulmani era (ed è) quello della guerra santa: le guerre e le conquiste armate sono non solo giustificate, ma anche obbligatorie, perché bisogna cercare di convertire all’Islam il maggior numero di popoli possibile”6. Quella parentesi preoccupante ripropone nel presente l’immagine dell’arabo nemico della cristianità. Si compie una pericolosa operazione logica per cui viene costituita la classe dei mussulmani, comprendente individui aventi tra i principi fondamentali della propria religione, quello di combattere le altrui − le ‘nostre’ − forme di vita e fedeltà culturali, o di puntare, come sosteneva una famosa lettera al Corriere della Sera di Oriana Fallaci all’indomani del 11 settembre, “alla scomparsa della nostra libertà e della nostra civiltà”7. È come se si affermasse che uno dei principi fondamentali del cristianesimo è quello di bruciare al rogo gli eretici e distruggere templi e tradizioni religiose dei “pagani”. Tanto l'Islam quanto il mondo occidentale sono fenomeni complessi, sfaccettati 26 e non univoci, che sarebbe un errore identificare tout court con la componente più oscurantista, spesso utilizzata come ideologia di stato e come strumento di potere e di consenso. Allo stesso modo sarebbe stato opportuno sottolineare i valori di confronto e apertura che hanno segnato la tradizione Islamica; valori d'altronde ispirati dal suo testo sacro, il Corano, nonostante le distorsioni fatte dal mondo occidentale del termine Jihad” come “guerra santa”8. Vanno evidenziati, tuttavia, anche molti segnali di apertura. Lo stesso testo getta uno sguardo su alcuni aspetti della cultura araba e sollecita una ricerca sull’immigrazione di arabi in Italia con l’aiuto della maestra. Il testo n. 7 riporta un passo del Corano, mentre Sapere e saper fare 4 si distingue per l’attenzione posta nei confronti del contributo dell’islamismo nel superamento delle divisioni tra le diverse tribù (anche qui si riporta una fonte araba). Sottolinea inoltre la violenza degli Arabi nella conquista, ma anche la loro capacità di tolleranza verso le popolazioni sottomesse ed il rispetto delle diverse culture. Uno spazio intitolato “le culture si incontrano”, interamente 6 Testo n. 6, p. 239. Oriana Fallaci, La Rabbia e l'Orgoglio, da Il Corriere della sera, 29 settembre 2001. 8 È un’interpretazione, questa, radicata e presente ben prima dell’attentato alle Twin Towers di New Tork, anche se diventato di gran moda in seguito a quell’evento. Lo stesso esempio, sopra riportato, di lettura dell’Islam da parte del testo n. 6, mostra una paura dell’universalismo del mondo arabo che precede quell’avvenimento. 7 27 dedicato alla “cultura degli arabi”, invita inoltre il bambino a riflettere 28 sulla derivazione araba di molte parole della lingua italiana e di giochi diffusi come le carte e gli scacchi tentando di sfruttare le capacità dello scambio in una prospettiva interculturale: “conosci qualche bambino arabo? Chiedigli di insegnarti alcune parole o semplici frasi, magari quelle che si usano quando ci si saluta: se le imparerai potrai rivolgerti a lui nella sua lingua”9. Allo stesso modo vengono affrontate le matrici di uno scontro che, con le crociate, diventa presto non solo religioso, ma anche commerciale ed economico, trasformandosi in una guerra di conquista le cui violenze vengono denunciate dal testo (sia pur attraverso la ‘nostra’ voce: quella di un anonimo crociato). Nessun riferimento invece all’attentato dell’11 settembre dello scorso anno, nemmeno nel testo di nuova adozione per le quinte. In quanto irruzione violenta e minacciosa dell’alterità all’interno dello stesso simbolo mondiale del progresso, della tecnologia, della civiltà occidentale dei diritti e delle libertà, quell’avvenimento risulta forse troppo recente, forse troppo terrificante e resta avvolto dall’oscurità del silenzio. In relazione al viaggio di Colombo, il testo n. 5 invita chiaramente a riflettere sulla relatività del termine “scoperta”, specificandone il senso tutto occidentale, dovuto all’ignoranza di un continente già abitato. 9 Testo n. 5, p. 245. 29 Tuttavia, questo valore parziale della conoscenza e dell’incontro si protrae anche nel presente: le antiche civiltà americane compaiono nella storia solo a partire dal momento della propria “scoperta”, generalmente con un brevissimo spazio dedicato. Formula scuola 3 è l’unico tra i sussidiari analizzati a dedicare, nella presentazione delle civiltà del passato, uno spazio autonomo a “I popoli dell’Asia” (generalmente ignorati), e a “la storia antica delle Americhe”, indipendentemente dal viaggio di Colombo. Si tratta di brevissimi accenni, che tuttavia rimandano utilmente ad approfondimenti e discussioni di classe attraverso l’imprescindibile mediazione dell’insegnante. Ovunque sono presenti riflessioni critiche circa il comportamento dei conquistadores, alcune volte anche cadendo nel mito del ‘buon selvaggio’, ma le fonti riportate esprimono esclusivamente il nostro punto di vista: non viene lasciato il minimo spazio alla voce di coloro che furono “scoperti”. Si verifica così, in tutti sussidiari, e in relazione a quasi ogni contatto con la Diversità, ciò che Said individuava a proposito della nostra immagine dell’Oriente e cioè la tautologia secondo la quale se l’altro “fosse in grado di fornire una rappresentazione di se stesso, l’avrebbe già fatto”10: l’altro è incapace di parlare, lo facciamo noi. L’unica eccezione è un 10 Edward W. Said, Orientalismo, Feltrinelli, Milano 2001, p. 30. 30 brevissimo testo tratto dal Popol Vuh che Sapere e Saper fare 5 riporta all’interno dello spazio dedicato ai maya. In questo sussidiario, di nuova adozione, veramente notevole è l’attenzione dedicata alla descrizione dei “popoli del continente americano” particolarmente nel confronto con gli altri testi analizzati. È l’unico che “incontra” nel suo viaggio storico, oltre alle tre grandi civiltà americane, gli indios della foresta amazzonica accennando alla loro struttura sociale, alle abitazioni, alla divisione dei ruoli sessuali, all’importanza della manioca e della figura dello sciamano. Gli indiani del nord America non sono fatti oggetto di ampio spazio ed approfondimento, salvo utilizzarli in funzione critica per denunciare le colpe dell’Occidente nello sterminio. In questo senso, pur facendo riferimento a differenze nell’organizzazione economica dei vari gruppi, lo spazio si limita ad un disegno raffigurante “organizzati”, “sereni” e “pacifici” Creek11. In Formula scuola 5 viene riportata la denuncia di Toro Seduto, capo dei Sioux. Ciò nonostante − anche in questo testo − i pellirosse vengono trattati solo in relazione allo sterminio diventando piuttosto uno specchio delle responsabilità storiche dell’Occidente: gli Indiani vivono ancora oggi “confinati in territori 11 Cfr. testo n. 9, pp. 222-223. 31 recintati, le riserve”12. Viene proposta, tuttavia, una ricerca sulle loro attuali condizioni di vita. Singolare il caso che emerge da un confronto tra il testo della Cetem per la classe terza e quello per la classe quarta. Ci si aspetterebbe, e solitamente così avviene, che ad un maggiore approfondimento degli argomenti nelle classi superiori corrisponda anche una aumentata possibilità confronto, meno superficiale e semplificato con la diversità culturale. E invece avviene il contrario: sia pur non rappresentando un progetto mirato all’educazione interculturale, il libro per le terze presenta una maggiore apertura alla Diversità, mentre nel testo per le quarte sono in genere scarsi, se non nulli, i riferimenti a valori e culture altre. Qui, nella sezione storica, troviamo un brevissimo spazio dedicato all’incontro con il diverso con un piccolo accenno alla cultura dei soli aztechi. Non si può ovviamente non fare riferimento alle violenze − solo fisiche in verità − subite dagli indios, morti nei combattimenti o per malattie, carestie, ma anche per le schiavitù cui furono sottoposti. Esente da colpe sembra essere, tuttavia, sia l’evangelizzazione, cui non si fa nemmeno riferimento (come d’altronde anche in altri testi), sia la politica spagnola che più volte aveva 12 Testo n. 10, p. 216. 32 condannato le violenze sugli indios che “i sovrani spagnoli desideravano…fossero trattati con amore”13. Ovunque vengono tuttavia denunciate le violenze di spagnoli e portoghesi sulle popolazioni americane, costrette alla schiavitù, decimate dal lavoro, dai maltrattamenti, dalle malattie, fatti oggetto di un vero sterminio. Anche in questo caso le fonti utilizzate sono esclusivamente occidentali: nel testo n. 7 si riporta una lettera di denuncia inviata al re di Spagna da un soldato che aveva partecipato alla spedizione contro gli Incas. Allo stesso modo, viene condannata la tratta degli schiavi deportati in America dall’Africa, con le disumane condizioni del viaggio, la fame, i maltrattamenti. Non viene colta, tuttavia, l’occasione per sottolineare anche la ricchezza generata da questo forzato contatto culturale che, pur nella sua drammaticità, ha dato luogo ad uno dei più fecondi fenomeni di sincretismo, con fermenti che hanno la loro origine già nella comune esperienza della deportazione, nelle stive delle navi e che saranno, sul territorio americano, segno di grande dinamismo culturale. Nella parte dedicata al colonialismo si tenta di stimolare una riflessione sull’ideologia etnocentrica che, a giustificazione della conquista e del 13 Testo n. 7, p. 215. 33 dominio sui territori occupati, poneva la necessità di portare la civiltà a popolazioni ritenute primitive14. Viene così denunciata l’azione dei conquistatori che “sconvolsero tradizioni e modi di vivere dei popoli africani e portarono oppressioni e sofferenze che ancora oggi non sono state superate”15. Il nazismo offre la possibilità di interrogarsi e riflettere sull’ideologia razzista e sullo sterminio degli ebrei. A tal fine, Sapere e Saper fare 5 sfrutta il confronto e le possibilità mimetiche offerte da fotografie “forti”, che ritraggono i drammatici volti dei bambini dietro il filo spinato di un campo di concentramento, o al momento della cattura da parte dei soldati tedeschi . 2.4 Geografia Dal punto di vista di un’educazione alla differenza, ci si può aspettare molto da questa disciplina che potrebbe essere, e di fatto è in alcuni casi, una validissima chiave di avvicinamento alle tematiche interculturali. 14 Cfr. ad esempio i testi nn. 8 e n. 9. 34 Nella moderna Geografia, nuovi orizzonti si sono aperti grazie alle ricerche sullo sviluppo sostenibile e al rinnovato interesse per il concetto di “paesaggio”, che può venire indagato non solo come “aspetto della superficie terrestre”16, ma anche nei modi in cui “viene percepito e vissuto dall’individuo e dalle comunità”17. D’altronde, l’immagine del proprio corpo è in stretta relazione con la creazione del proprio ambiente. Anche i programmi ministeriali per le elementari colgono questo aspetto quando rilevano come il movimento dell’individuo si sviluppi “in un rapporto continuo con l’ambiente”18 e come lo stesso paesaggio riveli la sua dinamicità anche in relazione agli spostamenti umani. Antropologicamente profonda appare la necessità di un punto di riferimento simbolico, senza il quale – come ci insegna De Martino – cadremmo vittime dell’angoscia e dello ‘spaesamento’: privi di ogni riferimento spaziale perderemmo il rapporto con il “campanile di Marcellinara”19. Tutto ciò si traduce didatticamente nella necessità di considerare l’ambiente come “spazio esistenziale” e nel sottolineare 15 Testo n. 10, p. 220. G. Barbieri, F. Canigiani, L. Cassi, Geografia e ambiente. I grandi problemi del mondo attuale, Utet Libreria, Torino 1991, p. 35. 17 A. Vallega, Geografia umana, Mursia, Milano 1989, p. 299. 18 Cfr. D.P.R. 12 febbraio 1985, n. 104, “nuovi programmi… ” (Educazione motoria, Obbiettivi e contenuti), op. cit.. 19 Cfr. E. De Martino, La fine del mondo. Contributo all'analisi delle apocalissi culturali, Einaudi, Torino 1977, pp. 480 ss., in cui si riporta la famosa storia di un anziano pastore in preda all’angoscia 16 35 per aver perso il suo punto di riferimento: il campanile di Marcellinara. La soggettività rischia lo sradicamento e la frantumazione, lo sguardo si perde senza più un centro verso cui orientarsi. 36 l’importanza che la definizione dell’ambiente e del paesaggio ricopre nei percorsi identitari. Utilissimo sarebbe un tale approccio nell’avvicinare il fenomeno della migrazione. Lo “straniero” ci insegna che un confine può non essere un limite, ma un transito e una soglia. Si pensi alla relazione del migrante con il paesaggio che attraversa durante il suo spostamento, in particolar modo il paesaggio marino, l’acqua, le maree, la percezione che di esso hanno coloro che si avventurano ad attraversarlo. Le maree diventano così maree di persone, di sentimenti, desideri, speranze, percezioni di un paesaggio che si pone come zona liminare di un rito di passaggio verso una nuova vita ed una nuova identità. Sono, queste, possibilità di lettura ed utilizzo del sapere geografico che raramente vengono colte dalla maggioranza dei testi analizzati, che finiscono così col ripercorrere la consolidata divisione, che nel secondo ciclo della scuola elementare scandisce il passaggio dall’Italia, all’Europa, al “resto del mondo”. È così che, in particolare nella classe terza, emerge l’assenza di informazioni pertinenti, mentre le culture ‘altre’ trovano spazio solo nei successivi volumi, quando vengono varcati i confini italiani ed europei. Se è vero che uno degli scopi della geografia è quello di fornire gli strumenti concettuali e mentali, tali da orientare il bambino a vari livelli, dal vicino al lontano, è altrettanto vero che, anche e proprio 37 nei testi per le terze − dove vengono affrontati i vari ambienti in relazione alla presenza dell’uomo − si potrebbero avvicinare modalità di rapporto e percezione del paesaggio diverse; cosa che forse aiuterebbe a rafforzare la nostra stessa “geografia”, intesa non tanto come disciplina, quanto come possibilità di pensare l’ambiente e lo spazio, indicando nuove forme di interazione attraverso le quali definire continuamente la nostra identità. Il testo di nuova adozione della Giunti per la classe quinta sottolinea (rispetto alla vecchia edizione della casa editrice) che le culture non possono essere che una pluralità e che le attività produttive non sono imposte in maniera deterministica dall’ambiente, ma sono anche frutto di scelte culturali (“Tante culture, tanti paesaggi” è il titolo di un paragrafo): i paesaggi sono differenti non solo per “il clima, il suolo, le piante, ma anche perché i popoli hanno culture diverse, con esperienze e conoscenze differenti”20. Fuori da questa eccezione, si privilegia la capacità dell’uomo di modificare l’ambiente, determinandolo quasi in forma univoca; e il senso di questa modifica si svolge essenzialmente in direzione di un paesaggio industrializzato, urbano, tipicamente occidentale, come confermato dalle numerose fotografie che accompagnano i testi. Così avviene ad esempio nel 20 Testo n. 9, p. 169. 38 sussidiario n. 3 che infine, mostrando l’immagine di un tratto di costa con una baia e l’ambiente naturale della macchia mediterranea, invita il bambino ad immaginare e rappresentare lo stesso ambiente dopo l’intervento dell’uomo, suggerendo una strada, un porto ed una spiaggia attrezzata per i turisti21. Formula scuola 5 sembra, ad un primo approccio, dare la possibilità di immaginare ‘altre’ forme di rapporto con il territorio, ma ci si accorge presto come si limiti a notare la presenza di popolazioni che “ancora oggi” sopravvivono in condizioni ostili. Così, nella descrizione della foresta equatoriale, si sottolinea la capacità di vivere in questo difficile ambiente da parte di piccole popolazioni che “ancora oggi […] vi si trovano”22, mentre “nel deserto vivono ancora oggi alcune popolazioni nomadi di commercianti e di pastori”23. Il tema della modernità diventa in tal modo una operazione di distinzione del nostro “noi” rispetto agli “altri”: “Noi moderni siamo diversi dai nostri antenati […] e da coloro che ancora oggi, nelle vaste periferie del mondo, si attardano in forme di vita tradizionali”24. In questo senso, il meccanismo della domesticazione dell’alterità sembra perpetuarsi nel 21 Cfr. testo n. 3, p. 147 Testo n. 10, p. 263. 23 Ivi, p. 265. 22 39 presente attraverso il linguaggio dell’economia, che, ancora una volta, configura gli ‘altri’ in termini di categorie residuali. Le culture vengono così caratterizzate come “sottosviluppate”, “arretrate”, o, con una ipocrisia terminologica, “in via di sviluppo” ed inserite in un processo di avanzamento tecnologico che vede ancora una volta ‘noi’ ai vertici. Si aprono, tuttavia, spunti di critica all’agricoltura commerciale e al nostro modo di intendere lo sviluppo. Si denuncia lo sfruttamento delle risorse ad opera di multinazionali25, anche se il mondo dei sistemi globali è visto sempre come forza che agisce dall’esterno piuttosto che come forza integrante26. Formula scuola 5 sottolinea la presenza di ONG che sperimentano nuove iniziative con attività economiche tradizionali e aprono reti di Commercio Equo e Solidale. Vengono indicati come fattori di sviluppo anche “il rispetto e la valorizzazione della diversità che arricchiscono” e “la cancellazione o riduzione del debito estero”27. Si considera l’importanza non solo di risorse energetiche e industriali, ma anche le risorse umane, tra le quali si annoverano la “diversità dei popoli”, “la molteplicità di lingue” e dialetti e “i valori religiosi e 24 F. Remotti, Noi, primitivi. Lo specchio dell’antropologia, Bollati Boringhieri, Torino 1990, p. 232. 25 Cfr. testo n.10, p.275. 26 Cfr. G. E. Marcus, “L’etnografia nel sistema mondo”, in Scrivere le culture, (a cura di Clifford J. e Marcus G. E.), Meltemi, Roma 1997, p. 211. 27 Testo n. 10, p. 277. 40 41 morali”. Il sentimento religioso, in particolare, è descritto come “patrimonio di tutti gli esseri umani di ogni luogo e di ogni tempo” anche se assume diverse forme nelle varie religioni28. Oltre a quelle monoteiste e politeiste, ci sono quelle animiste che, in Africa, in Sud America e in Australia, “credono negli spiriti presenti nella natura e praticano riti magici”. Anche il quaderno operativo Scoprire non fa riferimento ad ambienti e relazioni tra uomo e territorio non occidentali, nonostante la sezione di geografia proponga “un percorso attraverso i luoghi abitati dall’uomo”. Va notata tuttavia la volontà, qui ancora più evidente, di orientare il bambino nell'ambiente che lo circonda e in cui vive, passando gradualmente ai luoghi più lontani. Lo stesso percorso, dal vicino al remoto, viene adottato in questo testo anche in relazione agli ambiti di socializzazione. Si nota in proposito il tentativo di costituire un gruppo classe che si arricchisca della presenza al suo interno di bambini di diversa provenienza, carattere, religione e capacità. D’altronde sappiamo come sia considerata pedagogicamente importante l’identificazione, da parte del bambino con un gruppo di appartenenza. Un’operazione 28 Ivi, p. 279. 42 essenziale in ottica interculturale che tuttavia rimane, in questo testo, l’unico momento di incontro tra ‘diversi’. Per quanto riguarda il territorio italiano, si segue la consueta presentazione delle regioni con particolare attenzione alle caratteristiche fisiche ed economico-produttive. Sapere e saper fare 4 presenta una serie di “cartoline turistiche” che ne mostrano le attrattive. In questo senso si muovono anche le immagini che fotografano aspetti di folklore e attività lavorative artigianali che, non accompagnate da alcun approfondimento, sembrano porsi nel quadro di una promozione turistica che ovviamente presenta unicamente gli aspetti più belli, colorati ed incontaminati. E cosi Napoli diventa, fotograficamente, il Vesuvio e una pianta di pomodori San Marzano29. Lo stesso discorso vale tuttavia anche per altri sussidiari, dove sembra ancora forte l’inerzia del vecchio modo di presentare l’Italia come paese unito, culturalmente omogeneo, la cui diversità si manifesta esclusivamente nei dati fisici del clima del territorio, in quelli dello sviluppo economico industriale. In alcuni casi si accenna tuttavia alle minoranze linguistiche delle Regioni a statuto speciale e al fenomeno dell’emigrazione nelle terre del Mezzogiorno. In relazione ai fenomeni sociali del territorio italiano, Formula Scuola 4 29 Cfr. testo n. 5, pp.200-201. 43 presenta un primo contatto con il fenomeno dell’immigrazione all’interno di un piccolo spazio dedicato all’importanza di materie prime ed energetiche di cui necessita il nostro Paese. In tal modo “il fenomeno migratorio che si sta verificando, al di là delle difficoltà che comporta, dà un apporto di giovani risorse umane ad un Paese, il nostro, che invecchia sempre più”30. È questa, storia vecchia e radicata, come mostrano anche le attuali legislazioni in materia di immigrazione che, legando il permesso di soggiorno al contratto di lavoro, seguono “la convinzione che i migranti possono venire in questo paese … fin quando servono a noi; se e perché devono supplire alla denatalità che ci affligge…o per svolgere mansioni pesanti, nocive e indesiderate, nell’industria manifatturiera, nell’agricoltura, nell’edilizia”31. Allo stesso modo “in Veneto non c’è il problema della disoccupazione, anzi molti operai extra-comunitari vi hanno trovato lavoro”32. Si allude così ad una equiparazione tra lavoro specializzato e appartenenza comunitaria, riproponendo l’immagine dell’extra-comunitario disoccupato e capace di trovare un’impiego solo quando c’è disponibilità e abbondanza di offerte lavorative. Altrove, nel testo, si tenta di considerare l’arrivo degli 30 Testo n. 7, p. 221. D. Greco, “I servi della legge”, da Il Manifesto, 25 settembre 2002. 32 Testo n. 7, p. 257. 31 44 stranieri attraverso il confronto con le migrazioni di italiani nel passato, anche se le considerazioni rimangono quasi esclusivamente sul piano economico33. Nessun vero interesse alla comprensione del fenomeno, letto come mero spostamento nello spazio e contributo economico. Ne Il Segreto delle cose, al tema dell’immigrazione non è dedicato alcuno spazio autonomo, anche se vengono formulate alcune domande esclusivamente mirate a sollecitare una serie di riflessioni sui problemi del sottosviluppo dei loro paesi di provenienza e delle difficoltà nel rapporto con gli italiani. Percorso tra l’altro impraticabile e che rimanda all’eventuale discussione in classe attraverso la mediazione dell’insegnante. Lo stesso si può dire dell’approccio che Nuovo imparare a studiare 5 dedica al recente arrivo nella nostra terra di gente di varia provenienza; fenomeno che viene collegato all’emigrazione di italiani tra la fine del XIX secolo e l’inizio del XX. Manca tuttavia una reale riflessione sulla fecondità che, più volte nel corso della storia, l’incontroscontro con l’altro, le migrazioni, il contatto culturale hanno generato nella vita sociale. Il fenomeno migratorio risulta così un qualcosa di molto recente: “fino a qualche tempo fa gli studiosi classificavano i popoli…in razze. Poi a causa di un’intensa migrazione di popoli, le 33 Cfr. testo n. 7, p. 243. 45 razze si sono ‘mescolate’ al punto che spesso non è possibile distinguerle chiaramente. Oggi gli studiosi preferiscono distinguere le popolazione mondiale in base alla cultura”34. Si possono tuttavia incontrare anche considerazioni di tipo etico sul futuro della società multietnica. Il testo n. 10 segnala la presenza in Italia di molti bambini di varia provenienza che “nel nostro Paese hanno trovato un luogo più favorevole per vivere. Il nostro futuro è con tutti loro”35. Il sussidiario n. 9 sottolinea come dalla capacità di “vivere insieme anche se di cultura, di lingua e di religioni diverse […] dipenderà il nostro futuro”36. I testi per la quinta classe manifestano la possibilità di utilizzare la Diversità in funzione unificante. È il caso dell’Europa; fatta oggetto di uno spazio quasi doppio rispetto a quello dedicato agli altri continenti nel complesso; della quale si sottolineano non solo la varietà dei paesaggi, ma anche i contatti culturali avvenuti nel passato attraverso guerre, commercio, migrazioni e le influenze delle altre culture che gli europei hanno saputo integrare con la propria. Viene alla mente l’importanza che la valorizzazione della diversità − sia pur mitizzata − assunse per gli 34 Testo n. 8, p. 24. Testo n. 10, p. 317. 36 Testo n. 9, p. 312. 35 46 ideologi della giovane America che rivendicava, nella delicata fase della sua costituzione, una autonomia storica ed una originalità culturale37. Si fa riferimento, sia pur con semplici accenni, ai vari gruppi etnici e minoranze linguistiche presenti nelle varie regioni europee. Tuttavia, la vera Diversità è rappresentata dai Lapponi, abitanti di territori e climi particolarmente ostili, caratterizzati da scarsi contatti con le altre popolazioni e quasi in via di estinzione: “oggi sono rimasti circa 300.000 lapponi, ma pochi di loro sono ancora nomadi”38(corsivo nostro). Le regioni europee più occidentali si caratterizzano in particolare per l’economia fortemente sviluppata, soprattutto nel settore industriale, ma anche grazie ad un’agricoltura meccanicizzata e ad un fiorente commercio e turismo. Per quanto riguarda i paesi dell’Est, viene ricordata l’economia “arretrata”, “povera”, ma in “via di sviluppo” grazie ai nuovi rapporti con l’Unione Europea che hanno permesso, dopo il crollo del comunismo, di avviare “trasformazioni molto profonde per raggiungere un maggior grado di sviluppo e di benessere”39. Della exIugoslavia e dell’Albania si ricordano le “guerre civili” che hanno portato morte e distruzione, con centinaia di migliaia di profughi in fuga. 37 Cfr. U. Fabietti, Storia dell’antropologia, Zanichelli, Bologna 1991, p. 32 ss. Testo n. 9, p. 191. 39 Testo n. 10, p. 294. 38 47 Il testo n. 10 accenna all’intervento dei Paesi aderenti alla NATO, sia pur all’interno di una ossimorica guerra per la pace, mentre in Sapere e saper fare 5 il ruolo degli europei viene menzionato esclusivamente per l’opera dei volontari provenienti da tutto il continente per portare soccorso alle popolazioni in guerra, così come si ricordano anche gli “aiuti internazionali” volti alla ricostruzione. Qui, a proposito dell’Albania, troviamo l’unica fotografia che non presenta le caratteristiche di una cartolina “turistica”: si tratta di un bambino kossovaro in un campo di profughi, dopo aver fatto la fila per il pane. Il riferimento è alla grave crisi sociale e politica del ‘97 e del ’99, quando “le forze militari internazionali dell’ONU sono intervenute a placare la rivolta”40. Formula scuola 5 presenta l’Albania come “il Paese europeo più povero e arretrato”, Paese di emigrazione, nonostante siano in corso, “con l’aiuto anche dell’Italia, programmi di sviluppo economico e culturale”41 (corsivo nostro). Le fotografie mostrano una nave di profughi, un bambino dietro un filo spinato e finalmente la sua felice accoglienza tra gli altri bambini della scuola: “quando hanno la fortuna di essere in Italia 40 41 Testo n. 9, p. 199. Testo n. 10, p. 301. 48 con la loro famiglia, i bambini albanesi si mostrano sereni e molto pronti a imparare la nostra lingua”42. Nuovo imparare a studiare 5 sottolinea come gli Europei siano il risultato della mescolanza di vari popoli, facendo quindi immaginare un’identità creola del nostro paese. Si dichiara, tuttavia, che la situazione per cui ad ogni nazionalità non corrisponde uno Stato è una causa di conflitti tra minoranze e Stato. Sicuramente vittima della semplificazione che il grado scolastico impone al linguaggio e al contenuto, tale affermazione rischia però di essere eccessivamente banalizzante e pericolosa. Una logica conseguenza potrebbe essere quella secondo la quale se ognuno stesse a casa propria non ci sarebbero molte guerre. A proposito, mi sembrano adeguate le parole di Fabio Dei apparse in un editoriale di Cooperazione Educativa: “Non si prende abbastanza in considerazione la possibilità che, almeno in parte, il discorso etnico, i sentimenti di appartenenza, il senso delle differenze siano le conseguenze e non le cause di conflitti”43. Dopo la descrizione regionale dell’Italia e quella per stati dell’Europa, si 42 Ivi. 49 passa poi al resto del mondo seguendo la classica scansione dei contenuti. Comprimendo il discorso in pochissime pagine, il rischio di coltivare la scorciatoia dello stereotipo è qui ancora maggiore. Entrando fortemente in gioco la selezione degli argomenti da trattare, diventano ancor più manifeste non solo le immagini dell’altro, ma anche i valori che riteniamo importanti per rappresentare il mondo e rapportarci alle culture ‘altre’. In questo senso, l’incontro con l’altro si appiattisce su considerazioni di tipo economico, con un mondo diviso tra Nord e Sud, Paesi ricchi e Paesi poveri, sviluppati e sottosviluppati (o in via di sviluppo), avanzati e arretrati. È impossibile certamente non tener conto delle effettive asimmetrie di potere, degli squilibri nella distribuzione delle risorse, alla base della disuguaglianza tra i popoli della terra e della riduzione del mondosud a “resto del mondo”44. Queste ‘relazioni di potere’ intervengono prepotentemente anche nella rappresentazione dell’altro, tanto che ancora valide sembrano le considerazioni di Falteri: “i popoli extraoccidentali vengono a definirsi […] come mancanti o bisognosi di (capitali, derrate, tecnologie…)”, oppure come specchio 43 F. Dei, “Il relativismo culturale dopo l’11 settembre”, in Cooperazione Educativa, la rivista pedagogica e culturale del Movimento di Cooperazione Educativa, Edizioni Junior, maggio-giugno 2002. 44 Per questo aspetto cfr. anche A. Gnisci, Una storia diversa, Meltemi, Roma 2001, p. 59. 50 delle responsabilità storiche dell’Occidente “piuttosto che oggetto di autonoma considerazione”.45 I paesi asiatici, ad esempio, hanno un’economia arretrata se si eccettuano le zone industrializzate. In Sapere e saper fare 5 una fotografia mostra una bambina al lavoro: “in molti paesi dell’Asia i bambini lavorano in condizioni di sfruttamento e schiavitù”46. L’india, in particolare, è un paese che non riesce a “produrre a sufficienza per alimentare tutti”47. Nel concentratissimo spazio che le è dedicato, l’equivoco sembra dietro l’angolo. Immediatamente dopo la constatazione delle deficienze alimentari del paese, viene presentato, quasi in contrasto, quasi come una colpa, il tabù alimentare che vieta il consumo di bovini, considerati animali sacri. Il discorso non porta a nessun approfondimento e rinchiude l’India nel suo più classico stereotipo: Paese poverissimo, eppure il “più spirituale del mondo”. L’America settentrionale è il continente più sviluppato del mondo. Gli USA, in particolare, sono la più grande potenza economica − grazie alla ricchezza del sottosuolo e alla “capacità di sfruttarla con tecnologie avanzate” − e militare − con un esercito “presente in varie parti del 45 P. Falteri, Interculturalismo…, op. cit., pp 12-13. Testo n. 9, p. 208. 47 Ivi. 46 51 mondo, a volte in missioni di pace”48. Vengono ricordati come società multietnica, in cui la maggioranza della popolazione discende da europei e africani, con una minoranza di amerindi. Il testo n. 10 accenna ai problemi presenti anche in uno Stato ricco come gli Usa: disoccupazione, disuguaglianze sociali, problema della convivenza razziale49. Nel sussidiario n. 9, una critica non facilmente accessibile ad un osservatore distratto è presente in una parziale sovrapposizione della statua della libertà, simbolo di New York, e un disegno raffigurante lo sterminio dei pellirosse i cui sopravvissuti vivono ancor oggi “confinati in territori limitati, le riserve”50. Resta ad ogni modo evidente la “chiusura” degli Indiani d’America all’interno di un discorso tutto Occidentale, che attinge a quell’alterità come serbatoio mitico dalle molteplici funzioni. Conviene così immaginarli chiusi nelle riserve, sia per le possibilità di critica delle colpe dell’Occidente, sia come possibilità di riscatto e purificazione dai mali della modernità. È un discorso, tuttavia, che non riguarda i soli “pellirosse”, ma che può facilmente estendersi ad altre forme di alterità presentate, scelte tra popolazioni lontane, ancora legate alle loro tradizioni e tuttavia “in 48 Ivi, p. 314. Cfr. testo n. 10, p. 314. 50 Cfr. testo n. 9, p. 215. 49 52 pericolo”: gli indios dell’amazzonia, che si legano alle preoccupazioni ambientaliste per la distruzione della foresta, e gli aborigeni australiani, che si oppongono alla distruzione portata dal “bianco colonizzatore”. “I paesi dell’America centro-meridionale sono poveri, […] la ricchezza è distribuita in modo diseguale, […] molti si trasferiscono nelle città, dove spesso vivono in quartieri di baracche nelle periferie”51. Argentina, Cile e Brasile vengono tuttavia definiti “in via di sviluppo”. In Nuovo imparare a studiare 5, nessuna finestra sugli aspetti culturali viene aperta nonostante la voce “cultura” presente nel titolo di un paragrafo. A meno che essa non si riferisca ad una fotografia di favelas brasiliane (accompagnata da una didascalia che spiega le condizioni di miseria e povertà in cui vive la maggioranza popolazione) o ad una del carnevale di Rio (non accompagnata da alcuna spiegazione)52. Sapere e saper fare 5 cita gli Yanomami, dei quali sottolinea la profonda conoscenza dell’ambiente in cui vivono e tuttavia “in pericolo per il continuo disboscamento della foresta amazzonica”53. Una certa ambiguità è presente nella definizione che di loro viene data come “popolazioni antiche”. Da un lato perché evoca il parallelo con i nostri 51 Ivi, pag. 217. Testo n. 8, p. 76. 53 Testo n. 9, p. 217. 52 53 antenati primitivi e dall’altro perché, anche quando positivamente riferito ad una presunta profondità di radici e tradizioni culturali, configura un certo immobilismo. Non è forse un caso che questo termine non venga usato per i paesi industrializzati. Nel senso di critica dei “bianchi colonizzatori”, vengono presentati gli aborigeni australiani. La voce dell’altro viene, ancora una volta, “recitata” dall’Occidente. Lo stesso sussidiario riporta in proposito la storia di un film di Herzog, Dove sognano le formiche verdi54, in cui gli aborigeni combattono per difendere un posto per loro sacro dalla distruzione. Si tratta di un buon film, interessante da considerare anche da un’ottica antropologica, tuttavia la fonte è, ancora una volta, esclusivamente occidentale. L’Occidente mantiene il monopolio della rappresentazione dell’altro utilizzando i suoi canali di comunicazione: “Andiamo al cinema” è il titolo dell’ingrandimento55. I paesi africani si configurano come tra i più poveri al mondo nonostante la ricchezza di risorse minerarie ed energetiche. Tale disponibilità del sottosuolo non diventa in Africa fonte di sviluppo perché “mancano le strutture necessarie al loro sfruttamento e la manodopera specializzata è 54 55 Herzog W., Dove sognano le formiche verdi, Australia, 1984. cfr. Testo n. 9, p. 219. 54 quasi inesistente”56 (corsivo nostro). Non a caso possibilità di “progresso” vengono dal turismo, legato alle bellezze naturali e alla presenza di animali selvaggi, e da progetti di cooperazione internazionale. Un altro elemento caratterizzante dei Paesi africani è la presenza di numerosi popoli e tribù, spesso in contrasto fra loro, con conflitti che sfociano in vere e proprie guerre. In questo, la colpa è anche degli europei che “hanno tracciato confini che non tenevano conto delle differenze tra le varie popolazioni”57. È chiaro che l’esperienza coloniale non è stata solo una questione di confini e che la presenza di etnie diverse in uno stesso territorio nazionale non è giustificazione di conflitti. In campo culturale un “ingrandimento” viene aperto sugli aspetti folcloristici della musica, della danza e del cibo. Nonostante la superficialità, anche obbligata, di un simile approccio, tale spazio diventa una valida occasione di incontro con la realtà africana; soprattutto in Nuovo imparare a studiare 5, dove si sollecita una riflessione comparativa con il modo di concepire la musica e le occasioni del ballare e musicare proprie dei bambini della classe. 56 57 Testo n. 9, p. 211. Ivi 55 In Sapere e saper fare 5, il confronto è molto più banale e unilaterale: “se nella tua classe ci sono dei ragazzi di questi Paesi fatti dare qualche ricetta e…buon appetito!”58. 2.5 Studi Sociali Pur nella sua brevità, lo spazio dedicato agli Studi sociali ci consente di affrontare il discorso dei valori della nostra società e delle istituzioni indicate a garantirli. Il significato della parola “valore” viene individuato negli ideali di democrazia, libertà, cultura e solidarietà. Questi costituiscono il “bene comune”, tutelato, nello Stato italiano, dalla carta costituzionale, dalle istituzioni nazionali e dalle forze di polizia59. Manca una reale attenzione al tema della migrazione. Non si va oltre il livello dell’accoglienza o la necessità di convivere in una società multietnica, in “una sommatoria di esperienze e di tradizioni affiancate, tenute e considerate come separate”60. In tal modo, ci si limita spesso a considerazioni di tipo assistenziale e caritatevole: “in ogni comunità […] 58 Ivi, p. 211. Cfr. ad esempio testo n. 7. 60 A. Gnisci, Una storia diversa, op. cit., p. 101. 59 56 ci sono persone che hanno bisogno di aiuto e di compagnia: sono i malati, gli anziani, i disabili o gli stranieri che si sono appena trasferiti”61. L’ONU è fatta oggetto di particolare attenzione. Ispirata ai temi dello sviluppo e della pace, dovrebbe promuovere una cooperazione internazionale, eppure rivela spesso il suo volto occidentale. Nonostante riunisca membri di 189 paesi, nel testo n. 10, diventa una organizzazione formata dalle sole nazioni più sviluppate e ricche, riunitesi per risolvere i problemi dei Paesi in difficoltà e per portare pace e ricostruzione nel mondo62. Le fotografie rappresentano situazioni di disagio, malnutrizione, mancanza di cibo, scarse condizioni igieniche, con i soldati dell’ONU impegnati nei soccorsi. Ampio spazio è dato all’Unione Europea, con la cui costituzione ogni Paese d’Europa può assumere “un ruolo da protagonista”, potendo “contare molto nel mondo”. È una unità di cui si vogliono trovare le radici nel Sacro romano impero e nell’impero romano, che rappresentava 61 Testo n. 5, p. 287. Allo stesso modo, anche il Nuovo imparare a studiare 4 presentava nella stessa pagina tre fotografie: una coppia di persone anziane, un disabile, un immigrato nel suo precario lavoro di venditore ambulante. 62 Cfr. testo n. 10, p. 117. 57 una omogenea ed “unica realtà politica e culturale”, con una lingua comune, il latino, “almeno tra le persone più istruite” 63. Grandi ambiguità porta con sé il concetto di “nazione”. Da un lato lo si vuole distinguere dallo Stato, dall’altro diviene quasi sinonimo di cittadinanza o ancora, finisce per alludere ad una omogeneità culturale all’interno di una stessa “comunità nazionale”: in Nuovo imparare a studiare 5, la “nazione” diventa un “territorio che riunisce genti legate dalla stessa lingua e da tradizioni e storia comuni”64 unite “dalla coscienza di condividere una stessa cultura”65. Tale interpretazione sembra francamente non più condivisibile e pone enormi complicanze in contesti caratterizzati da forti scambi culturali, così come nel definire la “nazionalità” di figli di “coppie miste”. Il rischio è quello di naturalizzare il concetto di “nazionalità” così come, ancora più frequentemente e per ossimoro, si fa con quello di cultura. E’ l’idea per cui una “nazione” diviene metafora dell’identità, attraverso l’individuazione di un’unica cultura ed un'unica lingua, e, al contempo, luogo di esclusione e cancellazione di altre realtà subalterne e marginali, che impongono piuttosto l’esigenza di una lettura multiculturale e 63 Ivi, p. 249. Testo n. 8, p. 86. 65 Ivi, p. 37. 64 58 multilinguistica della società e la rottura di quella riduttiva, eppure diffusa, equazione tra lingua-cultura-nazione. La storia e la realtà attuale ci aiutano a comprendere come tutte le identità siano composite. Utili, in questo senso, ci appaiono le riflessioni di Glissant, che pone l’attenzione sui pericoli che si manifestano quando ci si immagina attraverso la costruzione di “un’identità a radice unica, che esclude ogni altra”66. Pericoli concreti, d’altronde, spesso drammatici come in Iugoslavia, in Libano o nelle relazioni tra Occidente e mondo islamico, ma che più quotidianamente si manifestano nel sentirsi minacciati nell’incontro con identità differenti: “ci sembra che … se non siamo più noi stessi siamo perduti!”67. 66 67 È. Glissant, Poetica del diverso, Meltemi, Roma 1988, p. 20. Ivi. 59