1 UNIVERSITA` DI PADOVA - FACOLTA` DI

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UNIVERSITA' DI PADOVA - FACOLTA' DI AGRARIA
Master in Cooperazione allo sviluppo nelle aree rurali
ARGOMENTI TRATTATI NEL CORSO DELLA LEZIONE:
1) Importanza dello studio dei suoli
2) La crosta terrestre
3) La presenza dei suoli sulla terraferma
4) La litosfera, la pedosfera, l’idrosfera e l’atmosfera
5) Le rocce ignee, le rocce sedimentarie e le rocce metamorfiche
6) La disgregazione e l’alterazione delle rocce
7) Origine e caratteristiche dei substrati pedogenetici
8) Principali fattori di formazione dei suoli
9) Suoli naturali e suoli agrari
10) Componenti abiotiche e biotiche del suolo
11) La sostanza organica
12) Le forme del paesaggio
13) Il clima
14) Gli organismi tellurici
15) La pedogenesi
16) Il profilo del suolo
17) Orizzonti e strati
18) La tessitura
19) La struttura
20) La porosità
21) I principali orizzonti del suolo
22) I principali tipi di suoli
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PRIMA PARTE
Argomenti della lezione: i substrati pedogenetici.
- Formazione della crosta terrestre
- Categorie di rocce
L’Universo ha la rispettabile età di 15 miliardi di anni, ma la nebulosa solare che
diede origine ai pianeti è molto più giovane, poiché si è formata “solo” 4,7 miliardi
di anni fa. La Terra, terzo pianeta in ordine di distanza dal sole, sorta come una
massa magmatica, ha poi subito un processo di raffreddamento e consolidamento che
ha proceduto dall’esterno verso l’interno e che ha portato alla formazione della
“crosta terrestre”, costituita dal materiale duro e compatto delle rocce.
La Terra è uno dei corpi del sistema solare, di cui il Sole costituisce più del 99%
dell’intera massa. Il Sole è a sua volta una delle più di cento miliardi di stelle che
compongono la nostra galassia: la Via Lattea. Nell’Universo esistono numerosissime
galassie, anche molto diverse tra loro per forma e dimensioni.
Il sistema solare, oltre che dal Sole, è composto dai suoi pianeti e dai loro satelliti,
dagli asteroidi, dalle comete e dalle meteoriti. L’insieme dei dati scientifici raccolti,
hanno confermato che tutti i corpi celesti dell’Universo sono costituiti dagli stessi
elementi chimici di cui è formata la Terra e che la relativa abbondanza di questi
elementi, è quasi ovunque la stessa.
La porzione del nostro pianeta che possiamo esaminare con l’osservazione diretta,
è però costituita da una sottilissima pellicola esterna: le perforazioni esplorative
scientifiche più profonde non superano i 12 km e, quindi, paragonate al raggio medio
della Terra che è di 6.370 km, non sono che scalfitture superficiali. Ciononostante,
con l’ausilio delle montagne più alte e delle menzionate perforazioni esplorative, i
geologi sono riusciti a ricostruire pile rocciose con spessori di circa 20 km. Inoltre le
eruzioni vulcaniche portano in superficie materiali fusi e gas provenienti da
profondità notevoli, ma mai superiori a 200-250 km e ciò significa che la maggior
parte dell’interno del nostro pianeta rimane ancora inaccessibile allo studio diretto da
parte dell’uomo, che, però, ha a disposizione numerosi mezzi indiretti per conoscere
gli strati con maggiore o minore densità, la distribuzione e abbondanza di alcuni
elementi minerali, le variazioni nella conducibilità elettrica e l’andamento della
temperatura a grandi profondità.
Anche le onde elastiche generate dai terremoti, forniscono importanti informazioni
sulla costituzione sull’interno della Terra; brusche variazioni delle velocità delle
onde sismiche, possono fornire importanti informazioni circa lo stato fisico della
materia e cambiamenti improvvisi nella composizione chimica degli strati.
Sulla scorta di queste informazioni, l’interno della Terra è stato diviso in tre parti:
la crosta, compresa tra la superficie esterna e la prima discontinuità, il mantello,
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compreso tra la prima e la seconda discontinuità e il nucleo, che comprende la parte
tra la seconda discontinuità e il centro della sfera terrestre.
Del nucleo, completamente inaccessibile e sottoposto ad una elevatissima
pressione, si conosce ben poco ed è possibile solo fare delle ipotesi sulla sua
composizione chimica, che dovrebbe essere costituita da una lega di ferro e nickel
(nife).
Il mantello costituisce una parte della Terra parzialmente accessibile, poiché
l’attività vulcanica porta alla superficie materiali che si trovano al di sotto della
crosta terrestre. Questi materiali hanno una composizione in cui predominano
l’ossigeno, il silicio, il magnesio e il ferro (mafe). Si pensa comunemente che la
composizione chimica del mantello sia omogenea e, quindi, sempre dominata dai
quattro elementi suindicati. Nel mantello la pressione è ancora molto elevata ed è lì
che, ad esempio, si formano i diamanti (carbonio puro allo stato naturale, massima
durezza conosciuta), dovuti alla cristallizzazione del carbonio magmatico, che
vengono portati in superficie dall’attività vulcanica che si sviluppa attraverso
particolari condotti imbutiformi detti kimberlitici.
La crosta o meglio “la crosta terrestre” costituisce l’involucro più esterno del
pianeta ed è costituita da rocce il cui limite inferiore è costituito da uno strato di
discontinuità detto moho. Lo spessore della crosta terrestre varia da 75 km in
corrispondenza delle più alte catene montuose, a 4-5 km nelle più profonde
depressioni oceaniche, con una media di circa 22 km di spessore. Nell’enorme
varietà delle rocce, diverse per composizioni chimica, combinazioni mineralogiche e
struttura, predominano di gran lunga le rocce eruttive, che da sole costituiscono il
95% dei primi 15 km di spessore della crosta terrestre. In un elenco degli elementi
minerali in ordine di abbondanza decrescente, si può vedere come le rocce della
crosta terrestre siano costituite, per oltre il 99% del loro peso, da soli otto elementi:
ossigeno (O), silicio (Si), magnesio (Mg), ferro (Fe), alluminio (Al), calcio (Ca),
sodio (Na) e potassio (K). Altri elementi presenti nelle rocce, ma in percentuale
molto bassa, sono il titanio (Ti), l’idrogeno (H) e il fosforo (P), mentre molti altri
elementi ancora sono presenti solamente in tracce.
L’insieme delle rocce costituiscono la litosfera, che coincide quindi con la crosta
terrestre, che si trova in stretto contatto con le zone in cui è presente l’idrosfera e il
tutto è avvolto dall’atmosfera. La litosfera, l’idrosfera e l’atmosfera interagiscono tra
loro in vario modo; ad esempio con il ciclo dell’acqua, che con l’evaporazione, la
condensazione e la precipitazione coinvolge le masse d’acqua, la parte bassa
dell’atmosfera e le superfici rocciose, coperte o non coperte dai suoli e dalla
vegetazione.
Con la formazione del nucleo, del mantello e della crosta esterna in contatto con
l’idrosfera e l’atmosfera, il pianeta Terra non ha esaurito il suo compito di sistema
dinamico in evoluzione. L’energia interna del nucleo, fa funzionare in continuazione
enormi celle convettive che, specialmente nel mantello, rimescolano in
continuazione la massa fusa su larga scala, opponendosi alla separazione chimica e
mentre nella crosta terrestre i processi sedimentari e litogenetici di superficie
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producono una differenziazione molto spina nella combinazione degli elementi, in
profondità i processi di fusione anatettica e la lenta migrazione allo stato solido degli
elementi chimici, tendono a ristabilire ovunque una composizione di tipo granitico. I
processi geologici attivi in profondità e sulla superficie terrestre, hanno prodotto e
continuano a produrre una grande varietà di rocce.
La roccia è un aggregato minerale naturale costituito da sostanze cristalline e lo
studio delle rocce, implica il riconoscimento delle specie mineralogiche che
costituiscono i granuli elementari delle rocce stesse, generalmente eterogenee
(polimineraliche), cioè costituite da più minerali riuniti a formare composti
cristallini. Le rocce formate da un solo minerale, cioè omogenee (monomineraliche),
sono meno frequenti.
La prima distinzione delle rocce riguarda la loro genesi, cioè i processi attraverso i
quali si sono originate e, da questo punto di vista, tutte le rocce vengono divise in tre
sole categoria: le rocce ignee (che vengono chiamate anche eruttive o magmatiche)
che si formano a seguito della cristallizzazione da materiale fuso, le rocce
sedimentarie che si originano dalla precipitazione da una soluzione e le rocce
metamorfiche che derivano dalla ricristallizzazione allo stato solido di rocce ignee o
sedimentarie.
- Le rocce ignee sono le più diffuse e costituiscono la gran parte della crosta
terrestre. Si formano a seguito della solidificazione di una massa fusa chiamata
magma la cui composizione è costituita prevalentemente da silice (SiO2). Il magma
ha origine dalla fusione di rocce preesistenti che possono appartenere al mantello o
alla crosta. Il raffreddamento della massa fusa porta alla formazione di rocce con
contenuti mineralogici anche molto diversi e ciò perché i minerali si formano
secondo un certo ordine, chiamato cristallizzazione frazionata, che dipende dalla
composizione chimica del magma e dalla temperatura di fusione dei singoli minerali.
Le rocce ignee, a seconda dei contenuti mineralogici e della loro struttura, prendono i
nomi di graniti, basalti, rioliti e molti altri.
- Le rocce sedimentarie costituiscono solo il 5% della crosta terrestre, ma sono
ugualmente estremamente diffuse e comuni, perché formano una sottile pellicola
superficiale che copre una buona parte delle terre emerse e del fondo dei mari e degli
oceani. I sedimenti sono depositi di materiale che deriva dai processi esogeni
(erosione ecc.), dal trasporto attivo idrico ed eolico che avviene sulla superficie
terrestre e dalla elaborazione di materiale che costituiva rocce preesistenti.
Generalmente la formazione delle rocce sedimentarie segue una serie di processi che
comprendono la disgregazione fisica e/o l’alterazione chimica di materiale roccioso
preesistente, il trasporto operato dall’acqua, dal ghiaccio o dal vento degli elementi
minuti, la precipitazione chimica o la deposizione fisica per gravità, l’accumulo di
grandi quantità di materiale in singoli granuli nelle foci dei fiumi nelle piane abissali
marine più profonde e, infine, la diagenesi (o litogenesi), che porta alla
compattazione e alla cementazione dei granuli e alla formazione della roccia. Sono
rocce sedimentarie le arenarie, le argilliti, i gessi, i calcari, le dolomie e molte altre.
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- Le rocce metamorfiche si formano per modificazione della struttura, della tessitura
e dell’associazione mineralogica di rocce sedimentarie, ignee o anche metamorfiche
preesistenti. Gli agenti del metamorfismo sono la pressione e la temperatura; la
variazione di uno dei due parametri fisici o di entrambi, porta alla modificazione
delle caratteristiche di partenza della roccia, pur senza perdita o apporto di materiale
e ciò comporta che le rocce metamorfiche hanno la stessa composizione chimica
delle rocce di partenza, ma con elementi minerali diversamente combinati e disposti.
La cristallizzazione metamorfica non passa attraverso la fusione della roccia, ma
avviene allo stato solido. Con la profondità la temperatura aumenta di circa 30 °C
ogni km (ma in certi casi anche del doppio) e la pressione aumenta di 250-300 bars
per km (1 bar = 1 atmosfera) e dove si formano le catene montuose, la pressione
raggiunge quindi valori di 3000 bars e più. In queste situazioni geologiche, la
temperatura e la pressione determinano condizioni che possono portare alla
formazione di tessiture in cui i minerali si concentrano e si dispongono con superfici
perpendicolari rispetto alle spinte a cui sono sottoposti e le rocce che si sono formate
con questo tipo di metamorfismo, si sfaldano secondo piani paralleli. Le rocce
metamorfiche prendono il nome di serpentini, quarziti, gneiss, filladi ecc..
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SECONDA PARTE
Argomenti della lezione: formazione e sviluppo del suolo.
- Origine e caratteristiche dei substrati pedogenetici
- Principali fattori di formazione del suolo
- Componenti abiotiche e biotiche dei suoli
- Il ruolo della sostanza organica
- Fertilità fisica e fertilità chimica
- Sviluppo dei suoli
Il termine “suolo” assume diversi significati. Geologi e ingegneri, ad esempio,
considerano il suolo rispettivamente come un complesso di strati geologici e come
depositi detritici interessanti le opere di fondazione dei manufatti. Per gli Agronomi,
i Forestali e i laureati in Scienze naturali, il suolo costituisce l’ambiente dove si
sviluppano gli apparati radicali dei vegetali e deriva dai processi di disgregazione e
alterazione delle rocce, dalla decomposizione della sostanza organica, dall’attività
degli organismi tellurici e dai molteplici e complessi processi fisici, chimici e
biochimici che si instaurano tra gli elementi abiotici e biotici della pedosfera.
In una prima necessaria divisione tra suoli, questi vengono distinti in suoli naturali
e suoli agrari o, meglio, in suoli naturaliformi e suoli antropici, poiché i suoli
realmente primari e naturali, sono ormai ridotti a meno del 10% della superficie delle
terre emerse del Pianeta.
- I suoli naturali sono quelli che sottostanno ad una vegetazione che non ha subito
significativi interventi da parte dell’uomo e generalmente presentano massima
fertilità e un soprassuolo vegetale arboreo plurispecifico, disetaneo e pluriplano,
tipico delle grandi foreste vergini. I suoli naturaliformi sono i suoli dei boschi, delle
praterie, delle taighe, delle steppe e delle savane, che pur essendo direttamente o
indirettamente influenzati dalla presenza dell’uomo, non sono stati interessati da
prolungate pratiche agricole.
- I suoli agrari sono quelli che hanno perduto ogni caratteristica di naturalità a causa
dei pesanti e ripetuti interventi agronomici e la completa sostituzione del vegetazione
spontanea del soprassuolo, sostituita dalle colture agrarie; a questi suoli sono stati
aggiunti concimanti organici o minerali e/o emendanti, adacquamenti di soccorso
ecc., che hanno portato ad una forte alterazione delle caratteristiche fisiche e
chimiche degli originari suoli naturali. I suoli coltivati (terreni agrari), infatti,
differiscono in modo sostanziale dai suoli naturali, anche perché il soprassuolo è
spesso costituito da colture monospecifiche per l’alimentazione umana o per la
produzione di mangimi destinati agli animali d’allevamento.
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Quali che siano i suoli, essi hanno sempre origine dai detriti minerali derivanti
dalle rocce; questi detriti costituiscono il substrato pedogenetico, (il parent material
per gli inglesi e zone de départ per i francesi). Tale substrato può provenire
direttamente dalla disgregazione e alterazione della roccia sottostante, o essere
costituito da un insieme di frammenti provenienti da rocce situate in altre zone e
dislocati lontano dal luogo d’origine dalla forza di gravità, dal trasporto idrico, dal
ghiaccio o dal vento; questi detriti vengono depositati sopra rocce con le quali non
hanno alcun rapporto d’origine. Nel primo caso il substrato pedogenetico si dice
residuale o autoctono, poiché proviene dalla roccia madre su cui si trova; nel
secondo caso viene detto alloctono e, a seconda dell’agente di trasporto, verrà
distinto in deposito colluviale se il trasporto e l’accumulo detritico è dovuto alla
forza di gravità, alluvionale se trasportato o il depositato è dovuto alle acque di
scorrimento superficiale, morenico se l’agente di trasporto è stato il ghiaccio ed
eolico se il deposito è dovuto al vento.
I substrati pedogenetici possono anche derivare da più di un agente di trasporto,
come avviene, ad esempio, per i depositi dovuti alla forza di gravità e dello
scorrimento dell’acqua di superficie (gravitativi e idrici). Generalmente i depositi
autoctoni derivano da un solo tipo di roccia e vengono quindi indicati come
monolitici, gli altri normalmente sono costituiti da più tipi di roccia e si dicono
eterolitici. E’ importante rilevare come l’agente di trasporto riguardi solo il substrato
pedogenetico e non il suolo e, pertanto, è sbagliato parlare di suoli alluvionali, suoli
morenici e così via.
I substrati pedogenetici autoctoni monolitici offrono una composizione
mineralogica uniforme e ciò comporta che normalmente i suoli che si formano su
questi substrati presentano delle deficienze chimiche maggiori rispetto ai suoli che si
formano e si sviluppano su substrati alloctoni eterolitici, che possono disporre di
materiale di disgregazione e di alterazione con uno spettro chimico più differenziato
I substrati pedogenetici colluviali sono quelli il cui trasporto è stato operato dalla
forza di gravità, ne sono un esempio i depositi detritici che si accumulano ai piedi
delle montagne sotto forma di falde detritiche e conoidi di deiezione (ghiaioni), le
frane con scorrimento più o meno rapido, i debris flow (colate detritiche), i fenomeni
di soliflusso e i pediments. I materiali colluviali sono per lo più grossolani e
costituiscono depositi generalmente per nulla o poco selettivi, potendo includere
anche massi di enormi dimensioni. I substrati colluviali costituiscono normalmente
versanti ad acclività accentuata e non di rado instabili.
I substrati pedogenetici alluvionali sono costituiti da materiale detritico
proveniente dalla disgregazione fisica e dalla alterazione chimica delle rocce in clasti
delle dimensioni che vanno dai massi alle argille, trasportati e depositati in modo
selettivo dalle acque di scorrimento dei ruscelli, dei torrenti e dei fiumi lungo e alla
fine del loro corso. I vari materiali si depositano, via via selezionati secondo il loro
peso e le loro dimensioni, man mano che la forza di trasporto delle acque diminuisce
e si annulla; avviene quindi che, mentre i materiali più minuti quali le argille, i limi e
le sabbie possono essere trasportati anche per notevoli distanze, quelli di dimensioni
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maggiori, come le ghiaie i sassi e i massi, normalmente vengono trasportati per tratti
più brevi e depositati nelle zone più a monte del corso d’acqua. Questo trasporto
selettivo dipende dalla quantità e velocità della massa d’acqua, dalla pendenza
dell’alveo e dall’ampiezza della sua sezione. Con il variare della massa e della
velocità, dovranno depositarsi quei materiali che la diminuzione della forza
dell’acqua non riesce a trascinare più a valle. La caratteristica più evidente di questi
substrati, è quindi costituita dalla selezione dei detriti depositati. Questi depositi
costituiscono le pianure alluvionali, i terrazzi alluvionali, i coni di deiezione dei
torrenti e i delta dei fiumi. Un esempio evidente è costituito dalla pianura deltizia del
Po formata dalla parte sporgente nell’Adriatico per una superficie di circa 500 kmq e
costituitasi a partire dal 1300, con un’avanzata attuale di circa 70-80 metri all’anno.
I substrati pedogenetici morenici, sono costituiti dai detriti provenienti dalla
disgregazione e alterazione delle rocce dei rilievi montuosi in cui si trova il
ghiacciaio e che lo stesso movimento del ghiaccio trasporta e deposita a valle
costituendo archi morenici frontali e depositi morenici laterali. I depositi morenici
sono costituiti da una mescolanza caotica di massi, sassi, ghiaie, sabbie, limi e
argille, spesso rimaneggiati dalle acque di fusione del ghiacciaio, dando origine a
substrati morenico-alluvionali.
I substrati pedogenetici eolici comprendono sabbie, limi e argille in diverse
proporzioni e costituiscono le dune, i loess, i depositi di ceneri e polveri vulcaniche.
Le particelle minerali più minute come le argille, possono essere solevate dal vento e
trasportate anche ad enormi distanze, non di rado da un continente all’altro. Le
sabbie delle dune dei deserti continentali costituiscono l’esempio più evidente di
substrati eolici, mentre le dune litorali sono spesso dovute alle forse congiunte del
vento e dell’acqua (substrati eolico-alluvionali). Questi depositi sono spesso selettivi
e stratificati. I loess sono depositi in gran parte di natura limosa, trasportati dalle
superfici non coperte dalla vegetazione alle regioni circostanti allorché la forza del
vento perde velocità. Questi substrati, per la notevole lentezza con cui si formano,
generalmente sono poco o nulla stratificati. Le ceneri e le polveri vulcaniche sono
costituite da particelle minutissime di lava proiettata a grandi altezze dall’attività
eruttiva dei vulcani e, per la loro estrema leggerezza, trasportate dalle correnti
atmosferiche a grandi distanze, che possono comprendere anche l’intera
circonferenza del globo, prima di ricadere sulla superficie terrestre. In occasioni di
grandi eruzioni vulcaniche, ceneri e polveri vulcaniche possono costituire spessori
uniformi di parecchi centimetri anche a più di 1000 km di distanza.
I substrati pedogenetici sono quindi costituiti da materiale minerale allo stato
solido cristallino definito abiotico, cioè senza vita. I materiali cristallini più
importanti al fine della formazione dei suoli sono costituiti da aloidi, solfuri, ossidi,
carbonati, solfati, fosfati e silicati. Questi minerali forniscono al processo di
formazione del suolo una gran parte degli elementi chimici necessari alla crescita
delle piante e in misura variabile al variare del tipo di roccia di cui è costituito lo
stesso substrato pedogenetico, ma per quanto vario possa essere lo spettro chimico
degli elementi presenti in forme prontamente assimilabili dalle piante, in nessun caso
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potrà essere sufficiente per coprire le indispensabili esigenze di macroelementi e
microelementi necessari alla crescita delle piante.
Oltre ai contenuti chimici, la formazione e lo sviluppo dei suoli vengono
condizionati dai caratteri fisici del substrato, poiché i rilasci che seguono la
disgregazione meccanica e l’alterazione chimica delle rocce, sarà molto diverso a
seconda che provengano, ad esempio, da argilliti o da arenarie, da loess o da calcari
compatti, da tufi o conglomerati.
La sostanza organica che giunge al suolo è costituita dalle spoglie non più vitali
degli organismi vegetali e animali. Tutti gli organismi viventi che nascono e
crescono sulle terre emerse, alla fine del loro ciclo vitale giungono al suolo e la loro
decomposizione, è essenziale e indispensabile per la formazione dei suoli. Nessun
suolo si può formare e sviluppare senza l’apporto degli elementi chimici forniti dalla
sostanza organica, poiché la disgregazione e l’alterazione delle rocce non è mai in
grado di assicurare agli apparati radicali dei vegetali tutti i macroelementi e i
microelementi indispensabili per la crescita delle piante.
La decomposizione della sostanza organica avviene per l’intervento di numerosi
microrganismi degradatori (insetti, aracnidi, batteri, funghi ecc.) e di complessi
processi chimici e biochimici che riducono la sostanza organica in elementi minerali
semplici o in micelle umiche (mineralizzazione e umificazione). La mineralizzazione
della sostanza organica, si conclude con la messa a disposizione degli apparati
radicali delle piante degli elementi chimici prontamente assimilabili circolanti in
sospensione nella soluzione acquosa. Le sostanze umiche, invece, sono costituite da
strutture organiche complesse che risultano più stabili dei materiali di partenza, non
appartengono ad un’unica categoria di composti chimici e non sono ancora state
definite in termini strutturali precisi; sono comunque caratterizzate dall’avere colori
variabili dal giallo al nero. Operativamente vengono identificate con termini
convenzionali e divise in base alla loro solubilità in acidi e basi. Le definizioni più
comunemente usate per le sostanze umiche riguardano gli acidi umici, gli acidi
fulvici e l’umina: gli acidi fulvici costituiscono quella frazione che risulta essere
solubile in soluzione acquosa a qualsiasi valore di pH; gli acidi umici costituiscono
la frazione che precipita soluzioni acquose quando il pH viene fatto scendere fino a
valori inferiori a 2; l’umina è costituita da quella parte di sostanze umiche che non
risulta solubile in acqua a nessun valore di pH. E’ importante sottolineare che
ognuna di queste tre frazioni non costituisce mai un composto puro, ma un
complicatissimo ed eterogeneo miscuglio di minerali di provenienza organica. In
natura le sostanze umiche si trovano ovunque ci sia della sostanza organica in
decomposizione e in un suolo equilibrato rappresenta circa il 50% di tutta la sostanza
organica presente. Le sostanze umiche, che insieme alle argille costituiscono la
componente colloidale del suolo, subiscono a loro volta processi di alterazione che le
rendono adatte all’assimilazione da parte delle radici delle piante.
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La morfologia dell’ambiente di formazione dei suoli, ha un ruolo non secondario
in ogni fase del ciclo pedogenetico. E’ indubbio, infatti, che i suoli subiscono, sia al
loro esterno che all’interno, gli effetti dovuti alla variazioni delle forme del
paesaggio, in cui l’altitudine, l’acclività e l’esposizione, costituiscono fattori di
grande importanza anche sui tempi di formazione, sviluppo e maturazione del suolo.
L’azione esterna riguarda gli effetti diretti e indiretti della pendenza e
dall’esposizione sulla superficie topografica; effetti che generando modificazioni
normalmente di natura fisica nei suoli. La pendenza condiziona la quantità e la
qualità dello scorrimento superficiale delle acque meteoriche, portando a varie forme
di erosione e di accumulo di materiali terrosi; l’esposizione condiziona
l’irraggiamento solare, l’illuminazione, la ventilazione, l’evapotraspirazione e la
rinnovazione vegetale. Inoltre l’acclività influisce in modo determinante sui
fenomeni di soliflusso e dei movimenti di massa in generale. L’azione interna al
suolo riguarda la coltre pedogenizzata ed è legata alla potenza del solum e alla
profondità dello strato impermeabile o della falda freatica: interessa la percolazione e
lo scorrimento subsuperficiale e profondo dell’acqua, con effetti fisici sulla
deviazione dei processi di eluviazione, di illuviazione, di lisciviazione, di
podzolizzazione e sul pedoclima, mentre gli effetti chimici riguardano
l’ossidoriduzione, l’umificazione, il pH, la presenza e l’attività biologica, i processi
biochimici.
Il ruolo del clima è di fondamentale importanza per la pedogenesi, poiché è nella
distribuzione annuale della temperatura e delle precipitazioni che vengono controllati
gran parte dei processi di formazione e di sviluppo dei suoli. Il clima terrestre è
influenzato da fattori cosmici e geografici, i primi riguardano il movimento di
rivoluzione della Terra, l’eccentricità dell’orbita terrestre, il movimento di rotazione,
la forma sferica della Terra e l’incidenza dei raggi solati: i secondi la distribuzione
delle terre emerse e dei mari, la distanza dalle grandi masse d’acqua, l’orientamento
dei sistemi montuosi, la consistenza del rilievo e l’esposizione geografica, i caratteri
del substrato pedogenetico e il tipo e la composizione del soprassuolo. Mentre i
fattori cosmici condizionano la distribuzione climatica per fasce di latitudine, i fattori
geografici condizionano il clima in rapporto all’altitudine e creando situazioni locali
più o meno estese in cui, ad esempio, la distanza dalle grandi masse d’acqua fanno
diminuire sensibilmente le escursioni termiche stagionali.
In linea generale, in una classificazione del clima agli effetti pedogenetici, viene
tenuto conto della ripartizione annuale della temperatura, da cui si giunge ai seguenti
tipi climatici, procedendo da quello più caldo a quello più freddo: clima tropicale,
clima subtropicale, clima temperato, clima freddo e clima polare. I climi che
interessano la penisola italica sono del tipo temperato (meno di 4 mesi con
temperatura > 20°, da 4 a 12 mesi con temperatura tra 10° e 20°, meno di 4 mesi con
temperatura < 10°) e freddo (da 1 a 4 mesi con temperatura tra i 10° e i 20°, da 8 a 11
mesi con temperatura < 10°). In queste condizioni macroclimatiche, il pedoclima
viene classificato come “thermic” (coste mediterranee, gran parte della Sicilia, della
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Sardegna e della pianura Padana), “mesic” (Appennini e zone prealpine) e “cryic”
(Alpi).
Gli organismi vegetali e animali presenti come soprassuolo e nel suolo, risultano
fondamentali sia durante la formazione che nelle varie vasi del ciclo pedogenetico, in
cui la presenza biologica e organica costituiscono una componente determinante per
l’equilibrio e l’orientamento dei processi fisici, chimici e biochimici, che avvengono
all’esterno e all’interno del suolo. Nei diversi tipi si suolo, infatti, i processi che
portano alla loro maturazione (stato climax), dipendono in buona parte dalle
fitocenosi e zoocenosi telluriche e del soprassuolo. La formazione della lettiera varia
con il variare della mescolanza vegetale e quindi delle fitoassociazioni che
costituiscono il soprassuolo, nonché dalle presenze animali e fungine simbionti,
mentre la mineralizzazione e umificazione della sostanza organica della lettiera sono
in buona parte avviate dagli organismi demolitori, diversi per numero di specie e
quantità a seconda delle presenze vegetali del soprassuolo e della fase del ciclo
pedogenetico o di maturazione del suolo.
La pedogenesi ha luogo attraverso complessi processi di organizzazione, scissione,
trasformazione e riorganizzazione degli elementi che compongono il solum, cioè lo
“strato” in cui avviene anche ogni attività biologica. I processi di modificazione delle
singole particelle elementari che compongono il suolo, possono essere molto diversi
e spesso si riscontano anche processi contrapposti; alcuni che tendono a dirigere
l’evoluzione pedogenetica in una precisa direzione e altri che contrastano tale
sviluppo. In sintesi i processi pedogenetici si possono riunire in quattro grandi
categorie: acquisizione, perdita, traslazione e trasformazione del materiale minerale e
biologico del suolo. Questi processi, a seconda delle loro caratteristiche intrinseche e
della loro intensità, assumono denominazioni diverse, come eluviazione,
illuviazione, umificazione, lisciviazione, podzolizzazione, ferralitizzazione,
salinizzazione, gleyficazione, ecc.
L’attività dei processi pedogenetici, portano alla suddivisione del suolo in strati o
orizzonti e le caratteristiche intrinseche di questi orizzonti costituiscono i caratteri
distintivi di ogni tipo di suolo. L’insieme degli orizzonti e degli strati, prendono il
nome di profilo del suolo, che nella pratica può essere indagato in modo diretto
aprendo una “parete” verticale in cui vengono messi bene in vista orizzonti e strati
del suolo, normalmente fino ad una profondità di 150 centimetri.
La tessitura del suolo è rappresenta dalla distinzione, per classi di grandezza, delle
particelle minerali elementari della terra fine, dove vengono divise, in misura
decrescente di grandezza, le particelle della sabbia, del limo e dell'argilla.
Le proporzioni di queste particelle vengono espresse in percentuale con una
procedura di laboratorio semplice ma relativamente lunga, denominata "analisi
granulometrica". In campagna, però, è possibile un'analisi empirica immediata
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mediante la valutazione dei contenuti del materiale terroso al tatto, procedendo nel
seguente modo: si raccoglie un campione di pochi grammi di terra e lo si manipola
inumidendolo fino a raggiungere le condizioni di massima viscosità, poi, operando
una leggera pressione, si passa il materiale tra i polpastrelli delle dita o contro il
palmo della mano, quindi si valuta in percentuale di contenuto del campione che
produce sfregamento sulla pelle (sabbia) e quanto del materiale del campione risulta
appiccicoso (argilla), il resto si considera limo.
Queste analisi empiriche risulteranno attendibili solamente dopo aver fatto un po'
di pratica e aver confrontato per diverse volte le valutazioni di campagna con quelle
di laboratorio, ma con un po' di esperienza, le analisi granulometriche di campagna
possono risultare attendibili con uno scarto minimo di errore. Esse, comunque,
andrebbero sempre fatte, poiché possono servire per un confronto con quelle di
laboratorio in caso di errori, sempre possibili, nelle analisi dei campioni (ad esempio,
un involontario scambio dei campioni).
Nella definizioni della grandezza delle particelle che compongono la terra fine, non
vi è, purtroppo, alcun accordo internazionale, quindi, nelle diverse classificazioni
pedologiche, la sabbia e il limo vengono considerati diversamente per quanto attiene
alla grandezza delle particelle elementari. Solo per le dimensioni del limite superiore
delle particelle di sabbia, che viene indicato in 0,2 mm e per le argille che vengono
considerate tali le particelle con diametro minore di 0,002 mm, vi è accordo, mentre
per la divisione tra sabbia e limo e nelle ulteriori suddivisioni della sabbia indicate
da alcuni sistemi di classificazione, i limiti di grandezza risultano diversi e, quindi, è
necessario seguire, con rigore, le indicazioni circa la tessitura indicate nel sistema si
classificazione scelto per la descrizione del suolo.
La struttura del suolo. Le particelle di sabbia, limo e argilla (la terra fina), nei
suoli a vario grado di fertilità, normalmente si legano tra loro in modo più o meno
forte e più o meno stabile, per dar luogo a strutture di varia grandezza e forma, che
vengono indicate con il termine generale di "aggregati strutturali del suolo".
La struttura del suolo, viene distinta e descritta secondo il grado di sviluppo degli
aggregati, la loro forma e per classi di grandezza, con tabelle che sono diverse per
ogni sistema di classificazione. Nella classificazione FAO-Unesco, vengono distinte
le seguenti forme principali di aggregati: glomerulare, che ha un aspetto grumoso e
aggregati con spigoli arrotondati; poliedrica, con aggregati che presentano molte
facce e spigoli angolari; prismatica, dove gli aggregati hanno almeno due facce
parallele; lamellare, che si presenta in forme piatte, generalmente orizzontali o
suborizzontali rispetto alla superficie del suolo.
A volte sono presenti forme strutturali secondarie, che vengono descritte come le
forme principali. Per forme strutturali secondarie si intende quella proprietà che si
riscontra in alcuni suoli in cui le forme strutturali primarie si rompono in forme
secondarie (ad esempio, forme prismatiche si rompono in forme poliedriche).
La struttura del suolo deve essere descritta, se possibile, sia in condizioni di suolo
umido che secco all’aria. Per la descrizione della struttura del suolo (forma,
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grandezza), sono state predisposte apposite tabelle per ogni diverso sistema di
classificazione.
La porosità del suolo è costituita dai vuoti che si creano tra i singoli grani e
all’interno degli aggregati. Questi vuoti sono formati da un sistema di fessure, di
canalicoli e di vescicole di grandezza variabile, tra loro intercomunicanti o non
comunicanti, dove è presente l’aria e l’acqua e hanno luogo le reazioni tra parte
solida, parte liquida e parte gassosa del suolo.
Quando il suolo è saturo d’acqua, tutti i pori sono stati riempiti dall’acqua, ma
quando il suolo si asciuga, i pori più grandi si svuotano a causa della percolazione
dell’acqua spinta verso il basso dalla forza di gravità e il posto dell’acqua viene
preso dall’aria. Questo avviene per la macroporosità (i pori che si vedono ad occhio
nudo), mentre nei pori più piccoli l’acqua rimane più a lungo, trattenuta dalla forza
di adesività che contrasta efficacemente quella gravitazionale.
L’acqua disponibile per le piante è soprattutto quella capillare (porosità
microscopica), non soggetta a percolazione e non trattenuta con forza dal materiale
minerale (acqua igroscopica) ed è la stessa che mantiene umido il suolo.
I principali tipi di macropori si distinguono in: planari (o interstiziali), canalicolari
e vescicolari. La macroporosità planare è quella che si sviluppa a seguito della
formazione della struttura del suolo; i pori sono quindi comunicanti e formano una
rete più o meno fitta a seconda del grado di aggregazione delle particelle della terra
fine. La porosità canalicolare è quella dovuta alle radici delle piante e all’attività
della fauna tellurica; questi pori hanno varia grandezza e sviluppo e sono tra loro
comunicanti. La porosità vescicolare comprende le vescicole riempite di aria o di
acqua, non comunicanti tra loro, che si trovano più o meno numerose in molti tipi di
suoli.
Nei suoli con un buon equilibrio, la porosità è presente tra il 40% e il 60% rispetto
alla parte solida (minerali e sostanza organica).
Il profilo del suolo e la sua divisione in orizzonti e strati. Per l'esplorazione
verticale del suolo, ai fini di una sua classificazione, o per acquisire dati sul grado di
sviluppo, profondità, fertilità o altro, è necessario scavare una fossa più o meno
profonda, a seconda delle esigenze dettate dall'uso dei dati che si intendono acquisire
(agrario, forestale, geografico, pedologico ecc.).
Normalmente, una buona descrizione dei suoli profondi, comporta la realizzazione
di uno scavo per mettere alla luce una "parete" verticale del suolo fino ad una
profondità di m 1,50 (un metro e mezzo) per una larghezza di m 0,75.
La "parete", bene in vista, costituisce il "profilo del suolo".
Lungo il profilo del suolo, si distinguono più "strati", con andamento pressoché
parallelo alla superficie, che presentano diverso colore, o consistenza, o/e contenuti
in materiale grossolano, o screziature, o fessurazioni, o altre caratteristiche che li
distinguono gli uni dagli altri. Questi strati, in numero variabile (normalmente da due
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a quattro, ma possono essere anche molti di più) che si susseguono in profondità,
vengono chiamati "orizzonti del suolo".
Alcuni autori ritengono che si debbano indicare come "orizzonti", solo le parti del
suolo che hanno subito modificazioni a causa dell'attività biochimica (che sono gli
orizzonti che costituiscono il solum), così che le restanti suddivisioni del suolo in
senso verticale (normalmente quelle più profonde), manterrebbero la denominazione
di "strati".
Quando, in relazione alle informazioni che si intendono acquisire, non è necessario
scavare in profondità e mettere in evidenza l'intero profilo del suolo, è possibile fare
dei semplici sondaggi con sonde pedologiche; dal materiale che si preleva con le
sonde, non è però possibile ottenere tutte quelle informazioni che si ottengono con
l'apertura e la descrizione del profilo (scheletro, porosità, quantità e qualità delle
radici, limiti, ecc.), mentre è possibile l'acquisizione di altri dati (ad esempio dati
chimici). A volte, se è sufficiente acquisire informazioni pedologiche relative al solo
orizzonte superficiale del suolo (epipedon), sarà sufficiente mettere a nudo una
parete verticale fino a pochi decimetri di profondità (normalmente da 30 a 50 cm), in
questo caso si scaverà un "pozzetto", e si descriverà l’orizzonte o gli orizzonti che
così compariranno con le stesse modalità del profilo pedologico.
Prima della descrizione del profilo, è necessario aver fatto la scelta del sistema di
classificazione del suolo, poiché i dati sufficienti e necessari da acquisire durante le
operazioni di campagna, possono essere anche numericamente e qualitativamente
molto diversi a seconda del sistema di classificazione scelto (Fao-Unesco,
americano, inglese, francese, russo ecc.).
Nel sistema di classificazione proposto e adottato dalla Fao-Unesco per la carta
mondiale dei suoli, i singolo orizzonti vengono identificati con le seguenti lettere
dell’alfabeto:
H, O, A, E, B, C, R
A
E
B
C
R
Orizzonti di transizione.
Gli orizzonti del suolo che hanno proprietà intermedie tra due orizzonti principali,
vengono indicati con la combinazione di due lettere (ad esempio: AB, BA, BC, CB,
AE, AC, ecc.). La prima lettere è quella che indica le proprietà dell'orizzonte
dominante (ad esempio, se le caratteristiche dominanti sono quelle dell'orizzonte A
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sull'orizzonte B, verrà indicato con le lettere AB, verrà invece indicato con le lettere
BA, se le caratteristiche dominanti sono quelle dell'orizzonte B).
Con esclusione del solo orizzonte “O”, tutti gli altri, compresi quelli di transizione,
costituiscono il complesso degli orizzonti diagnostici del suolo che, insieme alle
caratteristiche generali del suolo, vengono utilizzati per la classificazione del suolo.
I sistemi di classificazione sono diversi, ma la moderna pedologia sembra
prediligere su tutti quelli proposti dalla FAO-Unesco (usato per la carta mondiale dei
suoli) e dalla Soil Taxonomy americana, pur continuando ad essere applicati anche
altri sistemi, come quello russo e quello francese.
Nel contesto delle lezioni del seminario di Modena, i riferimenti e la terminologia
pedologica sarà quella proposta dal sistema di classificazione FAO-Unesco,
attualmente il più diffuso anche in ambito didattico.
Di questo sistema si riporta qui di seguito la descrizione dei principali orizzonti e
strati del suolo.
Orizzonti superficiali:
Orizzonte "O": orizzonte organico che si è formato per accumulo di materiale
vegetale e animale non più vitale depositato in superficie che, per effetto della
progressiva decomposizione, viene disgregato e alterato finché non si
distinguono più le singole parti dalle quali deriva (foglie, residui fiorali, steli,
rami ecc.). Deve essere costituito da più del 35% di sostanza organica.
Orizzonte "H": orizzonte organico, con modesta o elevata potenza, che si è formato
per accumulo della sostanza organica depositata sulla superficie dei suoli
idromorfi e mantenuta in condizioni di saturazione idrica per lunghi periodi. Il
materiale che costituisce un orizzonte "H" deve contenere almeno il 30% di
sostanza organica se la frazione minerale ha più del 60% di argilla, o almeno il
20% di sostanza organica se la frazione minerale è sprovvista di argilla; a
tenori in argilla intermedi, devono corrispondere tenori proporzionali di
sostanza organica.
Orizzonte "A": orizzonte minerale che presenta un accumulo di sostanza organica
intimamente associata alla frazione minerale. Normalmente di colore più scuro
e più intenso degli orizzonti sottostanti contigui.
Orizzonti e strati non superficiali:
Orizzonte "E": orizzonte minerale che presenta un accumulo dei prodotti residuali
dell'alterazione dello scheletro e che non hanno interagito tra loro,
generalmente sabbia e limo, ma anche ferro e alluminio non solubilizzati.
Generalmente, ma non necessariamente, di colore più chiaro degli orizzonti
immediatamente sovrastante e sottostante.
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Orizzonte "B": orizzonte minerale in cui i caratteri originari della roccia da cui
deriva, non si riconoscono più o si riconoscono molto debolmente e che:
- si è arricchito per illuviazione in humus, argilla, ferro e/o alluminio;
- l'alterazione dello stato originale del materiale causa la presenza di
argille silicate e consente l'aggregazione delle particelle del suolo e la
formazione di una struttura visibile.
Strato "C": strato minerale costituito da materiale litico disgregato, che si presume
abbia costituito il substrato per la formazione del "solum" e dove l'attività
biologica è assente o è presente in misura trascurabile. Non vi è apporto di
humus, argilla, ferro e/o alluminio illuviale. Può essere residuale (autoctono) o
aloctono, monolitico o eterolitico. Normalmente è formato da materiale litico
pluridimensionale.
Strato "R": strato di roccia dura, compatta, continua e impermeabile. La roccia dello
strato "R" è impenetrabile per le radici delle piante e per i normali strumenti
utilizzati nei lavori agrari.
La fertilità del suolo è un termine che viene generalmente inteso in modo
differente: l’agronomo la definisce come “...l’insieme delle proprietà del suolo che
consentono di produrre derrate alimentari”; il forestale come “...l’attitudine che ha il
suolo a produrre materiale legnoso”; il naturalista come “...il progressivo formarsi
nel suolo di condizioni che consentono l’instaurazione e lo sviluppo di una biomassa
in equilibrio con il substrato pedogenetico e il clima”. Noi useremo quest’ultima
definizione.
Generalmente si usa dividere le componenti della fertilità del suolo in tre parti: la
fertilità fisica, la fertilità chimica e la fertilità biologica..
La fertilità fisica riguarda soprattutto la cosiddetta “terra fine”, ovvero la frazione
minerale del suolo costituita dalla sabbia, dal limo e dall’argilla. L’equilibrio tra
queste componenti dimensionali del suolo, contribuisce il misura notevole a rendere
la pedosfera un ambiente favorevole alla penetrazione delle radici delle piante,
all’instaurarsi di condizioni di equilibrio tra le componenti solida, liquida e gassosa
del suolo, alla formazione di una buona porosità e allo scambio di ioni tra il suolo e
le piante. Se la presenza argillosa è elevata, i suoli sono detti “tenaci”, se
predominano la sabbia e il limo i suoli sono detti “leggeri”; i suoli con un rapporto
argilla/sabbia + limo intorno allo 0,50, sono detti “di medio impasto” e sono quelli
con la maggiore fertilità fisica.
La fertilità chimica è costituita dalla presenza di ionio scambiabili, in forma
utilizzabile, di tutti gli elementi chimici necessari alla crescita delle piante. Sappiamo
che le piante per crescere hanno bisogni di nove macroelementi (carbonio, idrogeno,
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fosforo, calcio, ossigeno, magnesio, potassio, azoto e zolfo) e di alcuni
microelementi senza i quali le piante non possono crescere, e questi elementi
minerali devono essere presenti nel suolo in forma scambiabile e assorbibile dagli
apparati radicali delle piante. Il suolo si intende fertile chimicamente quando questi
elementi sono tutti presenti e le piante cresceranno in ragione del minerale
disponibile più scarsamente presente nel suolo.
La fertilità biologica si riferisce alla presenza di organismi, soprattutto
microrganismi, che consentono alcuni importanti processi biochimici in grado di
rendere disponibili per i vegetali composti chimici altrimenti non utilizzabili per le
piante superiori. Anche gli organismi degradatori della sodstanza organica, rivestono
un ruolo importante nella determinazione della fertilità complessiva del suolo.
La scheda pedologica è lo strumento che ci consente di “leggere” le caratteristiche
del suolo. Essa viene redatta secondo le indicazioni previste dal sistema di
classificazione prescelto e contiene i dati più importanti e indispensabili per ogni
tipo di intervento in campo agrario e forestale. La compilazione della scheda
pedologica è riservata a personale laureato e specializzato, ma la sua “lettura” è
generalmente possibile per chiunque abbia studiato scienze geologiche, agrarie.
forestali e naturali. La classificazione dei suoli e l’esposizione dei dati che li
caratterizzano, è necessaria anche per consentire la possibilità di confronto tra suoli
che hanno caratteristiche simili e che si trovano in regioni vegetazionali diverse, con
un utile scambio di esperienze soprattutto in campo agrario e forestale.
I principali tipi di suoli. Secondo il sistema FAO-Unesco sono previsti diversi
livelli nella classificazione dei differenti tipi di suoli che, in prima approssimazione,
assumono le denominazioni convenzionali di seguito riportate (in grassetto i suoli
che più frequentemente si riscontrano in Italia).
Suoli non influenzati dalle specifiche condizioni climatiche zonali:
Fluvisols: suoli che si sono formati e sviluppati su depositi alluvionali recenti.
Gleysols: suoli fangosi formatisi su materiale non consolidato o su depositi
alluvionali recenti saturi d'acqua.
Regosols: suoli sottili a sviluppo molto debole, che si sono formati su materiali
incoerenti ricoprenti la roccia compatta.
Leptosols: suoli con spessore limitato, che poggiano direttamente sulla roccia
compatta, su materiale fortemente calcareo, indurito o cementato in prossimità della
superficie.
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Suoli fortemente condizionati dal substrato pedogenetico:
Arenosols: suoli con profilo poco differenziato che si sono formati e sviluppati sulle
sabbie.
Andosols: suoli che si sono formati e sviluppati su matrice costituita da materiale
vulcanico, generalmente di colore scuro.
Vertisols: suoli con un alto contenuto in argilla, che si fessurano fino a notevole
profondità quando sono asciutti, determinando il mescolamento del materiale degli
orizzonti superficiali.
Suoli con variazioni degli orizzonti più fortemente espresse rispetto ad altri
suoli:
Cambisols: suoli con orizzonti differenziati per cambiamenti di colore, di struttura e
di consistenza, con debole alterazione della roccia e bassa migrazione dei prodotti
dell'alterazione all'interno del profilo.
Suoli generalmente aridi che presentano accumulo in sali:
Calcisols: suoli con forti concentrazioni di calcare cementato o polvirulento.
Gypsisols: suoli con forti concentrazioni di gesso.
Solonetz: suoli con un forte contenuto in sali si sodio.
Solonchaks: suoli con accumulo di sali solubili.
Suoli di ambiente delle steppe e delle steppe-foreste:
Kastanozems: suoli delle steppe ricchi in sostanza organica e con colori bruni o
castani.
Chernozems: suoli con orizzonti superficiali di notevole spessore, ricchi in sostanza
organica e di colore nero.
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Phaenozems: suoli lisciviati ricchi in sostanza organica con orizzonte superficiale
scuro.
Greyzems: suoli con orizzonte superficiale ricco in sostanza organica e di colore
grigio per la presenza di polvere di silice bianca.
Suoli che presentano accumuli di argilla o sesquiossidi e sostanza organica negli
orizzonti subsuperficiali:
Luvisols: suoli caratterizzati dall'accumulo di argilla illuviale in condizioni di
elevata saturazione in basi.
Planosols: suoli con una forte differenziazione tessituriale lungo il profilo, dovuta a
una alternanza di umidità e di siccità negli orizzonti più superficiali.
Podzoluvisols: suoli con orizzonte di accumulo di elementi residuali dello scheletro,
interrotto da intercalazioni dell'orizzonte superiore di eluviazione.
Podzols: suoli con un orizzonte intermedio eluviale chiaro fortemente lisciviato, o un
suborizzonte cementato con una combinazione di sostanza organica con ferro e/o
alluminio.
Suoli delle aree tropicali e subtropicali con piogge intense:
Lixisols: suoli che presentano accumulazioni di argilla e forte erosione idrica.
Acrisols: suoli acidi caratterizzati dall'illuviazioni di argilla in condizioni di bassa
saturazione in basi.
Alisols: suoli con un alto contenuto in alluminio.
Nitisols: suoli con materiale terroso a superfici lucide e brillanti.
Ferralsols: suoli in cui dominano la distruzione del complesso assorbente e
l'accumulo degli idrossidi di ferro e alluminio.
Plinthosols: suoli con screziature indurite di materiale argilloso con quarzo e altri
minerali, ricco in ferro e povero in humus (plintite).
Suoli con un alto contenuto in sostanza organica (suoli organici).
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Histosols: suoli con orizzonti ricchi di sostanza organica non decomposta, o solo
parzialmente decomposta.
Suoli prevalentemente condizionati dalle attività antropiche.
Anthrosols: suoli fortemente modificati dalle prolungate attività dell'uomo, o
formatisi su depositi di materiale derivante dalle attività umane.
Quest’ultima classificazione, comprende anche tutti i suoli in cui sono state
praticate prolungate attività agrarie e, quindi, la quasi totalità delle aree pianeggianti
a condizione di substrato pedogenetico e clima favorevole, ampiamente sfruttate
dall’uomo per la produzione di derrate alimentari e foraggio.
Prof. ctr. Dino Dibona
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