L’inadeguatezza dell’essere all’interno della società lavorativa L’inadeguatezza dell’essere all’interno della società lavorativadi Fabrizio Fratus 19/02/2017 Il senso della vita e il lavoro sono due aspetti che vanno di pari passo con la prosecuzione della nostra esistenza. Come nel passato, anche oggi lavorare è indispensabile, ma il lavoro -nell’epoca storica della contemporaneità – si unisce ad una “necessità di scopo“. Nella prosecuzione del nostro esserci nel mondo, l’uomo ogni mattina si sveglia con uno scopo, ma – oggi – il mal di vivere galoppa a pieno ritmo nella nostra società. Parlando in maniera più generica, gli individui istintivamente colgono la necessità di avere un’utilità e – spesso e volentieri senza lavoro – si ritrovano a essere prive di un fine. Il lavoro moderno è un’attività devastante, dove quasi tutti sono intercambiabili, sono “ingranaggi” di un meccanismo industriale, di un sistema. Un avvocato è normalmente sostituibile con un altro suo collega e il suo lavoro non è nulla se non quello di riprodurre quanto altri avvocati fanno ogni giorno. Lo stesso vale per un commercialista come per un operaio. Il lavoro non ha più la componente soggettiva, come indicativo dell’identità di una persona. Se in passato essere un avvocato collocava la persona in un ceto sociale specifico con un’educazione e un modo di rapportarsi agli altri, oggi nulla di tutto questo è rappresentabile in un avvocato come in un qualsiasi altro mestiere. Il lavoro, quindi, non è più una componente che contribuisce a dare sicurezza emotiva e psicologica, ma resta solamente un mezzo per ottenere denaro in cambio di tempo. Nell’estratto fotografico, l’attore londinese Charlie Chaplin viene immortalato nella celebre pellicola “Tempi Moderni”: film interpretato, scritto, diretto e prodotto dallo stesso Chaplin. Fu proiettato la prima volta il 5 febbraio 1936. Secondo lo scrittore francese Gustave Flaubert: “In fin dei conti il lavoro è ancora il mezzo migliore di far passare la vita” amava asserire, difatti lavoro e tempo sono aspetti importantissimi per tutta la durata del ciclo vitale di una persona. Se si considera l’aumento di servizi e di beni con la diminuzione del lavoro umano, molti hanno creduto si andasse verso una liberazione dal lavoro, ma in realtà la questione non sta propriamente stabilita in questi termini. Nei paesi sviluppati tecnologicamente il lavoro è diviso in tre diverse funzioni ripartite in: _creativo; _esecutivo; _di fatica. Il lavoro sta divenendo sempre più un privilegio, poichè – ancora oggi – permette l’entrata dei lavoratori, tra gli individui che “producono” e di conseguenza gli viene concessa la possibilità di consumare. Di contro, la forza lavoro da impiegare diminuisce progressivamente col progredire della tecnica, aumentando quindi una massa di disoccupati – con molto tempo da impiegare – che spesso vengono colpiti da noia, depressione, devianza e solitudine. La risultante è proprio “il lavoro”, il quale nella società attuale – post industriale – diminuisce sempre più, ponendo le basi all’impossibilità di possedere un reddito: _meno lavoro _maggiore tempo a disposizione _minore capacità di dare un senso alla propria esistenza. Questo processo continuo e progressivo, con la mentalità capitalista – dove l’abbassamento dei costi e il profitto sono lo scopo supremo, con le rivoluzioni industriali connesse – che ha portato un meccanismo di azione contro il progresso tecnologico eliminando via via l’impiego (il movimento denominato “luddismo“), oggi deve virare la rotta su un lavoro praticabile e socialmente condivisibile. Il processo in atto è evidente: coloro che perderanno lavoro non saranno in grado di consumare per impoverimento progressivo e la diminuzione dei consumi ci farà giungere ad una stagnazione dei medesimi, con la conseguenza di una sovraproduzione. La popolazione che potrà acquisire nuovi prodotti diminuirà: processo è già in atto. La società post-industriale è in declino e volendo mantenere il modello capitalista e consumistico come principio economico, l’unica soluzione è una ridistribuzione della ricchezza a tutti coloro che restano e resteranno tagliati fuori dal lavoro. Ned Ludd o Ned Lud è l’individuo da cui prese il nome il movimento denominato poi “luddismo”. La sua azione fu di ispirazione per il personaggio popolare del “capitano Ludd” che divenne l’immaginario leader e fondatore dei luddisti. Sebbene non esistano prove certe della sua reale esistenza, si ritiene che provenisse dal villaggio di Anstey, presso Leicester. L’episodio che ispirò la trasformazione di questo uomo comune del XVIII secolo nell’eroe ottocentesco del proletariato, fu la distruzione da lui compiuta di un telaio meccanico in uno scatto di rabbia, che sarebbe avvenuto nel 1768, piuttosto che all’epoca dei luddisti negli anni 1820. Adriano Olivetti affermava come: “Il lavoro dovrebbe essere una grande gioia ed è ancora per molti tormento, tormento di non averlo, tormento di fare un lavoro che non serva, non giovi a un nobile scopo”. Da questa affermazione si evince come in un passato non troppo lontano, l’impiego poteva essere una fatica fisica di difficile sopportazione, ma aveva una importanza di rilievo sociale – la predisposizione a sottoporre la propria esistenza verso il lavoro, poiché si possedevano dei figli – e tale caratteristica dava un senso e una capacità di sopportazione alla fatica, oggi certamente impossibile da concepire. La mansione svolta rappresentava proprio l’identità socio-identitaria e proprio l’individuo che non era riuscito a ben sopportare la mole lavorativo, trovandosi alla base della piramide sociale, possedeva l’aspirazione legittima e sensata di progradire verso l’alto per migliorare la propria condizione di vita socio-identitaria. L’avvento dell’eguaglianza di massa, insieme alla distruzione delle classi sociali, ha livellato al ribasso producendo danni incalcolabili. L’inciviltà, come la maleducazione, sono divenuti comportamenti comuni, tanto quanto l’irresponsabilità: invece di migliorarsi e progredire, ci si livella sempre più nella mediocrità. Se in precedenza vi era una ingiustizia sociale riferibile alla redistribuzione della ricchezza, ma nel contempo vi erano maggiori sensi di appartenenza ad un sistema sociale visto come “comunità“, oggi – al contrario – vi è una maggiore disponibilità di consumare prodotti (per lo più inutili all’esistenza dell’uomo) ma allo stesso tempo si percepisce un maggior senso di inadeguatezza alla vita e al proprio ruolo sociale. “Fare il ministro del lavoro in un paese dove il lavoro non c’è, è come fare il bidello di una scuola a Ferragosto!“, per riprendere una famosa citazione del comico Maurizio Crozza. Per approfondimenti: _Giuseppe Bronzini, Il reddito di cittadinanza. Una proposta per l’Italia e per l’Europa – Edizioni gruppo Abele _Daniel Choen, Tre lezioni sulla società postindustriale – Edizioni Garzanti _Emilio Gerelli, Società post-industriale e ambiente – Edizioni Laterza _Serge Latouche, L’economia è una menzogna. Come mi sono accorto che il mondo si stava scavando una fossa – Editore Bollati Boringhieri © L’altro – Das Andere – Riproduzione riservata