La termodinamica del secondo principio 1. Il motore termico

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Capitolo
5
La termodinamica
del secondo principio
1. Il motore termico
Come possiamo riassumere quanto detto sinora sul calore e sul lavoro?
Calore e lavoro sono due processi tramite i quali avviene trasferimento di energia fra
un sistema e l’ambiente. Il lavoro L rappresenta l’energia scambiata attraverso dei
mezzi meccanici, vale a dire per effetto dello spostamento del punto di applicazione
delle forze con cui il sistema interagisce con l’ambiente. Il calore Q rappresenta
l’energia scambiata a causa della differenza di temperatura fra il sistema e
l’ambiente. Mai si dirà che un sistema possiede del lavoro oppure che un sistema
possiede del calore. Q e L non sono proprietà dei sistemi ma piuttosto quantità in
trasferimento: il loro valore descrive il processo di scambio di energia, e varia a
seconda delle modalità del trasferimento.
Cosa s’ intende con il termine motore termico?
Con il termine macchina termica o motore termico intendiamo un dispositivo che
riceve energia sotto forma di calore e ne restituisce una parte sotto forma di lavoro.
Il calore può essere ricevuto dal motore sia attraverso il contatto con una sorgente
termica a temperatura maggiore della sua, sia a spese dell’energia interna di qualche
sostanza, come avviene durante una reazione chimica. Un esempio di questo
secondo caso è la combustione della benzina.
1
Come possiamo trasformare calore in lavoro?
La risposta a questa fondamentale domanda venne dallo studioso francese Sadi
Carnot, nel suo lavoro Réflexions sur la puissance motrice du feu […], del 1824 e può
essere così riassunta:
L’energia ricevuta per calore può essere restituita tramite lavoro, e quindi essere in
grado di spostare il punto di applicazione di una forza, unicamente per effetto dei
mutamenti che il calore può indurre nel volume e nella forma delle sostanze a causa
della dilatazione termica.
Per tale motivo trasferire energia attraverso il lavoro dopo averla ricevuta per
calore, è più facile se si sfruttano le sostanze aeriformi, per le quali il fenomeno della
dilatazione termica è in genere semplice da ottenere, ed è più consistente che non
nei liquidi o nei solidi.
Si può dire che per produrre lavoro il motore consuma del calore?
La generazione di lavoro non è riconducibile al “consumo" di calore, che in quanto
forma di energia non può in alcun caso essere distrutta. A produrre lavoro è il
passaggio di energia per calore da un corpo caldo ad uno freddo, allo scopo di
provocarne la dilatazione. E poiché si ha trasferimento per calore solo in presenza di
una differenza di temperatura, si può concludere che:
Per costruire un motore non è sufficiente trovare una sorgente da cui attingere
energia, ma occorre una differenza di temperatura
La produzione di lavoro può essere l’unico effetto del funzionamento di un motore?
Dato che il lavoro termodinamico di cui stiamo parlando, ottenuto dal trasferimento
di calore, è il risultato delle dilatazioni termiche, appare evidente che una volta
prodotto del lavoro il sistema che lo ha generato ha variato il suo volume. Questo
può essere enunciato formalmente dicendo che la produzione di lavoro non è mai l’unico
effetto della trasformazione di calore in lavoro. Conseguentemente, se si vuole costruire
un motore, si dovrà tenere anche conto di tali effetti di variazione di volume.
Altrimenti si avrà un motore che funzione una sola volta, produce del lavoro ma poi
non può essere sfruttato di nuovo, dato che alla fine del processo esso non si trova
più nelle condizioni di partenza. Si pensi, ad esempio, al lavoro che si può produrre
riscaldando un cilindro contenente gas: il riscaldamento fa sollevare il pistone che
produce così del lavoro. Non è però pensabile di dilatare il gas illimitatamente,
perché praticamente si dovrebbe disporre di un cilindro di altezza infinita.
In termini pratici, quindi, di cosa ha bisogno un motore che sia efficiente?
Occorrerà che alla fine del processo di produzione del lavoro si riporti nelle
condizioni iniziali il sistema che si è dilatato. Tuttavia rimediare alle dilatazioni a
cui la trasformazione di calore in lavoro ha dato luogo significa compiere del lavoro
dall’esterno sul sistema, per comprimerlo nuovamente. Un altro modo per dire la
stessa cosa è che il motore termico, per funzionare, deve compiere una trasformazione
ciclica. Con il termine di ciclica si intende una trasformazione a conclusione della
quale lo stato di arrivo coincide con quello iniziale. A questo punto il motore può
ripartire e generare nuovo lavoro.
2
Allora dobbiamo far compiere al sistema esattamente gli stessi passi a ritroso?
Non è pensabile portare indietro il sistema ripercorrendo esattamente gli stessi
passi che esso ha fatto per produrre lavoro. Difatti, nel caso ideale di assenza di
dissipazioni, l’esatto percorso inverso richiederebbe da parte dell’ambiente lo stesso
lavoro che il sistema ha fornito nel dilatarsi. Si pensi alla espansione isoterma
V 
reversibile di un gas perfetto che produce un lavoro L  nRT ln  fin  .
 Vin 
Ricomprimere lo stesso gas isotermicamente, alla medesima temperatura richiede
che dall’esterno venga compiuto di nuovo
sul sistema
un lavoro
 Vin 
nRT ln    L . Questo è l’ esempio di un motore davvero pessimo, il quale
Vfin 
riassorbe tutto ciò che produce. La soluzione è piuttosto quella di riportare il sistema
allo stato di partenza seguendo un percorso differente dall’andata.
Come si sceglie il percorso per tornare allo stato iniziale?
Il criterio da usare è quello di rendere minimo il lavoro necessario, dato che nel
bilancio complessivo questo andrà sottratto al lavoro
prodotto durante
l’espansione. Per appoggiare le idee, supponiamo che il sistema che fa da motore sia
un certo quantitativo di gas perfetto che segue trasformazioni reversibili e quindi
rappresentabili da curve sul piano di Clapeyron. Come sappiamo, più bassa è la
temperatura, più la linea che rappresenta la trasformazione si trova in basso verso
l’asse dei volumi, e quindi minore sarà il lavoro, cioè l’area sottesa1 fra due volumi
qualunque. Se quindi il gas che in figura si sposta dallo stato 1 allo stato 2
producendo il lavoro LA , viene poi raffreddato fino allo stato 3 , il processo di
ritorno al volume iniziale richiede un lavoro LR minore di quello da lui prodotto
all’ andata. Come si deduce dal disegno, il ciclo sarà completo solo se dopo si
riporta anche la pressione al valore di partenza, riscaldando il gas.
Questo raffreddamento del motore può avvenire adiabaticamente, senza cedere calore?
Nell’esempio in figura il gas cede calore in due momenti, quando si raffredda da 2 a
3 e quando viene riportato al volume iniziale da 3 a 4 . Si può tentare di ottenere lo
stesso risultato immaginando che la prima delle due trasformazioni sia adiabatica:
possiamo raffreddare il gas senza che ceda calore, semplicemente lasciandolo
espandere ancora di più. Ma nella seconda, quando lo si vuole riportare al volume
iniziale, l’ambiente deve compiere lavoro sul gas, ed in questa fase non possiamo
evitare fuoriuscite di calore.
Qualunque motore deve essere raffreddato?
La necessità di raffreddare i motori è del tutto generale e non riguarda solamente
l’espansione di un recipiente cilindrico ideale che contenga del gas perfetto. Questo
comporta il doversi sempre procurare una sorgente fredda alla quale cedere calore.
Si pensi al radiatore delle automobili, oppure ai grandi bacini idrici in prossimità dei
Si noti che questa identificazione del lavoro con l’area sottesa nel piano di Clapeyron perde di
significato nel caso di trasformazioni irreversibili
1
3
P
1
2
600 K
4
LA
500 K
3
LR
Vin
400 K
300 K
Vfin
V
quali sono costruite le centrali termonucleari. Il raffreddamento è indispensabile se
vogliamo che il motore sia di utilità pratica:
Al termine del ciclo di un motore, il bilancio del lavoro deve essere positivo, deve
cioè essere prodotto più lavoro in espansione di quanto ne sia poi richiesto durante
la compressione.
P
Come si rappresenta un motore a gas perfetto nel piano P, V?
Durante il ciclo vi saranno in generale delle sorgenti dalle quali il motore assorbe
calore e sorgenti verso le quali lo cede. Se indichiamo con Tmax la temperatura della
Tmax
Tmin
V
P
ESPANSIONE
L>0
V
P
temperature estreme saranno compresi tra le isoterme reversibili di gas perfetto
corrispondenti. Se poi il motore a gas perfetto segue solo trasformazioni reversibili
possiamo anche raffigurare il suo percorso: trattandosi di un ciclo, esso sarà
costituito da una linea chiusa.
A cosa corrisponde nel piano P,V il lavoro di un ciclo di un motore reversibile?
Come sappiamo, il lavoro termodinamico compiuto durante le trasformazioni
reversibili è espresso dall’area sottesa dalle curve. Essa andrà presa con il segno
positivo oppure negativo a seconda del fatto che il volume aumenti o diminuisca,
cioè a seconda del fatto che la trasformazione proceda da sinistra verso destra nel
piano ( L  0 ) oppure da destra verso sinistra ( L  0 ).
Poiché in qualunque ciclo vi sarà una parte della trasformazione durante la quale il
sistema si espande, ed una parte in cui si ricontrae, il lavoro complessivo è alla fine
dato solo dall’area racchiusa entro il ciclo stesso. Il segno di L sarà positivo se il gas
si espande (reversibilmente) a temperature maggiori di quelle a cui si ricontrae (il
ciclo è percorso in verso orario), viceversa sarà negativo.
Come possiamo calcolare il lavoro compiuto durante un qualunque ciclo?
Si fa uso del primo principio della termodinamica. Dato che lo stato finale è uguale a
quello iniziale la variazione di energia interna in un ciclo deve essere zero perché
l’energia interna è una funzione di stato. Se quindi E int  0 avremo che alla fine
CONTRAZIONE
L<0
V
P
più calda delle sorgenti e con Tmin la più fredda di esse, i cicli operanti fra tali
del ciclo risulterà Q  L .
Il calore Q complessivamente scambiato dal sistema sarà dato dalla somma di quello
entrante, QC , ricevuto dalle sorgenti calde, e di quello uscente, QF , ceduto alle
sorgenti fredde. Ne risulta che:
L  Q  QC  QF  QC  | QF |
LAVORO
DEL CICLO
L>0
avendo esplicitato il segno del calore ceduto QF , sicuramente negativo.
Come si interpreta questo risultato?
La formula L  QC  | QF | può essere letta così: poiché devo raffreddare il sistema
prima di poterlo riportare allo stato iniziale, non tutto il calore QC assorbito viene
V
trasformato in lavoro.
4
Una parte di esso, QF , esprime l’energia spesa per raffreddare e ricomprimere il
sistema, e va necessariamente ceduto alle sorgenti a temperatura fredda con le quali
il motore deve essere in contatto, e quindi non viene convertito.
Questo dà informazioni anche sull’efficienza del motore?
Quel che si può concludere è che il motore sarà tanto migliore quanto più QF
risulta piccolo. Infatti quanto più QF è piccolo tanto più grande è la porzione di QC
che viene trasformata in lavoro. Per quantificare la bontà di un motore si introduce
un parametro, detto rendimento, che si indica solitamente con la lettera greca eta:  .
Il rendimento 
esprime numericamente quanto si è appena detto, cioè quale
P
ESPANSIONE
QC
frazione del calore assorbito viene trasformata in lavoro. L’espressione matematica
di  è quindi il rapporto fra ciò che si è ricevuto dal motore, cioè il lavoro L , e
quello che si è dato al motore, cioè il calore QC :
QF
CONTRAZIONE

lavoro prodotto
calore assorbito

Q  | QF |
|Q |
L
 C
 1 F
QC
QC
QC
Come si vede risulta sempre 0    1 . Leggendo la frazione come quantitativo del
numeratore associato ad un’unità del denominatore, diremo che per ogni Joule
ricevuto in forma di calore, il rendimento esprime la frazione di esso che il motore
è in grado di restituire in forma di lavoro.
E’ possibile costruire un motore perfetto?
Un motore ideale trasformerebbe tutto il calore assorbito in lavoro. Il suo
rendimento sarebbe   1 . Ma abbiamo visto che non possiamo fare a meno di
cedere calore alla sorgente fredda. Quindi nessun motore può essere ideale.
Ci sono quindi due possibilità per un dispositivo che produca lavoro a partire dal
calore, sfruttando la dilatazione di un fluido. Se esso trasforma tutto il calore in
lavoro, non si tratta di un motore, perché ne risulterebbe uno stato finale diverso da
quello iniziale.
Se invece lo stato finale coincide con quello iniziale allora il dispositivo è un motore,
perché ha compiuto un ciclo, tuttavia una parte del calore risulta non utilizzata ai
fini della trasformazione in lavoro, in quanto ceduto alla sorgente fredda.
Se ne può concludere che:
Per i motori reali risulta sempre un rendimento   1
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V
2. Il secondo principio della termodinamica
La conclusione cui si è giunti sulle caratteristiche dei motori, venne espressa in
forma di principio fondamentale da parte del fisico britannico William Thomson (poi
divenuto Lord Kelvin, 1824 –1907):
Secondo Principio della termodinamica nella forma di Kelvin
Non esiste la macchina termica ideale, quella cioè che trasforma tutto il calore
assorbito da una sola sorgente in lavoro.
Trattandosi appunto di un principio, quanto esposto nel paragrafo precendente non è
la sua dimostrazione, ma solo una serie di ragionamenti (circoscritti fra l’altro ai soli
motori che seguono trasformazioni reversibili), volti a facilitarne la comprensione.
Il fatto che il motore ideale non esista è una legge della fisica, e come tale frutto della
sperimentazione ripetuta secondo il metodo galileiano.
E come per tutte le leggi della fisica, basterebbe anche un solo caso in cui essa non
valesse per falsificarla.
Quali legami ha il secondo principio con i fenomeni naturali del quotidiano?
Esiste una formulazione alternativa del secondo principio della termodinamica,
dovuta al fisico prussiano Rudolph Clausius (1822 -1888).
Invece dei problemi connessi con la realizzazione di una macchina termica, Clausius
prese in considerazione un fenomeno naturale apparentemente senza alcuna
relazione con quanto esposto fino ad ora: il verso di scorrimento del calore.
Come si osserva quotidianamente, il rilascio spontaneo di energia per effetto della
differenza di temperatura ha una sola direzione: procede, infatti, da corpi a
temperatura superiore verso corpi a temperatura inferiore.
Il punto sul quale riflettere è che, sebbene sarebbe perfettamente compatibile con il
primo principio, un flusso spontaneo di calore da bassa verso alta temperatura non
ha mai luogo:
Il calore fluisce spontaneamente solo da corpi a temperatura superiore verso corpi a
temperatura inferiore
Si può realizzare uno spostamento di calore contro la direzione naturale?
Certamente si può, ma occorre una macchina frigorifera, una macchina, cioè, che
consumando energia trasferisce calore da oggetti freddi verso oggetti caldi. Proprio
come il frigorifero di casa: trasferisce calore dal cibo freddo (a bassa temperatura)
all’ambiente (a temperatura più alta) rendendo il cibo ancora più freddo. Tutto
questo, beninteso, consumando energia. Infatti i frigoriferi hanno un spina connessa
alla rete elettrica e se questa si stacca il trasferimento di calore dal freddo al caldo
cessa.
Quindi il trasferimento di calore da bassa ad alta temperatura non avviene
spontaneamente ma occorre compiere lavoro dall’esterno.
Queste considerazioni vennero riassunte da Clausius nel modo che segue:
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Secondo Principio della termodinamica formulato da Clausius:
Non esiste la macchina frigorifera ideale, cioè non è possibile effettuare una
trasformazione il cui unico risultato sia quello di trasferire calore da una sorgente a
temperatura inferiore ad una sorgente a temperatura più alta.
Ma allora come si spiega per Clausius il funzionamento del frigorifero?
L’enunciato di Clausius del secondo principio sostiene semplicemente che un
frigorifero non funziona senza attaccare la spina. Ovviamente il frigorifero trasferisce
calore da bassa ad alta temperatura, ma non è questo l’unico effetto della sua azione: il
lavoro compiuto dall’esterno sul sistema comporta tutta una serie di modificazioni
ambientali, ad esempio quelle che ha prodotto la centrale elettrica che ci fornisce
l’energia necessaria affinché il frigo funzioni.
Il principio di Clausius esprime la stessa legge fisica di quello formulato da Kelvin?
La formulazione di Clausius è perfettamente equivalente a quella di Kelvin e
viceversa. Dimostriamo dapprima che se si può violare l’enunciato di Clausius
(tecnicamente diremo “se si può costruire una macchina anti-Clausius”), allora si
viola anche quello di Kelvin. In figura è schematizzato un motore termico A che
assorbe calore QC da una sorgente a temperatura calda TC e cede calore QF ad una
sorgente a temperatura fredda TF . Esso produrrà un lavoro L che, come si è
dedotto dal primo principio, sarà pari alla differenza fra il calore ricevuto e quello
ceduto: L  QC  QF . Se ora disponessimo di una macchina B che violasse il
postulato di Clausius potremmo usarla per riportare QF dalla sorgente fredda a
quella calda senza che sia necessario alcun apporto di lavoro dall’esterno. La
sorgente fredda sarebbe allora inutile: essa riceverebbe QF e poi cederebbe di nuovo
TC
QF
QC
A
B
L = QC- QF
QF
QF
TF
da anti-Clausius
ad anti-Kelvin
QF , ed è come se non avesse preso parte al processo. In conclusione la macchina
combinata A+B assorbirebbe calore solo dalla sorgente a TC e produrrebbe il lavoro
L  QC  QF , violando così il postulato di Kelvin.
E se si violasse il postulato di Kelvin, violeremmo Clausius ?
Se, viceversa disponessimo all’inizio di una macchina che violasse il postulato di
Kelvin (tecnicamente diremo “se si può costruire una macchina anti-Kelvin”),
indicata con la lettera B nella figura a lato, la potremmo utilizzare per estrarre calore
Q da una sorgente a temperatura TF e convertirlo integralmente in lavoro L . Dato
che non esistono limiti alla conversione di lavoro in calore (ad esempio per attrito),
potremmo prendere una macchina qualunque A che ritrasformi il lavoro L in un
calore avente caratteristiche di tali da poterlo agevolmente trasferire ad una
sorgente a temperatura TC  TF . Per esempio potremmo prendere come macchina
A un dispositivo simile a quello di Joule che metta in agitazione delle pale dentro ad
un certo quantitativo di acqua ad una opportuna temperatura. In conclusione la
macchina combinata A+B assorbirebbe calore da una sorgente fredda TF e lo
trasferirebbe ad una sorgente calda TC senza nessun altro effetto, violando così il
postulato di Clausius. Si è dimostrato quindi che se non esiste il motore ideale non
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TC
Q
B
L
A
Q
TF
da anti-Kelvin
ad anti-Clausius
esiste nemmeno il frigorifero senza spina, e, viceversa, che se non esiste il frigorifero
ideale non esiste nemmeno il motore ideale.
Quali conseguenze ha avuto il secondo principio nello sviluppo della civiltà?
Il secondo principio della termodinamica costituisce un formidabile ostacolo con il
quale la civiltà umana ha dovuto confrontarsi. Mentre il calore è un processo di
facile realizzazione, in quanto è l’effetto del movimento caotico delle molecole
stesse, solo uno spostamento ordinato su scala macroscopica di miliardi di molecole
produce lavoro meccanico. La trasformazione di calore in lavoro è essenziale per il
progredire dell’intelligenza e delle strutture organizzate socialmente. Qualche
studioso sostiene che l’invenzione del motore a vapore, avvenuta verso al fine del
XVIII secolo, rappresentò il passo in avanti più importante in assoluto della civiltà:
grazie ad esso l’uomo si affrancò dalla schiavitù dell’utilizzare la propria forza
muscolare o quella animale e dalle bizzarrie della natura. Ma il fatto che vi siano dei
vincoli a tale conversione, in particolare la necessità di utilizzare almeno due
sorgenti a temperatura differente, rende tutto il processo complicato. Sarebbe
semplice produrre energia elettrica (e quindi lavoro meccanico) se ad esempio si
potesse estrarre calore dal terreno. Riscalderemmo le nostre case diminuendo la
temperatura dell’enorme massa della crosta terrestre di così poco che nemmeno se
ne potrebbe rivelare l’effetto. Oppure se si potesse alimentare una nave risucchiando
calore dal mare e trasformandolo in lavoro. O ancora far correre un’auto o far volare
un aereo assorbendo calore dall’aria. Ma in tutti queste ipotesi fantasiose, il terreno,
il mare e l’aria rappresentano quella che nella nostra schematizzazione sarebbe la
sorgente calda. Nella pratica comune, invece, questi enormi bacini di calore si
utilizzano come sorgenti refrigeranti: ad essi i motori – anche quello delle auto cedono calore per raffreddarsi. Per estrarre calore dall’oceano necessiteremmo di un
altro oceano a temperatura più bassa: per ottenere da sorgenti termiche energia in
forma di lavoro, occorre disporre di una differenza di temperatura.
Può eseguire del lavoro un motore al quale non si fornisca energia?
Un motore deve compiere dei cicli, e ad ogni ciclo deve risultare E int  0 . In
conseguenza avremo che L  Q , e quindi se Q  0 non possiamo sperare di
ricavare del lavoro da un simile meccanismo. Nel corso dei secoli molti sono stati i
tentativi di realizzare un motore che lavorasse senza somministrazione di energia
(ad esempio tramite un combustibile). I fallimenti puntualmente registrati indicano
chiaramente che l’energia non può essere creata, ma solo convertita da una forma ad
un’altra. Poiché una macchina capace di creare energia potrebbe seguire dei cicli per
un tempo indefinito, questa via di conferma della validità del primo principio della
termodinamica va sotto il nome di impossibilità del moto perpetuo di prima specie.
Può eseguire del lavoro un motore che estragga calore da un’unica sorgente?
No, in quanto un simile dispositivo violerebbe il secondo principio della
termodinamica. Un ciclo che potesse alimentarsi estraendo calore dall’ambiente
circostante, come ad esempio quello del motore di una nave che estrae la sua
energia dal solo oceano, avrebbe a disposizione una sorgente di calore
praticamente inesauribile, dando così vita ad un moto per un tempo indefinito.
Questo tipo di violazione del secondo principio è detta impossibilità del moto
perpetuo di seconda specie.
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