Premessa Le dolci rime:Maquetaci n 1 12/05/2014 15:03 PÆgina 5 Premessa Nella settimana del 17 al 19 luglio del 2012 si è svolto in Galizia, al Balneario Rio Pambre, il settimo ludoconvegno del Grupo Tenzone destinato a dibattere la canzone dantesca Le dolci rime d’amor ch’io solea. Sono trascorsi sette anni dal primo incontro del gruppo, nel luglio del 2006, tenutosi in questa stessa sede, quando i suoi membri, dopo il Convegno di Psicología y Poética en Dante (Madrid, 2005), decisero creare uno spazio dove il delectare e il prodesse potessero fondersi in un ambito di amicizia e di impegnato lavoro. Uno spazio, come diceva Juan VarelaPortas nella premessa del primo libro della Biblioteca de Tenzone, «con le condizioni necessarie affinché l’espressione e la difesa delle proprie idee e dei disaccordi –e anche delle certezze non completamente dimostrate o dimostrabili- potesse produrre una vera comunità scientifica». Credo che oggi si possa dire che questa comunità, di amicizia e di impegnato lavoro, si è affermata intorno allo studio delle quindici canzoni di Dante, un corpus, nel 2006, non molto frequentato dalla critica ma che ha cominciato ad attirare la sua attenzione, «anticipando – come diceva Fenzi nella premessa al volume dedicato a Amor che nella mente mi ragiona (2013) – quell’esigenza di approfondire lo studio delle rime dantesche alla quale, da allora, si è da più parti cominciato a rispondere». Con il ritorno a Rio Pambre, si è voluto enfatizzare l’importanza di un ciclo temporale che ha raggiunto la linea dell’equatore nel corpus delle canzoni dantesche, e anche rinnovare lo slancio per continuare il viaggio e portare a termine il progetto di partenza. Un progetto che ha dimostrato anche la sua ricca potenzialità con il contributo alla dantistica spagnola della prima traduzione ed edizione commentata in Spagna delle quindici 5 Premessa Le dolci rime:Maquetaci n 1 12/05/2014 15:03 PÆgina 6 canzoni di Dante e altre rime, fatta da sei membri del gruppo e appena pubblicata dalla la casa editrice Akal. Oltre ai participanti degli anni precedenti si è aggiunto quest’anno il prestigioso filologo e studioso Paolo Borsa dell’Università di Milano e ci siamo giovati anche -sebbene la sua relazione non faccia parte di questo libro- della partecipazione di Umberto Carpi che, non essendo potuto arrivare in Galizia, l’ha letta attraverso una video-conferenza. Umberto Carpi è stato fino alla fine della sua vita un entusiasta sostenitore dei ludoconvegni del Grupo Tenzone. Era presente, come membro fondatore sette anni fa nel primo ludoconvegno, apportando al progetto che stava nascendo la sua intelligenza e passione e in questa occasione non ha voluto mancare a quello dedicato alla canzone dantesca della nobiltà, materia nella quale le sue ricerche e pubblicazioni sono di rilevanza decisiva. Nel suo intervento, come è solito in lui, Umberto Carpi ha delineato accuratamente il contesto storico e politico della canzone, con precisione di dati e di personaggi che mostrano al lettore il teso scenario sociale e politico in cui si moveva Dante nel momento della sua composizione. Sulla linea degli autori che negano il carattere originario allegorico della donna gentile, l’abbandono delle dolci rime d’amore per rime di intento civile ed etico non risponde per Carpi all’inaccessibilità della donna-Filosofia, cioè, ad ardui problemi metafisici con cui si imbatte Dante nello studio della filosofia, ma a «stringenti ragioni politiche» della Firenze comunale di 1295, una fase di complessi sconvolgimenti politici, economici e sociali: «è in tale contesto che a Firenze effettivamente si pone il tema culturale della gentilezza, della definizione di nobiltà in una società aperta di straordinaria mobilità sociale, con tormentati incroci e conflitti di interessi e di parentele». Dieci anni dopo, invece, nel momento della redazione del quarto trattato del Convivio, la definizione della nobiltà per Dante si deve cercare in un contesto affatto diverso da quello comunale fiorentino degli anni Novanta, un contesto di regni feudali, di incipienti regimi signorili, di Comuni popolari, mancanti della forza aggregatrice della curia imperiale. Per questa ragione, nel commento di Convivio IV, spiega Carpi, Dante «inquadra la lettura dei suoi vecchi versi entro la logica del modello imperiale che sta costruendo […] e se la canzone di dieci anni prima 6 Premessa Le dolci rime:Maquetaci n 1 12/05/2014 15:03 PÆgina 7 viene confermata nella sua lettera, risulta però finalizzata a un contesto politico e sociale affatto nuovo». La relazione di Pasquini comincia con la accurata e utile parafrasi della canzone, questa volta più difficile delle precedenti, dato il suo carattere filosofico e la sua fitta sintassi logico argomentativa. L’autore giustifica il titolo del suo saggio richiamando, rispetto alla decisione di Dante di lasciare temporaneamente «le dolci rime», la svolta leopardiana del 1826, segnata dall’epistola Al conte Carlo Pepoli, «liquidatrice della stagione degli ‘idilli’ e instauratrice di una ‘prosa’ della vita contro ogni evasione poetica». Infatti per Pasquini, sulla linea di Carpi, sono i gravi problemi di filosofia morale, emergenti dallo sfondo della politica fiorentina di quegli anni la ragione dell’abbandono in Dante della poesia amorosa, e considera il movente sociale, economico e politico come l’origine della canzone, e non quello dato da Dante nel Convivio: le altre canzoni parlavano più liberamente di una donna reale trasformata, in virtù di un miracoloso gioco di prestigio, nell’icona della Filosofia; questa invece, partendo dall’esaltazione della verità («Cominciai dunque ad amare li seguitatori de la veritade e odiare li seguitatori dell’errore…»), ulteriore pretesto geniale legato all’invenzione della donna-Filosofia, punta decisamente sull’eone nobiltà, nei suoi addentellati sociali, riconoscendone appena (ma solo nel principio e nella fine del testo, ai vv. 5-8 e 142-146), la sua evidente e quasi etimologica pertinenza alla Donna gentile. Il modello filosofico-morale di Dante nella canzone è anzittutto per Pasquini L’Etica Nicomachea e non tanto il De consolatione philosophiae e il De amicitia di Cicerone e, in questo senso, l’autore stima più come orizzonte interdiscorsivo che intertestuale i nessi con il Cicerone del De officiis e l’Agostino del De civi. La parte centrale del saggio realizza una rigorosa analisi del concetto di nobiltà esposto da Dante nella canzone e mette in evidenza il percorso argomentativo di Dante, secondo il procedimento scolastico della quaestio (probatio, reprobatio), tendente a demolire il valore della ricchezza, l’opinione che un uomo vile non possa diventare nobile, la dimostrazione della superiorità della nobiltà rispetto alle virtù morali, e la considerazione della gentilezza come dono di Dio. Per poi rilevare suggestivamente nell’ultima 7 Premessa Le dolci rime:Maquetaci n 1 12/05/2014 15:03 PÆgina 8 parte delle sue riflessioni il carattere anticipatorio della canzone, ma soprattutto del commento del libro IV del Convivio, rispetto a importanti passaggi della Commedia. Così, nella canzone, «l’aver privilegiato la nobiltà rispetto ad altri possibili argomenti costituisce una prova del fatto che già a metà degli anni Novanta Dante ponesse le premesse della concezione del mito del «nobil castello» del Limbo (Inf. IV)». E rispetto al Convivio, Pasquini fa una ricca e illustrativa enumerazione di elementi lessicali, neologismi, comparationes, metafore, digressioni che nascono dal commento della canzone e costituiscono «umbriferi prefazii» della Commedia come, per esempio, quella «sulla necessità della Monarchia (Cv. IV iv 1-14) rispetto al XVI del Purgatorio». Ma Pasquini enfatizza soprattutto l’importanza del capitolo XXVIII del quarto libro perché fornisce «gli abbozzi embrionali del canto di Guido da Montefeltro, trasmettendo al XXVII dell’Inferno, che pur ne rappresenta la più clamorosa palinodia, tutto un repertorio di metafore nautiche» […] per non dire della grande metafora del rapporto di Marzia e Catone, l’anima umana che torna a Dio dopo mille vicissitudini, che rappresenta la principale giustificazione della scelta di Catone come guardiano del Purgatorio». Nel commento del IV libro del Convivio, conclude Pasquini, la canzone «viene come transcodificata e proiettata ormai verso le conquiste spirituali del poema». Raffaele Pinto si domanda all’inizio del suo saggio, come questione preliminare a ogni altra ne Le dolci Rime, perché Dante a un certo momento della sua carriera adotti come materia poetica temi di natura politica e sociale. Egli non considera in principio le ragioni politiche e sociali come il punto di partenza della canzone e ancora meno lo scontro di Dante con ardui problemi metafisici, allegorizzati dal disdegno della donna filosofia, dato che la allegorizzazione di quest’ultima è sopravvenuta per Pinto nel processo sublimante del Convivio, ma pensa che siano prima di tutto ragioni ideologiche e poetiche quelle che hanno fatto cambiare a Dante il concetto d’amore e gli hanno permesso di non sottomettersi più al divieto della Vita nuova che impediva di rimare su qualsiasi materia che non fosse quella d’amore. Ragioni dunque strettamente ideologiche e poetiche suggerite dal commento di Tommaso al De causis e presenti nella canzone Amor che movi, scritta come risposta alla cavalcantiana Donna me prega e datata, secondo Pinto, proprio dopo la Vita nuova, sov8 Premessa Le dolci rime:Maquetaci n 1 12/05/2014 15:03 PÆgina 9 vertendo così il tradizionale quadro di riferimento temporale di Voi che ‘ntendendo e Amor che nella mente, scritte, secondo lui, prima della stesura del libello. Con la teoria neoplatonica dell’amore, sganciato dalla passione e dal fantasma negativo della donna, cioè con l’idea di un amore inteso como principio celeste, emanazione dell’Uno in cui bellezza e bontà confluiscono, Dante può adottare senza contraddirsi la materia delle canzoni dottrinali e, d’altra parte, potrà assumere nelle petrose, di fronte al desiderio non corrisposto, la posizione cavalcantiana dell’amore come passione distruttiva. Dante fa dunque, secondo Pinto, della sconfitta della teoria d’amore espressa nella Vita nuova «un trampolino per nuove acquisizioni di pensiero e di poesia», e sotto la nuova ideologia neoplatonica, la nobiltà viene identificata con la natura spirituale e divina dell’universo. In quanto energia cosmica emanante dall’uno divino, «la nobiltà dell’anima del mondo può essere comparata con la nobiltà di quanti svolgono, sulla terra, l’azione di governo politico». La nobiltà acquista così un fondamento metafisico poiché è Dio stesso che la infonde nell’anima al momento della nascita, costituendo per Pinto questa «la originalissima tesi che la canzone svolge e dimostra», spostando il discorso relativo ai comportamenti dell’individuo dal pragmatismo dell’etica sociale ai grandi problemi della teologia poiché «la soluzione che Dante dà alla questione della gentilezza coincide infatti con quella che danno i teologi al problema della infusione nel feto umano dell’anima individuale». Un importante contributo del saggio di Pinto é legato alla semiotica della nobiltà: «della gentilezza ciò che soprattutto importa al poeta – spiega Pinto- è la sua riconoscibilità, il suo rivelarsi all’esterno, alla percezione e all’attenzione degli altri». La nobiltà deve essere riconoscibile in ogni momento dell’esistenza, poiché la caratterizza dal principio alla fine. È qui che emerge, in modo direi clamoroso, il sovvertimento di ogni teoria giuridico-sociologica della gentilezza: questa, intesa come merito intrinseco al carattere ed al temperamento, seleziona in modo naturale e quindi necessario i migliori, che devono essere non legittimati (dal potere o dal diritto o dalla ideologia) ma semplicementi riconosciuti, dalla società, in quanto tali. 9 Premessa Le dolci rime:Maquetaci n 1 12/05/2014 15:03 PÆgina 10 Da queste considerazioni consegue, spiega Pinto, che il problema per Dante della nobiltà sia quello della sua leggibilità «posto che la gentilezza afferisce all’anima della persona, e non alle sue determinazioni esterne o materiali». La gentilezza infatti è naturalmente ‘effusiva’, emette segni che la fanno riconoscere – segni che Pinto individua puntualmente nei versi della canzone – «se non ci si lascia ingannare dalla falsa opinione relativa alla famiglia e alle ricchezze». Lo studioso trova qui un’altra prova del «radicalismo con cui Dante priva di credibilità e legittimità le istituzioni che, a un titolo qualunque, pretendono di regolare e sanzionare la dignità e il merito delle persone», e ricorda il percorso di Dante nel De Vulgari Eloquentia, «analogamente decostruttivo, con cui libera il linguaggio da ogni ipoteca istituzionale, naturalizzandone completamente le origini e le funzioni». La semiotica della nobiltà, conclude Pinto, non viene svolta da Dante originariamente nel Convivio, come pensa Maria Corti, ma in questa canzone: il Convivio si limita a dichiarare in prosa concetti che nella canzone erano stati già perfettamente acquisiti e svolti. È evidente, infatti, che all’altezza di Le dolci rime il paradigma semiotico era già operante nella riflessione del poeta, che ad esso approda lungo l’accidentato percorso neoplatonico iniziato dopo la polemica Vita nuova-Donna me prega. Carlos López Cortezo, sulla linea di interpretazione allegorica della donna gentile, collega direttamente Le dolci rime con l’inizio di Amor che nella mente mi ragiona dove Dante confessa di essere arrivato ai limiti della sua capacità intellettuale e poetica per capire ed esprimere ciò che quella donna rappresenta. Considera dunque che dal punto di vista allegorico l’origine della canzone sia di carattere conoscitivo e filosoficomorale, e risponde alle difficoltà di Dante di fronte ad ardui problemi metafisici come quello della prima materia, precisando in questo senso che nella canzone il disdegno della donna non sarebbe tanto figura dell’inaccessibilità di tali problemi quanto della sua reazione verso l’atteggiamento di superbia che nel poeta implica la scelta di tali temi. Per questa ragione Dante decide di cambiare materia e sceglie quella della virtù, in concreto la nobiltà, per, come dice alla fine della canzone, riacquistare la corrispondenza amorosa della donna. Lo studioso completa il senso di questa 10 Premessa Le dolci rime:Maquetaci n 1 12/05/2014 15:03 PÆgina 11 decisione di Dante con il commento del Convivio in cui l’autore tratta dell’ordine gerarchico nello studio delle scienze. Secondo quest’ordine si può accedere allo studio della divina scienza, quella che si occupa della conoscenza di Dio, solo dopo essersi occupati dei problemi umano-terreni propri della filosofia morale: «in sintesi, la morale, la più umile delle scienze, viene nobilitata fino al punto di diventare l’unica capace di vincere la ‘superbia’, cioè il rifiuto o il disdegno della più alta e nobile delle scienze», fatto che verrà corroborato nella Commedia: solo dopo il viaggio di Dante attraverso l’inferno e il purgatorio e dopo aver acquistata la nobiltà morale, il problema della prima materia sarà trattato da Beatrice nel paradiso (XXIX, 22-30), dimostrando così lo studioso la rigorosa coerenza del pensiero di Dante fra la canzone, il Convivio e la Commedia. Nella seconda parte del suo saggio invece López Cortezo si attiene strettamente al senso letterale della canzone e considera che «Dante inserisce il suo discorso sulla nobiltà nell’ambito di una relazione amorosa tra una donna, che è gentile, e il poeta […]; rivolge infatti il suo discorso sulla vera gentilezza proprio a una donna gentile, amata da lui, ma che si è mostrata ‘fera e disdegnosa’ nei suoi confronti». Il poeta vuole spiegare alla donna, rappresentante della tradizionale nobiltà di stirpe, cosa sia la vera gentilezza, «quella che deriva dalla probitas e non dalla ricchezza o dalla schiatta»: il disdegno e «l’innamoramento di sé stessa della donna» (vv.18-20) mostrerebbe dunque l’atteggiamento superbo della classe nobile fiorentina e la critica di Dante nei suoi confronti. Lo studioso argomenta la sua tesi con una dettagliata e ricca lettura intertestuale fra il De Amore di Cappellano – lo squisito paradigma aristocratico dell’amore cortese che Dante prende anche come bersaglio implicito della sua critica – e Le dolci rime, mettendo a confronto i dialoghi del trattato francese fra una donna gentile e un plebeius, avallando così il tratto di ‘erranti’ inerente al titolo. Con questi ultimi «la donna gentile dantesca sarebbe d’accordo circa il parere sull’origine e l’essenza della gentilezza, allo stesso modo che la nobildonna del De Amore, alla quale il plebeius rinfaccia il suo errore». Da questo confronto intertestuale che implicitamente inserisce l’origine della canzone e il concetto di nobiltà nel teso dibattito sociale fiorentino del tempo di Dante, è da sottolineare – non potendo qui farlo in dettaglio – la notevole frequenza, individuata da López Cortezo nei dialoghi dell’opposizione ‘dolce’ vs ‘aspro’, così pertinente nella poetica 11 Premessa Le dolci rime:Maquetaci n 1 12/05/2014 15:03 PÆgina 12 della canzone dantesca. Analogamente, il confronto che fa Cappellano tra due fatti naturali ma contraddittori: «da un lato, i limiti sociali, stabiliti dalla natura, affinché gli uomini vivano contenti all’interno di essi, senza cercare di oltrepassarli; dall’altro, il desiderio, anche esso naturale, che spinge l’uomo, innamorato della sdegnosa, a volere rompere le barriere di classe». Qui la risposta di Dante è contundente e sovverte pienamente l’idea del De amore: se al plebeius, moralmente nobile, soltanto un principe ha la potestà di dare nobiltà, per Dante la nobiltà è «una grazia» di Dio (vv. 15-18), indipendente dalla stirpe (Cv. IV xx 5). È proprio questa la risposta che la canzone vuole dare alla donna gentile: «la gentilezza di cui è tanto fiera da disdegnarlo, è un dono di Dio, come d’altronde Dante aveva già scritto a proposito di Amor che ne la mente mi ragiona». Fondamentalmente aristocratica – questa è anche l’idea conclusiva del saggio di López Cortezo – Le dolci rime per Paolo Borsa nasce in implicita contrapposizione alla legislazione del Comune del Popolo che «aveva trasformato la nobiltà da segno di prelatura, quale era stata fino ad allora, in motivo di esclusione dalla vita politica cittadina». Di fronte ai diversi aspetti o modalità dell’idea di nobiltà (nobilitas politica et civilis, theologica, naturalis) che si incrociano nella riflessione su questa materia nell’epoca di Dante, Borsa realizza un documentatissimo ed esaustivo studio storico – che qui non può essere riassunto nelle sue varie tappe – esponendo le diverse fonti di questo polivalente concetto dall’antichità all’epoca di Dante, considerando poi i modi in cui, «a partire dall’età patristica, la cultura e la letteratura cristiana accolsero, confutarono o trasformarono le varie nozioni di nobilitas ereditate dal mondo classico e, analizzando ulteriormente il processo con cui, in età altomedievale, nacque e trovò legittimazione dottrinale il concetto di nobiltà metafisica, che si affermò pienamente nella letteratura filosofica e teologica dei secoli XII e XIII». Perfettamente strutturato, il saggio di Borsa fa nel paragrafo sesto un bilancio delle tappe fondamentali dell’evoluzione e della diffrazione semantica di nobilitas e nobilis, previamente enumerate e commentate, per concludere nel settimo che Le dolci rime «si presenta come la risposta di Dante, da poco entrato nella vita politica fiorentina, all’interrogativo […] su quali basi fondare l’identificazione di un nuovo ceto dirigente citta12 Premessa Le dolci rime:Maquetaci n 1 12/05/2014 15:03 PÆgina 13 dino». Anche se un po’ lungo cito l’illuminante passaggio conclusivo di Borsa: il testo de Le dolci rime rivela come, già all’altezza della canzone, Dante avesse esplorato e attentamente analizzato l’ampio e problematico campo semantico del termine. La materia è affrontata in tutta la sua complessità: la soluzione proposta è una sintesi che tiene conto della ‘multidimensionalità’ della questione e che, senza cedere a facili compromessi, si pone in equilibrio fra valori del ceto aristocratico, istanze degli homines novi e ideali della nuova aristocrazia dell’intelletto di formazione universitaria. La posizione dantesca, del resto, è perfettamente coerente con la figura dell’autore, cólto rappresentante della piccola nobiltà (equitator, non eques, a Firenze, eppure nobilis vir in un documento redatto a San Gimignano nel 1300, dove è inviato in qualità di ambasciatore) che si era accostato alla parte popolare scegliendo di iscriversi a un’Arte, quella dei medici e degli speziali, che gli consentiva di mantenere il profilo comunque aristocratico del philosophus. Il contributo di Juan Varela-Portas costituisce una intensa riflessione filosofica e ideologica sul contenuto della canzone. Parte dal considerare le due posizioni della critica: quella che favorisce i motivi sociali e politici come origine della canzone e quella che la considera prevalentemente una riflessione dottrinale, perfettamente compatibili e persino inseparabili all’interno di un problema non solo intellettuale e politico ma implicante pure la vita sensibile e affettiva. Una posizione la cui contraddittorietà Dante infruttuosamente cerca di risolvere negli gli anni ’90 e i primi del ’300. Si tratta appunto «di integrare in una concezione unitaria il mondo sensibile e quello intelligibile, l’anima e il corpo, la ‘luce’ e la materia, ecc., e quindi ontologia ed etica, metafisica e filosofia morale». In questo senso Juan Varela inizia il suo saggio precisando le ragioni dell’abbandono da parte di Dante dello studio della filosofia, abbandono non dovuto in generale alla difficoltà di ardui problemi metafisici ma alla concreta questione dell’ origine della materia collegando in modo nuovo e originale questo problema alla canzone: «l’abbandono della questione della prima materia e la canzone sulla nobiltà risulta [...] assolutamente logica se consideriamo che la prima materia è precisamente lo stato di massima imperfezione, di massima potenzialità e minima attualità, mentre la 13 Premessa Le dolci rime:Maquetaci n 1 12/05/2014 15:03 PÆgina 14 canzone propriamente svolge, come si sa, una riflessione sulla “perfezione di propria natura in ciascuna cosa” (Cv. IV xvi 5)». L’autore si propone dunque mostrare come «la questione della materia è sempre latente lungo la canzone come sfondo necessario sul quale svolgere il discorso sulla nobiltà metafisica – e le sue difficoltà per diventare nobiltà civile –, fino al punto che potremmo descrivere la canzone come un tentativo di capire e spiegare le condizioni in cui possono essere superate le limitazioni che la loro materialità impone agli esseri». Una ampia riflessione ideologica si sviluppa nella parte centrale del saggio impostata sull’opposizione in Dante fra la necessità di ribadire la sacralità del mondo e dell’uomo – minacciata dallo sviluppo socioeconomico – e l’urgenza di adattare questa sacralità alla nuova società non più schiettamente feudale. Qui l’autore mette in evidenza la profonda contraddizione vissuta da Dante dato il cambiamento delle basi dell’identità stessa che incomincia a essere fondata sul valore individuale e di conseguenza, l’incipiente separazione nella vita comunale fra un ambito privato, formato intorno all’identità individuale, e un ambito pubblico dove questa identità trova una riconferma pubblica nella vita civile. E l’autore esemplifica questa contraddizione accostando la canzone alla novella IV 1 del Decameron dove è la voce sociale quella che ormai conferisce il valore sociale: Guiscardo non è nobile perché Dio gli ha conferito capacità speciali nel momento della gestazione ma perché viene dichiarato nobile dalla voce pubblica in virtù del suo comportamento. Queste considerazioni di carattere ideologico si completano, da una parte, con una riflessione sui rapporti fra nobiltà e amore e dall’altra sul concetto di ricchezza. In quanto al primo, l’amore non sarebbe più un elemento di legittimazione sociale, come accadeva negli stilnovisti, ma una forza cosmica che viene dal cielo, idea che implica per l’autore «un allargamento del suo campo d’azione al mondo tutto, e, se ci si concede dirlo, una sua prima ‘democratizzazione’, che non risulta più un segno di classe». E in quanto al concetto di ricchezza in Le dolci rime è già presente l’intuizione della radicale alterità fra il mondo ancora non capitalista del Comune e il mondo capitalista dell’Età Moderna. Nella concezione sacralizzata del mondo le merci possono essere ‘intese’ solo come radicale imperfezione, generanti un tipo di desiderio completamente alieno al con14 Premessa Le dolci rime:Maquetaci n 1 12/05/2014 15:03 PÆgina 15 trollo della ragione e anche alla ‘drittura’, un desiderio assolutamente diverso da quello della scienza: il primo insaziabile; il secondo, nel graduale processo di acquisizione della conoscenza, permette di sperimentare il riposo e la perfezione di un diletto autentico. Conclude l’autore il suo ricco e impegnativo saggio riprendendo l’idea iniziale del rapporto tra la questione della prima materia e la nobiltà: la nobiltà sarebbe per l’autore l’antidoto contro la tendenza degli esseri alla materialità informe, al non-essere radicale, che, ‘inteso’ o no da Dio [...] è comunque alla base dell’universo e genera un desiderio insaziabile, un’assenza totale di vero diletto. La nobiltà, come prerequisito per l’amore, servirebbe «da contrappeso a questa controtendenza dell’universo e dell’uomo verso la distruzione, ma, come nelle successive canzoni di Dante, scritte in mezzo alla battaglia politica e ai conflitti cittadini, questa controtendenza si farà più e più pesante fino a diventare vincitrice». Per finire questa presentazione non mi resta che ringraziare Juan Varela-Portas e la sua famiglia per la gentile e calda accoglienza e ospitalità nel bel Pazo familiare a Antas de Ulla dove fummo accolti anche sette anni fa. Con il ricordo vivo di tutti quanti eravamo lì in quel momento festeggiando il convivio intorno a Le dolci rime e all’attraente percorso che ancora ci offre il resto delle canzoni di Dante. ROSARIO SCRIMIERI 15 Premessa Le dolci rime:Maquetaci n 1 12/05/2014 15:03 PÆgina 16