42 Domenica 5 luglio 2015 [email protected] 43 Domenica 5 luglio 2015 [email protected] La recensione Un contenuto parziale L’opera in tre volumi sul pensatore di Nola diretta «Nel testo regna il pensiero unico del curatore dal docente di Storia della filosofia della Normale Le varie voci non sono da prendere come oro colato» Il monumento di Bruno al professor Ciliberto U di ROBERTO BONDÌ* na persona a me cara che non c’è più raccontava una storiella a proposito di un’abitudine diffusa nel mondo accademico. Due professori universitari si incontrano. Il più giovane chiede al collega più anziano ormai prossimo alla pensione: «E ora che cosa farai?». Risposta: «Finalmente avrò il tempo di leggere tutti i libri che ho recensito». È vero, purtroppo, che a volte si recensisce senza aver letto fino in fondo, o senza conoscere bene l’argomento di un’opera, oppure per celebrare l’ultima impresa, quale che sia, di uno studioso di gran nome: «A prescindere», come diceva Totò. La storiella mi è tornata in mente nel vedere quante recensioni elogiative hanno salutato su importanti quotidiani, come «Il Sole 24 Ore» (15 febbraio), «il Manifesto» (16 febbraio) e «la Repubblica» (17 febbraio), la stampa dell’opera enciclopedica in tre volumi “Giordano Bruno. Parole, concetti, immagini” (Edizioni della Normale, 2014). L’opera è diretta da uno studioso altamente benemerito negli studi bruniani, Michele Ciliberto, professore di Storia della filosofia moderna e contemporanea presso la Scuola Normale Superiore di Pisa, nonché Presidente dell’Istituto Nazionale di Studi sul Rinascimento di Firenze: «Due ambienti dove – ha affermato il professor Tullio Gregory durante la presentazione dei volumi all’Accademia Nazionale dei Lincei – regna sovrano Michele Ciliberto». E sovrano Ciliberto regna, inevitabilmente, anche in quest’«opera monumentale», come l’ha definita sempre il professor Gregory, dato che le numerose voci sono state perlopiù compilate tenendo in una mano i testi di Bruno e nell’altra gli scritti di Ciliberto stesso. Ne è venuto fuori sostanzialmente un lavoro di scuola, che ha fatto risparmiare agli autori la fatica di confrontarsi con diverse, e a volte opposte, interpretazioni. Molte di queste sono, afferma esplicitamente Ciliberto, o inutili o senza senso. «Non serve – scrive a proposito di Bruno – continuare a proiettarlo nella genealogia dei ‘moderni’ ignorando aspetti costitutivi della sua opera; o rinserrarlo in una ‘tradizione’ – fosse pure quella, certo importante, dell’ermetismo», e «non ha neppure senso consegnarlo al “mondo dei maghi” – rovesciando il giudizio della Yates – per mostrarne limiti, arretratezze, superstizioni estranee al mondo ‘moderno’, cioè – in ultima analisi – al paradigma della rivoluzione scientifica» (la formulazione della frase è infelice: lascia intendere che il “rovesciamento” riguardi la “consegna” al “mondo dei maghi”, quando, com’è noto, l’interpretazione dell’illustre studiosa inglese consiste proprio nel presentare Bruno come, per usare le sue stesse parole, un «mago ermetico»). Quello di Bruno è “Un pensiero di confine” (questo il titolo dell’introduzione). Poi però leggiamo che il Nolano «appartiene al Rinascimento» e «si muove in una prospettiva ontologicamente [!?] differente da quella ‘moderna’». Confine fra che cosa, allora? Continua Ciliberto: «Ma questo non significa che egli sia il nostalgico rappresentante di un passato finito o di una inerte ‘tradizione’, o che vada situato in correnti minoritarie della ‘modernità’» (vol. I, p. 11). Anzi, come ha scritto altrove, Bruno è «artefice fondamentale» del «mondo moderno» (Ciliberto, Umbra profunda. Studi su Giordano Bruno, Edizioni di Storia e Letteratura, 1999, p. 309). Infatti «intuì, e sviluppò, concetti essenziali come quello di infinito [preceduto in questo da quello che Bruno chiama «il divino Cusano»]; argomentò il concetto [c’è scritto proprio così] del lavoro come predicato dell’uomo e fondamento della civiltà; valorizzò [per primo?] il corpo come principio di differenza tra gli enti naturali; spezzò [solo lui?] le regole della poetica aristotelica, assumendo l’infinita, e libera, creatività di ogni poeta; attraverso le immagini scoprì, teorizzò e praticò una via originalissima di accesso alla verità [sic], facendo i conti con l’intuizione dell’infinito, senza sprofondare l’uomo nel nulla, come temeva Keplero, ma potenziandone, al massimo, attraverso l’“eroico furore”, tutte le possibilità» (vol. I, p. 11). Veramente non tutte, ma, come ha scritto una volta lo stesso Ciliberto, solo quelle di «chi sia stato toccato dalla “grazia” degli dèi» (Bruno, Opere magiche, edizione diretta da M. Ciliberto, a cura di S. Bassi, E. Scapparone, N. Tirinnanzi, Adelphi, 2000, p. LIX): un pensiero, come dire, non propriamente “moderno”. Dove collocare il Nolano è questione delicata, perché «è qui che si apre il problema principale, e più difficile da risolvere, quando si progetta un lavoro di tipo ‘enciclopedico’ su Bruno». La soluzione è: «Bisogna situarsi, insieme a lui, su un confine, diventare, come suggeriva Warburg, “guardie confinarie”. E nel farlo occorre guardare, come nel quadro di Tiziano [ma quale?], al suo rapporto con il passato, alle discussioni con i contemporanei, alle programmatiche [?] proiezioni verso il futuro». Si tratta di «livelli distinti che vanno però tenuti insieme, ed analizzati, in modo simultaneo» (vol. I, p. 11). Ovviamente. Anche concedendo che tutto questo sia chiaro, gli «studiosi della filosofia del Rinascimento e del Nolano» e il «pubblico più vasto di lettori, ancora affascinati dalla sua figura leggendaria», ai quali il «lavoro intende rivolgersi», avvertiranno a questo punto un leggero senso di inquietudine. Tanto per «Assente il confronto con le diverse interpretazioni» cominciare, si chiederanno a chi dar retta a fuoco l’ontologia e la metodologia dei confid’ora in poi, se a Ciliberto o al grande storico ni, Ciliberto non ha trovato il modo di nomidell’arte e della cultura Aby Warburg, che nare nemmeno lo storico delle idee Paolo suggeriva l’esatto contrario di quello che Ci- Rossi, che, dopo le fondamentali pagine su liberto gli attribuisce. Come ha ricordato un Bruno scritte alla fine degli anni Cinquanta, altro storico dell’arte, Ernst H. Gombrich, e confluite nella Clavis universalis (1960), al «Warburg tendenzialmente aborriva il culto filosofo nolano ha dedicato un libro non sedello specialismo e quelle che chiamava condario: “Il tempo dei maghi”. Rinascimenguardie confinarie» (Custodi della memoria, to e modernità (Raffaello Cortina Editore, Feltrinelli, 1985, p. 136). Ma anche senza 2006). Certo, Ciliberto ha già chiarito che aver mai letto una riga di Warburg e senza non ha senso «consegnare» Bruno «al “monconoscere questa testimonianza di Gombri- do dei maghi”», e due pagine prima ha ricorch è possibile, solo visitando la splendida bi- dato quegli «storici della scienza, che hanno blioteca del Warburg Institute a Londra, estremizzato la differenza fra Rinascimento rendersi conto che l’indicazione metodologi- e ragione ‘moderna’, inabissando Bruno nel ca del suo fondatore non prevedeva affatto lo “mondo dei maghi” e nelle loro ‘superstiziostazionamento sui confini; prevedeva, al ni’». Del resto, Ciliberto aveva già esposto le contrario, il loro attraversamento libero e ragioni del suo dissenso da Rossi nel saggio spregiudicato, in barba alle guardie confi- ‘Scoperta’ della magia e dell’ermetismo nel narie. Gli studiosi e il pubblico più vasto po- Novecento (Pensare per contrari. Disincantranno poi domandarsi perché mai dovrebbe to e utopia nel Rinascimento, Edizioni di Stovalere per Bruno e non anche, nella stessa misura, per qualsiasi altro classico la raccomandazione di studiarne simultaneamente il «rapporto con il passato» e le «discussioni con i contemporanei». Quanto alle «programmatiche proiezioni verso il futuro», non è agevole comprendere che cosa s’intenda con queste parole. Di sicuro, arrivati alla fine dell’introduzione, studiosi e lettori si chiederanno a chi si riferisca Ciliberto quando menziona la «straordinaria fioritura di studi e di ricerche su Giordano Bruno» degli «ultimi cinquanta anni» (vol. I, p. 5). Ciliberto parte dagli illuministi e prosegue con richiami a Felice Tocco, Jacob Burckhardt, Aby Warburg, Ernst Cassirer, Delio Cantimori, Giovanni Gentile, Antonio Corsano, Frances A. Yates. Di sfuggita e tra parentesi, forse perché lo spazio stava per finire, nomina poi Nicola Badaloni e Giovanni Aquilecchia, e in chiusura James Joyce, Carlo Emilio Gadda, Italo Calvino e Benedetto Croce. Esaurito lo spazio a disposizione, non è più possibile nominare nessuno tra Eugenio Canone, Luciana De Bernart, Antonella Del Prete, Luigi Firpo, Eugenio Garin, Hilary Gatti, Miguel A. Granada, Alfonso Ingegno, Paul-Henri Michel, Nuccio Ordine, Fulvio Papi, Saverio Ricci, Rita Sturlese, Cesare Vasoli, Hélène Védrine: tutti autori che, diversamente da molti di quelli citati da Ciliberto, hanno forse dato un qualche contributo, seppure a titolo diverso, alla «straordinaria fioritura di studi e di ricerche su Giordano Bruno» deUn ritratto di Giordano Bruno su una litografia del XVI secolo gli «ultimi cinquanta anni». Non solo. Tutto preso dal mettere (Civica Raccolta delle Stampe “Archille Bertarelli”, Milano) Michele Ciliberto, professore di Storia della filosofia moderna e contemporanea presso la Scuola Normale Superiore di Pisa. A destra i volumi dell’opera “Giordano Bruno. Parole, concetti, immagini” da lui diretta ria e Letteratura, 2005, pp. 49-67). Qui era riuscito nell’impresa di esaltare liquidando – o di liquidare esaltando – il saggio di Rossi su Tradizione ermetica e rivoluzione scientifica (pubblicato nel 1975 in inglese, in un volume curato da M.L. Righini Bonelli e W. Shea, e in italiano sulla «Rivista di filosofia», per poi essere ristampato in Immagini della scienza, Editori Riuniti, 1977, pp. 149-181). Questo saggio, affermava Ciliberto, è «molto importante sia per le tesi che sostiene che per la vasta discussione cui fa riferimento, in Italia e fuori d’Italia»; è «assai noto, importante per lo sviluppo degli studi sul rapporto tra ermetismo e rivoluzione scientifica (un falso problema, a mio giudizio, sia detto tra parentesi)» (Pensare per contrari, p. 65). Perché «falso» non precisava. Ma, dopo aver decretato che era ormai «esaurito» l’«impuso critico» derivato dalle pagine di Rossi, le quali «oggi stanno di fronte a noi anzitutto come un interessante documento storico, perché illuminano con chiarezza una delle vie che hanno portato, nel secolo passato, al progressivo tramonto di quell’ermetismo che negli anni Sessanta e nei primi anni Settanta era diventato una sorta di moda», Ciliberto scriveva: «Nella prospettiva di Rossi […], l’ermetismo era progressivamente limitato e poi dissolto nell’universo del ‘premoderno’, alla luce di una periodizzazione – e di una concezione – della ragione ‘classica’ moderna, che sposta l’asse dal Rinascimento verso il Seicento di Cartesio, di Hobbes, di Spinoza – in altri termini, verso i teorici di quella che, in polemica frontale con le posizioni ermetiche, Rossi chiama “l’eguaglianza delle intelligenze”». «Come posso accettare – rispose Rossi nel “Tempo dei maghi” – la tesi (esposta per di più “fra parentesi”, come un’ovvietà che non richiede argomentazioni) che quello dei rapporti fra tradizione ermetica e rivoluzione scientifica sarebbe un falso problema? […] Io non intendevo allora e non intendo in questo libro [Il tempo dei maghi], come ritiene Ciliberto, “avviare a dissoluzione la ‘scoperta’ dell’ermetismo” […] Ho qualche dubbio – scrisse Rossi – sulla consistenza di realtà indicate con termini quali Medioevo, Rinascimento, Modernità e ho di conseguenza dubbi ancora maggiori sul fatto che quelle entità siano provviste di un asse attorno al quale ruoterebbero». Rossi non si riconosceva nel «ritratto» di Ciliberto anche «perché un conto è polemizzare contro le posizioni ermetiche e un altro conto è descrivere la “polemica frontale” quale si espresse nel Seicento con la frase sull’eguaglianza delle intelligenze, che è, ovviamente, non mia, ma del Lord Cancelliere» (pp. 22-24). Anche senza aver mai letto i testi di Bacon, come era possibile che, citando da un libro che contiene un intero capitolo dedicato al tema dell’«eguaglian- za delle intelligenze», Ciliberto non avesse capito che questa espressione non era di Rossi, ma del Lord Cancelliere? Non erano certo queste le premesse migliori per avventurarsi in giudizi su interpretazioni di grande respiro come quella del rapporto tra ermetismo e rivoluzione scientifica. Ma questo è «un falso problema»… Nelle voci chiave di questa enciclopedia si manifesta con tutta evidenza la debolezza dell’impostazione generale di Ciliberto, che liquida influenti interpretazioni come quelle di Yates e Rossi contrapponendovi ora l’immagine di un Bruno che «è anzitutto un filosofo che, attraverso la filosofia, scopre la magia» (“Pensare per contrari”, p. 216), ora quella di un Bruno «al confine tra due mondi» (vol. I, p. 13). Ma il pensiero di Bruno è più filosofico che magico o più magico che filosofico? È prima filosofico e poi magico o prima magico e poi filosofico? Bruno avrebbe (nel migliore dei casi) sorriso di fronte al conferimento del titolo di paladino delle partizioni disciplinari, che è esattamente il titolo che vorrebbe conferirgli Ciliberto, per il quale «non è il filtro magico che definisce ciò che è filosofico e ciò che non è filosofico, nell’opera di Bruno; ma è la filosofia il primo fondamento – e la pietra d’angolo – della sua magia» (Pensare per contrari, p. 393). Che cosa significa, poi, di preciso che Bruno è «al confine tra due mondi»? Che non appartiene interamente né al Rinascimento né al mondo moderno? Che ha un piede di qua e uno di là? Per riempire di senso formule che altrimenti rimangono vuote occorre considerare proprio quelli che Ciliberto considera «falsi problemi», come il «rapporto tra ermetismo e rivoluzione scientifica». O davvero è possibile sostenere, ad esempio, che è irrilevante appurare se l’immagine del sapere e del sapiente di Bruno è uguale o diversa da quella che il suo contemporaneo Bacon elabora proprio in contrapposizione agli ideali della magia e che diventa parte integrante di quella che chiamiamo scienza moderna? In “Giordano Bruno. Parole, concetti, immagini”, le voci «Magia» e «Mago» sono affidate a Simonetta Bassi, la quale, impegnata da tempo nello sforzo di dimostrare che Bruno «naturalizza» la magia (quindi è più moderno di quanto non si sia creduto?), si è spinta fino ad affermare, nel commento al “De magia naturali”, che la «scala della natura», che com’è noto sta alla base del pensiero magico in generale, è per Bruno «qualcosa» non soltanto di «evidente», ma addirittura di «sperimentabile»! (Opere magiche, p. 292). A suo tempo Rossi si domandò come si potesse parlare di «sperimentabilità» a proposito di una «scala che, sia detto per inciso, comprende anche l’influenza degli astri sui demoni» (Il tempo dei maghi, p. 140). Forse confortato delle indicazioni della Bassi, un «Esclusi dalle fonti i contributi di diversi studiosi» altro degli autori di questa enciclopedia bruniana, Diego Pirillo, è giunto ad attribuire a Bruno «un’originale operazione tesa a rifondare la magia su basi integralmente naturali e scientifiche [!?]» (La magia nell’Europa moderna. Tra antica sapienza e filosofia naturale, 2 voll., a cura di F. Meroi, con la collaborazione di E. Scapparone, Olschki, 2007, II, p. 541). È apprezzabile che ora, stendendo la voce «Magia», la Bassi abbia ritenuto opportuno non riproporre quelle enormità, cosa che potrebbe essere interpretata come un’implicita e meritoria autocritica. Alla voce «Mago», però, la Bassi regala al lettore un’altra perla proprio sulla scala della natura, «che in Bruno non indica, come nella tradizione classica e medievale, l’ordine assoluto che collega ogni ente lungo gradi di perfezione sempre crescenti, ma è metafora per significare l’influsso di ogni ente e la vitalità di ogni elemento materiale» (vol. II, pp. 1146-1147). Una «metafora»? Quello che secondo Bruno «i maghi considerano fondamentale tenere presente in ogni operazione», cioè che «Dio influisce sugli dèi, gli dèi sui corpi celesti o astri, che sono divinità corporee, gli astri sui demoni, che sono i custodi e gli abitanti degli astri», ecc., sarebbe una semplice «metafora»? Si resta senza parole. Messo in guardia contro i «falsi problemi», stendendo la voce «Secretus», Salvatore Carannante, riconosce che Bruno ha «una concezione spiccatamente aristocratica del sapere e della filosofia» e che per lui la verità «è riservata ai pochi in grado di comprenderla», ma non dice una sola parola sul fatto che proprio posizioni come queste allontanano irrimediabilmente Bruno dal mondo moderno. Nella bibliografia che chiude la voce campeggia un solo nome: quello di Ciliberto, ovviamente (vol. II, p. 1734). Per Carannante, le tantissime pagine dedicate da Rossi a questo tema in generale e in Giordano Bruno sembra che non esistano. Allo stesso modo, per gli autori di questa enciclopedia e per il suo direttore scientifico sembra che non esistano gli studi di Miguel Angel Granada sull’importante nozione di synodus ex mundis, espressione, questa, coniata da Bruno per indicare quello che sarà poi chiamato “sistema planetario”. Per Granada, si tratta del «contributo più importante di Bruno alla rivoluzione cosmologica dell’epoca, perché rompe con la concezione finora dominante dell’unicità del mondo e dell’identità di universo e mondo» (Granada, Synodus ex mundis, in Enciclopedia bruniana e campanelliana, diretta da E. Canone e G. Ernst, vol. II, Fabrizio Serra Editore, 2010, col. 146). Per Ciliberto e i suoi collaboratori, invece, la voce stesa da Granada non merita nemmeno di essere ricordata in bibliografia. Col risultato che dalla voce «Mondo», stesa da Francesca Dell’Omodarme, il lettore, che pure trova una citazione significativa del Camoeracensis acrotismus e sente parlare di «aggregazioni di pianeti» (vol. II, p. 1267), non ricava con chiarezza che per Bruno «mondo» non è soltanto il singolo astro, ma anche un complesso di astri, e che di conseguenza quello di cui Bruno parla non è soltanto una pluralità infinita di astri, ma anche una pluralità infinita di sistemi planetari. La Dell’Omodarme insiste invece sull’identificazione bruniana di mondo e astro. Analogamente, dalla voce «Universo», scritta da Carannante, il lettore non ricaverà che per Bruno l’universo infinito è costituito da infiniti synodi autosufficienti e autonomi. L’espressione synodus ex mundis è invece citata da Elisa Fantechi alla voce «Astro», ma in bibliografia Granada non compare. Compaiono invece veri e propri sfondoni. Nell’importante voce «Copernico» leggiamo che il De revolutionibus, pubblicato nel 1543, «in realtà già da qualche anno circolava in forma manoscritta». Floriano Martino, che ne è l’autore, evidentemente si confonde col cosiddetto Commentariolus. Che dire, infine, delle edizioni delle opere di Bruno utilizzate? Quando è possibile si usano, com’è legittimo, quelle pubblicate a cura o sotto la direzione di Ciliberto. Quando non è possibile, avvengono cose singolari. Del Candelaio, infatti, ci si serve addirittura dell’edizione di Vincenzo Spampanato (19232). Evidentemente, a differenza di tutti gli altri testi curati da Aquilecchia, che meritarono di essere assunti come «testi di riferimento» quando si trattò di inglobarli nell’edizione che Ciliberto ha curato («dopo averli – s’intende – riscontrati in modo sistematico con le prime stampe, ed emendati da refusi e imperfezioni che, in alcuni casi, ne compromettevano il senso»: così Ciliberto nel saggio introduttivo a Bruno, Dialoghi filosofici italiani, Mondadori, 2000, p. LXXXV), il testo del Candelaio di Aquilecchia (1993) presenta tanti e tali problemi da consigliare l’uso di un’edizione pubblicata settant’anni prima. Chissà se sapremo mai quali sono tutti questi problemi. In conclusione, nessuno può negare che questi tre volumi siano molto utili. È un fatto, comunque, che vi «regna sovrano» un pensiero unico (oltre a quello di Bruno, s’intende). È un’«opera monumentale», certo, ma non eretta al solo Nolano. Gli studiosi che se ne serviranno dovranno affidarsi a una guida competente che li aiuti a districarsi nella prosa di Ciliberto e a non prendere per oro colato tutto, proprio tutto, quello che gli autori delle singole voci affermano. «Il concetto di Mago presentato come semplice metafora» Direttore del Centro Internazionale di Studi Telesiani Bruniani e Campanelliani © RIPRODUZIONE RISERVATA 42 Domenica 5 luglio 2015 [email protected] 43 Domenica 5 luglio 2015 [email protected] La recensione Un contenuto parziale L’opera in tre volumi sul pensatore di Nola diretta «Nel testo regna il pensiero unico del curatore dal docente di Storia della filosofia della Normale Le varie voci non sono da prendere come oro colato» Il monumento di Bruno al professor Ciliberto U di ROBERTO BONDÌ* na persona a me cara che non c’è più raccontava una storiella a proposito di un’abitudine diffusa nel mondo accademico. Due professori universitari si incontrano. Il più giovane chiede al collega più anziano ormai prossimo alla pensione: «E ora che cosa farai?». Risposta: «Finalmente avrò il tempo di leggere tutti i libri che ho recensito». È vero, purtroppo, che a volte si recensisce senza aver letto fino in fondo, o senza conoscere bene l’argomento di un’opera, oppure per celebrare l’ultima impresa, quale che sia, di uno studioso di gran nome: «A prescindere», come diceva Totò. La storiella mi è tornata in mente nel vedere quante recensioni elogiative hanno salutato su importanti quotidiani, come «Il Sole 24 Ore» (15 febbraio), «il Manifesto» (16 febbraio) e «la Repubblica» (17 febbraio), la stampa dell’opera enciclopedica in tre volumi “Giordano Bruno. Parole, concetti, immagini” (Edizioni della Normale, 2014). L’opera è diretta da uno studioso altamente benemerito negli studi bruniani, Michele Ciliberto, professore di Storia della filosofia moderna e contemporanea presso la Scuola Normale Superiore di Pisa, nonché Presidente dell’Istituto Nazionale di Studi sul Rinascimento di Firenze: «Due ambienti dove – ha affermato il professor Tullio Gregory durante la presentazione dei volumi all’Accademia Nazionale dei Lincei – regna sovrano Michele Ciliberto». E sovrano Ciliberto regna, inevitabilmente, anche in quest’«opera monumentale», come l’ha definita sempre il professor Gregory, dato che le numerose voci sono state perlopiù compilate tenendo in una mano i testi di Bruno e nell’altra gli scritti di Ciliberto stesso. Ne è venuto fuori sostanzialmente un lavoro di scuola, che ha fatto risparmiare agli autori la fatica di confrontarsi con diverse, e a volte opposte, interpretazioni. Molte di queste sono, afferma esplicitamente Ciliberto, o inutili o senza senso. «Non serve – scrive a proposito di Bruno – continuare a proiettarlo nella genealogia dei ‘moderni’ ignorando aspetti costitutivi della sua opera; o rinserrarlo in una ‘tradizione’ – fosse pure quella, certo importante, dell’ermetismo», e «non ha neppure senso consegnarlo al “mondo dei maghi” – rovesciando il giudizio della Yates – per mostrarne limiti, arretratezze, superstizioni estranee al mondo ‘moderno’, cioè – in ultima analisi – al paradigma della rivoluzione scientifica» (la formulazione della frase è infelice: lascia intendere che il “rovesciamento” riguardi la “consegna” al “mondo dei maghi”, quando, com’è noto, l’interpretazione dell’illustre studiosa inglese consiste proprio nel presentare Bruno come, per usare le sue stesse parole, un «mago ermetico»). Quello di Bruno è “Un pensiero di confine” (questo il titolo dell’introduzione). Poi però leggiamo che il Nolano «appartiene al Rinascimento» e «si muove in una prospettiva ontologicamente [!?] differente da quella ‘moderna’». Confine fra che cosa, allora? Continua Ciliberto: «Ma questo non significa che egli sia il nostalgico rappresentante di un passato finito o di una inerte ‘tradizione’, o che vada situato in correnti minoritarie della ‘modernità’» (vol. I, p. 11). Anzi, come ha scritto altrove, Bruno è «artefice fondamentale» del «mondo moderno» (Ciliberto, Umbra profunda. Studi su Giordano Bruno, Edizioni di Storia e Letteratura, 1999, p. 309). Infatti «intuì, e sviluppò, concetti essenziali come quello di infinito [preceduto in questo da quello che Bruno chiama «il divino Cusano»]; argomentò il concetto [c’è scritto proprio così] del lavoro come predicato dell’uomo e fondamento della civiltà; valorizzò [per primo?] il corpo come principio di differenza tra gli enti naturali; spezzò [solo lui?] le regole della poetica aristotelica, assumendo l’infinita, e libera, creatività di ogni poeta; attraverso le immagini scoprì, teorizzò e praticò una via originalissima di accesso alla verità [sic], facendo i conti con l’intuizione dell’infinito, senza sprofondare l’uomo nel nulla, come temeva Keplero, ma potenziandone, al massimo, attraverso l’“eroico furore”, tutte le possibilità» (vol. I, p. 11). Veramente non tutte, ma, come ha scritto una volta lo stesso Ciliberto, solo quelle di «chi sia stato toccato dalla “grazia” degli dèi» (Bruno, Opere magiche, edizione diretta da M. Ciliberto, a cura di S. Bassi, E. Scapparone, N. Tirinnanzi, Adelphi, 2000, p. LIX): un pensiero, come dire, non propriamente “moderno”. Dove collocare il Nolano è questione delicata, perché «è qui che si apre il problema principale, e più difficile da risolvere, quando si progetta un lavoro di tipo ‘enciclopedico’ su Bruno». La soluzione è: «Bisogna situarsi, insieme a lui, su un confine, diventare, come suggeriva Warburg, “guardie confinarie”. E nel farlo occorre guardare, come nel quadro di Tiziano [ma quale?], al suo rapporto con il passato, alle discussioni con i contemporanei, alle programmatiche [?] proiezioni verso il futuro». Si tratta di «livelli distinti che vanno però tenuti insieme, ed analizzati, in modo simultaneo» (vol. I, p. 11). Ovviamente. Anche concedendo che tutto questo sia chiaro, gli «studiosi della filosofia del Rinascimento e del Nolano» e il «pubblico più vasto di lettori, ancora affascinati dalla sua figura leggendaria», ai quali il «lavoro intende rivolgersi», avvertiranno a questo punto un leggero senso di inquietudine. Tanto per «Assente il confronto con le diverse interpretazioni» cominciare, si chiederanno a chi dar retta a fuoco l’ontologia e la metodologia dei confid’ora in poi, se a Ciliberto o al grande storico ni, Ciliberto non ha trovato il modo di nomidell’arte e della cultura Aby Warburg, che nare nemmeno lo storico delle idee Paolo suggeriva l’esatto contrario di quello che Ci- Rossi, che, dopo le fondamentali pagine su liberto gli attribuisce. Come ha ricordato un Bruno scritte alla fine degli anni Cinquanta, altro storico dell’arte, Ernst H. Gombrich, e confluite nella Clavis universalis (1960), al «Warburg tendenzialmente aborriva il culto filosofo nolano ha dedicato un libro non sedello specialismo e quelle che chiamava condario: “Il tempo dei maghi”. Rinascimenguardie confinarie» (Custodi della memoria, to e modernità (Raffaello Cortina Editore, Feltrinelli, 1985, p. 136). Ma anche senza 2006). Certo, Ciliberto ha già chiarito che aver mai letto una riga di Warburg e senza non ha senso «consegnare» Bruno «al “monconoscere questa testimonianza di Gombri- do dei maghi”», e due pagine prima ha ricorch è possibile, solo visitando la splendida bi- dato quegli «storici della scienza, che hanno blioteca del Warburg Institute a Londra, estremizzato la differenza fra Rinascimento rendersi conto che l’indicazione metodologi- e ragione ‘moderna’, inabissando Bruno nel ca del suo fondatore non prevedeva affatto lo “mondo dei maghi” e nelle loro ‘superstiziostazionamento sui confini; prevedeva, al ni’». Del resto, Ciliberto aveva già esposto le contrario, il loro attraversamento libero e ragioni del suo dissenso da Rossi nel saggio spregiudicato, in barba alle guardie confi- ‘Scoperta’ della magia e dell’ermetismo nel narie. Gli studiosi e il pubblico più vasto po- Novecento (Pensare per contrari. Disincantranno poi domandarsi perché mai dovrebbe to e utopia nel Rinascimento, Edizioni di Stovalere per Bruno e non anche, nella stessa misura, per qualsiasi altro classico la raccomandazione di studiarne simultaneamente il «rapporto con il passato» e le «discussioni con i contemporanei». Quanto alle «programmatiche proiezioni verso il futuro», non è agevole comprendere che cosa s’intenda con queste parole. Di sicuro, arrivati alla fine dell’introduzione, studiosi e lettori si chiederanno a chi si riferisca Ciliberto quando menziona la «straordinaria fioritura di studi e di ricerche su Giordano Bruno» degli «ultimi cinquanta anni» (vol. I, p. 5). Ciliberto parte dagli illuministi e prosegue con richiami a Felice Tocco, Jacob Burckhardt, Aby Warburg, Ernst Cassirer, Delio Cantimori, Giovanni Gentile, Antonio Corsano, Frances A. Yates. Di sfuggita e tra parentesi, forse perché lo spazio stava per finire, nomina poi Nicola Badaloni e Giovanni Aquilecchia, e in chiusura James Joyce, Carlo Emilio Gadda, Italo Calvino e Benedetto Croce. Esaurito lo spazio a disposizione, non è più possibile nominare nessuno tra Eugenio Canone, Luciana De Bernart, Antonella Del Prete, Luigi Firpo, Eugenio Garin, Hilary Gatti, Miguel A. Granada, Alfonso Ingegno, Paul-Henri Michel, Nuccio Ordine, Fulvio Papi, Saverio Ricci, Rita Sturlese, Cesare Vasoli, Hélène Védrine: tutti autori che, diversamente da molti di quelli citati da Ciliberto, hanno forse dato un qualche contributo, seppure a titolo diverso, alla «straordinaria fioritura di studi e di ricerche su Giordano Bruno» deUn ritratto di Giordano Bruno su una litografia del XVI secolo gli «ultimi cinquanta anni». Non solo. Tutto preso dal mettere (Civica Raccolta delle Stampe “Archille Bertarelli”, Milano) Michele Ciliberto, professore di Storia della filosofia moderna e contemporanea presso la Scuola Normale Superiore di Pisa. A destra i volumi dell’opera “Giordano Bruno. Parole, concetti, immagini” da lui diretta ria e Letteratura, 2005, pp. 49-67). Qui era riuscito nell’impresa di esaltare liquidando – o di liquidare esaltando – il saggio di Rossi su Tradizione ermetica e rivoluzione scientifica (pubblicato nel 1975 in inglese, in un volume curato da M.L. Righini Bonelli e W. Shea, e in italiano sulla «Rivista di filosofia», per poi essere ristampato in Immagini della scienza, Editori Riuniti, 1977, pp. 149-181). Questo saggio, affermava Ciliberto, è «molto importante sia per le tesi che sostiene che per la vasta discussione cui fa riferimento, in Italia e fuori d’Italia»; è «assai noto, importante per lo sviluppo degli studi sul rapporto tra ermetismo e rivoluzione scientifica (un falso problema, a mio giudizio, sia detto tra parentesi)» (Pensare per contrari, p. 65). Perché «falso» non precisava. Ma, dopo aver decretato che era ormai «esaurito» l’«impuso critico» derivato dalle pagine di Rossi, le quali «oggi stanno di fronte a noi anzitutto come un interessante documento storico, perché illuminano con chiarezza una delle vie che hanno portato, nel secolo passato, al progressivo tramonto di quell’ermetismo che negli anni Sessanta e nei primi anni Settanta era diventato una sorta di moda», Ciliberto scriveva: «Nella prospettiva di Rossi […], l’ermetismo era progressivamente limitato e poi dissolto nell’universo del ‘premoderno’, alla luce di una periodizzazione – e di una concezione – della ragione ‘classica’ moderna, che sposta l’asse dal Rinascimento verso il Seicento di Cartesio, di Hobbes, di Spinoza – in altri termini, verso i teorici di quella che, in polemica frontale con le posizioni ermetiche, Rossi chiama “l’eguaglianza delle intelligenze”». «Come posso accettare – rispose Rossi nel “Tempo dei maghi” – la tesi (esposta per di più “fra parentesi”, come un’ovvietà che non richiede argomentazioni) che quello dei rapporti fra tradizione ermetica e rivoluzione scientifica sarebbe un falso problema? […] Io non intendevo allora e non intendo in questo libro [Il tempo dei maghi], come ritiene Ciliberto, “avviare a dissoluzione la ‘scoperta’ dell’ermetismo” […] Ho qualche dubbio – scrisse Rossi – sulla consistenza di realtà indicate con termini quali Medioevo, Rinascimento, Modernità e ho di conseguenza dubbi ancora maggiori sul fatto che quelle entità siano provviste di un asse attorno al quale ruoterebbero». Rossi non si riconosceva nel «ritratto» di Ciliberto anche «perché un conto è polemizzare contro le posizioni ermetiche e un altro conto è descrivere la “polemica frontale” quale si espresse nel Seicento con la frase sull’eguaglianza delle intelligenze, che è, ovviamente, non mia, ma del Lord Cancelliere» (pp. 22-24). Anche senza aver mai letto i testi di Bacon, come era possibile che, citando da un libro che contiene un intero capitolo dedicato al tema dell’«eguaglian- za delle intelligenze», Ciliberto non avesse capito che questa espressione non era di Rossi, ma del Lord Cancelliere? Non erano certo queste le premesse migliori per avventurarsi in giudizi su interpretazioni di grande respiro come quella del rapporto tra ermetismo e rivoluzione scientifica. Ma questo è «un falso problema»… Nelle voci chiave di questa enciclopedia si manifesta con tutta evidenza la debolezza dell’impostazione generale di Ciliberto, che liquida influenti interpretazioni come quelle di Yates e Rossi contrapponendovi ora l’immagine di un Bruno che «è anzitutto un filosofo che, attraverso la filosofia, scopre la magia» (“Pensare per contrari”, p. 216), ora quella di un Bruno «al confine tra due mondi» (vol. I, p. 13). Ma il pensiero di Bruno è più filosofico che magico o più magico che filosofico? È prima filosofico e poi magico o prima magico e poi filosofico? Bruno avrebbe (nel migliore dei casi) sorriso di fronte al conferimento del titolo di paladino delle partizioni disciplinari, che è esattamente il titolo che vorrebbe conferirgli Ciliberto, per il quale «non è il filtro magico che definisce ciò che è filosofico e ciò che non è filosofico, nell’opera di Bruno; ma è la filosofia il primo fondamento – e la pietra d’angolo – della sua magia» (Pensare per contrari, p. 393). Che cosa significa, poi, di preciso che Bruno è «al confine tra due mondi»? Che non appartiene interamente né al Rinascimento né al mondo moderno? Che ha un piede di qua e uno di là? Per riempire di senso formule che altrimenti rimangono vuote occorre considerare proprio quelli che Ciliberto considera «falsi problemi», come il «rapporto tra ermetismo e rivoluzione scientifica». O davvero è possibile sostenere, ad esempio, che è irrilevante appurare se l’immagine del sapere e del sapiente di Bruno è uguale o diversa da quella che il suo contemporaneo Bacon elabora proprio in contrapposizione agli ideali della magia e che diventa parte integrante di quella che chiamiamo scienza moderna? In “Giordano Bruno. Parole, concetti, immagini”, le voci «Magia» e «Mago» sono affidate a Simonetta Bassi, la quale, impegnata da tempo nello sforzo di dimostrare che Bruno «naturalizza» la magia (quindi è più moderno di quanto non si sia creduto?), si è spinta fino ad affermare, nel commento al “De magia naturali”, che la «scala della natura», che com’è noto sta alla base del pensiero magico in generale, è per Bruno «qualcosa» non soltanto di «evidente», ma addirittura di «sperimentabile»! (Opere magiche, p. 292). A suo tempo Rossi si domandò come si potesse parlare di «sperimentabilità» a proposito di una «scala che, sia detto per inciso, comprende anche l’influenza degli astri sui demoni» (Il tempo dei maghi, p. 140). Forse confortato delle indicazioni della Bassi, un «Esclusi dalle fonti i contributi di diversi studiosi» altro degli autori di questa enciclopedia bruniana, Diego Pirillo, è giunto ad attribuire a Bruno «un’originale operazione tesa a rifondare la magia su basi integralmente naturali e scientifiche [!?]» (La magia nell’Europa moderna. Tra antica sapienza e filosofia naturale, 2 voll., a cura di F. Meroi, con la collaborazione di E. Scapparone, Olschki, 2007, II, p. 541). È apprezzabile che ora, stendendo la voce «Magia», la Bassi abbia ritenuto opportuno non riproporre quelle enormità, cosa che potrebbe essere interpretata come un’implicita e meritoria autocritica. Alla voce «Mago», però, la Bassi regala al lettore un’altra perla proprio sulla scala della natura, «che in Bruno non indica, come nella tradizione classica e medievale, l’ordine assoluto che collega ogni ente lungo gradi di perfezione sempre crescenti, ma è metafora per significare l’influsso di ogni ente e la vitalità di ogni elemento materiale» (vol. II, pp. 1146-1147). Una «metafora»? Quello che secondo Bruno «i maghi considerano fondamentale tenere presente in ogni operazione», cioè che «Dio influisce sugli dèi, gli dèi sui corpi celesti o astri, che sono divinità corporee, gli astri sui demoni, che sono i custodi e gli abitanti degli astri», ecc., sarebbe una semplice «metafora»? Si resta senza parole. Messo in guardia contro i «falsi problemi», stendendo la voce «Secretus», Salvatore Carannante, riconosce che Bruno ha «una concezione spiccatamente aristocratica del sapere e della filosofia» e che per lui la verità «è riservata ai pochi in grado di comprenderla», ma non dice una sola parola sul fatto che proprio posizioni come queste allontanano irrimediabilmente Bruno dal mondo moderno. Nella bibliografia che chiude la voce campeggia un solo nome: quello di Ciliberto, ovviamente (vol. II, p. 1734). Per Carannante, le tantissime pagine dedicate da Rossi a questo tema in generale e in Giordano Bruno sembra che non esistano. Allo stesso modo, per gli autori di questa enciclopedia e per il suo direttore scientifico sembra che non esistano gli studi di Miguel Angel Granada sull’importante nozione di synodus ex mundis, espressione, questa, coniata da Bruno per indicare quello che sarà poi chiamato “sistema planetario”. Per Granada, si tratta del «contributo più importante di Bruno alla rivoluzione cosmologica dell’epoca, perché rompe con la concezione finora dominante dell’unicità del mondo e dell’identità di universo e mondo» (Granada, Synodus ex mundis, in Enciclopedia bruniana e campanelliana, diretta da E. Canone e G. Ernst, vol. II, Fabrizio Serra Editore, 2010, col. 146). Per Ciliberto e i suoi collaboratori, invece, la voce stesa da Granada non merita nemmeno di essere ricordata in bibliografia. Col risultato che dalla voce «Mondo», stesa da Francesca Dell’Omodarme, il lettore, che pure trova una citazione significativa del Camoeracensis acrotismus e sente parlare di «aggregazioni di pianeti» (vol. II, p. 1267), non ricava con chiarezza che per Bruno «mondo» non è soltanto il singolo astro, ma anche un complesso di astri, e che di conseguenza quello di cui Bruno parla non è soltanto una pluralità infinita di astri, ma anche una pluralità infinita di sistemi planetari. La Dell’Omodarme insiste invece sull’identificazione bruniana di mondo e astro. Analogamente, dalla voce «Universo», scritta da Carannante, il lettore non ricaverà che per Bruno l’universo infinito è costituito da infiniti synodi autosufficienti e autonomi. L’espressione synodus ex mundis è invece citata da Elisa Fantechi alla voce «Astro», ma in bibliografia Granada non compare. Compaiono invece veri e propri sfondoni. Nell’importante voce «Copernico» leggiamo che il De revolutionibus, pubblicato nel 1543, «in realtà già da qualche anno circolava in forma manoscritta». Floriano Martino, che ne è l’autore, evidentemente si confonde col cosiddetto Commentariolus. Che dire, infine, delle edizioni delle opere di Bruno utilizzate? Quando è possibile si usano, com’è legittimo, quelle pubblicate a cura o sotto la direzione di Ciliberto. Quando non è possibile, avvengono cose singolari. Del Candelaio, infatti, ci si serve addirittura dell’edizione di Vincenzo Spampanato (19232). Evidentemente, a differenza di tutti gli altri testi curati da Aquilecchia, che meritarono di essere assunti come «testi di riferimento» quando si trattò di inglobarli nell’edizione che Ciliberto ha curato («dopo averli – s’intende – riscontrati in modo sistematico con le prime stampe, ed emendati da refusi e imperfezioni che, in alcuni casi, ne compromettevano il senso»: così Ciliberto nel saggio introduttivo a Bruno, Dialoghi filosofici italiani, Mondadori, 2000, p. LXXXV), il testo del Candelaio di Aquilecchia (1993) presenta tanti e tali problemi da consigliare l’uso di un’edizione pubblicata settant’anni prima. Chissà se sapremo mai quali sono tutti questi problemi. In conclusione, nessuno può negare che questi tre volumi siano molto utili. È un fatto, comunque, che vi «regna sovrano» un pensiero unico (oltre a quello di Bruno, s’intende). È un’«opera monumentale», certo, ma non eretta al solo Nolano. Gli studiosi che se ne serviranno dovranno affidarsi a una guida competente che li aiuti a districarsi nella prosa di Ciliberto e a non prendere per oro colato tutto, proprio tutto, quello che gli autori delle singole voci affermano. «Il concetto di Mago presentato come semplice metafora» Direttore del Centro Internazionale di Studi Telesiani Bruniani e Campanelliani © RIPRODUZIONE RISERVATA