La vera storia di Ipazia - collegio arcivescovile bentivoglio

La vera storia di Ipazia, la filosofa vittima di fanatici
Due vescovi cristiani sono strettamente collegati alla biografia della filosofa
neoplatonica pagana Ipazia di Alessandria: Sinesio di Cirene, che fu vescovo di
Tolemaide (409-415) e allievo di Ipazia, e Cirillo di Alessandria, che era vescovo
d'Alessandria quando Ipazia fu assassinata nel 415 da una turba di «cristiani»
fanatici, anche se la misura del suo coinvolgimento nell'omicidio rimane incerta.
Sinesio, che rimase sempre un neoplatonico anche da cristiano, continuò a
venerare la sua maestra, alla quale scrisse varie lettere. Dalla Lettera 16 in
particolare emerge la sua ammirazione, mista ad affetto: «Madre, sorella, maestra
e benefattrice al contempo, somma di tutto quanto si possa onorare sia a parole
sia con i fatti». Sinesio applicò gli insegnamenti neoplatonici di Ipazia al pensiero
cristiano e interpretò la Trinità alla luce della triade neoplatonica, come è evidente
soprattutto dai suoi Inni; sembra anche dipendere dall'esegesi porfiriana degli
Oracoli Caldaici, come Vittorino. Quando fu fatto vescovo, scrisse al fratello
(Lettera 105) che non avrebbe rinunciato alle sue convinzioni filosofiche e avrebbe
continuato a sostenere la cosiddetta preesistenza delle anime, l'eternità del
mondo (anche Filone, da buon platonico, aveva sostenuto quella del mondo
intelligibile) e la concezione spirituale della resurrezione, non limitata alla
ricostruzione del corpo. L'esegesi allegorico-spirituale della Scrittura per Sinesio
andava di pari passo con l'ermeneutica dei miti platonici (come suggerisce il
prologo del De insomniis). L'allegoria era uno strumento esegetico anche del
neoplatonismo (dopo esserlo stato dello stoicismo), e la stessa Ipazia
probabilmente la impiegava. Ipazia era figlia di un filosofo e matematico di
Alessandria, Teone, e secondo Damascio era più geniale del padre. Era esperta
di astronomia, matematica, geometria, oltre che di filosofia più propriamente detta.
Scrisse Il canone astronomico (secondo la Suda) e commenti, purtroppo perduti, a
grandi opere di geometria, geografia e matematica, quali quelle di Euclide e
Apollonio di Perge (geometria), Tolemeo (geografia) e Diofanto (aritmetica).
Controllò l'edizione di un commento di suo padre a Tolemeo. Sembra che a lei
vadano ricondotte invenzioni meccaniche quali l'aerometro, l'astrolabio
perfezionato e l'idroscopio. Teneva scuola ad Alessandria, insegnandovi
specialmente filosofia, lontana da una trasformazione giamblichea del platonismo
in religione, con teurgia e magia. Il cristiano Socrate designa Ipazia come
«superiore a tutti i filosofi del suo tempo» e successore di Plotino come
caposcuola del (neo)platonismo, ammirata per la sua scienza e la sua virtù. Molti
venivano da lontano per seguirne le lezioni. L'ammirazione per Ipazia era grande,
sia tra i pagani che tra i cristiani, così come era stata grande quella per Origene,
anche da parte pagana. Il platonismo di Ipazia, a differenza di quello di Origene e
poi (in misura minore) di Sinesio, era un platonismo pagano, e i tempi erano molto
mutati dall'epoca del grande filosofo cristiano alessandrino, il quale era stato
perfino colpito dalla persecuzione anticristiana di Decio. Ipazia, che probabilmente
conosceva gli scritti di Origene, almeno quelli filosofici, viveva ben dopo
Costantino e soprattutto dopo che con Teodosio l'impero romano non solo era
divenuto cristiano, ma aveva incominciato a perseguitare i pagani. Il clima era
molto teso, non solo sul versante dei rapporti tra pagani e cristiani, ma anche
all'interno del cristianesimo stesso. Il predecessore e zio di Cirillo, Teofilo, anche
cedendo a pressioni di monaci fanatici che, molto letteralmente, lo assediarono,
aveva finito per proscrivere alcuni colti monaci seguaci di Origene, e solo la
diaconessa Olimpia e il suo vescovo Giovanni Crisostomo, a Costantinopoli,
ebbero il coraggio di accoglierli (a caro prezzo: questo costò a Giovanni un esilio
in cui morì). Il prefetto di Alessandria era un pagano, Oreste; era amico di Ipazia e
si consigliava con lei. Questo doveva insospettire Cirillo, che era entrato in
conflitto con Oreste a causa di disordini occorsi proprio poco tempo prima
dell'assassinio di Ipazia. Inoltre la donna, in quanto pagana, filosofa e asceta
(come è presentato anche Origene da Panfilo e da Eusebio; Damascio afferma
che Ipazia si mantenne anche vergine per tutta la vita), eloquente e maestra
neoplatonica di successo, e forse anche perché donna, era oggetto di profondo
odio da parte di alcuni «cristiani» incolti e fanatici.
Ma non è detto che Ipazia fu uccisa dai cristiani
La fonte più antica relativa alla drammatica vicenda di Ipazia è, vent'anni dopo la
sua morte, lo storico ecclesiastico Socrate, grande ammiratore e difensore di
Origene, e anche di Ipazia. Causa della morte della filosofa fu, a suo avviso,
«l'invidia», la stessa che secondo Socrate aveva provocato tanta ostilità contro
Origene. Nel marzo del 415, durante la quaresima, una massa di «uomini esaltati»
del popolino (Socrate non parla nemmeno di monaci) e capeggiati da Pietro il
lettore (uno degli ordini ecclesiastici minori), catturò Ipazia mentre stava
rincasando, strappandola fuori dalla sua piccola carrozza; la trascinarono in una
chiesa detta Kaisar(e)ion, ove la spogliarono e la trucidarono con pezzi acuminati
di tegole o cocci. Fatto a brani il suo corpo, gli assassini bruciarono poi i resti in un
altro luogo, detto Kinarón. Socrate non incolpa direttamente Cirillo dell'assassinio:
egli dice solo che, poiché Ipazia aveva frequenti incontri con Oreste, si sparse «tra
il popolo della Chiesa» la «voce calunniosa» che fosse lei ad impedire che il
prefetto si riconciliasse con il vescovo. Dopo aver descritto il misfatto, Socrate
osserva tuttavia che questo delitto portò «grave biasimo a Cirillo e a tutta la
Chiesa d'Alessandria». E soggiunge che nulla potrebbe essere meno cristiano di
massacri e violenze di tal genere. Se «il lettore Pietro» è l'omonimo collaboratore
di Cirillo, Pietro Anagnoste, il coinvolgimento del vescovo sarebbe più probabile,
anche se Socrate non istituisce questo legame. Il filosofo neoplatonico Damascio,
in un passo riportato dalla Suda, attribuisce invece a Cirillo la responsabilità
diretta, anche se ammette che materialmente l'assassinio fu compiuto da «uomini
bestiali». La motivazione addotta da Damascio è la stessa data da Socrate:
«l'invidia», in questo caso quella di Cirillo alla vista della grande folla che seguiva
Ipazia e della venerazione di cui era oggetto, e anche della sua popolarità e del
suo insegnamento dispensato, oltre che all'interno della sua scuola,
pubblicamente a chiunque desiderasse ascoltarla spiegare Platone, Aristotele o
altri filosofi. L'imperatore (Teodosio II), secondo Damascio, avrebbe fatto giustizia
del crimine della sua uccisione, se Edesio non ne avesse corrotto con denaro gli
amici. Secondo Damascio, tuttavia, un suo discendente, forse Valentiniano, pagò
l'ingiustizia del predecessore. Damascio aggiunge che il ricordo di questi fatti era
ancora vivo negli alessandrini al suo tempo, quasi un secolo dopo. La Suda ripete
quale causa «l'invidia» per l'eminente sapienza della filosofa, specialmente in fatto
di astronomia, e attribuisce la responsabilità o a Cirillo stesso, «secondo alcuni»,
o agli alessandrini, «secondo altri». Il cronografo Teofane la ascrive ad «alcuni».
Cirillo fu vescovo di Alessandria ancora fino al 444. Era nipote di Teofilo, ma
aveva ricevuto una formazione ascetica a Nitria e Sceti, dove studiò la Scrittura,
Atanasio, Eusebio e Basilio, proprio allo scoppio della controversia origeniana fu
richiamato dal deserto dallo zio, forse perché sapeva che il suo maestro era un
origeniano. Fu profondamente influenzato da Atanasio, che ammirava Origene.
Conosceva bene Origene e Didimo, che probabilmente incontrò quando era capo
della scuola catechetica, e tendeva al concordismo con la filosofia greca; aveva
accesso alla biblioteca episcopale di Alessandria, quella della scuola catechetica,
e quella personale dell'origeniano Didimo; cita e conosce i Cappadoci, Atanasio,
Pietro di Alessandria, il primo Gerolamo, ottimi conoscitori di Origene. Come rivela
specialmente il suo commento a Giovanni, scritto una decina d'anni prima del suo
episcopato, seguiva l'esegesi spirituale di Origene. In quella che è spesso
considerata una confutazione di Origene, Cirillo né cita il filosofo alessandrino né
confuta il suo vero pensiero. Il suo coinvolgimento nella trucidazione di Ipazia
resta incerto. L'ammirazione di tanti, anche cristiani, per la coltissima filosofa
asceta è invece sicuro. Oltre alle già ricordate parole di Sinesio e alla stima di
Socrate - due cristiani! -, ne è espressione un epigramma greco di Pallada
nell'Antologia Palatina, che la chiama «venerabile» e «stella purissima della
sapiente cultura». In base alla doppia dipendenza di se e tês parthénou su cui
gioca l'epigrammatista, si intende in apertura: «Quando ti vedo, adoro te e le
parole tue, della vergine», i cui atti erano tutti «rivolti verso il cielo». Non solo in
quanto astronoma: come osservava Sinesio nel De dono, lo studio del cielo era un
mezzo per giungere «all'ineffabile teologia».