La velocità della luce nel vuoto (come dimostrare che la velocità

La velocità della luce nel vuoto
(come dimostrare che la velocità della luce non si può superare)
Applicando la dinamica classica, la velocità di un corpo, che si muove in un sistema
di riferimento inerziale (a velocità costante), dovrebbe essere la somma della velocità
del sistema di riferimento e della velocità dell’oggetto sotto misura. Ciò è sempre
vero, tranne per la luce. In qualsiasi direzione e verso viaggia il sistema di
riferimento, la velocità della luce rimane sempre e comunque di trecentomila
chilometri al secondo, anche se la misura viene fatta su un mezzo che viaggia a
velocità molto alta rispetto alla nostra base di riferimento, per esempio la terra.
La prima e più accurata dimostrazione di questo fenomeno è scaturita
dall’esperimento di Michelson e Morley.
1 L’esperimento di Michelson e Morley
Michelson e Morley, nel 1887, intendevano misurare la velocità della terra rispetto
all’etere e per far questo, decisero di misurare la differenza della velocità della luce
su due percorsi: uno nella direzione del moto della terra, l’altro nella direzione
perpendicolare al moto della terra. Nel primo caso, vedi Figura 1 , il raggio di luce
parte da A percorre un tragitto L1, viene riflesso da uno specchio B e torna indietro al
punto di partenza A’. Il percorso totale è 2L1. Il tempo impiegato dal raggio di luce
dovrà essere spazio diviso velocità.
Figura 1 Percorso 1 parallelo al moto della terra
La terra viaggia nella sua orbita intorno al sole ad una velocità v prossima a trenta
Km al secondo. All'andata, la velocità complessiva sarà (c + v) mentre al ritorno, (c −
v), ovviamente. Il tempo totale t1 sarà la somma dei tempi dei due percorsi.
(3)
L'approssimazione è dovuta al fatto che per (v / c) < < 1 lo sviluppo in serie della
funzione 1/1- (v/c)2 si può ragionevolmente fermare al secondo termine.
Figura 2 Percorso 2 perpendicolare al moto terrestre
Nel secondo caso, vedi Figura 2, mentre la luce viaggia da A a B, la terra si sposta di
un piccolo tratto nella direzione del suo moto e quindi il punto B viene a coincidere
con B’. E’ chiaro allora che il percorso effettivamente fatto dalla luce è AB’ e se t è
il tempo impiegato AB’ =ct (spazio = velocità x tempo impiegato). Nello stesso
tempo il punto A solidale con la superficie della terra si troverà in A’ con velocità v
cosicché AA’ = vt. Applicando il teorema di Pitagora al triangolo rettangolo AA’B’
possiamo scrivere c2t2=L22+v2 t2. Il tempo totale impiegato dalla luce per il percorso
nei due sensi è quindi:
(4)
sempre applicando l’approssimazione precedente.
Occorre notare subito che il rapporto fra t1 e t
approssimazioni risulta
2
vedi (3) e (4), escluse le
.
Per gli scopi dell’esperimento, cioè misurare la differenza del tempo impiegato dalla
luce a percorrere i due tragitti, fu posto L1=L2, pertanto la differenza tra i tempi
impiegati, è:
t1-t2=2L/c(1+v2/c2)/(1+v2/2c2) che si riduce a L/c*(v2/c2)
Questo ritardo, seppure minimo, si può misurare con estrema precisione grazie ai
fenomeni di interferenza della luce (proprietà delle onde elettromagnetiche) e fu
effettivamente misurato con l’utilizzo dell’interferometro di Michelson e Morley,
appositamente perfezionato per l’esperimento, che era in grado di misurare anche un
decimo di questo ritardo.
Questo ritardo non si verificò. La velocità della luce risultò la stessa sia in direzione
del moto della terra sia in direzione perpendicolare. La velocità della luce non si
somma con la velocità della terra.
Qualsiasi altro esperimento con sistemi in moto con velocità molto maggiori hanno
dato sempre lo stesso risultato. Qualsiasi sia la velocità del sistema in moto uniforme
la velocità della luce è sempre uguale a c.
In altre parole c (velocità della luce) +v (velocità del sistema di riferimento) è sempre
uguale a c!
Si potrebbe obiettare che misurare non significa dimostrare: la stessa cosa si potrebbe
dire sulla misura della circonferenza o su qualsiasi altra misura che continua a dare lo
stesso risultato.
2 Analisi dei risultati dell’esperimento
A questo punto non possiamo esimerci dal rispondere alla domanda: perché ciò
avviene solo per la luce? Cosa succede?
La risposta fu tentata, con un certo imbarazzo, da Lorentz e Fitzgerald nei primi del
900 e da altri nell’estremo tentativo di far quadrare i conti: nel sistema di riferimento
che viaggia a velocità significativa rispetto alla velocità della luce, la lunghezza del
metro (con cui virtualmente misuriamo la velocità della luce) si contrae nella
direzione del moto proprio di quel tanto che fa tornare valido il principio galileiano
della somma delle velocità. Questo fattore è proprio quello trovato nell’esperimento
fallito di Michelson e Morley. Se il metro con cui misuriamo i percorsi della luce si
accorciasse
nella
direzione
del
moto
del
fattore
il tempo t1 sarebbe uguale a t2. (il rapporto tra t1 e t2, infatti, escluse le
approssimazioni, risulta proprio
.
Per approfondimenti vedi www.cas40newsite.altervista.org