GENNARO MATINO, nato a Napoli, è docente di teologia pastorale e insegna storia del cristianesimo presso l’Università suor Orsola
Benincasa.
Editorialista di «Avvenire» e de
«Il Mattino», cura Speciale domenica: il Vangelo della speranza su
«Famiglia cristiana».
Tra le sue ultime pubblicazioni
ricordiamo: La tenerezza di un
Dio diverso (20043); Nostalgia di
cielo (2003); La parrocchia: una
fontana senza più acqua? (2004);
Aspettando Natale (20042); Avverbi in preghiera (2005); Un Padre
scandalosamente nostro (2005);
Angelo per un giorno (20062); Profumo di Madre (2006); Raccontami di Lui (20072); Il Pastore della
meraviglia (20073); L’ultimo dei
Magi (2008); Buon Natale Gentilezza (2009).
Con Erri De Luca, Mestieri all’aria
aperta (2004); Sottosopra (20072);
Almeno 5 (2008).
Con Angelo per un giorno (Feltrinelli) ha vinto il Premio «Elsa Morante» ragazzi 2007.
Gennaro Matino
,
L umilta‘
del passo
Inseguendo Paolo
Non abbiate paura
se lungo il cammino
il piede inciampa,
non abbiate timore
se lungo la strada
la fatica obbliga alla sosta.
,
E‘ del viandante l umilta‘ del passo.
ISBN 978-88-250-2598-9
9 788825 025989
€ 8,00 (I.C.)
www.edizionimessaggero.it
Non più di milletrecento battute al
giorno, ispirate da un solo versetto
di san Paolo, un commento significativo sulla visione teologica e spirituale dell’apostolo: ciò fu chiesto
a Gennaro Matino dal quotidiano
«Avvenire» che gli chiese di scrivere per la rubrica Sentieri paolini in occasione dell’anno paolino
(giugno 2008 – giugno 2009).
Il libro raccoglie queste riflessioni dell’autore che ha operato una
ricerca su di sé per aiutare il lettore a ripercorrerla nel proprio
quotidiano: «Ecco, dovevo chiedermi chi è Paolo per me, perché
potessi, attraverso la sua testimonianza, sentire dentro l’anima, chi
è Cristo per me e rispondere alla
domanda che il maestro pose ai discepoli: “Voi chi dite che io sia?”
(Mt 16,15). L’intento fu quello di
lasciarmi leggere dalla Parola che
salva e converte il cuore, per poter cogliere oltre il significato, nella profondità del pensiero di Paolo, quella forza della luce che prima abbaglia e poi ridona la vista,
la forza della fede».
GENNARO Matino
L’UMILtà
del passo
Inseguendo Paolo
ISBN 978-88-250-2724-2
Copyright © 2010 by P.P.F.M.C.
MESSAGGERO DI SANT’ANTONIO – EDITRICE
Basilica del Santo - Via Orto Botanico, 11 - 35123 Padova
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Prima edizione digitale 2010
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civilmente e penalmente secondo quanto previsto dalla legge 633/1941.
Introduzione In occasione dello speciale anno giubilare1, indetto dal santo padre Benedetto XVI per celebrare
il bimillenario della nascita dell’Apostolo delle genti, il direttore del quotidiano Avvenire mi chiese di
scrivere per la rubrica Sentieri paolini. Lo scopo era
quello di offrire ai lettori uno spazio di riflessione
per conoscere e approfondire il pensiero di Paolo.
Giorno dopo giorno, una guida spirituale, diversa
ogni mese, avrebbe dovuto commentare un versetto delle lettere paoline.
Accettai con entusiasmo perché sono sempre
stato affascinato dalla vocazione di Paolo, l’apostolo che sulla via di Damasco, all’origine del suo
percorso, fu afferrato da Cristo, accecato dalla sua
luce, sconvolto dalla sua chiamata: «Saulo, Saulo
perché mi perseguiti?» (At 9,4). Considerato da
molti fondatore di un cristianesimo lontano dalla
parola consolatoria del Maestro: «Venite a me, voi
tutti, che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò»
(Mt 11,28); ritenuto da altri un teologo freddo e
inflessibile, fu invece, come scrive Ravasi alla luce
degli Atti degli Apostoli, «un pastore consapevole
della necessità di fondare seriamente la conoscenza
della fede»2.
Indubbiamente, annuncio e vita pastorale, riflessione e spiritualità si intrecciano nel pensiero
di Paolo e se, come a giusta ragione scrive ancora
Ravasi, «è però altrettanto vero che la riflessione
teologica è vigorosa ed esigente»3, certo è la consa1
Anno paolino, 28 giugno 2008 - 29 giugno 2009.
Gianfranco Ravasi, Siamo del Signore. Dossier, la teologia di
Paolo, «Vita pastorale» 6 (giugno 2009).
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pevolezza dell’amore di Cristo crocifisso e risorto
che struttura non solo il suo pensiero ma tutta la
sua esistenza: «Questa vita, che io vivo nel corpo, la
vivo nella fede del Figlio di Dio che mi ha amato e
ha consegnato se stesso per me» (Gal 2,20).
«La sua fede – ha affermato Benedetto XVI – è
l’esperienza dell’essere amato da Gesù Cristo in
modo tutto personale; è la coscienza del fatto che
Cristo ha affrontato la morte non per un qualcosa
di anonimo, ma per amore di lui – di Paolo – e
che, come risorto, lo ama tuttora, che cioè Cristo
si è donato per lui. La sua fede è l’essere colpito
dall’amore di Gesù Cristo, un amore che lo sconvolge fin nell’intimo e lo trasforma. La sua fede
non è una teoria, un’opinione su Dio e sul mondo.
La sua fede è l’impatto dell’amore di Dio sul suo
cuore. E così questa stessa fede è amore per Gesù
Cristo»4. Completamente rapito dal suo Signore,
per quell’amore lo spietato persecutore dei cristiani
si spogliò dell’uomo vecchio per vivere in Cristo
ogni giorno della sua vita: «Se noi viviamo, viviamo per il Signore, se noi moriamo, moriamo per il
Signore. Sia che viviamo, sia che moriamo, siamo
del Signore. Infatti per questo Cristo è morto ed
è ritornato alla vita: per essere il Signore dei morti e dei vivi» (Rm 14,8-9). Questo suo essere in
Cristo, sempre, nel dolore della croce, nella gioia
della resurrezione, fece di Saulo di Tarso, Paolo,
l’Apostolo dei gentili, il più grande annunciatore di
Gesù tra i pagani greci e romani: «Predicare per me
il vangelo non è un vanto, ma una necessità che mi
Benedetto XVI, Omelia per l’inaugurazione dell’Anno
Paolino, Basilica di San Paolo fuori le Mura, 28 giugno 2008.
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si impone: guai a me se non annuncio il vangelo!»
(1Cor 9,16).
Cosciente della ricchezza e della complessità
dell’epistolario paolino mi chiesi, dunque, come
avrei potuto in poche righe, non più di milletrecento battute al giorno, estrapolare da un solo
versetto un commento significativo sulla visione
teologica e spirituale dell’apostolo. Come avrei potuto dire qualcosa che andasse oltre l’esegesi per
arrivare al cuore della gente, per fare in modo,
come avrebbe voluto Paolo, che il lettore, non più
schiavo ma figlio, sentisse l’amore di Dio, così che
«Cristo sia tutto in tutti» (Col 3,11). Mi vennero
in aiuto le parole che il Santo Padre aveva pronunciato all’inaugurazione dell’Anno paolino: «Siamo
dunque qui raccolti per interrogarci sul grande
Apostolo delle genti. Ci chiediamo non soltanto:
Chi era Paolo? Ci chiediamo soprattutto: Chi è
Paolo? Che cosa dice a me?»5.
Ecco, dovevo chiedermi chi è Paolo per me, perché potessi attraverso la sua testimonianza sentire
dentro l’anima chi è Cristo per me e rispondere
alla domanda che il Maestro pose ai discepoli: «Voi
chi dite che io sia?» (Mt 16,15). Una domanda che
mi riguarda, che ci riguarda, a cui ognuno deve
rispondere in maniera personale. Per trovare la mia
risposta, e lasciare che ogni lettore trovasse la sua,
preferii allora, più che interpretare, leggere Paolo
per pormi in ascolto dell’uomo che ha definito se
stesso «servo di Cristo, apostolo per vocazione»
(Rm 1,1). L’intento fu quello di lasciarmi leggere
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dalla Parola che salva e converte il cuore, per poter
cogliere oltre il significato, nella profondità del
pensiero di Paolo, quella forza della luce che prima
abbaglia e poi ridona la vista, la forza della fede.
Leggere Paolo è pregare Paolo per ritrovare lungo il sentiero il nostro percorso. Come l’apostolo
sulla via di Damasco, nello stesso momento in cui
cambieremo direzione, la conversione renderà felice la nostra scelta, non meno faticosa, non meno
complicata, ma felice, perché ogni cosa troverà il
suo significato. Finalmente ogni evento sarà letto
in ragione della verità conquistata, consci che ciò
che ora vediamo come in uno specchio, in maniera
confusa, un giorno lo vedremo a faccia a faccia. Ciò
che ora conosciamo in modo imperfetto, conosceremo perfettamente, così come anche noi siamo
conosciuti (cfr. 1Cor 13,12). Solo allora avvertiremo dentro di noi la pienezza della vita e sicuri che
nulla ci separerà dall’amore di Dio, nella gioia e nel
dolore riusciremo a entrare in quel mistero che fa
dire a Paolo: «Non sono più io che vivo, ma Cristo
vive in me» (Gal 2,20).
Gennaro Matino
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Il riscatto Ascesi di significato
«Se Cristo non è risorto,
è vana la vostra fede».
(1Cor 15,17)
Tutto ha inizio da un assurdo: la morte è stata
ingoiata per sempre. Sulla via di Damasco, Saulo
di Tarso scoprì il volto della sua avventura, all’a­
reo­pago dei filosofi provocò ragionamenti, nella
Gerusalemme dei suoi padri rinnovò lo scandalo.
Il suo grido travalicò i confini della legge e presentò
al mondo l’assurdo: Cristo è veramente risorto, io
ero cieco, ora vedo.
Sentieri di speranza si aprono alle attese degli
uomini e se la logica, prigioniera della parola miope, descrive un percorso limitato nel tempo, se il
buon senso suggerisce di rassegnarsi all’idea che
con la morte tutto è concluso, l’inaudito vangelo,
scandalo e stoltezza, è gridato dall’apostolo alle
genti perché credendo vedano e vedendo riorganizzino la vita. La lieta novella è questa: Cristo ha
inaugurato il cielo in terra e ha sfondato il muro
della morte. Credere nell’assurdo è strada obbligata
per chi è di Cristo, ascesi di significato per comprendere il proprio destino, conversione di parola
per gridare la vita nuova.
Se Cristo è risorto, la morte non fa paura, è
vinta. Se la morte resta è la speranza a essere soggiogata. Una fede senza speranza è senza futuro,
cartastraccia per coprire piaghe senza guarire.
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Una scatola vuota
«Quando venne la pienezza del tempo,
Dio mandò il suo Figlio, nato da donna,
nato sotto la legge, per riscattare coloro
che erano sotto la legge, perché ricevessimo
l’adozione a figli».
(Gal 4,4-5)
Una fede senza speranza è senza futuro, una
dottrina senza un sogno è una scatola vuota. Senza
compagnia di futuro la storia era imprigionata nel
suo scrigno e benché gli uomini cercassero con forza ragione del proprio stato, la morte li rendeva fragili per le domande irrisolte. Perché la vita? Perché
ora? Perché qui e non altrove? Il peccato d’origine
è l’inganno del serpente, progetto di potere contro
l’amore, principio di separazione dalla vita.
Babele confuse le parole e rese stranieri i fratelli, la guerra proclamò il suo dominio, il vanto fu
del violento. La morte ebbe il suo trionfo a causa
del peccato: fino a quando? Fino alla pienezza del
Tempo.
L’ora del riscatto si apre con la venuta del Figlio.
L’inizio della nuova pace è proclamato dall’angelo
della buona notizia: «Vi è nato un Salvatore» (cfr.
Lc 2,11). La gloria nei cieli è di Dio, pace per gli
uomini è il dono del riscatto. Il peccato di prima
è annullato, la vita è riportata alla prima origine,
la pienezza del Tempo ha ridonato significato al
tempo.
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Il muro abbattuto
«Egli infatti è la nostra pace,
colui che ha fatto dei due un popolo solo,
abbattendo il muro di separazione
che era frammezzo, cioè l’inimicizia».
(Ef 2,14)
Il peccato di prima è annullato, il muro è abbattuto e l’inimicizia è detronizzata. Compagnia
è pane condiviso, peccato è restare soli. Guerre,
antipatie, avversione, discordie, contrasti, acredine,
livore, odio hanno il sapore della morte. La vita è
resa viva dall’amore della pace. La resa dei conti del
peccato si approssima con l’avvento del Figlio, il
grido del profeta sveste i calcoli dei perversi: razza
di vipere preparatevi all’ora imminente! I poveri,
i miti, i puri di cuore stendono le mani verso il
nuovo giorno, barlumi di giovane luce trapassano
ferite di dolore, i ciechi aspettano occhi per vedere,
i muti la parola, i paralitici sognate corse.
Pace è un unico coro di voci in attesa, prigionieri da liberare. Pace è vittoria conquistata dalla croce, vanto del Giusto, unto per la salvezza, che con
la sua carne ha indicato la strada a chi aspettava il
definitivo giorno.
Capovolto il destino, i vinti ora vincitori, i perduti ritrovati stendono per terra i loro mantelli e
lasciano tracce a chi per la loro storia vuole trasformare la propria.
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Capovolto il destino
«... annullando, per mezzo della sua carne,
la legge fatta di prescrizioni e di decreti,
per creare in se stesso, dei due,
un solo uomo nuovo, facendo la pace».
(Ef 2,15)
Capovolto il destino, il Giusto con il suo martirio coniuga il verbo della giustizia. Stampata sulla
carne la definitiva legge, l’amore prende per mano
la storia dei vinti: «Venite a me, voi tutti, che siete
affaticati e oppressi» (Mt 11,28).
Ristoro di speranza, compassione di un Dio che
ama la vita. La fiamma che la pietra scolpisce non
dice solo l’antica legge che il Sinai accolse, ma la
beatitudine dei percossi e degli avviliti, le lacrime
asciugate dei perseguitati, il pane abbondante per
gli affamati. Pane di carne, carne come pane da addentare per la salvezza, sacrificio di soave odore
gradito per la libertà. La sola legge non rende giustizia alla verità, non accredita di suo, il cuore colora significati, inventa parole di libertà. Per la legge
non è vinta la morte, la croce innalza la giustizia e
sveste la nemica. L’antico serpente rese possibile la
sventura, il primo uomo si caricò delle conseguenze, il nuovo Adamo le fece proprie per renderle
inoffensive.
La luce del nuovo giorno ora passa per le piaghe
del Giusto: per le sue ferite siamo resi liberi.
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Un ponte di parole
«Spogliò se stesso
assumendo la condizione di servo
e divenendo simile agli uomini».
(Fil 2,7)
Per le sue ferite siamo resi liberi. Dio nel Figlio
diventa carne, la nostra, si abbassa, si umilia, sveste
il potere per inaugurare la comprensione di nomi
nuovi che facevano fatica a diventare comprensibili
al credente. Dio è assoluto, distante, totalmente
altro, cielo che sovrasta la storia. Dio è Dio e il potere è suo dominio. La faccia a terra per chi prega,
la distanza assoluta, la condizione, l’impronunciabilità del suo nome resta, altrimenti condanna per
bestemmia. Dio è Dio, è in suo potere l’assoluto,
e l’uomo è uomo che racconta tutta la sua fragile condizione, ma il Servo obbediente caricato di
attese, sottoposto al martirio per la liberazione di
tutti, offre significati di incontro, apre dialoghi
inauditi.
Dio è Padre, madre, fratello, compagno. Un
ponte di parole lanciato tra l’assoluto e il provvisorio, tra l’eterno e il tempo, passaggio tra cielo e
terra costruito con il legno della croce. Un ponte
edificato con la carne del Pontefice Sommo che per
riportarci a casa si lascia attraversare.
Cristo è la porta, la via, la strada appianata, è
il servo che per amore si sveste per dare calore alla
nostra nudità.
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Uomini allo sbando
«Umiliò se stesso
facendosi obbediente fino alla morte
e alla morte di croce».
(Fil 2,8)
Cristo per amore si sveste per dare calore alla
nostra nudità. Uomini allo sbando come pecore
senza pastore in cerca di pascoli possibili, possibili prede di lupi affamati. Mercenari, travestiti
da docili custodi, si vantano di essere pastori, solo
vigliacchi pronti a vendere la carne degli agnelli pur
di accumulare bottino. In fuga dinanzi al pericolo
il gregge resta solo, come soli si affronta la morte.
Le parole dei venditori di fumo si insinuano nel
cuore della storia, di ogni tempo, e mentre promettono fascine di ricovero e ovili a protezione
costruiscono sul dolore dell’innocente le proprie
fortune. Per colpa di falsi pastori il gregge rischia
sterminio.
L’obbedienza del Figlio e la croce per amore
segnano il confine tra il pastore e il mercenario: il
pastore dà la vita per le sue pecore. In cerca della
perduta offre il suo passo alla salvezza, medico di
quelle ferite trasfonde il suo sangue. Chi è disposto
a dare la vita? Chi è ancora capace di rischiare di
suo per la salvezza degli altri? Cerco chi mi darà
soccorso, la voce di tanti, di troppi ingannatori ha
tradito l’attesa.
Solo chi offre di suo può dare speranza: il Signore è il mio pastore, non manco di nulla.
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Giorni di attesa
«Per questo Dio l’ha esaltato
e gli ha dato il nome che è al di sopra
di ogni altro nome».
(Fil 2,9)
Il Signore è il mio pastore, non manco di nulla.
Conosce le sue pecore e le sue pecore riconoscono
la sua voce tra tante, le chiama per nome, ognuna
il proprio. Il gregge è riconoscibile dal nome del
pastore marchiato a fuoco. Nessuno potrà rivendicarne proprietà. Siamo suoi, a Lui apparteniamo,
al suo nome. Nel suo nome siamo salvati: ogni
ginocchio si pieghi, nei cieli, in terra e sottoterra.
In cerca di significato, corriamo giorni di attesa, in ansia per dare ragione ai nostri passi, gesti
consumati nel tempo, condivisi con gli altri. Gesti
d’amore e di peccato, di gratitudine e conflitto
descrivono il percorso e fanno umano il vivere,
storie di dolore e di sperata gioia. Solo il suo nome
può aprire luce nel tempo dell’attesa, pronunciare
il nome del Signore è decisivo per sentirlo compagno. Solo un pastore può dare conforto anche se si
cammina in valle oscura.
Un nome al di sopra di ogni altro e mentre
riconsideri il tempo consumato, scrigno di cose
vecchie e nuove, comprendi il prima e il dopo e
dai valore ai giorni. Anche nella paura non hai più
paura, come bimbo che corre a braccia tese e cerca
conforto nel nome gridato: mamma mia. Io grido
il suo nome: mio Signore e mio Dio.
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Finito di stampare nel mese di marzo 2010
Villaggio Grafica – Noventa Padovana, Padova