QUADERNI del Consiglio Superiore della Magistratura C.S.M. 155 Spedizione in abb.to postale - Art. 2, comma 20, lett. c, della legge n. 662/1996 - Filiale di Roma GIURISDIZIONE E GIUDICI NELLA COSTITUZIONE Anno 2009 - Numero 155 Corte Suprema di Cassazione Convegno per il 60° Anniversario della Costituzione Giurisdizione e giudici nella Costituzione Aula Magna della Corte Suprema di Cassazione Roma, 18 giugno 2008 QUADERNI del Consiglio Superiore della Magistratura Corte Suprema di Cassazione Convegno per il 60° Anniversario della Costituzione Giurisdizione e giudici nella Costituzione Aula Magna della Corte Suprema di Cassazione Roma, 18 giugno 2008 QUADERNI DEL CONSIGLIO SUPERIORE DELLA MAGISTRATURA Anno 2009, Numero 155 Pubblicazione interna per l’Ordine giudiziario a cura del Consiglio Superiore della Magistratura INDICE GENERALE INTRODUZIONE Vincenzo CARBONE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Pag. Primo presidente della Corte di cassazione 7 RELAZIONI Oscar Luigi SCALFARO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Pag. Presidente emerito della Repubblica italiana Giurisdizione e giudici nella giurisprudenza costituzionale Franco BILE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Pag. Presidente della Corte costituzionale Giudici ed attuazione dei valori costituzionale Sergio BARTOLE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Pag. Professore ordinario di diritto costituzionale, Università di Trieste Le giurisdizioni nella costituzione Guido ALPA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Pag. Presidente del Consiglio Nazionale Forense Sommario: 1.- Giurisdizione e “stato di diritto”. 2.- Giurisdizione: una nozione in evoluzione. 3.- Giurisdizione e crisi della giustizia. 4.- Il pluralismo della giurisdizione come condizione ormai irreversibile. 5.- Giurisdizione e “legal formants”. 6.- Giurisdizione e ragionevole durata del processo. 7.- Giurisdizione e avvocatura. 8.- Il Consiglio Nazionale Forense come giudice speciale 17 24 29 42 5 INTERVENTI La Corte di Cassazione nella Costituzione Ernesto LUPO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Pag. Presidente di sezione della Corte di cassazione Sommario: 1.- Premessa. 2.- Le disposizioni della Costituzione che menzionano la Corte di cassazione. 3.- La Cassazione come giurisdizione. 4.- La posizione del primo presidente della Cassazione nell’ambito del Consiglio superiore della magistratura. 5.- La qualità dei giudici della Corte. 6.La rilevanza costituzionale della Corte di cassazione. 7.- Attualità delle finalità e dei valori perseguiti dal Costituente. 8.- Il paradosso della situazione attuale della Corte 67 La dialettica tra Corte di Cassazione e Corte Costituzionale nell’interpretazione della norma giuridica e nell’applicazione del precetto costituzionale Mario Rosario MORELLI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Pag. 90 Consigliere della Corte di cassazione Unicità della Cassazione e unità della giurisdizione nei lavori dell'Assemblea costituente Antonio MARTONE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Pag. 100 Le Corti supreme in Europa: le regole per l’accesso Corte Suprema di Cassazione Ufficio del Massimario A cura di Giovanni CANZIO, Direttore dell’Ufficio del Ruolo e del Massimario . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Pag. 112 Ersilia Calvanese (Germania, Spagna, Francia, Svizzera, Regno Unito, Ungheria, Romania, Svezia, Norvegia, Finlandia, Corte europea per i diritti dell’uomo); Carmelo Celentano (Austria, Polonia) Gaetano De Amicis (Belgio). Sommario: 1.- Introduzione. 2.- Germania. 3.- Austria. 4.Spagna. 5.- Francia. 6.- Belgio. 7.- Svizzera. 8.- Regno Unito. 9.- Polonia. 10.- Ungheria. 11.- Romania. 12.- Svezia. 13.- Norvegia. 14.- Finlandia. 15.- La giurisprudenza della Corte europea per i diritti dell’uomo 6 INTRODUZIONE Sig. Presidente della Repubblica, Le sono particolarmente grato, a nome della Corte e mio personale per aver voluto onorare con la Sua presenza, dimostrando, ancora una volta, decisa attenzione ai problemi della Giustizia, la cerimonia del 60° Anniversario della Costituzione che intende favorire, una comune riflessione sulla posizione, nella carta costituzionale, della Corte di Cassazione, così com’era originariamente prevista e così com’é oggi, effettivamente, vissuta. Ringrazio altresì tutti i presenti, i rappresentanti del Senato, della Camera e del Consiglio dei Ministri, il Presidente emerito della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro, il Presidente della Corte costituzionale e tutte le alte autorità dello Stato che sono intervenute, i rappresentanti dell’Avvocatura, dell’Accademia e delle forze dell’Ordine, i colleghi e il personale tutto. In particolare, ringrazio il Ministro della Giustizia, con l’augurio di instaurare un proficuo rapporto tra l’unico Ministro previsto nella Costituzione (art. 110 Cost.) e la Corte di legittimità che, a livello di Sezioni Unite, è anche la Corte regolatrice della giurisdizione sul piano nazionale. Mi dispiace per la sopravvenuta temporanea assenza del Senatore a vita Giulio Andreotti e per il contributo-testimonianza che avrebbe potuto fornirci. 1.- L’idea portante della Carta Costituzionale è quella della priorità della persona umana (uomo, cittadino, lavoratore), con il suo bagaglio di diritti innati e inalienabili, rispetto ai quali lo Stato è lo strumento di tutela e di rafforzamento. Costituisce la sintesi finale della grande tradizione culturale giuspubblicistica europea, soprattutto continentale, ma aperta a fertili rapporti con il diritto anglosassone (Bills of Rights) e con la rivoluzione nordamericana, incrementata e perfezionata nell’età dei Lumi. Il modello è quello del primato della legge del Parlamento, ma anche del rispetto della priorità della persona nei confronti dello Stato. I sessanta anni trascorsi, da questo felice evento, ci consentono di riflettere oltre che sui noti interrogativi: fatta l’Italia, sulla base della Carta costituzionale, sono cresciuti anche gli italiani? (D’Azeglio) o se 7 l’essenza della Nazione è data oltre dalla Carta anche dalla condivisione e compartecipazione della stessa da parte dei cittadini (Mazzini), anche sull’attuale disfunzione della domanda di giustizia in Italia, elemento portante — anche se non sempre percepito - dell’intera vita economica e sociale del Paese. La lentezza insopportabile dei processi, le cadute mediatiche con i processi al di fuori del processo, le disfunzioni innegabili del servizio-giustizia per il sistema paese, comportano una forte perdita di credibilità in Italia e all’Estero, un abuso del processo che influisce sull’intero sistema economico-sociale, sugli investimenti e quindi sui fattori di produttività e di efficienza del sistema. 2.- Non voglio sottrarre tempo agli illustri ospiti e agli insigni relatori sulle tematiche più importanti. Mi limito a sottolineare come la Corte di Cassazione sia ben radicata nel tessuto normativo della Costituzione, tanto come organismo di giudici con funzione giurisdizionale di legittimità, quanto come Corte regolatrice della giurisdizione tra i giudici i italiani (art.111 ult.co.) e, con il superamento delle frontiere economiche, anche tra i giudici italiani e quelli esteri, soprattutto europei. La Costituzione prevede, all’art. 104 co. 3, che il Primo Presidente e il Procuratore Generale sono componenti, di diritto, del Consiglio Superiore della Magistratura. L’art. 106 introduce, come componenti della Corte e quindi come giudici di legittimità, magistrati non provenienti da concorso, ma professori universitari e avvocati di chiara fama, nominati dal C.S.M. come consiglieri della Corte per meriti insigni ai fini di un significativo apporto culturale e scientifico. L’art. 135 Cost. prevede l’elettorato attivo dei giudici della Corte per l’elezione di tre componenti della Corte Costituzionale. La Corte di Cassazione, e i giudici in generale, sono indicati dall’art. 101, come soggetti solo alla legge, onde poter effettuare un servizio, a garanzia di una funzione pubblica fondamentale, come quella della giustizia. La norma, tra l’altro, introduce il divieto di giudici straordinari o di giudici speciali. 3.- Non è questa la sede per rilevare se la Corte di legittimità sia la Corte suprema di cassazione, oppure solo la Corte di Cassazione. Ciò che conta, ai fini della coerenza e credibilità, dell’efficienza e funzionalità del servizio-giustizia che sia in grado di garantire un giusto processo che assicuri la par condicio, l’uguaglianza di tutti di fronte alla 8 legge rappresentata da un giudice terzo ed imparziale e che si svolga in termini ragionevoli di durata. Ma questo rilevante obbiettivo, costituzionalmente previsto, di un giusto processo in termini ragionevoli, richiede, oltre all’organizzazione del servizio-giustizia, in modo funzionale ed efficiente, anche chiarezza e coerenza degli indirizzi giurisprudenziali significativi, del c.d. diritto vivente. Ciò presuppone il buon funzionamento della Corte di Cassazione che oggi, a livello europeo, è la Corte più sollecitata da un rilevante numero di ricorsi, specie in materia civile. In questa direzione si pone la riforma del d.lgs. n. 40 del 2006 che legittima, facendo prevalere lo ius constitutionis, anche la sentenza nell’interesse della legge; in questo stesso senso anche l’ultima riforma dell’ordinamento giudiziario (legge 30 luglio 2007, n. 111), che ha espressamente previsto per la valutazione del conferimento delle funzioni di legittimità la “capacità scientifica e di analisi delle norme”. La tenuta del “diritto vivente” della norma così com’è interpretata, è costituzionalmente riconosciuto dalla Corte costituzionale, ma richiede una coerenza degli indirizzi giurisprudenziali, pur nell’esigenza di muoversi al passo con i tempi. A tal fine, è necessario ricordare come l’attività interpretativa del Giudice di legittimità, con riflessi per tutti i giudici, si scinde in due momenti: interpretazione-attività e interpretazione-prodotto. La prima è la ricostruzione esatta della fattispecie concreta e la ricerca non sempre facile della norma da interpretare, la seconda è il risultato o meglio il prodotto di siffatta attività. Nel cercare, e a volte creare, la regola da applicare al caso concreto, il Giudice propone un’interpretazione per decidere o dirimere la controversia, lo ius dicere affinché ne cives ad arma ruant, dando conto di questa sua attività mediante argomentazioni che costituiscono la motivazione della decisione (introdotta in Italia nel 1777 da Bernardo Tanucci) con efficacia non solo tra le parti per la soluzione della controversia, ma anche per i terzi, come esempio di interpretazione della norma rispetto casi simili. Non è questa la sede per accertare qual sia il tipo di interpretazione da preferire (letterale, logica, dichiarativa, sistematica, correttiva, adeguatrice, estensiva, restrittiva, storica, evolutiva, congruente, manipolativa), ma è opportuno rivendicare un contenuto “moderno” della giurisprudenza che, superando i vecchi miti della certezza del diritto, attraverso spinte gerarchiche o burocratiche, persegua coerenza e affidabilità - evitando individualismi esasperati o autoreferenzialità, con indisponibilità al confronto – nell’interesse del risultato comples- 9 sivo del servizio, pervenendo ad indirizzi giurisprudenziali non burocratici, non imposti, ma conquistati, attraverso la mediazione tra le opposte tesi, mediante dialogo e confronto, anche con i giudici di primo e secondo grado, per una soluzione funzionale del caso e cioè una risposta concreta, di merito alla controversia insorta, ma con attenzione anche ai riflessi esterni della stessa decisione. 4.- La Corte di legittimità, oggi, è ferita dall’enorme, imprevisto carico di lavoro, specie nel settore civile: si è passati dai 13.496 ricorsi civili pendenti nel 1970 ai 102.603 nel 2007. Con tutto l’innegabile impegno sul piano umano ed organizzativo dei colleghi e del personale tutto, si è passati dalle 3.618 sentenze del 1970 alle circa 30.000 sentenze dell’anno scorso, e tuttavia non si riesce a decidere i processi in termini di ragionevoli durata, evitando disfunzioni del sistema, come ad esempio quelli esponenziali ed allarmanti degli effetti della c.d. legge Pinto. L’effetto paradossale è che si va diffondendo un’anomala incessante domanda di giustizia, perché i processi instaurati non siano tempestivamente decisi, in modo che il loro ritardo possa dar luogo, al di là della decisione, ad altri processi in cui si chieda agli stessi giudici di essere indennizzati per il ritardo dei primi. La garanzia costituzionale di soggezione solo alla legge, non significa però “libera solitudine” del singolo giudice, avulso dal contesto in cui opera, ma attività del servizio-giustizia che costituisce, pur sempre, una tessera di un mosaico interpretativo del diritto vivente. Le battaglie culturali di modernizzazione della giurisprudenza si conducono con la piena conoscenza giuridica della questione e con indirizzi discussi e condivisi, al termine di un percorso decisionale, consapevole, meditato e aperto al confronto. Di questa coerenza si è fatto carico il legislatore, con il d.lgs. n. 40 del 2006 che, nel rispetto della Costituzione, ha incrementato la funzione nomofilattica della Corte di Cassazione nel settore civile, sia come Corte regolatrice della giurisdizione, sia come Corte di legittimità, destinata a comporre contrasti giurisprudenziali, fornendo meditati indirizzi interpretativi (è il ritorno dello ius constitutionis, che bilancia lo ius litigatoris). Occorre superare la controversia sull’efficacia o meno della nomofilachia in relazione all’art. 65 dell’ordinamento giudiziario, pervenendo alla conclusione che la giurisprudenza di legittimità, così come in altri ordinamenti, richiede un’innegabile esigenza unificatrice condivisa, conquistata attraverso la partecipazione e il dibattito 10 sulla miglior mediazione possibile tra disposizione emanata, e norma da applicare alla fattispecie concreta. Gli inevitabili contrasti giurisprudenziali, dovuti anche alla sovrabbondante produzione normativa, priva dei caratteri di sistematicità, generalità e astrattezza, sono oggi, quasi tutti, prontamente risolti, grazie a uno sforzo eccezionale e all’aiuto prezioso di tutti i colleghi, sempre più consapevoli della partecipazione alle decisioni “della Corte” e non di un singolo, isolato collegio. In questo contesto acquistano particolare rilevanza le nuove disposizioni come le sentenze nell’interesse della legge (art. 363 terzo comma, c.p.c.); il quesito di diritto (art. 366-bis c.p.c.); i nuovi rapporti tra sezioni semplici e sezioni unite (art. 374, primo e secondo comma, c.p.c.); i rapporti tra relazione – detto opinamento o puntualizzazione dei contrasti - notificata alle parti e la decisione nei procedimenti in camera di consiglio ex art. 380-bis c.p.c.; i decreti di estinzione del presidente in caso di rinuncia ex art. 391 co.1 c.p.c.; l’interlocuzione con le parti in caso di questioni rilevabile d’ufficio e la decisione del merito ex 384 c.p.c. e i nuovi casi di revocazione ex art. 391-ter c.p.c.. Occorre intensificare lo scambio e il dialogo tra i Giudici, non solo nell’ambito della Corte di legittimità e dei singoli uffici giudiziari di merito, ma anche tra i Giudici dei diversi uffici. Ed un plauso va al C.S.M. che, a cominciare dal profilo tabellare, ha, di recente, convocato tutti i presidenti delle Corti di Appello e dei Tribunali e nel mese prossimo anche tutti i P.M. presso i Tribunali e le Corti di Appello. Bisogna utilizzare le disposizioni normative che prevedono non più la conoscenza del solo dispositivo da parte del Giudice a quo che ha emesso la sentenza impugnata, ma l’inoltro, anche in via telematica, di copia della sentenza di legittimità. In tal modo, il Giudice del merito conosce la motivazione del provvedimento che ha cassato, con rinvio o senza rinvio, la sua precedente decisione impugnata. Si raggiunge, in tal modo, un’approfondita e puntale conoscenza del diverso esito del processo, in sede di Cassazione, ferma la possibilità per il giudice del merito di dissentire dalle sentenze di legittimità conosciute, previa motivata presa di posizione. Una maggiore certezza sugli indirizzi, sulla loro “tenuta” e coerenza, determina certamente una deflazione del contenzioso, specie se accompagnata da un più coraggioso ricorso alla condanna alle spese. La “coerenza” degli indirizzi della giurisprudenza diventa, quindi, un ulteriore rimedio interno ai problemi della Giustizia del cittadino. Rappresenta un elemento di affidabilità del sistema istituzionale e 11 di deflazione del contenzioso, conciliando la libertà di ogni Giudice (in ogni sede, in ogni grado) con l’esigenza di “chiarezza” e di “coerenza” del diritto vivente per una tempestiva, sollecita risposta alla domanda di giustizia. 5.- La Costituzione oggi, a distanza di sessanta anni, deve tener conto delle rilevanti modifiche intervenute sul piano della gerarchia e pluralità delle fonti in relazione al nuovo art. 117 Cost. che ha introdotto nel 2001 le modifiche alla potestà legislativa in linea con il riconoscimento della pluralità delle fonti del diritto. Con l’ulteriore problematica del ruolo e della portata della normativa comunitaria e di quella frutto di accordi internazionali di cui alla recenti sentenze nn. 348 e 349/2007 della Corte Costituzionale. Ma la modifica più rilevante è quella che è stata introdotta nel 1999 quando in sede di riforma istituzionale si ritenne di privilegiare il “giusto processo” e la sua “ragionevole durata” negli attuali commi primo e secondo dell’art. 111 Cost., ritenuti prevalenti rispetto all’originale secondo comma, divenuto settimo che concedeva a chiunque ed in ogni caso il ricorso per Cassazione per violazioni di legge. L’accesso indiscriminato, a distanza di sessanta anni, non può non cedere il passo di fronte all’innegabile esigenza prioritaria di un giusto processo entro un termine ragionevole. Nelle altre Corti Europee, tredici sono indicate nello studio del Massimario - dalla Germania alla Spagna, dalla Francia all’Austria, dalla Svizzera al Regno Unito, dal Belgio alla Polonia, dalla Svezia all’Ungheria, dalla Finlandia alla Norvegia ed alla Romania - si è introdotto un filtro all’accesso delle Corti Supreme. Filtro necessario per tutti i paesi europei, ma attualmente inesistente in Italia. Della necessità del filtro si è fatto portavoce il Governatore della Banca d’Italia che nella sua ultima relazione del 31 maggio 2008 (pag. 111) ha stigmatizzato come l’Italia sia l’unico Paese in Europa a non avere un “filtro” all’accesso per il Giudizio di Cassazione, con le immaginabili ripercussioni anche all’Estero della credibilità, funzionalità, efficienza della giustizia italiana. Già in un convegno tenutosi a Perugia sulle Corti Supreme si era resa palese l’intollerabilità del sistema italiano sul servizio giustizia a livello di Cassazione. Uno dei modelli più validi tra quelli adottati negli altri Paesi è la recente modifica del ZPO, entrata in vigore nel 2002. Il paragrafo 543 della ZPO ha introdotto un filtro delegando al giudice di secondo grado (per lo più la Corte d’Appello ma può essere la stessa Corte di 12 Cassazione) ad esaminare in via preliminare ed autonoma l’ammissibilità del ricorso. Come contributo al dialogo il Presidente del B.G.H. ha inviato alla nostra Corte un documento, a disposizione di tutti, in cui evidenzia gli effetti positivi della grande riforma del diritto processuale civile adottato in Germania. Va, infine, ricordato che anche la Commissione bilaterale aveva riconosciuto la necessità e la fondatezza di un filtro come si desume dall’art.131 del progetto, tentativo poi ripreso, anche dal d.d.l. del senatore Elia n. 4332, della XIII legislatura. 6.- La Corte, infine, rivendica la propria autonomia contabile, senza aumenti di bilancio o di costi, ma solo per soddisfare l’esigenza di una maggiore flessibilità nella gestione delle risorse e nel premiare il personale più efficiente, evitando forme di burocratizzazione che comportano inefficienza del servizio. E’ evidente che l’autonomia della spesa non significa, certo, l’esenzione da controlli o richiesta di aumenti, ma solo necessità di razionalizzare e di rendere funzionale la spesa rispetto all’organizzazione e quindi agli obbiettivi da perseguire. Semmai diminuirla, tenendo però conto dell’effettiva situazione di collaborazione e di partecipazione, anche dei dipendenti. L’autonomia contabile oggi è riconosciuta nelle altre Corti nazionali europee, e, in Italia, è attuata al Consiglio di Stato, ai T.A.R., alla Corte dei Conti, alle Authorities, oltre che al CSM e alla Corte Costituzionale. Tenuto conto del quadro europeo e della partecipazione dell’Italia alla rete delle Corti Supreme, l’Italia merita di potersi comparare con le altre Corti avendo però lo stesso punto di partenza onde effettuare un efficiente servizio-giustizia: un filtro all’enorme mole di ricorsi e l’autonomia contabile per una più funzionale gestione organizzativa del servizio. Nel rinnovare il deferente saluto al Capo dello Stato e i miei più vivi ringraziamenti alle Autorità e a tutti i presenti diamo inizio al Convegno. Vincenzo CARBONE Primo presidente della Corte di cassazione 13 RELAZIONI Oscar Luigi SCALFARO Presidente emerito della Repubblica italiana Un saluto al Signor Presidente della Repubblica, un saluto a Lei, Signor Presidente della Corte di Cassazione, a tutta la Corte, della quale mi onoro in qualche modo di far parte. Un augurio al collega Andreotti per la sua salute. Il titolo per il quale sono stato chiamato è che, senza particolare merito se non di certificato di nascita, ero presente all’Assemblea Costituente, e non posso far tacere i ricordi: la discesa a Roma, la convinzione di vivere, malgrado la giovane età, un momento storico. Vittorio Emanuele Orlando, che presiedette il 25 di giugno 1946 la prima seduta, ebbe un cenno che ci fece meditare: è la prima volta nella storia del popolo italiano che vi è un’assemblea eletta, e votata, a suffragio universale. Per la prima volta - tranne la votazione del marzo precedente per le elezioni municipali - con la partecipazione anche delle donne. (vivissimi e prolungati applausi) L’essere introdotto nel palazzo di Montecitorio accende i ricordi in esso racchiusi, se si aveva avuto la fortuna di avere al liceo un professore, meno ligio alla dittatura, che aveva allargato le conoscenze sulla storia. E poi l’Aula. Qui Turati, Meda, Matteotti con quel discorso prima di essere sterminato vicino alle sponde del Tevere. E poi incontrare e avvicinare delle persone che proprio per quegli insegnamenti in contrasto con la dittatura fascista erano testimoni di libertà: Vittorio Emanuele Orlando, Nitti, Bonomi. E poi questo nuovo mondo politico che, lottando contro la dittatura, era risorto e si presentava per le nuove responsabilità, eletto dal popolo: Saragat, Nenni, Einaudi... (ricordo la frase di Einaudi: “l’economia è ancella della politica”, tale era la visione elevata della politica come pensiero, come filosofia e quindi come programmi, applicazioni e proposte)... e De Gasperi… e Treves… Due ricordi in particolare, la presenza di Benedetto Croce che avevo studiato e del quale, mi parve ardimento il solo pensare che ero ormai collega; e Concetto Marchesi, quel grande latinista del quale noi studenti di legge andavamo a comprare e leggevamo con gusto la Storia della Letteratura Latina, un miracolo, nel leggerla, per la presenza viva dei personaggi del tempo. 17 Le grandi lezioni che abbiamo preso, che io certo ho preso con mia profonda meraviglia. Non posso dimenticare che l’Assemblea Costituente non era titolare primaria del fare le leggi; le norme che l’avevano messa al mondo avevano cercato di concentrare il suo lavoro nello scrivere la Carta Costituzionale, quindi eccezionalmente il Governo faceva le leggi e poi c’era una procedura con cui, in casi particolari, l’Assemblea poteva richiamarle in discussione. In aula, la polemica politica era particolarmente viva, e le prime volte provocò un certo sconcerto in noi giovani, dico noi giovani in quanto c’erano giovani socialisti, repubblicani, liberali e democristiani. La prima volta che ci fu una discesa nell’emiciclo piuttosto violenta da parte dello schieramento comunista, con la risposta dei democristiani e di altri, si determinò una zuffa in aula. Ero così preso, nella mia totale inesperienza, dalla preoccupazione di trovare un denominatore comune per poter scrivere la Costituzione - preoccupazione che era quasi in tutti, specie tra i più anziani - che quanto accaduto in Aula parve una ferita non rimarginabile. Pensavo: adesso come si fa a riprendere il dialogo? Eppure, conclusa la seduta della polemica politica, il Presidente Terracini annunziava che dopo due ore o dopo un’ora o al pomeriggio o il mattino seguente riprendeva la seduta costituente. Ricordo l’impressione che, citandola rivivo ogni volta, di vedere le persone che si erano azzuffate lavorare insieme, scrivere insieme la Carta. Una lezione formidabile, che si è ripetuta più volte essendoci in Assemblea parlamentari con pensieri filosofici e politici, non soltanto lontani, ma a volte in aperta contrapposizione tra loro. Ricordo che nella mia esperienza una delle cose, uno dei fatti che mi colpì fortemente, era ascoltare i colleghi di settori diversi che avevano molto sofferto moralmente, spiritualmente e anche fisicamente, per la libertà. Persone che erano state all’estero soffrendo la fame, persone che avevano dovuto separarsi dalla famiglia, persone che avevano pagato in ogni modo, persone che erano state torturate per non cedere, per non dare il nome di colleghi che avevano lottato insieme contro la dittatura. (vivi applausi) Mi venne il pensiero che queste sofferenze fossero una grande spinta per quel denominatore comune, fossero un patrimonio, al di là di visioni trascendenti, idoneo ad aiutare per un incontro fecondo. Mi capitò un giorno per caso di accompagnare l’on. Nenni a colloquio con De Gasperi che riteneva opportuno, prima delle discussioni di politica estera, parlare con l’opposizione. Mi fermai ammirato e meravigliato che l’incontro fra De Gasperi e Nenni - essendo stato 18 Nenni molte volte un fustigatore di De Gasperi - fosse un incontro di amicizia profonda tanto che quando riaccompagnai Nenni all’uscita tornai da De Gasperi, che con i giovani si fermava volentieri a parlare, e gli dissi: “Presidente, non posso negare la mia ammirata meraviglia per questa affabilità con Nenni, che pure Le ha sparato contro senza pietà, con la sua efficace oratoria piena di forza e di sangue”. De Gasperi divenne serio e mi disse: “Scàlfaro, noi abbiamo sofferto insieme”. Quel pensiero che era vivo dentro di me aumentò di forza. Poi De Gasperi si fermò commosso a raccontare di quando essendo lui Ministro degli Esteri, prima di diventare Presidente del Consiglio, Nenni cercava, terminata la guerra, di avere notizie di una figlia deportata in campo di annientamento, e non riusciva. De Gasperi aveva tentato con quella rete di diplomazia che stava rinascendo, si era rivolto alla Chiesa, che aveva mantenuto durante la guerra anche dei Nunzi, si era rivolto alla Croce Rossa, quando giunse la notizia che era stato trovato il cadavere di questa creatura. Il Ministero degli Esteri era dove oggi c’è la Presidenza del Consiglio e Nenni dirigeva l’“Avanti!”, che era poco dopo il Palazzo di Montecitorio. De Gasperi telefonò dicendo: “vengo da te”. Era chiaro che la notizia era negativa. Mi disse: “Nenni è rispettoso della religione, ma non è un tema che gli dia conforto… Pensavo: ma io padre di famiglia cosa posso dire a lui padre di famiglia?… Intanto attraversata la piazza, cinque minuti a piedi, feci la scala per arrivare al giornale, spinsi la porta, non dissi una parola, ci abbracciammo, scoppiando a piangere insieme”. (vivissimi applausi) De Gasperi commosso si fermò e mi disse: “né lui né io potremo mai dimenticare queste comuni sofferenze”. Ebbi conferma che tra molti colleghi c’era un rapporto umano, serio e forte. Per questo l’avere messo al centro della Carta la Persona umana rappresentò il punto d’incontro più chiaro e più efficace. E si cominciò a votare gli articoli. Oggi si parla anche, credo giustamente, di un aumento di impegno di lavoro in Parlamento, ma devo dire che allora, con un sistema forse più semplice, chi ci dava lezioni di comportamento, l’on. Cingolani che era stato parlamentare prima del fascismo ed era rimasto indenne da contaminazioni con la dittatura, ci dava queste direttive: quando c’è seduta in aula il compito di tutti noi è di essere presenti, sempre. Il seguito non lasciava dubbi: non perdere discorsi e argomentazioni soprattutto di coloro che sostengono idee in opposizione, in modo da avere argomenti per dialogare, per discutere, anche per quei dialoghi 19 che poco alla volta divennero consueti nel vivere insieme all’Assemblea Costituente. Queste alcune delle fatiche dell’inizio. La dittatura aveva ridotto la Persona a una cosa. La Persona non è titolare dei diritti, perché titolare è lo Stato che questi diritti presta, dona, li concede per poco tempo, li concede tutti, o solo in parte, o li sospende o li revoca… Tesi queste che con il codice Rocco arrivarono anche agli studi universitari e per noi giovani non fu piccolo scandalo. In netta contrapposizione fu la splendida relazione di La Pira nella sottocommissione dell’Assemblea dei 75, dove con assoluta chiarezza espresse il principio che la Persona per natura sua e quindi per la sua dignità di essere umano è indiscutibilmente titolare di dignità e di diritti primari. Questa è l’impostazione nella concezione democratica. Ricordo ancora quando la maestra ci disse che “democrazia” veniva dal greco… e questa frase non ci aiutò a capire... L’Italia è “Repubblica democratica”… Per fare un esempio attuale è sufficiente pensare alla legge elettorale per le Assemblee legislative per ritenere con parere unanime - lo stesso presentatore della legge le diede un battesimo particolarmente sgradevole, noto a tutti – che oggi in Parlamento non c’è un deputato, un senatore, che siano stati scelti e votati dal popolo italiano. Tema assai delicato. E poi, “Repubblica democratica fondata sul lavoro”, quindi sulla Persona umana. Si passa all’articolo 2: “la Repubblica riconosce”; c’è una splendida presentazione del rapporto cittadino-Stato, perché dalla Persona, dalle persone, cioè dal Popolo, nasce lo Stato, il quale ha il compito di pensare alla Persona. C’è un’armonia evidente, e quel “riconosce” condanna qualunque impostazione in contrasto con “democrazia”, perché “riconosce” vuol dire che nel momento in cui questo Stato configurato a Repubblica nasce, si inchina alla Persona dalla quale ha tratto vita, e prende atto che questa Persona è titolare di diritti per natura sua, per dignità sua. Ho fatto un rapido passaggio alle votazioni più importanti dell’Assemblea Costituente, fra ottobre e novembre del 1947, e posso ringraziarvi anche per avere avuto la gioia di rivivere e di rileggere il verbale di quelle sedute. Ed ecco: “La magistratura è un ordine autonomo e indipendente”. Guardando la mia sintesi, che non è una sintesi di studio, ma una sintesi anche di ricordi, rileggendo questo testo ho trovato che non manca nulla. 20 Non c’è stata contestazione su queste due parole: autonomia e indipendenza. C’è stata vorrei dire una quasi unanimità, c’è stata la volontà di difendere, soprattutto, dignità, prerogative, responsabilità del magistrato. “Il magistrato è soggetto soltanto alla legge”; concetto che venne presentato con una serie di formule che nel contenuto non mutavano, e che nella discussione trovò larghissimo spazio di consensi. (vivi applausi) Se non ricordo male, un avvocato di valore, socialista, l’on. Targetti, toscano, ma trapiantato da decenni a Milano, esclamò: “che cosa si vuol far dire? cosa sono questi dialoghi per scoprire fino in fondo il contenuto di queste definizioni? Stiamo più semplicemente al normale contenuto delle parole”. Un punto merita meditazione sempre: “la giustizia è amministrata in nome del popolo”. Questo è costantemente presente per ogni giudice, perché l’affermazione della giustizia tanto ha forza quanto ha partecipazione convinta e vissuta; tanto è vero che mentre la partecipazione diretta del popolo ad amministrare giustizia ebbe infiniti interrogativi, così non è stato per l’affermazione che la giustizia è amministrata in nome del popolo. “No” a Tribunali speciali. Avevamo tutti un ricordo triste e vivo dei tribunali speciali per la difesa dello Stato. C’è ancora oggi l’Associazione di perseguitati politici - il cui vertice è mancato da poco, lo ricordiamo veramente con emozione, Pietro Amendola -, vittime di un tribunale dove il progetto di giustizia era per la difesa del regime fascista, non per la difesa dello Stato. Lo Stato non c’entrava per nulla. E sono assai pochi quelli che rimangono e ricordiamo con devozione. Questo principio di amministrare in nome del popolo è un tema importante, perché coinvolge, vorrei dire nella sua formazione, ogni magistrato. Il “no” ai magistrati di essere iscritti ai partiti ebbe una eco abbastanza ampia, con tutto il rispetto dei personaggi che sostennero questa tesi. Non serve a nulla, il discorso è molto più serio e più profondo: il magistrato sa di avere diritto, come ogni cittadino, di pensare in libertà come crede, ma deve trovare il punto di equilibrio fra la sua responsabilità e la vita. Se questo non sente e gli pare eccessivo – sono un po’ drastico – ha sbagliato strada. Non è obbligatorio fare il magistrato, è una scelta, e uno sa quali pesi può portare, sa che ha il dovere di non turbare il cittadino oltre i limiti che sono già quelli di uno che dice: costui deve giudicarmi, deve giudicare una questione che mi riguarda. E’ un discorso sempre estremamente delicato: se il magi- 21 strato si muove non in assonanza con le mie idee già mi viene il sospetto che non sia equilibrato e saggio. Di qui il dovere di stare attenti anche alle apparenze il magistrato lo ha e deve agire per poter mantenere un atteggiamento di responsabilità e di saggezza. Temi che sono sempre aperti e hanno bisogno di costante riflessione e controllo. Mi lascino un accenno fuori campo. Ho letto con tristezza sui giornali di un magistrato che ha impiegato otto anni per stendere una sentenza. Io mantengo tuttora un’acuta sensibilità su questo tema che mi ha impedito di leggere per intero il racconto del giornale, ma ho raccolto con grande pena i vari commenti… Questo signore, se ho ben letto, lascerebbe la magistratura. Ma nessuno per otto anni si è accorto che una sentenza non arrivava? Nessuno ha una responsabilità? (applausi) Ma non è accaduto forse in passato – assolvano il sottoscritto per dei pensieri forse ormai troppo vecchi – che l’avere sminuito continuamente la responsabilità dei Procuratori Generali ha portato dissolvimenti veri e propri? (applausi) Perché un conto è limitare il diritto del magistrato a decidere, altro conto è dire che ognuno si muova come crede, perché il discorso della gazzarra è assai poco simile a un discorso di ordinamento di giustizia... Quando finiranno in Italia questi processi paralleli, in televisione? Quando? Quando finirà questo mercato che è studiato per alterare l’opinione delle persone? Lo abbiamo avuto di fronte in un processo che ha riempito i giornali in modo patologico. Abbiamo avuto - quando la Cassazione ha chiuso la partita e ha detto: la sentenza è definitiva - un’insorgenza che per fortuna è durata una giornata sola: “ci vuole la grazia…”. E’ la dimostrazione di quanto ha pesato questa procedura assolutamente intollerabile in un paese civile. Ho vissuto delle emozioni particolari. Quando sono entrato in Magistratura (ottobre 1942, dopo Cristo s’intende!) nel codice c’era il reato di sciopero. Nel codice c’era la pena di morte, e fu applicata e in qualche caso fu eseguita… L’ultima “pena di morte” a spegnersi fu nel codice penale militare di guerra, e capitò a me l’onore ‘occasionale’ di firmarla come Capo dello Stato. Non so trasmettere il brivido di quando votammo con l’articolo 40 il diritto di sciopero. Non si è scritto “c’è il diritto”. No, non si discute: “Il diritto di sciopero si esercita nell’ambito delle leggi che lo regolano”. 22 Siamo usciti da un referendum che compie due anni alla fine di questo mese. Non c’è una norma che tuteli il voto del referendum dicendo che su quelle materie non si può tornare per sei mesi, per un anno, per due anni, ma c’è indubbiamente la coscienza dei parlamentari. Con la responsabilità di Presidente di tutti i Comitati per il Referendum che si sono mutati in Associazione a difesa della Costituzione, posso affermare che nessuno pensa che la Carta sia intoccabile, mai nessuno ha sostenuto questa tesi, ma ci sia almeno una adesione alla proposta di modifica dell’art. 138, per cui ogni riforma della Costituzione debba essere approvata con una maggioranza qualificata che coinvolga largamente l’opposizione. Comunque, abbiamo vissuto tempi dolorosi di polemica fra la Magistratura e l’esecutivo. Quando ero giovane parlamentare, probabilmente tanto preso dalla mia vocazione di magistrato, dissi un giorno in Parlamento che se la politica perde credito si entra in una crisi, se perde credito la giustizia è ferito a morte lo Stato. E ci fu qualche polemica su questa giovane voce che aveva detto qualche cosa che, però, sentiva e sente tuttora. Dirò soltanto questo: la sacralità di questa casa, dove è il vertice della nostra umana giustizia in Italia, e la presenza, per cui ripetiamo la gratitudine infinita, del Capo dello Stato, ci invitano al silenzio. Pensieri, preoccupazioni, speranze. Silenzio. Vorrei soltanto essere capace di invocare che prevalga sempre, a prezzo di ogni pensabile sacrificio, l’interesse supremo del popolo italiano. Ringrazio. (grande applauso generale, tutta l’assemblea si leva in piedi) 23 Giurisdizione e giudici nella Giurisprudenza Costituzionale Franco BILE Presidente della Corte costituzionale Non posso nascondere di provare una forte emozione nel prendere la parola in questa aula, alla presenza del Signor Presidente della Repubblica, del Presidente emerito sen. Scalfaro, dei Vice-Presidenti del Senato e della Camera dei Deputati, del Ministro della Giustizia, di numerosi Giudici costituzionali, e di un così folto e selezionato uditorio di Autorità, magistrati, avvocati, studiosi. In verità questa aula – in cui la Corte di cassazione esercita al più alto e autorevole livello il suo magistero – mi é particolarmente cara, per ciò che ha significato in un lungo arco della mia vita professionale. E’ un motivo in più per ringraziare il Primo Presidente dell’invito all’odierna celebrazione dei 60 anni della Costituzione, per parlare di giurisdizione e giudici nella giurisprudenza della Corte costituzionale, di cui da ormai quasi nove anni ho l’onore di far parte. Nella Costituzione il riferimento alla giurisdizione è centrale e ripetuto, a cominciare dalla solenne proclamazione dell’art. 24, per cui “tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi”, cioè di qualsiasi posizione soggettiva riconosciuta dall’ordinamento. Il diritto, definito inviolabile dallo stesso art. 24, di agire e difendersi davanti ad un giudice può quindi essere modulato dalla legge del processo, ma giammai eliminato. Il tema dell’indefettibilità della giurisdizione rimanda ad un altro principio fondamentale della Costituzione: il principio di eguaglianza. Se la legge ordinaria non può sottoporre situazioni giuridiche tutelate a discipline ingiustificatamente diverse, del pari la giurisdizione - che somministra ad esse concreta tutela - non può che esplicarsi con un metro di giudizio uguale per tutti. La lettura sistematica dei due principi sembra quindi condurre ad una nozione unitaria della giurisdizione. L’Assemblea costituente pareva inizialmente orientata in questo senso, come può ricavarsi dall’art. 102 del Progetto dei settantacinque. Ma, come è noto, il testo definitivo di Costituzione é ispirato a criteri parzialmente diversi. L’unitarietà della giurisdizione è certo affermata, in generale, dall’art. 102, secondo cui “la funzione giurisdizionale è esercitata da ma- 24 gistrati ordinari” e “non possono essere istituiti giudici straordinari o giudici speciali”. Lo stesso principio ispira poi il settimo comma del testo attuale dell’art. 111 (secondo del testo originario), per cui “contro le sentenze e contro i provvedimenti sulla libertà personale, pronunciati dagli organi giurisdizionali ordinari o speciali, è sempre ammesso ricorso in cassazione per violazione di legge”. Ma il comma seguente soggiunge che “contro le decisioni del Consiglio di Stato e della Corte dei conti il ricorso in cassazione è ammesso per i soli motivi inerenti alla giurisdizione”. L’unitarietà della giurisdizione è quindi reale solo per quanto concerne il giudice che la regola. La Carta prevede infatti il ricorso ad un’unica ed ultima istanza (la Corte di cassazione, a Sezioni unite in base al codice di rito) per proporre, nei confronti di qualsiasi giudice, ordinario o speciale, motivi “inerenti alla giurisdizione” e sentir accertare se il giudice adito sia abilitato a rendere la pronuncia richiesta, cioè sia fornito di giurisdizione. Ma non vale invece per le (altre) violazioni di legge, per le quali la funzione di nomofilachia, mirante a garantire l’esatta osservanza e l’uniforme interpretazione della legge, spetta alla Corte di cassazione solo per quanto concerne la giurisdizione ordinaria, cui é affidata la tutela dei diritti soggettivi, mentre compete al Consiglio di Stato e alla Corte dei conti nei settori di giurisdizione amministrativa ad essi rispettivamente devoluti. Si é così inteso coniugare l’unicità della giurisdizione, cui si ispirava la legge abolitiva del contenzioso amministrativo del 1865, con l’esigenza di non disperdere l’esperienza del giudice amministrativo istituito nel 1889. La scelta della doppia giurisdizione traspare anche dall’art. 113, secondo cui “Contro gli atti della pubblica amministrazione è sempre ammessa la tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi dinanzi agli organi [si noti il parallelo] di giurisdizione ordinaria o amministrativa”. Al parallelo l’art. 103, primo comma, apporta però un’eccezione, affiancando alla regola per cui la tutela degli interessi legittimi compete al giudice amministrativo la previsione che la legge possa attribuire allo stesso giudice, in particolari materie, “anche” la giurisdizione sui diritti soggettivi. La “giurisdizione esclusiva”, nata nel 1923 come deroga a quella del giudice ordinario per una limitata serie di materie, tra cui il pubblico impiego, ha raggiunto in seguito dimensioni ben più ampie, fino al d. lgs. 31 marzo 1998, n. 80, e poi alla legge 21 luglio 2000, n. 205. Nei confronti di tale legge, che ha devoluto alla giurisdizione esclusiva nuovi blocchi di materie, varie questioni di costituzionalità 25 sono state sollevate dai giudici ordinari. E la Corte le ha decise con una sentenza (n. 204 del 2004) mirata a dare ai rapporti fra le giurisdizioni un assetto idoneo a limitare gli inconvenienti derivanti ai cittadini dal sistema vigente e dalle incertezze dei criteri di riparto. Il punto dolente è quello dei rapporti fra giudice ordinario e giudice amministrativo in tema di tutela dei diritti soggettivi. Secondo la sentenza, l’art. 103 ha conferito alla legge ordinaria non un’assoluta e incondizionata discrezionalità nel devolvere tipi di controversie alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, ma solo il potere di individuare materie particolari nelle quali esso tuteli nei confronti della pubblica amministrazione “anche” diritti soggettivi. Tale potere non è né assoluto né incondizionato: non può fondarsi sul solo dato oggettivo delle materie, ma deve considerare la natura delle situazioni soggettive in esse coinvolte. Se le materie devono essere particolari rispetto al generale ambito in cui la pubblica amministrazione agisce, occorre che essa in quelle materie si ponga pur sempre come autorità, nei cui confronti sarebbe comunque stata accordata tutela avanti al giudice amministrativo. Perciò il fatto che di un giudizio su diritti soggettivi sia parte una pubblica amministrazione non può da solo giustificare che la giurisdizione sia sottratta al giudice ordinario e attribuita al giudice amministrativo. Ne discende che la materia dei pubblici servizi può essere devoluta alla giurisdizione esclusiva solo nei limiti in cui l’amministrazione eserciti poteri autoritativi o si avvalga della facoltà di adottare strumenti negoziali sostitutivi. Nella stessa prospettiva un’altra sentenza della Corte (n. 191 del 2006) ha dichiarato incostituzionale la norma (art. 53, comma 1, del d. lgs. 8 giugno 2001, n. 325) che attribuiva alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie aventi per oggetto, tra l’altro, i “comportamenti” delle amministrazioni pubbliche, prescindendo da ogni loro qualificazione e così valorizzando il solo fatto che di esse fosse parte l’amministrazione. La norma però non è incostituzionale per ciò che concerne i comportamenti costituenti esecuzione di provvedimenti amministrativi, come tali riconducibili all’esercizio, pur se illegittimo, di poteri pubblicistici. La Corte ha poi chiarito (sentenza n. 140 del 2007) che la natura «fondamentale» dei diritti soggettivi oggetto di controversia non comporta l’incostituzionalità della loro devoluzione alla giurisdizione esclusiva, in quanto nessun principio o norma dell’ordinamento riserva al solo giudice ordinario (escludendone quello amministrativo) la tutela dei diritti costituzionalmente protetti. Vorrei infine ricordare un’importante sentenza (n. 77 del 2007), 26 che ha rimosso uno degli aspetti più negativi dell’attuale sistema, dischiudendo forse la prospettiva di un discorso tendenzialmente unitario sulla giurisdizione. Purtroppo non è raro che i litiganti debbano affrontare una lunga controversia solo per ottenere l’accertamento di quale sia, nella specie, il giudice dotato di giurisdizione, con il rischio di dovere poi ricominciare daccapo, ove il giudizio risulti proposto avanti al giudice “sbagliato”, subendo le preclusioni eventualmente verificatesi. La sentenza – collocando in un congruo scenario costituzionale i risultati cui le Sezioni unite avevano già ritenuto di poter pervenire in via interpretativa - ha affermato che la pluralità delle giurisdizioni non può risolversi in una minore effettività, o addirittura in una vanificazione, della tutela giurisdizionale: infatti l’ordinamento riconosce l’esistenza di più giurisdizioni per assicurare, sulla base di distinte competenze, più adeguate risposte alle richieste di giustizia, non certo per compromettere la possibilità che ad esse si risponda. Perciò la Corte ha dichiarato incostituzionale la norma impugnata nella parte in cui non prevedeva che gli effetti della domanda originariamente proposta ad un giudice poi dichiaratosi privo di giurisdizione si conservino nel processo proseguito, dopo tale decisione, avanti al giudice che ne sia munito, così scongiurando il rischio, prima ricordato, che il giudizio debba ricominciare dal principio (fermo restando che la decisione sulla giurisdizione non pregiudica le questioni sulla pertinenza del diritto e la proponibilità della domanda: art. 386 cod. proc. civ.). Celebrando il sessantesimo anniversario della Costituzione, e per di più parlando di giurisdizione nell’aula delle Sezioni unite, l’esposizione della giurisprudenza costituzionale sul tema ben può essere integrata da un cenno sulle modifiche di recente apportate alla disciplina del processo di cassazione (d. lgs. 2 febbraio 2006, n. 40) per rafforzare la funzione di nomofilachia. Questa infatti (pur se circoscritta all’area della giurisdizione ordinaria) connota, con il sindacato sui limiti esterni delle giurisdizioni, il ruolo nevralgico attribuito dalla Costituzione alla Corte suprema. Una prima novità (art. 8) comporta che la sezione semplice, ove non condivida il principio di diritto enunciato dalle Sezioni unite, deve motivatamente rimettere ad esse la decisione del ricorso. E’ un vincolo negativo, ispirato al principio per cui non è consentito discostarsi ingiustificatamente da un’interpretazione consolidata del giudice di legittimità. 27 Un’altra innovazione (art. 18) riguarda il regime processuale delle questioni di interpretazione di contratti o accordi collettivi nazionali. Mentre la sezione semplice non può decidere applicando un principio di diritto contrastante con quello affermato dalle Sezioni unite, il giudice di merito che non condivida l’interpretazione data alla normativa collettiva dalla Corte di legittimità può accogliere un diverso orientamento, ma solo con una sentenza soggetta a ricorso immediato per cassazione. E’ evidente il fine di favorire la formazione di indirizzi uniformi, per la piena realizzazione dei principi di eguaglianza e di ragionevole durata: infatti la certezza del diritto è il più efficace strumento deflattivo del contenzioso. Ma il corretto esercizio della nomofilachia é compromesso dall’attuale mole di lavoro della Cassazione, cui affluisce annualmente un numero di ricorsi incommensurabilmente più alto di quelli proposti alle altre corti supreme europee. Si impone quindi una riflessione sul rapporto problematico fra due norme contenute nell’art. 111. L’una (commi 7 e 8) ammette il ricorso in Cassazione per violazione di legge contro tutte le sentenze, con la sola eccezione di quelle del Consiglio di Stato e della Corte dei conti, e così – pur mirando a garantire l’uniforme interpretazione della legge – finisce per aggravare il lavoro della Corte suprema e dilatare i tempi di definizione dei processi. L’altra (comma 2) attribuisce alla legge il compito di assicurare la ragionevole durata di ogni processo. Un corretto bilanciamento fra gli interessi costituzionalmente rilevanti cui si ispirano le due norme compete al legislatore e dovrebbe tener conto delle esigenze di ciascuno di essi, evitando che la tutela dell’uno si risolva nel totale sacrificio dell’altro. E forse esige un filtro che selezioni l’accesso alla Corte. E’ possibile addivenire in sede interpretativa all’introduzione di tale filtro o - non potendo bastare l’impegno finora profuso dalla stessa Corte - occorre un intervento legislativo? E basta una legge ordinaria o occorre una legge costituzionale? Quale che sia la fonte necessaria, può essere utile guardarsi intorno, per verificare se e come gli ordinamenti degli altri paesi dell’Unione europea prevedano filtri per l’accesso alla Corte suprema. Il discorso di una più rigorosa disciplina di tale accesso potrebbe forse andare oltre e coinvolgere altri profili, relativi, ad esempio, al conferimento ai magistrati delle funzioni di legittimità aall’iscrizione degli avvocati all’albo dei patrocinanti dinanzi la Corte di cassazione. Ma a questo punto bisogna fermarsi e fidare sulla saggezza del legislatore. 28 Giudici ed attuazione dei valori costituzionali Sergio BARTOLE Professore ordinario di diritto costituzionale, Università di Trieste1 Non è per un atto di rituale cautela se premetto allo svolgimento del tema, che mi è stato proposto, l’avvertenza che questo non può essere affrontato in modo esauriente nei limiti di tempo e di spazio che mi sono stati assegnati. Si tratta, del resto, di argomento che – pur nella sua vastità - è entrato nella consapevolezza della scienza del diritto costituzionale solo passo dopo passo, attraverso i lunghi anni di esperienza che abbiamo vissuto successivamente all’entrata in vigore della Costituzione repubblicana, da quando, cioè, giudici e Corte costituzionale hanno appreso a pienamente maneggiare e utilizzare in tutte le sue potenzialità la nostra carta fondamentale, giacché in tanto si può parlare di attuazione giudiziale della Costituzione, in quanto si ammetta che questa può essere direttamente applicata dagli organi della giurisdizione. In effetti, alle origini della nostra esperienza costituzionale repubblicana il tema dell’attuazione della Costituzione ad opera dei giudici non sarebbe stato nemmeno proponibile alla luce della teoria della Costituzione allora prevalente. La lunga storia dello Statuto albertino ci aveva consegnato un’idea della Costituzione, per così dire, più politica che giuridica. Anche se nell’arco di quasi un secolo non erano mancati esempi di utilizzazione giudiziale di quella carta, buona parte della dottrina e degli operatori giuridici pratici erano inclini a costruire lo Statuto come un documento anzitutto impegnativo della responsabilità politica del legislatore, cui restava demandato il compito di dare attuazione ai precetti statutari, di modo che solo in un secondo momento questi potessero trovare – per il tramite delle scelte attuative fatte dalla legge – la via della pratica applicazione giudiziale ed amministrativa2. Di tale visione dello Statuto risentì inevitabilmente il primo approccio giudiziale alla Costituzione repubblicana, tant’è che da più parti si sostenne che le sue disposizioni sostanziali (e non quelle strettamente organizzative e procedurali) Relazione preparata per il Convegno “ Giurisdizione e giudici nella Costituzione “ tenutosi alla Corte di Cassazione in occasione del 60° Anniversario della Costituzione il 18 giugno 2008. 2 Vedi per tutti Romano, Il diritto pubblico italiano, Milano 1988, 31 – 32. 1 29 erano norme meramente programmatiche, insuscettibili come tali di trovare diretta implementazione in sede giudiziale ed amministrativa e, in particolare, di sostituirsi, abrogandole, alle vigenti normative prerepubblicane di dettaglio3. E’ pertanto comprensibile che a quel tempo il tema dell’applicazione giudiziale della Costituzione sarebbe risultato difficilmente proponibile. Tuttavia, anche se la concezione tradizionale della Costituzione venne mediamente accolta dai giudici di allora, non mancarono prese di posizione discordanti, le quali si situano all’origine della storia che mi è stato chiesto di ripercorrere. Il che farò ovviamente concentrandomi su alcuni passaggi importanti, senza pretendere di offrire un quadro esaustivo e completo di tutte le vicende riconducibili all’attuazione giudiziale della Costituzione, ma tenendo presenti al tempo stesso l’atteggiamento dei giudici in ordine all’applicazione delle norme costituzionali sostanziali di garanzia e salvaguardia dei diritti, cioè di quelle che disciplinano i rapporti dei cittadini fra loro e con l’autorità, da un lato, e, dall’altro lato, l’interpretazione da essi data al ruolo loro assegnato dalla Costituzione. Un buon punto di partenza è offerto da quella disposizione del testo originario dell’art. 111 della carta per cui “contro le sentenze e contro i provvedimenti sulla libertà personale, pronunciati dagli organi giurisdizionali ordinari o speciali, è sempre ammesso ricorso in Cassazione per violazione di legge”. Quando con sentenza 30 luglio 1953 n. 2593 le Sezioni unite civili della Corte di Cassazione hanno ritenuto che “con l’art. 111 della Costituzione si sia voluto ammettere il ricorso per cassazione in tutti i casi in cui il legislatore ordinario abbia escluso l’impugnazione in deroga al principio generale”, era ormai ius receptum che quella disposizione “è di carattere precettivo, di diretta emanazione e di applicazione immediata ed, a termini dell’art. 15 delle preleggi, ha abrogato, dalla sua entrata in vigore, qualunque altra norma incompatibile con essa”, secondo l’orientamento espresso dalla sentenza della Cassazione Sezioni unite civili 1 giugno 1949, n. 13984. Tale orientamento contrastava palesemente con l’accennata teoria della Costituzione, e non mancò chi vi vide un revirement addebitabile all’aspirazione dei supremi giudici ad un enlergement del loro ruolo nel sistema costituzionale. Ma la sentenza del 1953 ha dato a questa Su tutta questa problematica Crisafulli, La Costituzione e le sue disposizioni di principio, Milano 1952. 4 Per indicazioni di materiali utili al riguardo, Giurisprudenza costituzionale 1956, 434 ss.. 3 30 mossa iniziale uno spessore ed un significato che superano eventuali, mere preoccupazioni di potere, proponendone una lettura sistematica che va aldilà del testo costituzionale ed attiene alla stessa tutela sostanziale dei diritti. Preoccupandosi di sganciare l’applicazione o la disapplicazione del ridetto principio costituzionale dall’elemento secondario e accidentale della prescrizione legislativa della forma dell’ordinanza o del decreto per un dato provvedimento, la Cassazione perveniva all’elaborazione di una vera e propria dottrina della Costituzione, cioè non tanto di una teoria sulla Costituzione come atto quanto di una ricostruzione interpretativa dei significati potenzialmente desumibili dalla carta per la parte considerata. Si disse allora che non era ragionevole lasciare nelle mani del legislatore, e far dipendere dalla sua scelta sulla forma del provvedimento impugnando l’applicazione di una garanzia estensibile in generale a tutti i provvedimenti aventi carattere decisorio, e volta ad assicurare ai cittadini piena tutela dei diritti e degli interessi legittimi in conformità all’art. 24, primo comma, Cost.. Il fatto che la Cassazione si sia allora soffermata su questi profili costituisce una conferma della sua scelta di andare oltre una piana osservanza della mera lettera della Costituzione presa di per sé o per il tramite delle leggi attuative, e di assumere diretta responsabilità della sua attuazione, elaborandone appunto una dottrina interpretativa che andava aldilà dell’espresso dettato del documento ed era utile per la diretta ed immediata implementazione di questo,indipendentemente da qualsiasi riscontro di legittimità costituzionale della normativa ordinaria in vigore. Il supremo giudice entrava così in un rapporto diretto con la Costituzione, senza rinviare l’attuazione di questa all’intermediazione del legislatore, ovvero del giudizio della Corte costituzionale. Una scelta, a ben vedere, non isolata, giacché pure in altri settori o materie troviamo esempi di diretto utilizzo giudiziale delle norme costituzionali, anche se per una più chiara comprensione del fenomeno giova distinguere le ipotesi, in cui la norma costituzionale è oggetto di diretta applicazione in sostituzione parziale o totale della legislazione ordinaria in vigore, da quelle in cui essa viene utilizzata per proporre un’interpretazione del diritto vigente conforme ai nuovi principi costituzionali. Mentre il caso dell’art. 111 rientra nel novero del primo ordine di ipotesi, essendo esso la sola fonte della norma che nel caso viene direttamente applicata, l’utilizzo di altre disposizioni costituzionali se ne differenzia in quanto esse vengono usate per incidere sull’applicazione della legislazione vigente secondo la vecchia figura argomentativa del c.d. combinato disposto, per cui una determinata disposizione 31 è letta in combinazione con altra o altre così da ricavarne una norma non immediatamente rintracciabile nella lettera dei testi, ma da essi deducibile in forza di una loro considerazione sistematica. In quest’ultima ipotesi non eravamo, dunque, sul terreno della mera evocazione di indicazioni di principio, giacché la norma costituzionale veniva trattata come diritto immediatamente vigente alla stessa stregua dei precetti di legge ordinaria, con i quali andava a combinarsi. E’ il caso ben noto dell’art. 36 Cost. per cui “il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionale alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa”. Come ho cercato di ricostruire in un mio recente lavoro5, di questo diritto la giurisprudenza assicurò la realizzazione non solo avvalendosi dell’art. 36 per dichiarare la nullità di clausole contrattuali con esso contrastanti, ma arrivando anche a determinare in termini vincolanti per le parti un salario corrispondente ai criteri costituzionali. Per ottenere questo risultato si fece ricorso – in combinazione, appunto, con il precetto della Costituzione - all’art. 2099 c.c., che demanda all’autorità giudiziaria di determinare la retribuzione del prestatore di lavoro in mancanza di qualsiasi altra determinazione, attingendo, però, dai contratti di lavoro di diritto comune l’indicazione più precisa e più agevole a consultare del prezzo di mercato del lavoro. In tal modo veniva fatto salvo, pur in mancanza dell’attuazione dell’art. 39 Cost., il principio che la determinazione dei salari deve necessariamente passare attraverso la regolamentazione collettiva dei rapporti di lavoro. Il terreno delle relazioni industriali è stato interessato anche da altre operazioni consimili, che andranno poi a saldarsi con la giurisprudenza della Corte costituzionale: è il caso, ad esempio, dell’art. 40 sul diritto di sciopero6. E’, però, anche opportuno rammentare che vi fu un momento, puntualmente descritto da Valerio Onida nel suo contributo agli studi in onore di Costantino Mortati7, in cui da una parte della giurisprudenza venne considerata disposizione costituzionale direttamente rilevante ed applicabile pure quella del secondo comma dell’art. 3 Cost., che in termini generalissimi affida alla Repubblica il 5 Bartole, Interpretazioni e trasformazioni della Costituzione repubblicana, Bologna 2004, 166 ss.. 6 Ivi, 174 ss. 7 Onida, L’attuazione della Costituzione fra magistratura e Corte costituzionale, in Scritti in onore di Costantino Mortati, IV, Milano 1977, 501 ss., 555 ss.. 32 compito di “rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”. I risultati che ci si riprometteva di ottenere utilizzando questo precetto, per lo più in chiave di combinato disposto, erano spesso molto distanti dai precetti legislativi ordinari e solo con spericolate argomentazioni riconducibili al disposto della Costituzione che si voleva applicare in combinazione con quelli, tant’è che più che di interpretazione/applicazione della Costituzione risultava appropriato parlare di vero e proprio uso alternativo di questa. Ma queste vicende appartengono già ad un momento in cui di applicazione diretta della Costituzione si discorre non più in presenza di un contesto di larga inattuazione costituzionale da parte del legislatore, quale quello segnalato in un famoso contributo da Piero Calamandrei8, ma, invece, a valle dell’avvento della Corte costituzionale e in considerazione del primo decennio di giurisprudenza di questa. E’ ben noto che in quegli anni specialmente i giudici di merito videro nella giustizia costituzionale la via privilegiata per l’implementazione delle norme costituzionali a contenuto sostanziale rimaste inattuate. Alle numerosissime iniziative di rimessione di questioni di costituzionalità riguardanti la legislazione prerepubblicana la Corte non sempre rispose con sentenze di accoglimento, ma spesso, preoccupata dalla prospettiva di vuoti legislativi, anche per l’indisponibilità di soluzioni additive, fece ricorso a sentenze interpretative di rigetto. Aldilà dei ben noti conflitti fra Corte ed alte magistrature cui hanno subito dato origine, queste sentenze hanno per vero inciso sul lungo periodo con effetti connotati da una qualche ambiguità per quanto ha tratto ai rapporti fra il giudice costituzionale e gli organi giurisdizionali. Invero, se, da un lato, rivelavano l’intento del primo di imporsi sui secondi quale interprete unico ed esclusivo della carta costituzionale, dall’altro lato – come anche più recenti sviluppi dimostrano aprivano ai giudici, in apparente contraddizione, la strada dell’interpretazione della legge ordinaria conforme a Costituzione, strada non sempre agevolmente percorribile, in quanto spesso richiedeva il superamento del tradizionale strumentario ermeneutico. Di queste difficoltà l’uso alternativo della Costituzione ha portato i segni, benché 8 Calamandrei, La Costituzione e le leggi per attuarla, in Valiani– De Rosa-Calamandrei- Battaglia–Corbino– Lussu– Sansone, Dieci anni dopo 1945 – 1955, Bari 1955, 209 ss. 33 proprio nella realizzazione di una possibile condivisione fra giudici e Corte del compito di interpretare la Costituzione potesse trovare, in ipotesi, una sua apicale legittimazione. E, però, giova anche rammentare che proprio da iniziative riconducibili a quel movimento ha preso le mosse una giurisprudenza di utilizzo diretto dell’art. 32 Cost. che ha avuto l’avallo della Corte costituzionale9. Anche se negli anni ‘60 il rapporto giudici/Costituzione era stato oggetto di particolare attenzione con precisa inclinazione, ad esempio nel congresso di Gardone Riviera dell’Associazione nazionale magistrati10, a vedere nella proposizione in via incidentale delle questioni di costituzionalità la via privilegiata a disposizione degli organi giurisdizionali per concorrere al rinnovamento dell’ordinamento repubblicano, la svolta più tarda venne proprio in quella occasione preannunciata da Giuseppe Maranini favorevole, anche per suggestioni statunitensi, ad una più diretta assunzione da parte dei giudici del compito di dare attuazione alla Costituzione. Al suo perfezionamento ha concorso la stessa Corte costituzionale, quando, in anni a noi più vicini, consapevole della ricordata ambiguità dello strumento delle sentenze interpretative di rigetto, e forse non sempre disponibile a seguire la strada delle sentenze interpretative di accoglimento, ha ritenuto di stimolare i giudici remittenti ad un più consapevole uso dell’interpretazione conforme a Costituzione, sanzionando di inammissibilità le loro iniziative carenti sotto questo profilo11. In effetti, come già si è detto, l’interpretazione conforme rappresenta un modo di applicazione diretta della Costituzione nella misura in cui la norma costituzionale entra a comporre il materiale normativo utilizzato dal giudice per estrarre dalla legislazione ordinaria vigente, e saldandosi con essa, una disciplina quanto meno non confliggente con i principi costituzionali. Ma nel momento in cui favorisce questo più diretto impegno dei giudici sul fronte dell’applicazione diretta di norme costituzionali la Corte concorre a ridefinire ed innovare il ruolo del giudice, non più destinato a reagire alle situazioni di palese incostituzionalità mediante lo strumento della rimessione di questioni di legittimità alla Corte stessa, ma chiamato a collaborare a fianco di questa all’implementazione della Costituzione. Quell’impegno ermeneutico che la Costitu- Bartole, op.cit., 182 ss. Associazione nazionale magistrati, Atti e commenti. Congresso nazionale Brescia – Gardone 25 – 28 – IX – 1965, Roma 1966. 11 Dolso, Giudici e Corte alle soglie del giudizio di costituzionalità, Milano 2003, 103 ss. 9 10 34 zione richiede, e che autori come Gustavo Zagrebelsky avvicinano ad un esercizio di vero e proprio lawmaking12, non è appannaggio del solo giudice costituzionale ma coinvolge tutta la rete degli organi giurisdizionali. Consente questo fenomeno di ragionare in termini di un vero e proprio enlargement del potere giurisdizionale? Lungi dal fuoriuscire dal tema assegnatomi, questo interrogativo vi ricade a pieno titolo, giacché anche attraverso una ridefinizione del proprio ruolo i giudici vengono a concorrere all’attuazione della Costituzione ovvero ad una sua trasformazione in via interpretativa. Non bisogna dimenticare che le disposizioni costituzionali in materia di magistratura e, in particolare, di ordinamento giurisdizionale (contenute nel Titolo IV della Parte II della Costituzione) costituiscono un elemento di grande rilievo nel progetto innovativo delineato dall’Assemblea Costituente, e quindi la loro implementazione ha costituito e costituisce uno dei passaggi importanti dell’attuazione della Costituzione. Un compito che non si esaurisce, per così dire, uno actu, cioè non si risolve in un solo ed unico intervento collocabile in un momento storicamente determinato, come, del resto, una considerazione in generale della vita delle costituzioni sta a dimostrare. Nella misura in cui l’attuazione della Costituzione rappresenta un momento di interpretazione/applicazione del diritto vigente, essa è, in effetti, inevitabilmente esposta – come spesso è avvenuto per il variare dei contesti istituzionali e sociali ed anche senza l’avvio di procedimenti di revisione - a sviluppi che possono inserire elementi di trasformazione degli assetti dell’ordinamento vigente, risalgano questi al tempo della vigenza dello Statuto albertino ovvero anche a tempi successivi all’entrata in vigore della Costituzione. Attuare la Costituzione è, quindi, reiterare gli interventi nel tempo, per far sì che i principi che essa esprime trovino sempre adeguata e soddisfacente implementazione in relazione al mutare dei tempi e delle esigenze della nostra vita associata. L’interrogativo è tanto più pertinente in quanto non sembra essersi mai placata la querelle sul significato da attribuire a quanto previsto dall’art. 104 Cost., per cui “la magistratura costituisce un ordine autonomo ed indipendente da ogni altro potere”. E’ la magistratura, essa stessa, un potere ovvero, in quanto ordine autonomo e indipendente, è parte di un insieme più ampio, cioè del potere giurisdizionale inclusivo di giudici ordinari e speciali? Ma ha poi senso ragionare in ter12 Zagrebelsky, Fragilità e forza dello Stato costituzionale, Napoli 2006. 35 mini di potere giudiziario o giurisdizionale in assenza di un’espressa conforme definizione costituzionale, la cui mancanza può anche non essere casuale, ed addebitabile invece ad una precisa scelta dei costituenti? E, per contro, in difetto di una siffatta definizione, è legittimo considerare preclusa all’interprete ogni ricostruzione sistematica della magistratura che conduca a qualcosa di assimilabile all’antico e tradizionale concetto di potere dello Stato? Sono molti gli interrogativi nei quali ci si imbatte nel tentativo di affrontare la questione accennata, ma ad essi ancora una volta conviene dare soluzione avendo riguardo alle risposte date dagli stessi giudici nella loro attività, anche in connessione con la rilevante giurisprudenza della Corte costituzionale, giacché - come si è detto - anche questa è materia che nel tempo ha fatto oggetto di interpretazione/attuazione della Costituzione ad opera degli organi giurisdizionali. Un passaggio significativo nasce dall’apporto congiunto di organi giurisdizionali e Corte costituzionale, e risale a quando, con le ordinanze nn. 228 e 229 del 1975, quest’ultima ha dichiarato ammissibili i conflitti di attribuzione fra i poteri dello Stato proposti dai Tribunali di Torino e Milano nei confronti della Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno della mafia in Sicilia a cagione del rifiuto da questa opposto alla richiesta di mettere a loro disposizione documenti in suo possesso. Abitualmente la dottrina ascrive ad esclusivo merito della Corte la svolta rappresentata da quelle due decisioni, ma, essendo andato a rileggere i ricorsi presentati dai due Tribunali nell’occasione13, non posso fare a meno di rilevare che parte di quel merito può essere condiviso dagli organi giurisdizionali ricorrenti, in quanto nei loro atti sono già chiari alcuni dei passaggi argomentativi poi sviluppati dal giudice costituzionale all’atto della dichiarazione di ammissibilità dei conflitti. E’, infatti, proprio in quei ricorsi che viene tratteggiata la figura del conflitto da menomazione come illegittima incisione dell’altrui sfera di competenza o impedimento all’esercizio di diritti e poteri costituzionalmente attribuiti, incisione o impedimento riconducibili al rifiuto di fornire le informazioni richieste, e si ragiona di conseguenza della speciale competenza della Corte di Palazzo della Consulta. Del conflitto – si dice inoltre – può essere parte Tribunale di Torino, ordinanza 18 aprile 1975 per conflitto di attribuzioni nei confronti della Commissione antimafia, e Tribunale di Milano, ordinanza 16 aprile 1975 per conflitto di attribuzioni nei confronti della Commissione antimafia, in Giur. Cost., 1975, 1971 ss. e, rispettivamente, 1976 ss. 13 36 qualsiasi organo giurisdizionale, giacché è particolarità dell’ordine giudiziario che tra gli organi che lo compongono “non esiste rapporto di gerarchia, poiché < i giudici sono soggetti soltanto alla legge >”, ed anche le manifestazioni di volontà di organi non supremi dello stesso potere possono rappresentare dichiarazioni definitive della volontà di quest’ultimo “quando…sia ordinato nel suo interno in modo da richiedere autonomia di decisioni a singole sue articolazioni interne”. Sono concetti in parte ripresi dalla giurisprudenza costituzionale in materia di conflitti fra Stato e Regioni (sent. 18/1970), in parte da quella sui rapporti fra Corte costituzionale quale giudice dei conflitti e Corte costituzionale quale giudice penale (sent. 259/1974) e, da ultimo, dalla dottrina del tempo, ma vengono saggiamente utilizzati e rielaborati, tant’è che se ne ritrova, appunto, cospicua traccia nelle motivazioni della Corte. La quale ricava la legittimazione degli organi giurisdizionali a sollevare conflitti di attribuzione, appunto, dalla circostanza che essi esercitano le loro funzioni “in situazione di piena indipendenza”, per cui l’ordinamento funzionale del potere giurisdizionale ammette a dichiarare definitivamente la volontà di questo potere anche organi diversi da quelli “comunemente detti < supremi > in quanto strutturalmente collocati al vertice”, presupponendo, quindi, che essi derivino direttamente dalla Costituzione le loro attribuzioni, seppure con l’intermediazione della legge che ne determina le competenze (art. 102 Cost.). Si è detto di conseguenza che il potere giudiziario è un potere diffuso, una sorta di arcipelago in cui la relativa potestà è distribuita fra una molteplicità di organi, ciascuno dei quali appare come un’isola a sé stante perché opera in condizioni di indipendenza e diretta subordinazione alla sola legge. In realtà, ci si può chiedere se nel quadro di questa visione abbia ancora un senso parlare di potere come concentrazione esclusiva ed unitaria di un complesso di organi congiuntamente chiamati all’esercizio di una stessa funzione fra loro distribuita secondo le norme dell’ordinamento giudiziario. In effetti, si ha la sensazione che chi pone oggi nei termini tradizionali il problema dell’esistenza o meno di un potere giurisdizionale o giudiziario sia motivato dall’intento di demonizzare le autorità giurisdizionali sostituendo all’immagine di una pluralità di organi fra loro indipendenti, come indipendenti essi sono rispetto agli organi degli altri poteri, l’immagine di un blocco monolitico di autorità che non trova riscontro nella realtà. Sicché di potere giurisdizionale si potrebbe ragionare piuttosto solo in funzione di una categorizzazione unitaria di organi esercenti una stessa funzione e sottoposti ad un comune ordinamento, i quali, 37 però, trovano al di fuori del loro ordine – come vedremo - punti essenziali di riferimento per la loro attività. Se, come già non aveva mancato di sottolineare la dottrina in presenza dell’introduzione dell’accesso in via incidentale al giudizio sulla legittimità delle leggi, il rilievo del ruolo autonomo assegnato ai singoli giudici viene esaltato dalla loro capacità di relazionarsi – aldilà del loro tradizionale rapporto con la Corte di cassazione - con il giudice delle leggi, il riconoscimento della legittimazione a sollevare conflitto di attribuzione ha un analogo rilievo e non fa cha accentuare una scelta di fondo dell’ordinamento, che trova nell’art. 101 Cost., per cui “i giudici sono soggetti soltanto alla legge”, la sua compiuta e fondamentale espressione. I più recenti svolgimenti che consentono, se non impongono ai giudici di darsi carico dell’interpretazione conforme a Costituzione delle leggi ordinarie prima di pervenire alla rimessione della relativa questione di costituzionalità alla Corte, confermano questa impressione di un giudiziario fatto di organi direttamente ed individualmente responsabili della stabilità e continuità del sistema giuridico, ma al tempo stesso abilitati a decidere se entrare o meno individualmente in rapporto con la Corte costituzionale ovvero intervenire direttamente in alternativa di essa, ed a concorrere, quindi, attraverso i loro contributi interpretativi a quelle operazioni di conservazione/trasformazione dell’ordinamento repubblicano che talora coincidono con l’interpretazione/applicazione della Costituzione. Si può obiettare che nella stessa Costituzione la Magistratura è costruita come un insieme di organi compattamente riuniti in una sola organizzazione allorché si dice che essa “costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere” (art. 104 Cost.). Ma lo stesso uso del termine ordine dovrebbe indurre gli interpeti avvertiti a non ricorrere alla figura del potere. Se ha un senso collegare fra loro più espressioni usate dal legislatore costituente nello stesso Titolo IV, giova osservare che di Magistratura si parla anche quando si definisce quello che impropriamente viene definito il suo organo di autogoverno, cioè il Consiglio superiore della Magistratura. Quest’organo ha anzitutto competenza in ordine allo stato personale dei magistrati, e dunque è Consiglio superiore della magistratura in quanto si occupa dell’insieme dei magistrati che nel loro complesso formano l’ordine della Magistratura. Ordo personarum, perché sottoposto ad un’unica autorità amministrativa e disciplinare, dunque, caratterizzato dall’appartenenza comune di funzionari dello Stato qualificati dal comune esercizio di funzioni che appunto comportano le responsabilità individuali di cui si è detto, per cui ciascuno è distintamente chiamato a 38 confrontarsi con gli affari assegnatigli. Se dell’ordine della Magistratura non si può parlare come di un potere, sembra allora difficile costruire un potere giudiziario o giurisdizionale come un blocco unitario e coeso di organi, anche per la separatezza che contraddistingue i rapporti fra giudici ordinari e giudici speciali. Il che, a giudizio di chi scrive, consente di accantonare il problema che ci siamo posti senza che ne risulti sminuito il ruolo dei giudici nel nostro sistema costituzionale. La posizione degli organi giurisdizionali nel nostro ordinamento non è, però, completamente definita se trascuriamo di prendere in considerazione alcuni recenti sviluppi che si collegano a quella che i costituzionalisti definiscono oggi la internazionalizzazione del diritto costituzionale. Meritano anzitutto una menzione i nuovi poteri che i giudici hanno acquisito in forza dei Trattati comunitari nell’interpretazione ad essi data dalla Corte costituzionale con la sent. 170/1984, in forza della quale in caso di conflitto fra diritto interno e diritto europeo i giudici sono autorizzati a disapplicare il primo vantaggio del secondo, salvo a sottoporre alla Corte europea di giustizia la questione pregiudiziale della sua compatibilità con i Trattati medesimi. Questa innovazione obbliga, per così dire, i nostri giudici a rapportare la loro attività alla giurisprudenza di un organo giudiziario non riconducibile alla magistratura tradizionale e, quindi, ne esce anche per questa via rafforzata la loro posizione di individuale indipendenza con conseguente affievolimento delle tradizionali primazie giudiziarie. Del resto, lo stesso rapporto giudici/Corte costituzionale ha subito un ridimensionamento nella misura in cui questa chiede ai giudici di sottoporle eventuali questioni di costituzionalità relative all’applicazione del diritto comunitario solo dopo avere adito la Corte del Lussemburgo ed avere avuto da questa un’interpretazione autoritativa di quel diritto14. Da più parti si è detto, infatti, che con questo orientamento la Corte italiana avrebbe rinunciato a confrontarsi con l’evoluzione dell’ordinamento europeo ed avrebbe essa stessa creato le premesse per una continua attivazione del legame fra giudici italiani e Corte del Lussemburgo. Da ultimo, con le sentenze nn. 348 e 349 del 2007, la Corte costituzionale ha ancor più sganciato i giudici italiani dal preesistente rapporto unidirezionale con i loro tradizionali referenti nazionali, quando ha statuito che la giurisprudenza della Corte europea dei diritti del- 14 Malfatti– Panizza– Romboli, Giustizia costituzionale, Torino 2007, 336 – 337. 39 l’uomo vincola essa ed i giudici italiani nell’interpretazione della Convenzione europea dei diritti umani e delle libertà fondamentali. Si aggiunge così un altro elemento di multipolarità nel quadro di un sistema non più unidimensionale che vede incrementarsi il numero delle autorità giudicanti cui i nostri giudici sono chiamati a rapportarsi. Fra l’altro giova considerare che anche in questo caso il giudice costituzionale ha inteso riservarsi l’ultima parola nella misura in cui lascia sempre aperta la possibilità di un suo intervento a sindacare la conformità a Costituzione delle obbligazioni convenzionali così come si vengono configurando passo dopo passo nell’esperienza concreta e principalmente attraverso la giurisprudenza del giudice CEDU. Tutti questi discorsi conducono necessariamente a riproporre il problema della posizione apicale nel sistema della Corte di Cassazione, non più termine ultimo ed esclusivo dell’esercizio delle funzioni giurisdizionali. Più di vent’anni fa Vittorio Denti15 suggeriva che era tempo che il giudice supremo della Magistratura ordinaria ripensasse – con l’aiuto del legislatore – il proprio ruolo nell’ordine costituzionale, rivalutando appieno quei compiti di nomofilachia che stanno alla base della sua “costituzionalizzazione”, secondo quanto risulta da un’attenta lettura degli atti dell’Assemblea costituente. E’ palese che tutti gli svolgimenti ora accennati richiedono più che mai che questo avvenga. Lo stesso coinvolgimento di giurisdizioni sovranazionali nella tutela dei diritti e delle libertà può offrire, ad esempio, indicazioni per una revisione della dottrina che lega l’attuazione del precetto relativo al ricorso in Cassazione di cui all’art. 111 con la salvaguardia della tutela costituzionale delle persone. Certamente recenti riforme, quali il decreto legislativo n. 40 del 2006, hanno avviato questo discorso, ma il tema più delicato, che non è stato ancora affrontato, è quello della riduzione in via legislativa o della cernita, in via operazionale, delle controversie che la Corte di Cassazione è chiamata a giudicare. Per quanto concerne quest’ultimo punto e in prima approssimazione, mi pare degna di considerazione l’idea di consentire a giudici o collegi ristretti della stessa Corte di valutare, con un certo margine di discrezionalità e secondo parametri legislativamente fissati, l’opportunità di esaminare o meno i singoli ricorsi: se applicato in via generale, il rimedio può essere giustificato come uno dei possibili esiti alternativi dell’impugnazione delle sentenze in Cassazione. In fin dei conti, Denti, Art. 111, in Commentario della Costituzione, a cura di G. Branca, Bologna – Roma 1987, 1 ss. 15 40 introducendo in Costituzione l’art. 111, l’Assemblea costituente non ha dato indicazioni precise sulle modalità e sui termini di decisione dei singoli giudizi. Forse soluzioni diverse sono possibili. Un’ultima considerazione finale. Se la storia di questo sessantennio di Costituzione repubblicana conferma la peculiarità dell’assetto del c.d. potere giudiziario e non consente che di esso si possa parlare come di un blocco serrato ed unitario di autorità, ma piuttosto – secondo l’immagine usata – come di un arcipelago, risulta più che mai urgente il problema dell’autonomia organizzativa ed operativa dei singoli giudici, e cioè Corte di cassazione, Corti d’appello e Tribunali. Problema, che, se chiama in causa, da un lato, le competenze del Guardasigilli (art. 110 Cost.), presenta, dall’altro lato, profili che ci riportano al tema dell’esercizio delle funzioni giurisdizionali. Si pensi soltanto al tema della durata dei processi. Dei ritardi cui è andata incontro in questi sessant’anni la riforma dell’ordinamento giudiziario ha indubbiamente risentito la maturazione della consapevolezza di tale problema, ma è fuori discussione che esso occuperà un posto di rilievo nei dibattiti futuri non solo con riguardo al ruolo dello Stato ma anche di quello del sistema delle autonomie, se è vero che tocca, come si dice, direttamente il territorio e le comunità che vi vivono. 41 Le giurisdizioni nella Costituzione Guido ALPA Presidente del Consiglio Nazionale Forense 1.- Giurisdizione e “stato di diritto”. <Ciascun giudice interpreta e applica le leggi secondo sua scienza e coscienza, senza essere soggetto in ciò a nessun’altra autorità>1. Indipendenza e imparzialità sono le parole chiave che la nostra Costituzione racchiude per esprimere l’essenza della giurisdizione, e rispetto alla domanda di giustizia, <la risposta corretta sta, oltre che nella cultura e nella preparazione dei giudici, nella stessa articolazione del sistema giudiziario, in cui normalmente, ogni pronuncia di un giudice può essere assoggettata a revisione davanti a un altro giudice; sta nelle regole del processo; sta in un’organizzazione della macchina giudiziaria che prevenga e ripari errori, inerzie e abusi, assicurando tra l’altro quel diritto alla “ragionevole durata del processo” che dalla Convenzione europea dei diritti è stato esplicitamente trasferito nel testo stesso della Costituzione (art.111, secondo comma)>2. In questi termini elementari si esprime un illustre costituzionalista nell’enunciare i principi fondanti della nostra Carta costituzionale e quindi dell’intero ordinamento su cui riposa l’Italia odierna. Ho trovato un analogo messaggio, anche se espresso con accenti diversi, ma non contrastanti con quelli, nelle preziose pagine della Relazione sull’ amministrazione della giustizia nell’anno 2007 lette proprio in quest’aula dal prof. Vincenzo Carbone, Primo Presidente della Suprema Corte di Cassazione3. < Il cittadino-utente della Giustizia deve avere garanzie di terzietà, di imparzialità, di durata ragionevole del processo. Il Giudice, nei suoi confronti, deve non solo essere, ma anche apparire super partes. Per chi bussa alla porta della giustizia la scena è quella del sabato del villaggio di leopardiana memoria: fiducia e garanzia in una soluzione giusta e tempestiva. La fiducia è fondamentale, e si ottiene con un esercizio serio e corretto delle funzioni, non con l’autoreferenzialità. 1 2 3 42 V. Onida, La Costituzione, Bologna, 2004, rist. 2008, p. 106. V. Onida, op. cit., p. 109. Relazione sull’amministrazione della giustizia nell’anno 2007, p. 60. Nella moderna democrazia il prestigio non è più correlato all’esercizio di una funzione, ma al modo con il quale la si esercita>. Potrebbe apparire curiosa la sintonia con queste parole che si rinviene nella lectio magistralis predisposta dal Lord Chief Justice, il presidente della Camera dei Lords,4 in occasione della laurea honoris causa in Giurisprudenza conferitagli pochi mesi orsono dall’ Università di Roma Tre. Il titolo della dissertazione era la “rule of law”, espressione vaga con cui si allude allo “stato di diritto”. Ebbene, nel declinare i contenuti di questa formula Lord Bingham insiste sulla giustizia e sull’amministrazione della giustizia come uno dei cardini dello stato di diritto. In modo pragmatico e con contenuti del tutto condivisibili, anche se provenienti dall’ autorevole esponente di un ordinamento, di una tradizione e di una cultura a noi non comuni egli ha sostenuto che per rendere compatibile l’amministrazione ai caratteri dello Stato di diritto <(…) devono essere forniti gli strumenti per risolvere senza costi proibitivi o ritardi ingiustificati le dispute civili bona fide che le parti stesse sono incapaci di risolvere. Sembra un corollario ovvio del principio che ciascuno è limitato e gode dei diritti stabiliti dalla legge, e che ciascuno deve essere in grado, in ultima istanza, di andare in tribunale per avere la chiara determinazione dei propri diritti e dei propri doveri. Non è questa una norma indirizzata contro l’arbitrato e i più informali mezzi di risoluzione delle dispute, ognuno dei quali se organizzato propriamente e condotto in maniera equa dà un contributo di grande importanza al realizzarsi della Rule of Law. Né si tratta di una regola che consenta ad ogni richiesta della difesa, per quanto spuria e fuori luogo, di avere accesso al processo. Ciò che consente è il riconoscere il diritto di un accesso non ostacolato alle corti come un diritto di base, protetto dalla legge nazionale,5 e (…) incluso nel principio della Rule of Law. Se questo viene accettato, allora bisogna affrontare la questione di come l’uomo o la donna povera può essere in grado di affermare i suoi diritti. Assumendo l’esistenza di una professione legale indipendente, (…), l’ottenimento del sostegno e della rappresentanza legale ha un costo, e poiché i servizi legali assorbono molto tempo ai professionisti sono inevitabilmente costosi. Non Lord Thomas Bingham of Cornhill, “The Ruile of Law”, Lectio Magistralis in occasione del conferimento della laurea honoris causa, Facoltà di Giurisprudenza – Università degli Studi Roma Tre Roma, 14 marzo 2008. 5 Raymond v Honey [1983] 1 AC 1, 12-13; R v Secretary of State for the Home Department, Ex p Leech [1994] QB 198, 210; R v Lord Chancellor, Ex p Witham [1998] QB 575, 585-586. 4 43 è sufficiente che la giustizia sia aperta a tutti, come l’Hotel Ritz. Nelle giurisdizioni di common law c’è un problema più acuto che in quelle di civil law, poiché il processo richiede una presenza più intensa degli avvocati e quindi è di certo più costoso. Ma la rule of law richiede che la giustizia sia un bene non troppo costoso e una parte non deve aspettare troppo a lungo per avere i suoi diritti stabiliti dalle corti>. Ebbene, proprio meditando queste parole sulla giustizia, scritte o lette in ambiti e occasioni diverse, ma in modo quasi contestuale, mi sono chiesto che significato abbia, oggi, il termine di “giurisdizione”. Non si tratta di un vocabolo di poco momento, atteso che esso si colloca proprio nel cuore del sistema giuridico: l’esercizio della funzione di giudice, pur essendo simile nei Paesi occidentali, obbedisce a regole, tradizioni, culture e prassi distanti tra loro. Distanti per il passato, ma forse non per sempre: al presente l’applicazione del diritto comunitario quale fonte degli ordinamenti interni degli Stati Membri, nel futuro la costruzione di uno jus commune europaeum, comprensivo anche dei principi del diritto processuale, lasciano sperare che le distanze si accorceranno. Se si considerano poi i principi costituzionalmente garantiti che stanno alla base della “Rule of Law” e dello “Stato di diritto”, possiamo già dire fin d’ora che le esperienze dei Paesi europei sono ispirate a principi condivisi. 2.- Giurisdizione: una nozione in evoluzione. Ma perché parlare allora di “giurisdizione”, e perché parlarne proprio al giorno d’oggi? Credo che ragioni diverse tra loro, ma tutte concomitanti, impongano ai giuristi proprio oggi di rivisitare la nozione e la funzione di <giurisdizione>. Per il nostro Paese le ragioni sono molteplici. La celebrazione del sessantennio della Carta costituzionale ha fatto parlare di cambiamenti epocali, vere e proprie “rivoluzioni” a cui abbiamo assistito in questi anni6. 6 Sul punto v. l’editoriale di S.Rodotà nella Riv.crit.dir.priv., 2008, p. 3 che cita la relazione di Fioravanti, Le due trasformazioni costituzionali dell’età repubblicana, tenuta all’Accademia dei Lincei, in occasione del convegno su “La Costituzione ieri e oggi”; per la verità i due autorevoli giuristi si riferiscono soltanto alla perdita di campo del monopolio legislativo statuale e all’ avvento del diritto comunitario; a queste due rivoluzioni ho aggiunto quella che mi sembra altrettanto epocale, l’accettazione della giurisprudenza quale fonte del diritto. 44 La prima rivoluzione deve la sua origine alla dissoluzione del monopolio del legislatore unico e alla moltiplicazione delle fonti del diritto; oggi tutti sono concordi nel parlare di un potere legislativo diffuso, comprensivo della devoluzione alle Regioni del potere non riservato allo Stato o alla legislazione concorrente di Stato e Regioni, nonché del potere delegato alle Autorità amministrative indipendenti; a ciò si aggiunge il riconoscimento della funzione creativa del giudice e la inclusione della giurisprudenza tra le fonti del diritto. La seconda rivoluzione è determinata dal c.d. diritto vivente 7 – un tempo si preferiva parlare di “costituzione materiale” – cioè dalle trasformazioni dell’ordinamento determinate dalla interpretazione delle norme costituzionali 8. Essa ha portato a modificare il significato tralatizio di <giurisdizione>, intesa come l’esercizio di una funzione appartenente esclusivamente allo Stato, oppure come l’espressione di un potere indipendente quale è (e deve essere) la Magistratura, oppure come sintesi del giudizio e della sanzione, ovvero come risultato della composizione dei conflitti tra i privati, tra i privati e la pubblica Amministrazione, tra i poteri dello Stato. Più di recente, accanto a questi si sono aggiunti nuovi significati, che ne arricchiscono la funzione e ne irrobusticono il ruolo: il dovere del giudice di assegnare alla “legge” una interpretazione conforme a costituzione e, in caso di dubbio, di sollevare la questione di costituzionalità dinanzi alla Corte costituzionale. La terza rivoluzione è costituita dai ripetuti interventi del legislatore, quali la normativa sul “giusto processo”, la normativa sui riti processuali dettata dalla esigenza di riparare alla crisi della amministrazione della giustizia con l’abbreviare i tempi del processo, e poi la riforma della disciplina dell’arbitrato, la riforma del processo per Cassazione e delle regole sulla funzione nomofilattica di questa Corte. Ma dobbiamo tener conto anche di altri cambiamenti. Nel contesto comunitario, la nozione e la funzione della giurisdizione sono cambiate, perché il giudice nazionale – e come il giudice 7 Da ultimo v. Diritto vivente. Il ruolo innovativo della giurisprudenza, a cura di A.Mariani Marini e D.Cerri, Pisa, 2007, con contributi di A.Mariani Marini, G.Alpa, S.Chiarloni, P.Rescigno, G.Iudica, F.D.Busnelli, E.Resta, V.Zeno Zencovich, F.Giglio, p.Thompson, N.Forwood, F.Procchi, D.Cerri. Al “diritto vivente” sono dedicati vari paragrafi nella Relazione scritta dal Primo Presidente, cit. sopra alla n. 3. 8 Da ultimo v. S.Bartole, Interpretazioni e trasformazioni della Costituzione repubblicana, Bologna, 2004; Interpretazione costituzionale, a cura di G.Azzariti, Torino, 2007. 45 ordinario qualsiasi altro soggetto che sia abilitato a svolgere tale funzione – ha l’obbligo di applicare il diritto comunitario, di disapplicare la norma interna in contrasto con il diritto comunitario, e, in caso di dubbio, di sollevare la questione di pregiudizialità dinanzi alla Corte di Giustizia. Nel diritto internazionale, il problema più eclatante postosi all’attenzione dei giuristi è stata la vicenda di Guantanamo e il principio di “long arm jurisdiction” propria dell’ordinamento statunitense. Nell’età della globalizzazione dei mercati, in cui si è dissolto il rapporto tra “nomos e terra”9, la giurisdizione sembra sia stata superata dalla concertazione, dalla nuova lex mercatoria che si affida al contratto, anziché alla legge, e agli arbitri, quali giudici internazionali, piuttosto che ai giudici nazionali, scelti sulla base delle regole del diritto privato internazionale 10. Il diffondersi delle ADR ha fatto sì che conciliazione e mediazione anticipino o sostituiscano, quanto meno per un grado, l’intervento del giudice ordinario, e pertanto, accanto alla concezione di “legislazione diffusa”, oggi si può pensare anche ad una “giurisdizione diffusa”, ovviamente intendendo questo termine in senso assai lato. L’espressione <giurisdizione> appare perciò affidata ad un notevole relativismo, storico, culturale, ed anche politico-sociale, se è vero che essa deve esser accostata a (quando non identificata con) quella di <giustizia>. Suonano attuali – a differenza delle trattazioni coeve di altri autorevoli giuristi – le parole di Salvatore Satta – che prendendo spunto proprio dalle modalità testuali con cui erano stati redatti gli artt. 101 ss. Cost. osservava come la giurisdizione si risolvesse nella giustizia. <Questa risoluzione della giustizia nella giurisdizione che il legislatore fa, in aderenza all’intuizione e al linguaggio comuni è a nostro avviso– scriveva il Maestro - di grande e non trascurabile valore. Non si tratta di un termine filosofico o di un termine vagamente generico, quale talvolta tutti adoperiamo prescindendo da ogni ordinamento giuridico o magari in opposizione ad esso: qui vi è una consapevole identificazione della giurisdizione con la giustizia (poiché tutto quello che nelle norme si dispone riguarda “la” giurisdizione) onde il termine ha un valore strettamente giuridico, assurge ad un autentico sinonimo dell’ordinamento>. E aggiungeva: <E’ veramente singolare, 9 Oggetto della riflessione schmittiana rivisitata da N.Irti, Norma e luoghi, RomaBari, 2006. 10 Così Galgano, Lex mercatoria, Bologna, 1993. 46 e quasi commovente, il fatto che questa grande parola [cioè la giustizia] accuratamente bandita dal vocabolario del formalismo giuridico, sia né più né meno che la parola del legislatore, così che, anche nel rispetto del rigore giuridico (anche, vorremmo dire, dallo stesso punto di vista del formalismo) noi non possiamo non tenerne conto, anzi dobbiamo farne la base del nostro ragionamento (…). Il problema è di vedere che cosa ci sia dentro questa parola, che cosa l’uso di essa, nel sistema giuridico, comporta>11. In fin dei conti, ius dicere, ma anche interpretare e applicare la norma, sanzionare il comportamento non conforme alla legge, amministrare il diritto tutelando i diritti e gli interessi dei consociati, costituiscono il significato essenziale di questo termine, che è altamente evocativo. Al punto che, nella comparazione degli ordinamenti, vi sono esperienze culturali come quella inglese in cui l’avvio della descrizione dei caratteri essenziali dei sistemi giuridici procede proprio dalla giurisdizione, dal sistema delle corti, dal potere e dalla funzione del giudice. Non a caso, dunque, nella sua lectio magistralis, Lord Bingham ha accostato la “jurisdiction” alla Rule of Law: una delle epifanie della Rule of Law è appunto la funzione del giudice consistente nell’ interpretare e applicare la legge nell’interesse pubblico, a tutela dei diritti fondamentali, e delle situazioni in cui versano quanti sono socialmente deboli. In questa prospettiva sono ormai distanti e consegnate alla storia della nostra cultura giuridica tutte le dotte e complesse discussioni sui molteplici significati di giurisdizione collegati ai poteri dello Stato. Ma sembrano distanti anche quelle che – collegandosi a questa funzione – si ponevano il problema della unitarietà o meno della giurisdizione. Questo è forse uno degli aspetti più interessanti della disamina del termine: a differenza di quanto accade in Inghilterra, in cui la giurisdizione è devoluta al giudice ordinario anche se coinvolge la pubblica Amministrazione, in Italia, prima della approvazione della Costituzione repubblicana, si sono alternati il sistema unitario (dal 1865, anno di fondazione del Regno al 1889) e il sistema pluralistico (dal 1889 in poi). Il cambiamento si deve alla istituzione di un giudice competente a giudicare gli atti e i comportamenti della pubblica Amministrazione, un giudice dunque non ordinario, ma speciale. DappriS.Satta, Giurisdizione (nozioni generali), (voce) in Enc.dir., vol. XIX, Roma, 1970, p. 219-220. 11 47 ma si è raggiunto questo scopo con la istituzione di una sezione aggiunta (la quarta) alle sezioni del Consiglio di Stato; a questa sezione si sono attribuite funzioni giurisdizionali, e, dato l’ampio carico di lavoro con il tempo si sono aggiunte altre due sezioni; si è istituita poi la Corte dei Conti, che ha giurisdizione contabile sugli enti pubblici. Questi due giudici speciali sono stati riconosciuti come tali dalla Costituzione repubblicana. Nel corso del ventennio fascista furono anche istituiti tribunali speciali per i crimini politici. Sicché all’Assemblea costituente (negli anni 1946 e 1947), che doveva dare all’Italia uscita dalla guerra e dalla lotta al Fascismo e al Nazismo una nuova costituzione, di stampo repubblicano, democratico, e tanto solido da impedire che il Paese potesse ricadere nel tragico gorgo della dittatura, si discusse con molta passione se si dovessero conservare oppure sopprimere i giudici speciali, ivi compresi quelli preesistenti e non correlati al regime dittatoriale. In particolare un grande giurista, docente di diritto processuale civile, Piero Calamandrei, aveva difeso questa tesi. Le sue erano argomentazioni di carattere politico, ma anche di natura formale. La dottrina, dopo quella stagione, ha finito per trincerarsi dietro ragioni di natura formale. Una storia a sé hanno avuto i Tribunali di commercio, soppressi alla fine dell’ Ottocento, prima ancora che il codice di commercio fosse unificato al codice civile, nel 1942. L’esperienza pratica, oltre che le vicende politiche e legislative che hanno inciso l’ordinamento giuridico nei sessanta anni che ci separano da quel periodo, ci hanno insegnato che con il formalismo giuridico non si possono risolvere tutte le questioni di giurisdizione; che anche le questioni all’apparenza tecniche, come sono quelle proprie del diritto processuale civile, hanno una loro valenza politica, e che un po’ di sano gius-realismo suggerisce di non insistere sugli a-priori o su concetti dogmaticamente troppo rigidi. D’altro canto, neppure l’idea, di tanto in tanto riaffiorante negli studi e nelle proposte di riforma del sistema, volta ad abolire la distinzione tra giudici ordinari e giudici speciali (in particolare tra giudici ordinari e giudici amministrativi) si è fatta strada12. Tra gli studi più recenti riguardanti i diversi aspetti di questa problematica, v. F.P.Luiso, La conciliazione nel quadro della tutela dei diritti, in judicium.it; B.Capponi, Arbitrato e giurisdizione, ivi; B.Sassani, Corte Suprema e jiu dicere, ivi; G.M.Berruti, Nomofilachia, ivi; M.Clarich, La tutela giurisdizionale avverso gli atti delle Autorità indipendenti, ivi; G.Marongiu, Evoluzione della giurisdizione tributaria, Relazione tenuta alla Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Pisa il 13 dicembre 2006; F.Satta, Brevi 12 48 Anzi. L’evoluzione dell’ordinamento ha preso tutt’altra piega: fatta salva la distinzione tra giudici ordinari e giudici speciali sopravvissuti alla Costituzione o non soppressi negli anni successivi (secondo quanto consentiva di fare la VI disposizione transitoria), si sono moltiplicati i giudici “specializzati”, giudici appartenenti alla Magistratura ordinaria ai quali sono devolute le questioni appartenenti a particolari settori (i Tribunali per i minorenni, le sezioni specializzate per la protezione della proprietà industriale, e così via). Accanto ai giudici “togati” si sono dovuti affiancare giudici “onorari” di Tribunale e si sono istituiti giudici di pace, per poter sopperire alle esigenze postulate da una più efficiente (o meno traballante) macchina della giustizia. Al pluralismo della giurisdizione si è ormai fatta acquiescenza, al prezzo, talvolta, di interpretazioni funamboliche, come ci raccontano i commentari della Costituzione; ed oggi, anche per superare le possibili obiezioni di natura logica e di natura dogmatica, si preferisce muovere dalla definizione funzionale di giurisdizione, piuttosto che da quella esclusivamente formale. 3.- Giurisdizione e crisi della giustizia. Così, riflettere sulla giurisdizione, cioè sulla funzione giurisdizionale, sull’accesso e sulla amministrazione della giustizia, è divenuto un compito non solo ineludibile per i giuristi, ma doveroso per chi riveste compiti istituzionali. Lo impone la crisi, conclamata e apparentemente irreversibile, in cui versa la giustizia italiana. Lo testimoniano la vita quotidiana dei tribunali, le indagini del Ministero della Giustizia, le ricerche condotte dalla Banca d’Italia e dal Consiglio Nazionale Forense, e anche i documenti pubblicati da organismi stranieri. Mi riferisco alle indagini commissionate dalla Commissione europea sugli aspetti economici dei servizi legali, al fine di identificare gli ostacoli alla concorrenza, allo sviluppo economico, alla elevazione della qualità dei servizi, all’abbattimento dei costi legali per le imprese, al miglioramento delle condizioni sociali dei cittadini europei e all’ampliamento dell’accesso alla giustizia. A tutto ciò si aggiungono: le rinote sul giudicato amministrativo, in judicium.it; C.Delle Donne, Passato e futuro della giurisdizione esclusiva del GA nella sentenza della Consulta n. 204/2004: il ritorno del “nodo gordiano” diritti-interessi; I.F.Caramazza, Le nuove frontiere della giurisdizione amministrativa, in Atti del Convegno per il trentennale dei Tribunali Amministrativi Regionali, Napoli, 5-6 novembre 2004. 49 cerche del CEPEJ che includono il nostro Paese tra quelli nei quali la giustizia è amministrata nel modo peggiore; le considerazioni, talvolta anche caustiche, della Banca mondiale, che addita il nostro Paese tra quelli meno affidabili per gli investitori, attesa la lentezza della macchina della giustizia, la difficoltà di tutelare i diritti, la lunghezza dei tempi di recupero dei crediti; nonché le sentenze di condanna dell’Italia pronunciate dalla Corte europea dei diritti dell’uomo per le lungaggini dei processi. La crisi in cui versa l’amministrazione della giustizia è una situazione nota dibattuta, che preoccupa le istituzioni, la Magistratura, gli stessi avvocati, oltre che, naturalmente, i cittadini. E’ stata il leit motiv che ha contrassegnato le relazioni inaugurali dell’anno giudiziario tenutesi pochi mesi fa presso la Corte costituzionale, la Corte Suprema di Cassazione, il Consiglio di Stato, la Corte dei conti; vi hanno fatto eco la Corte di Giustizia amministrativa siciliana, i Tribunali amministrativi regionali e in particolare il T.A.R. del Lazio; eguali problemi sono stati segnalati dalle sezioni regionali della Corte dei Conti, dalle Commissioni tributarie, e finanche dal Consiglio Nazionale Forense13. Il fenomeno è noto anche in altre esperienze, e comune a molte di esse, come documentano le relazioni inaugurali dell’anno giudiziario della stessa Corte di Giustizia delle Comunità europee e della Corte europea dei diritti dell’uomo. Intrecciato con il discorso sulla capacità delle attuali istituzioni a dare adeguata risposta alla domanda di giustizia dei cittadini è il discorso sulla organizzazione dei riti processuali, la cui molteplicità ed eterogeneità aggrava la situazione in essere, e pure il discorso sulla promozione di forme alternative di risoluzione delle controversie e sulla agevolazione della giustizia conciliativa ed arbitrale, ora oggetto di interventi legislativi (peraltro divergenti tra loro), oppure il discorso sulla stabilizzazione della giustizia onoraria, che, unitamente ad altri spetti del problema non è il caso, in questa sede di esaminare. E’ opportuno in ogni caso sottolineare che oggi la giurisdizione viene esercitata non più soltanto da giudici “togati”, assunti per concorso e qualificati come impiegati dello Stato – secondo la tradizione napoleonica trapiantata dalla Francia – ma è esercitata da avvocati che svolgono la funzione di giudice onorario affiancando i giudici toPer una ricognizione di questa problematica v. G.Alpa, Relazione sull’attività svolta nell’anno 2007, Consiglio Nazionale Forense, Roma, 12 marzo 2008. 13 50 gati; gli avvocati sono giudici nominati per un determinato periodo di tempo (che doveva essere limitato perché la misura doveva essere provvisoria e straordinaria, ma ora si sta stabilizzando), e che continuano, in un altro distretto, a svolgere la loro attività privata, purché in assenza di conflitto di interessi. 4.- Il pluralismo della giurisdizione come condizione ormai irreversibile. Ora visto come espressione di una scelta costituzionale ambigua (se inteso in termini di unicità e non di unitarietà della giurisdizione, ovvero di unitarietà della funzione giudicante, ovvero di unitarietà della magistratura, ovvero di unitarietà delle garanzie di cui godono i giudici), ora visto come interrogativo fondamentale nell’apprezzamento della efficienza economica della “macchina della giustizia”, il principio di unità della giurisdizione si è recentemente riproposto all’attenzione degli studiosi e degli operatori per le incertezze interpretative a cui hanno dato luogo gli interventi legislativi sul riparto di giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo. Un testo di legge ambiguo, un’applicazione contrastata delle pronunce della Corte costituzionale in materia, orientamenti tuttora divergenti di Adunanza plenaria del Consiglio di Stato e Sezioni Unite della Corte di Cassazione – a cui peraltro compete la funzione di tracciare il confine del riparto – hanno reso ancor più complessa la situazione; a tutto ciò si aggiungono le sempre più perplesse posizioni dottrinali sulla distinzione tra diritti soggettivi e interessi legittimi, le pronunce epocali sul risarcimento del danno per la lesione di interessi legittimi, le incursioni nelle modalità di espressione della funzione giurisdizionale effettuate dal legislatore comunitario e alcune recenti posizioni assunte dagli stessi giudici comunitari. Mi riferisco in particolare alla Corte di Giustizia delle Comunità europee, la quale, attribuendosi il potere di sindacare l’applicazione del diritto comunitario da parte dei giudici nazionali, ha affermato il principio in base al quale se il diritto comunitario non è applicato o non è applicato correttamente, lo Stato Membro risponde del danno cagionato ai cittadini dai giudici nazionali (ancorché essi siano l’ espressione apicale della Magistratura). Di recente la Corte costituzionale ha fatto rinvio diretto, ex art. 117 Cost., alla giurisprudenza della Corte europea dei diritti umani, per la tutela dei diritti fondamentali nell’ordinamento interno. 51 5.- Giurisdizione e “legal formants”. Dagli accenni sopra appena richiamati risulta evidente che il disegno costituzionale, il quale affidava agli artt. 102, 103, 111 Cost. (in collegamento con l’art. 24) il ruolo di esprimere i principi in materia di funzione giurisdizionale della Magistratura, non è rimasto cristallizzato nel tempo, ma nel sessantennio che è trascorso, si è venuto componendo, anzi, “ricomponendo” in modo articolato per effetto di alcuni fattori rilevanti. Innanzitutto, il formante dottrinale. Le interpretazioni delle disposizioni previste dagli artt. 102 e 103 Cost. nel corso del tempo sono state molteplici, ed il loro significato è tanto controverso che in una recente opera enciclopedica si contano almeno otto diversi modelli di spiegazione14; il più semplice, il più neutro, attribuisce il carattere di generalità alla sola giurisdizione ordinaria, natura costituzionale agli ambiti di competenza dei giudici previsti dall’art. 103, ma non implica la costituzionalizzazione dei giudici previsti da questa disposizione; predica inoltre l’impossibilità di dissolvere la distinzione tra giurisdizione ordinaria e giurisdizione speciale. Poi il formante giurisprudenziale. Esso è costituito in particolare dalla giurisprudenza della Corte costituzionale, che ha legittimato le giurisdizioni speciali preesistenti all’entrata in vigore della Costituzione e non oggetto di revisione ai sensi della VI disp. trans., e pure la conservazione e la istituzione di sezioni specializzate, il riparto tra giurisdizione ordinaria e giurisdizione esclusiva, la conservazione della dicotomia diritti soggetti/interessi legittimi, peraltro desumibile dallo stesso testo della Carta costituzionale. Infine, il formante legislativo, che viene per ultimo, non per ragioni di graduatoria delle fonti, ma per ragioni di intervento temporale. E’ evidente allora che quando si parla di “giurisdizione” si fa riferimento non tanto ad un quadro complessivamente considerato in modo statico, ma ad un sistema dinamico, i cui confini di volta in volta si assestano, si precisano, si consolidano, a seconda dell’ intervento e della incidenza dei tre formanti. Ma discutere di giurisdizione oggi – cioè di “ius dicere” – significa anche tener conto della funzione creativa della giurisprudenza, ormai considerata fonte del diritto equiparata alla fonte legislativa, e tener Commentario della Costituzione a cura di G. Branca, sub art. 102, Zanichelli, Bologna-Roma, 1981, p. 1968 ss. 14 52 conto della pervasività dei diritti fondamentali così come riconosciuti e garantiti dalla Carta europea dei diritti a cui è stata finalmente ed esplicitamente attribuita natura giuridica e quindi vincolante. 6.- Giurisdizione e ragionevole durata del processo. Nella nostra esperienza il quadro costituzionale si è arricchito di una grande novità, che si innesta nel rapporto sussistente tra gli artt. 102 e 103 della Costituzione: il principio di “ragionevole durata del processo” disposto dall’art. 111 c. 2, per effetto della legge cost. 23 novembre 1999, n. 2. Per il processo penale il principio è strettamente legato alla tutela della libertà personale, oltre che al danno subìto dall’imputato per la eccessiva durata del processo a cui è tratto. Per il processo civile sia che si tratti di diritti personali sia che si tratti di diritti a contenuto economico, la gravità degli effetti della durata eccessiva non è comparabile a quella che incide sulla libertà personale e tuttavia è di grande rilevanza perché investe direttamente i rapporti sociali e i rapporti economici in cui sono coinvolti, di cui sono parte, di cui sono attori gli individui, soggetti di diritto, qualunque sia lo status di cui sono portatori. Per il processo civile “ragionevole durata” implica perciò che tutti gli operatori del diritto debbono collaborare perché il processo, svoltosi dinanzi al suo giudice naturale, al giudice competente, nelle forme e nei riti stabiliti e con l’osservanza del contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti ad un giudice terzo e imparziale, non si protragga per un tempo eccessivo; e quindi che si possa trasformare in una sorta di prigione dei meccanismi processuali in cui si esplica la funzione giurisdizionale tale da comprimere il diritto o l’interesse che si vuol tutelare; e neppure che esponga all’incertezza il risultato del processo e pertanto finisca per risolversi in una giustizia negata o dimidiata, con detrimento del rapporto (personale e economico che sia) in cui le parti sono coinvolte; in una visione macroscopica della situazione, che non si risolva in un danno a chi chiede giustizia, in un danno al sistema giudiziario, in un danno al sistema economico, in un danno all’immagine del Paese. Il pericolo più grave, in un sistema come quello che si è venuto via via creando nella nostra esperienza, è che si moltiplicano le leggi, si moltiplicano i diritti, si moltiplicano i giudici (ordinari, speciali, specializzati, onorari), ma non si assicura in modo concreto, efficiente, 53 rapido, la funzione della giustizia, cioè la tutela dei diritti e degli interessi. Al di là della questione del completamento della pianta organica, delle risorse finanziarie, del miglioramento dell’organizzazione della macchina giudiziaria, ci si è rivolti allora alla interposizione di filtri per far sì che, mantenendosi fermo ed anzi promuovendo l’accesso alla giustizia, si semplificassero i suoi meccanismi. Purtroppo, la giustizia amministrata dai giudici di pace si è risolta in un contenzioso altissimo, che ha investito direttamente la Corte Suprema. La predisposizione di un giudice per le questioni “bagatellari” si è risolta dapprima in una estensione della competenza, di poi in una proposta di consolidamento e di inclusione nell’ordine giudiziario, ed infine in un meccanismo perverso di alterazione della funzione di controllo di legittimità. Il principio illuministico, consacrato dai Padri Costituenti, che consente a tutti di agire in giudizio per far valere i propri diritti e interessi (art. 24 Cost.) è stato inteso nel senso che a chiunque è consentito di accedere alla Suprema Corte: e tuttavia l’art. 111 Cost. riserva il ricorso alla Corte Suprema per violazione di legge solo contro i provvedimenti sulla libertà personale; per le decisioni del Consiglio di Stato e della Corte dei Conti, solo per motivi inerenti alla giurisdizione. Si è assistito invece ad una forte espansione dell’area della giurisdizione, che può essere vista in modo positivo, perché solo il giudice assicura l’imparziale e concreta tutela dei diritti, ma anche in modo negativo, perché garantire a tutti la possibilità di adire la Corte Suprema per il sindacato sulla violazione della legge ha comportato il moltiplicarsi di processi, il moltiplicarsi di ricorsi, l’appesantimento insostenibile di una macchina che sta rischiando di trasformare il giudice di legittimità in giudice di terzo grado, snaturando la sua funzione. La situazione, vicina al collasso, esige pronti interventi. Tra gli altri, il ripensamento non del testo, ma della interpretazione, dell’art. 111 Cost., affinché sia possibile individuare filtri nella risoluzione delle controversie e, nella ripartizione per gradi, nell’accesso alla Cassazione (là dove non si tratti di provvedimenti che limitano la libertà personale), che assicurino a chiunque la tutela dei diritti e degli interessi ottenuta mediante l’esercizio della funzione giurisdizionale, cercando di scongiurare il pericolo di inceppamento della macchina della giustizia, operando alla base e giungendo fino alla sua espressione apicale. Tutto ciò senza necessità di revisione del testo costituzionale, operazione che richiederebbe un impiego di tempo, di risorse e di impegno politico che porterebbero in là ogni riforma sostanziale. 54 Prendendo spunto da altre esperienze, si può pensare alla riduzione dei gradi di giurisdizione per tipi di interessi e per valore della controversia; alla risoluzione delle questioni bagatellari mediante forme alternative di risoluzione della controversia, salvo l’appello dinanzi ad un giudice di primo grado; all’impiego della conciliazione non solo anteriormente al processo, ma anche nel corso del processo, previa la sua sospensione e il rinvio al conciliatore; si può pensare alla motivazione sintetica dei provvedimenti, come è previsto per le pronunce dei tribunali amministrativi regionali e, per il giudice ordinario, dagli artt. 275, 281-quinquies e sexties c.p.c.; alla delibazione del giudice a quo sull’ammissibilità del ricorso; all’impiego più esteso del principio di abuso del processo, e ad altri metodi che incidano sui riti, sui mezzi di impugnazione, sulle modalità di difesa. L’art. 113, secondo comma, Cost. dispone che la tutela giurisdizionale non può essere esclusa o limitata a particolari mezzi di impugnazione o per determinate categorie di atti. Ma è aperta la interpretazione di questa disposizione, perché essa è inclusa nell’ambito della disciplina del controllo giurisdizionale degli atti della pubblica Amministrazione. Se si attribuisce alla disposizione un significato restrittivo, tale principio si può leggere in modo rovesciato, in modo da consentire limitazioni a mezzi di impugnazione o a categorie di atti. 7.- Giurisdizione e avvocatura. Dal punto di vista dell’Avvocatura ogni soluzione che sia compatibile con il dettato costituzionale è bene accetta, anzi, è promossa con convinzione (ne fanno prova le ripetute occasioni congressuali in cui l’Avvocatura si è impegnata a cooperare con le istituzioni per la soluzione del problema della crisi della giustizia). L’Avvocatura si è anche impegnata a migliorare il sistema di difesa, elaborando tariffe svincolate dai tempi della giustizia, per sfatare il sospetto di un interesse diretto nelle lungaggini dei processi. E gli organi di giustizia disciplinare sono da sempre impegnati nel pretendere l’osservanza dell’etica della professione forense, formulata in disposizioni aventi natura di norma primaria (attesa la funzione di giudice speciale assolta dal Consiglio Nazionale Forense). Tra le proposte di riforma della professione forense si è anche contemplata la modificazione delle regole di accesso all’ albo dei patrocinatori ammessi alle giurisdizioni superiori, prevedendo, anziché l’ingresso automatico dopo l’effettuazione della pro- 55 fessione di avvocato per un periodo adeguato di tempo, l’obbligatorietà dell’esame di ammissione. L’attività dell’avvocato è garanzia di difesa dei diritti all’interno del processo: la sua attività <non corrisponde solo all’interesse delle parti, ma anche a quello della giustizia, perché le deduzioni di parte contribuiscono alla formazione corretta della sentenza>. Per l’esercizio della funzione giurisdizionale, pertanto, vi è ministero dell’avvocato, quale garante dei diritti. Di qui le limitazioni ai poteri del giudice nel corso del processo, essendo rari i casi in cui egli può agire d’ufficio senza l’impulso di parte. Per l’avvocato dunque chiamato alla difesa, l’esercizio della funzione giurisdizionale implica innanzitutto la individuazione del giudice competente, a seconda che la questione sia devoluta al giudice ordinario (civile o penale) ovvero al giudice speciale (giudice amministrativo, giudice contabile, giudice militare, giudice tributario, giudice disciplinare magistratuale e forense). Al giudice costituzionale è possibile accedere solo mediante rinvio proveniente dal giudice (ordinario o speciale), mentre al giudice comunitario l’accesso è diretto, per le materie di competenza della Unione europea, e può avvenire anche attraverso la questione di pregiudizialità comunitaria rinviata dal giudice, ordinario o speciale. In questi anni i problemi più gravi sono stati offerti dalla difficile individuazione tra giudice ordinario e giudice amministrativo a proposito del risarcimento del danno per la lesione di interessi legittimi – non essendo ancora accertato se sia pregiudiziale la declaratoria di illegittimità e la demolizione dell’atto amministrativo rispetto all’ accertamento e alla determinazione e liquidazione del danno derivante dalla lesione dell’interesse legittimo di cui è titolare l’interessato, oppure se l’accertamento dell’illegittimità possa essere effettuato in via incidentale dal giudice ordinario, oppure ancora se il risarcimento possa essere liquidato direttamente dal giudice amministrativo. Ancora, sono rimasti oscuri i confini delle aree di competenza esclusiva del giudice amministrativo, ora che la ripartizione della giurisdizione non avviene più per tipologia di situazioni soggettive incise ma per materia. E a seguito degli interventi del legislatore, della Corte Costituzionale e della Corte di Cassazione, è ancora controversa la questione della translatio iudicii. Nell’ambito della giurisdizione ordinaria l’avvocato deve poi scegliere il giudice specializzato, ove questo sia previsto; si sono moltiplicati in questi anni i giudici specializzati, ma al di là della lodevole intenzione di ripartire ulteriormente il carico di lavoro assegnandolo a giudici particolarmente versati nelle materie trattate, si sono venute a 56 creare difficoltà sia nella individuazione della loro competenza, sia nell’accesso alla giustizia, sia nella applicazione concreta delle disposizioni. Mi riferisco in particolare alle sezioni specializzate della proprietà industriale, alle sezioni (ordinarie) che amministrano il rito societario, al Tribunale per i minorenni, le cui competenze, rispetto al Tribunale ordinario, finiscono – almeno per gli aspetti inerenti la giurisdizione civile - per frammentare la materia dei rapporti familiari oggi bisognosi di unitaria valutazione alla luce dei principi costituzionali concernenti la tutela della persona, la tutela della famiglia e il principio di eguaglianza. Alludo ancora alla giurisdizione volontaria, il cui esercizio è oppresso da un affollamento eccessivo di istanze e dalla carenza di personale e di risorse, che finiscono per oscurarne la trasparenza e condizionarne le garanzie. Si deve dunque assecondare la tendenza a creare giudizi specializzati per categorie di interessi? Si deve ritornare alla creazione di tribunali di commercio, anche se la loro soppressione alla fine dell’ Ottocento e l’unificazione dei codici obbedivano ad un principio opposto, volto alla unità della giurisdizione? Si può pensare alla creazione di sezioni specializzate per il commercio, cioè per le attività economiche? A questa materia afferirebbero anche i rapporti tra professionisti e consumatori oltre che i rapporti tra professionisti? Una ulteriore scelta corrisponde al principio della territorialità della giurisdizione. E quindi l’avvocato deve sapere se giudice competente è il giudice italiano oppure il giudice straniero. A questo proposito, le norme di diritto internazionale privato – sia di natura sostanziale, sia di natura processuale – pongono anch’esse problemi interpretativi. I regolamenti comunitari in materia hanno portato chiarezza, almeno per gli argomenti trattati. Quanto alle ADR, è ancora insuperato il principio secondo il quale la riserva di giurisdizione non può soffrire alcuno “svuotamento”, indiretto o sostanziale, sicché si ritengono inammissibili l’arbitrato e la conciliazione obbligatori. Tuttavia, la recente riforma dell’arbitrato ha privilegiato l’arbitrato rituale rispetto all’arbitrato irrituale, e molteplici provvedimenti legislativi hanno introdotto forme di conciliazione da esperire prima di adire il giudice ordinario. In ogni caso è sempre ammesso il ricorso al giudice ordinario o l’appello, stante il principio della insopprimibilità della funzione giurisdizionale ordinaria. Anche questo principio però, tenuto conto della rilevanza costituzionale del diritto fatto valere, potrebbe essere rivisto, a beneficio della riduzione del numero dei processi e del carico che ne deriva, quando 57 il giudice non togato che operi in veste di arbitro, mediatore o conciliatore, sia imparziale, competente, indipendente. Tutte garanzie che la categoria degli avvocati che fossero chiamati ad espletare direttamente queste funzioni può agevolmente assicurare. D’altra parte, la percentuale più alta di giudici di pace è estratta dalla categoria forense, e i giudici onorari (GOT d VPO) sono già avvocati. 8.- Il Consiglio Nazionale Forense come giudice speciale. In questo quadro di riflessioni sulla giurisdizione e quindi sui giudici speciali un particolare approfondimento merita l’analisi del ruolo e delle funzioni del Consiglio Nazionale Forense15. Le decisioni dei Consigli dell’ordine locali in materia disciplinare sono rese nell’esercizio di una potestà di carattere amministrativo nell’interesse della categoria, mentre il procedimento che, a seguito dell’impugnazione da parte dell’interessato di tali provvedimenti, si instaura presso i Consigli nazionali, almeno presso quelli precedenti l’avvento della Costituzione repubblicana, con il suo divieto di istituzione di giudici speciali, è un procedimento di carattere propriamente giurisdizionale, che si conclude con una sentenza pronunziata in nome del popolo italiano. Le caratteristiche della decisione del ricorso disciplinare confermano la natura propriamente giurisdizionale dell’attività resa. Il provvedimento decisorio assume infatti le forme di una sentenza pronunziata in nome del popolo italiano16. Tale ricostruzione, pacifica in dottrina17, oltre che nella giurisprudenza della Corte costituzionale, conduce l’interprete a confronQuesto paragrafo è stato redatto dall’avv. Giuseppe Colavitti, dell’Ufficio studi del CNF. 16 Presenta come elementi necessari, l’indicazione dell’oggetto del ricorso, le deduzioni del ricorrente, le conclusioni del pubblico ministero quando sia intervenuto, i motivi sui quali si fondano, il dispositivo, l’indicazione del giorno del mese e dell’anno in cui sono pronunziate, la sottoscrizione del presidente e del segretario, la pubblicazione mediante deposito nella segreteria del Consiglio, la comunicazione immediata al procuratore generale presso la Corte di cassazione (cui si comunicano anche le date delle notificazioni eseguite alle altre parti interessate), e soprattutto l’impugnabilità delle sentenze stesse dinanzi alle sezioni unite della Corte di cassazione, presidio dell’uniforme interpretazione ed applicazione del diritto oggettivo nell’ordinamento. 17 Cfr. A. Pace, Giurisdizioni speciali, procedimenti amministrativi contenziosi, giudici “a quo” (A proposito del procedimento disciplinare davanti ai Consigli dell’ordine degli avvocati e procuratori), nota alla sentenza Corte cost. 12 luglio 1967, n. 110, in Giur. cost., 1967, p. 1206 e ssg. 15 58 tarsi con la massima soglia di integrazione pubblicistica di una formazione sociale – l’ordine professionale – che l’ordinamento italiano presenta: a talune di tali formazioni sociali, infatti, l’ordinamento consegna l’esercizio della funzione più spiccatamente legata alla sovranità statuale: la funzione giurisdizionale, il potere di dire la regola di diritto per il caso concreto. Il livello dell’integrazione degli ordini nella statualità è così elevato che il Consiglio nazionale forense, e con lui altri Consigli nazionali, sono da considerarsi giudici a tutti gli effetti, seppur non inquadrabili nell’ordine giudiziario, in quanto giudici speciali18. Infatti, l’art. 102 Cost. si limita a disporre il divieto di “istituzione” di giudici speciali, nel quadro di un’opzione solo tendenziale del costituente verso l’unicità della giurisdizione, contemperata da significativi elementi di pluralismo19, e non dispone ipso iure la soppressione delle giurisdizioni speciali operanti al momento dell’entrata in vigore della Costituzione, per le quali, più limitatamente, la Costituzione stessa prevede, nella citata disposizione transitoria, la possibilità di una “revisione” (e non di una “soppressione”) entro cinque anni dall’entrata in vigore della Costituzione stessa, termine peraltro ritenuto avente natura meramente ordinatoria20. La Corte costituzionale ha sempre ritenuto necessaria al riguardo la interpositio legislatoris, rifiutandosi di sancire la illegittimità costituzionale delle giurisdizioni spe18 Al potere giudiziario afferiscono, infatti, i magistrati dell’ordine giudiziario, protetti dalle particolari garanzie di autonomia e indipendenza di cui all’art. 104 Cost., ed altri organi, i cd. giudici speciali, non inquadrati nel suddetto ordine (Cfr. S. Bartole, Autonomia e indipendenza dell’ordine giudiziario, Cedam, Padova, 1964, p.285-286). 19 G. Azzariti, Giurisdizione e politica nella giurisprudenza costituzionale, in Riv. dir. cost., 1997, p. 93 e ssg., ritiene infatti che convivano nel testo costituzionale due diversi modelli, l’uno unitario, imperniato sul principio dell’unità della giurisdizione, l’altro pluralistico (artt. 103 e 108 Cost.), che l’autore ritiene prevalente soprattutto alla luce delle interpretazioni rese dalla Corte costituzionale in materia di giudici speciali (sentenze n. 114 del 6 luglio 1970, n. 27 del 17 febbraio 1972, n. 284 del 23 dicembre 1986, e, da ultimo, sentenza 25 luglio 1995, n. 387), ma anche in materia di magistrati onorari (sentenza n. 150 dell’8 aprile 1993, in Giur cost., 1993, p. 1143 e ssg.). 20 Corte cost. 23 dicembre 1986, n. 284, in Foro it., 1988, I, c. 3563. Anche, poi, a volere considerare perentorio il termine, è evidente che ciò non può di per sé comportare la radicale incostituzionalità dei giudici speciali esistenti, non essendo l’espressione “revisione” certo equivalente al termine “soppressione”, o “eliminazione”. Solo il legislatore ordinario, in virtù della riserva di legge di cui alla VI disp. trans. Cost., “...dovrà in quella sede valutare se sia conveniente sopprimerli, con l’eventuale trasformazioni in sezioni specializzate dei tribunali ordinari, ovvero mantenerli, con le opportune modificazioni...” (punto 3 del considerato in diritto della sentenza citata). 59 ciali, e quindi lasciando ampia discrezionalità al formante legislativo nel disegnare l’assetto concreto delle giurisdizioni21. Delineato questo quadro di riferimento generale, e quindi fatta salva, in linea di principio, la compatibilità costituzionale delle giurisdizioni speciali, la Corte costituzionale si è sempre opportunamente riservata la facoltà di apprezzare le concrete modalità di esercizio della giurisdizione, da parte del giudice speciale considerato, per verificare il puntuale rispetto dei canoni costituzionali. In questo quadro si è posto il problema della contitolarità, in capo al Consiglio nazionale forense, di funzioni amministrative e di funzioni giurisdizionali, propria anche di organi come il Consiglio di Stato e il Consiglio superiore della magistratura (con riferimento alla sezione disciplinare): tale condizione non esclude di per sé l’ineliminabile requisito costituzionale dell’indipendenza, secondo il disposto degli artt. 101 e 108 Cost., e quindi non comporta per ciò solo l’effetto della illegittimità costituzionale22. Neanche altre caratteristiche del Consiglio nazionale forense, quali la circostanza della natura elettiva dell’organo, o il fatto di giudicare soggetti appartenenti alla medesima categoria professionale, ostacolano, secondo la Corte costituzionale, il riconoscimento della qualità di giudice in capo a tale soggetto. Nella sentenza n. 284 del 1986, la Corte costituzionale ha avuto modo di chiarire come il criterio elettivo, peraltro costituzionalmente previsto all’art. 106, secondo comma, Cost. possa ben conciliarsi con il requisito dell’indipendenza, e che occorra avere riguardo, piuttosto, alle concrete modalità di scelta dei componenti l’organo giudicante. In altra circostanza la Corte costituzionale ha ritenuto che il fatto che avvocati giudichino su avvocati non pregiudichi di per sé il requisito dell’indipendenza del giudice; allo stesso modo è stata riconosciuta natura propriamente giurisdizionale alla sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura, composto per due terzi da magistrati23. Anzi è di tutta evidenza che, considerate le caratteristiche peculiari della responsabilità disciplinare, appare senz’altro opportuno che soggetti appartenenti alla stessa categoria valutino i contegni dei colleghi. Dunque, la disciplina positiCfr. A. Poggi, op.cit. Costante al proposito l’orientamento della giurisprudenza costituzionale: Corte cost. 22 gennaio 1976, n. 25, in Foro. it., 1976, I, c. 1; 27 maggio 1968, n. 49, ivi, 1968, I, c. 1383; 23 dicembre 1986, n. 284, ivi., 1986, I, c. 3563; e, più di recente, 8 luglio 1992, n. 326, in Giur. cost., 1992, fasc. 4. 23 Corte cost. n. 12 del 1971, in Foro. it., 1971, I, c. 536. 21 22 60 va dell’attività decisoria che si instaura a seguito dell’impugnazione di un provvedimento di un Consiglio dell’ordine degli avvocati integra pienamente le caratteristiche strutturali e funzionali di un’attività propriamente giurisdizionale, anche grazie alle ulteriori garanzie di rispetto del contraddittorio che ha introdotto la Corte allorquando ha sancito l’obbligo del pubblico ministero di non assistere alla camera di consiglio, al pari dell’imputato e del di lui difensore. La Corte costituzionale ha sancito che la deliberazione della decisione del Consiglio nazionale forense è “la fase conclusiva più delicata del giudizio, (è) compito esclusivo dell’organo giudicante”, e proprio a garanzia dell’indipendenza di tale organo, la presenza del p.m., parte processuale, non ha ragione di essere, realizzando piuttosto “una situazione di vantaggio con evidente menomazione del diritto di difesa dell’incolpato”. Mentre infatti la norma originaria disponeva che “il pubblico ministero assiste alla decisione” (art. 63, secondo comma, regio decreto 22 gennaio 1934), la Corte costituzionale ha dichiarato illegittima per violazione dell’art. 24, secondo comma, Cost. l’assistenza del p.m. nel momento della deliberazione della decisione, a fronte del corrispondente obbligo di allontanarsi dell’incolpato e del di lui difensore (sentenza 17 febbraio 1972, n. 27, in Foro it., 1972, I, c. 568). In questa sentenza, la Corte ha rilevato che “l’esame delle disposizioni concernenti i procedimenti disciplinari innanzi al Consiglio nazionale forense (art. 59 e 68 del regio decreto n. 37 del 1934) non lascia adito a dubbi sulla posizione di parte che assume il pubblico ministero nei casi in cui spieghi intervento in detti procedimenti”, e ha ritenuto inoltre di equiparare pienamente ai procedimenti giurisdizionali ordinari il procedimento che si svolge in sede di giurisdizione disciplinare innanzi al Consiglio nazionale, asserendo che “la veste e le attribuzioni del p.m. nei procedimenti disciplinari innanzi al Consiglio nazionale forense non sono dissimili da quelle spettanti al p.m. nei procedimenti ordinari e ciò nondimeno per questi ultimi, l’ordinamento giudiziario vigente detta una norma generale di contenuto diametralmente opposto sancendo appunto il divieto per i p.m. di assistere alla deliberazione della decisione delle cause civili e penali da parte dei giudici di merito”. In buona sostanza dunque, grazie all’opera del giudice delle leggi, anche la giurisdizione speciale disciplinare, la cui ammissibilità sotto il profilo generale risulta dal complesso delle disposizioni costituzionali che affiancano al principio di unità funzionale della giurisdizione il principio pluralista, ha potuto beneficiare dell’estensione dei caratteri di terzietà ed imparzialità che connotano la funzione giurisdizionale tout court. 61 Peraltro è interessante considerare la raffinata giustificazione teorica con la quale il giudice delle leggi ha consolidato il sistema. All’atto di ribadire che il potere disciplinare è esercitato dai Consigli dell’ordine a protezione di un interesse di gruppo, la Corte costituzionale ha osservato che “(...) il Consiglio nazionale, a differenza dei singoli Consigli dell’ordine, svolge, quando è chiamato a decidere sui ricorsi contro i provvedimenti adottati da detti consigli, funzione giurisdizionale per la tutela di un interesse pubblicistico, esterno e superiore a quello dell’interesse del gruppo professionale: il che può trovare conferma nella ricorribilità contro le decisioni del Consiglio nazionale alle Sezioni unite della Corte di cassazione”24. La Corte mostra di riconoscere come la natura giurisdizionale dell’attività decisoria resa dal CNF in sede di gravame avverso le decisioni dei Consigli dell’ordine sia collegata all’esigenza superiore della tutela di interessi pubblici, mentre l’attività resa dai Consigli dell’ordine in sede disciplinare resta a presidio degli interessi collettivi della categoria professionale. Da ultimo val la pena di accennare ad un ulteriore profilo che conferisce ulteriore valore alla presenza nel sistema di alcune giurisdizioni speciali. Il riconoscimento dello status di giudice speciale in capo ai Consigli nazionali degli ordini precedenti l’entrata in vigore della Costituzione repubblicana rappresenta, come prima accennato, il culmine del processo di integrazione nello Stato-apparato di una organizzazione complessa frutto dell’autoorganizzazione del pluralismo sociale. Connesso a tale status l’onore e l’onere della titolarità del potere di sollevare questione di legittimità costituzionale di norme o parti di norme di legge e atti aventi forza di legge dello Stato e delle Regioni, ex art. 23 legge 11 marzo 1953, n. 87. I Consigli nazionali possono cioè adire la Corte costituzionale affinché questa si pronunci sulla conformità a Costituzione di una norma di rango primario che debba essere neces24 Corte cost. 6 luglio 1970, n. 114, in Foro it. 1970, I, c. 2303. Per gli stessi motivi la Corte costituzionale aveva infatti escluso la legittimazione alla sollevazione della questione di costituzionalità di un Consiglio dell’ordine degli avvocati, che aveva erroneamente argomentato circa la propria qualità di giudice a quo muovendo dalla considerazione dei poteri che spettano al p.m. nell’ambito del procedimento disciplinare dinanzi al Consiglio dell’ordine degli avvocati stesso; tali poteri vanno più propriamente inquadrati nell’ambito di una attività di collaborazione all’esercizio di una funzione amministrativa, resa a tutela di un interesse del gruppo professionale, mentre “...quando il procedimento si sposta nella sede del reclamo le funzioni del pubblico ministero si esercitano ai fini della tutela di un interesse esterno a quello del gruppo, diverso e distinto dall’altro che si incentra nell’ordine”. 62 sariamente applicata al giudizio principale. Il fatto che un’organizzazione complessa esponenziale di un interesse di gruppo acceda, in determinate condizioni di diritto, alla qualità di giudice speciale e al potere di adire formalmente il giudice delle leggi può ricevere una sistematizzazione convincente nella considerazione che talvolta gli interessi di gruppo sono così intimamente e inestricabilmente legati agli interessi di tutta la comunità nazionale che il confronto tra essi finisce per svolgersi sul piano dei valori costituzionali. Il che è avvenuto di recente, per impulso del CNF, che ha sollevato questione di legittimità costituzionale con riguardo alle norme che consentivano l’iscrizione nell’albo ai dipendenti pubblici a tempo parziale25. Poco importa, ai fini del presente ragionamento, che il giudizio di costituzionalità si sia risolto con una sentenza di rigetto. Ciò che importa è che la Corte sia entrata nel merito, abbia cioè valutato della legittimità costituzionale di norme di legge ordinaria dedotte in giudizio secondo la modalità qui descritta. Non era affatto scontato26. Nel caso di specie si è aperta la strada ad una valutazione ponderata degli interessi coinvolti, grazie al loro rilievo costituzionale, e grazie alla condizione soggettiva specifica del Consiglio nazionale. L’interprete non può che accogliere con favore un modello di assetto delle giurisdizioni che consenta di portare alla cognizione dell’organo che custodisce il supremo equilibrio degli interessi costituzionalmente rilevanti una questione che colpisce insieme interessi di gruppo e interessi pubblici, e che probabilmente necessitava di essere risolta a seguito 25 Sul tema vedi G. Colavitti. “La legittimazione a sollevare questione di costituzionalità e il principio pluralista. L’esercizio della professione di avvocato da parte di dipendenti pubblici con rapporto di lavoro a tempo parziale: un approccio dubbio al tema del conflitto di interessi”, nota a Corte cost. (4 giugno) 11 giugno 2001, n. 189, in Giur. cost. n. 4/2001, p. 2647 ssg 26 La questione era stata già sollevata in passato dal Consiglio nazionale forense, ma era stata respinta con una pronunzia in rito che presentava peraltro profili di particolare interesse. Nell’ordinanza n. 183 del 1999, all’atto di dichiarare inammissibile per mancata integrazione del contraddittorio nel giudizio principale (con riferimento alla posizione dei Consigli locali dell’ordine degli avvocati nel giudizio di fronte al Consiglio nazionale forense) - proprio la medesima questione di legittimità costituzionale, la Corte costituzionale si sbilanciava in un inciso quasi minaccioso: “(...) anche a prescindere da qualsiasi valutazione in ordine alla conformità a Costituzione del Consiglio nazionale forense quale giudice speciale (...)” (Corte cost. 20 maggio 1999, n. 183, in Giur. cost., 1999, p. 1786 ss., a p. 1788). Nella decisione di merito (la citata 189/2001), la conformità a Costituzione della condizione di giudice speciale del Consiglio nazionale forense viene invece ribadita con un lapidario richiamo alla giurisprudenza costituzionale pregressa. 63 dell’applicazione del criterio di ragionevolezza, in forza del quale la Corte costituzionale, pur nel rispetto della natura discrezionale e politica delle scelte operate dal legislatore ordinario, si è infatti sempre riservata il potere di valutare in concreto se l’attività di ponderazione e di bilanciamento tra interessi costituzionalmente protetti operata nel caso singolo integri o meno una violazione dell’art. 3 Cost., sotto il profilo dell’assoluta mancanza di ragionevolezza e logicità della scelta operata27. Considerata la vicenda “dal basso”, la prerogativa del Consiglio nazionale forense può essere letta come l’occasione offerta ad un gruppo professionale organizzato di promuovere, nel rispetto dei requisiti oggettivi e soggettivi che l’ordinamento richiede ai fini della corretta instaurazione del sindacato di costituzionalità delle leggi, il vaglio di costituzionalità su decisioni legislative che si assumono lesive di norme costituzionali. Considerata “dall’alto”, la sollevazione di una questione di costituzionalità da parte di un Consiglio nazionale professionale consente alla Corte di conoscere di norme che difficilmente potrebbero accedere al sindacato medesimo per il tramite di un incidente afferente ad un giudizio ordinario, e soprattutto consente ad essa di farsi “...canale di partecipazione politica che non si identifica con quella che opera all’interno delle strutture di partito (...), strumento di un pluralismo che non sia solo istituzionale ma fondi le sue radici nella società.”28 27 Cfr. A. Cerri, Corso di giustizia costituzionale, II ed., Giuffré, Milano, 1997, p. 233 e ssg.. A proposito delle decisioni della Corte costituzionale potenzialmente confliggenti con l’indirizzo politico delle maggioranze di governo, è stato segnalato il collegamento tra il ruolo della Corte ed il principio pluralista; in questo genere di decisione, infatti, la Corte “...difende anche un aspetto essenziale del nostro sistema costituzionale: il pluralismo dei centri di decisione, espressione di un pluralismo più profondo radicato nella società” (G. Zagrebelsky, La giustizia costituzionale, Il Mulino, Bologna, 1977, p. 355). 28 G. Zagrebelsky, op. cit., p. 373. 64 INTERVENTI La Corte di Cassazione nella Costituzione Ernesto LUPO Presidente di sezione della Corte di cassazione 1.- Premessa. L’anniversario della Costituzione, festeggiato nell’Aula magna della Corte di cassazione, suggerisce di dedicare una specifica attenzione alle non scarse disposizioni in cui la Carta menziona questa istituzione giudiziaria. Si tratta di ben cinque commi, il cui contenuto è stato ampiamente studiato. Ma, a distanza di oltre sessanta anni dalla elaborazione delle dette disposizioni, può essere opportuno rivisitare le ragioni della loro inclusione nella Legge fondamentale, individuare le finalità ed i valori con esse perseguiti dai Costituenti, valutarne l’attualità. Nel leggere i lavori della Assemblea costituente1 si constata che alla Corte di cassazione fu dedicato un ampio spazio, che sarebbe interessante ripercorrere nella sua interezza e nei suoi dettagli. Ma la caratteristica di questo scritto ha imposto una ricostruzione estremamente sintetica e riassuntiva dei detti lavori, pure se non si è mancato di indicare nelle note alcuni possibili percorsi di approfondimento. 2.- Le disposizioni della Costituzione che menzionano la Corte di cassazione. La Costituzione menziona la Corte di cassazione sia come giurisdizione che come giudice. Sotto il primo profilo viene in considerazione l’art. 111, commi settimo ed ottavo (nell’ordine assunto a seguito delle modifiche ad esso apportate dalla legge costituzionale 23 novembre 1999, n. 2), i quali prevedono che il ricorso in cassazione per violazione di legge è 1 Furono redatti resoconti sommari delle sedute della Commissione per la Costituzione (c.d. Commissione dei settantacinque) e delle relative sottocommissioni, resoconti stenografici delle sedute della Assemblea costituente, tutti ripubblicati in La Costituzione della Repubblica nei lavori preparatori della Assemblea Costituente, 8 volumi, Camera dei deputati, 1970-1971 (d’ora in poi: Atti Costituente). 67 “sempre ammesso” “contro le sentenze e contro i provvedimenti sulla libertà personale, pronunciati dagli organi giurisdizionali ordinari o speciali”, mentre “contro le decisioni del Consiglio di Stato e della Corte dei Conti il ricorso in cassazione è ammesso per i soli motivi inerenti alla giurisdizione”. Alla necessaria previsione del ricorso per cassazione può derogarsi “soltanto per le sentenze dei tribunali militari in tempo di guerra” (ma una deroga esplicita è contenuta già nell’art. 137, ultimo comma, della Costituzione, ove si prevede che “contro le decisioni della Corte costituzionale non è ammessa alcuna impugnazione”). Sotto il secondo profilo possono considerarsi le altre disposizioni che, dettate per finalità tra loro diverse, delineano aspetti organizzativi e posizione istituzionale della Corte di cassazione come organo dell’ordine giudiziario. Ci si riferisce all’art. 104, comma terzo, da cui si desume la necessità della previsione del “primo presidente” della Corte, oltre che del “procuratore generale della Corte di cassazione” (ambedue membri di diritto del Consiglio superiore della magistratura); all’art. 106, terzo comma, ove si prevede “l’ufficio di consigliere di cassazione”, al quale possono essere chiamati, “per meriti insigni”, professori universitari ed avvocati; all’art. 135, primo comma, il quale, in ordine alla composizione della Corte costituzionale, prevede che un terzo dei suoi membri sia nominato “dalle supreme magistrature ordinaria ed amministrative” (primo comma), riferendosi inequivocabilmente, per quanto attiene alla magistratura ordinaria, alla Corte di cassazione. Non concerne, invece, la sola Corte di cassazione il secondo comma dello stesso art. 135, il quale, relativamente ai requisiti che i detti membri devono possedere, ne impone la scelta, oltre che tra i professori universitari e gli avvocati, “fra i magistrati anche a riposo delle giurisdizioni superiori ordinaria ed amministrative” (secondo comma), perché tale previsione sta ad indicare i magistrati “da consigliere di corte di appello in su”2. La prassi finora seguita, peraltro, ha limitato la scelta ai magistrati che prestano effettivo servizio presso la Corte di cassazione3. 2 Così l’intervento di Perassi all’Assemblea costituente, nella seduta del 2/12/1947 (Atti Costituente, vol.V, p. 4285). La previsione delle giurisdizioni superiori si ricollega all’emendamento Targetti presentato all’Assemblea nella seduta antimeridiana del 29/11/1947 (Atti Costituente, vol. V, p. 4255). 3 Ai quali è stato parificato, in un caso, il magistrato che ha esercitato le funzioni di presidente della Camera dei deputati (cfr. A. Pizzorusso, Commentario della Costituzione a cura di G. Branca, sub art.135, Zanichelli, Bologna-Roma, 1981, p. 153, nota 12, ove tale parificazione è considerata una “evidente forzatura”). 68 A proposito della previsione del primo comma dell’art. 135 può essere interessante notare che la Costituzione, quando menziona la Corte di cassazione, non la qualifica mai come Corte suprema, differenziandosi così dall’ordinamento giudiziario del 1941. La probabile ragione di tale differenza è da ravvisarsi nel fatto che due dei tre progetti relativi al potere giudiziario presentati alla Commissione per la Costituzione (quelli proposti da Calamandrei e da Patricolo) riservavano il termine di “suprema” alla Corte costituzionale che essi proponevano di introdurre4. Nel progetto di Costituzione poi approvato dalla detta Commissione la Corte costituzionale perse la qualifica di suprema, che però non fu recuperata dalla Corte di cassazione né nel progetto, né nel testo definitivo della Costituzione. Si è, peraltro, visto che la stessa Costituzione, nell’art. 135, parla di “suprema magistratura ordinaria”; e la correttezza dell’uso di tale qualificazione è giustificata dai compiti (che il vigente ordinamento attribuisce alla Cassazione) di nomofilachia e di rispetto dei limiti delle diverse giurisdizioni (art. 65 dell’ordinamento giudiziario)5. Appare, pertanto, giustificata la denominazione di Corte suprema di cassazione, costituente l’intestazione del capo V del titolo II del vigente ordinamento giudiziario (regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12), anche se nell’art. 1 dello stesso testo normativo essa è stata sostituita da quella di Corte di cassazione, a seguito della riscrittura del detto art. 1 operata dall’art. 45 della legge 21 novembre 1991, n. 374, sull’istituzione del giudice di pace6. 4 Il testo dei tre progetti sul potere giudiziario e sulla Corte costituzionale presentati (da Calamandrei, da Leone e da Patricolo) alla Commissione dei settantacinque, e precisamente alla seconda sezione della seconda sottocommissione, è pubblicato da F. Rigano, Costituzione e potere giudiziario, Cedam, Padova, 1982, p. 261 ss.. Qui è pubblicato anche il progetto redatto da una Commissione di magistrati costituita dal Ministro di grazia e giustizia, progetto non presentato alla Commissione, ma di cui questa tenne conto. 5 In tal senso v. ampiamente A. Pizzorusso, voce Corte di Cassazione, in Enc. Giuridica Treccani, vol. IX, Roma, 1988, § 1.9: La Corte di cassazione come Corte Suprema. 6 Va rilevato che l’art. 1 del r.d. 30 gennaio 1941n n. 12 era stato già riscritto, dopo la Costituzione repubblicana, dall’art. 1 del d.P.R. 22 settembre 1988, n. 449 (recante norme sull’adeguamento dell’ordinamento giudiziario al nuovo processo penale ed a quello a carico degli imputati minorenni), che aveva mantenuto la denominazione di Corte suprema di cassazione, ripristinando l’aggettivo (“suprema”) eliminato dal progetto preliminare delle stesse norme. Sui ripensamenti “a corrente alternata” circa la qualifica di “suprema” della Corte di cassazione e per una critica all’intervento sul punto della legge n. 374 del 1991 si consenta il rinvio al mio scritto in Commento al c.p.p. coordinato da M. Chiavario. Le leggi collegate. II. La normativa ordinamentale, Utet, Torino, 1999, p.36-37. 69 3.- La Cassazione come giurisdizione. Il “ricorso in Cassazione” – come lo denominano il secondo e terzo comma dell’art. 111 Cost. (nella stesura originaria dell’articolo) – è stato ritenuto tema da includere nella Costituzione repubblicana sin dai lavori della c.d. Commissione Forti7. Esso “si coordina alla funzione della Cassazione di assicurare che i giudici applichino le leggi esistenti, e non sostituiscano alla volontà normativa arbitrarie e soggettive valutazioni”8. Nel progetto presentato da Leone alla già citata Commissione per la Costituzione, il ricorso per cassazione era espressamente previsto9 come garanzia individuale10, mentre la sua previsione era soltanto implicita nel progetto Calamandrei, desumendosi essa dalla disciplina delle funzioni della Corte di cassazione11, in coerenza con la concezione che questo studioso aveva del ricorso per cassazione12. Nella Commissione per la Costituzione (seconda sottocommissione, seconda sezione) il relatore Calamandrei presentò un testo con7 Si tratta della Commissione per studi attinenti alla riorganizzazione dello Stato costituita dal Ministero per la Costituente in preparazione dei lavori della Assemblea Costituente, alla quale essa poi presentò una Relazione, pubblicata in tre volumi da Failli, Roma, 1946. 8 Così, nell’ambito dei documenti conclusivi dei lavori della Prima sottocommissione della Commissione Forti, la relazione su La posizione costituzionale del potere giudiziario nella nuova Costituzione italiana, redatta da A. Giordano e A. Torrente, vol. I della pubblicazione cit. nella nota precedente, p. 266. 9 Art.17, secondo comma: Nessuna sentenza può essere sottratta al controllo della Corte suprema di cassazione. 10 Nel primo comma dello stesso art. 17 era prevista la regola generale secondo cui In ogni causa devono essere osservati tre gradi di giurisdizione (alla regola era poi apportata qualche limitata eccezione). 11 L’art. 12, rubricato come Unicità della giurisdizione, prevedeva, nel secondo comma: Al vertice dell’ordinamento giudiziario, unica per tutto lo Stato, siede in……la Corte di cassazione istituita per mantenere la unità del diritto nazionale attraverso la uniformità della interpretazione giurisprudenziale e per regolare le competenze dei giudici. La disposizione qui trascritta, non approvata dalla Commissione, fu ripresentata da Calamandrei ed altri (Atti Costituente, vol.V, p. 4171), con l’integrazione di siede in Roma, in Assemblea, nella seduta pomeridiana del 27 novembre 1947, come art.95-bis del progetto di Costituzione, ma non ebbe migliore fortuna. 12 Proprio nell’illustrare all’Assemblea l’emendamento trascritto nella precedente nota, Calamandrei ebbe modo di esporre una ormai famosa distinzione: “in Cassazione non si va per difendere soltanto l’interesse del litigante, quello che gli antichi giuristi chiamavano jus litigatoris, ma altresì per difendere lo jus constitutionis, che è appunto l’interesse pubblico alla difesa del diritto e della sua unità, messa in pericolo dalla pluralità delle interpretazioni disformi ed aberranti, le quali sono contagiose 70 cordato sulla giurisdizione, il cui art. 6, nella prima parte, recepiva del progetto Leone l’espressa previsione del ricorso per cassazione, “sempre ammesso”, e, nella seconda parte, ripeteva la previsione del progetto Calamandrei sulle funzioni di interesse generale della Corte di cassazione13. L’art. 6 fu approvato nella sola prima parte14. Tale decisione fu determinata dal fatto che nell’esame del ricorso per cassazione s’inserì la discussione sull’unicità della Corte di cassazione ovvero sulla ricostituzione delle Cassazioni regionali (eliminate, nel settore civile, dal fascismo15). E lo stesso Calamandrei, relatore, di fronte all’opposizione di Targetti all’inclusione nella Costituzione di una norma sulla Cassazione unica, dichiarò di “aderire alla proposta Targetti e di ritirare il capoverso in esame”16. La disposizione sul ricorso per cassazione inserita nel progetto di Costituzione che fu presentato all’Assemblea costituente, a seguito di modifiche successivamente apportate in sede tecnica, fu del seguente tenore: Contro le sentenze o le decisioni pronunciate dagli organi giurianche per l’avvenire” (loc. ult. cit.). V. anche A. Pizzorusso, La magistratura nel pensiero di Calamandrei, in Questione giustizia 1988, p.780 e, di recente, A. Barbera, Piero Calamandrei e l’ordinamento giudiziario: una battaglia su più fronti, in Piero Calamandrei e la costruzione dello Stato democratico, a cura di S. Merlini, Editori Laterza, Bari, 2007, p.129. 13 L’art. 6 del progetto era del seguente tenore: Contro le sentenze pronunciate in ultimo grado da qualsiasi organo ordinario o speciale è sempre ammesso il ricorso alla Corte di cassazione, istituita per mantenere l’unità del diritto nazionale attraverso la uniformità della interpretazione giurisprudenziale e per regolare le competenze (Atti Costituente, vol. VIII, p. 1956). 14 Con riferimento al testo trascritto nella nota precedente, fu approvata la parte sino alle parole “Corte di cassazione” (seduta antimeridiana della seconda sezione della sottocommissione del 20 dicembre 1946: Atti Costituente, vol. VIII, p. 1958). 15 Il r.d. 24 marzo 1923, n. 601, nell’art. 1, soppresse le Corti di cassazione di Firenze, Napoli, Palermo e Torino e concentrò nella Corte di cassazione di Roma tutte le attribuzioni spettanti alle quattro Corti soppresse. Il provvedimento, peraltro, riguardò il solo settore civile, perché già la legge 6 dicembre 1888, n. 5825 aveva deferito alla Corte di cassazione di Roma (divisa in due sezioni) la cognizione di tutti gli affari penali del Regno, sopprimendo le sezioni penali delle quattro Corti dianzi elencate. 16 Nella seduta pomeridiana dello stesso giorno 20 dicembre 1946, in cui si riprese la discussione sul secondo comma dell’art.12 del progetto Calamandrei sopra trascritto nella nota 11 (Atti Costituente, vol. VIII, p. 1962). Però, come si è detto, Calamandrei ripresentò in Assemblea il testo del cpv. dell’art.12 del suo progetto, che decadde a seguito dell’approvazione dell’ultimo comma dell’art. 102 del progetto di Costituzione (corrispondente all’ultimo comma del vigente art. 111: v. infra in questo stesso paragrafo). Dal resoconto sommario della seduta della sottocommissione non si desumono i motivi dell’adesione di Calamandrei al ritiro della norma da lui proposta, ma poi ripresentata in Assemblea. 71 sdizionali ordinari o speciali è sempre ammesso il ricorso per cassazione, secondo le norme di legge (art.102)17. La discussione dell’Assemblea sull’art. 102 del progetto si svolse nella seduta pomeridiana del 27 novembre 1947. Il problema maggiormente discusso fu quello della molteplicità o della unicità della Corte di cassazione18, problema sul quale si erano già avuti una lunga serie di interventi nel corso della discussione generale sui titoli (abbinati) del progetto relativi alla magistratura ed alle garanzie costituzionali19. Il contrasto sul punto fu molto netto; alla fine Targetti ed altri proposero un emendamento conciliativo del seguente tenore: “La legge sull’ordinamento giudiziario regolerà l’istituto della Corte di cassazione”, emendamento che fu approvato da una ampia maggioranza come ultimo comma dell’art. 102 del progetto20. Tale comma fu poi soppresso dal Comitato di coordinamento dell’Assemblea, di cui non 17 E’ questo il testo approvato dalla seconda sezione della sottocommissione, come modificato, prima, in sede di coordinamento dalla stessa sezione (Atti Costituente, vol.VIII, p. 2015, art. 10 del testo qui pubblicato) e, poi, nel corso della revisione operata dal comitato di redazione della Commissione plenaria (Atti Costituente, vol.VI, p. 205). Il progetto di Costituzione presentato dalla Commissione dei settantacinque alla Presidenza dell’Assemblea costituente il 31 gennaio 1947 è pubblicato in Atti Costituente, vol. I, p. LVII; esso può leggersi anche in F. Rigano, Costituzione e potere giudiziario, cit., p. 310, nonché in La Costituzione della Repubblica italiana illustrata con i lavori preparatori, a cura di V. Falzone, F. Palermo, F. Cosentino, Mondadori, Milano, 1976, p. 471 ss. 18 Paolo Rossi, a nome della Commissione, nel proporre quello che sarà poi approvato come testo del secondo e terzo comma dell’art.111, la indicò come la “questione più grave e scottante di cui hanno discusso, oserei dire, senza far torto a nessuno, i più illustri parlamentari italiani” (Atti Costituente, vol. V, p. 4185). 19 Interventi sul tema furono svolti nella seduta pomeridiana del 6 novembre 1947 (Bozzi, Pietro Mastino), pomeridiana del 7 novembre (Villabruna, Vinciguerra, Angelo Carboni), dell’8 novembre (Bellavista, Persico), pomeridiana dell’11 novembre (Romano), antimeridiana del 12 novembre (Cortese), pomeridiana del 12 novembre (Caccuri, Fausto Gullo), antimeridiana del 13 novembre (Avanzini, Castiglia), antimeridiana del 14 novembre (Porzio, Mancini), del 15 novembre (Conti, per la Commissione), pomeridiana del 20 novembre (Umberto Merlin, ad illustrazione dell’ordine del giorno per la Cassazione unica da lui presentato; altro ordine del giorno nello stesso senso fu, in tale seduta, presentato da Mortati). In sede di discussione generale il Presidente Terracini, con l’adesione del Presidente della Commissione Ruini, decise di rinviare la decisione sugli ordini del giorno alla discussione sugli articoli (Atti Costituente, vol. V,, p. 3950). La trattazione del tema, perciò, riprese in sede di discussione dell’art. 102 del progetto e, nella seduta pomeridiana del 27 novembre, intervennero su di esso Mortati, Grassi, Targetti, Calamandrei, Togliatti, Orlando, Paolo Rossi (per la Commissione). 20 Atti Costituente, vol. V, p. 4188. 72 esiste alcun verbale. Le ragioni della soppressione possono, però, desumersi dalla posizione che su di esso, prima che fosse messo in votazione, assunse il presidente della Commissione Ruini (poi presidente anche del Comitato di coordinamento), il quale rilevò che “se è materia costituzionale il principio che vi sia l’istituto del ricorso in Cassazione, non è necessario che la Costituzione dica come la Cassazione deve essere foggiata. L’emendamento Targetti, che rinvia alla legge per l’ordinamento della Cassazione, equivale al silenzio che vi era nel testo della Commissione, e significa la stessa cosa”21. Ma il rinvio alla legge della disciplina della Corte di cassazione non impedì alla stessa Assemblea di discutere di un altro importante problema relativo alla limitazione del controllo della Cassazione sulle decisioni dei giudici speciali, una volta deciso il loro mantenimento. Al riguardo si ribadì il tradizionale principio della sottoposizione delle decisioni del Consiglio di Stato e della Corte dei Conti al solo controllo sulla giurisdizione, respingendosi la tesi di Mortati che intendeva estendere tale restrizione a tutti i giudici speciali22. A siffatta limitazione si accompagnò, nella nuova formulazione dell’art. 102 del progetto presentata da Paolo Rossi per la Commissione23, la precisazione che il ricorso per cassazione era ammesso, in tutti gli altri casi, per violazione di legge (e non secondo le norme di legge, come si era previsto nel progetto). Con questa modifica venivano recepiti diversi emendamenti presentati in Assemblea alla ricordata formulazione del progetto24 e si attribuiva esplicito fondamento alla funzione di nomofilachia25 della Cassazione, richiamata, nella sostanza, a giustificazione della Cassazione unica, dagli interventi favorevoli a tale scelta26. Loc. ult. cit.. Successivamente, su richiesta del presidente dell’Assemblea, Ruini ribadì: “Manteniamo la nostra posizione, che è di silenzio; e coincide in sostanza con l’emendamento Targetti, tanto che, se fosse approvato, potrebbe anche togliersi nella revisione formale e nulla muterebbe nella sostanza”. 22 V. l’intervento nella seduta del 27 novembre 1947 (Atti Costituente, vol. V, p. 4160). 23 Op. ult. cit., p. 4184. 24 La modifica del progetto nel senso di specificare che il ricorso per cassazione era ammesso per violazione di legge (o formulazioni analoghe) era contenuta negli emendamenti proposti da Monticelli, Romano, Colitto, Gabrieli, Caccuri, Cortese (op. ult. cit., p. 4158, 4159 e 4162). 25 Sulla nomofilachia, su cui vi è una ampissima bibliografia, v., di recente, la parte prima del volume collettaneo, Il nuovo giudizio di cassazione, a cura di G. Ianniruberto e U. Morcavallo, Giuffrè, Milano, 2007. 26 Possono citarsi, emblematicamente, le parole di Calamandrei: “La Cassazione è un istituto, è un meccanismo, la cui struttura è tale che o la Cassazione è unica, ed allora serve a qualche cosa, o non lo è, ed allora non serve più a niente” (Atti Costituente, vol. V, p. 4171). 21 73 All’art. 102 del progetto una modifica molto importante fu apportata dal testo proposto da Paolo Rossi (per la commissione), con la quale si recepì la proposta di Leone di estendere la garanzia del ricorso per cassazione nei confronti dei “provvedimenti di giudice ordinario o speciale concernenti la libertà personale dell’imputato”27. Come è evidente, siffatta estensione del ricorso per cassazione ha riguardo non più alla funzione di nomofilachia della Cassazione, ma alla tutela garantistica della libertà personale, e quindi esclusivamente al profilo impugnatorio come garanzia meramente individuale. Può convenirsi con chi28 ha osservato che questa nuova previsione non è coerente con la concezione di Calamandrei costituente l’iniziale fondamento dell’art. 102 del progetto, anche se le due ipotesi di ricorso per cassazione sono unificate dal sindacato limitato alla violazione di legge29. Si è, di recente, osservato che la discussione dei Costituenti sul ricorso per cassazione “si concentrò essenzialmente su tre argomenti: l’unicità della Cassazione, la funzione del giudizio di cassazione come giudizio di legittimità, il sindacato sulle decisioni dei giudici speciali”30. L’osservazione può essere condivisa purché si abbia presente che i tre argomenti non furono esaminati separatamente, ma si intrecciarono nelle discussioni, onde la funzione di giudice di legittimità della Cassazione non sparì mai dal contesto degli interventi sulle disposizioni che sono poi diventate il secondo e terzo (oggi settimo ed ottavo) comma dell’art. 111. 4.- La posizione del primo presidente della Cassazione nell’ambito del Consiglio superiore della magistratura. Nella discussione sulla composizione del Consiglio superiore della magistratura una posizione particolare è stata, sin dall’inizio, attribui27 Per il testo dell’emendamento Leone ed il suo intervento illustrativo v. op. ult. cit., p.4163. 28 V., per tutti, V. Denti, in Commentario della Costituzione a cura di G. Branca, Zanichelli, sub art. 111, 1987, p.31: “unificando nella medesima proposizione normativa il ricorso contro le sentenze e quello contro i provvedimenti sulla libertà personale, il costituente ha oscurato la sostanziale differenza tra i due tipi di garanzia, avendo inteso con la seconda attribuire alla Cassazione il ruolo, estraneo alla nostra tradizione, di tutela dell’habeas corpus”. 29 Sul sindacato di legittimità e sulle “dicotomie” insite in esso v. A. Nappi, Il sindacato di legittimità nei giudizi civili e penali di cassazione, Giappichelli, Torino, 2006. 30 In tal senso v. A. Andronio, in Commentario alla Costituzione a cura di R. Bifulco, A. Celotto, M.Olivetti, Utet, Torino, 2006, vol. III, p. 2103. 74 ta al primo presidente della Cassazione. Il testo iniziale, proposto alla sottocommissione (seconda sezione) da Leone, che “riassume(va) gli articoli della sua relazione e di quella di Calamandrei”31, prevedeva che il Consiglio superiore era presieduto dal Presidente della Repubblica e ne attribuiva la vicepresidenza al primo presidente della Cassazione, con la composizione paritaria tra magistrati e membri eletti dall’Assemblea Nazionale. A seguito di una discussione che si protrasse per due sedute32 con diverse votazioni, in cui il tema della composizione del Consiglio si inserì in quello della autonomia della magistratura e dei rapporti con il potere esecutivo, e quindi con il Ministro della giustizia, fu approvato dalla sezione della sottocommissione un testo in cui, rimaste ferme la presidenza del Presidente della Repubblica e la composizione paritaria del Consiglio, era prevista la vicepresidenza del Ministro ed il presidente della Corte ne diventava (l’unico) membro di diritto33. Il tema fu ripreso nella adunanza plenaria della Commissione34, in cui, a seguito della presentazione di emendamenti, discussione e votazioni, si pervenne al testo dell’art. 97 del progetto presentato all’Assemblea35, il cui secondo comma era del seguente tenore: Il Consiglio Superiore della Magistratura, presieduto dal Presidente della Repubblica, è composto del Primo Presidente della Corte di cassazione, vicepresidente, di un altro vicepresidente nominato dall’Assemblea Nazionale e di membri designati per sette anni, metà da tutti i magistrati fra gli appartenenti alle diverse categorie, metà dall’Assemblea Nazionale fuori del proprio seno36. La previsione di due vicepresidenze fu determinata dalla considerazione che, essendo stato approvato l’emendamento Leone-Conti che escludeva il Ministro della giustizia dal Consiglio superiore e ne attribuiva la vicepresidenza al presidente della Cassazione, non era più rispettata la parità dei membri del Consiglio37. 31 Così il resoconto sommario della seduta dell’8 gennaio 1947 (Atti Costituente, vol. VIII, p. 1968). 32 Sedute dell’8 gennaio 1947 ed antimeridiana del giorno successivo. 33 Il testo approvato dalla seconda sezione della sottocommissione, in esito al lavoro di coordinamento, è quello che risulta dal resoconto della seduta dell’11 gennaio 1947, sub art.5 (op. ult. cit., p. 2015). 34 Seduta del 30/1/1947 (Atti Costituente, vol.VI, p.240-245). 35 Per il progetto di Costituzione presentato all’Assemblea costituente si rinvia alla precedente nota 17. 36 Si omette l’ultima proposizione del comma trascritto nel testo, che non rileva in questa sede. 37 V., in particolare, l’intervento di Calamandrei (op. ult. cit., p. 244). 75 Nell’Assemblea, dopo la discussione generale in cui il tema della presidenza e della vicepresidenza del Consiglio superiore fu affrontato da molti intervenuti38, ed a seguito della presentazione di non pochi emendamenti sull’art.97 del progetto39, Ruini, presidente della Commissione, dichiarò “di accettare, come testo base, da sostituirsi al testo della Commissione”, un particolare emendamento40, “con alcune modificazioni”, in cui si prevedeva (per la parte che qui interessa) che Il Consiglio superiore della magistratura, presieduto dal Presidente della Repubblica, è composto del primo presidente della Corte di cassazione, vicepresidente, del procuratore generale della Corte medesima, e di membri designati per quattro anni, metà dai magistrati e metà dal Parlamento. Su questo testo iniziarono le votazioni. Fu subito approvata la presidenza del Presidente della Repubblica, previo rigetto di due emendamenti che attribuivano la presidenza al primo presidente della Corte41. Si aprì poi una discussione sulla proposta di includere nel Consiglio superiore il Ministro della giustizia come secondo vicepresidente; messe ai voti e respinte le proposte sia di due vicepresidenze, sia della (unica) vicepresidenza affidata al Ministro, il presidente della Assemblea Terracini, di fronte alla proposta Lussu di attribuire la vicepresidenza, anziché al primo presidente della Corte (come era stato proposto dalla Commissione con l’adesione espressa in Aula da Scalfaro), ad un membro designato dal Parlamento, sospese la votazione sulla questione della vicepresidenza e dette precedenza alle votazioni sulla composizione del Consiglio42. Fu approvata la partecipazione di diritto del primo presidente e del procuratore generale della Corte. Successivamente, non approvato l’emendamento secondo cui il Consiglio era composto esclusivamente da magistrati, fu approvata la proposta Scalfaro che modificò secondo il regime vigente (due terzi di magistrati) la composizione paritaria formulata dalla Commissione43. 38 Si elencano gli interventi, con a fianco di ciascuno la pagina del resoconto dell’Assemblea costituente (Atti Costituente, vol V) in cui il tema è trattato: Bozzi (p. 3669), Pietro Mastino (p. 3677), Crispo (p. 3690), Villabruna (p. 3699), Angelo Carboni (p. 3713), Persico (p. 3735), Macrelli (p. 3745), Sardiello (p. 3753), Monticelli (p. 3760), Fausto Gullo (p. 3829), Umberto Merlin (p. 3929). 39 Riportati nel resoconto della seduta antimeridiana del 25 novembre 1947 (op. ult. cit., p. 4043 ss.) 40 Presentato, nella seduta pomeridiana del 25 novembre 1947, da Conti, Leone, Bettiol, Cassiani, Paolo Rossi, Dossetti, Perassi (op. ult. cit., p. 4070). 41 Op. ult. cit., p. 4071. 42 Op. ult. cit., p. 4079. 43 Op. ult. cit., p. 4081. 76 Quando, dopo questa votazione, che aveva modificato un punto su cui erano state molto vive le discussioni nella sottocommissione e nell’Assemblea, si tornò alla “questione della vicepresidenza”44, Lussu chiese la votazione a scrutinio segreto sul proprio già menzionato emendamento (vicepresidenza di un membro designato dal Parlamento), che fu approvato con 159 voti (contrari 151 voti). L’andamento delle votazioni rende non manifestamente infondata la supposizione, espressa all’epoca da taluno45, secondo cui “coloro che erano contrari alla prevalenza di magistrati nel Consiglio abbiano voluto prendersi una piccola rivincita”, o comunque – si potrebbe meglio dire – abbiano voluto riequilibrare la distribuzione dei poteri, nell’ambito del C.S.M., tra componente laica e componente togata. Non rileva qui la valutazione sulla scelta del Costituente in ordine alla vicepresidenza (comunque, a mio avviso, utile per la legittimazione ed il collegamento del Consiglio con gli altri poteri); interessa piuttosto segnalare il particolare rilievo che la figura del primo presidente della Cassazione ha assunto nella elaborazione delle norme costituzionali sulla magistratura, espressa esplicitamente nelle parole di Leone46 e di Ruini47. 5.- La qualità dei giudici della Corte. L’art. 106, terzo comma, e l’art. 135 Cost. esprimono chiaramente, anche se in modo indiretto, la concezione che il Costituente ha della professionalità particolarmente qualificata del giudice di cassazione. In particolare, l’art. 106 richiede il possesso di “meriti insigni” (oltre ad una particolare posizione professionale) per essere chiamati Così il Presidente: op. ult. cit., p. 4084. In tal senso C. Giannattasio, in La Costituzione italiana. Commento analitico a cura di G.Baschieri, L. Bianchi D’Espinosa, C. Giannattasio, Casa editrice R. Noccioli, 1949, p. 360. 46 “Riten(go) che la vicepresidenza affidata al Presidente della Cassazione significhi riconoscimento alla più alta carica della Magistratura, della sua funzione altissima nello Stato moderno, soprattutto in uno Stato repubblicano” (op. ult. cit., p. 4073). 47 “Questa duplice inserzione (scil.: dei due membri di diritto del C.S.M.) è giustificata dalla particolare dignità di questi due altissimi magistrati, che sono al di fuori di ogni interesse personale di carriera, e non riflettono che da un punto di vista generalissimo gli interessi delle varie categorie. E’ giusto che questi due magistrati facciano parte del Consiglio superiore, e siano sottratti al giuoco delle elezioni di categoria: siano dunque membri di diritto” (op. ult. cit., p. 4062). 44 45 77 (dall’esterno della magistratura) all’ufficio di consigliere di cassazione. Il possesso di meriti insigni era previsto nel citato progetto presentato da Calamandrei (art. 20, comma quarto), che recepiva nella sostanza l’istituto già contemplato nell’art. 122 dell’ordinamento giudiziario del 1941. La necessità dei meriti insigni era rimasta nel testo approvato dalla seconda sottocommissione (seconda sezione) della Commissione dei settantacinque48; ma, nel testo presentato dal comitato di redazione all’adunanza plenaria della commissione, detta previsione non era più riprodotta49, onde non figurava più nell’art. 98 del progetto presentato all’Assemblea costituente. Qui fu proposto l’emendamento Caccuri per il suo ripristino, che fu subito approvato senza alcuna discussione50. Anche nella composizione della Corte costituzionale la presenza dei giudici della Cassazione è prevista sin dalle prime proposte formulate nell’ambito della citata Commissione Forti51. E la presenza non esigua di tali giudici è una nota comune dei tre progetti relativi al potere giudiziario ed alla Corte costituzionale presentati alla Commissione per la Costituzione, pure se essi prevedevano differenti modalità di scelta degli stessi52. Nel progetto di Costituzione approvato dalla Commissione dei settantacinque (art. 127), che affidò al Parlamento la “nomina” di tutti i giudici della Corte, si previde che essa era composta per metà di magistrati; ma la genericità di questa previsione, che aveva già incontrato, nell’ambito della sottocommissione, le obiezioni (peraltro 48 Atti Costituente, vol. VIII, p. 2003 e, poi, p. 2015 (testo coordinato dalla sezione, art.6, quarto comma). 49 Atti Costituente, vol. VI, p. 262. 50 Nella seduta antimeridiana del 26 novembre 1947 (Atti Costituente, vol. V, p. 4111). 51 La Commissione, nella relazione conclusiva, propose che detta Corte “sia composta da membri eletti nel proprio seno dalla Corte di cassazione e in proporzione gradualmente minore dal Consiglio di Stato, dalla Corte dei conti, dalle Facoltà giuridiche, nonché dagli Ordini degli avvocati” (relazione su Sindacato di costituzionalità della legge, redatta da A. Giordano, in Relazione all’Assemblea costituente, vol. I, Failli, 1946, p. 64). V. anche la relazione generale redatta da G. Azzariti, (op. ult. cit., p. 10), che attribuisce la proposta sopra indicata alla maggioranza della sottocommissione competente. 52 In particolare, l’art. 34, comma quarto, del progetto Calamandrei prevedeva che I giudici della Suprema Corte Costituzionale sono scelti per metà tra i magistrati di grado non inferiore a quello di consigliere di cassazione, eletti dalla stessa magistratura; l’art. 3 del progetto Leone sulla Corte di garanzia costituzionale prevedeva che tre dei nove membri (tutti eletti dal Parlamento allargato) devono essere scelti tra i magistrati con funzioni non inferiori a consiglieri di cassazione; l’art. 2 del progetto Patricolo prevedeva che, su quindici membri della Corte, tre erano eletti fra i presidenti di sezione ed i consiglieri della Corte di cassazione. 78 non tradottesi in emendamenti) di Calamandrei, Ambrosini e Leone53, fu superata dall’Assemblea, al cui voto la stessa Commissione, a seguito delle ampie critiche formulate in generale all’art. 127 del progetto, presentò un testo del tutto diverso e corrispondente in sostanza all’attuale primo comma dell’art.13554. L’unica modifica che questo testo subì fu quella proposta dall’emendamento Bozzi e Persico che, nella previsione del sistema di scelta dei magistrati, sostituì al C.S.M. le supreme magistrature dell’ordine giudiziario e amministrativo55. La profonda differenza tra il testo approvato dalla Assemblea ed il progetto, in ordine alla composizione della Corte costituzionale56, si spiega se si considera che fu molto vivo il dibattito sulla natura della nuova Corte: organo svolgente una funzione prevalentemente politica ovvero organo con funzioni soprattutto tecnico-giurisdizionali57. Nella Commissione dei settantacinque prevalse la prima visione (da qui l’investitura tutta parlamentare della Corte), nella Assemblea prevalse la seconda58. Le disposizioni contenute nei primi due commi del vigente art. 135 sono coerenti con la scelta della Assemblea, che pertanto volle esprimere, anche nella composizione del nuovo organo di garanzia costituzionale, la fiducia nella qualità dei giudici della Corte di cassazione. 6.- La rilevanza costituzionale della Corte di cassazione. Dall’esame dei lavori della Assemblea costituente si desume chiaramente la concezione della Corte di cassazione che in essa prevalse: quella che sta alla base del disposto dell’art. 65 dell’ordinamento giuNella seduta del 23 gennaio 1947 (Atti Costituente, vol. VIII, p. 2053-2054). Il testo che recepiva l’emendamento a firma di Conti, Monticelli, Leone, Bettiol, Paolo Rossi ed Avanzini, prevedeva: La Corte costituzionale è composta di membri nominati per un terzo dal Presidente della Repubblica, per un terzo dal Parlamento riunito in seduta comune e per un terzo dal Consiglio superiore della magistratura; v. l’intervento di Perassi, per la Commissione, il quale integrò anche l’emendamento con il numero di quindici dei membri della Corte (Atti Costituente, vol. V, p. 4245). 55 Op. ult. cit., p. 4353. 56 E’ utile tenere presente che, secondo l’art. 127 del progetto, la Corte, per la metà diversa dai magistrati, era composta per un quarto di avvocati e docenti di diritto, per un quarto di cittadini eleggibili ad ufficio politico, tutti aventi l’età di almeno quaranta anni (tutti nominati, come si è detto, dal parlamento). 57 V., di recente, G. L. Conti, in Commentario alla Costituzione cit. nella nota 30, p. 2622-2624. 58 V. anche F. Rigano, Costituzione e potere giudiziario, cit. nella nota 4, p. 241 ss. 53 54 79 diziario, secondo cui questa istituzione “assicura l’esatta osservanza e l’uniforme interpretazione della legge, l’unità del diritto oggettivo nazionale, il rispetto dei limiti delle diverse giurisdizioni”. Nell’Assemblea fu presente anche un orientamento difforme, che rimase minoritario e che si espresse soprattutto nel favore per le Cassazioni regionali (o comunque per una istituzione che fosse organizzata in modo decentrato). Quest’ultimo orientamento, che individuava nella Cassazione unitaria ed accentrata una scelta dell’ordinamento fascista, trovò alimento anche in qualche episodio di cronaca contemporanea, come il discorso inaugurale dell’anno giudiziario della Cassazione tenuto, all’inizio del 1947, dal Procuratore generale Massimo Pilotti, il quale omise il tradizionale saluto al Capo dello Stato, che per la prima volta era il Presidente della Repubblica59. Il modello della Cassazione recepito dalla Costituzione corrisponde sostanzialmente alla concezione tradizionale approfondita negli studi di Calamandrei60, anche se la disposizione contenuta nel progetto di quest’ultimo, che confermava la norma dell’art. 65 dell’ordinamento giudiziario61, non entrò nel progetto di Costituzione approvato dalla Commissione dei settantacinque e pure la disposizione sul giudicato contenuta dall’art. 104 del progetto di Costituzione62 (corrispondente all’art. 4 del progetto Calamandrei) non fu condivisa dall’Assemblea costituente. Il fatto che queste disposizioni del progetto Calamandrei non furono recepite dalla Costituzione non fa venire meno la considerazione essenziale che le funzioni di nomofilachia e di regolazione delle diverSul c.d. caso Pilotti e sulle polemiche da esso suscitate v. F. Rigano, Costituzione e potere giudiziario cit., p. 69. V. anche la recisa critica al comportamento del Procuratore generale espressa da Calamandrei nella seduta dell’Assemblea del 4 marzo 2007, in Atti Costituente, vol. I, p. 162. 60 In tal senso v. A. Pizzorusso, Corte di cassazione, in Enciclopedia giuridica Treccani cit., § 1.1, secondo cui la Costituzione ha recepito “il sistema della cassazione quale è stato delineato attraverso una tradizione di studi che ha il suo massimo prodotto nella famosa opera di Piero Calamandrei”. Secondo A. Barbera, “se si fa eccezione per la figura del commissario della Giustizia e, soprattutto, per la unicità della giurisdizione, quasi tutte le proposte di Calamandrei verranno accolte e andranno a costituire la struttura portante del testo costituzionale” (op. cit. retro, nella nota 12, p. 139). 61 V. l’art. 12 del progetto Calamandrei riportato retro, nella nota 11. 62 L’art. 104 del progetto di Costituzione prevedeva che Le sentenze non più soggette ad impugnazione di qualsiasi specie non possono essere annullate o modificate neppure per atto legislativo, salvo i casi di legge penale abrogativa o di amnistia, grazia ed indulto (primo comma) e L’esecuzione di una sentenza irrevocabile non può essere sospesa se non nei casi previsti dalla legge (secondo comma). 59 80 se giurisdizioni, già attribuite alla Cassazione dal preesistente ordinamento giudiziario, sono il presupposto implicito degli attuali commi settimo ed ottavo dell’art. 111 Cost., sia nel significato oggettivo del disposto normativo, sia nelle intenzioni del Costituente, quale è possibile desumere dai lavori preparatori della Costituzione63. Quindi, non solo la Corte di cassazione è stata contemplata direttamente dalla legge fondamentale dello Stato come organo giurisdizionale e nelle figure del suo primo presidente e del procuratore generale presso la stessa Corte nonché dei consiglieri, ma soprattutto sono state recepite, sia pure in modo implicito, le funzioni già attribuite alla istituzione. Onde può dirsi che dette funzioni hanno assunto rilevanza costituzionale, nel senso che esse non possono essere soppresse, di diritto o nella realtà effettuale, dal legislatore ordinario. Ciò è stato affermato esplicitamente dalla Corte costituzionale, secondo cui “le leggi ordinarie non possono disporre delle funzioni costituzionalmente riservate alla Corte di cassazione”64. Una conferma recente di tale affermazione, con riferimento specifico alla funzione di nomofilachia, si desume dal messaggio del Presidente della Repubblica Ciampi con cui, il 20 gennaio 2006, è stata rinviata alle Camere la proposta legislativa di modifica del codice di procedura penale che è stata poi riapprovata come legge 20 febbraio 2006, n. 46. Nel messaggio presidenziale65 si afferma che le modifiche apportate all’art. 606 c.p.p. “generano un’evidente mutazione delle funzioni della Corte di cassazione, da giudice di legittimità a giudice di merito, in palese contrasto con quanto stabilito dall’art. 111 Cost.”. La rilevanza costituzionale delle funzioni della Cassazione (desumibile dall’art. 111 Cost.) è stata riferita dalla Corte costituzionale (nella citata sentenza n. 86 del 1982 e nella contemporanea sentenza n. 87) anche alla posizione dei giudici della Cassazione, in quanto essa ha affermato che il legislatore ordinario non può trascurare il conferi63 Va, però, ricordato quanto si è già segnalato (v. retro, § 3 e, in particolare, nota 28) in ordine alla funzione di garanzia della libertà personale che, nell’art. 111, attuale settimo comma, si è aggiunta alle funzioni previste dall’art. 65 ord. giud.. 64 Così Corte cost. 10 maggio 1982, n. 86, § 6, in Il Foro it., 1982, I, c. 1518. 65 Il messaggio presidenziale è pubblicato in Il Foro it., 2006, V, c. 83. Nella parte del messaggio a cui ci si riferisce nel testo si prendono in esame due modifiche dell’art.606 c.p.p., relative ai motivi del ricorso per cassazione, che sono state poi riapprovate dalle Camere, ma in una versione diversa e più attenuata rispetto a quella, radicalmente innovativa, approvata prima del messaggio di rinvio. 81 mento effettivo delle funzioni di giudice di legittimità nel disciplinare la nomina a magistrato di cassazione e l’elettorato passivo per il C.S.M.66. Può, quindi, concludersi per la rilevanza costituzionale non solo della giurisdizione attribuita alla Cassazione, ma anche delle funzioni esercitate dai giudici di legittimità e, conseguentemente, della qualità degli stessi. 7.- Attualità delle finalità e dei valori perseguiti dal Costituente. Se le finalità perseguite dal Costituente nel disciplinare la Corte di cassazione ed i valori ad esse sottesi si confrontano con le esigenze oggi emergenti nella società italiana e nel mondo del diritto, si resta sorpresi dalla attualità delle une e degli altri. E’ sufficiente qui richiamare due recenti interventi del legislatore ordinario, l’uno attinente alla giurisdizione civile della Cassazione e l’altro al profilo ordinamentale del magistrato di cassazione: il primo messo a punto da un governo di centro-destra ed il secondo frutto di una iniziativa del governo di centro-sinistra. Il primo intervento legislativo è costituito dal d. lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, che ha modificato il processo civile di cassazione “in funzione nomofilattica”, in attuazione della legge-delega 14 maggio 2005, n. 80, la quale, nell’art. 1, comma 3, lettera a), ha introdotto nell’ordinamento la parola nomofilachia (nella sua forma aggettivale). Non è questa la sede per stabilire se il legislatore (sia delegante che delegato) sia riuscito a conseguire effettivamente l’obiettivo propostosi, e cioè una disciplina del giudizio civile di cassazione idonea a realizzare la funzione di nomofilachia; rileva soltanto la constatazione che detta funzione, ritenuta così attuale dal legislatore del 2005-2006, è proprio quella che la Costituzione ha voluto mantenere alla Corte di cassazione, compiendo una scelta non unanimemente condivisa dall’Assemblea costituente, ma discussa e poi prevalsa67. 66 La sentenza n.86 concerne la nomina a consigliere di cassazione e la sentenza n.87 l’elezione al C.S.M. (v. le due sentenze in Il Foro it., 1982, I, c. 1495, con nota di A. Pizzorusso). 67 E si vedrà (v. infra, § 8) che la Corte cost., nella recentissima sentenza n.98/2008, ha ritenuto coerente con la funzione di nomofilachia perseguita dalla legge delega n.80/2005 l’introduzione, da parte del legislatore delegato (d. lgs. n.40 del 2006), di un “filtro” alla proponibilità del ricorso per cassazione. 82 Il secondo intervento è quello contenuto nella legge 30 luglio 2007, n. 111 che, nell’apportare molteplici modifiche all’ordinamento giudiziario (quale risultante dai numerosi decreti legislativi attuativi della c.d. riforma Castelli approvata con la legge 25 luglio 2005, n. 150), ha previsto, solo per il conferimento delle funzioni di legittimità, la valutazione, nei candidati, della “capacità scientifica e di analisi delle norme”, affidata ad una apposita commissione nominata dal C.S.M. (art. 12, commi 13-16 del d.lgs. 5 aprile 2006, n. 160, nel testo sostituito dall’art. 2, comma 3, della citata legge n.111 del 2007). Il C.S.M., nel conferire le funzioni di legittimità, può discostarsi dal parere espresso dalla menzionata commissione, ma in tal caso “è tenuto a motivare la sua decisione”. Chiaro è il collegamento di questa nuova disciplina con la particolare qualificazione professionale del magistrato di cassazione, richiesta, come si è visto, dalla Carta costituzionale. Non sempre, nel corso del sessantennio, i valori insiti nelle norme costituzionali sulla Corte di cassazione (funzione di nomofilachia della giurisdizione, particolare qualificazione dei magistrati che esercitano funzioni di legittimità) sono stati attuali ed accettati. Senza ripercorrere la storia di un periodo non breve (soprattutto nel dibattito culturale e nelle prassi invalse nelle istituzioni competenti), ci si limita qui a ricordare, per quanto attiene alla nomofilachia, le proposte contenute nello schema di disegno di legge “per la riforma dell’ordinamento giudiziario”, elaborato dalla apposita commissione ministeriale costituita con decreto 19 maggio 1982 e presieduta da Giuseppe Mirabelli68, che soppresse la funzione di nomofilachia della Cassazione69, ritenendola “utopistico retaggio di ordinamenti superati”70 e riducendo la funzione del ricorso per cassazione alla garanzia individuale dell’impugnazione. 68 Giuseppe Mirabelli, quando fu chiamato a presiedere la commissione ministeriale, era presidente aggiunto della Cassazione e ne divenne poi primo presidente. La commissione iniziò i lavori l’11 ottobre 1982 e li terminò il 30 aprile 1985. 69 L’art. 37 dello schema di disegno di legge, sotto la rubrica “funzioni della Corte di cassazione” era del seguente contenuto: La Corte di cassazione giudica della conformità alla legge dei provvedimenti dei giudici, regola i conflitti di giurisdizione, di competenza e di attribuzione ed esercita gli altri compiti ad essa deferiti dalla Costituzione e dalle leggi. Veniva, quindi, eliminato il riferimento alla uniforme interpretazione della legge e all’unità del diritto oggettivo, mentre veniva conservato il giudizio sui conflitti di attribuzione superato dalla istituzione della Corte costituzionale. 70 Così la relazione illustrativa del disegno di legge, p. 29 del dattiloscritto ministeriale. 83 Le proposte della commissione Mirabelli non ebbero un seguito istituzionale, ma esse, nel punto qui considerato, esprimono bene un atteggiamento culturale, piuttosto ampio e prolungato nel corso del sessantennio, contro il disposto dell’art. 65 dell’ordinamento giudiziario (sostanzialmente recepito, come si è visto, dalla Costituzione). Questo atteggiamento trova spiegazione in una non condivisibile lettura dello stesso art. 65, tutta volta ad esaltare la posizione di vertice che alla Cassazione era attribuita dal vecchio ordinamento della magistratura e che la Costituzione aveva inteso superare71; ma la fondata istanza di riforma ordinamentale richiesta dal nuovo assetto costituzionale della magistratura finiva per espandersi sul terreno processuale, che va invece tenuto distinto. L’autonomia ed indipendenza della magistratura sono valori che vanno congiunti con l’altro valore dell’uniforme interpretazione della legge; la loro coesistenza può aversi se la nomofilachia viene perseguita esclusivamente nell’ambito e con gli strumenti del processo, senza che all’istituzione giudiziaria per essa predisposta sia attribuita una particolare posizione sul piano ordinamentale, idonea a realizzare impropri effetti di controllo e di conformazione dell’intera magistratura. La recente attualizzazione legislativa della “funzione nomofilattica” della Cassazione non può, però, fare ignorare che essa continua a trovare obiezioni in una parte della dottrina, che ne denuncia soprattutto la concreta impossibilità72. Ma è difficile non condividere i valori sottesi alla uniformità della giurisprudenza73: la parità di trattamento delle persone che ricorrono alla tutela giurisdizionale; la prevedibilità delle decisioni giudiziarie; più in generale una almeno tendenziale certezza nella conoscenza del contenuto delle disposizioni normative. E l’attuale assetto complesso, oscuro e spesso caotico della normativa, soprattutto dei settori di legislazione speciale, aumenta il bisogno della società attuale di nomofilachia. Tale bisogno viene accresciuto da un fattore di recente emersione, costituito dalla incidenza sempre maggiore che vanno assumendo le 71 Art.VII, comma primo, delle disp. trans., il cui contenuto è coerente con il nuovo disegno costituzionale dell’ordinamento della magistratura. 72 Così, di recente, P. Biavati, nel volume collettaneo La giustizia civile e penale in Italia, Il Mulino, Bologna, 2008, p. 182, il quale, a proposito della menzionata riforma del giudizio civile di cassazione del 2005-2006, giudica il “tentativo del legislatore di restaurare la capacità nomofilattica della Cassazione” come “un tentativo non riuscito e, probabilmente, impossibile”. 73 V., di recente, S. Chiarloni, voce Ricorso per cassazione (dir. proc. civ.), in Il diritto. Enciclopedia giuridica del Sole 24 ore, 2007-2008, vol. 13, p. 532. 84 Corti internazionali (Corte dei diritti dell’uomo, Corte di giustizia delle Comunità europee), la cui giurisprudenza rende indispensabile, a livello interno, un momento di sintesi dell’attività interpretativa, idonea ad evitare situazioni di frammentazione applicativa del diritto74. Ciò è particolarmente evidente nel diritto comunitario che rende (non facoltativa, ma) obbligatoria la rimessione alla Corte di giustizia della questione pregiudiziale75 quando essa insorga “in un giudizio pendente davanti a una giurisdizione nazionale, avverso le cui decisioni non possa proporsi un ricorso giurisdizionale di diritto interno”, quale è il giudizio davanti alla Corte di cassazione, alla quale viene così affidato il compito di coordinare il diritto interno con l’ordinamento comunitario, evitando che si formi una giurisprudenza nazionale in contrasto con quest’ultimo ordinamento Tutto ciò non può essere messo in non cale solo dalla difficoltà di raggiungere l’obiettivo, la quale non è una ragione sufficiente per rinunziare al suo, sia pure limitato, conseguimento. 8.- Il paradosso della situazione attuale della Corte. Occorre, invece, analizzare le difficoltà ed intervenire per un loro, almeno parziale, superamento. Senza avere la pretesa di affrontare qui il complesso tema, ci si limita a considerare un aspetto di quella che, secondo una valutazione ampiamente diffusa, è la difficoltà principale che si frappone all’effettivo esercizio della funzione nomofilattica: il sovraccarico di lavoro incombente sulla Cassazione a causa dell’elevatissimo numero dei ricorsi proposti. Al riguardo mi sembra utile segnalare una caratteristica della situazione attuale, che la rende paradossale rispetto agli obiettivi perseguiti dal Costituente, essendo clamorosamente e sorprendentemente contraria agli stessi. 74 Per qualche esempio recente di sentenze della Cassazione intervenute su problemi collegati con la giurisprudenza delle Corti internazionali v. la Relazione sull’amministrazione della giustizia nell’anno 2007, tenuta dal Primo Presidente della Cassazione V. Carbone, parte VIII (Il bilancio dell’attività della Corte nel settore penale), § 1-2. 75 Secondo l’art. 234 del Trattato CE “la Corte di giustizia è competente a pronunciarsi, in via pregiudiziale: a) sull’interpretazione del presente trattato; b) sulla validità e l’interpretazione degli atti compiuti dalle istituzioni della Comunità e della BCE” (non rileva qui la successiva lettera c dell’art. 234). La rimessione della questione pregiudiziale alla Corte di giustizia è facoltativa per ogni giurisdizione di uno Stato membro, ed è obbligatoria per la sola giurisdizione indicata nel testo. 85 Nel descrivere l’origine della disposizione dell’art. 111, settimo comma, Cost. sul ricorso per cassazione, si è constatato che essa è il risultato di due visioni diverse delle funzioni dell’istituto: quella di Calamandrei, che dà prioritario rilievo alla funzione nomofilattica della Cassazione; e quella di Leone, che è interessato alla garanzia della libertà del singolo costituita dall’impugnazione di legittimità, da consentire contro tutte le sentenze. E si è visto che la generalizzazione del ricorso per cassazione (è sempre ammesso) si riconduce ad una previsione del progetto Leone, e non certo al progetto Calamandrei che si limitava ad individuare le funzioni della Cassazione, senza neanche prevedere esplicitamente il ricorso per cassazione. Non è da trascurare la considerazione che mentre il primo componente dell’Assemblea costituente era uno studioso e pratico del processo civile, il secondo componente studiava e praticava il processo penale. Ed in realtà l’esigenza di nomofilachia sembra avvertita in maggiore misura dagli avvocati del foro civile rispetto a quelli del foro penale, più sensibili, in linea generale, alla garanzia individuale dell’impugnazione76. Ma, a mio avviso, l’esigenza di certezza normativa non è minore quando ha per oggetto l’individuazione dell’area dei comportamenti puniti con una sanzione stigmatizzante come quella penale. E ciò vale soprattutto per i diversi settori di legislazione penale speciale, molto confusi anche perché soggetti a frequenti e complesse modifiche. Qui, come nella legislazione processuale, la funzione nomofilattica è necessaria non meno che nel settore civile, pure se è vero che nel processo penale più frequentemente il punto centrale è costituito dall’accertamento del fatto e quindi dalla necessità di verificare la legalità della relativa motivazione fornita dal giudice del merito77. E’ indubbio, però, che la generalizzazione del ricorso per cassazione è coerente con la finalità di garanzia individuale dell’istituto, ma non con la funzione di nomofilachia, la quale presuppone la selezione dei ricorsi che pongono questioni giuridiche la cui soluzione possa costituire un “precedente”. 76 Un recente, chiaro riscontro della differenza indicata nel testo è individuabile negli opposti indirizzi legislativi seguiti, per il giudizio civile di cassazione, dalla già ricordata legge 14 maggio 2005, n. 80 (e dal conseguente d. lgs. 2 febbraio 2006, n.40) e, per l’analogo giudizio penale, dalla legge 20 febbraio 2006, n. 46. 77 Sulla necessità della funzione di nomofilachia anche nel settore penale, pure se si riconosce che, in Italia, gli studi su di essa si sono avuti soprattutto da parte della dottrina civilistica (ma non così in Germania), v. A. Nappi, Il sindacato di legittimità, cit. retro nella nota 29, p.23-25. 86 Ebbene, le conseguenze più negative della generalizzazione del ricorso per cassazione incombono, oggi, sulla Cassazione civile, davanti alla quale si è creata una pendenza di ricorsi costituente ormai una emergenza (sotto l’aspetto della durata ragionevole del giudizio di cassazione, che, secondo la Corte di Strasburgo, non può superare un anno), mentre la Cassazione penale riesce a fare fronte in tempi di regola accettabili al numero, pur esso elevato, di ricorsi (con l’eccezione – che qui non si può prendere in esame – dei ricorsi in materia di misure cautelari personali coercitive). Qualche dato statistico per rendere chiara la rilevata differenza. Alla data del 30 aprile 2008 il numero complessivo dei ricorsi civili pendenti era di 101.976, mentre i ricorsi penali pendenti erano complessivamente 29.97978. Per valutare l’entità di queste pendenze occorre metterle a raffronto con la capacità attuale di definizione dei procedimenti, espressa dal numero totale di ricorsi eliminati nel 2007: nell’intero anno la Cassazione ha eliminato n. 29.776 procedimenti civili e n. 47.959 procedimenti penali. Ponendosi in rapporto la pendenza con quella che potremmo chiamare la “capacità produttiva” attuale della Corte, la pendenza penale esistente al 30 aprile 2008 costituisce il 62,50% della capacità di smaltimento annuale, mentre la pendenza civile esprime il 342,47% della stessa capacità. La gravissima situazione della Cassazione civile è da attribuirsi all’andamento delle sopravvenienze che, per i ricorsi civili, sono enormemente cresciute rispetto all’anno di approvazione della Costituzione. Nel 1948 furono presentati in Cassazione n. 3741 ricorsi civili ed il numero annuale di tali ricorsi, fino al 1972, si è sempre mantenuto inferiore a quello di 500079; esso si è poi progressivamente elevato attestandosi, negli anni dal 1978 al 1985, ad oltre 9000 (ma sempre inferiore a 10.000), superando sensibilmente il limite di 10.000 dal 1986 al 1997, e dal 1998 oltrepassando, in rapidissima progressione, anche il limite di 20.000 e poi quello di 30.000 a partire dal 2001 ed in quasi tutti gli anni di questo secolo80. 78 Va segnalato, incidentalmente, il miglioramento delle pendenze avutosi nel primo quadrimestre dell’anno in corso, perché, alla fine del 2007, pendenti erano n. 102.588 ricorsi civili e n. 33.212 ricorsi penali (tavole statistiche allegate alla Relazione sull’amministrazione della giustizia nell’anno 2007, cit. retro nella nota 74). 79 Cfr. C. Cecchi, Analisi statistica dei procedimenti civili di cognizione in Italia, Laterza, Bari, 1975, Tav. III, p.275. 80 Per i dati statistici dal 1993 in poi v. le tavole statistiche cit. nella nota 78. 87 E’ evidente l’enorme distanza dalla domanda di giustizia che la Cassazione aveva davanti quando fu costituzionalizzato il compito di nomofilachia ad essa attribuito. Della situazione attuale del settore civile della Corte occorre prendere consapevolezza. Appare oggi paradossale che la generalizzazione del ricorso per cassazione, riconducibile a scelte della cultura penalistica, finisca con l’ingolfare e sommergere il giudizio civile di cassazione, nel quale l’intervento della Corte non è stato inteso, all’inizio dei lavori della Costituente, in funzione di garanzia individuale, ed al quale si addice, anziché l’attuale illimitata possibilità di proposizione del ricorso (con l’ampissimo uso che di essa oggi si fa), un filtro selettivo idoneo a realizzare in concreto quelle funzioni di nomofilachia che la Cassazione, secondo la concezione prevalsa nell’Assemblea costituente, è tenuta ad assolvere. E di “filtro” alla ricorribilità per cassazione ha, da ultimo, parlato anche la Corte costituzionale, nella sentenza 11 aprile 2008, n. 98, la quale ha ritenuto che rientrasse nell’obiettivo perseguito dalla già citata legge delega n. 80 del 2005 - di recupero della funzione nomofilattica della Cassazione - la riduzione dei casi di inappellabilità delle sentenze e di conseguente loro immediata ricorribilità per cassazione. L’introduzione dell’appello quale “filtro” del ricorso per cassazione (“al fine di evitare che il giudizio di diritto, e dunque l’esercizio della funzione nomofilattica, vengano inquinati da impropri elementi di fatto, riversati sulla Corte proprio a causa dell’assenza del filtro intermedio”81), se giova al corretto esercizio delle funzioni della Cassazione, non accelera la durata complessiva del giudizio e, quindi, non contribuisce ad assicurare la ragionevole durata dell’intero processo, che è una finalità ed un valore del nuovo testo dell’art. 111 Cost.. Da qui deriva la necessità di prevedere, almeno nel processo civile, un diverso tipo di limite alla proponibilità illimitata del ricorso per cassazione, senza che, ovviamente, l’attesa di un necessario intervento legislativo attenui il dovere della Corte e di tutti i suoi componenti di elaborare misure organizzative e prassi lavorative idonee a fare fronte al crescente aumento delle sopravvenienze ed a migliorare la grave situazione esistente. Occorre, comunque, essere consapevoli che il mantenimento e la migliore realizzazione effettiva della scelta fondamentale del Costi- Le parole virgolettate sono tratte dalla motivazione della citata sentenza della Corte cost., che le ha riprese dalla relazione ministeriale al d.lgs. n.40 del 2006. 81 88 tuente di una Corte di cassazione unica e “nazionale”, da un lato, sono oggi resi ancora più necessari dall’ordinamento europeo e, prima ancora, da quello regionale82; dall’altro, esigono che tutte le istituzioni cooperino per rendere in concreto possibile l’assolvimento della funzione di nomofilachia che ad essa sola, ed insostituibilmente, è affidata. Sono da ricordare le seguenti considerazioni di Calamandrei (Atti Costituente, vol. V, p. 4173): “l’esistenza delle Regioni e dello Stato regionale è una ragione di più per mantenere e rafforzare la Cassazione unica; è una ragione decisiva per la quale se la Cassazione non fosse unica bisognerebbe proprio oggi unificarla. In proposito esempi istruttivi si trovano negli ordinamenti stranieri a tipo federale. E’ inutile entrare in particolari: tutti sanno che in Svizzera, nella Germania del secolo scorso, negli Stati Uniti d’America, c’è al vertice, come necessario complemento e correttivo dell’autonomia che hanno gli Stati componenti la Federazione, un organo centrale giurisdizionale unico (la Corte federale, il Reichsgericht, ecc.) posto come moderatore delle forze centrifughe, e che rappresenta una specie di ingabbiatura giuridica destinata a tenere insieme gli elementi componenti e ad impedire che essi si assumano, attraverso la disformità della giurisprudenza, poteri legislativi più ampi di quelli permessi dalla Costituzione”. 82 89 La dialettica tra Corte di Cassazione e Corte Costituzionale nell’interpretazione della norma giuridica e nell’applicazione del precetto costituzionale Mario Rosario MORELLI Consigliere della Corte di cassazione 1.– Alla Corte di cassazione spetta - come ben noto - il compito da garantire l’uniforme interpretazione ed applicazione della legge: da cui dovrebbe conseguire anche un risultato deflattivo del contenzioso (e quindi acceleratorio della durata media dei processi) per l’effetto dissuasivo che una tempestiva, chiara, uniforme e (tendenzialmente) stabile interpretazione della legge è suscettibile di esercitare rispetto alla proposizione di tutti quei giudizi il cui esito risulti in partenza pregiudicato da principi così enunciati. La nostra Corte di Cassazione non è però, effettivamente, allo stato, in grado di assolvere in modo adeguato e funzionale questo ruolo (insopprimibile) di giudice di legittimità o della c.d. “nomofilachia”. E ciò per l’ormai insostenibile sovraccarico che le comporta l’attribuzione di una anomala concorrente funzione di giudice di merito di terzo grado. Con la conseguenza che questa Corte – nell’impossibilità di dominare la marea di ricorsi da cui è per l’effetto sommersa (e che costituisce una anomalia della Corte italiana, che non trova riscontro nella Corte di legittimità di alcun altro Paese), - finisce con l’essere inevitabilmente in ritardo sul piano della nomofilachia e col perdere in qualità per dover rincorrere la quantità, con enunciazioni di diritto spesso eccessivamente orientate dal fatto e perciò frammentarie e instabili, quando non (inconsapevolmente) contraddittorie. Cosicché il ricorso per cassazione, da mezzo eccezionale posto a tutela oggettiva della coerenza dell’ordinamento giuridico, finisce invece con il divenire lo strumento, diffusamente e surrettiziamente adoperato, per ottenere una duplicazione (quando non addirittura la triplicazione, la quadruplicazione, ecc.) dei tempi fisiologici di durata del processo. 1.1. – Quali allora i rimedi? Il Presidente Carbone ci ha parlato, in apertura, dei possibili “filtri” idonei a restringere e selezionare l’accesso alla Corte, e, in questa direzione, pare ormai indifferibile, e non solo auspicabile, l’intervento del legislatore. 90 2. – La restituzione della Cassazione alla sua funzione di legittimità renderebbe a questo punto anche più chiaro il ruolo di questa Corte rispetto alla Corte costituzionale per i profili di interferenza e confluenza delle rispettive funzioni (quella, appunto, “nomofilattica” della Cassazione e quella sindacatoria della costituzionalità delle leggi attribuita all’altra Corte). E ciò sul duplice versante della: a) esegesi della norma ordinaria, quanto all’approccio che, nel giudizio incidentale di legittimità costituzionale, il Giudice delle leggi adotti rispetto alla “uniforme interpretazione” che della disposizione sottoposta al suo sindacato già abbia dato la Cassazione; b) esegesi della norma costituzionale che (parallelamente alla Corte costituzionale) anche la Cassazione ha facoltà di operare (e si trova di fatto ad operare) sia agli effetti della diretta applicazione nei rapporti intersoggettivi delle norme costituzionali – immediatamente precettive – di tutela dei diritti fondamentali della persona, sia agli effetti della doverosa opzione, tra le più interpretazioni [in tesi] possibili della norma ordinaria, di quella conforme alla Costituzione: che dovrebbe realizzare di per sé, in prima battuta, l’allineamento della normazione ordinaria alla Costituzione, riservando l’intervento (annullatorio) della Corte costituzionale alle più gravi patologie normative, non altrimenti emendabili per via di interpretazione adeguatrice. 3. – La configurazione, nei termini che si prospettano, del ruolo delle due Corti (vengo ora propriamente al tema del mio intervento) è venuta delineandosi solo per via di assestamenti progressivi (talora anche traumatici) nella giurisprudenza parallela dei due Organi. Diversa, per altro, come si vedrà, è la cifra di sintesi del percorso evolutivo del rapporto fra le due Corti nell’uno e nell’altro dei due riferiti contesti, rispettivamente applicativi della norma ordinaria e di quella costituzionale. Sul primo versante vi sono stati, infatti, momenti di scontro (anche aspro) tra le due Corti e si è posta l’esigenza di ricercare una regola (che è stata poi trovata in via compromissoria) per la delimitazione dell’ambito delle rispettive competenze. Diversamente, sul secondo versante, all’atteggiamento della Corte costituzionale di aperto riconoscimento del potere dei giudici di applicare direttamente, nei rapporti intersoggettivi, le norme costituzionali di garanzia dei diritti fondamentali della persona e del loro potere (dovere) di utilizzare i precetti costituzionali in funzione ermeneutica per un controllo diffuso di legittimità della legislazione ordinaria 91 attraverso il meccanismo della “interpretazione adeguatrice” (cfr., da ultimo, ordinanza nn. 33, 57, 90, 123, 154, 155, 156 del 2008), ha fatto riscontro una estrema cautela e perplessità dei giudici e della Cassazione nell’esercizio di tali poteri. Inoltre, mentre la definizione del ruolo rispettivo della Cassazione e della Corte costituzionale in ordine all’esegesi della norma ordinaria risulta allo stato sufficientemente stabilizzata (per cui l’argomento interessa, per questo aspetto, in chiave prevalentemente storicistica, di ricostruzione del percorso che ha condotto all’agreement istituzionale), non altrettanto può invece dirsi con riguardo al profilo della applicazione (diretta o indiretta) della norma costituzionale nei giudizi ordinari; per tal secondo versante, essendo invero, ancora compiutamente da definire il ruolo e l’ampiezza dei poteri del giudice ed avendo quindi la riflessione obiettivi di ricerca (ancora aperta) delle più congrue soluzioni. 3.1. – Il primo segnale di quello che sarebbe stato il futuro contenzioso fra le due Corti in ordine all’esercizio della funzione di interpretazione della norma ordinaria si ebbe già con la sentenza n. 3 del 1956 (anno di esordio della Corte costituzionale): nella quale quel giudice anticipò la rivendicazione di un proprio potere di interpretare in via autonoma la disposizione impugnata con l’incidente di costituzionalità, ancorchè stemperandola con una affermazione programmatica di tendenziale rispetto di preesistenti orientamenti giurisprudenziali. È dato, infatti, testualmente leggere in detta pronuncia che “la Corte, pur ritenendo di potere e di dovere interpretare con autonomia di giudizio e di orientamenti e la norma costituzionale che si assume violata e la norma ordinaria che si accusi di violazione, non può non tenere il debito conto di una costante interpretazione giurisprudenziale che conferisca al precetto legislativo il suo effettivo valore nella vita giuridica, se è vero, come è vero, che le norme sono non quali appaiono in astratto, ma quali sono applicate nella quotidiana opera del giudice, intesa a renderle concrete ed efficaci”. 3.2. – Quella prima rivendicazione rimase però per lungo tempo allo stato di enunciazione puramente virtuale, senza concrete conseguenze. Solo nove anni più tardi il tono dei rapporti fra le due Corti si inasprì invece bruscamente e si aprì quella fase che, con una suggestiva immagine, fu definita come “la guerra delle due Corti”. A rompere le relazioni diplomatiche fra le due Corti fu la sentenza n. 11 del 1965. Chiamata a sindacare, in relazione all’art. 24 della Costituzione, la 92 legittimità dell’art. 392 c.p.p. in quanto interpretato “anche dalla Cassazione a sezioni unite” in senso ostativo alla applicazione delle garanzie previste dalla novella del ‘55 nella istruttoria sommaria, la Corte costituzionale dichiarò infatti non fondata “nei sensi di cui in motivazione” tale questione dopo aver reinterpretato la norma denunciata nel senso viceversa della sua naturale apertura alla applicazione di quelle garanzie. Ed, a tal fine, espressamente teorizzò che «stabilire quale sia il contenuto della norma impugnata è inderogabile presupposto del giudizio di legittimità costituzionale; ma esso appartiene al giudizio della Corte non meno della comparazione, che ne consegue, fra la norma interpretata e la norma costituzionale, l’uno l’altro essendo parti inscindibili del giudizio che è propriamente suo». Fermo fu però, a quel punto, il rifiuto dei giudici di ritenersi vincolati alle decisioni interpretative (di rigetto) della Corte costituzionale. Con la conseguenza che quella Corte, nuovamente investita della questione, dovette prendere atto della persistente contrarietà della magistratura – specie di vertice – all’applicazione nella istruttoria sommaria delle garanzie difensive vigenti per quella formale e sanzionò conclusivamente, in termini di incostituzionalità, la sottostante disparità di trattamento sul versante della difesa con la successiva sentenza n. 52 del 1965. Questa pronuncia dette luogo peraltro ad una ulteriore occasione di scontro tra le due supreme magistrature quanto all’efficacia temporale, retroattiva o meno, delle pronunzie costituzionali caducatorie di norme processuali. Con la sentenza Tarantino del 24 gennaio 1966, infatti, le Sezioni unite penali della Cassazione – in applicazione del principio processuale “tempus regit actum”, affermarono che “la sentenza della Corte costituzionale n. 52 del 1965, che ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 392, comma primo, cod. proc. pen. (nella parte in cui rende(va) possibile non applicare alla istruzione sommaria le garanzie difensive stabilite per l’istruzione formale di cui agli artt. 304 bis, ter, quater stesso codice), non ha effetto retroattivo nei giudizi in corso”, per cui “restano fermi gli atti di istruttoria sommaria già compiuti alla stregua del medesimo art. 392” come vigente prima dell’intervento conformativo del giudice delle leggi. Questa accezione restrittiva dell’effetto temporale della decisione costituzionale di accoglimento fu subito sconfessata – con un’altra interpretativa di rigetto dalla Corte costituzionale. La quale, con la sen- 93 tenza n. 127 del 1966, in contrario affermò che – “pur ammettendo l’esistenza nel nostro ordinamento di un tale principio (tempus regit actum), ricollegato a quello generale della normale non retroattività delle leggi che modificano o sostituiscono quelle precedenti – al principio stesso non può farsi richiamo nel caso di specie, il quale è retto da principi diversi (da quelli che regolano l’abrogazione della legge), e cioè dai principi che disciplinano l’annullamento (art. 136 Cost.)” ai quali è coessenziale la proiezione temporale retroattiva; per cui – concludeva – “le disposizioni circa il diritto alla difesa non solo sono applicabili alla istruttoria sommaria, com’è stato deciso, ma lo sono altresì agli atti istruttori compiuti, con tale rito, prima della pubblicazione della sentenza di questa Corte più volte menzionata (n. 52 del 1965), come effetto della dichiarazione di illegittimità dell’art. 392, primo comma, del codice di procedura penale”. Il conflitto così insorto poi trovò comunque soluzione, per l’atteggiamento prudente della Corte costituzionale che, con la successiva pronuncia n. 49 del 1970, qualificò quello in argomento come problema interpretativo (attinente alla individuazione della nozione di “rapporto esaurito”, intangibile dalla dichiarazione di incostituzionalità), come questione cioè interna alla sfera di competenza della Cassazione. Seguirono poi altre analoghe reinterpretazioni della Corte costituzionale contrarie all’esegesi della Cassazione in ordine alla natura delle Commissioni tributarie (sentenze nn. 6 e 10 del 1969). E lo scontro si alimentò per il rifiuto, in ogni caso, dei giudici e della Cassazione di riconoscere la filachia dell’Organo costituzionale. Il quale si vide così costretto a riesaminare i (riproposti) quesiti di legittimità di quelle disposizioni nella interpretazione ribadita dalla Cassazione (cfr. sentenze nn. 52 del 1965, 287 del 1974). 3.3. – L’armistizio tra le due Corti si delineò, poi, di fatto con l’adesione della Corte costituzionale alla tesi ascarelliana del “diritto vivente” come oggetto del sindacato di legittimità. Ascarelli aveva elaborato la tesi della Corte tenuta a sindacare la legittimità della disposizione legislativa “così come risulta applicata dalla prevalente giurisprudenza”, muovendo dalla differenza tra interpretazione della legge compiuta dalla Consulta per valutarne la costituzionalità. Con la seconda interpretazione – secondo l’Ascarelli – la Corte costituzionale era chiamata a compiere una sorta di “indagine storiografica, non più creativa ma dichiarativa, identificando il significato concretamente assunto dalla legge nell’applicazione giurisprudenzia- 94 le” e questo poi avrebbe dovuto assumere ad oggetto della valutazione di legittimità. L’adesione dei giudici della Consulta alla tesi di Ascarelli fu comunque solo parziale, poiché la conseguenza più radicale di questa impostazione – che essi cioè dovessero ritenersi vincolati dalla interpretazione giurisprudenziale dominante – non fu condivisa, rimanendo ferma la rivendicazione di principio di una autonoma potestà ermeneutica della Corte costituzionale. Il nuovo corso giurisprudenziale si aprì con la sentenza n. 129 del 1975, in cui si rinviene l’affermazione che l’interpretazione della disposizione legislativa «è essenzialmente compito del giudice, a tutti i livelli: avendo invece la Corte la funzione di porre a confronto la norma, nel significato comunemente ad essa attribuito, con le disposizioni della Costituzione, per rilevarne gli eventuali contrasti e trarne le conseguenze sul piano costituzionale». Su questa linea, negli anni successivi si può dire che si sia quindi definitivamente attestata la Corte costituzionale, elaborando vari criteri di identificazione del “diritto vivente”, ma sempre comunque lasciando nello sfondo l’affermazione di principio della riserva a se medesima della possibilità (ancorchè solo di rado attuata) di discostarsene. 4. – Di tale riserva, ad esempio, quella Corte si avvalse nuovamente nelle due sentenze n. 419 del 1999 e n. 1 del 2000 (in tema, rispettivamente, di riparto della pensione di reversibilità ex art. 9, comma 3, legge 1970 n. 898; e di privilegio e dei crediti da provvigione ex art. 2751-bis, n. 3, c.c.), con le quali essa – pur ritenendo, implicitamente, fondate le censure di illegittimità, formulate dai giudici a quibus in relazione ad una consolidata esegesi giurisprudenziale delle disposizioni denunciate traente causa (in entrambi i casi) anche dall’intervento nomofilattico delle Sezioni unite della Cassazione – comunque preferì, alla decisione di accoglimento (che pur pareva conseguenziale), una interpretativa di rigetto che consentisse a quelle disposizioni di essere «conservate nell’ordinamento nel significato, che si possono esprimere, compatibile con la Costituzione» (così testualmente, la sentenza n. 419 del 1999). 5. – L’orientamento espresso da quelle due ravvicinate decisioni avrebbe potuto in astratto innescare nuove vicende di conflitto tra le due Corti. Ma ciò non avvenne perchè il clima culturale in cui quel conflitto 95 aveva trovato occasione e alimento era ormai superato ed il rapporto tra le due Corti poteva dirsi ormai stabilizzato in termini di reciproca collaborazione. In realtà, più che un ritorno alle antiche rivendicazioni del Giudice delle leggi circa il proprio autonomo potere di interpretazione della norma giuridica, oggetto di denunzia, quelle due pronunzie stavano propriamente ad esprimere la prevalenza attribuita dalla Corte costituzionale alla funzione “ermeneutica” rispetto alla funzione di “limite” dei precetti costituzionali. Vale a dire che, con tali decisioni, la Corte ha tenuto a sottolineare che, al di là del rispetto del diritto vivente (che rappresenta la misura della sua collaborazione con il giudice della nomofilachia) debba individuarsi come metavalore quello della interpretazione adeguatrice, quel canone cioè di conservazione della norma finchè ne sia possibile un’interpretazione compatibile, poiché – come più volte da Essa puntualizzato – una norma non si dichiara incostituzionale, quando – o sol perché – ne sia possibile un’interpretazione contraria alla Costituzione, ma solo quando ne sia impossibile una interpretazione conforme alla Costituzione. 6.– Per questo profilo – dell’esigenza, cioè, di una previa verifica di interpretabilità della norma giuridica secundum (e non contra) Costitutionem (esigenza che si impone ai giudici comuni e, quindi, alla Cassazione che ne costituisce il vertice funzionale, prima ancora che alla Corte costituzionale) – è significativa la giurisprudenza degli ultimi anni della stessa Corte costituzionale (fortemente orientata dal Presidente Granata), quella giurisprudenza, cioè, che non solo ha inteso richiamare ai giudici (spesso non inclini se non diffidenti verso l’interpretazione adeguatrice) l’importanza e l’imprescindibilità, invece, di questa operazione ermeneutica, ma che è giunta a sanzionare in termini di inammissibilità le questioni da essi sollevate “senza la previa necessaria verifica di praticabilità di una interpretazione costituzionalmente orientata” (cfr., in particolare, ordinanze nn. 443 e 451 del 1994). Al riguardo è stato obiettato da più parti in dottrina, che non si individuerebbe il fondamento positivo di una siffatta ulteriore causa di inammissibilità della questione sollevata per via di giudizio incidentale ex art. 134 della Costituzione. Ma la risposta mi pare agevole. L’omessa verifica di praticabilità di una interpretazione adeguatrice equivale, infatti, al mancato riscontro dell’esistenza di una questio- 96 ne configurabile come “questione di legittimità costituzionale”, e non meramente interpretativa, e si risolve quindi nell’inosservanza, a fortiori, dell’obbligo di motivazione sulla “non manifesta infondatezza” della “questione di legittimità”, che appunto ne comporta l’inammissibilità, ai sensi dell’art. 23 della legge 11 marzo 1953 n. 87 sul funzionamento della Corte costituzionale. Ritornando quindi alla nostra prospettazione iniziale, vediamo così ancor meglio definirsi il ruolo della Corte di legittimità, attraverso questa compartecipazione al controllo di costituzionalità che le viene sollecitata dalla stessa Corte costituzionale. Per modo che il Giudice della nomofilachia (che abbia, con l’auspicato ridimensionamento del suo contenzioso, la concreta possibilità di operare come tale) assicuri non solo la “uniforme interpretazione” delle norme giuridiche, ma (contestualmente a questa) anche il rispetto delle gerarchie tra norme sottordinate e precetti costituzionali di rango superiore, attraverso la ricerca della (possibile) interpretazione delle prime in senso compatibile con i secondi. 7. – E veniamo infine, in rapida sintesi (come impone la clessidra) al tema della esegesi e della applicazione diretta, nel processo delle norme costituzionali immediatamente precettive. Su questo versante la Cassazione è stata molto attiva a ridosso della entrata in vigore della Costituzione. Basti ricordare la storica pronuncia delle Sezioni Unite n. 838 del 9 aprile 1949 che – sul presupposto, appunto, della diretta applicabilità (senza necessità di intermediazione legislativa) dell’art. 111 della Costituzione (“a cagione del comando perentorio che vi si contiene”) affermò l’ammissibilità del ricorso per violazione di legge in Cassazione “contro tutte le sentenze di qualunque giurisdizione speciale”. E, sulla stessa linea, a pochi anni di distanza, la sentenza n. 2696 del 1953 che – sviluppando uno spunto contenuto nella precedente sentenza della Sezione II civile – ritenne la diretta applicabilità dell’art. 36 della Costituzione, aggirando l’ostacolo dell’asserito “difetto di specificità” del precetto della “giusta retribuzione” con il meccanismo di integrazione con le clausole salariali dei contratti collettivi, utilizzate come indice di segnalazione della retribuzione sufficiente. Nel periodo successivo la Cassazione e i giudici in generale sono stati, invece meno attenti e progressivamente sempre meno inclini alle prospettive della drittwirkung di norme costituzionali. Il che probabilmente è dipeso anche dalla discesa in campo [nel 1956] della Corte costituzionale che può aver indotto quei giudici a ri- 97 tenere esaurita quella funzione in certo qual modo di supplenza da essi svolta rispetto all’Organo non ancora entrato in attività. Sta di fatto, però, che proprio la Corte costituzionale, in numerose sue pronunce, ha evocato e sollecitato la drittwirkung delle norme di garanzia dei diritti fondamentali da parte dei giudici. Nella giurisprudenza del Giudice delle leggi il favore per l’istituto in esame si esprime così (in scala di intensità crescente): a) dando quell’istituto per presupposto e facendovi richiamo come dato complementare di disciplina di date materie; b) esortando anzi i giudici a farne applicazione; c) rimarcandone addirittura la necessità in determinati contesti normativi; d) rimuovendo infine ostacoli, frapposti dal legislatore ordinario, alla sua operatività. 7.1. – Tra le sentenze che presuppongono l’immediata applicabilità di precetti costituzionali, mi limito a ricordare la n. 333 del 1991, con la quale, la Corte – nel respingere varie questioni di legittimità della disciplina repressiva della detenzione di stupefacenti e mostrandosi, comunque “avvertita dalla particolare delicatezza della situazione in tutti i casi in cui l’eccedenza rispetto al limite di tolleranza (dose media giornaliera) si presenti in termini quantitativamente marginali o modesti” – fece rinvio appunto alla “diretta applicazione” in potere dei giudici, degli artt. 27 e 13 della Costituzione e del principio di “necessaria offensività in concreto” della condotta penalmente perseguibile, estraibile dal combinato disposto di tali processi: per cui preciso che “rimane precipuo dovere del giudice, nelle ipotesi marginali, apprezzare, alla stregua di quel principio “se la eccedenza eventualmente accertata sia di modesta entità così da far ritenere la condotta dell’agente priva di concreta idoneità lesiva dei beni giuridici protetti e così fuori dall’area del penalmente rilevante. 7.2. – Tra le pronunzie per così dire esortative, un esempio citabile è già quello della sentenza n. 34 del 1973 (che invitava il giudice – in quel caso il giudice che dispone le intercettazioni telefoniche – a garantire immediatamente i beni garantiti dall’art. 15 della Costituzione, in applicazione diretta del precetto stesso). Lo stesso schema si rinviene nella successiva pronunzia n. 84 del 1986 che avvertiva il giudice, disponente l’assunzione di prove incidenti sulla persona umana, che la diretta applicabilità degli artt. 2, 12 e 32 gli imponeva ex se di rispettare i limiti che a detti precetti derivavano alla sua attività investigativa. E sempre in questa chiave ritengo vada letta anche la sentenza n. 347 del 1988 in tema di disconoscimento del figlio nato mediante inseminazione eterologa: con la quale la Corte – dopo la rilevata “carenza attuale” di una disciplina legislativa del fenomeno della 98 procreazione assistita – ha sottolineato come al “nuovo nato”, in quanto “persona”, siano immediatamente comunque attribuibili i diritti fondamentali – tra cui il diritto alla identità – sollecitando appunto il giudice ad “assicurare (nell’immediato) la protezione degli anzidetti beni costituzionali”. In questo caso ricevendo puntuale risposta dalla Corte di Cassazione che con la successiva sentenza n. 2315 del 1999 della I Sezione civile ha negato la disconiscibilità, ex art. 235 c.c., del figlio nato da fecondazione eterologa, a tutela appunto del diritto inviolabile alla identità personale del minore così procreato. 7.3. – A tutti ben nota è poi la sentenza n. 184 del 1996, in tema di risarcibilità del c.d. “danno biologico”, fondata sulla premessa della necessaria applicabilità diretta da parte dei giudici del “diritto alla salute” sub art. 32 Cost., in questo caso “in combinato contesto” con l’art. 2043 c.c. 7.4. – Significativa è, infine, la rimozione di normativa impeditiva della drittwirkung operata dalla sentenza n. 313 del 1990. Con la quale la Corte costituzionale – premesso, e “ribadito”, che il principio del finalismo rieducativo della pena (sub art. 27, comma 3, Cost.) “vale tanto per il legislatore quanto per i giudici della cognizione” (e per quelli della esecuzione e della sorveglianza) e rilevato poi che il nuovo art. 444, comma 2, c.p.p., imponendo al giudice del dibattimento di attenersi alla pena patteggiata, tra imputato e P.M., gli impediva di applicare direttamente il citato art. 27, agli effetti della commisurazione della pena – dichiarando conseguenzialmente la illegittimità di quella norma processuale “al fine” appunto – singolarmente esplicitato anche nel dispositivo della sentenza – della rimozione dell’ostacolo legislativamente frapposto alla immediata e diretta applicabilità del precetto costituzionale da parte del giudice. 99 Unicità della cassazione e unità della giurisdizione nei lavori dell’assemblea costituente Antonio MARTONE 1. Ringrazio vivamente chi mi ha consentito di svolgere questo intervento, non soltanto per l’onore che mi ha concesso, ma anche perché mi ha offerto l’occasione per rileggere (e, per alcune parti, leggere per la prima volta) i resoconti del dibattito che tra il 6 e il 27 novembre del 1947, si svolse in assemblea costituente in occasione dell’esame della proposta presentata dalla Commissione dei 75 e della definitiva approvazione del titolo IV della Carta costituzionale. Si tratta di una lettura particolarmente interessante, non soltanto per l’alto livello di alcuni dei principali protagonisti del dibattito (si pensi agli interventi, spesso determinanti, di Leone, Calamandrei, Mortati, Bozzi, Vittorio Emanuele Orlando e tanti altri), ma anche perché in tale occasione alla vivacità delle opinioni, spesso contrapposte, si è aggiunto il comune intento di pervenire a soluzioni concordate e generalmente condivise o, comunque, di evitare paralizzanti contrasti. Il dibattito, poi, è impreziosito dal richiamo di esperienze passate anche di altri paesi, di episodi riguardanti l’attività di singoli magistrati, nonché di dati relativi al funzionamento degli uffici giudiziari e, in primo luogo, della Corte di Cassazione. Il dibattito così offre l’occasione, all’on. Mancini per ricordare (nella seduta antimeridiana del 14 novembre) le minacce e le lusinghe cui seppe resistere Umberto Tancredi “requirente in periodo istruttorio del processo Matteotti”, e all’on. Paolo Rossi per condannare (nella seduta pomeridiana del 28 novembre 1947) l’assurdo allontanamento di Mortara dalla Cassazione per aver presieduto la prima sezione della Corte che aveva accolto il ricorso di un privato affermando l’incostituzionalità di un decreto del Governo Mussolini. Per altro verso, come si può non sottolineare – anche con una punta di invidia - la “tenerezza” con la quale Calamandrei, che pure era tra i più tenaci sostenitori dell’unicità della Cassazione, ricorda il funzionamento della Corte di cassazione di Firenze (“c’era una udienza a settimana; in ogni udienza c’era soltanto la discussione di un ricorso. Ci si trovava in un’atmosfera tranquilla, discreta, ovattata; l’udienza durava tre ore; ed era quasi un obbligo di buona creanza che gli avvocati discutessero per tre ore, perché sennò gli egregi 100 magistrati erano dispiacenti di dover andare a casa prima dell’ora consueta”). E nella stessa prospettiva si può ricordare l’intervento di Paolo Rossi che, discutendo dei limiti del sindacato della Cassazione nei confronti delle decisioni del giudice amministrativo, sottolinea come nel ventennio precedente erano state impugnate davanti alle Sezioni Unite della Cassazione complessivamente soltanto 83 sentenze del Consiglio di Stato (20 proposte dall’Amministrazione e 63 dai privati) e che sedici soltanto erano state accolte. 2. Prescindendo da altre citazioni che sarebbe, peraltro, estremamente interessante fare (anche perché ne emergerebbe un quadro non conosciuto dai più, o dimenticato da altri, del concreto modo di essere della amministrazione della Giustizia nella prima metà del secolo) e passando all’esame del dibattito, si deve rilevare come fin dalla discussione generale l’attenzione dei costituenti si sia soffermata sulla ricerca delle soluzioni più adeguate per assicurare l’autonomia e l’indipendenza della magistratura, in primo luogo attraverso l’istituzione del CSM e la determinazione della sua composizione e dei suoi compiti. Accanto a questo, altro tema che ha caratterizzato il lungo dibattito ha riguardato l’opportunità e i limiti alla introduzione di forme di partecipazione popolare all’amministrazione della giustizia e, in particolare, le caratteristiche e la competenza della Corte d’assise. Ed è interessante rilevare come al riguardo siano emerse due diverse concezioni della funzione giurisdizionale che caratterizzano anche il dibattito sulla funzione e di riflesso la unicità della Cassazione civile. 3. Quest’ultimo tema, unitamente a quello più generale della unità della giurisdizione, riguarda più da vicino l’odierno Convegno. Entrambi gli argomenti vengono trattati congiuntamente nel corso delle sedute in esame. Sulla prima questione – che, anche se timidamente, viene oggi da taluno riproposta sia pure al fine di assicurare una celere trattazione dei procedimenti in sede di legittimità – dalla lettura dei resoconti emerge un contrasto, che ha caratterizzato a lungo gli interventi sul punto e che ha portato anche alla presentazione di contrapposti ordini del giorno, tra chi voleva la reintroduzione in materia civile, accanto alla Cassazione di Roma, delle quattro Corti di Torino, Firenze, Napoli e Palermo soppresse nel 1923 (con possibile estensione ad altre regioni), e chi invece ha difeso strenuamente l’unicità della Corte di cassazione. 101 A favore della prima soluzione, in linea generale si sostiene come l’unificazione, oltre tutto voluta dal governo fascista, avesse trascurato del tutto l’apporto culturale che le cassazioni regionali avevano saputo dare nel corso dei decenni e come, alla luce dell’esperienza successiva al 1923, l’unicità della Cassazione, non si fosse dimostrata idonea ad assicurare l’uniforme applicazione del diritto e come, per altro verso, l’auspicata unicità potesse portare alla cristallizzazione della giurisprudenza medesima (l’on. Bellavista già in sede di discussione generale nella seduta dell’’8 novembre aveva parlato “ di quella che i romani chiamavano l’ignavia ratio, una pigrizia di adeguamento al precedente “); e ciò senza considerare il valore di un più agevole accesso per i cittadini. I sostenitori dell’opposta tesi replicano a tali argomenti, ricordando come l’esigenza dell’unicità della Corte fosse stata già ripetutamente segnalata nella seconda metà del secolo precedente (nella seduta del 6 novembre l’on. Bozzi ricorda il progetto Minghetti del 1862 sottolineandone “l’impressionante attualità”), come l’auspicata uniformità della giurisprudenza non ne implichi una cristallizzazione ma miri a garantire l’eguaglianza dei cittadini, bene questo che é ancor più necessario garantire in considerazione della prevista istituzione delle regioni (significativamente l’on Pietro Mastino, pur dichiarandosi convinto regionalista, parla di “profondità di danno” che si verificherebbe “se le cassazioni fossero tante quante le regioni”). 4. Non si può ricordare in questa sede tutto il dibattito che si è svolto sul punto, ma si può affermare che quasi tutti gli interventori sul titolo quarto della Costituzione prendono posizione in vario modo sull’argomento. Ma è nella seduta pomeridiana del 27 novembre che si manifesta una netta divisione in vista della votazione del testo dell’art. 102. Sul tema l’Assemblea, infatti, dovrebbe votare una serie di emendamenti (così trasformate anche le proposte di articoli 95 bis il cui esame era stato rinviato al momento della discussione dell’art. 102): quello degli onorevoli Mortati e Codacci Pisanelli nel quale è previsto espressamente che la “Corte di cassazione è unica per tutto il territorio della Repubblica” e quello di identico tenore presentato dal Ministro di grazia e giustizia Grassi che aggiunge la previsione della sede in Roma della Corte; in contrario l’On Vallebruna richiama l’emendamento che prevedeva il ripristino delle preesistenti cassazioni regionali, mentre l’on Crispo è il primo firmatario della proposta di istituire in Torino, Firenze, Napoli e Palermo sezioni distaccate della Corte. 102 I contrasti sono evidenti tanto che l’on. Targetti, a nome anche di altri partecipanti, propone un diverso testo dell’art. 95 bis che prevede che “la legge sull’ordinamento giudiziario regolerà l’istituto della Corte di cassazione”, motivando tale proposta con il timore che “di fronte alla possibilità che il contrasto tra i difensori strenui dell’unicità della cassazione e i fautori della pluralità possa essere adottata una decisione con una votazione caratterizzata da un minimo scarto di voti”. E il timore si rivela fondato. Il primo intervento di rilievo è dell’on. Mortati che si sofferma sul rapporto tra pluralità delle cassazioni e decentramento regionale, chiarendo come, non avendo carattere federalistico, tale decentramento non possa toccare l’esercizio della funzione giurisdizionale ed anzi rafforzi la necessità dell’unità nell’interpretazione delle leggi. Quanto poi all’esigenza, richiamata in numerosi interventi a favore della pluralità delle corti, di avvicinare il giudice alla coscienza popolare, Mortati riconosce la grande importanza di mettere il giudice nelle condizioni di interpretare le leggi “con piena sensibilità e aderenza alle esigenze popolari” ma afferma che tale esigenza “deve essere soddisfatta attraverso la formazione, la scelta e la selezione dei giudici e non attraverso lo sparpagliamento nel territorio in quel momento della pronuncia del diritto che esige massimo di unità, proprio nel giudizio di cassazione”. A favore dell’unità della Cassazione si pronuncia anche il Ministro di grazia e giustizia Grassi ricordando come l’unificazione della Corte di cassazione anche nel settore civile sia il frutto, non di una scelta del precedente regime, ma di un movimento appoggiato da tutti i cultori del diritto processuale e principalmente da Ludovico Mortara, che fin dal 1919 aveva insistito per l’unificazione della Cassazione civile e come, del resto, in nessun paese al mondo, neanche negli stati federali, ci fossero più corti supreme. L’intervento più deciso a favore della unicità dell’istituto è quello, però, dell’on. Calamandrei che, prendendo la parola in qualità di primo presentatore di un più articolato emendamento (“Al vertice dell’’ordinamento giudiziario, unica per tutto lo Stato, siede in Roma la Corte di cassazione, istituita per mantenere l’unità del diritto nazionale attraverso l’uniformità dell’’interpretazione giurisprudenziale e per regolare la competenza tra i giudici”), dopo aver ricordato come la Cassazione sia stata inventata in Francia dopo secoli di lotte tra il potere monarchico centrale e le tendenze centrifughe delle Corti d’Appello regionali “proprio allo scopo di difendere il diritto proprio dello stato nella sua unità in quanto ordinamento giuridico unitario”, sotto- 103 linea che è a questo scopo che la Cassazione deve servire e a tal fine è necessario naturalmente che sia unica perché “se non serve a questo non serve a nulla”. Al ricorrente argomento poi che l’unificazione della giurisprudenza è un’utopia, il Calamandrei risponde distinguendo l’unificazione nello spazio dall’unificazione nel tempo; se la prima non è un bene perché non è un bene che la vita del diritto diventi statica, immobile e si cristallizzi (“l’interpretazione della legge è un può come la critica della poesia; Ognuno la interpreta a modo suo e la ricrea; così “ogni epoca interpreta e ricrea la stessa legge in modo diverso”), non altrettanto deve dirsi della unicità della giurisprudenza nello spazio, perché è indispensabile che uniforme sia l’interpretazione e l’applicazione della legge dello Stato in ogni parte del territorio nazionale. Quanto poi alla possibilità, secondo la proposta dell’on Crispo, di trovare un compromesso attraverso la istituzione di sezioni distaccate, ricorda l’esperienza già fatta fino al 1923 (quando in caso di mancata adeguamento in sede di rinvio al principio espresso dalle cassazioni regionali era possibile il ricorso alle Sezioni unite a Roma che se accoglievano il ricorso poteva disporre un nuovo rinvio ad un giudice d’appello la cui decisione, per tali motivi era a sua volta impugnabile davanti la cassazione regionale) che aveva indotto un giurista francese a definire il sistema come “il più ridicolo gioco cinese, chinoiserie, fra tutti gli ordinamenti giudiziari del mondo”. A queste argomentazioni, nella stessa seduta, si contrappone l’on. Togliatti con un intervento volto a spiegare le ragioni per cui il suo gruppo aveva manifestato opinione favorevole alla molteplicità delle corti di cassazione. Richiamando anche l’esperienza fatta da Ministro della Giustizia, dopo aver premesso di aver ritenuto in passato “che la Corte di cassazione dovesse essere unica, essendo questa un mezzo potente per dare unità non soltanto alla giurisprudenza, ma a tutto il diritto attraverso la più elevata delle sue interpretazioni”, afferma che alla diversa conclusione è pervenuto per una molteplicità di motivi.. In primo luogo perché l’esperienza della Corte di cassazione civile unica aveva dimostrato come, in mancanza della pronuncia delle Sezioni unite, la giurisprudenza variasse “da sezione a sezione e da presidente di sezione a presidente di sezione” e come tale diversità, se riferita alle corti articolate sul territorio nazionale, sarebbe un fattore positivo perché espressione di una sensibilità verso i problemi delle singole zone d’Italia in coerenza con la concezione del diritto, “della sua origine che è nel popolo, della sua fonte che è nella coscienza popolare e nello sviluppo delle molteplici attività nazionali”. 104 Alla dichiarazione dell’on. Togliatti seguono altri pochi interventi che confermano il contrasto nell’Assemblea. L’on. Vittorio Emanuele Orlando svolge una difesa sentita e commossa delle cassazioni regionali (“Napoli, Torino Firenze e Palermo possono vantarsi di essere state, in virtù delle loro cassazioni, delle grandi scuole di diritto”) e replica agli argomenti del Calamandrei; osservando come il diritto, come il linguaggio, sia “una creazione popolare per eccellenza” e come “ quanto più vasto è lo spazio, dove si alimentano” le sue “radici tanto è meglio”. Quanto poi alla Cassazione unica, rilevando come la sua istituzione nel 1923 corrisponda alla spinta all’accentramento che aveva caratterizzato il regime fascista, osserva come le tre sezioni civili prevista presso la Cassazione di Roma siano ormai articolate in sette otto collegi che possono dar luogo ad orientamenti contrastanti (sul punto ricorda la questione della validità della clausola oro e le conclusioni svolte da un procuratore generale “magnifica figura di giurista” in difesa della giurisprudenza “che era stata acquisita”). Seguono le dichiarazioni degli on. Romano e Dominerò che ribadiscono (il secondo anche a nome di numerosi colleghi) l’esigenza giuridica e sociale della Cassazione unica. La discussione si chiude con l’intervento dell’on. Paolo Rossi che quale relatore viene invitato ad esprimere il parere della Commissione. Premesso che si tratta della “questione più grave e scottante di cui hanno discusso i più illustri parlamentari italiani”, il Rossi esprime due diversi pareri, dichiarando che “formalmente” la maggioranza ritiene che non convenga risolvere la questione nella Carta costituzionale e che sia meglio votare la proposta dell’’on. Targetti”, ma che se si dovesse risolvere la questione bisognerebbe risolverla con “l’affermazione risoluta dell’unicità della Corte di cassazione”. In questa seconda prospettiva sottolinea come l’argomento fondato sulla varietà multiforme del nostro paese e sulla conseguente esigenza di una maggiore aderenza della giurisprudenza della Corte di cassazione agli interessi locali sia, da un lato smentita dall’esperienza di altri paesi, quali America, Russia, Inghilterra che, nonostante la disparità di condizioni economiche, geografiche e demografiche, “hanno tutte un’unica Corte di cassazione” e come, sotto altro aspetto, l’unicità di tale Corte corrisponda ad un’esigenza maggiormente sentita proprio nel momento in cui nel testo della Costituzione si prevede l’istituzione delle regioni. 5. Dopo alcune schermaglie procedurali, il Presidente dell’’Assem- 105 blea pone in votazione per primo l’emendamento Targetti; la votazione avviene, per espressa richiesta di numerosi partecipanti, a scrutinio segreto e la proposta di rimettere alla legge sull’ordinamento giudiziario la disciplina della Core di cassazione viene approvata con una significativa maggioranza (211 voti favorevoli contro 96 voti contrari), Termina in tal modo e con quello che può apparire un nulla di fatto, la discussione sulla molteplicità o unicità della Cassazione che lo stesso relatore della Commissione aveva indicato come la “ questione più grave e scottante”. Se si prescinde peraltro da alcuni aspetti determinati dalla situazione contingente (come, ad esempio, la questione se la Cassazione unica fosse un istituto di marca fascista), dalla esame discussione possono trarsi interessanti indicazioni. Pur in presenza della chiara volontà di evitare di ratificare con una votazione netti contrasti in materia, emerge chiaramente come, se anche sarebbe vano ricercare nei vari interventi il termine “nomofilachia”, il favore della maggioranza dei costituenti per la unicità della Cassazione sia stata diretta conseguenza della ritenuta esigenza di assicurare una uniforme interpretazione del diritto e completare in tal modo il processo di unificazione dello Stato e al tempo stesso assicurare ai cittadini parità di trattamento. Sembra che si possa affermare, quindi, che la stessa opinione contraria, se si prescinde da alcune istanza “localistiche”, è stata conseguenza (l’intervento di Palmiro Togliatti prima richiamato è emblematico sul punto), non della negazione di tali principi, ma di una concezione della funzione giurisdizionale volta ad assicurare una maggiore vicinanza del diritto alla coscienza popolare che si era manifestata con maggior evidenza in occasione della discussione sulle forme e i modi di partecipazione popolare all’amministrazioe della giustizia. Ma, a ben vedere, si trattava di problemi che riguardavano in primo luogo il settore penale e che erano condizionati da concreti episodi del dopoguerra (come emerge dagli interventi, nella seduta pomeridiana del 24 novembre 1947, dell’on Fausto Gullo e dello stesso Togliatti e dall’espresso riferimento da lui fatto, in occasione del successivo intervento del 27 novembre, al diverso modo di operare della sezione penale della Cassazione distaccata a Milano subito dopo la liberazione nei confronti di quello della Cassazione dopo la ripresa dell’attività in Roma). Ma, giova ripeterlo, si tratta di questioni più propriamente politiche che risentono indubbiamente della situazione propria della giustizia penale nell’immediato dopoguerra o, per altro verso, sono conse- 106 guenza di diverse concezioni della giurisdizione che riguardano in generale l’attività dei magistrati e non in particolare la posizione della Cassazione e la sua unicità (di particolare interesse al riguardo è l’intervento del Mortati prima richiamato, nonché la parte finale della relazione generale sul titolo IV del progetto di costituzione svolta dall’on. Leone nella seduta pomeridiana del 14 novembre). 6. Su di un piano caratterizzato da maggiore tecnicità si affronta, invece, la questione dell’unità della giurisdizione e, di riflesso, dell’ambito e dei limiti del sindacato della Cassazione; prova ne è che, contrariamente a quanto avvenuto per l’unicità della Cassazione, nella seduta del 27 novembre il testo dell’art. 102 proposto dalla Commissione (e che costituirà il secondo e terzo comma dell’’art. 111 della Costituzione) al termine del dibattito viene approvato per alzata di mano. A dire il vero molti dei principali problemi erano stati già risolti con l’approvazione, nella seduta del precedente 21 novembre, del testo dell’art. 96 (che, con alcune correzioni meramente formali, costituirà il testo degli artt. 102 e 103 della Costituzione). In quella sede, infatti, l’Assemblea si era già pronunciata sul divieto di istituzione dei giudici speciali e sulla possibile istituzione di sezioni specializzate con la eventuale partecipazione di cittadini idonei estranei alla magistratura. Del pari si era raggiunto un difficile accordo in ordine alla conservazione dei tribunali militari e ai limiti della relativa giurisdizione. Egualmente, rifiutando la proposta (formulata, tra gli altri, dal Calamandrei in seno alla Commissione dei settantacinque) di una soppressione di tutte le giurisdizioni speciali, era stato deliberato il mantenimento, in considerazione della loro funzione e della loro storia, del Consiglio di Stato e della Corte dei conti, anche muovendo dal presupposto (come sottolineato in molti interventi) che queste giurisdizioni erano sorte, non sottraendo competenze alla magistratura ordinaria, ma conquistando nuovi terreni di tutela per i cittadini. Anche questa soluzione, peraltro, era stato il frutto di proposte inizialmente divergenti. Contro la conservazione del Consiglio di Stato si era, infatti, pronunciato, tra gli altri, nella seduta pomeridiana del 11 novembre l’on. Monticelli (che, forse condizionato dall’esperienza delle leggi speciali del fascismo, afferma che “per realizzare l’unità del potere giudiziario bisognerebbe eliminare per sempre il giudice speciale perché nella coscienza giuridica del Paese è fermo il convincimento che la creazione di giudici speciali, straordinari o eccezionali è contraria a ogni più elementare concetto di libertà e di giustizia”). 107 La trasformazione del Consiglio di Stato in una magistratura ordinaria specializzata, inoltre, era stata prospettata dall’on. Caccuri il giorno successivo per offrire ai cittadini la garanzia del doppio grado di giurisdizione oltre al sindacato della Corte di cassazione e “diradare al tempo stesso l’ombra del sospetto che anche le decisioni più giuste potessero essere considerate come provenienti d un organo di parte”. Peraltro, come rilevato dall’on Leone (sempre nella seduta del 14 novembre) “non molte voci” si erano levate in senso contarlo alla conservazione del Consiglio di Stato e della Corte dei conti per la fondamentale esigenza di attribuire la giurisdizione sugli interessi ad organi adeguati alle caratteristiche della attività amministrativa, attribuendo loro la possibilità di intervenire sui comportamenti illegittimi, sia pure non sostituendosi all’amministrazione nell’emanazione dell’atto, ma quanto meno annullandoli. Quanto alla tutela dei diritti da parte del giudice amministrativo la questione rimane marginale e prevalentemente legata alla esperienza della giurisdizione esclusiva per il pubblico impiego. Nel corso del dibattito era stato, altresì, precisato, anche a seguito dei ripetuti interventi dell’On. Mortati (favorevole, con un emendamento poi ritirato, a prevedere la possibilità di istituzione di altri giudici speciali per le controversie fra amministrazione pubblica e privati), che il riferimento “agli altri organi di giustizia amministrativa” contenuto nel testo posto in votazione, doveva intendersi (come precisato dal Presidente Ruini) limitato ad organi periferici “correlati al Consiglio di Stato e che potranno foggiarsi in modo diverso per le regioni”. Anche questa precisazione era particolarmente importante perché, come osservato dal Ministro Grassi (nel corso della seduta pomeridiana del 21 novembre) in Italia erano ancora presenti “una cinquantina” di giurisdizioni speciali. Ma la scelta è chiaramente nel senso di prevedere la loro soppressione (rinviando, come precisato dal presidente della Commissione Ruini nella seduta pomeridiana del 21 novembre, alle disposizioni transitorie la fissazione di un “tempo adeguato perché si addivenga alle necessarie trasformazioni”); ed è sulla base di questo presupposto che nel corso della discussione non ci si sofferma su queste giurisdizioni, salvo il tentativo, inizialmente reiterato ma poi abbandonato, dell’on. Adonnino di prevedere il riconoscimento della giurisdizione fiscale (sulla cui importanza per i cittadini si sofferma nel corso della seduta pomeridiana del 20 novembre qualificandola come “un’ombra che segue chiunque e con la quale chiunque ha da fare e alla quale nessuno si sottrae”). 108 7. Un’attenta rilettura del dibattito svoltosi in tema di giudici speciali può essere oggi di particolare interesse se posto in relazione alla fondamentale diversa articolazione della giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo operata alla fine del secolo scorso in occasione (ma forse più prendendo a pretesto che non a causa) della c.d. privatizzazione del pubblico impiego e dei successivi interventi della Corte costituzionale e del legislatore. E analoghe considerazioni possono essere fatte in considerazione dell’importanza che ha assunto la giurisdizione tributaria in sede di attuazione della riforma prevista dal decreto legislativo n. 546 del 1992 e, anche in questo campo, dei successivi ripetuti interventi del legislatore e della Corte costituzionale. In questa sede ci si può limitare a ricordare come, proprio al fine di contemperare il principio dell’unità della giurisdizione con la scelta operata in ordine alla conservazione di alcuni giudici speciali, nel dibattito in sede di assemblea costituente ci si sia soffermati sull’ambito e sui limiti del sindacato della Corte di cassazione. In questa prospettiva, mentre nel testo predisposto dalla Commissione il ricorso avverso le sentenze e le decisioni dei giudici ordinari e speciali era previsto “secondo le norme di legge”, l’on. Colitto, fin dalla seduta dell’8 novembre, osservando che tale previsione lasciava libero il legislatore di fissare limiti al ricorso in cassazione, propone che la ricorribilità sia sempre prevista “per violazione di legge” in modo da riconoscere al cittadino il diritto di ricorrere, sia per inosservanza delle garanzie processuali, sia per errata applicazione al caso singolo del diritto sostanziale. E tale formulazione sarà ripresa nel corso della discussione e inserita nel testo definitivamente approvato. Mentre, peraltro, nelle intenzioni dell’on. Colitto la ricorribilità per violazione di legge avrebbe dovuto riguardare anche le decisioni delle “maggiori giurisdizioni amministrative”, per quanto riguarda il Consiglio di Stato e la Corte dei conti la possibilità di ricorrere verrà successivamente limitata alle sole questioni di giurisdizione. I termini della questione sono riassunti dall’on. Mortati nel suo intervento nella seduta pomeridiana del 27 novembre, in occasione del quale qualifica come una “contraddizione” il “creare una giurisdizione speciale e nello stesso tempo sottoporre le decisioni di questa giurisdizione speciale al controllo di un giudice che fa parte dell’ordine giudiziario ordinario, sia pure di grado supremo”. L’on Mortati nella stessa occasione era andato anche oltre proponendo che, in considerazione della proposta istituzione della Corte co- 109 stituzionale a questo ultimo organo venisse affidata la risoluzione, non soltanto dei conflitti di attribuzione tra diversi poteri dello Stato fin dal 1877 decisi dalla Corte di cassazione a sezioni unite, ma anche quella dei conflitti di giurisdizione. Tale soluzione a suo avviso era logica conseguenza della espressa attribuzione in sede di Costituzione di competenze specifiche ad organi di giurisdizione speciale e, di riflesso, della “rilevanza costituzionale” che assumerebbero i relativi conflitti. A questa seconda argomentazione replica nel suo successivo intervento l’on Leone chiarendo come l’esigenza di poter disporre di un giudice dotato di una particolare “forma mentis”che è alla base della istituzione dei giudici speciali, è irrilevante in sede di giudizio di legittimità, con la conseguenza che anche le decisioni di tali giudici devono poter essere ricorribili in Cassazione per violazione di legge. Il ricorso va invece limitato ai solo motivi inerenti alla giurisdizione per quanto riguarda le decisioni del Consiglio di Stato della Corte dei conti in quanto “queste giurisdizioni incidono con la loro attività nell’atto amministrativo, sicché c’è maggiore aderenza tra queste giurisdizioni e gli atti del potere amministrativo, donde anche il motivo di violazione di legge è motivo che si radica sull’essenza, sulla finalità, sul motivo di opportunità che ispirano l’atto amministrativo”. Ed è questa la soluzione che alla fine prevale dopo l’intervento del presidente Ruini (che osserva come altrimenti la Cassazione finirebbe col poter annullare anche i provvedimenti amministrativi) e del relatore della Commissione Paolo Rossi. Si conclude, così, nella seduta pomeridiana del 27 novembre (dopo la mancata approvazione dell’emendamento dell’on Mortati che limitava il ricorso in Cassazione contro le sole sentenze degli organi giurisdizionali ordinari e l’approvazione della possibile deroga per i tribunali militari in tempo di guerra) la discussione sull’ambito del giudizio di Cassazione. Sull’argomento, peraltro, si ritornerà nelle sedute successive dedicate all’esame del Titolo VI e in particolare della proposta di istituire la Corte costituzionale. Del resto già in sede di discussione generale (seduta dell’11 novembre) l’on. Gaetano Martino, premesso che al rigidità della Costituzione doveva implicare un controllo giurisdizionale sulla costituzionalità delle leggi, si era posto il problema “se convenga meglio affidare questo potere ai magistrati ordinari o ad una corte particolare come quella prevista nel progetto di Costituzione”. E, solo dopo ave ricordato come l’onorevole Einaudi avrebbe voluto che questo potere fosse affidato ai magistrati ordinari, aveva concluso in 110 favore della Corte costituzionale, perchè solo attribuendo il relativo giudizio ad un apposito organo di sarebbe potuto ottenere la caducazione in generale della legge dichiarata incostituzionale e non una dichiarazione limitata al caso concreto sottoposto alla giurisdizione ordinaria. Questo problema, affrontato dal Martino anche con riferimento al rapporto tra interpretazione della Costituzione e interpretazione della legge e cioè al rapporto tra Cassazione e Corte costituzionale, verrà poi ripreso all’inizio della discussione sul Titolo VI dedicato alle garanzia costituzionali.. I primi due interventi dell’on. Bertone e dell’on. Nitti sono concordi nel proporre che quando nel corso di un giudizio venga sollevata questione di incostituzionalità la decisione sia rimessa alle Corte di cassazione a sezioni unite. E a favore di tale soluzione si pronuncia anche l’on. Preti, osservando che dalla mancata efficacia erga omnes delle decisioni delle Sezioni unite non dovrebbe derivare alcun inconveniente spettando al Parlamento prendere le opportune decisioni. Questo orientamento, come quello diametralmente opposto che voleva invece attribuire alla Corte costituzionale invece che alle sezioni unite della cassazione la soluzione dei conflitti di giurisdizione, vengono progressivamente superati in quanto la discussione si concentra sulla composizione e il funzionamento della Corte Costituzionale e al testo dell’art. 96 approvato nella seduta pomeridiana del 27 novembre non vengono apportate modifiche o integrazioni. 8. Termina qui il mio intervento con il quale desideravo soltanto offrire qualche spunto di riflessione tratto da in dibattito che, anche quando, come era inevitabile, ha risentito di contingenti problemi, per la varietà e il livello degli interventi può ancora oggi affascinare il lettore. 111 Le Corti supreme in Europa: le regole per l’accesso Corte Suprema di Cassazione Ufficio del Massimario A cura di Giovanni CANZIO, Direttore dell’Ufficio del Ruolo e del Massimario Ersilia CALVANESE (Germania, Spagna, Francia, Svizzera, Regno Unito, Ungheria, Romania, Svezia, Norvegia, Finlandia, Corte europea per i diritti dell’uomo); Carmelo CELENTANO (Austria, Polonia) Gaetano DE AMICIS (Belgio) 1.- Introduzione. Nonostante gli interventi legislativi, anche recenti, mirati a rendere la giurisdizione di legittimità idonea a regolare il servizio giustizia negli ambiti tracciati dagli artt. 102 e 111 della Costituzione, la situazione attuale induce al più vivo allarme, perché la Corte di Cassazione, assegnataria di un ruolo centrale nell’architettura costituzionale delle giurisdizioni superiori, è, al contempo e nondimeno, gravata da uno smisurato carico di ricorsi che rischia di impedire l’espletamento di quel ruolo. Se, infatti, nel settore penale la riorganizzazione del servizio e l’abnegazione del personale giudicante ancora consentono la definizione, in tempi adeguati, delle impugnazioni proposte (nell’anno 2007 sono stati definiti n. 47.996 ricorsi su 43.810 pendenti), nel settore civile ciò non è più possibile. Il numero dei ricorsi (n. 102.603 pendenti nell’anno 2007), afferenti alle più disparate materie e sovente implicanti questioni di elevata complessità, nonostante la profonda riorganizzazione intrapresa da poco meno di tre anni e l’adozione di tecniche decisorie snelle, non consente, pur nell’impegno straordinario del personale giudicante e degli uffici (nell’anno 2007 sono stati definiti n. 30.875 ricorsi) di pervenire alle decisioni, nel rispetto della necessaria accuratezza richiesta alle pronunzie della Corte di legittimità, in tempi adeguati agli standards di durata europei. L’accesso indiscriminato, generale, non selettivo alla Corte sta rendendo, infatti, assai difficile – pur con la recente adozione di tecniche e modelli organizzativi di velocizzazione – perseguire il raggiungimento dei valori del giusto processo, in un arco di tempo ragionevole, che è assegnato, in primo luogo, alla Corte di Cassazione. L’inattuazione di tali valori costituzionali, che devono operare alla stregua delle norme precettive ed integrative vigenti in Europa, è un 112 dato del tutto paradossale per una Corte Suprema che – pressoché isolata tra le Corti europee – è destinataria di una richiesta indiscriminata e non selezionata di interventi, consentita dal legislatore italiano in una visione di accesso, per tutti e per tutto, che rischia di pregiudicare proprio la realizzazione dei valori che pur dichiara di voler perseguire. Un “sistema” delle Giurisdizioni Superiori – nell’architettura disegnata anche da plurimi arresti della Corte europea dei diritti dell’uomo – può funzionare, nell’interesse dei cittadini, che si attendono interpretazioni autorevoli, certe e sollecite delle norme, solo se, con saggezza e realismo, si sappia individuare il punto di equilibrio tra l’interesse dei cittadini ad attivare tali giurisdizioni e la concreta possibilità del “sistema” di dare risposte rapide ed autorevoli. L’assenza di meccanismi di “filtro” in senso stretto sta esponendo l’Italia a sanzioni della Corte europea dei diritti dell’uomo, perché la giurisdizione di legittimità non riesce ad assicurare quegli standard di celerità e di efficienza che, altrove, la selezione delle richieste esaminabili ha reso concretamente perseguibili. Com’è stato recentemente ricordato dal Primo Presidente nella relazione sull’amministrazione della giustizia nell’anno 2007, uno dei principali freni allo sviluppo produttivo dell’Italia è dato dalla lentezza dei processi, che genera incertezza negli scambi e scoraggia gli investitori. L’introduzione di filtri per l’accesso alla Suprema Corte può apportare un contributo di semplificazione: riducendo i tempi del processo e riconducendo l’attività del giudice di legittimità alla sua funzione propria ed istituzionale, essa può costituire un fattore di sviluppo, di crescita e di competitività. Le allegate schede di analisi sulle attribuzioni e sulle regole che presiedono al funzionamento degli organi di vertice della giurisdizione negli altri Paesi europei offrono alla riflessione dell’interprete alcuni dati significativi. Il primo elemento di interesse è che il ruolo che i Paesi europei affidano alla Corte Suprema è quello di essere garante della uniforme applicazione e dei diritti fondamentali dei cittadini, non di presentarsi come giudice di terza istanza. Coessenziale a questa funzione è la previsione, in quasi tutti gli ordinamenti europei, di limiti alla ricorribilità dinanzi alla Corte Suprema dei provvedimenti dei giudici di merito. Così accade in Spagna, dove le sentenze di merito sono impugnabili dinanzi al Tribunal Supremo, in materia civile, soltanto quando hanno ad oggetto la tutela di diritti fondamentali, quando il valore della causa eccede 150.000 euro o quando la decisione del ricorso pre- 113 senta un “interés casacional” (che sussiste quando la sentenza impugnata si opponga ad una giurisprudenza consolidata del Tribunal Supremo o riguardi questioni sulle quali esiste un contrasto di giurisprudenza presso i giudici di merito o applichi una norma vigente da meno di cinque anni); e, in materia penale, allorché si giudichi di un reato punito con pena non inferiore nel massimo a cinque anni. In Germania, il ricorso per revision al Bundesgerichtshof può essere ammesso, in materia civile, soltanto se il giudice di appello nella stessa sentenza impugnata o la Corte Suprema, su reclamo in caso di diniego del primo, hanno stabilito l’impugnabilità della sentenza (Zulassung). Secondo l’art. 543 ZPO, nel testo novellato dalla riforma del 2001, l’impugnazione può avere corso quando la questione di diritto sia di importanza fondamentale, allorché l’evoluzione del diritto o la salvaguardia dell’uniformità della giurisprudenza richiedano una decisione della Suprema Corte, o in presenza della violazione di fondamentali principi procedurali. Con tale riforma, il legislatore tedesco sembra avere optato per una soluzione che, nella tradizionale divaricazione tra jus constitutionis e jus litigatoris, segna infine la prevalenza del primo, fondamentale, interesse pubblico, in termini di “nomofilachia” della Corte Suprema. Non dissimile si presenta il sistema austriaco: in materia civile, il ricorso alla Corte Suprema è assoggettato a limitazioni legate al valore dell’oggetto ovvero all’importanza della questione giuridica trattata, intesa come rilevanza ai fini dei principi dell’unitarietà della giurisdizione o della certezza del diritto, ovvero in relazione all’interpretazione della legge; in materia penale, non è consentito il ricorso avverso le pronunce dei giudici monocratici delle corti provinciali o distrettuali, competenti in materia di reati minori. Il Regno Unito conosce dal 1934 un filtro per l’ammissibilità del ricorso alla House of Lords: si tratta del leave to appeal, che costituisce una sorta di autorizzazione preventiva, la quale deve essere concessa dal giudice a quo o, in caso di suo rifiuto, dalla stessa Corte Suprema, con la presentazione di una petition. La decisione di dichiarare l’ammissibilità del caso dipende sostanzialmente dal rilievo pubblico generale della questione di diritto sollevata dal ricorso. Il sistema del leave to appeal caratterizza anche i sistemi svedese, finlandese e norvegese. In Francia il ricorso per cassazione è configurato come un rimedio straordinario e la Corte dispone di una procedura semplificata che le consente di dichiarare non ammessi i ricorsi, quando sono prima facie inammissibili o non fondati su seri motivi. 114 In Svizzera il ricorso al Tribunale Federale è previsto solo quando la controversia supera una certa soglia di valore oppure, ove il valore litigioso non raggiunge l’importo determinato dalla legge, se la controversia concerne una questione di diritto di importanza fondamentale, se la legge federale prevede un’istanza cantonale unica, ovvero contro le decisioni in materia di fallimento o di concordato. Non diverso è il sistema polacco che, nelle controversie concernenti il diritto di proprietà o la materia commerciale, prevede un limite di valore per l’accesso alla Corte Suprema. I dati numerici – anch’essi presenti nelle analitiche schede di lettura – confermano che la previsione di limiti alla ricorribilità dinanzi alla Corte Suprema, per un verso, evita che quest’organo sia sopraffatto da una eccessiva mole di lavoro e, per l’altro, consente al giudice di legittimità di dare una risposta di giustizia in tempi celeri. In Spagna, ad esempio, nell’anno 2007 sono stati iscritti a ruolo 3.519 affari civili e 4.199 affari penali, mentre sono stati emessi, in civile, circa 6.000 provvedimenti (di cui 1.534 sentenze) e, in penale, 4.500 provvedimenti (di cui 1.125 sentenze). In Germania – dove, in materia civile, tra ricorsi autorizzati e richieste per il leave to appeal sono stati registrati in entrata 3.404 affari – oltre il 50% dei ricorsi viene definito entro un anno. Emerge, infine, dalla lettura delle schede1 che le limitazioni all’acLe schede analitiche esposte nella presente relazione sono state redatte previo interpello dei magistrati della Rete giudiziaria europea di Eurojust, ai quali è stato sottoposto nell’aprile scorso il questionario riportato in nota. Peraltro, solo pochissimi Paesi hanno fornito le risposte richieste o le hanno corredate delle necessarie informazioni. Conseguentemente, la gran parte dei dati esposti sono il frutto di una ricerca condotta dai magistrati del Massimario prevalentemente sulla legislazione nazionale dei Paesi interessati, sulle pubblicazioni in dottrina e sulle informazioni fornite in via ufficiale dalle stesse Corti Supreme nazionali. 1 Prego rispondere alle seguenti domande riguardanti l’organizzazione della Vostra Corte Suprema e le caratteristiche del ricorso per cassazione: 1. Organico magistrati (specificando addetti al settore civile e al settore penale) 2. Numero delle Sezioni civili e penali 3. Numero dei ricorsi (penali e civili) all’anno (con riferimento agli ultimi tre anni) 4. Numero delle decisioni (penali e civili) all’anno (con riferimento agli ultimi tre anni) 5. Esistenza di un filtro preliminare (ammissibilità o altro) dei ricorsi e relativa procedura 6. Sentenze impugnabili per cassazione (in materia penale e civile) 7. Motivi di ricorso (in materia penale e civile) 8. Ricorrenti (parte processuale, difensore, difensore specializzato, altro) 9. Riferimenti normativi (anche costituzionali) ed eventuali riforme in atto che riguardano i temi suddetti (testi in francese o inglese). 115 cesso alle Corti Supreme hanno complessivamente superato il vaglio di costituzionalità e sono state ritenute non in contrasto con le garanzie del “giusto processo” stabilite dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali. 2.- Germania. L’organizzazione del sistema giudiziario della Repubblica Federale tedesca riflette le caratteristiche e le esigenze dello Stato federale. Il potere giurisdizionale è diviso, in Germania, tra i Länder e la Federazione. Nella giurisdizione ordinaria, che è uno dei cinque segmenti di giurisdizione previsti nel sistema giudiziario tedesco, comprensiva del settore civile e penale, la competenza è divisa, in primo grado, dagli Amtsgerichte (corti locali) e dai Landsgerichte (tribunali regionali), questi ultimi con competenze anche in grado di appello. A decidere in secondo grado sono gli Oberlandesgerichte (corti d’appello regionali). Il Bundesgerichtshof (Corte federale di giustizia) è posto al vertice della giurisdizione ordinaria. L’impugnazione di ultima istanza è il ricorso per cassazione (“revision”). Si tratta di un rimedio riguardante i points of law, diretto a salvaguardare l’uniformità della giurisprudenza, attraverso la chiarificazione di fondamentali questioni giuridiche. La Corte è vincolata all’accertamento dei fatti come compiuto dai giudici di merito, a meno che si versi in ipotesi di errori procedurali sufficientemente documentati nell’atto di ricorso. 1. Numero dei magistrati addetti alla Corte Suprema 1.1 Settore civile: 12 presidenti, 12 vice presidenti, 65 consiglieri (Richter) 1.2 Settore penale: 5 presidenti, 5 vice presidenti, 25 consiglieri (Richter). 2. Numero di Sezioni 2.1 Civile: 12 Zivilsenate 2.2 Penale: 5 Strafsenate Ogni Sezione (senate) è composta oltre al Presidente, da 6 o 7 giudici. L’udienza è tenuta da cinque giudici. Vi sono poi 8 sezioni specializzate per materia (Spezialsenate), per le questioni notarili, agrarie, riguardanti gli avvocati ecc.. 116 La composizione delle sezioni, stante il principio costituzionale del giudice naturale (art. 101 Abs.1 Satz 2 GG), è stabilita all’inizio di ogni anno giudiziario dal Presiding Committee, composto dal Primo Presidente e da 10 giudici della Corte. 3. Numero dei ricorsi 3.1 Civile: Tra ricorsi autorizzati e richieste per il leave to appeal sono stati registrati in entrata: nel 2005 n. 3.233 (di cui 703 per ricorsi autorizzati); nel 2006 n. 3.319 (di cui 700 per ricorsi autorizzati); nel 2007 n. 3.404 (di cui 2.606 per il leave). 3.2 Penale: Ricorsi per revision ricevuti dalla Corte: nel 2005 n. 2.845; nel 2006 n. 2.863; nel 2007 n. 3.104. 4. Numero di provvedimenti emessi 4.1 Civile: Nel 2005 sono stati trattati 3.190 ricorsi. La Corte ha concesso il leave: nel 2005 in 301 casi; nel 2006 in 349 casi (13,4%); nel 2007 in 329 casi (13,3%). La Corte non ha concesso l’autorizzazione: nel 2005 in 2.275 casi; nel 2006 in 2.257 casi; nel 2007 in 2.150 casi. Circa la durata delle procedure: una durata di circa sei mesi hanno avuto nel 2005 il 6,8%; nel 2006 l’8,3%; nel 2007 il 7,3%. E’ stato definito nei 12 mesi nel 2005 il 39,6%; nel 2006 il 39,8%; nel 2007 il 43,3%. Hanno superato l’anno nel 2005 il 53,7%; nel 2006 il 51,9%; nel 2007 il 49,4%. I procedimenti definiti sono stati complessivamente: nel 2005 n. 3.551; nel 2006 n. 3.391; nel 2007 n. 3.134. Pendenze: nel 2005 n. 3.678; nel 2006 n. 3.606; nel 2007 n. 3.877 ricorsi. 4.2 Penale: Nel 2005 sono stati trattati 2.907 ricorsi, di cui circa l’80% sono stati definiti con la procedura di inammissibilità di cui all’art. 349 StPO (ricorsi manifestamente infondati). Nel 2006 sono stati trattati n. 2.936 ricorsi (di cui 2.659 ex art. 349); nel 2007 n. 2.990 (di cui 2.751 ex art. 349). Nel 2005, almeno il 97% di questi ultimi è stato completato in tre mesi; il 98,1% nel 2006 e il 98,1% nel 2007. Nel 2006 sono stati trattati n. 2.936 ricorsi (di cui 2.659 ex art. 349 cit.), nel 2007 n. 2.990 (di cui 2.751 ex art. 349 cit.). Dei ricorsi decisi con il rito ordinario nel 2005, il 60% è stato de- 117 finito in tre mesi, il 30% in sei mesi; nel 2006 rispettivamente il 70,3% e il 25,6%; nel 2007 l’80,9% e il 17%. Alla fine del 2005 pendevano ancora n. 412, nel 2006 n. 340 e nel 2007 n. 453 ricorsi. 5. Esistenza di un filtro preliminare 5.1 Giurisdizione civile Secondo l’art. 543 ZPO, il ricorso per «revision» può essere ammesso soltanto se il giudice di appello nella stessa sentenza impugnata o la Corte Suprema, su reclamo in caso di diniego del giudice di appello, hanno stabilito l’impugnabilità della sentenza («Zulassung»). Già nel 1980, la Corte costituzionale aveva ritenuto che l’ammissione dei ricorsi che non presentavano rilevanza di principio andasse rifiutata «solo quando privi di ogni speranza di successo». La Corte costituzionale aveva invero riconosciuto la legittimità della procedura di filtro, purché non finalizzata ad uno scopo meramente deflativo, che avrebbe lasciato affidata al caso l’ammissione di un ricorso, con l’effetto di creare incertezza e imprevedibilità del diritto, oltre ad una disparità di trattamento nella trattazione delle cause. I casi di ammissibilità dell’impugnazione sono definiti, a seguito della riforma del codice di procedura civile del 27 luglio 2001, entrata in vigore dal gennaio 2002, dal secondo comma dell’art. 543 ZPO: a) quando la questione di diritto sia di «importanza fondamentale» o b) quando l’evoluzione del diritto o la salvaguardia dell’uniformità della giurisprudenza richiedano una decisione della Suprema Corte2. Sussiste la prima condizione in presenza di una questione giuridica che, da un lato, necessita di un chiarimento e, dall’altro, si può presentare in un numero indeterminato di casi, così da essere rilevante per il futuro. Relativamente alla seconda ipotesi, si ritiene che sussiste il <<Fortbildung des Rechts>> quando il caso concreto costituisca l’occasione per affermare nuovi principi di diritto in tema di interpretazione di norme di legge ovvero per integrare dette norme quando ne sussista la necessità (sempre che si tratti di fattispecie tipiche o suscettibili di generale applicazione). Nella definizione legislativa sembra rieDie Revision ist zuzulassen, wenn 1. die Rechtssache grundsätzliche Bedeutung hat oder 2. die Fortbildung des Rechts oder die Sicherung einer einheitlichen Rechtsprechung eine Entscheidung des Revisionsgerichts erfordert. 2 118 cheggiare e trovare soluzione il tradizionale dibattito continentale intorno alla funzione nomofilattica delle Supreme Corti e ai rapporti tra jus constitutionis e jus litigatoris, dandosi sicura e netta prevalenza al primo. La necessità della tutela della coerenza della giurisprudenza si presenta invece quando vi sia divergenza tra la decisione del giudice di merito e la giurisprudenza della Corte Suprema (in tale ipotesi sono fatti rientrare gli errori sintomatici nell’applicazione del diritto che incidono in modo rilevante sugli interessi della comunità). La revisione, come chiarito dalla Corte costituzionale3, dev’essere altresì ammessa in presenza della violazione di fondamentali principi procedurali (diritto ad essere sentito, diritto ad un processo leale e non arbitrario, diritto al giudice naturale: rispettivamente previsti dagli artt. 103, par. 1, 3, par. 1, e 101, par. 1 della Costituzione). In ogni caso, anche per le ipotesi di errore nell’applicazione della legge processuale, la revision è ammissibile solo se ci si debba aspettare una ripetizione dell’errore dallo stesso giudice o da altri giudici. Con la riforma del 2001, si è inoltre previsto che, in caso di rifiuto della Zulassung da parte del giudice di appello, possa essere impugnato il diniego davanti alla Suprema Corte (art. 544 ZPO «Nichtzulassungsbeschwerde»), con il limite previsto, in via transitoria sino al 2011, che il valore della causa ecceda i E 20.000 (art. 26, n. 8 EGZPO), non applicabile tuttavia quando il giudice di appello ha rigettato il gravame. Il sistema di filtro attuato in particolar modo dalla selezione dei casi in base al rilevo generale della questione è stato sottoposto al vaglio della Corte costituzionale che, con sentenza dell’8 gennaio 2004 (1 BvR 864/03), ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 543 ZPO4. La Corte ha ricordato che la Costituzione federale non impone la previsione di un meccanismo che garantisca l’accesso all’impugnazione, lasciando invece libero il legislatore di regolare le ulteriori istanze. La Corte costituzionale in merito al rilevo della vaghezza della nozione di «questione di importanza fondamentale», ha giustificato con il breve tempo trascorso il fatto che la Corte suprema non era ancora riuscita a fornire una interpretazione uniforme su tale condizione di ammissibilità dei ricorsi, pur avverten3 Beschluss des Plenums des Bundesverfassungsgerichts, 1 PbvU 1/02, 30 aprile 2003. http://www.bundesverfassungsgericht.de/entscheidungen/rk20040108_1bvr086403.html. 4 119 do che a divergenti conclusioni dovrà pervenirsi qualora la stessa Corte non sarà capace di rendere “riconoscibili”, in termini concreti, le condizioni di accesso5. Circa la procedura, la Corte Suprema, come prevede l’art. 552 ZPO, esamina («Zulässigkeitsprüfungse») se il ricorso è autorizzato e se è presentato nelle forme e nei tempi previsti. In caso contrario, rigetta con ordinanza il ricorso, dichiarandolo inammissibile. Se di norma la Corte suprema è vincolata all’autorizzazione data dal giudice di appello, con una riforma del 2004 si è inteso evitare che di fronte ad una erronea decisione di ammissibilità la Corte stessa dovesse completamente istruire il ricorso. Con l’art. 552 A ZPO si prevede infatti che la Corte può emettere, con decisione unanime, un’ordinanza di rigetto del ricorso già autorizzato, se mancano le condizioni di ammissibilità e il ricorso non ha chance di successo. Un’ulteriore modifica introdotta dal primo gennaio 2005 (art. 544 Abs.7 ZPO) ha semplificato la trattazione da parte della Corte Suprema dei casi di ammissibilità dei ricorsi in cui sia denunciata la violazione del diritto al fair hearing. Non è invero più necessario procedere alla successiva trattazione in un’udienza, in quanto la Corte con lo stesso provvedimento con cui ammette il ricorso, dispone la cassazione ed il rinvio degli atti al giudice di merito. 5.2. Giurisdizione penale Il ricorso dev’essere depositato presso il giudice a quo (art. 345 StPO), che deve valutarne l’ammissibilità sotto il profilo della tempestività e dei requisiti formali (art. 346 StPO). Contro l’eventuale decisione negativa, è prevista la possibilità di investire la Corte ad quem. Se la Corte ritiene il ricorso inammissibile, può emettere un’ordinanza senza tenere l’udienza (art. 349 StPO). Se è il pubblico ministero a chiederlo, la Corte può all’unanimità dichiarare con ordinanza – a seguito di un contraddittorio cartolare - inammissibile un ricorso manifestamente infondato. Allo stesso modo decide (ovvero con ordinanza senza una pubblica udienza) quando considera il ricorso dell’imputato manifestamente fondato. 6. Provvedimenti impugnabili per cassazione 6.1 Giurisdizione civile Sono impugnabili per «revision» tutti provvedimenti emessi in grado di appello dai Landgericht e Oberlandesgericht (art. 542, 5 120 Nello stesso senso 1 BvR 2262/03 del 9 marzo 2004. comma 1 ZPO). A seguito della riforma del codice di procedura civile del 2001, sono stati abrogati i limiti di valore (la revision era consentita solo se l’ammontare della controversia era superiore a DM 60.000 «Wertrevision»). La riforma ha sostanzialmente inciso sul processo civile, rinforzando il primo grado e ridisegnando in maniera sostanziale i tre mezzi di impugnazione previsti dal codice (l’appello per motivi di diritto e di fatto «Berufung»6, l’appello di solo diritto «revision» e l’appello misto «Beschwerde»). Il termine per l’impugnazione davanti alla Corte è di un mese (art. 548 ZPO). Sono altresì impugnabili per “Rechtsbeschwerde” i provvedimenti secondari (in materia di esecuzione, costi, insolvenza, ecc.). 6.2 Giurisdizione penale Il sistema tedesco prevede 4 istanze di giurisdizione. A livello di Lander: Amtsgericht, Landgericht, Oberlandesgericht, e a livello nazionale: Bundesgerichthof. L’Amtsgericht e il Landgericht sono competenti in primo grado a seconda della gravità del reato, il Landgericht a sua volta è giudice di appello per i reati giudicati in primo grado dall’Amtsgericht. L’Oberlandesgericht è competente per i reati contro lo Stato e come giudice di cassazione per quelli giudicati in appello dal Landgericht. Va evidenziato che l’appello è un giudizio di merito ex novo, nel quale il processo viene praticamente ricelebrato. Contro le decisioni di primo grado del Landgericht e dell’Oberlandesgericht non è ammesso appello, ma solo il ricorso per cassazione davanti al Bundesgerichthof. Il ricorso per cassazione è ammesso contro le decisioni in grado di appello. Il termine per depositare un ricorso per cassazione è di una settimana. L’impugnazione ha sempre effetto sospensivo (artt. 316 e 343 stPo). 7. Motivi di ricorso 7.1. Giurisdizione civile Motivo generale (Revisionsgründe) di ricorso è la violazione di legge (Gesetzesverletzung) (art. 545 ZPO), che, per espressa indicazioLo standard è stato ridotto da una completa reexamination del caso alla correzione di errori fatti in prima istanza. 6 121 ne (art. 546 ZPO), consiste nella mancata o erronea applicazione di una norma giuridica. Il ricorso deve comunque riguardare la violazione di una legge o regolamento federale, la cui applicazione deve andare al di là del distretto del giudice di appello7. E’ ammissibile pertanto solo il ricorso che presenti un interesse generale, nel senso che la questione di diritto sottoposta alla Corte deve eccedere i limiti del caso singolo. Inoltre, l’erronea applicazione della legge da parte del giudice deve presentarsi suscettibile di ripetizioni. Affinché l’istanza sia accolta, la violazione deve essere in rapporto di causalità con il contenuto della sentenza impugnata8. Vi sono peraltro casi in cui il codice considera sempre rilevante una violazione di legge, quali “cause assolute di revisione” (art. 546 ZPO): si tratta di vizi di procedura, quali la non corretta composizione dell’organo giudicante, la violazione del principio di pubblicità, i vizi di competenza, la mancata rappresentanza in giudizio, la mancanza di motivazione, ecc. I vizi della procedura non possono in ogni caso essere dedotti per la prima volta in cassazione (art. 556 ZPO). 7.2 Giurisdizione penale Unico motivo è la violazione di legge (art. 337 StPO), intesa come mancata od erronea applicazione di una norma giuridica. Anche per la materia penale, il codice individua casi tipici di violazione di legge (art. 338 StPO), quali la irregolare composizione dell’organo giudicante, vizi delle notificazioni, vizi della sentenza, mancanza di giurisdizione o incompetenza, violazione del diritto di difesa, ecc. Come per la materia civile, il ricorrente deve specificare le circostanze dalle quali discende la violazione (art. 344 StPO). 8. Ricorrenti 8.1 Giurisdizione civile Le parti devono essere assistite da avvocati specializzati (art. 78 ZPO), il cui numero è attualmente di 31 unità. 8.2 Giurisdizione penale Sia l’imputato che il pubblico ministero possono ricorrere per cas7 Die Revision kann nur darauf gestützt werden, dass die Entscheidung auf der Verletzung des Bundesrechts oder einer Vorschrift beruht, deren Geltungsbereich sich über den Bezirk eines Oberlandesgerichts hinaus erstreckt. 8 In base all’art. 564 ZPO, la Corte non deve motivare il rigetto se le irregolarità del procedimento non sono sostenute nel ricorso da buone ragioni. 122 sazione. Il pubblico ministero può impugnare sia a vantaggio che a svantaggio dell’imputato. 9. Normativa di riferimento L’art. 19, par. 4 della Legge fondamentale stabilisce che «should any person’s rights be violated by public authority, he may have recourse to the courts. If no other jurisdiction has been established, recourse shall be to the ordinary courts». Per il resto, la Costituzione lascia al legislatore piena libertà sulla disciplina dei mezzi di impugnazione e dei filtri da introdurre per limitare l’accesso in ultima istanza. Peraltro, tali limiti devono salvaguardare il principio di eguaglianza e del giudice precostituito per legge, il principio ad essere sentito in giudizio e la certezza del diritto. 3.- Austria. L’art. 92 comma 1 della Costituzione Federale Austriaca statuisce che la Corte Suprema costituisce la Corte di ultima istanza in materia civile e penale. Nell’ambito del sistema costituzionale austriaco la Corte Suprema rappresenta, dunque, la massima istituzione della giurisdizione ordinaria, ma i principi costituzionali di riferimento non impongono che sia assicurata in tutti i casi una garanzia di ricorso alla Corte medesima. 1. Numero dei magistrati addetti alla Corte Suprema 1.1 Settore civile: 41 1.2 Settore penale: 16 Vi sono inoltre 35 “Assistenti” 2. Numero di Sezioni 2.1 Civile: 11, oltre a quella che svolge funzioni in materia di procedimenti anti-trust. 2.2 Penale: 5 3. Numero dei ricorsi 3.1 Civile: nel 2005 n. 2992; nel 2006 n. 2799; nel 2007 n. 2688 3.2 Penale: nel 2005 n. 712; nel 2006 n. 720; nel 2007 n. 820 4. Numero di provvedimenti emessi 4.1 Civile: nel 2005 n. 2959; nel 2006 n. 2796; nel 2007 n. 2681 4.2 Penale: nel 2005 n. 653; nel 2006 n. 721; nel 2007 n. 793 123 5. Esistenza di un filtro preliminare Nella legislazione in vigore è dato riscontrare una serie di disposizioni che limitano l’accessibilità al giudizio di legittimità, la cui finalità sembra dettata dalla necessità di evitare che la Corte Suprema possa essere sopraffatta dall’eccessiva mole di lavoro e che sia quindi posta gravemente a repentaglio la sua funzione nomofilattica nei confronti di tutte le corti ordinarie. 5.1 Giurisdizione civile (Sezioni da 502 a 513 Zivilprozessordnung – ZPO) Il ricorso alla Corte Suprema è assoggettato a limitazioni legate al valore dell’oggetto ovvero all’importanza della questione giuridica trattata, intesa come rilevanza ai fini dei principi dell’unitarietà della giurisdizione o della certezza del diritto, ovvero in relazione allo sviluppo del diritto, con ciò attribuendo importanza decisiva al ruolo della Corte nell’evoluzione del diritto e dell’ordinamento. Il limite all’ammissibilità dell’impugnazione relativamente al valore della causa è inderogabilmente fissato in 4.000 euro. Al di là di tale limite, l’ammissibilità del ricorso ordinario alla Corte Suprema viene, poi, valutata attraverso un esame compiuto dalla corte di appello, la quale, considerati tutti gli elementi che le disposizioni di legge impongono, emette una formale dichiarazione di ulteriore ricorribilità. Allorché sia intervenuto il giudizio di ammissibilità, emesso dalla corte di appello, la parte ricorrente non ha l’obbligo di specificare le ragioni per le quali la violazione di legge è rilevante ai fini della tutela dei principi dell’unitarietà della giurisdizione o della certezza del diritto ovvero in relazione allo sviluppo del diritto. E’ tuttavia contemplato un ricorso straordinario alla Corte, in difetto della dichiarazione di ammissibilità da parte della corte di appello. In tal caso la parte ha l’onere di specificare analiticamente i motivi che, diversamente da quanto indicato dalla corte di appello, rendono ammissibile il ricorso. I motivi devono, comunque, anche in questo caso essere relativi a vizi di violazione di legge che siano rilevanti ai fini della tutela dei principi dell’unitarietà della giurisdizione o della certezza del diritto ovvero in relazione all’interpretazione della legge. 5.2. Giurisdizione penale Va precisato che avverso le pronunce dei giudici “monocratici” delle corti provinciali o distrettuali, competenti in materia di reati minori, non è consentito il ricorso alla Corte Suprema. Allo stesso modo non è prevista la ricorribilità per tutte quelle pronunce (Beschlüsse) che non possono essere qualificate come “verdet- 124 to”, non assistite cioè dal carattere della decisorietà, salvo che non si tratti di decisioni che abbiano leso comunque diritti fondamentali, per le quali è prevista una specifica impugnazione per tale motivo (Grundrechtsbeschwerde) e salva comunque la possibilità per il Procuratore Generale di proporre ricorso nell’interesse della legge. 6. Provvedimenti impugnabili per cassazione 6.1 Giurisdizione civile In materia civile la Corte esercita la propria giurisdizione, in punto di legittimità, sulle impugnazioni avverso decisioni delle corti di appello in grado unico, ovvero avverso pronunce delle corti di appello rese in secondo grado, siano esse di riforma o conferma di quelle di primo grado, nonchè avverso decisioni in rito pronunciate sempre dalle corti di appello. 6.2 Giurisdizione penale In materia penale vi sono due tipi di impugnazioni proponibili avverso decisioni delle corti. Il primo riguarda le pronunce emesse dalle corti in cui siedono giudici non professionali (Schöffengerichte) od in cui sia presente una giuria popolare (Geschworenengerichte) e che possono essere censurate attraverso un’impugnazione per nullità (Nichtigkeitsbeschwerde), sulla quale è la Corte Suprema a pronunciarsi, anche relativamente alle statuizioni concernenti le pene inflitte e le azioni civili consequenziali. Sono contemplati i ricorsi proposti dal Procuratore Generale nell’interesse della legge e dei diritti fondamentali. La seconda categoria di impugnazioni concerne l’appello contro le decisioni delle corti provinciali di seconda istanza. 7. Motivi di ricorso 7.1. Giurisdizione civile In materia civile il ricorso alla Corte Suprema può essere proposto soltanto per motivi attinenti alla violazione di legge, sia sostanziale che processuale, nel mentre non è ammissibile alcuna impugnazione in punto di merito. I motivi devono, comunque, essere relativi a vizi di violazione di legge che siano rilevanti ai fini della tutela dei principi dell’unitarietà della giurisdizione o della certezza del diritto ovvero in relazione all’interpretazione della legge. 7.2 Giurisdizione penale Per quanto concerne i procedimenti penali, sempre ammissibile è il ricorso relativo a vizi procedurali, nel mentre i motivi per interpor- 125 re il ricorso per nullità, analiticamente enunciati dalla Section 281 del codice di procedura penale - Strafprozessordnung StPO - riguardano per la maggior parte vizi di legittimità, ma risultano previsti anche un limitato numero di motivi che attengono al merito delle decisioni impugnate. Il ricorso per motivi attinenti alla certezza del diritto coinvolge, senza dubbio, soltanto questioni di legittimità. 8. Ricorrenti 8.1 Giurisdizione civile Nel processo civile sono legittimati le parti e, se esistenti, gli interventori. 8.2 Giurisdizione penale Nel processo penale il ricorso in favore dell’imputato può essere proposto dall’imputato medesimo, dai suoi ascendenti e discendenti, nonché dal suo difensore o dal Pubblico Ministero. Il ricorso può essere proposto anche contro la volontà dell’imputato nel caso si tratti di minori e la volontà di impugnare provenga dai genitori o dal legale rappresentante. L’impugnazione a sfavore dell’imputato può invece essere proposta soltanto dal Pubblico Ministero o, in casi limitati, da alcune parti private (Privatbeteiligter), che siano state autorizzate a costituirsi. L’impugnazione nell’interesse della legge può essere proposto soltanto dal Procuratore Generale. La proposizione dell’impugnazione per violazione dei diritti fondamentali è consentita alla persona i cui diritti inviolabili si assumono violati. 4.- Spagna. In primo grado la giurisdizione, estesa a più municipi, è esercitata nel settore civile in prima istanza dai juzgados de primera instancia. Nel settore penale operano: juzgados de istruccion e de lo penal, juzgados de menores, juzgados de vigilancia penitenciaria. Nelle municipalità in cui non sono presenti i juzgados de primera instancia e istruccion operano i juzgados de paz. A livello provinciale la competenza è delle Audiencias provinciales, organi collegiali di seconda istanza. Ogni comunità autonoma ha un proprio Tribunal superior de justicia (si tratta di organi posti al vertice dell’ordinamento autonomistico). 126 Due corti hanno giurisdizione estesa a tutto il territorio nazionale: il Tribunal supremo (corte di cassazione, con competenza estesa alla materia civile, penale, sociale e amministrativa) e la Audiencia nacional (corte nazionale, con specifiche competenze in materia penale, amministrativa e del lavoro). 1. Numero dei magistrati addetti alla Corte Suprema 1.1 Settore civile: 1 Presidente, 9 magistrati titolari e 4 magistrati emeriti 1.2 Settore penale: 1 Presidente, 13 magistrati titolari e 4 magistrati emeriti 2. Numero di Sezioni 2.1 Civile: non esistono sezioni predeterminate. Il collegio è formato da tre giudici. 2.2 Penale: come sopra. Il collegio è formato da tre o cinque giudici, a seconda dell’importanza del caso. Secondo un recente provvedimento (2007) della «Junta General de Magistrados», tutti i casi devono essere trattati da sezioni di 5 magistrati. 3. Numero dei ricorsi (i dati statistici sono stati forniti dal Gabinetto tecnico del Tribunale Supremo). 3.1 Civile: nel 2005, n. 4251; nel 2006, n. 3603; nel 2007, n. 3519. 3.2 Penale: nel 2005, n. 4355; nel 2006, n. 4345; nel 2007, n. 4.199 4. Numero di provvedimenti emessi (i dati statistici sono stati forniti dal Gabinetto tecnico del Tribunale Supremo). 4.1 Civile: nel 2005, 1005 sentenze e 4902 ordinanze; nel 2006, 1340 sentenze e 4232 ordinanze; nel 2007, 1534 sentenze e 5.480 ordinanze. Ordinanze (autos) di inammissibilità: circa il 90% delle ordinanze sono di inammissibilità, pertanto la percentuale rispetto al totale è del 74,48% nel 2005, del 68,19% nel 2006 e del 69,86% nel 2007. 4.2 Penale: nel 2005, 1698 sentenze e 3732 ordinanze; nel 2006, 1321 sentenze e 3026 ordinanze; nel 2007, 1125 sentenze e 3311 ordinanze. Ordinanze di inammissibilità: circa il 90% delle ordinanze sono di inammissibilità, pertanto la percentuale rispetto al totale è del 60,77% nel 2005, del 62,11% nel 2006 e del 67,62% nel 2007. 127 5. Esistenza di un filtro preliminare 5.1 Giurisdizione civile Nella cassazione civile (al pari di quella che si occupa del contenzioso amministrativo) esiste un primo vaglio sull’ammissibilità del ricorso. Esso è previsto dagli artt. 483 e 485 della Ley de Enjuiciamiento Civil (LEC). Sono causa di inammissibilità: - la non ricorribilità della sentenza impugnata, - la mancanza del ricorso dei requisiti richiesti dalla legge, - la mancanza di competenza della camera, - la mancanza di interesse cassazionale per l’inesistenza di un contrasto a giurisprudenza consolidata, per assenza di un contrasto giurisprudenziale o se la norma da applicarsi è vigente da più di 5 anni, o se, a giudizio della corte, esiste giurisprudenza del Tribunale supremo sull’applicazione della norma in questione o su altra anteriore di portata eguale o similare, o esiste sulla questione una giurisprudenza sufficiente. L’inammissibilità è pronunciata con ordinanza non ricorribile. 5.2 Giurisdizione penale Diverso è il regime. Non esiste un filtro preliminare. La Corte valuta l’ammissibilità e la fondatezza del ricorso (art. 882 LECrim). L’inammissibilità è pronunciata con ordinanza ed è regolata dagli artt. 884 e 885 della Ley de Enjuiciamiento Criminal (LECrim). Sono causa di inammissibilità: 1) la mancanza manifesta di fondatezza, 2) quando il T.S. ha già dichiarato inammissibili ricorsi sostanzialmente uguali, 3) se il ricorso riguarda casi diversi da quelli consentiti (artt. 849 e 850 LECrim), 4) se la sentenza non è impugnabile, 5) se le allegazioni del ricorrente non rispettano i fatti che la sentenza ha dichiarato come provati o se le allegazioni giuridiche siano in notoria contraddizione o incongruenza con gli stessi, salvo che sia allegato un documento che evidenzi l’errore in tali fatti, 6) quando non sono stati osservati i requisiti formali per la preparazione e presentazione del ricorso. L’inammissibilità riguarda circa il 60% dei ricorsi presentati. 6. Provvedimenti impugnabili per cassazione 6.1 Giurisdizione civile Sono ricorribili per cassazione (art. 477 LEC) le sentenze di secondo grado delle Audiencias Provinciales quando: 128 1º hanno ad oggetto la tutela civile di diritti fondamentali, salvo quelli indicati dall’art. 24 della Costituzione 9; 2º il valore della causa eccede 150.000 euro; 3º la decisione del ricorso presenta un “interés casacional”, che sussiste quando la sentenza impugnata si opponga a giurisprudenza consolidata del T.S. o riguardi questioni sulle quali esiste un contrasto nella giurisprudenza delle Audiencias Provinciales o applichi norma vigente da meno di 5 anni, sempre che in quest’ultimo caso non esista già una giurisprudenza del T.S. su norme anteriori di contenuto uguale o similare. 6.2 Giurisdizione penale Nel sistema attuale (del quale è in corso uno studio di modifica) esiste un triplice regime di impugnazione: 1) solo ricorso per cassazione: nei casi in cui la pena edittale prevista per il reato sia superiore ai 5 anni di detenzione o 10 di misura privativa di altri diritti. In prima istanza è competente la Audiencia Provincial; 2) solo ricorso in appello: nei casi in cui la pena edittale è inferiore a quella indicata al punto 1). In prima istanza è competente il Tribunale penale (Juzgado de lo Penal) e in secondo grado la Audiencia Provincial, la cui sentenza non è impugnabile per cassazione; 3) sistema di appello e cassazione: per taluni delitti è previsto il ricorso in appello e di seguito in cassazione. Il collegio è composto da 1 presidente togato e da 9 giudici popolari. In grado di appello è competente il Tribunale Superiore di giustizia. Sulla base del sistema così descritto, attualmente, salvo motivi di connessione, la Corte suprema si occupa soltanto di reati puniti con pena non inferiore nel massimo a 5 anni di detenzione (o 10 anni se si tratta di pena non carceraria). 9 Artículo 24. 1. Todas las personas tienen derecho a obtener la tutela efectiva de los que jueces y tribunales en el ejercicio de sus derechos e intereses legítimos, sin que, en ningún caso, pueda producirse indefensión. 2. Asimismo, todos tienen derecho al Juez ordinario predeterminado por la Ley, a la defensa y a la asistencia de letrado, a ser informados de la acusación formulada contra ellos, a un proceso público sin dilaciones indebidas y con todas las garantías, a utilizar los medios de prueba pertinentes para su defensa, a no declarar contra sí mismos, a no confesarse culpables y a la presunción de inocencia. La Ley regulará los casos en que, por razón de parentesco o de secreto profesional, no se estará obligado a declarar sobre hechos presuntamente delictivos. 129 7. Motivi di ricorso 7.1. Giurisdizione civile: Si distinguono le violazioni di legge e le violazioni processuali. A) Esiste un unico motivo per le violazioni di legge (art. 477 LEC): violazione di nome giuridiche applicabili per risolvere le questioni oggetto del processo. B) Le violazioni processuali (art. 469 LEC) si distinguono in: 1º violazione delle norme sulla giurisdizione o sulla competenza per materia o funzionale; 2º violazione delle norme processuali relative alla decisione; 3º violazione delle norme giuridiche che governano gli atti e le garanzie del processo quando la violazione determina una nullità prevista dalla legge o è idonea a determinare una violazione del diritto di difesa; 4º violazione, nel processo civile, di diritti fondamentali riconosciuti dall’art. 24 della Costituzione. Si procede al ricorso straordinario per violazioni processuali solo se il vizio è stato denunciato nelle istanze precedenti. Se il gravame attiene a violazione di diritti fondamentali e ha causato vizi sanabili, deve essere stata richiesta nelle stesse istanze la loro sanatoria. 7.2 Giurisdizione penale I motivi di ricorso possono raggrupparsi in tre categorie: a) violazioni di diritti fondamentali (diritto di difesa, mancanza di motivazione della sentenza, riservatezza, inviolabilità del domicilio, tutela giudiziaria effettiva, ecc., previsti dagli artt. da 14 a 29 della Costituzione). In questo caso, dopo la sentenza della Corte suprema è consentito esperire un ulteriore ricorso (“recurso de amparo”) davanti al Tribunal Constitucional e poi alla Corte europea per i diritti dell’uomo. b) violazioni di legge: l’art. 849 della legge prevede 2 motivi. Il primo riguarda ogni precetto penale o non, con carattere sostanziale. L’altro riguarda il caso in cui esiste un errore nella valutazione della prova basata su “documenti” che dimostrino l’errore del giudice e non siano in contraddizione con altri elementi probatori. Si tratta dell’unico caso in cui è consentita la valutazione dei fatti provati nella sentenza. Peraltro, è consentito allegare solo documenti con le seguenti caratteristiche: - devono essere documenti che, ai sensi dell’art. 26 del Código Penal, supportino materiale che esprime o incorpora dati, fatti, o descrizione con efficacia probatoria o con altro tipo di rilevanza giuridica; 130 - non devono essere documenti del procedimento, con esclusione pertanto di atti che documentino prove raccolte oralmente al processo; - devono essere autosufficienti, nel senso che non devono essere completati con altri mezzi di prova; - infine, i documenti non devono essere contraddetti da altre prove utilizzate dal tribunale nella adozione della decisione. c) Violazioni di forma, distinte in vizi del processo e vizi della sentenza. I vizi del processo, previsti dall’art. 850 della Ley, riguardano: - la mancata assunzione di una prova rilevante; - l’omessa citazione delle parti per il giudizio orale, salvo che le stesse compaiono all’udienza indicata nella citazione; - la decisione del presidente della corte di escludere che un testimone risponda su domande a lui dirette, che sono pertinenti e di influenza manifesta nel processo; - la valutazione di una domanda come suggestiva, capziosa e non rilevante, sempre che la stessa abbia importanza per il risultato del giudizio; - la decisione del tribunale di continuare il giudizio per le parti comparse in caso di contumacia di altri correi, sempre che esista un motivo fondato che si opponga alla separazione o se è stata dichiarata erroneamente la contumacia. In ordine ai vizi della sentenza, l’art. 851 della Ley contempla i seguenti motivi: - la sentenza non esprime chiaramente i fatti provati o risulta manifestamente in contraddizione con questi o considera come fatti provati concetti, che per il loro carattere giuridico, implicano una «predeterminación del fallo»; - la sentenza dichiara che i fatti allegati dalla parte dell’accusa non sono stati provati, senza far riferimento a quelli che risultano provati; - la sentenza non risolve tutti i punti che hanno fatto oggetto dell’imputazione o della difesa; - la sentenza condanna l’imputato per un delitto più grave di quello contestato, senza che sia stata esperita la procedura di modifica della contestazione ex art. 733; - la sentenza è stata pronunciata da un numero inferiore di magistrati di quelli previsti o è stata approvata con una votazione non conforme alla legge; - la sentenza è stata pronunciata da un magistrato, la cui istanza di ricusazione, presentata a termini di legge, è stata rigettata. 131 8. Ricorrenti 8.1 Giurisdizione civile Possono ricorrere le parti attrici e convenute nel processo. 8.2 Giurisdizione penale Possono ricorrere (art. 854 LECrim): il Pubblico Ministero (Ministerio Fiscal), che ha preso parte al procedimento, le persone condannate, i loro eredi. Le parti civili (intervenienti nel processo solo per reclamare la responsabilità civile derivante dal reato) possono ricorrere limitatamente alle statuizioni civili. 9. Normativa di riferimento e riforme 9.1 Normativa L’art. 123 della Costituzione prevede che il Tribunal Supremo, con giurisdizione su tutta la Spagna, è un organo giurisdizionale superiore, in tutte le materie, salvo quanto disposto in materia di garanzie costituzionali. La Costituzione (art. 53) riconosce al cittadino il diritto al ricorso (recurso de amparo) davanti alla Corte costituzionale per la tutela dei diritti e libertà fondamentali previste dalla stessa Costituzione. Il ricorso per cassazione civile è regolato dalla Ley de Enjuciamiento Civil, vigente dal 7 gennaio 2000, dagli articoli da 468 a 489. Il ricorso per cassazione penale è regolato dalla Ley de Enjuiciamiento Criminal, dagli articoli da 847 a 953. 9.2. Progetti di riforma Nella passata legislatura, il Consiglio dei Ministri del 14 dicembre 2005 ha approvato e rimesso alle Corti generali il «Progetto di legge organica n. 121 del 1969» per adattare la legislazione processuale alla legge organica del 1° luglio 1985 n. 6, sull’organizzazione giudiziaria, così da riformare il ricorso per cassazione ed estendere il doppio grado di giudizio penale. Dopo le elezioni politiche del marzo 2008, non è dato sapere se tale progetto, che apporta una fondamentale modifica al sistema dei ricorsi civili e soprattutto penali, sarà realizzato. In penale, tale progetto estende a tutti i reati l’appello. Non solo quindi alle sentenze del giudice penale, ma anche a quelle delle Audiencias Provinciales. Con l’estensione dell’appello, la Corte suprema assume quindi il ruolo di istanza di unificazione della giurisprudenza in tutte le materie (la funzione del Tribunal Supremo «como órgano jurisdiccional superior y garante de la unidad de doctrina en todos los órdenes jurisdiccionales»), mentre sarà sviluppata dai Tribunales Superiores de Justi- 132 cia «una función casacional en todas las ramas del Derecho Autonómico». In sostanza, secondo il progetto: 1- l’appello viene esteso a tutte le decisioni di primo grado, così da escludere il ricorso per cassazione dall’esame delle questioni di fatto. Attualmente, la possibilità che in cassazione si valutino le questioni concernenti la valutazione della prova si ricollega: o al meccanismo di cui all’art. 849, co. 2 (quando c’è stato un errore nella valutazione della prova, basato su documenti che da soli dimostrino l’errore del giudice, senza risultare contraddetti da altri elementi probatori); o alla presunzione di innocenza; o mediante la verifica del ragionamento operato in caso di prova indiziaria; o mediante l’applicazione dei canoni stabiliti dal Tribunale Supremo e dal Tribunale costituzionale per assegnare valore a determinati mezzi di prova; o, infine, mediante la revisione in cassazione di sentenze che riguardano elementi interni o sostanziali del reati (ad es. volontarietà di uccidere o di offendere, destinazione della droga, ecc.). 2- La ricorribilità per cassazione non si estende a tutte le sentenze di secondo grado: sono escluse quelle emesse dalle Audiencias Provinciales per pene che non eccedono i 3 anni. 3- I motivi di ricorso ruotano sul contrasto della decisione con la giurisprudenza del Tribunale Supremo o del Tribunale costituzionale. Peraltro, la violazione di una norma costituzionale è sempre direttamente censurabile per cassazione davanti al TS. 4- E’ limitato il vaglio del TS alle sole questioni di diritto, rafforzandone la giurisprudenza con la previsione del precedente vincolante; si dispone infatti che «i giudici e i Tribunali applichino le leggi e i regolamenti in conformità con la interpretazione uniforme e costante del TS». 5.- Francia. Sono presenti due gradi di giudizio di merito ed una terza istanza limitata alle sole questioni di diritto. Al vertice dell’ordine giudiziario è posta la Corte di cassazione (Cour de cassation), l’ordine amministrativo è invece sottoposto al controllo del Consiglio di Stato (Conseil d’Etat). Il ricorso per cassazione è una impugnazione straordinaria – stante l’originaria funzione politica e non giurisdizionale della Corte di cassazione - limitata alle sole questioni di diritto. 133 L’art. L 411- 2 del Codice dell’organizzazione giudiziaria prevede infatti che «la Cour de cassation ne connaît pas du fond des affaires, sauf disposition législative contraire» e l’autorizza soltanto a verificare se la legge è stata correttamente applicata ai fatti constatati nella decisione impugnata. La Corte può essere investita anche da un giudice competente in materia civile sulla base di una domanda (saisine pour avis), diretta a porre una questione pregiudiziale di diritto su materie nuove, che presenti una certa difficoltà e possa riguardare numerosi contenziosi (art. L 151-1 del codice dell’organizzazione giudiziaria e art. 1031-1 e ss. c.p.c.). 1. Numero dei magistrati addetti alla Corte Suprema 1.1 Settore civile: 1 Presidente, 1 consigliere anziano per ogni sezione, 81 consiglieri, 65 consiglieri referendari, 10 consiglieri applicati. 1.2 Settore penale: 1 Presidente e 1 consigliere anziano, 28 consiglieri e 9 consiglieri referendari. 2. Numero di Sezioni 2.1 Civile: 5 sezioni (di cui una sociale e una commerciale). Ciascuna camera è composta da 1 Presidente, 1 consigliere anziano, da consiglieri e consiglieri referendari. A sua volta la camera è divisa in sezioni. Quando giudica in formazione ristretta (ammissibilità del ricorso), la sezione è composta da tre giudici. In formazione ordinaria è composta da almeno cinque giudici deliberanti, o, su decisione del suo presidente, può deliberare in formazione plenaria, con tutti i membri della camera, quando la decisione riguarda una questione difficile o che potrebbe comportare una modifica della giurisprudenza. 2.2 Penale: una sezione, composta come sopra. 3. Numero dei ricorsi 3.1 Civile: nel 2005, n. 18830; nel 2006, n. 19034; nel 2007, n. 18232. In materia civile, il numero dei ricorsi aveva conosciuto un leggero aumento nel 2006, poi contenuto nel 2007. Quest’evoluzione è stata spiegata dal Primo Presidente con la diminuzione del contenzioso in materia «prud’homal» (contratti di lavoro), a seguito dell’estensione anche a tale settore, dal 2005, della difesa tecnica obbligatoria, da 134 parte degli avvocati abilitati presso il Consiglio di Stato e la Corte di cassazione, che consente a monte di limitare il numero dei ricorsi. Le materie dispensate dal ministero di un avvocato al Consiglio di Stato ed alla Corte di cassazione rappresentano, attualmente, quasi il 50% del contenzioso sottoposto alla Corte di cassazione. 3.2 Penale: nel 2005, n. 7765; nel 2006, n. 9205; nel 2007, n. 7963. 4. Numero di provvedimenti emessi 4.1 Civile: nel 2005, n. 24776; nel 2006, n. 22461; nel 2007, n. 20354. In materia civile, nel 2007 si è registrata una tendenza alla diminuzione dei tempi di attesa della trattazione di un ricorso (il termine medio delle procedure è di 16 mesi), grazie alla riduzione di ufficio dei termini di deposito delle memorie delle parti ordinata dal Primo Presidente, sulla base dell’art. 1009 c.p.c., applicabile ai casi in cui la natura dell’affare giustifica un esame accelerato. Il termine medio delle procedure penali nel 2007 è stato di 138 giorni. 4.2 Penale: nel 2005, n. 7826; nel 2006, n. 9047; nel 2007, n. 8468. 5. Esistenza di un filtro preliminare Dal 15 giugno 2001, la Corte di cassazione dispone, sul modello del Consiglio di Stato, di una procedura semplificata che le consente di dichiarare non ammessi i ricorsi, senza motivazione, quando sono prima facie inammissibili o non fondati su seri motivi. Questa procedura di inammissibilità è tuttavia attuata differentemente dinanzi alla Corte di cassazione: il principio del contraddittorio è rispettato a monte, poiché le parti producono le loro memorie, ed il relatore, che redige un documento unico, contenente la relazione ed il parere di rifiuto, è dispensato soltanto dalla redazione di un progetto di sentenza. Questa relazione è comunicata alle parti, che sono quindi poste a conoscenza delle ragioni dell’orientamento di non ammissione. In materia civile, nel 2007 il 14% delle procedure sono state definite in formazione ordinaria (nel 2006 il 16%, nel 2005 il 18%). Nel 2007 il 32% delle procedure sono state definite con una decisione di inammissibilità pronunciata dalla formazione ristretta (il 32% nel 2006, il 36% nel 2004). In materia penale, nel 2007 solo il 3% delle procedure sono state definite in formazione ordinaria (il 4% nel 2006, il 5% nel 2005). Nel 135 2007 il 59% delle procedure sono state definite con una decisione di inammissibilità pronunciata dalla formazione ristretta (il 59% nel 2006, il 55% nel 2005). 5.1 Giurisdizione civile L’art. L 131-6 del codice dell’organizzazione giudiziaria prevede che, dopo il deposito delle memorie, i ricorsi sottoposti ad una camera civile sono esaminati da una formazione di tre magistrati («formation restreinte») che appartengono alla camera alla quale sono stati assegnati. Questa formazione dichiara non ammessi i ricorsi inammissibili o non fondati su un mezzo serio di cassazione e decide «quando la soluzione del ricorso si impone». Nel caso contrario, ne rinvia l’esame all’udienza della camera. Tuttavia, il primo presidente o il presidente della camera interessata, o i loro delegati, d’ufficio o su richiesta del procuratore generale o di una delle parti, possono rinviare direttamente il ricorso all’udienza della camera sulla base di una decisione non motivata. Il codice è stato sul punto, da ultimo, modificato con l’Ordonnance n° 2006-673 dell’8 giugno 2006 (non ancora in vigore), che prevede più sinteticamente che la formazione ristretta delibera «quando la soluzione del ricorso si impone» (art. L 431-1), lasciando per il caso contrario, la procedura previamente prevista. La modifica ha in sostanza spostato le disposizioni attualmente presenti nella parte legislativa del codice in quella regolamentare. Quale ulteriore deterrente, l’art. 628 c.p.c. stabilisce che il ricorrente in cassazione che soccombe o il cui ricorso è dichiarato inammissibile, in caso di ricorso abusivo, possa essere condannato ad un’ammenda civile il cui importo non può eccedere i 3.000 euro e, negli stessi limiti, al pagamento di un’indennità al convenuto. 5.2. Giurisdizione penale L’art. L 131-6 del codice dell’organizzazione giudiziaria prevede che, nel caso in cui la soluzione di un ricorso sottoposto alla camera criminale «sembra imporsi», il primo presidente o il presidente della camera criminale possono decidere di farlo giudicare da una formazione di tre magistrati. Questa formazione può rinviare l’esame dell’affare all’udienza della camera su richiesta di una delle parti; il rinvio è di diritto se uno dei magistrati che compongono la formazione ristretta lo chiede. La formazione inoltre dichiara non ammessi i ricorsi inammissibili o non fondati su di un serio motivo di cassazione. Con l’Ordonnance n°2006-673 dell’8 giugno 2006 (non ancora in vigore), tali disposizioni sono state abrogate e si prevede che le disposizioni relative alla procedura d’ammissione dei ricorsi siano fissate dal codice di procedura penale (art. L. 431-2). Gli artt. 567-1 e 567-2 136 c.p.p. già replicano la procedura previamente dettata dal codice dell’organizzazione giudiziaria. In ogni caso, la Corte di cassazione, prima di deliberare nel merito del ricorso, verifica se l’impugnazione è stata regolarmente proposta. Se ritiene che le condizioni legali non siano soddisfatte, pronuncia, secondo i casi, una sentenza d’irricevibilità o di decadenza (art. 605 c.p.p.). Pronuncia una sentenza di non luogo a deliberare se l’appello è diventato senza oggetto (art. 606 c.p.p.). 6. Provvedimenti impugnabili per cassazione 6.1 Giurisdizione civile Il ricorso per cassazione è un rimedio straordinario di impugnazione (art. 527 c.p.c.), insieme con l’opposizione di terzo e la revisione, limitato quindi ai soli casi previsti dalla legge e di norma senza effetto sospensivo. Impugnazioni ordinarie sono invece l’appello e l’opposizione, esperibili in tutte le materie e purché la parte vi abbia interesse, con effetto sospensivo. L’art. 500 c.p.c. stabilisce che ha autorità di cosa giudicata la sentenza che non è suscettibile di alcun ricorso con effetto sospensivo. L’art. 605 c.p.c. prevede che il ricorso per cassazione può essere esercitato soltanto contro una sentenza pronunciata in ultima istanza («Le pourvoi en cassation n’est ouvert qu’à l’encontre de jugements rendus en dernier ressort»). Secondo l’art. 606 c.p.c., possono essere impugnate in cassazione le sentenze di ultima istanza che annullano nel loro dispositivo una parte (ordinando una misura d’istruzione o un provvedimento provvisorio) o tutto il dispositivo della decisione principale, come anche le sentenze di ultima istanza che, decidendo su una eccezione di procedura o su altro incidente, mettono fine al procedimento (art. 607 c.p.p.). Eccezione alla regola prevista dall’art. 605 c.p.p. è il caso in cui vi sia «contrarietà di giudizi» di cui all’art. 618 c.p.c. 6.2 Giurisdizione penale Ai sensi dell’art. 567 c.p.p., sono ricorribili per cassazione «le sentenze della Chambre d’accusation e le sentenze pronunciate in ultima istanza in materia criminale, correttiva e di polizia». Sono ricorribili le decisioni d’acquittement pronunciate dalla corte di assise, solo nell’interesse della legge e senza pregiudizio delle parti assolte (art. 572). Possono tuttavia presentare un ricorso in cassazione le parti che intendono solo contestare le statuizioni civili. Le sentenze della Chambre d’accusation sono ricorribili dalla parte civile solo se c’è il ricorso del pubblico ministero. Tuttavia, è ammesso il solo ricorso della parte civile quando la camera ha stabilito «n’y 137 avoir lieu à informer» o quando ha dichiarato irricevibile l’azione della parte civile (art. 575 c.p.p.). 7. Motivi di ricorso 7.1. Giurisdizione civile Secondo l’art. 604 c.p.c., il ricorso per cassazione è diretto a far dichiarare dalla Corte di cassazione la «non-conformité du jugement qu’il attaque aux règles de droit». Non vi è una norma che elenchi i motivi di ricorso. E’ stata pertanto la stessa Corte ad elaborare i casi di ricorso. I motivi di ricorso possono così elencarsi: a) violazione di legge (violation de la loi). Si distingue in violazione per falsa applicazione, violazione per rifiuto di applicazione e violazione per erronea interpretazione. b) vizi della motivazione (défaut de motifs e contradiction de motifs). L’art. 455 c.p.c. prevede, a pena di nullità, che tutte le sentenze di merito devono essere motivate. Oltre alla mancanza di motivazione, rileva la contraddittorietà della motivazione. In tale vizio viene fatto ricadere anche il «défaut de réponse à conclusions», la mancata risposta alle questioni sollevate delle parti che hanno fatto oggetto di discussione. c) mancanza di base legale (défaut de base légale). Si tratta del caso in cui la constatazione dei fatti operata dal giudice sia insufficiente per giustificare l’applicazione della regola di diritto applicata. d) «dénaturation» di un atto chiaro. Il giudice interpreta in modo erroneo un documento chiaro e preciso (di norma un contratto). e) contrarietà di giudizi (art. 618 c.p.c.). Quando due decisioni, anche non rese in ultima istanza, sono tra loro inconciliabili e nessuna di esse è suscettibile di un ricorso ordinario. Deve essere diretto contro entrambe le decisioni. f) eccesso di potere. La decisione di merito costituisce un’invasione di potere dell’autorità giudiziaria sul potere legislativo o esecutivo. Scopo primario è «faire cesser le trouble causé à l’ordre public» dall’atto viziato. Tale motivo viene utilizzato tutte le volte in cui il giudice si arroga un diritto che minaccia o viola un principio fondamentale della procedura. g) incompetenza. h) inosservanza di forme. Violazione di forme prescritte a pena di nullità per la formazione degli atti di procedura o delle sentenze. Il nuovo codice di procedura civile ha peraltro fortemente ridotto i casi di nullità. 138 i) ricorso nell’interesse della legge (art. 618-1). Un particolare ricorso è riservato al procuratore generale della Corte di cassazione. Non produce effetti sulle parti, ma è diretto solo a mantenere l’unità della giurisprudenza. 7.2 Giurisdizione penale Il codice prevede due ipotesi: a) violazione della legge. Le decisioni impugnabili possono essere annullate per «violazione di legge» (art. 591 c.p.p.). Sono in particolare nulle le sentenze che non sono state rese dal numero dei giudici prescritto; che sono state rese da giudici che non hanno assistito a tutte le udienze della causa (quando sono state dedicate molte udienze allo stesso affare, si presume che tutti i giudici che hanno contribuito alla decisione hanno assistito alle udienze); che sono state rese senza l’audizione del pubblico ministero; che non sono state rese, con riserva delle eccezioni previste dalla legge, a seguito di una udienza pubblica (art. 592 c.p.p.). b) vizi della motivazione (art. 593 c.p.p.). Sono nulle le sentenze che non contengono la motivazione o quando la stessa è insufficiente e non consente alla Corte di cassazione di esercitare il suo controllo e di stabilire se la legge sia stata rispettata nel dispositivo. Parimenti, sussiste nullità quando la sentenza non si è pronunciata su una o più domande delle parti, ovvero su una o più richieste del pubblico ministero. c) ricorso nell’interesse della legge. Un particolare ricorso è riservato al procuratore generale della Corte di cassazione, con il quale sono denunciate alla camera criminale, al fine del loro annullamento, sentenze o atti giudiziari contrari alla legge (art. 620 c.p.p.). Il procuratore generale della Corte di cassazione può impugnare una sentenza ricorribile per cassazione, contro la quale nessuna delle parti ha presentato impugnazione entro il termine previsto, d’ufficio e nonostante la scadenza del termine nel solo interesse della legge (art. 621 c.p.p.). Ulteriori casi di ricorribilità per cassazione elaborati in sede giurisprudenziale sono: excès de pouvoir; incompétence; inobservation des formes; dénaturation; contrariété de jugements; perte de fondement juridique. 8. Ricorrenti 8.1 Giurisdizione civile Secondo l’art. 609 c.p.c., qualsiasi parte, che ha interesse, è ammessa a ricorrere in cassazione, «anche se la disposizione che le è sfavorevole non va a vantaggio del suo avversario». Il termine per la presentazione è di due mesi (art. 612 c.p.c.) 139 In ogni caso, la parte deve investire, a pena di inammissibilità, la Corte di cassazione con un ricorso redatto da un avvocato (avocat o Conseils), facente parte dell’ordine particolare dei patrocinanti presso la Corte, eccetto se si tratta di una materia per la quale tale difesa non è obbligatoria. Tale condizione, giustificata dal particolare tecnicismo del giudizio in cassazione, è stata ritenuta in linea con la direttiva 98/5/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 16 febbraio 1998, intesa a facilitare l’esercizio permanente della professione d’avvocato in uno Stato membro diverso da quello dove la qualificazione è stata acquisita, che prevede in particolare all’art. 5, § 3, cpv. 2, che «allo scopo di garantire il funzionamento regolare della giustizia, gli Stati membri possono stabilire norme d’accesso alle corti supreme, come il ricorso ad avvocati specializzati». Senza che quest’elenco presenti un carattere esauriente, le principali materie nelle quali non è richiesta l’assistenza obbligatoria sono: elezioni, e soltanto per alcune giurisdizioni d’oltremare, gli affari «prud’homales» (contratti di lavoro). In questi casi, l’impugnazione può essere proposta dal ricorrente stesso, da un avvocato patrocinante in cassazione, o da qualsiasi mandatario, a condizione che sia conferita procura speciale (artt. 984 - 989 c.p.c.). 8.2 Giurisdizione penale Secondo l’art. 567 c.p.p., possono ricorrere per cassazione, in caso di violazione della legge, il pubblico ministero o la parte che intende far valere la nullità. Il termine per la presentazione è di cinque giorni (tre in materia di stampa) (art. 568 c.p.p.). In materia penale, non vige per l’imputato il principio dell’assistenza obbligatoria di un avvocato specializzato. La dichiarazione può essere fatta personalmente, o a mezzo di un procuratore legale della giurisdizione del giudice a quo o di un’altra giurisdizione con procura speciale. Va considerato infine che l’aide juridictionnel non è accordato se il ricorso risulta prima facie infondato (art. 7 l. 10 luglio 1991, n. 91-647 «si aucun moyen de cassation sérieux ne peut être relevé»). La Corte di Strasburgo ha rilevato che tale limitazione è «indubbiamente ispirata dalla legittima preoccupazione che il denaro pubblico sia usato soltanto per gli scopi del patrocinio gratuito a favore dei ricorrenti alla corte della cassazione i cui gravami presentino una ragionevole prospettiva di successo» (Gnahorè c. Francia, 19 settembre 2000, § 41), potendo tale istituto «funzionare soltanto se la procedura consente 140 una selezione dei casi» (Ange Garcia c. Francia, decisione della Commissione del 10 gennaio 1991), ed è conforme all’art. 6, par. 1 della Convenzione, stante la ricorribilità davanti al primo presidente delle decisioni di diniego. 9. Normativa di riferimento e riforme 9.1 Normativa Nella Costituzione manca una disposizione corrispondente al nostro 111 Cost. Trovando la sua base nella legge (peraltro, tra le materie oggetto di riserva di legge ex art. 34 Cost. non rientra il diritto processuale), la dottrina sostiene la tesi secondo cui il legislatore potrebbe discrezionalmente limitare ed escludere il ricorso per cassazione. Il Conseil constitutionnel ha definito tuttavia il ricorso per cassazione una «garanzia fondamentale, la cui regolamentazione spetta al legislatore» (dec. 10 maggio 1988, n. 88-15710). Il ricorso per cassazione civile è regolato dal codice di procedura civile dagli articoli da 604 a 639. Il ricorso per cassazione penale è regolato dal codice di procedura penale, dagli articoli da 567 a 621. In ordine alle recenti riforme, che mirano ad una definizione più rapida dei ricorsi, va segnalata la legge n° 2007-291 del 5 marzo 2007 che, in materia penale, ha imposto anche al pubblico ministero, che ricorre in cassazione, un termine per il deposito della memoria (un mese dopo la presentazione della dichiarazione di ricorso, art. 585-1 c.p.p.). 9.2. Progetti di riforma La Corte di cassazione formula annualmente proposte di riforma riguardanti le materie di sua competenza, che sono indirizzate ufficialmente al Ministro della giustizia all’apertura dell’anno giudiziario. Nel Rapporto annuale relativo al 2007, la Corte di cassazione ha proposto alcune modifiche normative per diminuire i tempi delle procedure. In materia civile, per la riduzione dei termini per la istruzione delle memorie è stata caldeggiata la modifica del codice di procedura civile che disciplina la procedura dinanzi alla Corte di cassazione nelle materie con assistenza legale obbligatoria. Sulla base di una prassi av- http://www.conseil-constitutionnel.fr/decision/1988/88157l.htm. «Que cette dernière disposition a trait à une voie de recours qui constitue pour les justiciables une garantie fondamentale dont, en vertu de l’article 34 de la Constitution, il appartient seulement à la loi de fixer les règles». 10 141 viata nel 2005, in accordo con l’Ordine degli avvocati patrocinanti in cassazione, il primo Presidente, utilizzando l’art. 1009 del c.p.c., ha fortemente contratto i termini per la produzione delle memorie. La proposta mira a ratificare tale prassi, riducendo i termini da cinque a quattro mesi per il deposito delle memorie attoree, e da tre a due mesi quelle in difesa. In materia penale, è stata proposta l’estensione della assistenza legale obbligatoria da parte di un avvocato patrocinante in cassazione, che garantirebbe per il ricorrente una garanzia qualitativa nella presentazione dei motivi di ricorso. 6.- Belgio. La Corte di Cassazione è unica per l’intero territorio belga e si trova al vertice di tutte le giurisdizioni dell’ordinamento giudiziario. La Corte non tratta il merito delle cause (ex art. 147 Cost.), né costituisce un terzo grado della giurisdizione, ma decide, ai sensi dell’art. 608 del Codice giudiziario, in merito alle decisioni rese in ultima istanza che le sono deferite qualora vi sia stata violazione di legge o violazione delle forme (sia sostanziali, sia prescritte a pena di annullamento). Essa, pertanto, decide in merito alle sentenze delle corti e dei tribunali rese su qualsiasi questione ed in ultima istanza (art. 609, punto 1, del Codice giudiziario), esercitando un controllo di legalità ed una funzione di coordinamento (principio dell’unità della giurisprudenza). 1. Numero dei magistrati addetti alla Corte Suprema I magistrati sono in totale 30, ivi compresi il primo presidente e due presidenti e sono assegnati sia al settore civile che a quello penale. 2. Numero di Sezioni 2.1 Civile: 2 2.2 Penale: 1 La Corte di Cassazione comprende tre camere, ognuna delle quali è suddivisa in due sezioni, la sezione olandese e la sezione francese: ognuna di queste sezioni è composta da cinque consiglieri, compreso il presidente (art. 128 del Codice giudiziario). La prima camera è competente per le materie del diritto civile, commerciale e tributario, la seconda è competente per la materia penale, mentre la terza per quelle inerenti al diritto del lavoro e della previdenza sociale. 142 3. Numero dei ricorsi 3.1 Civile: nel 2005 n. 1.059; nel 2006 n. 1.152; nel 2007 n. 1.138. 3.2 Penale: 2005: n. 1.713; nel 2006 n. 1.697; nel 2007 n. 1.907. 4. Numero di provvedimenti emessi 4.1 Civile: nel 2005 n. 1.108; nel 2006 n. 1.036; nel 2007 n. 1.096. 4.2 Penale: nel 2005 n. 1.712; nel 2006 n. 1.722; nel 2007 n. 1.877. Occorre peraltro considerare che i ricorsi proposti prima del 2005 spesso sono stati decisi nel corso del 2006 o successivamente. 5. Esistenza di un filtro preliminare Non è previsto un filtro preliminare di ammissibilità dei ricorsi. Tuttavia, la Corte di Cassazione, prima di esprimersi sulla fondatezza del motivo di ricorso, deve verificarne le condizioni di ricevibilità, tenuto conto del fatto che essa è competente per le sole questioni di diritto (ad es., sono irricevibili i motivi imprecisi o privi di chiarezza; quelli che investono i profili di fatto della causa; quelli proposti per la prima volta in cassazione, ovvero quelli che investono una decisione che non riguarda la persona del ricorrente). In materia penale, inoltre, la Corte verifica d’ufficio se la decisione, contro cui è stato proposto un ricorso ricevibile, sia conforme alla legge e se siano state rispettate, nella procedura, eventuali condizioni previste a pena di nullità. 6. Provvedimenti impugnabili per cassazione Sono escluse dal ricorso per cassazione tutte le materie amministrative, che sono soggette alle decisioni degli organi amministrativi e del Consiglio di Stato, così come le materie non ancora definitivamente trattate da un organo giudiziario di merito. 7. Motivi di ricorso I motivi di ricorso riguardano: a) violazioni di legge in materia civile, commerciale, di lavoro, penale, militare e disciplinare: b) difetto di competenza o abuso di potere da parte di un organo di merito; c) conflitto di giurisdizione; d) errore di forma o nella motivazione; e) falsità dell’atto; f) riapertura di un procedimento penale a seguito di una decisione della Corte europea dei diritti dell’uomo. 8. Ricorrenti Dinanzi alla Corte di Cassazione la legge prescrive l’intervento di un avvocato avente la qualifica di cassazionista (nelle materie civile, 143 commerciale, di lavoro o disciplinare); questa condizione, peraltro, non si applica alla parte civile in un procedimento penale (art. 478 del Codice giudiziario). Occorre inoltre considerare che in materia penale e fiscale non è richiesta la rappresentanza da parte di un avvocato cassazionista. 7.- Svizzera. L’organizzazione giudiziaria è su base cantonale con giudici di prima e seconda istanza. Al vertice vi è il Tribunale Federale. In base alla legge sul Tribunale Federale (LTF) del 17 giugno 2005, entrata in vigore il 1° gennaio 2007, l’uniformità della giurisprudenza è così garantita (art. 23): «una Corte può derogare alla giurisprudenza di una o più altre corti soltanto con il consenso delle corti interessate riunite. Se deve giudicare una questione di diritto concernente più corti, la corte giudicante, qualora lo ritenga opportuno ai fini dell’elaborazione del diritto giudiziale o per garantire una giurisprudenza uniforme, chiede il consenso delle corti interessate riunite. Le Corti riunite deliberano validamente soltanto se alla seduta o alla procedura per circolazione degli atti partecipano almeno due terzi dei giudici ordinari di ciascuna corte interessata. La decisione è presa senza dibattimento e a porte chiuse; è vincolante per la Corte che deve giudicare la causa». 1. Numero dei magistrati addetti alla Corte Suprema 1.1 Settore civile: 11 1.2 Settore penale: 6 Vi sono in tutto 38 giudici federali. 2. Numero di Sezioni 2.1 Civile: 2 2.2 Penale: 1 Il Tribunale federale svizzero non è unicamente autorità suprema di ricorso in materia civile e penale, ma lo è anche in materia amministrativa ed esplica la funzione di giudice costituzionale in modo limitato (controllo costituzionale del diritto cantonale). E’ composto in tutto di sette corti tra cui una Corte di diritto penale e due Corti di diritto civile. La Corte di diritto penale tratta i ricorsi in materia penale, i ricorsi in materia di diritto pubblico e i ricorsi sussidiari in materia costituzionale che concernono i seguenti campi: 144 a) diritto penale materiale (inclusa l’esecuzione delle pene e delle misure); b) procedura penale (con esclusione dei ricorsi contro decisioni incidentali della procedura penale); c) ricorsi contro decisioni finali di procedura penale (inclusi i non luogo a procedere). I ricorsi in materia penale contro decisioni incidentali nell’ambito della procedura penale sono di competenza della prima Corte di diritto pubblico. La prima Corte di diritto civile tratta i ricorsi in materia civile e i ricorsi sussidiari in materia costituzionale che concernono i seguenti campi: a) diritto delle obbligazioni; b) contratto di assicurazione; c) responsabilità extracontrattuale (anche secondo leggi speciali); d) responsabilità dello Stato per attività medica; e) diritto privato della concorrenza; f) diritti immateriali; g) arbitrati; h) tenuta dei registri e decisioni sul riconoscimento e l’esecuzione di decisioni nonché sull’assistenza giudiziaria in materia civile nei campi secondo le lettere a-g di questo capoverso. La seconda Corte di diritto civile tratta i ricorsi in materia civile e i ricorsi sussidiari in materia costituzionale che concernono i seguenti campi: a) Codice civile: 1. diritto delle persone; 2. diritto di famiglia; 3. diritto delle successioni; 4. diritti reali; b) diritto fondiario rurale; c) esecuzione e fallimenti; d) tenuta dei registri e decisioni sul riconoscimento e l’esecuzione di decisioni nonché sull’assistenza giudiziaria in materia civile nei campi secondo le lettere a) e c) di questo capoverso. I collegi sono formati di regola da tre giudici, ovvero da cinque se la causa concerne una questione di diritto di importanza fondamentale o se un giudice lo richiede (salvo i ricorsi contro decisioni delle autorità cantonali di vigilanza in materia di esecuzione e fallimento). 145 3. Numero dei ricorsi 3.1 Civile: il numero degli affari introdotti in materia civile è di 749 nel 2005, 770 nel 2006 e 1497 nel 2007. 3.2. Penale: in materia penale il numero degli affari introdotti è di 560 nel 2005, 621 nel 2006, e 1310 nel 2007. 4. Numero di provvedimenti emessi 4.1 Civile: il numero degli affari definiti in materia civile è di 720 nel 2005, 757 nel 2006 e 1371 nel 2007. 4.2 Penale: in materia penale il numero degli affari definiti è di 541 nel 2005, 622 nel 2006 e 1161 nel 2007. 5. Esistenza di un filtro preliminare Esiste in generale una procedura semplificata per valutare ex ante l’ammissibilità del ricorso. La Corte decide in formazione monocratica sulla non entrata nel merito di ricorsi manifestamente inammissibili o manifestamente non motivati in modo sufficiente (art. 108 LTF). Decide con formazione di tre membri sulla non entrata nel merito di ricorsi che non sollevano una questione di diritto di importanza fondamentale o non riguardano un caso particolarmente importante, nei casi in cui il ricorso è ammissibile soltanto in base a questa condizione. Le corti decidono nella stessa composizione, con voto unanime, sulla reiezione di ricorsi manifestamente infondati; sull’accoglimento di ricorsi manifestamente fondati, segnatamente se l’atto impugnato diverge dalla giurisprudenza del Tribunale federale e non vi è motivo di riesaminare tale giurisprudenza. La decisione è motivata sommariamente. Può rimandare in tutto od in parte alla decisione impugnata (art. 109 LTF). 6. Provvedimenti impugnabili per cassazione 6.1 Giurisdizione civile In genere, sono ricorribili i provvedimenti emessi dalle autorità cantonali di secondo grado. Nelle cause di carattere pecuniario il ricorso è ammissibile soltanto se il valore della lite ammonta almeno a 15.000 franchi nelle controversie in materia di diritto del lavoro e di locazione, 30.000 franchi negli altri casi. Quando il valore della lite non raggiunge l’importo determinante ai sensi del primo capoverso, il ricorso è ammissibile: a) se la controversia concerne una questione di diritto di importanza fondamentale; b) se una legge federale prescrive un’istanza cantonale unica; c) contro le decisioni delle autorità cantonali di vigilanza in materia di esecuzione e fallimento; d) contro le decisioni del giudice del fallimento e del concordato. 146 Nei limiti delle conclusioni presentate, il ricorso ha effetto sospensivo in materia civile solo se è diretto contro una sentenza costitutiva. 6.2 Giurisdizione penale In genere, sono ricorribili i provvedimenti emessi dalle autorità cantonali di secondo grado. Il termine per l’impugnazione è di regola 30 giorni. Il ricorso non ha effetto sospensivo. Ha effetto sospensivo se è diretto contro una decisione che infligge una pena detentiva senza sospensione condizionale o una misura privativa della libertà; l’effetto sospensivo non si estende alla decisione sulle pretese civili. 7. Motivi di ricorso In generale, il ricorrente può fare valere qualunque violazione del diritto svizzero, che comprende il diritto federale, il diritto internazionale, i diritti costituzionali cantonali, le disposizioni cantonali in materia di diritto di voto dei cittadini e di elezioni e votazioni popolari, il diritto intercantonale. Il ricorrente può censurare l’accertamento dei fatti soltanto se è stato svolto in modo manifestamente inesatto o in violazione del diritto ai sensi dell’articolo 95 LTF e l’eliminazione del vizio può essere determinante per l’esito del procedimento. Contro le decisioni in materia di misure cautelari il ricorrente può far valere soltanto la violazione di diritti costituzionali. Possono essere addotti nuovi fatti e nuovi mezzi di prova soltanto se ne dà motivo la decisione dell’autorità inferiore. Non sono ammissibili nuove conclusioni. Accanto al ricorso ordinario, la LTF contempla la revisione per violazione di norme procedurali da parte dello stesso Tribunale federale (se sono state violate le norme concernenti la composizione del Tribunale o la ricusazione; il Tribunale ha accordato a una parte sia più di quanto essa abbia domandato, o altra cosa senza che la legge lo consenta, sia meno di quanto riconosciuto dalla controparte; il Tribunale non ha giudicato su singole conclusioni; il Tribunale, per svista, non ha tenuto conto di fatti rilevanti che risultano dagli atti) o per violazione della CEDU. 8. Ricorrenti 8.1 Giurisdizione civile Ha diritto di interporre ricorso in materia civile chi ha partecipato al procedimento dinanzi all’autorità inferiore o è stato privato della 147 possibilità di farlo ed ha un interesse giuridicamente protetto all’annullamento o alla modifica della decisione impugnata. Il diritto di ricorrere contro alcune decisioni spetta anche alla Cancelleria federale, ai dipartimenti federali o, in quanto lo preveda il diritto federale, ai servizi loro subordinati, se la decisione impugnata viola la legislazione federale nella sfera dei loro compiti. 8.2 Giurisdizione penale Ha diritto di interporre ricorso in materia penale chi ha partecipato al procedimento dinanzi all’autorità inferiore o è stato privato della possibilità di farlo ed ha un interesse giuridicamente protetto all’annullamento o alla modifica della decisione impugnata, segnatamente l’imputato, il suo rappresentante legale, il pubblico ministero, l’accusatore privato, se in virtù del diritto cantonale ha sostenuto l’accusa senza la partecipazione del pubblico ministero, la vittima, se la decisione impugnata può influire sul giudizio delle sue pretese civili, il querelante, per quanto trattasi del diritto di querela come tale. Anche il Ministero pubblico della Confederazione è legittimato a ricorrere se il diritto federale prevede che la decisione deve essergli notificata o se la causa penale è stata deferita per giudizio alle autorità cantonali. Il diritto di ricorrere contro alcune decisioni spetta anche alla Cancelleria federale, ai dipartimenti federali o, in quanto lo preveda il diritto federale, ai servizi loro subordinati, se la decisione impugnata viola la legislazione federale nella sfera dei loro compiti. 9. Normativa di riferimento La Costituzione federale all’art. 191 stabilisce che è la legge a garantire la possibilità di adire il Tribunale federale e che la stessa può prevedere un valore della lite minimo per le controversie che non concernono una questione giuridica d’importanza fondamentale. La stessa Costituzione prevede, da un lato, che in determinati settori speciali la legge possa escludere la possibilità di adire il Tribunale federale e, dall’altro, che la legge possa prevedere una procedura semplificata per ricorsi manifestamente infondati. La legislazione rilevante in materia è la Legge sul Tribunale federale (LTF) del 17 giugno 2005 entrata in vigore il 1° gennaio 2007. Tale riforma è stata giustificata da tre principali motivazioni: sovraccarico di lavoro della Corte suprema, sistema di rimedi giuridici troppo complicato, lacune per quel che concerne le possibilità di ricorso in sede giudiziaria. Gli obiettivi della riforma sono stati dunque: 148 a) lo sgravio della Corte suprema con il potenziamento delle istanze giudiziarie inferiori, l’introduzione o l’aumento dei limiti del valore della lite, l’esclusione di determinati ambiti dalla competenza del Tribunale federale; b) la semplificazione dei ricorsi con l’introduzione di un ricorso unitario. Infatti, la vecchia organizzazione giudiziaria federale prevedeva un gran numero di ricorsi ed azioni, estremamente difficili da distinguere. Era addirittura necessario presentare due ricorsi distinti contro un’unica decisione in funzione dai motivi del ricorso (ad esempio violazioni di diritti costituzionali o del diritto federale) e dall’autorità inferiore (federale o cantonale) che aveva emanato la decisione. Secondo le nuove disposizioni, esiste un solo rimedio giuridico davanti al Tribunale federale per impugnare una decisione di un’autorità inferiore, a prescindere da quest’ultima e dai motivi del ricorso. 8.- Regno Unito. La struttura del sistema giudiziario inglese è molto complessa. La giurisdizione ordinaria è esercitata, per il settore civile, da: magistrates courts, county courts, high court, court of appeal e la House of Lords. Vi sono poi corti con competenza civile e penale quali: House of Lords, court of appeal, high court, crown court e magistrates’ courts. Un altro criterio di classificazione delle corti inglesi può basarsi sulla distinzione tra corti di primo grado (courts of original jurisdiction), corti di secondo grado o di appello (courts of appelate jurisdiction) e corti con giurisdizione di primo e secondo grado. Appartengono alla prima categoria le magistrates’ courts, alla seconda la court of appeal, alla terza la crown court, la high court e la House of Lords. Inusualmente è affidato il ruolo di giudice di ultimo grado alla sezione giurisdizionale della House of Lords. Essa è competente sulle questioni di diritto nelle materie civili (nelle quali convergono anche quelle amministrative) su tutto il Regno Unito, e sulle materie penali per l’Inghilterra, il Galles e l’Irlanda del Nord. L’Appellate Jurisdiction Act definisce così il ruolo della Corte Suprema: «Every appeal shall be brought by way of petition to the House of Lords, praying that the matter of the order or judgment appealed against may be reviewed before Her Majesty the Queen in her Court of Parliament, in order that the said Court may determine what of right, and according to the law and custom of this realm, ought to be done in the subject-matter of such appeal». La Corte Suprema è competente 149 dunque a «determinare ciò che in diritto, e secondo la legge e i costumi del Regno, deve essere fatto a proposito dell’oggetto, materia del ricorso». Dal 1966, a seguito del Practice Statement del Lord Chancellor, Lord Gardiner, la Corte non è più vincolata ai suoi precedenti 11. 1. Numero dei magistrati addetti alla Corte Suprema Non esiste una divisione di competenze. Sin dall’Appellate Jurisdiction Act del 1876, la House of Lords si compone di Law Lords (nominati dalla Corona, tra gli anziani giudici delle corti di appello), attualmente in numero massimo di 12 (riforma del 1994). Membri di diritto della House of Lords sono poi il Lord Cancelliere, che ne ha la presidenza, e i pari incaricati di alti uffici giudiziari. 2. Numero di Sezioni La House of Lords non ha camere civili e penali, ma lavora attraverso l’Appeal Committee (competente per la preliminare selezione dei ricorsi) e l’Appellate Committee (competente per la decisione degli stessi), composti rispettivamente da 3 e 5 (ma talvolta anche 7 o 9) giudici. 3. Numero dei ricorsi 3.1 Civile: ricorsi già autorizzati nel 2005 n. 75; nel 2006 n. 62; nel 2007 n. 62. Le petitions to leave presentate: nel 2005 n. 2.007; nel 2006 n. 199. 3.2 Penale: ricorsi già autorizzati nel 2005 n. 12; nel 2006 n. 11; nel 2007 n. 10. Le petitions to leave presentate: nel 2005 n. 40; nel 2006 n. 37. Gli appeals già autorizzati dai giudici a quo: nel 2003 n. 65, nel 2004 n. 77, nel 2005 n. 102. 11 «Their Lordships regard the use of precedent as an indispensable foundation upon which to decide what is the law and its application to individual cases. It provides at least some degree of certainty upon which individuals can rely in the conduct of their affairs, as well as a basis for orderly development of legal rules. Their Lordships nevertheless recognise that too rigid adherence to precedent may lead to injustice in a particular case and also unduly restrict the proper development of the law. They propose therefore to modify their present practice and, while treating former decisions of this House as normally binding, to depart from a previous decision when it appears right to do so. In this connection they will bear in mind the danger of disturbing retrospectively the basis on which contracts, settlements of property and fiscal arrangements have been entered into and also the especial need for certainty as to the criminal law. This announcement is not intended to affect the use of precedent elsewhere than in this House». 150 4. Numero di provvedimenti emessi 4.1 Civile: Petitions accolte: nel 2005 n. 37; nel 2006 n. 68; nel 2007 n. 68. Petitions rigettate: nel 2005 n. 118; nel 2006 n. 100. Appelli decisi: nel 2005 n. 82; nel 2006 n. 75. 4.2 Penale: Petitions accolte: nel 2004 n. 8; nel 2005 n. 20; nel 2006 n. 7; nel 2007 n. 7. Petitions rigettate: nel 2005 n. 25; nel 2006 n. 26. Appelli decisi: nel 2005 n. 20; nel 2006 n. 19 Sono circa 80/90 le udienze tenute all’anno dagli Appellate Committees. 5. Esistenza di un filtro preliminare 5.1 Giurisdizione civile Con l’Administration of Justice Act del 1934 è stato introdotto un filtro per l’ammissibilità del ricorso alla Corte Suprema, denominata «leave to appeal». The Judicial Committee (General Appellate Jurisdiction) Rules Order del 1982 così definisce tale filtro: «No appeal shall be admitted unless either (a) leave to appeal has been granted by the Court appealed from; or (b) in the absence of such leave, special leave to appeal has been granted by Her Majesty in Council». Il leave to appeal è una sorta di autorizzazione preventiva, che deve essere concessa dal giudice a quo o, in caso di rifiuto, dalla stessa Corte Suprema, con la presentazione di una petition. L’istituzione del leave è stata presentata come una garanzia per i singoli, al fine di non esporli ad un iter giudiziario eccessivamente gravoso, piuttosto che come un meccanismo di riduzione del carico di lavoro. Il ricorso non è mai quindi un diritto della parte. La decisione sulla petition è del tutto discrezionale, non essendovi nella legge criteri guida e, sino a pochi anni fa, non doveva essere motivata. Peraltro, la stessa Corte emana delle Directions as to procedure e standing orders. La decisione di rigetto dell’Appeal Committee è adottata in camera di consiglio senza contraddittorio, se vi è unanimità. Diversamente, vi è una discussione orale. La decisione di dichiarare l’ammissibilità del caso dipende sostanzialmente dal rilevo pubblico generale della questione di diritto sollevata dal ricorso. Secondo le Directions, il consenso all’appello è rilasciato in relazione ai ricorsi «which raise an arguable point of law of general public importance which ought to be considered by the House at that time, bearing in mind that the cause will have already been the 151 subject of judicial decision and may have already been reviewed on appeal». Pertanto, il ricorso che non presenta tale caratteristica è rigettato. L’Appeal Committee non forniva in passato la motivazione della sua decisione di rigetto. Dal 2003, si prevede invece che il Comitato fornisca delle «brief reasons for refusing», ma non sia tenuto a spiegare oltre la sua decisione (Civil practice direction 2007-2008 § 4.7.). Una volta ritenuta l’ammissibilità del ricorso, si apre una fase di contraddittorio cartolare davanti all’Appellate Committee. Funzione deterrente ai fini della presentazione di un ricorso è anche l’estremo formalismo previsto dalle Directions. La petition deve essere presentata in una determinata forma e seguita dal deposito – anch’esso molto formale - di un considerevole numero di copie di atti. Inoltre, è previsto il deposito di una cospicua somma all’atto della presentazione del ricorso. 5.2 Giurisdizione penale In materia penale, di norma è richiesto oltre al leave to appeal anche un certificate emesso dal giudice a quo che stabilisca quale sia la questione di diritto sollevata e se la stessa investa una questione di diritto di interesse pubblico generale, che deve essere esaminata dalla Corte Suprema. L’Appeal Committee decide generalmente senza un’udienza aperta alle parti. Per il resto si applica la procedura descritta per i procedimenti civili (Criminal practice direction 2007-2008 § 5.7.). Sulla procedura di ammissibilità del ricorso, va ricordato che la Corte europea ha avuto modo di esaminare la compatibilità con la Convenzione anche della condizione ostativa del certificate richiesto per proporre ricorso, affermando che nessun diritto può essere fatto valere, sub artt. 6 e 13, per «ottenere un ricorso alla House of Lords, laddove il caso non mostri questioni di diritto di generale pubblica importanza» (Bullivant c. Regno Unito, 28 marzo 2000). In ogni caso, anche se non obbligatoria, la difesa davanti all’House of Lords è di fatto riservata ad una élite di barristers (i Queen’s Counsel), stante la complessità della procedura sia nella fase di selezione che di trattazione dei ricorsi. 6. Provvedimenti impugnabili per cassazione 6.1 Giurisdizione civile Di norma, sono ricorribili le sentenze emesse dalle corti di appello. E’ consentito anche un ricorso diretto alla Corte Suprema («leapfrog» appeals), previsto dall’Administration of Justice Act del 1969. Il 152 filtro per tale appello è duplice. Occorre in ogni caso un certificate del giudice a quo e il leave della House of Lords, oltre al consenso delle parti, e l’oggetto del ricorso deve essere un «point of law of general pubblic importance», che si riferisca all’interpretazione di un atto legislativo o ad una questione sulla quale il giudice di prima istanza è vincolato da una decisione di un giudice superiore (corte d’appello o corte suprema). Si tratta comunque di una procedura marginale, applicata in pochissimi casi (4-5 l’anno). 6.2 Giurisdizione penale E’ ricorribile davanti alla Corte Suprema «any decision» adottata dalle corti di appello (Court of Appeal Criminal Division in England and Wales, Courts-Martial Appeal Court, Court of Appeal in Northern Ireland, High Court of Justice in England and Wales, High Court of Justice in Northern Ireland). 7. Motivi di ricorso Come si è detto, le Directions prevedono come unico motivo di ricorso, sia in civile che in penale, la presentazione di una questione di diritto di generale importanza. 8. Ricorrenti 8.1 Giurisdizione civile Non vi sono indicazioni specifiche. 8.2 Giurisdizione penale Secondo le Direttive penali, possono ricorrere l’imputato (defendant) e il pubblico ministero (prosecutor). Il diritto inglese non conosce l’istituto della parte civile. Come ogni privato cittadino, la vittima del reato può nominare un prosecutor, che nel sistema delle impugnazioni è parificato al pubblic prosecutor. 9. Normativa di riferimento e riforme 9.1 Normativa Il right to appeal alla House of Lords ha origine statutory, ovvero sussiste solo in quanto sia previsto da un’apposita e specifica norma di legge. Rientra nei poteri del legislatore pertanto sia escluderlo, sia condizionarne l’esercizio. Il right to appeal è regolato da varie disposizioni. Per i ricorsi civili: Administration of Justice (Appeals) Act 1934; Administration of Justice Act 1960; Administration of Justice Act 1969; Judicature (Northern Ireland) Act 1978; Court of Session Act 1988; Access to Justice Act 1999. 153 Per la materia penale: Administration of Justice Act 1960; Criminal Appeal Act 1968; Courts-Martial (Appeals) Act 1968; Administration of Justice Act 1969; Judicature (Northern Ireland) Act 1978; Criminal Appeal (Northern Ireland) Act 1980; Proceeds of Crime Act 2002; Extradition Act 2003; Criminal Justice Act 2003; Serious Organised Crime and Police Act 2005. 9.2. Progetti di riforma Sulla base del Constitutional Reform Act del 2005, dall’ottobre 2009 anche il Regno Unito avrà una Corte Suprema autonoma. Ciò comporterà che il ruolo di presidente – ora spettante al Ministro della Giustizia - sarà conferito al Lord Chief Justice. I suoi membri (i Law Lords) non apparterranno più al Parlamento. 9.- Polonia. 1. Numero dei magistrati addetti alla Corte Suprema 1.1 Settore civile: 47 1.2 Settore penale: 24 Il numero di giudici in servizio presso la Corte è in totale di 117. 2. Numero di Sezioni 2.1 Civile: 2 (Civile e Lavoro Sicurezza Sociale ed affari pubblici). 2.2 Penale: 1 Vi è inoltre una sezione militare. 3. Esistenza di un filtro preliminare Sono previsti limiti di legge alla proponibilità dell’impugnazione dinanzi alla Corte Suprema, nel cui ambito la struttura organizzativa della Corte stessa viene funzionalizzata ad un immediato esame preliminare dell’ammissibilità dei ricorsi. Può, in particolare, farsi menzione dell’attività dei presidenti dei “dipartimenti” di ciascuna sezione, i quali provvedono, utilizzando il supporto della segreteria, all’esame preliminare dei ricorsi di competenza ed all’indicazione delle attività da compiere per il prosieguo del giudizio, compresa la trasmissione al Pubblico Ministero che deve restituire il fascicolo venti giorni prima della data fissata per l’udienza. 3.1 Giurisdizione civile In particolare, per quanto concerne il sistema civile, l’art. 392, par. 1 del codice di procedura civile, come emendato nel 1996, ha imposto 154 tassative limitazioni all’accesso al giudizio innanzi alla Corte Suprema. E’ stato infatti previsto un limite di valore nelle controversie privatistiche relative a diritti di proprietà, per cui non è consentito ricorrere al giudizio in terza istanza ove il valore della causa sia inferiore a 10.000 Zloty. Nelle controversie in materia commerciale, nelle quali entrambe le parti siano imprenditori, tale valore è aumentato a 20.000 Zloty. Le norme in questione hanno formato oggetto di una questione di costituzionalità, in relazione all’art. 64 della Costituzione (diritto alla proprietà) e in relazione all’art. 23 (diritto alla parità di trattamento davanti alla legge). Il Tribunale Costituzionale, tuttavia, con la decisione del 6 ottobre 2004 SK 23/0212, non ha ritenuto le norme incostituzionali, poiché l’individuazione di un criterio di selezione dei procedimenti non è stata ritenuta irragionevole, ma giustificata dalla natura di impugnazione straordinaria del ricorso alla Corte Suprema. 3.2. Giurisdizione penale Nel sistema penale i limiti alla proponibilità del ricorso alla Corte Suprema appaiono più fievoli. Anche in questa materia il carattere di giudizio di legittimità viene mantenuto e garantito attraverso la connotazione di giudizio di cassazione. Nel caso di iniziativa dell’imputato, l’art. 523 § 2 del codice di procedura penale, come emendato con legge del 20 luglio 2000, prevede che il ricorso può essere proposto soltanto in presenza di una condanna a pena detentiva alla quale non sia stata associata la sospensione condizionale della pena, salvo i casi concernenti la manifesta violazione di legge che abbia comportato, ad esempio, la condanna per reato inesistente ovvero per difetto di composizione della corte. Anche tale limitazione è stata oggetto di un giudizio di costituzionalità, all’esito del quale il Tribunale costituzionale ha concluso per la conformità della norma, non solo sul versante del diritto interno, ma anche nei confronti della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (17 maggio 2004, SK 32/03). 4. Provvedimenti impugnabili per cassazione La Corte esercita la giurisdizione sui ricorsi proposti avverso le decisioni delle corti di seconda istanza, in particolare delle corti distrettuali, anche su impugnazione del Ministro della Giustizia, ed adotta decisioni interpretative o di chiarimento sull’interpretazione della legge. 12 http://www.trybunal.gov.pl/eng/summaries/documents/SK_23_02_GB.pdf. 155 5. Motivi di ricorso 5.1 Giurisdizione civile Si tratta in ogni caso di un giudizio di legittimità, che viene instaurato con un ricorso per cassazione, in relazione esclusivamente a vizi di violazione di legge. 5.2 Giurisdizione penale L’art 523 § 1 del codice di procedura penale contempla il ricorso alla Corte per i motivi tassativamente indicati e per “ogni altra violazione di legge che abbia influito sostanzialmente sulla decisione della corte di appello”. Altri motivi sono ricollegati a vizi “assoluti” della decisione, contemplati dall’art. 439, e riguardano la manifesta violazione di legge sostanziale o processuale, come il difetto di costituzione del giudice ovvero la condanna per un reato non previsto dalla legge. 6. Ricorrenti 6.1 Giurisdizione civile: le parti e gli interventori. 6.2 Giurisdizione penale: oltre che dalla parte il ricorso può essere proposto dal Procuratore Generale e dal Commissario per i Diritti Umani, nonché dal Ministro della Giustizia. 7. Normativa di riferimento I testi di riferimento sono l’art. 183 della Costituzione; la legge del 23 novembre 2002 e successive modifiche; lo Statuto della Corte del 1° dicembre 2003, ai sensi degli artt. 3 § 2 e 51 § 2 della legge istitutiva della Corte del 23 novembre 2002 (Dz. U. No. 240, item 2052). 10.- Ungheria. Secondo quanto prescrive la Costituzione, emendata nel 1997, il sistema giudiziario ungherese è composto da una Corte Suprema, da corti di appello, da county courts e da corti locali (art. 45). Il sistema è pertanto organizzato in quattro livelli. Solo dal 2003 sono state istituite delle 5 corti di appello distrettuali. La Costituzione (art. 47) attribuisce alla Corte Suprema il compito di «assure the uniformity of the administration of justice by the courts and its resolutions concerning uniformity shall be binding for all courts». In base agli artt. 24 e 25 della legge sull’organizzazione e amministrazione delle corti del 1997, le funzioni della Corte Suprema sono così descritte: adotta decisioni uniformi e vincolanti per tutte le corti; rivede le decisioni finali impugnate con rimedi straordinari; come 156 corte di secondo grado, esamina gli appelli avverso le decisioni delle county courts e delle corti di appello nei casi previsti dalla legge; ha competenza nelle materie sottopostele dalla legge. In base all’art. 27 della stessa legge è compito della Suprema Corte «ensuring uniform application of the law by the courts»: a tal fine «adopts uniformity decisions and publish decisions of theoretical importance». La Corte adotta una «procedura di uniformità» ogni volta che lo sviluppo e l’uniformità della pratica giudiziaria richiede l’approvazione di una decisione di uniformità su una questione di principio, o quando una sezione della stessa Corte intende deviare da un orientamento adottato da altra sezione. L’art. 28 stabilisce poi un sistema di prevenzione e monitoraggio delle decisioni delle corti di merito che si discostino dalle decisioni della Corte Suprema. La Corte ha anche un ruolo consultivo nella legiferazione che riguardi la giurisdizione. 1. Numero dei magistrati addetti alla Corte Suprema 1.1 Settore civile: 48 1.2 Settore penale: 15 La Corte ha un organico di 81 magistrati (78 ordinari e 3 presidenti di settore). Esiste un settore civile (comprensivo della materia contrattuale e del lavoro), un settore penale e uno amministrativo (nel quale lavorano 15 giudici). 2. Numero di Sezioni 2.1 Civile: 13 2.2 Penale: 3 Ogni camera è composta in media da cinque giudici. Per il settore amministrativo vi sono 4 camere. 3. Numero dei ricorsi 3.1 Civile: nel 2005 n. 3835; nel 2006 n. 3985; nel 2007 n. 3965. 3.2 Penale: nel 2005 n. 1262; nel 2006 n. 1131; nel 2007 n. 1051. In tale voce confluiscono sia i ricorsi ordinari che quelli straordinari. 4. Numero di provvedimenti emessi 4.1 Civile: nel 2005 n. 4136; nel 2006 n. 3787; nel 2007 n. 3777. 4.2 Penale: nel 2005 n. 1343; nel 2006 n. 1116; nel 2007 n. 1026. 157 5. Esistenza di un filtro preliminare Non esiste un meccanismo di filtro preliminare. Nel novembre 2004 la Corte costituzionale ha annullato la disposizione procedurale che consentiva alla Corte Suprema di rigettare un ricorso solo perché la sentenza impugnata non si discostava su una questione di diritto da una recente decisione della Corte stessa e il ricorso non contribuiva «to the development of the uniform application of law». 6. Provvedimenti impugnabili per cassazione 6.1 Giurisdizione civile In materia civile (e anche amministrativa) i ricorsi alla Suprema Corte riguardano gli orders resi dalle regional appellate courts come giurisdizioni di prima istanza. Le parti possono impugnare direttamente davanti alla Corte Suprema (“leaping” appeals) le sentenze rese dalle county courts in prima istanza, se è dedotta la violazione di «substantive legal regulations». Le decisioni di secondo grado (final judgments) di merito sono invece impugnabili davanti alla Corte Suprema con «petitions for judicial review» (ricorso straordinario), sulla base soltanto di violazioni di legge. Il codice di rito, inoltre, esclude dal ricorso alcuni tipi di decisione: taluni provvedimenti di natura meramente procedurale, le sentenze in materia di famiglia (annullamento del matrimonio, divorzio, presunzione di paternità, responsabilità parentale), decisioni in materia di visti, sentenze relative a cause di valore inferiore a 4.000 EUR. 6.2. Giurisdizione penale I tipi di ricorso sono gli stessi del settore civile. Un terzo tipo di impugnazione riguarda il caso in cui la prima e la seconda istanza abbiamo adottato decisioni divergenti. Davanti alla Corte non possono essere assunte nuove prove né può essere rivisto l’accertamento dei fatti. Il riesame si limita a questioni di diritto. Il ricorso straordinario è ammesso, inoltre, nel caso in cui sia dichiarata dalla Corte costituzionale l’illegittimità di una norma che è stata applicata nel giudizio a quo o quando è stata constatata da una organizzazione internazionale per i diritti dell’uomo la violazione di una convenzione on human rights nel corso del procedimento. Come nel sistema francese, è attribuita al pubblico ministero la facoltà di impugnare una sentenza in «favour of legality». 158 7. Motivi di ricorso Tutti i rimedi esperibili davanti alla Corte Suprema riguardano questioni di diritto, giammai il riesame dei fatti come accertati dalle istanze inferiori. Qualora si tratti di riaprire il procedimento per l’assunzione di nuove prove, la Corte Suprema autorizza la revisione. 8. Ricorrenti 8.1 Giurisdizione civile Tutte le parti interessate dalla sentenza possono impugnare, con la limitazione della necessità in ogni caso di assistenza legale. 8.2 Giurisdizione penale Possono ricorrere l’imputato, il prosecutor, la parte privata (the private prosecutor), il difensore ed il legale rappresentante dell’imputato. Il procuratore generale può impugnare la sentenza in favour of legality. La partecipazione al giudizio del difensore è obbligatoria. 9. Normativa di riferimento La legge III del 1952 sul codice di procedura civile: appeal procedure (Chapter XII, Sections 233-259) e judicial review procedure (Chapter XIV, Sections 270-275). La legge XIX del 1998 sul codice di procedura penale: appeal procedure (Chapter XIV), third instance appeal procedure (Chapter XV, Sections 385-401), judicial review procedure (Chapter XVIII, Sections 416429), ricorso in favore della legalità (Chapter XIX, Sections 430-438). 11.- Romania. Il sistema giudiziario è composto da tribunali, corti di appello e, al vertice, l’Alta Corte di cassazione e di giustizia. La Costituzione prevede che l’Alta Corte di cassazione e di giustizia assicura «the uniform interpretation and application of the laws by all other courts, according to its competence». 1. Numero dei magistrati addetti alla Corte Suprema 1.1 Settore civile: 35 giudici e 20 referendari 1.2 Settore penale: 35 giudici e 18 referendari 2. Numero di Sezioni 2.1 Civile: 1 (oltre 1 per la materia commerciale e 1 per quella tributaria e amministrativa). 159 2.2 Penale: 1 Con la legge n. 304 del 2004, la Corte è stata organizzata ratione materiae in una sezione «civil law and intellectual property», una sezione penale, una sezione commerciale e una sezione tributaria e amministrativa, nonchè un Panel di 9 giudici competenti in materia penale. Il collegio giudicante è formato da 9 giudici. 3. Numero dei ricorsi 3.1 Civile: nel 2005 n. 13.960; nel 2006 n. 7.934; nel 2007 n. 9.594. Ricorsi inevasi giacenti ad inizio anno: nel 2005 n. 29.602; nel 2006 n. 6.906; nel 2007 n. 4.377. A tali dati devono aggiungersi quelli relativi ai ricorsi di competenza delle altre sezioni: nel 2007, la camera commerciale ha ricevuto n. 4235 e quella tributaria- amministrativa n. 4626 ricorsi (le rispettive pendenze sono n. 2061 e n. 1949). 3.2 Penale: nel 2005 n. 7.953; nel 2006 n. 7.571; nel 2007 n. 6.755. Ricorsi inevasi giacenti ad inizio anno: nel 2005 n. 1.716; nel 2006 n. 1.728; nel 2007 n. 1.338. 4. Numero di provvedimenti emessi 4.1 Civile: nel 2005 n. 22.696; nel 2006 n. 10.463; nel 2007 n. 8.514. 4.2. Penale: nel 2005 n. 7.941; nel 2006 n. 7.961; nel 2007 n. 6.895. 5. Esistenza di un filtro preliminare Non esiste una procedura di filtro preliminare. 6. Provvedimenti impugnabili per cassazione 6.1 Giurisdizione civile Davanti alla sezione «civil law and intellectual property» sono impugnabili le decisioni emesse dalle corti appello e altre decisioni previste dalla legge. 6.2 Giurisdizione penale Sono ricorribili i provvedimenti emessi dalle giurisdizioni di appello. La sezione criminale ha competenze penali in prima istanza (reati commessi da parlamentari, da alte cariche dello Stato, da funzionari di polizia) e le sue decisioni sono impugnate in grado di appello davanti al Panel di 9 giudici. 160 7. Motivi di ricorso 7.1 Giurisdizione penale Con ricorso possono essere fatti valere una serie di vizi processuali o sostanziali elencati nell’art. 385-9 c.p.p., tra i quali: 1. l’incompetenza; 2. non è stata tenuta l’udienza pubblica, nei casi in cui è richiesta; 3. il processo è stato tenuto nell’assenza dell’imputato, del prosecutor, o del difensore, la cui presenza era obbligatoria; 4. la sentenza è priva di motivazione o la stessa è incomprensibile o contraria alla decisione adottata; 5. gli elementi costitutivi del reato non esistono o l’imputato è stato condannato per un reato non previsto dalla legge; 6. la pena è illegale o «wrongly individualized»; 7. bis in idem; 8. la decisione è contraria alla legge o la applica erroneamente; 9. grave errore di fatto; 10. abuso di potere da parte del giudice; 11. mancata citazione di una parte. Alcuni vizi sono rilevabili ex officio, a condizione che vi sia sugli stessi un dibattito. 8. Ricorrenti 8.1 Giurisdizione civile Le parti processuali e intervenienti, i loro eredi e rappresentati legali, i difensori e il pubblico ministero, anche se non ha partecipato al processo. 8.2 Giurisdizione penale Di norma, l’imputato, il pubblico ministero, le parti offese, la parte civile e il responsabile civile, nonché il difensore di una delle parti. Inoltre, il ricorso può essere promosso anche dal rappresentante legale dei titolari del diritto di ricorso e, soltanto per l’imputato, anche dal coniuge. 9. Normativa di riferimento La Costituzione all’art. 129 prevede che «judicial decisions may be appealed against by the parties concerned and by the Public Ministry, subject to the law». In materia civile, la materia è regolata dal codice di procedura civile del 1865, che è stato più volte modificato. In materia penale, la materia è regolata dal codice di procedura penale. 161 12.- Svezia. Il sistema giudiziario svedese è composto da tribunali di circoscrizione, da corti d’appello, e dalla Corte Suprema (HD). Il compito principale della Corte Suprema consiste nel riesaminare le cause che possono avere importanza per l’evoluzione del diritto, ossia che siano tali da creare giurisprudenza. La Suprema Corte è competente ad esaminare i ricorsi avverso le sentenze di secondo grado. Le sue decisioni hanno valore di precedente, anche se non vincolano i giudici di merito. Due componenti della Corte fanno parte full time del Council on Legislation, che esamina i disegni di legge prima della loro presentazione in Parlamento. 1. Numero dei magistrati addetti alla Corte Suprema 1 Presidente e 15 magistrati (Justices), di nomina governativa; vi sono poi 30 assistenti, che svolgono il lavoro preparatorio. 2. Numero di Sezioni La Corte lavora in 2 sezioni, non specializzate, composte da 7 giudici. La composizione varia tre volte l’anno. I collegi sono composti da 5 giudici (o 7 nei casi più complessi). Esiste una specializzazione invece per gli assistenti. 3. Numero dei ricorsi Complessivamente pervenuti: nel 2005 n. 5.101; nel 2006 n. 5.249, nel 2007 n. 5.010. 4. Numero di provvedimenti emessi Sono disponibili solo i dati complessivi relativi al 2002 - 2004. Nel 2002 n. 4487; nel 2003 n. 4955; nel 2004 n. 5205 provvedimenti. Pendenze: nel 2002 n. 1050; nel 2003 n. 1136; nel 2004 n. 1247 procedimenti. 5. Esistenza di un filtro preliminare Il Code of Judicial Procedure del 1998 prevede un sistema di leave to appeal, preliminare per l’accesso alla Corte. L’autorizzazione è data se: 1. è importante per l’interpretazione del diritto che la Corte decida l’appello; 2. vi sono straordinarie ragioni perché la Corte si pronunci, come 162 quando si tratta di riparare a sostanziali vizi o gravi errori procedurali o quando la decisione del giudice a quo è il risultato di palesi errori. Il leave può stabilire quali parti della sentenza siano soggette ad impugnazione, ovvero quelle che riguardano questioni di «importance for the guidance of the application of law (precedent question)». Il sistema di filtro porta ad una consistente limitazione dei casi decisi dalla Corte (il 2%, ovvero circa 120 casi l’anno). La decisione sul leave è adottata da un solo giudice della Corte (93% dei casi). Solo in caso di dubbio sulla rilevanza della questione, la decisione è sottoposta ad una formazione di 3 giudici. La decisione di rigetto del leave non è motivata, onde evitare che la spiegazione sulla questione di diritto possa costituire un precedente interpretativo per il futuro. Una volta garantito il leave, il giudice stabilisce se il caso necessiti di un relatore (cosa che non accade sovente); diversamente, ritenendo il caso pronto per la decisione, fissa la data dell’udienza. 6. Provvedimenti impugnabili per cassazione Il Chapter 54 del Code of Judicial Procedure prevede che sono impugnabili davanti alla Corte Suprema le decisioni delle corti di appello. Vi è inoltre la possibilità, introdotta 1989, che sia il giudice distrettuale ad investire – con il consenso delle parti – la Corte «if the matter at issue is such that an out of court settlement on the matter is permitted». Con tale procedura è investita direttamente la Corte su una questione di diritto rilevante, manifestatasi in tale grado di giudizio. E’ comunque previsto il filtro del leave. 7. Motivi di ricorso Nel ricorso, devono essere indicate le grounds in base alle quali il ricorrente considera la decisione della corte d’appello erronea. La Corte può esaminare anche questioni in fatto. 8. Normativa di riferimento La Costituzione stabilisce che il diritto di accesso alla Corte Suprema può essere limitato dalla legge (Chapter 11). La materia del ricorso alla Corte Suprema è regolata dal Code of Judicial Procedure. 13.- Norvegia. Il sistema giudiziario è composto da County Court come giudici di 163 prima istanza (District Courts, City Courts), da High Court o Crown Court che hanno competenze di appello e talvolta di primo grado e dalla Corte Suprema come ultima istanza. L’uniformità della giurisprudenza è garantita dalla regola prevista sin dal 1926 (Plenumsloven, The Plenary Act), secondo cui nel caso due o più giudici della Corte Suprema intendono discostarsi dalla giurisprudenza della stessa devono rimettere il caso alla sessione plenaria. 1. Numero dei magistrati addetti alla Corte Suprema 1 Presidente e 18 giudici (Justices) 2. Numero di Sezioni 2 sezioni e 1 Appeals Selection Committee, coperti a rotazione. I collegi giudicanti sono composti da 5 giudici. 3. Numero dei ricorsi 3.1 Civile: nel 2005 n. 814; nel 2006 n. 925; nel 2007 n. 845. 3.2 Penale: nel 2005 n. 960; nel 2006 n. 1.002; nel 2007 n. 971. 4. Numero di provvedimenti emessi 4.1 Civile: la Suprema Corte ha deciso – dopo il filtro - nel 2005 n. 76; nel 2006 n. 89; nel 2007 n. 85 ricorsi. Nel 2005 la durata media dei procedimenti davanti all’Appeals Selection Committee è stata di mesi 1,3; davanti alla Corte Suprema di mesi 6,9. 4.2 Penale: la Suprema Corte ha deciso – dopo il filtro - nel 2005 n. 112; nel 2006 n. 79; nel 2007 n. 97 ricorsi. Nel 2005 la durata media dei procedimenti davanti all’Appeals Selection Committee è stata di mesi 0,8; davanti alla Corte Suprema di mesi 3,4. 5. Esistenza di un filtro preliminare I ricorsi sono esaminati da un Appeals Selection Committee della Corte Suprema, composto da 3 giudici. Come prevede il codice di rito (artt. 323 c.p.p. e 373 c.p.c.), il Comitato deve dare il consenso all’appello, verificando se la questione ha un significato che va al di là del singolo caso o se ci sono altre ragioni particolarmente importanti perché il caso sia portato davanti alla Corte Suprema. La procedura è essenzialmente scritta. Il rigetto deve essere dato all’unanimità. 164 6. Provvedimenti impugnabili per cassazione 6.1 Giurisdizione civile Le decisioni emesse dai giudici di appello. Nelle controversie di natura pecuniaria, vi è un limite di valore di NOK 100,000 (art. 357 c.p.c.). 6.2 Giurisdizione penale Sono ricorribili le decisioni emesse dai giudici di appello. 7. Motivi di ricorso 7.1 Giurisdizione civile La Corte ha ampia autorità per la revisione della sentenza, potendo rivalutare anche le prove raccolte nelle fasi precedenti. 7.2 Giurisdizione penale Diversamente, nel settore penale non è consentito il ricorso basato sull’errore nella valutazione della prova in caso di condanna (art. 306 c.p.p.). 8. Normativa La Costituzione prevede all’art. 88 che la Corte Suprema è giudice di ultima istanza e che la legge può stabilire limitazioni al diritto di ricorso. Nel settore civile la materia è regolata dal Dispute Act (“DA”) del 1915. Il codice di procedura civile è stato peraltro riformato nel gennaio 2008. La materia penale è regolata dal Criminal Procedure Act (“CPA”). 14.- Finlandia. Il sistema giudiziario è composto da una Corte Suprema, corti di appello e corti distrettuali. In base alla Costituzione, «justice in civil, commercial and criminal matters is in the final instance administered by the Supreme Court» (art. 99). Funzione primaria della Corte Suprema è di assicurare, attraverso i suoi precedenti in casi di rilievo, l’uniformità nell’amministrazione della giustizia da parte delle corti inferiori. La stessa Corte è vincolata alle sue decisioni, come si desume dall’art. 16 delle Regole interne di procedura, che impone la sottoposizione della questione alla sezione plenaria quando la Corte intende discostarsi da un suo precedente. 165 Davanti alla Corte Suprema sono esperibili due ricorsi: l’appello e il ricorso straordinario. La Corte Suprema ha anche la funzione di fare proposte di modifiche normative. 1. Numero dei magistrati addetti alla Corte Suprema La Corte è composta da 1 Presidente e da 15 giudici. 2. Esistenza di un filtro preliminare In base al chapter 30 del Code of Judicial Procedure, una decisione della corte di appello può essere impugnata per appeal davanti alla Corte Suprema solo se è accordato il leave to appeal. Tale autorizzazione può essere rilasciata solo in presenza di una di queste situazioni: a) «è importante portare il caso davanti alla Corte Suprema per una decisione riguardante l’applicazione della legge in altri casi simili o a causa dell’uniformità della giurisprudenza»; b) vi è stato un errore procedurale o altro errore, che può determinare l’annullamento della decisione; c) o vi è un’altra importante ragione per rilasciare il leave. La dottrina distingue i tre criteri in: 1. «precendential argument»; 2. questioni basate sull’annullamento della decisione; 3. questioni basate su altre gravi ragioni. Nella prassi è il primo motivo quello che di norma giustifica l’autorizzazione, mentre il secondo è limitato ai casi in cui vi sia la necessità di rettificare una decisione manifestamente erronea, irragionevole o iniqua. Il ricorso viene trattato presso la Corte Suprema in due fasi: una di ammissibilità (leave to appeal) e una di merito. La procedura è descritta dal Supreme Court Act del 1918. L’ammissibilità è decisa da 2 (talvolta 3) membri della Corte sulla base di una relazione fatta da un referendario. Qualora il ricorso sia dichiarato inammissibile, la decisione impugnata diviene definitiva. Il merito del ricorso è deciso da 5 giudici, sulla base di una relazione fatta da un referendario. Per il ricorso straordinario, si prevede che la decisione di inammissibilità sia assunta con l’unanimità da una sezione di 3 giudici, in caso contrario il caso viene trasferito alla sezione ordinaria di 5 giudici. Le decisioni riguardanti misure cautelari o relative all’enforcement sono adottate da un solo giudice. 166 3. Provvedimenti impugnabili per cassazione In base al chapter 30 cit., sono impugnabili con appeal davanti alla Corte Suprema «judgment and decision of the Court of Appeal». Il ricorso straordinario di cui al chapter 31 ha ad oggetto i final judgments. 4. Motivi di ricorso I motivi dell’appeal sono stati già descritti al n. 5. Per quanto concerne il ricorso straordinario, il chapter 31 cit. stabilisce che una sentenza può essere annullata per «procedural error». I casi sono ivi descritti e attengono: alla composizione della corte; alla declaratoria di ammissibilità di un caso che doveva essere d’ufficio dichiarato inammissibile; all’ipotesi che la persona, giudicata in contumacia pur non avendo ricevuto la citazione, sia stata condannata o la persona, che non è stata ascoltata, abbia sofferto altri pregiudizi; la decisione della sentenza sia talmente confusa o deficitaria da non far risultare dalla stessa cosa sia stato deciso; o comunque deve trattarsi di altro errore che deve aver avuto una importanza decisiva sull’esito del processo. All’esito di tale ricorso, se la Corte verifica l’esistenza dell’errore, annulla la sentenza e rinvia il caso alla corte a quo perché sia nuovamente giudicato, fissando se del caso un termine. Accanto al ricorso per errori di procedura, lo stesso chapter 31 prevede altri specifici casi di «Reversal of a final judgment» in penale e in civile. Si tratta di casi in cui la decisione è stata nel merito influenzata da alcune evenienze negative (condanna dei giudici per fatti connessi al processo; utilizzazione di false prove documentali o di false prove testimoniali o peritali; errore evidente nell’applicazione della legge). In linea generale, la Corte, se accoglie il ricorso e la decisione appare chiara, può decidere essa stessa il caso. 5. Normativa di riferimento La Costituzione stabilisce che il right to appeal, come tutte le altre garanzie del fair trial sono regolate dalla legge (art. 21). Il ricorso davanti alla Corte Suprema sia per le materie penali che per quelle civili è disciplinato dal Code of Judicial Procedure (ch. 30 e 31). 15.- La giurisprudenza della Corte europea per i diritti dell’uomo. La Corte europea ha più volte affermato che «il ruolo delle giurisdizioni supreme è precisamente quello di regolare i contrasti della 167 giurisprudenza» (Grande Camera, Zielinski et Pradal e Gonzalez e altri c. Francia, 28 ottobre 1999, § 59; Beian c. Romania, 6 dicembre 2007, §§ 37-39), «fonte di insicurezza giuridica che riduce la fiducia del pubblico nel sistema giudiziario», e di «fissare una interpretazione per il futuro» (Faltejsek c. Rep. Ceca, 15 maggio 2008, § 34). In relazione al “right to the court”, di cui all’art. 6 par. 1 della Convenzione, la Corte europea ha precisato che il “right to access” ne costituisce un aspetto non assoluto nè privo di limitazioni, di guisa che, per quanto concerne le condizioni di ricevibilità di un ricorso, spetta allo Stato dettarne la regolamentazione con un certo margine di discrezionalità, con il limite tuttavia di non restringere le possibilità di accesso sino al punto di attentare alla sostanza del diritto stesso (Faltejsek c. Rep. Ceca, cit., § 31). Occorre, pertanto, un “ragionevole rapporto di proporzionalità” tra i mezzi impiegati e lo scopo perseguito. In ordine all’accesso alle giurisdizioni supreme, la Corte ha stabilito che «in considerazione della natura speciale del ruolo della Corte di cassazione, che è limitato alla verifica della corretta applicazione della legge, …la procedura seguita può essere più formale» (Levages Prestations Service c. Francia, 23 ottobre 1996, §§ 45-48; K.D.B. c. Paesi Bassi, 27 marzo 1998, § 38; Brualla Gómez de la Torre c. Spagna, § 37; Grande Camera, Meftha c. Francia, 26 luglio 2002, § 41). Relativamente alla procedura preliminare per l’ammissibilità del ricorso per cassazione, se in un primo tempo – nell’esaminare il sistema inglese di accesso alla Corte Suprema (leave to appeal) – la Commissione dei diritti dell’uomo aveva ritenuto che «quando una corte suprema, come l’House of Lords, conduce un esame preliminare del caso al fine di stabilire la sussistenza delle condizioni richieste per la ammissione del ricorso», non viene in applicazione l’art. 6, par. 1 della Convenzione (Porter c. Regno Unito, 9 novembre 1987), in seguito la stessa Corte, pur inserendo tali procedimenti nel campo di applicazione del citato art. 6, ha ritenuto compatibili con tale norma una serie di semplificazioni procedurali, manifestando un atteggiamento particolarmente flessibile in merito all’applicazione di alcune garanzie del fair hearing, così da lasciare un ampio margine discrezionale in capo alle autorità nazionali. In particolare, la Corte ha più volte ripetuto che, se «l’articolo 6… non costringe le Parti ad istituire le Corti di cassazione, uno Stato che si doti di giurisdizioni di tale natura ha l’obbligo di provvedere a che gli utenti della giustizia godano, presso le medesime, delle garanzie fondamentali dell’art. 6» (tra le tante, Ekbatani c. Svezia, 26 maggio 1988, § 24; Khalfaoui c. Francia, 14 dicembre 1999, § 37). Peraltro, ha aggiunto che la compatibilità delle limi- 168 tazioni previste dal diritto interno al diritto di ricorrere ad una Corte dei cassazione «depends on the special features of the proceedings in issue», e che è necessario tener conto del ruolo svolto nel sistema giudiziario dall’alta corte, di guisa che le condizioni di ammissibilità di un ricorso su questioni di diritto «may be more rigorous than those for an ordinary appeal» (Bûle‰ e Others c. Repubblica Ceca, 12 novembre 2002, § 62). In tale prospettiva, la giurisprudenza di Strasburgo ha ritenuto più volte compatibili con l’art. 6 cit. le procedure di accesso che prevedono l’istituto della preventiva autorizzazione alla proposizione dell’appello (leave to appeal), ancorché non del tutto rispettose dei canoni del fair trial. Tali procedure hanno tra l’altro ricevuto un puntuale riconoscimento nell’Explanatory Report al Protocollo n. 7 come forme di review ai fini della garanzia prevista dall’art. 2 di quest’ultimo. In particolare, in relazione alla procedura del leave to appeal, ricordando che la sua natura ed il suo significato devono essere valutati nel più ampio contesto dei sistemi processuali nazionali, alla luce anche della portata dei poteri conferiti alle giurisdizioni superiori e al modo con cui i procedimenti di impugnazione sono condotti, la Commissione europea (Webb c. Regno Unito, 2 luglio 1997) ha stabilito che, nel caso una corte suprema rifiuti di accettare un ricorso sulla base della mancanza nel caso di specie di legal grounds, «very limited reasoning may satisfy the requirements of Article 6 of the Convention». Pertanto ha ritenuto corretto che, a fronte di un pieno grado di appello, fosse stato rifiutato il leave senza dettagliate ragioni, in quanto era implicito («it must be apparent to litigants») che il loro caso non coinvolgeva una questione di grande e generale importanza o una grave ingiustizia, richiesti dalla legge per accedere alla Corte Suprema. Questa soluzione è stata fatta propria dalla Corte in altre decisioni riguardanti la procedura di leave to appeal davanti alla House of Lords (Nerva c. Regno Unito, 11 luglio 2000). Per altro verso, la Corte ha censurato, sotto l’aspetto della legal certainty, quegli ordinamenti che, nel prevedere l’appeal on points of law, lasciano dipendere la decisione sulla sua ammissibilità interamente dall’opinione della corte suprema sulla configurabilità nel ricorso di una «questione di cruciale importanza» (Beles e altri c. Repubblica ceca, 12 novembre 2002, § 63). In generale, sul piano delle semplificazioni del rito in cassazione, la Corte europea ha ritenuto non in contrasto con il «right to access» la mancanza di «dettagliate motivazioni quando sia adottata, nei casi previsti dalla legge, una decisione di irricevibilità di un ricorso, che 169 non ha prospettive di successo» (Burg e altri c. Francia, decisione del 28 gennaio 2003; Menet c. Francia, 14 giugno 2005, § 35; De Franchis c. Francia, 6 dicembre 2007, § 2613), ovvero la sensibile riduzione del «grado di dibattito giuridico che riguarda il merito del ricorso» (Stepinska c. Francia, 15 giugno 2004, § 1; Sale c. Francia, 21 marzo 2006, § 1914). Sulla previsione dell’assistenza obbligatoria di un legale nel procedimento in cassazione, la Corte ha ritenuto che tale limitazione in sé non è contraria all’art. 6 cit., essendo giustificata dalle peculiari caratteristiche del ricorso incentrato su questioni di diritto (Staroszcyk c. Polonia, 22 marzo 2007, § 108), così come ha ritenuto in linea con tale norma la previsione di un monopolio di difensori specializzati presso le corti supreme, in considerazione della «specificità della procedura dinanzi alla Corte di cassazione», pur aggiungendo che «questa specificità non può far sì che non sia offerto al richiedente in cassazione, al quale si riconosce nel diritto nazionale il diritto di difendersi personalmente, dei mezzi di procedura che gli garantiranno il diritto ad un processo equo dinanzi a questa giurisdizione» (Voisine c. Francia, 8 febbraio 2000, §§29-33). In sede europea va ricordata anche la Raccomandazione del Comitato dei Ministri del CoE n. (95)5 del 1995 «concerning the introduction and improvement of the functioning of appeal systems and procedures in civil and commercial cases». Al fine di razionalizzare i sistemi delle impugnazioni anche per le materie civili (una volta intervenuto per quelle penali il protocollo n. 7), la Raccomandazione da un lato stabilisce il principio del diritto al judicial control, dall’altro consente alla legge nazionale di stabilire appropriate eccezioni, onde assicurare che l’appeal si concentri su determinate materie. A tal fine, la raccomandazione reputa opportuno escludere l’appeal sulla base del valore esiguo della causa (small claims), ovvero richiedere l’autorizza13 La Corte ha ritenuto sufficiente motivato il provvedimento di inammissibilità recante la formula «there is no legal or well-founded ground of appeal to the Court of Cassation» in Goru c. Grecia, 14 giugno 2007, § 17. 14 «De l’avis de la Cour, dès lors qu’un pourvoi est orienté vers une formation de nonadmission et qu’il se conclut par une décision de non-admission rendue par une telle formation, le degré de débat juridique portant sur le mérite du pourvoi s’en trouve sensiblement réduit puisque, selon les termes mêmes de l’article L. 131-6 précité, la formation de trois magistrats de la chambre à laquelle l’affaire est attribuée «statue lorsque la solution du pourvoi s’impose», que celui-ci relève des pourvois irrecevables ou de ceux manifestement dénués de fondement (ce qui revient d’ailleurs au même)». 170 zione all’impugnazione (leave to appeal). Inoltre per arginare gli effetti negativi del ricorso abusivo all’impugnazione, la raccomandazione prevede che sia consentito una procedura di inammissibilità «in a simplified manner» (per es. senza un’udienza in contraddittorio con le altre parti), per i ricorsi manifestamente infondati o immotivati, con la previsione in tal caso di adeguate sanzioni. Per le giurisdizioni superiori (Role and function of the third court), la Raccomandazione ne riserva la competenza alle questioni che «potrebbero far sviluppare il diritto o contribuire ad una sua uniforme interpretazione». In tal senso, raccomanda di limitare i casi di accesso a tali giurisdizioni solo alle questioni concernenti «a point of law of general public importance». Qualora non siano in grado di accettare un sistema di autorizzazione all’impugnazione (leave to appeal), gli Stati dovrebbero comunque limitare i casi di accesso alle Corti supreme. 171 Stab. Tipolit. Ugo Quintily S.p.A. Viale Enrico Ortolani, 149/151 - Roma - Tel. 06.52.16.92.99 r.a. Finito di stampare nel mese di gennaio 2009