QUADERNI
del
Consiglio Superiore della Magistratura
C.S.M.
155
Spedizione in abb.to postale - Art. 2, comma 20, lett. c, della legge n. 662/1996 - Filiale di Roma
GIURISDIZIONE E GIUDICI NELLA COSTITUZIONE
Anno 2009 - Numero 155
Corte Suprema di Cassazione
Convegno per il 60° Anniversario
della Costituzione
Giurisdizione e giudici
nella Costituzione
Aula Magna della Corte Suprema di Cassazione
Roma, 18 giugno 2008
QUADERNI
del
Consiglio Superiore della Magistratura
Corte Suprema di Cassazione
Convegno per il 60° Anniversario
della Costituzione
Giurisdizione e giudici
nella Costituzione
Aula Magna della Corte Suprema di Cassazione
Roma, 18 giugno 2008
QUADERNI DEL
CONSIGLIO SUPERIORE DELLA MAGISTRATURA
Anno 2009, Numero 155
Pubblicazione interna per l’Ordine giudiziario
a cura del Consiglio Superiore della Magistratura
INDICE GENERALE
INTRODUZIONE
Vincenzo CARBONE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Pag.
Primo presidente della Corte di cassazione
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RELAZIONI
Oscar Luigi SCALFARO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Pag.
Presidente emerito della Repubblica italiana
Giurisdizione e giudici nella giurisprudenza costituzionale
Franco BILE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Pag.
Presidente della Corte costituzionale
Giudici ed attuazione dei valori costituzionale
Sergio BARTOLE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Pag.
Professore ordinario di diritto costituzionale,
Università di Trieste
Le giurisdizioni nella costituzione
Guido ALPA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Pag.
Presidente del Consiglio Nazionale Forense
Sommario: 1.- Giurisdizione e “stato di diritto”. 2.- Giurisdizione: una nozione in evoluzione. 3.- Giurisdizione e
crisi della giustizia. 4.- Il pluralismo della giurisdizione
come condizione ormai irreversibile. 5.- Giurisdizione e
“legal formants”. 6.- Giurisdizione e ragionevole durata del
processo. 7.- Giurisdizione e avvocatura. 8.- Il Consiglio Nazionale Forense come giudice speciale
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INTERVENTI
La Corte di Cassazione nella Costituzione
Ernesto LUPO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Pag.
Presidente di sezione della Corte di cassazione
Sommario: 1.- Premessa. 2.- Le disposizioni della Costituzione che menzionano la Corte di cassazione. 3.- La Cassazione come giurisdizione. 4.- La posizione del primo presidente della Cassazione nell’ambito del Consiglio superiore
della magistratura. 5.- La qualità dei giudici della Corte. 6.La rilevanza costituzionale della Corte di cassazione. 7.- Attualità delle finalità e dei valori perseguiti dal Costituente.
8.- Il paradosso della situazione attuale della Corte
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La dialettica tra Corte di Cassazione e Corte Costituzionale
nell’interpretazione della norma giuridica e nell’applicazione del precetto costituzionale
Mario Rosario MORELLI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Pag. 90
Consigliere della Corte di cassazione
Unicità della Cassazione e unità della giurisdizione nei lavori dell'Assemblea costituente
Antonio MARTONE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Pag. 100
Le Corti supreme in Europa: le regole per l’accesso
Corte Suprema di Cassazione
Ufficio del Massimario
A cura di Giovanni CANZIO, Direttore dell’Ufficio del Ruolo
e del Massimario . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Pag. 112
Ersilia Calvanese (Germania, Spagna, Francia, Svizzera,
Regno Unito, Ungheria, Romania, Svezia, Norvegia, Finlandia, Corte europea per i diritti dell’uomo); Carmelo Celentano
(Austria, Polonia) Gaetano De Amicis (Belgio).
Sommario: 1.- Introduzione. 2.- Germania. 3.- Austria. 4.Spagna. 5.- Francia. 6.- Belgio. 7.- Svizzera. 8.- Regno
Unito. 9.- Polonia. 10.- Ungheria. 11.- Romania. 12.- Svezia.
13.- Norvegia. 14.- Finlandia. 15.- La giurisprudenza della
Corte europea per i diritti dell’uomo
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INTRODUZIONE
Sig. Presidente della Repubblica,
Le sono particolarmente grato, a nome della Corte e mio personale per aver voluto onorare con la Sua presenza, dimostrando, ancora
una volta, decisa attenzione ai problemi della Giustizia, la cerimonia
del 60° Anniversario della Costituzione che intende favorire, una comune riflessione sulla posizione, nella carta costituzionale, della Corte
di Cassazione, così com’era originariamente prevista e così com’é oggi,
effettivamente, vissuta.
Ringrazio altresì tutti i presenti, i rappresentanti del Senato, della
Camera e del Consiglio dei Ministri, il Presidente emerito della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro, il Presidente della Corte costituzionale
e tutte le alte autorità dello Stato che sono intervenute, i rappresentanti dell’Avvocatura, dell’Accademia e delle forze dell’Ordine, i colleghi e il personale tutto.
In particolare, ringrazio il Ministro della Giustizia, con l’augurio
di instaurare un proficuo rapporto tra l’unico Ministro previsto nella
Costituzione (art. 110 Cost.) e la Corte di legittimità che, a livello di Sezioni Unite, è anche la Corte regolatrice della giurisdizione sul piano
nazionale.
Mi dispiace per la sopravvenuta temporanea assenza del Senatore
a vita Giulio Andreotti e per il contributo-testimonianza che avrebbe
potuto fornirci.
1.- L’idea portante della Carta Costituzionale è quella della priorità
della persona umana (uomo, cittadino, lavoratore), con il suo bagaglio
di diritti innati e inalienabili, rispetto ai quali lo Stato è lo strumento
di tutela e di rafforzamento. Costituisce la sintesi finale della grande
tradizione culturale giuspubblicistica europea, soprattutto continentale, ma aperta a fertili rapporti con il diritto anglosassone (Bills of Rights) e con la rivoluzione nordamericana, incrementata e perfezionata nell’età dei Lumi.
Il modello è quello del primato della legge del Parlamento, ma
anche del rispetto della priorità della persona nei confronti dello
Stato.
I sessanta anni trascorsi, da questo felice evento, ci consentono di
riflettere oltre che sui noti interrogativi: fatta l’Italia, sulla base della
Carta costituzionale, sono cresciuti anche gli italiani? (D’Azeglio) o se
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l’essenza della Nazione è data oltre dalla Carta anche dalla condivisione e compartecipazione della stessa da parte dei cittadini (Mazzini),
anche sull’attuale disfunzione della domanda di giustizia in Italia, elemento portante — anche se non sempre percepito - dell’intera vita economica e sociale del Paese.
La lentezza insopportabile dei processi, le cadute mediatiche con
i processi al di fuori del processo, le disfunzioni innegabili del servizio-giustizia per il sistema paese, comportano una forte perdita di credibilità in Italia e all’Estero, un abuso del processo che influisce sull’intero sistema economico-sociale, sugli investimenti e quindi sui fattori di produttività e di efficienza del sistema.
2.- Non voglio sottrarre tempo agli illustri ospiti e agli insigni relatori sulle tematiche più importanti. Mi limito a sottolineare come la
Corte di Cassazione sia ben radicata nel tessuto normativo della Costituzione, tanto come organismo di giudici con funzione giurisdizionale di legittimità, quanto come Corte regolatrice della giurisdizione
tra i giudici i italiani (art.111 ult.co.) e, con il superamento delle frontiere economiche, anche tra i giudici italiani e quelli esteri, soprattutto europei.
La Costituzione prevede, all’art. 104 co. 3, che il Primo Presidente
e il Procuratore Generale sono componenti, di diritto, del Consiglio
Superiore della Magistratura.
L’art. 106 introduce, come componenti della Corte e quindi come
giudici di legittimità, magistrati non provenienti da concorso, ma professori universitari e avvocati di chiara fama, nominati dal C.S.M.
come consiglieri della Corte per meriti insigni ai fini di un significativo apporto culturale e scientifico.
L’art. 135 Cost. prevede l’elettorato attivo dei giudici della Corte
per l’elezione di tre componenti della Corte Costituzionale.
La Corte di Cassazione, e i giudici in generale, sono indicati dall’art. 101, come soggetti solo alla legge, onde poter effettuare un servizio, a garanzia di una funzione pubblica fondamentale, come quella
della giustizia. La norma, tra l’altro, introduce il divieto di giudici
straordinari o di giudici speciali.
3.- Non è questa la sede per rilevare se la Corte di legittimità sia la
Corte suprema di cassazione, oppure solo la Corte di Cassazione. Ciò
che conta, ai fini della coerenza e credibilità, dell’efficienza e funzionalità del servizio-giustizia che sia in grado di garantire un giusto processo che assicuri la par condicio, l’uguaglianza di tutti di fronte alla
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legge rappresentata da un giudice terzo ed imparziale e che si svolga
in termini ragionevoli di durata. Ma questo rilevante obbiettivo, costituzionalmente previsto, di un giusto processo in termini ragionevoli,
richiede, oltre all’organizzazione del servizio-giustizia, in modo funzionale ed efficiente, anche chiarezza e coerenza degli indirizzi giurisprudenziali significativi, del c.d. diritto vivente. Ciò presuppone il
buon funzionamento della Corte di Cassazione che oggi, a livello europeo, è la Corte più sollecitata da un rilevante numero di ricorsi, specie in materia civile.
In questa direzione si pone la riforma del d.lgs. n. 40 del 2006 che
legittima, facendo prevalere lo ius constitutionis, anche la sentenza
nell’interesse della legge; in questo stesso senso anche l’ultima riforma
dell’ordinamento giudiziario (legge 30 luglio 2007, n. 111), che ha
espressamente previsto per la valutazione del conferimento delle funzioni di legittimità la “capacità scientifica e di analisi delle norme”.
La tenuta del “diritto vivente” della norma così com’è interpretata, è costituzionalmente riconosciuto dalla Corte costituzionale, ma richiede una coerenza degli indirizzi giurisprudenziali, pur nell’esigenza di muoversi al passo con i tempi.
A tal fine, è necessario ricordare come l’attività interpretativa del
Giudice di legittimità, con riflessi per tutti i giudici, si scinde in due
momenti: interpretazione-attività e interpretazione-prodotto.
La prima è la ricostruzione esatta della fattispecie concreta e la ricerca non sempre facile della norma da interpretare, la seconda è il risultato o meglio il prodotto di siffatta attività.
Nel cercare, e a volte creare, la regola da applicare al caso concreto, il Giudice propone un’interpretazione per decidere o dirimere la
controversia, lo ius dicere affinché ne cives ad arma ruant, dando conto
di questa sua attività mediante argomentazioni che costituiscono la
motivazione della decisione (introdotta in Italia nel 1777 da Bernardo
Tanucci) con efficacia non solo tra le parti per la soluzione della controversia, ma anche per i terzi, come esempio di interpretazione della
norma rispetto casi simili.
Non è questa la sede per accertare qual sia il tipo di interpretazione da preferire (letterale, logica, dichiarativa, sistematica, correttiva,
adeguatrice, estensiva, restrittiva, storica, evolutiva, congruente, manipolativa), ma è opportuno rivendicare un contenuto “moderno”
della giurisprudenza che, superando i vecchi miti della certezza del diritto, attraverso spinte gerarchiche o burocratiche, persegua coerenza
e affidabilità - evitando individualismi esasperati o autoreferenzialità,
con indisponibilità al confronto – nell’interesse del risultato comples-
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sivo del servizio, pervenendo ad indirizzi giurisprudenziali non burocratici, non imposti, ma conquistati, attraverso la mediazione tra le
opposte tesi, mediante dialogo e confronto, anche con i giudici di
primo e secondo grado, per una soluzione funzionale del caso e cioè
una risposta concreta, di merito alla controversia insorta, ma con attenzione anche ai riflessi esterni della stessa decisione.
4.- La Corte di legittimità, oggi, è ferita dall’enorme, imprevisto
carico di lavoro, specie nel settore civile: si è passati dai 13.496 ricorsi civili pendenti nel 1970 ai 102.603 nel 2007. Con tutto l’innegabile
impegno sul piano umano ed organizzativo dei colleghi e del personale tutto, si è passati dalle 3.618 sentenze del 1970 alle circa 30.000 sentenze dell’anno scorso, e tuttavia non si riesce a decidere i processi in
termini di ragionevoli durata, evitando disfunzioni del sistema, come
ad esempio quelli esponenziali ed allarmanti degli effetti della c.d.
legge Pinto.
L’effetto paradossale è che si va diffondendo un’anomala incessante domanda di giustizia, perché i processi instaurati non siano
tempestivamente decisi, in modo che il loro ritardo possa dar luogo, al
di là della decisione, ad altri processi in cui si chieda agli stessi giudici di essere indennizzati per il ritardo dei primi.
La garanzia costituzionale di soggezione solo alla legge, non significa però “libera solitudine” del singolo giudice, avulso dal contesto
in cui opera, ma attività del servizio-giustizia che costituisce, pur sempre, una tessera di un mosaico interpretativo del diritto vivente. Le
battaglie culturali di modernizzazione della giurisprudenza si conducono con la piena conoscenza giuridica della questione e con indirizzi discussi e condivisi, al termine di un percorso decisionale, consapevole, meditato e aperto al confronto.
Di questa coerenza si è fatto carico il legislatore, con il d.lgs. n. 40
del 2006 che, nel rispetto della Costituzione, ha incrementato la funzione nomofilattica della Corte di Cassazione nel settore civile, sia
come Corte regolatrice della giurisdizione, sia come Corte di legittimità, destinata a comporre contrasti giurisprudenziali, fornendo meditati indirizzi interpretativi (è il ritorno dello ius constitutionis, che
bilancia lo ius litigatoris).
Occorre superare la controversia sull’efficacia o meno della nomofilachia in relazione all’art. 65 dell’ordinamento giudiziario, pervenendo alla conclusione che la giurisprudenza di legittimità, così
come in altri ordinamenti, richiede un’innegabile esigenza unificatrice condivisa, conquistata attraverso la partecipazione e il dibattito
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sulla miglior mediazione possibile tra disposizione emanata, e norma
da applicare alla fattispecie concreta. Gli inevitabili contrasti giurisprudenziali, dovuti anche alla sovrabbondante produzione normativa, priva dei caratteri di sistematicità, generalità e astrattezza, sono
oggi, quasi tutti, prontamente risolti, grazie a uno sforzo eccezionale
e all’aiuto prezioso di tutti i colleghi, sempre più consapevoli della
partecipazione alle decisioni “della Corte” e non di un singolo, isolato collegio.
In questo contesto acquistano particolare rilevanza le nuove disposizioni come le sentenze nell’interesse della legge (art. 363 terzo
comma, c.p.c.); il quesito di diritto (art. 366-bis c.p.c.); i nuovi rapporti tra sezioni semplici e sezioni unite (art. 374, primo e secondo
comma, c.p.c.); i rapporti tra relazione – detto opinamento o puntualizzazione dei contrasti - notificata alle parti e la decisione nei procedimenti in camera di consiglio ex art. 380-bis c.p.c.; i decreti di estinzione del presidente in caso di rinuncia ex art. 391 co.1 c.p.c.; l’interlocuzione con le parti in caso di questioni rilevabile d’ufficio e la decisione del merito ex 384 c.p.c. e i nuovi casi di revocazione ex art.
391-ter c.p.c..
Occorre intensificare lo scambio e il dialogo tra i Giudici, non solo
nell’ambito della Corte di legittimità e dei singoli uffici giudiziari di
merito, ma anche tra i Giudici dei diversi uffici. Ed un plauso va al
C.S.M. che, a cominciare dal profilo tabellare, ha, di recente, convocato tutti i presidenti delle Corti di Appello e dei Tribunali e nel mese
prossimo anche tutti i P.M. presso i Tribunali e le Corti di Appello.
Bisogna utilizzare le disposizioni normative che prevedono non
più la conoscenza del solo dispositivo da parte del Giudice a quo che
ha emesso la sentenza impugnata, ma l’inoltro, anche in via telematica, di copia della sentenza di legittimità. In tal modo, il Giudice del
merito conosce la motivazione del provvedimento che ha cassato, con
rinvio o senza rinvio, la sua precedente decisione impugnata. Si raggiunge, in tal modo, un’approfondita e puntale conoscenza del diverso esito del processo, in sede di Cassazione, ferma la possibilità per il
giudice del merito di dissentire dalle sentenze di legittimità conosciute, previa motivata presa di posizione.
Una maggiore certezza sugli indirizzi, sulla loro “tenuta” e coerenza, determina certamente una deflazione del contenzioso, specie se
accompagnata da un più coraggioso ricorso alla condanna alle spese.
La “coerenza” degli indirizzi della giurisprudenza diventa, quindi, un
ulteriore rimedio interno ai problemi della Giustizia del cittadino.
Rappresenta un elemento di affidabilità del sistema istituzionale e
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di deflazione del contenzioso, conciliando la libertà di ogni Giudice (in
ogni sede, in ogni grado) con l’esigenza di “chiarezza” e di “coerenza”
del diritto vivente per una tempestiva, sollecita risposta alla domanda
di giustizia.
5.- La Costituzione oggi, a distanza di sessanta anni, deve tener
conto delle rilevanti modifiche intervenute sul piano della gerarchia e
pluralità delle fonti in relazione al nuovo art. 117 Cost. che ha introdotto nel 2001 le modifiche alla potestà legislativa in linea con il riconoscimento della pluralità delle fonti del diritto. Con l’ulteriore problematica del ruolo e della portata della normativa comunitaria e di
quella frutto di accordi internazionali di cui alla recenti sentenze nn.
348 e 349/2007 della Corte Costituzionale.
Ma la modifica più rilevante è quella che è stata introdotta nel
1999 quando in sede di riforma istituzionale si ritenne di privilegiare
il “giusto processo” e la sua “ragionevole durata” negli attuali commi
primo e secondo dell’art. 111 Cost., ritenuti prevalenti rispetto all’originale secondo comma, divenuto settimo che concedeva a chiunque ed
in ogni caso il ricorso per Cassazione per violazioni di legge.
L’accesso indiscriminato, a distanza di sessanta anni, non può non
cedere il passo di fronte all’innegabile esigenza prioritaria di un giusto
processo entro un termine ragionevole.
Nelle altre Corti Europee, tredici sono indicate nello studio del
Massimario - dalla Germania alla Spagna, dalla Francia all’Austria,
dalla Svizzera al Regno Unito, dal Belgio alla Polonia, dalla Svezia all’Ungheria, dalla Finlandia alla Norvegia ed alla Romania - si è introdotto un filtro all’accesso delle Corti Supreme. Filtro necessario per
tutti i paesi europei, ma attualmente inesistente in Italia. Della necessità del filtro si è fatto portavoce il Governatore della Banca d’Italia che
nella sua ultima relazione del 31 maggio 2008 (pag. 111) ha stigmatizzato come l’Italia sia l’unico Paese in Europa a non avere un “filtro” all’accesso per il Giudizio di Cassazione, con le immaginabili ripercussioni anche all’Estero della credibilità, funzionalità, efficienza della
giustizia italiana.
Già in un convegno tenutosi a Perugia sulle Corti Supreme si era
resa palese l’intollerabilità del sistema italiano sul servizio giustizia a
livello di Cassazione.
Uno dei modelli più validi tra quelli adottati negli altri Paesi è la
recente modifica del ZPO, entrata in vigore nel 2002. Il paragrafo 543
della ZPO ha introdotto un filtro delegando al giudice di secondo
grado (per lo più la Corte d’Appello ma può essere la stessa Corte di
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Cassazione) ad esaminare in via preliminare ed autonoma l’ammissibilità del ricorso.
Come contributo al dialogo il Presidente del B.G.H. ha inviato alla
nostra Corte un documento, a disposizione di tutti, in cui evidenzia gli
effetti positivi della grande riforma del diritto processuale civile adottato in Germania.
Va, infine, ricordato che anche la Commissione bilaterale aveva riconosciuto la necessità e la fondatezza di un filtro come si desume dall’art.131 del progetto, tentativo poi ripreso, anche dal d.d.l. del senatore Elia n. 4332, della XIII legislatura.
6.- La Corte, infine, rivendica la propria autonomia contabile,
senza aumenti di bilancio o di costi, ma solo per soddisfare l’esigenza
di una maggiore flessibilità nella gestione delle risorse e nel premiare
il personale più efficiente, evitando forme di burocratizzazione che
comportano inefficienza del servizio.
E’ evidente che l’autonomia della spesa non significa, certo, l’esenzione da controlli o richiesta di aumenti, ma solo necessità di razionalizzare e di rendere funzionale la spesa rispetto all’organizzazione e quindi agli obbiettivi da perseguire. Semmai diminuirla, tenendo
però conto dell’effettiva situazione di collaborazione e di partecipazione, anche dei dipendenti.
L’autonomia contabile oggi è riconosciuta nelle altre Corti nazionali europee, e, in Italia, è attuata al Consiglio di Stato, ai T.A.R., alla
Corte dei Conti, alle Authorities, oltre che al CSM e alla Corte Costituzionale.
Tenuto conto del quadro europeo e della partecipazione dell’Italia
alla rete delle Corti Supreme, l’Italia merita di potersi comparare con
le altre Corti avendo però lo stesso punto di partenza onde effettuare
un efficiente servizio-giustizia: un filtro all’enorme mole di ricorsi e
l’autonomia contabile per una più funzionale gestione organizzativa
del servizio.
Nel rinnovare il deferente saluto al Capo dello Stato e i miei più
vivi ringraziamenti alle Autorità e a tutti i presenti diamo inizio al
Convegno.
Vincenzo CARBONE
Primo presidente della Corte di cassazione
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RELAZIONI
Oscar Luigi SCALFARO
Presidente emerito della Repubblica italiana
Un saluto al Signor Presidente della Repubblica, un saluto a Lei,
Signor Presidente della Corte di Cassazione, a tutta la Corte, della
quale mi onoro in qualche modo di far parte. Un augurio al collega Andreotti per la sua salute.
Il titolo per il quale sono stato chiamato è che, senza particolare
merito se non di certificato di nascita, ero presente all’Assemblea Costituente, e non posso far tacere i ricordi: la discesa a Roma, la convinzione di vivere, malgrado la giovane età, un momento storico.
Vittorio Emanuele Orlando, che presiedette il 25 di giugno 1946 la
prima seduta, ebbe un cenno che ci fece meditare: è la prima volta
nella storia del popolo italiano che vi è un’assemblea eletta, e votata, a
suffragio universale. Per la prima volta - tranne la votazione del marzo
precedente per le elezioni municipali - con la partecipazione anche
delle donne. (vivissimi e prolungati applausi)
L’essere introdotto nel palazzo di Montecitorio accende i ricordi in
esso racchiusi, se si aveva avuto la fortuna di avere al liceo un professore, meno ligio alla dittatura, che aveva allargato le conoscenze sulla
storia.
E poi l’Aula. Qui Turati, Meda, Matteotti con quel discorso prima
di essere sterminato vicino alle sponde del Tevere.
E poi incontrare e avvicinare delle persone che proprio per quegli
insegnamenti in contrasto con la dittatura fascista erano testimoni di
libertà: Vittorio Emanuele Orlando, Nitti, Bonomi.
E poi questo nuovo mondo politico che, lottando contro la dittatura, era risorto e si presentava per le nuove responsabilità, eletto dal
popolo: Saragat, Nenni, Einaudi... (ricordo la frase di Einaudi: “l’economia è ancella della politica”, tale era la visione elevata della politica
come pensiero, come filosofia e quindi come programmi, applicazioni
e proposte)... e De Gasperi… e Treves…
Due ricordi in particolare, la presenza di Benedetto Croce che
avevo studiato e del quale, mi parve ardimento il solo pensare che ero
ormai collega; e Concetto Marchesi, quel grande latinista del quale noi
studenti di legge andavamo a comprare e leggevamo con gusto la Storia della Letteratura Latina, un miracolo, nel leggerla, per la presenza
viva dei personaggi del tempo.
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Le grandi lezioni che abbiamo preso, che io certo ho preso con
mia profonda meraviglia. Non posso dimenticare che l’Assemblea Costituente non era titolare primaria del fare le leggi; le norme che l’avevano messa al mondo avevano cercato di concentrare il suo lavoro
nello scrivere la Carta Costituzionale, quindi eccezionalmente il Governo faceva le leggi e poi c’era una procedura con cui, in casi particolari, l’Assemblea poteva richiamarle in discussione.
In aula, la polemica politica era particolarmente viva, e le prime
volte provocò un certo sconcerto in noi giovani, dico noi giovani in
quanto c’erano giovani socialisti, repubblicani, liberali e democristiani. La prima volta che ci fu una discesa nell’emiciclo piuttosto violenta da parte dello schieramento comunista, con la risposta dei democristiani e di altri, si determinò una zuffa in aula. Ero così preso, nella
mia totale inesperienza, dalla preoccupazione di trovare un denominatore comune per poter scrivere la Costituzione - preoccupazione che
era quasi in tutti, specie tra i più anziani - che quanto accaduto in Aula
parve una ferita non rimarginabile. Pensavo: adesso come si fa a riprendere il dialogo?
Eppure, conclusa la seduta della polemica politica, il Presidente
Terracini annunziava che dopo due ore o dopo un’ora o al pomeriggio
o il mattino seguente riprendeva la seduta costituente. Ricordo l’impressione che, citandola rivivo ogni volta, di vedere le persone che si
erano azzuffate lavorare insieme, scrivere insieme la Carta.
Una lezione formidabile, che si è ripetuta più volte essendoci in
Assemblea parlamentari con pensieri filosofici e politici, non soltanto
lontani, ma a volte in aperta contrapposizione tra loro.
Ricordo che nella mia esperienza una delle cose, uno dei fatti che
mi colpì fortemente, era ascoltare i colleghi di settori diversi che avevano molto sofferto moralmente, spiritualmente e anche fisicamente,
per la libertà. Persone che erano state all’estero soffrendo la fame, persone che avevano dovuto separarsi dalla famiglia, persone che avevano pagato in ogni modo, persone che erano state torturate per non cedere, per non dare il nome di colleghi che avevano lottato insieme contro la dittatura. (vivi applausi)
Mi venne il pensiero che queste sofferenze fossero una grande
spinta per quel denominatore comune, fossero un patrimonio, al di là
di visioni trascendenti, idoneo ad aiutare per un incontro fecondo.
Mi capitò un giorno per caso di accompagnare l’on. Nenni a colloquio con De Gasperi che riteneva opportuno, prima delle discussioni di politica estera, parlare con l’opposizione. Mi fermai ammirato e
meravigliato che l’incontro fra De Gasperi e Nenni - essendo stato
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Nenni molte volte un fustigatore di De Gasperi - fosse un incontro di
amicizia profonda tanto che quando riaccompagnai Nenni all’uscita
tornai da De Gasperi, che con i giovani si fermava volentieri a parlare, e gli dissi: “Presidente, non posso negare la mia ammirata meraviglia per questa affabilità con Nenni, che pure Le ha sparato contro
senza pietà, con la sua efficace oratoria piena di forza e di sangue”. De
Gasperi divenne serio e mi disse: “Scàlfaro, noi abbiamo sofferto insieme”.
Quel pensiero che era vivo dentro di me aumentò di forza. Poi De
Gasperi si fermò commosso a raccontare di quando essendo lui Ministro degli Esteri, prima di diventare Presidente del Consiglio, Nenni
cercava, terminata la guerra, di avere notizie di una figlia deportata in
campo di annientamento, e non riusciva. De Gasperi aveva tentato con
quella rete di diplomazia che stava rinascendo, si era rivolto alla Chiesa, che aveva mantenuto durante la guerra anche dei Nunzi, si era rivolto alla Croce Rossa, quando giunse la notizia che era stato trovato
il cadavere di questa creatura.
Il Ministero degli Esteri era dove oggi c’è la Presidenza del Consiglio e Nenni dirigeva l’“Avanti!”, che era poco dopo il Palazzo di Montecitorio. De Gasperi telefonò dicendo: “vengo da te”. Era chiaro che
la notizia era negativa. Mi disse: “Nenni è rispettoso della religione,
ma non è un tema che gli dia conforto… Pensavo: ma io padre di famiglia cosa posso dire a lui padre di famiglia?… Intanto attraversata
la piazza, cinque minuti a piedi, feci la scala per arrivare al giornale,
spinsi la porta, non dissi una parola, ci abbracciammo, scoppiando a
piangere insieme”. (vivissimi applausi)
De Gasperi commosso si fermò e mi disse: “né lui né io potremo
mai dimenticare queste comuni sofferenze”.
Ebbi conferma che tra molti colleghi c’era un rapporto umano,
serio e forte. Per questo l’avere messo al centro della Carta la Persona
umana rappresentò il punto d’incontro più chiaro e più efficace.
E si cominciò a votare gli articoli.
Oggi si parla anche, credo giustamente, di un aumento di impegno
di lavoro in Parlamento, ma devo dire che allora, con un sistema forse
più semplice, chi ci dava lezioni di comportamento, l’on. Cingolani
che era stato parlamentare prima del fascismo ed era rimasto indenne
da contaminazioni con la dittatura, ci dava queste direttive: quando
c’è seduta in aula il compito di tutti noi è di essere presenti, sempre. Il
seguito non lasciava dubbi: non perdere discorsi e argomentazioni soprattutto di coloro che sostengono idee in opposizione, in modo da
avere argomenti per dialogare, per discutere, anche per quei dialoghi
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che poco alla volta divennero consueti nel vivere insieme all’Assemblea Costituente.
Queste alcune delle fatiche dell’inizio.
La dittatura aveva ridotto la Persona a una cosa. La Persona non è
titolare dei diritti, perché titolare è lo Stato che questi diritti presta,
dona, li concede per poco tempo, li concede tutti, o solo in parte, o li
sospende o li revoca… Tesi queste che con il codice Rocco arrivarono
anche agli studi universitari e per noi giovani non fu piccolo scandalo.
In netta contrapposizione fu la splendida relazione di La Pira nella
sottocommissione dell’Assemblea dei 75, dove con assoluta chiarezza
espresse il principio che la Persona per natura sua e quindi per la sua
dignità di essere umano è indiscutibilmente titolare di dignità e di diritti primari. Questa è l’impostazione nella concezione democratica.
Ricordo ancora quando la maestra ci disse che “democrazia” veniva dal greco… e questa frase non ci aiutò a capire...
L’Italia è “Repubblica democratica”…
Per fare un esempio attuale è sufficiente pensare alla legge elettorale per le Assemblee legislative per ritenere con parere unanime - lo
stesso presentatore della legge le diede un battesimo particolarmente
sgradevole, noto a tutti – che oggi in Parlamento non c’è un deputato,
un senatore, che siano stati scelti e votati dal popolo italiano. Tema
assai delicato.
E poi, “Repubblica democratica fondata sul lavoro”, quindi sulla
Persona umana.
Si passa all’articolo 2: “la Repubblica riconosce”; c’è una splendida presentazione del rapporto cittadino-Stato, perché dalla Persona,
dalle persone, cioè dal Popolo, nasce lo Stato, il quale ha il compito di
pensare alla Persona.
C’è un’armonia evidente, e quel “riconosce” condanna qualunque
impostazione in contrasto con “democrazia”, perché “riconosce” vuol
dire che nel momento in cui questo Stato configurato a Repubblica
nasce, si inchina alla Persona dalla quale ha tratto vita, e prende atto
che questa Persona è titolare di diritti per natura sua, per dignità sua.
Ho fatto un rapido passaggio alle votazioni più importanti dell’Assemblea Costituente, fra ottobre e novembre del 1947, e posso ringraziarvi anche per avere avuto la gioia di rivivere e di rileggere il verbale di quelle sedute.
Ed ecco: “La magistratura è un ordine autonomo e indipendente”.
Guardando la mia sintesi, che non è una sintesi di studio, ma una sintesi anche di ricordi, rileggendo questo testo ho trovato che non
manca nulla.
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Non c’è stata contestazione su queste due parole: autonomia e indipendenza. C’è stata vorrei dire una quasi unanimità, c’è stata la volontà di difendere, soprattutto, dignità, prerogative, responsabilità del
magistrato.
“Il magistrato è soggetto soltanto alla legge”; concetto che venne
presentato con una serie di formule che nel contenuto non mutavano,
e che nella discussione trovò larghissimo spazio di consensi. (vivi applausi)
Se non ricordo male, un avvocato di valore, socialista, l’on. Targetti, toscano, ma trapiantato da decenni a Milano, esclamò: “che cosa
si vuol far dire? cosa sono questi dialoghi per scoprire fino in fondo il
contenuto di queste definizioni? Stiamo più semplicemente al normale contenuto delle parole”.
Un punto merita meditazione sempre: “la giustizia è amministrata in nome del popolo”. Questo è costantemente presente per ogni giudice, perché l’affermazione della giustizia tanto ha forza quanto ha
partecipazione convinta e vissuta; tanto è vero che mentre la partecipazione diretta del popolo ad amministrare giustizia ebbe infiniti interrogativi, così non è stato per l’affermazione che la giustizia è amministrata in nome del popolo.
“No” a Tribunali speciali. Avevamo tutti un ricordo triste e vivo dei
tribunali speciali per la difesa dello Stato. C’è ancora oggi l’Associazione di perseguitati politici - il cui vertice è mancato da poco, lo ricordiamo veramente con emozione, Pietro Amendola -, vittime di un
tribunale dove il progetto di giustizia era per la difesa del regime fascista, non per la difesa dello Stato. Lo Stato non c’entrava per nulla.
E sono assai pochi quelli che rimangono e ricordiamo con devozione.
Questo principio di amministrare in nome del popolo è un tema
importante, perché coinvolge, vorrei dire nella sua formazione, ogni
magistrato.
Il “no” ai magistrati di essere iscritti ai partiti ebbe una eco abbastanza ampia, con tutto il rispetto dei personaggi che sostennero questa tesi. Non serve a nulla, il discorso è molto più serio e più profondo: il magistrato sa di avere diritto, come ogni cittadino, di pensare in
libertà come crede, ma deve trovare il punto di equilibrio fra la sua responsabilità e la vita. Se questo non sente e gli pare eccessivo – sono
un po’ drastico – ha sbagliato strada. Non è obbligatorio fare il magistrato, è una scelta, e uno sa quali pesi può portare, sa che ha il dovere di non turbare il cittadino oltre i limiti che sono già quelli di uno
che dice: costui deve giudicarmi, deve giudicare una questione che mi
riguarda. E’ un discorso sempre estremamente delicato: se il magi-
21
strato si muove non in assonanza con le mie idee già mi viene il sospetto che non sia equilibrato e saggio. Di qui il dovere di stare attenti anche alle apparenze il magistrato lo ha e deve agire per poter mantenere un atteggiamento di responsabilità e di saggezza.
Temi che sono sempre aperti e hanno bisogno di costante riflessione e controllo.
Mi lascino un accenno fuori campo. Ho letto con tristezza sui
giornali di un magistrato che ha impiegato otto anni per stendere una
sentenza. Io mantengo tuttora un’acuta sensibilità su questo tema che
mi ha impedito di leggere per intero il racconto del giornale, ma ho
raccolto con grande pena i vari commenti… Questo signore, se ho ben
letto, lascerebbe la magistratura. Ma nessuno per otto anni si è accorto che una sentenza non arrivava? Nessuno ha una responsabilità?
(applausi)
Ma non è accaduto forse in passato – assolvano il sottoscritto per
dei pensieri forse ormai troppo vecchi – che l’avere sminuito continuamente la responsabilità dei Procuratori Generali ha portato dissolvimenti veri e propri? (applausi)
Perché un conto è limitare il diritto del magistrato a decidere,
altro conto è dire che ognuno si muova come crede, perché il discorso
della gazzarra è assai poco simile a un discorso di ordinamento di giustizia...
Quando finiranno in Italia questi processi paralleli, in televisione?
Quando? Quando finirà questo mercato che è studiato per alterare l’opinione delle persone? Lo abbiamo avuto di fronte in un processo che
ha riempito i giornali in modo patologico.
Abbiamo avuto - quando la Cassazione ha chiuso la partita e ha
detto: la sentenza è definitiva - un’insorgenza che per fortuna è durata una giornata sola: “ci vuole la grazia…”. E’ la dimostrazione di
quanto ha pesato questa procedura assolutamente intollerabile in un
paese civile.
Ho vissuto delle emozioni particolari.
Quando sono entrato in Magistratura (ottobre 1942, dopo Cristo
s’intende!) nel codice c’era il reato di sciopero. Nel codice c’era la pena
di morte, e fu applicata e in qualche caso fu eseguita…
L’ultima “pena di morte” a spegnersi fu nel codice penale militare
di guerra, e capitò a me l’onore ‘occasionale’ di firmarla come Capo
dello Stato.
Non so trasmettere il brivido di quando votammo con l’articolo 40
il diritto di sciopero. Non si è scritto “c’è il diritto”. No, non si discute:
“Il diritto di sciopero si esercita nell’ambito delle leggi che lo regolano”.
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Siamo usciti da un referendum che compie due anni alla fine di
questo mese. Non c’è una norma che tuteli il voto del referendum dicendo che su quelle materie non si può tornare per sei mesi, per un
anno, per due anni, ma c’è indubbiamente la coscienza dei parlamentari.
Con la responsabilità di Presidente di tutti i Comitati per il Referendum che si sono mutati in Associazione a difesa della Costituzione,
posso affermare che nessuno pensa che la Carta sia intoccabile, mai
nessuno ha sostenuto questa tesi, ma ci sia almeno una adesione alla
proposta di modifica dell’art. 138, per cui ogni riforma della Costituzione debba essere approvata con una maggioranza qualificata che
coinvolga largamente l’opposizione.
Comunque, abbiamo vissuto tempi dolorosi di polemica fra la Magistratura e l’esecutivo. Quando ero giovane parlamentare, probabilmente tanto preso dalla mia vocazione di magistrato, dissi un giorno
in Parlamento che se la politica perde credito si entra in una crisi, se
perde credito la giustizia è ferito a morte lo Stato. E ci fu qualche polemica su questa giovane voce che aveva detto qualche cosa che, però,
sentiva e sente tuttora.
Dirò soltanto questo: la sacralità di questa casa, dove è il vertice
della nostra umana giustizia in Italia, e la presenza, per cui ripetiamo
la gratitudine infinita, del Capo dello Stato, ci invitano al silenzio.
Pensieri, preoccupazioni, speranze. Silenzio.
Vorrei soltanto essere capace di invocare che prevalga sempre, a
prezzo di ogni pensabile sacrificio, l’interesse supremo del popolo italiano. Ringrazio. (grande applauso generale, tutta l’assemblea si leva in
piedi)
23
Giurisdizione e giudici nella Giurisprudenza Costituzionale
Franco BILE
Presidente della Corte costituzionale
Non posso nascondere di provare una forte emozione nel prendere la parola in questa aula, alla presenza del Signor Presidente della
Repubblica, del Presidente emerito sen. Scalfaro, dei Vice-Presidenti
del Senato e della Camera dei Deputati, del Ministro della Giustizia, di
numerosi Giudici costituzionali, e di un così folto e selezionato uditorio di Autorità, magistrati, avvocati, studiosi. In verità questa aula – in
cui la Corte di cassazione esercita al più alto e autorevole livello il suo
magistero – mi é particolarmente cara, per ciò che ha significato in un
lungo arco della mia vita professionale. E’ un motivo in più per ringraziare il Primo Presidente dell’invito all’odierna celebrazione dei 60
anni della Costituzione, per parlare di giurisdizione e giudici nella giurisprudenza della Corte costituzionale, di cui da ormai quasi nove
anni ho l’onore di far parte.
Nella Costituzione il riferimento alla giurisdizione è centrale e ripetuto, a cominciare dalla solenne proclamazione dell’art. 24, per cui
“tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi”, cioè di qualsiasi posizione soggettiva riconosciuta dall’ordinamento. Il diritto, definito inviolabile dallo stesso art. 24, di
agire e difendersi davanti ad un giudice può quindi essere modulato
dalla legge del processo, ma giammai eliminato.
Il tema dell’indefettibilità della giurisdizione rimanda ad un altro
principio fondamentale della Costituzione: il principio di eguaglianza.
Se la legge ordinaria non può sottoporre situazioni giuridiche tutelate a
discipline ingiustificatamente diverse, del pari la giurisdizione - che
somministra ad esse concreta tutela - non può che esplicarsi con un
metro di giudizio uguale per tutti. La lettura sistematica dei due principi sembra quindi condurre ad una nozione unitaria della giurisdizione.
L’Assemblea costituente pareva inizialmente orientata in questo
senso, come può ricavarsi dall’art. 102 del Progetto dei settantacinque.
Ma, come è noto, il testo definitivo di Costituzione é ispirato a criteri
parzialmente diversi.
L’unitarietà della giurisdizione è certo affermata, in generale, dall’art. 102, secondo cui “la funzione giurisdizionale è esercitata da ma-
24
gistrati ordinari” e “non possono essere istituiti giudici straordinari o
giudici speciali”. Lo stesso principio ispira poi il settimo comma del
testo attuale dell’art. 111 (secondo del testo originario), per cui “contro le sentenze e contro i provvedimenti sulla libertà personale, pronunciati dagli organi giurisdizionali ordinari o speciali, è sempre ammesso ricorso in cassazione per violazione di legge”. Ma il comma seguente soggiunge che “contro le decisioni del Consiglio di Stato e della
Corte dei conti il ricorso in cassazione è ammesso per i soli motivi inerenti alla giurisdizione”.
L’unitarietà della giurisdizione è quindi reale solo per quanto concerne il giudice che la regola. La Carta prevede infatti il ricorso ad
un’unica ed ultima istanza (la Corte di cassazione, a Sezioni unite in
base al codice di rito) per proporre, nei confronti di qualsiasi giudice,
ordinario o speciale, motivi “inerenti alla giurisdizione” e sentir accertare se il giudice adito sia abilitato a rendere la pronuncia richiesta,
cioè sia fornito di giurisdizione. Ma non vale invece per le (altre) violazioni di legge, per le quali la funzione di nomofilachia, mirante a garantire l’esatta osservanza e l’uniforme interpretazione della legge,
spetta alla Corte di cassazione solo per quanto concerne la giurisdizione ordinaria, cui é affidata la tutela dei diritti soggettivi, mentre compete al Consiglio di Stato e alla Corte dei conti nei settori di giurisdizione amministrativa ad essi rispettivamente devoluti. Si é così inteso
coniugare l’unicità della giurisdizione, cui si ispirava la legge abolitiva
del contenzioso amministrativo del 1865, con l’esigenza di non disperdere l’esperienza del giudice amministrativo istituito nel 1889.
La scelta della doppia giurisdizione traspare anche dall’art. 113,
secondo cui “Contro gli atti della pubblica amministrazione è sempre
ammessa la tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi
dinanzi agli organi [si noti il parallelo] di giurisdizione ordinaria o
amministrativa”. Al parallelo l’art. 103, primo comma, apporta però
un’eccezione, affiancando alla regola per cui la tutela degli interessi legittimi compete al giudice amministrativo la previsione che la legge
possa attribuire allo stesso giudice, in particolari materie, “anche” la
giurisdizione sui diritti soggettivi.
La “giurisdizione esclusiva”, nata nel 1923 come deroga a quella
del giudice ordinario per una limitata serie di materie, tra cui il pubblico impiego, ha raggiunto in seguito dimensioni ben più ampie, fino
al d. lgs. 31 marzo 1998, n. 80, e poi alla legge 21 luglio 2000, n. 205.
Nei confronti di tale legge, che ha devoluto alla giurisdizione
esclusiva nuovi blocchi di materie, varie questioni di costituzionalità
25
sono state sollevate dai giudici ordinari. E la Corte le ha decise con
una sentenza (n. 204 del 2004) mirata a dare ai rapporti fra le giurisdizioni un assetto idoneo a limitare gli inconvenienti derivanti ai cittadini dal sistema vigente e dalle incertezze dei criteri di riparto.
Il punto dolente è quello dei rapporti fra giudice ordinario e giudice amministrativo in tema di tutela dei diritti soggettivi. Secondo la
sentenza, l’art. 103 ha conferito alla legge ordinaria non un’assoluta e
incondizionata discrezionalità nel devolvere tipi di controversie alla
giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, ma solo il potere di
individuare materie particolari nelle quali esso tuteli nei confronti
della pubblica amministrazione “anche” diritti soggettivi. Tale potere
non è né assoluto né incondizionato: non può fondarsi sul solo dato
oggettivo delle materie, ma deve considerare la natura delle situazioni
soggettive in esse coinvolte. Se le materie devono essere particolari rispetto al generale ambito in cui la pubblica amministrazione agisce,
occorre che essa in quelle materie si ponga pur sempre come autorità,
nei cui confronti sarebbe comunque stata accordata tutela avanti al
giudice amministrativo. Perciò il fatto che di un giudizio su diritti soggettivi sia parte una pubblica amministrazione non può da solo giustificare che la giurisdizione sia sottratta al giudice ordinario e attribuita al giudice amministrativo. Ne discende che la materia dei pubblici servizi può essere devoluta alla giurisdizione esclusiva solo nei limiti in cui l’amministrazione eserciti poteri autoritativi o si avvalga
della facoltà di adottare strumenti negoziali sostitutivi.
Nella stessa prospettiva un’altra sentenza della Corte (n. 191 del
2006) ha dichiarato incostituzionale la norma (art. 53, comma 1, del
d. lgs. 8 giugno 2001, n. 325) che attribuiva alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie aventi per oggetto, tra
l’altro, i “comportamenti” delle amministrazioni pubbliche, prescindendo da ogni loro qualificazione e così valorizzando il solo fatto che
di esse fosse parte l’amministrazione. La norma però non è incostituzionale per ciò che concerne i comportamenti costituenti esecuzione
di provvedimenti amministrativi, come tali riconducibili all’esercizio,
pur se illegittimo, di poteri pubblicistici.
La Corte ha poi chiarito (sentenza n. 140 del 2007) che la natura
«fondamentale» dei diritti soggettivi oggetto di controversia non comporta l’incostituzionalità della loro devoluzione alla giurisdizione
esclusiva, in quanto nessun principio o norma dell’ordinamento riserva al solo giudice ordinario (escludendone quello amministrativo) la
tutela dei diritti costituzionalmente protetti.
Vorrei infine ricordare un’importante sentenza (n. 77 del 2007),
26
che ha rimosso uno degli aspetti più negativi dell’attuale sistema, dischiudendo forse la prospettiva di un discorso tendenzialmente unitario sulla giurisdizione.
Purtroppo non è raro che i litiganti debbano affrontare una lunga
controversia solo per ottenere l’accertamento di quale sia, nella specie,
il giudice dotato di giurisdizione, con il rischio di dovere poi ricominciare daccapo, ove il giudizio risulti proposto avanti al giudice “sbagliato”, subendo le preclusioni eventualmente verificatesi. La sentenza
– collocando in un congruo scenario costituzionale i risultati cui le Sezioni unite avevano già ritenuto di poter pervenire in via interpretativa - ha affermato che la pluralità delle giurisdizioni non può risolversi in una minore effettività, o addirittura in una vanificazione, della tutela giurisdizionale: infatti l’ordinamento riconosce l’esistenza di più
giurisdizioni per assicurare, sulla base di distinte competenze, più
adeguate risposte alle richieste di giustizia, non certo per compromettere la possibilità che ad esse si risponda.
Perciò la Corte ha dichiarato incostituzionale la norma impugnata nella parte in cui non prevedeva che gli effetti della domanda originariamente proposta ad un giudice poi dichiaratosi privo di giurisdizione si conservino nel processo proseguito, dopo tale decisione, avanti al giudice che ne sia munito, così scongiurando il rischio, prima ricordato, che il giudizio debba ricominciare dal principio (fermo restando che la decisione sulla giurisdizione non pregiudica le questioni sulla pertinenza del diritto e la proponibilità della domanda: art.
386 cod. proc. civ.).
Celebrando il sessantesimo anniversario della Costituzione, e per
di più parlando di giurisdizione nell’aula delle Sezioni unite, l’esposizione della giurisprudenza costituzionale sul tema ben può essere integrata da un cenno sulle modifiche di recente apportate alla disciplina del processo di cassazione (d. lgs. 2 febbraio 2006, n. 40) per rafforzare la funzione di nomofilachia. Questa infatti (pur se circoscritta all’area della giurisdizione ordinaria) connota, con il sindacato sui limiti esterni delle giurisdizioni, il ruolo nevralgico attribuito dalla Costituzione alla Corte suprema.
Una prima novità (art. 8) comporta che la sezione semplice, ove
non condivida il principio di diritto enunciato dalle Sezioni unite,
deve motivatamente rimettere ad esse la decisione del ricorso. E’ un
vincolo negativo, ispirato al principio per cui non è consentito discostarsi ingiustificatamente da un’interpretazione consolidata del giudice di legittimità.
27
Un’altra innovazione (art. 18) riguarda il regime processuale delle
questioni di interpretazione di contratti o accordi collettivi nazionali.
Mentre la sezione semplice non può decidere applicando un principio
di diritto contrastante con quello affermato dalle Sezioni unite, il giudice di merito che non condivida l’interpretazione data alla normativa
collettiva dalla Corte di legittimità può accogliere un diverso orientamento, ma solo con una sentenza soggetta a ricorso immediato per
cassazione. E’ evidente il fine di favorire la formazione di indirizzi
uniformi, per la piena realizzazione dei principi di eguaglianza e di ragionevole durata: infatti la certezza del diritto è il più efficace strumento deflattivo del contenzioso.
Ma il corretto esercizio della nomofilachia é compromesso dall’attuale mole di lavoro della Cassazione, cui affluisce annualmente un
numero di ricorsi incommensurabilmente più alto di quelli proposti
alle altre corti supreme europee.
Si impone quindi una riflessione sul rapporto problematico fra
due norme contenute nell’art. 111. L’una (commi 7 e 8) ammette il ricorso in Cassazione per violazione di legge contro tutte le sentenze,
con la sola eccezione di quelle del Consiglio di Stato e della Corte dei
conti, e così – pur mirando a garantire l’uniforme interpretazione della
legge – finisce per aggravare il lavoro della Corte suprema e dilatare i
tempi di definizione dei processi. L’altra (comma 2) attribuisce alla
legge il compito di assicurare la ragionevole durata di ogni processo.
Un corretto bilanciamento fra gli interessi costituzionalmente rilevanti cui si ispirano le due norme compete al legislatore e dovrebbe tener
conto delle esigenze di ciascuno di essi, evitando che la tutela dell’uno
si risolva nel totale sacrificio dell’altro. E forse esige un filtro che selezioni l’accesso alla Corte.
E’ possibile addivenire in sede interpretativa all’introduzione di
tale filtro o - non potendo bastare l’impegno finora profuso dalla stessa Corte - occorre un intervento legislativo? E basta una legge ordinaria o occorre una legge costituzionale? Quale che sia la fonte necessaria, può essere utile guardarsi intorno, per verificare se e come gli ordinamenti degli altri paesi dell’Unione europea prevedano filtri per
l’accesso alla Corte suprema. Il discorso di una più rigorosa disciplina
di tale accesso potrebbe forse andare oltre e coinvolgere altri profili,
relativi, ad esempio, al conferimento ai magistrati delle funzioni di legittimità aall’iscrizione degli avvocati all’albo dei patrocinanti dinanzi
la Corte di cassazione. Ma a questo punto bisogna fermarsi e fidare
sulla saggezza del legislatore.
28
Giudici ed attuazione dei valori costituzionali
Sergio BARTOLE
Professore ordinario di diritto costituzionale, Università di Trieste1
Non è per un atto di rituale cautela se premetto allo svolgimento
del tema, che mi è stato proposto, l’avvertenza che questo non può essere affrontato in modo esauriente nei limiti di tempo e di spazio che
mi sono stati assegnati. Si tratta, del resto, di argomento che – pur
nella sua vastità - è entrato nella consapevolezza della scienza del diritto costituzionale solo passo dopo passo, attraverso i lunghi anni di
esperienza che abbiamo vissuto successivamente all’entrata in vigore
della Costituzione repubblicana, da quando, cioè, giudici e Corte costituzionale hanno appreso a pienamente maneggiare e utilizzare in
tutte le sue potenzialità la nostra carta fondamentale, giacché in tanto
si può parlare di attuazione giudiziale della Costituzione, in quanto si
ammetta che questa può essere direttamente applicata dagli organi
della giurisdizione. In effetti, alle origini della nostra esperienza costituzionale repubblicana il tema dell’attuazione della Costituzione ad
opera dei giudici non sarebbe stato nemmeno proponibile alla luce
della teoria della Costituzione allora prevalente. La lunga storia dello
Statuto albertino ci aveva consegnato un’idea della Costituzione, per
così dire, più politica che giuridica. Anche se nell’arco di quasi un secolo non erano mancati esempi di utilizzazione giudiziale di quella
carta, buona parte della dottrina e degli operatori giuridici pratici
erano inclini a costruire lo Statuto come un documento anzitutto impegnativo della responsabilità politica del legislatore, cui restava demandato il compito di dare attuazione ai precetti statutari, di modo
che solo in un secondo momento questi potessero trovare – per il tramite delle scelte attuative fatte dalla legge – la via della pratica applicazione giudiziale ed amministrativa2. Di tale visione dello Statuto risentì inevitabilmente il primo approccio giudiziale alla Costituzione
repubblicana, tant’è che da più parti si sostenne che le sue disposizioni sostanziali (e non quelle strettamente organizzative e procedurali)
Relazione preparata per il Convegno “ Giurisdizione e giudici nella Costituzione “
tenutosi alla Corte di Cassazione in occasione del 60° Anniversario della Costituzione
il 18 giugno 2008.
2
Vedi per tutti Romano, Il diritto pubblico italiano, Milano 1988, 31 – 32.
1
29
erano norme meramente programmatiche, insuscettibili come tali di
trovare diretta implementazione in sede giudiziale ed amministrativa
e, in particolare, di sostituirsi, abrogandole, alle vigenti normative prerepubblicane di dettaglio3. E’ pertanto comprensibile che a quel tempo
il tema dell’applicazione giudiziale della Costituzione sarebbe risultato difficilmente proponibile.
Tuttavia, anche se la concezione tradizionale della Costituzione
venne mediamente accolta dai giudici di allora, non mancarono prese
di posizione discordanti, le quali si situano all’origine della storia che
mi è stato chiesto di ripercorrere. Il che farò ovviamente concentrandomi su alcuni passaggi importanti, senza pretendere di offrire un
quadro esaustivo e completo di tutte le vicende riconducibili all’attuazione giudiziale della Costituzione, ma tenendo presenti al tempo stesso l’atteggiamento dei giudici in ordine all’applicazione delle norme
costituzionali sostanziali di garanzia e salvaguardia dei diritti, cioè di
quelle che disciplinano i rapporti dei cittadini fra loro e con l’autorità,
da un lato, e, dall’altro lato, l’interpretazione da essi data al ruolo loro
assegnato dalla Costituzione.
Un buon punto di partenza è offerto da quella disposizione del
testo originario dell’art. 111 della carta per cui “contro le sentenze e
contro i provvedimenti sulla libertà personale, pronunciati dagli organi giurisdizionali ordinari o speciali, è sempre ammesso ricorso in
Cassazione per violazione di legge”. Quando con sentenza 30 luglio
1953 n. 2593 le Sezioni unite civili della Corte di Cassazione hanno ritenuto che “con l’art. 111 della Costituzione si sia voluto ammettere il
ricorso per cassazione in tutti i casi in cui il legislatore ordinario abbia
escluso l’impugnazione in deroga al principio generale”, era ormai ius
receptum che quella disposizione “è di carattere precettivo, di diretta
emanazione e di applicazione immediata ed, a termini dell’art. 15 delle
preleggi, ha abrogato, dalla sua entrata in vigore, qualunque altra
norma incompatibile con essa”, secondo l’orientamento espresso dalla
sentenza della Cassazione Sezioni unite civili 1 giugno 1949, n. 13984.
Tale orientamento contrastava palesemente con l’accennata teoria
della Costituzione, e non mancò chi vi vide un revirement addebitabile all’aspirazione dei supremi giudici ad un enlergement del loro ruolo
nel sistema costituzionale. Ma la sentenza del 1953 ha dato a questa
Su tutta questa problematica Crisafulli, La Costituzione e le sue disposizioni di
principio, Milano 1952.
4
Per indicazioni di materiali utili al riguardo, Giurisprudenza costituzionale 1956,
434 ss..
3
30
mossa iniziale uno spessore ed un significato che superano eventuali,
mere preoccupazioni di potere, proponendone una lettura sistematica
che va aldilà del testo costituzionale ed attiene alla stessa tutela sostanziale dei diritti. Preoccupandosi di sganciare l’applicazione o la disapplicazione del ridetto principio costituzionale dall’elemento secondario e accidentale della prescrizione legislativa della forma dell’ordinanza o del decreto per un dato provvedimento, la Cassazione perveniva all’elaborazione di una vera e propria dottrina della Costituzione,
cioè non tanto di una teoria sulla Costituzione come atto quanto di
una ricostruzione interpretativa dei significati potenzialmente desumibili dalla carta per la parte considerata. Si disse allora che non era
ragionevole lasciare nelle mani del legislatore, e far dipendere dalla
sua scelta sulla forma del provvedimento impugnando l’applicazione
di una garanzia estensibile in generale a tutti i provvedimenti aventi
carattere decisorio, e volta ad assicurare ai cittadini piena tutela dei
diritti e degli interessi legittimi in conformità all’art. 24, primo
comma, Cost.. Il fatto che la Cassazione si sia allora soffermata su
questi profili costituisce una conferma della sua scelta di andare oltre
una piana osservanza della mera lettera della Costituzione presa di per
sé o per il tramite delle leggi attuative, e di assumere diretta responsabilità della sua attuazione, elaborandone appunto una dottrina interpretativa che andava aldilà dell’espresso dettato del documento ed
era utile per la diretta ed immediata implementazione di questo,indipendentemente da qualsiasi riscontro di legittimità costituzionale
della normativa ordinaria in vigore.
Il supremo giudice entrava così in un rapporto diretto con la Costituzione, senza rinviare l’attuazione di questa all’intermediazione del
legislatore, ovvero del giudizio della Corte costituzionale. Una scelta,
a ben vedere, non isolata, giacché pure in altri settori o materie troviamo esempi di diretto utilizzo giudiziale delle norme costituzionali,
anche se per una più chiara comprensione del fenomeno giova distinguere le ipotesi, in cui la norma costituzionale è oggetto di diretta applicazione in sostituzione parziale o totale della legislazione ordinaria
in vigore, da quelle in cui essa viene utilizzata per proporre un’interpretazione del diritto vigente conforme ai nuovi principi costituzionali. Mentre il caso dell’art. 111 rientra nel novero del primo ordine di
ipotesi, essendo esso la sola fonte della norma che nel caso viene direttamente applicata, l’utilizzo di altre disposizioni costituzionali se
ne differenzia in quanto esse vengono usate per incidere sull’applicazione della legislazione vigente secondo la vecchia figura argomentativa del c.d. combinato disposto, per cui una determinata disposizione
31
è letta in combinazione con altra o altre così da ricavarne una norma
non immediatamente rintracciabile nella lettera dei testi, ma da essi
deducibile in forza di una loro considerazione sistematica. In quest’ultima ipotesi non eravamo, dunque, sul terreno della mera evocazione di indicazioni di principio, giacché la norma costituzionale veniva trattata come diritto immediatamente vigente alla stessa stregua
dei precetti di legge ordinaria, con i quali andava a combinarsi. E’ il
caso ben noto dell’art. 36 Cost. per cui “il lavoratore ha diritto ad una
retribuzione proporzionale alla quantità e qualità del suo lavoro e in
ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa”. Come ho cercato di ricostruire in un mio recente lavoro5, di questo diritto la giurisprudenza assicurò la realizzazione non
solo avvalendosi dell’art. 36 per dichiarare la nullità di clausole contrattuali con esso contrastanti, ma arrivando anche a determinare in
termini vincolanti per le parti un salario corrispondente ai criteri costituzionali. Per ottenere questo risultato si fece ricorso – in combinazione, appunto, con il precetto della Costituzione - all’art. 2099 c.c.,
che demanda all’autorità giudiziaria di determinare la retribuzione del
prestatore di lavoro in mancanza di qualsiasi altra determinazione, attingendo, però, dai contratti di lavoro di diritto comune l’indicazione
più precisa e più agevole a consultare del prezzo di mercato del lavoro. In tal modo veniva fatto salvo, pur in mancanza dell’attuazione dell’art. 39 Cost., il principio che la determinazione dei salari deve necessariamente passare attraverso la regolamentazione collettiva dei rapporti di lavoro.
Il terreno delle relazioni industriali è stato interessato anche da
altre operazioni consimili, che andranno poi a saldarsi con la giurisprudenza della Corte costituzionale: è il caso, ad esempio, dell’art. 40
sul diritto di sciopero6. E’, però, anche opportuno rammentare che vi
fu un momento, puntualmente descritto da Valerio Onida nel suo contributo agli studi in onore di Costantino Mortati7, in cui da una parte
della giurisprudenza venne considerata disposizione costituzionale direttamente rilevante ed applicabile pure quella del secondo comma
dell’art. 3 Cost., che in termini generalissimi affida alla Repubblica il
5
Bartole, Interpretazioni e trasformazioni della Costituzione repubblicana, Bologna
2004, 166 ss..
6
Ivi, 174 ss.
7
Onida, L’attuazione della Costituzione fra magistratura e Corte costituzionale, in
Scritti in onore di Costantino Mortati, IV, Milano 1977, 501 ss., 555 ss..
32
compito di “rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che,
limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono
il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di
tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del
Paese”. I risultati che ci si riprometteva di ottenere utilizzando questo
precetto, per lo più in chiave di combinato disposto, erano spesso
molto distanti dai precetti legislativi ordinari e solo con spericolate argomentazioni riconducibili al disposto della Costituzione che si voleva applicare in combinazione con quelli, tant’è che più che di interpretazione/applicazione della Costituzione risultava appropriato parlare di vero e proprio uso alternativo di questa.
Ma queste vicende appartengono già ad un momento in cui di applicazione diretta della Costituzione si discorre non più in presenza di
un contesto di larga inattuazione costituzionale da parte del legislatore, quale quello segnalato in un famoso contributo da Piero Calamandrei8, ma, invece, a valle dell’avvento della Corte costituzionale e in
considerazione del primo decennio di giurisprudenza di questa.
E’ ben noto che in quegli anni specialmente i giudici di merito videro nella giustizia costituzionale la via privilegiata per l’implementazione delle norme costituzionali a contenuto sostanziale rimaste inattuate. Alle numerosissime iniziative di rimessione di questioni di costituzionalità riguardanti la legislazione prerepubblicana la Corte non
sempre rispose con sentenze di accoglimento, ma spesso, preoccupata dalla prospettiva di vuoti legislativi, anche per l’indisponibilità di
soluzioni additive, fece ricorso a sentenze interpretative di rigetto. Aldilà dei ben noti conflitti fra Corte ed alte magistrature cui hanno subito dato origine, queste sentenze hanno per vero inciso sul lungo periodo con effetti connotati da una qualche ambiguità per quanto ha
tratto ai rapporti fra il giudice costituzionale e gli organi giurisdizionali. Invero, se, da un lato, rivelavano l’intento del primo di imporsi
sui secondi quale interprete unico ed esclusivo della carta costituzionale, dall’altro lato – come anche più recenti sviluppi dimostrano aprivano ai giudici, in apparente contraddizione, la strada dell’interpretazione della legge ordinaria conforme a Costituzione, strada non
sempre agevolmente percorribile, in quanto spesso richiedeva il superamento del tradizionale strumentario ermeneutico. Di queste difficoltà l’uso alternativo della Costituzione ha portato i segni, benché
8
Calamandrei, La Costituzione e le leggi per attuarla, in Valiani– De Rosa-Calamandrei- Battaglia–Corbino– Lussu– Sansone, Dieci anni dopo 1945 – 1955, Bari 1955,
209 ss.
33
proprio nella realizzazione di una possibile condivisione fra giudici e
Corte del compito di interpretare la Costituzione potesse trovare, in
ipotesi, una sua apicale legittimazione. E, però, giova anche rammentare che proprio da iniziative riconducibili a quel movimento ha preso
le mosse una giurisprudenza di utilizzo diretto dell’art. 32 Cost. che ha
avuto l’avallo della Corte costituzionale9.
Anche se negli anni ‘60 il rapporto giudici/Costituzione era stato
oggetto di particolare attenzione con precisa inclinazione, ad esempio
nel congresso di Gardone Riviera dell’Associazione nazionale magistrati10, a vedere nella proposizione in via incidentale delle questioni di
costituzionalità la via privilegiata a disposizione degli organi giurisdizionali per concorrere al rinnovamento dell’ordinamento repubblicano, la svolta più tarda venne proprio in quella occasione preannunciata da Giuseppe Maranini favorevole, anche per suggestioni statunitensi, ad una più diretta assunzione da parte dei giudici del compito di
dare attuazione alla Costituzione. Al suo perfezionamento ha concorso la stessa Corte costituzionale, quando, in anni a noi più vicini, consapevole della ricordata ambiguità dello strumento delle sentenze interpretative di rigetto, e forse non sempre disponibile a seguire la strada delle sentenze interpretative di accoglimento, ha ritenuto di stimolare i giudici remittenti ad un più consapevole uso dell’interpretazione
conforme a Costituzione, sanzionando di inammissibilità le loro iniziative carenti sotto questo profilo11. In effetti, come già si è detto, l’interpretazione conforme rappresenta un modo di applicazione diretta
della Costituzione nella misura in cui la norma costituzionale entra a
comporre il materiale normativo utilizzato dal giudice per estrarre
dalla legislazione ordinaria vigente, e saldandosi con essa, una disciplina quanto meno non confliggente con i principi costituzionali.
Ma nel momento in cui favorisce questo più diretto impegno dei
giudici sul fronte dell’applicazione diretta di norme costituzionali la
Corte concorre a ridefinire ed innovare il ruolo del giudice, non più
destinato a reagire alle situazioni di palese incostituzionalità mediante lo strumento della rimessione di questioni di legittimità alla Corte
stessa, ma chiamato a collaborare a fianco di questa all’implementazione della Costituzione. Quell’impegno ermeneutico che la Costitu-
Bartole, op.cit., 182 ss.
Associazione nazionale magistrati, Atti e commenti. Congresso nazionale Brescia – Gardone 25 – 28 – IX – 1965, Roma 1966.
11
Dolso, Giudici e Corte alle soglie del giudizio di costituzionalità, Milano 2003,
103 ss.
9
10
34
zione richiede, e che autori come Gustavo Zagrebelsky avvicinano ad
un esercizio di vero e proprio lawmaking12, non è appannaggio del solo
giudice costituzionale ma coinvolge tutta la rete degli organi giurisdizionali. Consente questo fenomeno di ragionare in termini di un vero
e proprio enlargement del potere giurisdizionale? Lungi dal fuoriuscire dal tema assegnatomi, questo interrogativo vi ricade a pieno titolo,
giacché anche attraverso una ridefinizione del proprio ruolo i giudici
vengono a concorrere all’attuazione della Costituzione ovvero ad una
sua trasformazione in via interpretativa.
Non bisogna dimenticare che le disposizioni costituzionali in materia di magistratura e, in particolare, di ordinamento giurisdizionale
(contenute nel Titolo IV della Parte II della Costituzione) costituiscono un elemento di grande rilievo nel progetto innovativo delineato dall’Assemblea Costituente, e quindi la loro implementazione ha costituito e costituisce uno dei passaggi importanti dell’attuazione della Costituzione. Un compito che non si esaurisce, per così dire, uno actu,
cioè non si risolve in un solo ed unico intervento collocabile in un momento storicamente determinato, come, del resto, una considerazione
in generale della vita delle costituzioni sta a dimostrare. Nella misura
in cui l’attuazione della Costituzione rappresenta un momento di interpretazione/applicazione del diritto vigente, essa è, in effetti, inevitabilmente esposta – come spesso è avvenuto per il variare dei contesti istituzionali e sociali ed anche senza l’avvio di procedimenti di revisione - a sviluppi che possono inserire elementi di trasformazione
degli assetti dell’ordinamento vigente, risalgano questi al tempo della
vigenza dello Statuto albertino ovvero anche a tempi successivi all’entrata in vigore della Costituzione. Attuare la Costituzione è, quindi,
reiterare gli interventi nel tempo, per far sì che i principi che essa
esprime trovino sempre adeguata e soddisfacente implementazione in
relazione al mutare dei tempi e delle esigenze della nostra vita associata.
L’interrogativo è tanto più pertinente in quanto non sembra essersi mai placata la querelle sul significato da attribuire a quanto previsto
dall’art. 104 Cost., per cui “la magistratura costituisce un ordine autonomo ed indipendente da ogni altro potere”. E’ la magistratura, essa
stessa, un potere ovvero, in quanto ordine autonomo e indipendente,
è parte di un insieme più ampio, cioè del potere giurisdizionale inclusivo di giudici ordinari e speciali? Ma ha poi senso ragionare in ter12
Zagrebelsky, Fragilità e forza dello Stato costituzionale, Napoli 2006.
35
mini di potere giudiziario o giurisdizionale in assenza di un’espressa
conforme definizione costituzionale, la cui mancanza può anche non
essere casuale, ed addebitabile invece ad una precisa scelta dei costituenti? E, per contro, in difetto di una siffatta definizione, è legittimo
considerare preclusa all’interprete ogni ricostruzione sistematica della
magistratura che conduca a qualcosa di assimilabile all’antico e tradizionale concetto di potere dello Stato? Sono molti gli interrogativi nei
quali ci si imbatte nel tentativo di affrontare la questione accennata,
ma ad essi ancora una volta conviene dare soluzione avendo riguardo
alle risposte date dagli stessi giudici nella loro attività, anche in connessione con la rilevante giurisprudenza della Corte costituzionale,
giacché - come si è detto - anche questa è materia che nel tempo ha
fatto oggetto di interpretazione/attuazione della Costituzione ad opera
degli organi giurisdizionali.
Un passaggio significativo nasce dall’apporto congiunto di organi
giurisdizionali e Corte costituzionale, e risale a quando, con le ordinanze nn. 228 e 229 del 1975, quest’ultima ha dichiarato ammissibili
i conflitti di attribuzione fra i poteri dello Stato proposti dai Tribunali di Torino e Milano nei confronti della Commissione parlamentare di
inchiesta sul fenomeno della mafia in Sicilia a cagione del rifiuto da
questa opposto alla richiesta di mettere a loro disposizione documenti in suo possesso. Abitualmente la dottrina ascrive ad esclusivo merito della Corte la svolta rappresentata da quelle due decisioni, ma, essendo andato a rileggere i ricorsi presentati dai due Tribunali nell’occasione13, non posso fare a meno di rilevare che parte di quel merito
può essere condiviso dagli organi giurisdizionali ricorrenti, in quanto
nei loro atti sono già chiari alcuni dei passaggi argomentativi poi sviluppati dal giudice costituzionale all’atto della dichiarazione di ammissibilità dei conflitti. E’, infatti, proprio in quei ricorsi che viene
tratteggiata la figura del conflitto da menomazione come illegittima
incisione dell’altrui sfera di competenza o impedimento all’esercizio
di diritti e poteri costituzionalmente attribuiti, incisione o impedimento riconducibili al rifiuto di fornire le informazioni richieste, e si
ragiona di conseguenza della speciale competenza della Corte di Palazzo della Consulta. Del conflitto – si dice inoltre – può essere parte
Tribunale di Torino, ordinanza 18 aprile 1975 per conflitto di attribuzioni nei
confronti della Commissione antimafia, e Tribunale di Milano, ordinanza 16 aprile
1975 per conflitto di attribuzioni nei confronti della Commissione antimafia, in Giur.
Cost., 1975, 1971 ss. e, rispettivamente, 1976 ss.
13
36
qualsiasi organo giurisdizionale, giacché è particolarità dell’ordine
giudiziario che tra gli organi che lo compongono “non esiste rapporto
di gerarchia, poiché < i giudici sono soggetti soltanto alla legge >”, ed
anche le manifestazioni di volontà di organi non supremi dello stesso
potere possono rappresentare dichiarazioni definitive della volontà di
quest’ultimo “quando…sia ordinato nel suo interno in modo da richiedere autonomia di decisioni a singole sue articolazioni interne”.
Sono concetti in parte ripresi dalla giurisprudenza costituzionale in
materia di conflitti fra Stato e Regioni (sent. 18/1970), in parte da
quella sui rapporti fra Corte costituzionale quale giudice dei conflitti
e Corte costituzionale quale giudice penale (sent. 259/1974) e, da ultimo, dalla dottrina del tempo, ma vengono saggiamente utilizzati e rielaborati, tant’è che se ne ritrova, appunto, cospicua traccia nelle motivazioni della Corte. La quale ricava la legittimazione degli organi
giurisdizionali a sollevare conflitti di attribuzione, appunto, dalla circostanza che essi esercitano le loro funzioni “in situazione di piena indipendenza”, per cui l’ordinamento funzionale del potere giurisdizionale ammette a dichiarare definitivamente la volontà di questo potere
anche organi diversi da quelli “comunemente detti < supremi > in
quanto strutturalmente collocati al vertice”, presupponendo, quindi,
che essi derivino direttamente dalla Costituzione le loro attribuzioni,
seppure con l’intermediazione della legge che ne determina le competenze (art. 102 Cost.).
Si è detto di conseguenza che il potere giudiziario è un potere diffuso, una sorta di arcipelago in cui la relativa potestà è distribuita fra
una molteplicità di organi, ciascuno dei quali appare come un’isola a
sé stante perché opera in condizioni di indipendenza e diretta subordinazione alla sola legge. In realtà, ci si può chiedere se nel quadro di
questa visione abbia ancora un senso parlare di potere come concentrazione esclusiva ed unitaria di un complesso di organi congiuntamente chiamati all’esercizio di una stessa funzione fra loro distribuita
secondo le norme dell’ordinamento giudiziario. In effetti, si ha la sensazione che chi pone oggi nei termini tradizionali il problema dell’esistenza o meno di un potere giurisdizionale o giudiziario sia motivato
dall’intento di demonizzare le autorità giurisdizionali sostituendo all’immagine di una pluralità di organi fra loro indipendenti, come indipendenti essi sono rispetto agli organi degli altri poteri, l’immagine
di un blocco monolitico di autorità che non trova riscontro nella
realtà. Sicché di potere giurisdizionale si potrebbe ragionare piuttosto
solo in funzione di una categorizzazione unitaria di organi esercenti
una stessa funzione e sottoposti ad un comune ordinamento, i quali,
37
però, trovano al di fuori del loro ordine – come vedremo - punti essenziali di riferimento per la loro attività.
Se, come già non aveva mancato di sottolineare la dottrina in presenza dell’introduzione dell’accesso in via incidentale al giudizio sulla
legittimità delle leggi, il rilievo del ruolo autonomo assegnato ai singoli giudici viene esaltato dalla loro capacità di relazionarsi – aldilà
del loro tradizionale rapporto con la Corte di cassazione - con il giudice delle leggi, il riconoscimento della legittimazione a sollevare conflitto di attribuzione ha un analogo rilievo e non fa cha accentuare
una scelta di fondo dell’ordinamento, che trova nell’art. 101 Cost., per
cui “i giudici sono soggetti soltanto alla legge”, la sua compiuta e fondamentale espressione. I più recenti svolgimenti che consentono, se
non impongono ai giudici di darsi carico dell’interpretazione conforme a Costituzione delle leggi ordinarie prima di pervenire alla rimessione della relativa questione di costituzionalità alla Corte, confermano questa impressione di un giudiziario fatto di organi direttamente
ed individualmente responsabili della stabilità e continuità del sistema giuridico, ma al tempo stesso abilitati a decidere se entrare o
meno individualmente in rapporto con la Corte costituzionale ovvero
intervenire direttamente in alternativa di essa, ed a concorrere, quindi, attraverso i loro contributi interpretativi a quelle operazioni di conservazione/trasformazione dell’ordinamento repubblicano che talora
coincidono con l’interpretazione/applicazione della Costituzione.
Si può obiettare che nella stessa Costituzione la Magistratura è costruita come un insieme di organi compattamente riuniti in una sola
organizzazione allorché si dice che essa “costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere” (art. 104 Cost.). Ma lo stesso uso del termine ordine dovrebbe indurre gli interpeti avvertiti a non
ricorrere alla figura del potere. Se ha un senso collegare fra loro più
espressioni usate dal legislatore costituente nello stesso Titolo IV,
giova osservare che di Magistratura si parla anche quando si definisce
quello che impropriamente viene definito il suo organo di autogoverno, cioè il Consiglio superiore della Magistratura. Quest’organo ha anzitutto competenza in ordine allo stato personale dei magistrati, e
dunque è Consiglio superiore della magistratura in quanto si occupa
dell’insieme dei magistrati che nel loro complesso formano l’ordine
della Magistratura. Ordo personarum, perché sottoposto ad un’unica
autorità amministrativa e disciplinare, dunque, caratterizzato dall’appartenenza comune di funzionari dello Stato qualificati dal comune
esercizio di funzioni che appunto comportano le responsabilità individuali di cui si è detto, per cui ciascuno è distintamente chiamato a
38
confrontarsi con gli affari assegnatigli. Se dell’ordine della Magistratura non si può parlare come di un potere, sembra allora difficile costruire un potere giudiziario o giurisdizionale come un blocco unitario e coeso di organi, anche per la separatezza che contraddistingue i
rapporti fra giudici ordinari e giudici speciali. Il che, a giudizio di chi
scrive, consente di accantonare il problema che ci siamo posti senza
che ne risulti sminuito il ruolo dei giudici nel nostro sistema costituzionale.
La posizione degli organi giurisdizionali nel nostro ordinamento
non è, però, completamente definita se trascuriamo di prendere in
considerazione alcuni recenti sviluppi che si collegano a quella che i
costituzionalisti definiscono oggi la internazionalizzazione del diritto
costituzionale. Meritano anzitutto una menzione i nuovi poteri che i
giudici hanno acquisito in forza dei Trattati comunitari nell’interpretazione ad essi data dalla Corte costituzionale con la sent. 170/1984, in
forza della quale in caso di conflitto fra diritto interno e diritto europeo i giudici sono autorizzati a disapplicare il primo vantaggio del secondo, salvo a sottoporre alla Corte europea di giustizia la questione
pregiudiziale della sua compatibilità con i Trattati medesimi. Questa
innovazione obbliga, per così dire, i nostri giudici a rapportare la loro
attività alla giurisprudenza di un organo giudiziario non riconducibile alla magistratura tradizionale e, quindi, ne esce anche per questa via
rafforzata la loro posizione di individuale indipendenza con conseguente affievolimento delle tradizionali primazie giudiziarie. Del
resto, lo stesso rapporto giudici/Corte costituzionale ha subito un ridimensionamento nella misura in cui questa chiede ai giudici di sottoporle eventuali questioni di costituzionalità relative all’applicazione
del diritto comunitario solo dopo avere adito la Corte del Lussemburgo ed avere avuto da questa un’interpretazione autoritativa di quel diritto14. Da più parti si è detto, infatti, che con questo orientamento la
Corte italiana avrebbe rinunciato a confrontarsi con l’evoluzione dell’ordinamento europeo ed avrebbe essa stessa creato le premesse per
una continua attivazione del legame fra giudici italiani e Corte del
Lussemburgo.
Da ultimo, con le sentenze nn. 348 e 349 del 2007, la Corte costituzionale ha ancor più sganciato i giudici italiani dal preesistente rapporto unidirezionale con i loro tradizionali referenti nazionali, quando ha statuito che la giurisprudenza della Corte europea dei diritti del-
14
Malfatti– Panizza– Romboli, Giustizia costituzionale, Torino 2007, 336 – 337.
39
l’uomo vincola essa ed i giudici italiani nell’interpretazione della Convenzione europea dei diritti umani e delle libertà fondamentali. Si aggiunge così un altro elemento di multipolarità nel quadro di un sistema non più unidimensionale che vede incrementarsi il numero delle
autorità giudicanti cui i nostri giudici sono chiamati a rapportarsi. Fra
l’altro giova considerare che anche in questo caso il giudice costituzionale ha inteso riservarsi l’ultima parola nella misura in cui lascia
sempre aperta la possibilità di un suo intervento a sindacare la conformità a Costituzione delle obbligazioni convenzionali così come si vengono configurando passo dopo passo nell’esperienza concreta e principalmente attraverso la giurisprudenza del giudice CEDU.
Tutti questi discorsi conducono necessariamente a riproporre il
problema della posizione apicale nel sistema della Corte di Cassazione, non più termine ultimo ed esclusivo dell’esercizio delle funzioni
giurisdizionali. Più di vent’anni fa Vittorio Denti15 suggeriva che era
tempo che il giudice supremo della Magistratura ordinaria ripensasse
– con l’aiuto del legislatore – il proprio ruolo nell’ordine costituzionale, rivalutando appieno quei compiti di nomofilachia che stanno alla
base della sua “costituzionalizzazione”, secondo quanto risulta da
un’attenta lettura degli atti dell’Assemblea costituente. E’ palese che
tutti gli svolgimenti ora accennati richiedono più che mai che questo
avvenga. Lo stesso coinvolgimento di giurisdizioni sovranazionali
nella tutela dei diritti e delle libertà può offrire, ad esempio, indicazioni per una revisione della dottrina che lega l’attuazione del precetto relativo al ricorso in Cassazione di cui all’art. 111 con la salvaguardia della tutela costituzionale delle persone. Certamente recenti riforme, quali il decreto legislativo n. 40 del 2006, hanno avviato questo discorso, ma il tema più delicato, che non è stato ancora affrontato, è
quello della riduzione in via legislativa o della cernita, in via operazionale, delle controversie che la Corte di Cassazione è chiamata a giudicare. Per quanto concerne quest’ultimo punto e in prima approssimazione, mi pare degna di considerazione l’idea di consentire a giudici o
collegi ristretti della stessa Corte di valutare, con un certo margine di
discrezionalità e secondo parametri legislativamente fissati, l’opportunità di esaminare o meno i singoli ricorsi: se applicato in via generale,
il rimedio può essere giustificato come uno dei possibili esiti alternativi dell’impugnazione delle sentenze in Cassazione. In fin dei conti,
Denti, Art. 111, in Commentario della Costituzione, a cura di G. Branca, Bologna
– Roma 1987, 1 ss.
15
40
introducendo in Costituzione l’art. 111, l’Assemblea costituente non
ha dato indicazioni precise sulle modalità e sui termini di decisione
dei singoli giudizi. Forse soluzioni diverse sono possibili.
Un’ultima considerazione finale. Se la storia di questo sessantennio di Costituzione repubblicana conferma la peculiarità dell’assetto
del c.d. potere giudiziario e non consente che di esso si possa parlare
come di un blocco serrato ed unitario di autorità, ma piuttosto – secondo l’immagine usata – come di un arcipelago, risulta più che mai
urgente il problema dell’autonomia organizzativa ed operativa dei singoli giudici, e cioè Corte di cassazione, Corti d’appello e Tribunali. Problema, che, se chiama in causa, da un lato, le competenze del Guardasigilli (art. 110 Cost.), presenta, dall’altro lato, profili che ci riportano al tema dell’esercizio delle funzioni giurisdizionali. Si pensi soltanto al tema della durata dei processi. Dei ritardi cui è andata incontro
in questi sessant’anni la riforma dell’ordinamento giudiziario ha indubbiamente risentito la maturazione della consapevolezza di tale
problema, ma è fuori discussione che esso occuperà un posto di rilievo nei dibattiti futuri non solo con riguardo al ruolo dello Stato ma
anche di quello del sistema delle autonomie, se è vero che tocca, come
si dice, direttamente il territorio e le comunità che vi vivono.
41
Le giurisdizioni nella Costituzione
Guido ALPA
Presidente del Consiglio Nazionale Forense
1.- Giurisdizione e “stato di diritto”.
<Ciascun giudice interpreta e applica le leggi secondo sua scienza
e coscienza, senza essere soggetto in ciò a nessun’altra autorità>1. Indipendenza e imparzialità sono le parole chiave che la nostra Costituzione racchiude per esprimere l’essenza della giurisdizione, e rispetto
alla domanda di giustizia, <la risposta corretta sta, oltre che nella cultura e nella preparazione dei giudici, nella stessa articolazione del sistema giudiziario, in cui normalmente, ogni pronuncia di un giudice
può essere assoggettata a revisione davanti a un altro giudice; sta nelle
regole del processo; sta in un’organizzazione della macchina giudiziaria che prevenga e ripari errori, inerzie e abusi, assicurando tra l’altro
quel diritto alla “ragionevole durata del processo” che dalla Convenzione europea dei diritti è stato esplicitamente trasferito nel testo stesso della Costituzione (art.111, secondo comma)>2.
In questi termini elementari si esprime un illustre costituzionalista nell’enunciare i principi fondanti della nostra Carta costituzionale
e quindi dell’intero ordinamento su cui riposa l’Italia odierna. Ho trovato un analogo messaggio, anche se espresso con accenti diversi, ma
non contrastanti con quelli, nelle preziose pagine della Relazione sull’
amministrazione della giustizia nell’anno 2007 lette proprio in quest’aula dal prof. Vincenzo Carbone, Primo Presidente della Suprema
Corte di Cassazione3.
< Il cittadino-utente della Giustizia deve avere garanzie di terzietà,
di imparzialità, di durata ragionevole del processo. Il Giudice, nei suoi
confronti, deve non solo essere, ma anche apparire super partes. Per
chi bussa alla porta della giustizia la scena è quella del sabato del villaggio di leopardiana memoria: fiducia e garanzia in una soluzione
giusta e tempestiva. La fiducia è fondamentale, e si ottiene con un
esercizio serio e corretto delle funzioni, non con l’autoreferenzialità.
1
2
3
42
V. Onida, La Costituzione, Bologna, 2004, rist. 2008, p. 106.
V. Onida, op. cit., p. 109.
Relazione sull’amministrazione della giustizia nell’anno 2007, p. 60.
Nella moderna democrazia il prestigio non è più correlato all’esercizio
di una funzione, ma al modo con il quale la si esercita>.
Potrebbe apparire curiosa la sintonia con queste parole che si rinviene nella lectio magistralis predisposta dal Lord Chief Justice, il presidente della Camera dei Lords,4 in occasione della laurea honoris
causa in Giurisprudenza conferitagli pochi mesi orsono dall’ Università di Roma Tre. Il titolo della dissertazione era la “rule of law”,
espressione vaga con cui si allude allo “stato di diritto”. Ebbene, nel
declinare i contenuti di questa formula Lord Bingham insiste sulla giustizia e sull’amministrazione della giustizia come uno dei cardini dello
stato di diritto. In modo pragmatico e con contenuti del tutto condivisibili, anche se provenienti dall’ autorevole esponente di un ordinamento, di una tradizione e di una cultura a noi non comuni egli ha sostenuto che per rendere compatibile l’amministrazione ai caratteri
dello Stato di diritto <(…) devono essere forniti gli strumenti per risolvere senza costi proibitivi o ritardi ingiustificati le dispute civili
bona fide che le parti stesse sono incapaci di risolvere. Sembra un corollario ovvio del principio che ciascuno è limitato e gode dei diritti
stabiliti dalla legge, e che ciascuno deve essere in grado, in ultima
istanza, di andare in tribunale per avere la chiara determinazione dei
propri diritti e dei propri doveri. Non è questa una norma indirizzata
contro l’arbitrato e i più informali mezzi di risoluzione delle dispute,
ognuno dei quali se organizzato propriamente e condotto in maniera
equa dà un contributo di grande importanza al realizzarsi della Rule of
Law. Né si tratta di una regola che consenta ad ogni richiesta della difesa, per quanto spuria e fuori luogo, di avere accesso al processo. Ciò
che consente è il riconoscere il diritto di un accesso non ostacolato alle
corti come un diritto di base, protetto dalla legge nazionale,5 e (…) incluso nel principio della Rule of Law. Se questo viene accettato, allora
bisogna affrontare la questione di come l’uomo o la donna povera può
essere in grado di affermare i suoi diritti. Assumendo l’esistenza di una
professione legale indipendente, (…), l’ottenimento del sostegno e
della rappresentanza legale ha un costo, e poiché i servizi legali assorbono molto tempo ai professionisti sono inevitabilmente costosi. Non
Lord Thomas Bingham of Cornhill, “The Ruile of Law”, Lectio Magistralis in occasione del conferimento della laurea honoris causa, Facoltà di Giurisprudenza – Università degli Studi Roma Tre Roma, 14 marzo 2008.
5
Raymond v Honey [1983] 1 AC 1, 12-13; R v Secretary of State for the Home Department, Ex p Leech [1994] QB 198, 210; R v Lord Chancellor, Ex p Witham [1998] QB
575, 585-586.
4
43
è sufficiente che la giustizia sia aperta a tutti, come l’Hotel Ritz. Nelle
giurisdizioni di common law c’è un problema più acuto che in quelle
di civil law, poiché il processo richiede una presenza più intensa degli
avvocati e quindi è di certo più costoso. Ma la rule of law richiede che
la giustizia sia un bene non troppo costoso e una parte non deve aspettare troppo a lungo per avere i suoi diritti stabiliti dalle corti>.
Ebbene, proprio meditando queste parole sulla giustizia, scritte o
lette in ambiti e occasioni diverse, ma in modo quasi contestuale, mi
sono chiesto che significato abbia, oggi, il termine di “giurisdizione”.
Non si tratta di un vocabolo di poco momento, atteso che esso si colloca proprio nel cuore del sistema giuridico: l’esercizio della funzione
di giudice, pur essendo simile nei Paesi occidentali, obbedisce a regole, tradizioni, culture e prassi distanti tra loro. Distanti per il passato,
ma forse non per sempre: al presente l’applicazione del diritto comunitario quale fonte degli ordinamenti interni degli Stati Membri, nel
futuro la costruzione di uno jus commune europaeum, comprensivo
anche dei principi del diritto processuale, lasciano sperare che le distanze si accorceranno. Se si considerano poi i principi costituzionalmente garantiti che stanno alla base della “Rule of Law” e dello “Stato
di diritto”, possiamo già dire fin d’ora che le esperienze dei Paesi europei sono ispirate a principi condivisi.
2.- Giurisdizione: una nozione in evoluzione.
Ma perché parlare allora di “giurisdizione”, e perché parlarne proprio al giorno d’oggi? Credo che ragioni diverse tra loro, ma tutte concomitanti, impongano ai giuristi proprio oggi di rivisitare la nozione e
la funzione di <giurisdizione>.
Per il nostro Paese le ragioni sono molteplici.
La celebrazione del sessantennio della Carta costituzionale ha
fatto parlare di cambiamenti epocali, vere e proprie “rivoluzioni” a cui
abbiamo assistito in questi anni6.
6
Sul punto v. l’editoriale di S.Rodotà nella Riv.crit.dir.priv., 2008, p. 3 che cita la
relazione di Fioravanti, Le due trasformazioni costituzionali dell’età repubblicana, tenuta all’Accademia dei Lincei, in occasione del convegno su “La Costituzione ieri e oggi”;
per la verità i due autorevoli giuristi si riferiscono soltanto alla perdita di campo del
monopolio legislativo statuale e all’ avvento del diritto comunitario; a queste due rivoluzioni ho aggiunto quella che mi sembra altrettanto epocale, l’accettazione della giurisprudenza quale fonte del diritto.
44
La prima rivoluzione deve la sua origine alla dissoluzione del monopolio del legislatore unico e alla moltiplicazione delle fonti del diritto; oggi tutti sono concordi nel parlare di un potere legislativo diffuso, comprensivo della devoluzione alle Regioni del potere non riservato allo Stato o alla legislazione concorrente di Stato e Regioni, nonché del potere delegato alle Autorità amministrative indipendenti; a
ciò si aggiunge il riconoscimento della funzione creativa del giudice e
la inclusione della giurisprudenza tra le fonti del diritto.
La seconda rivoluzione è determinata dal c.d. diritto vivente 7 – un
tempo si preferiva parlare di “costituzione materiale” – cioè dalle trasformazioni dell’ordinamento determinate dalla interpretazione delle
norme costituzionali 8. Essa ha portato a modificare il significato tralatizio di <giurisdizione>, intesa come l’esercizio di una funzione appartenente esclusivamente allo Stato, oppure come l’espressione di un
potere indipendente quale è (e deve essere) la Magistratura, oppure
come sintesi del giudizio e della sanzione, ovvero come risultato della
composizione dei conflitti tra i privati, tra i privati e la pubblica Amministrazione, tra i poteri dello Stato. Più di recente, accanto a questi
si sono aggiunti nuovi significati, che ne arricchiscono la funzione e
ne irrobusticono il ruolo: il dovere del giudice di assegnare alla “legge”
una interpretazione conforme a costituzione e, in caso di dubbio, di
sollevare la questione di costituzionalità dinanzi alla Corte costituzionale.
La terza rivoluzione è costituita dai ripetuti interventi del legislatore, quali la normativa sul “giusto processo”, la normativa sui riti processuali dettata dalla esigenza di riparare alla crisi della amministrazione della giustizia con l’abbreviare i tempi del processo, e poi la
riforma della disciplina dell’arbitrato, la riforma del processo per Cassazione e delle regole sulla funzione nomofilattica di questa Corte.
Ma dobbiamo tener conto anche di altri cambiamenti.
Nel contesto comunitario, la nozione e la funzione della giurisdizione sono cambiate, perché il giudice nazionale – e come il giudice
7
Da ultimo v. Diritto vivente. Il ruolo innovativo della giurisprudenza, a cura di
A.Mariani Marini e D.Cerri, Pisa, 2007, con contributi di A.Mariani Marini, G.Alpa,
S.Chiarloni, P.Rescigno, G.Iudica, F.D.Busnelli, E.Resta, V.Zeno Zencovich, F.Giglio,
p.Thompson, N.Forwood, F.Procchi, D.Cerri. Al “diritto vivente” sono dedicati vari paragrafi nella Relazione scritta dal Primo Presidente, cit. sopra alla n. 3.
8
Da ultimo v. S.Bartole, Interpretazioni e trasformazioni della Costituzione repubblicana, Bologna, 2004; Interpretazione costituzionale, a cura di G.Azzariti, Torino,
2007.
45
ordinario qualsiasi altro soggetto che sia abilitato a svolgere tale funzione – ha l’obbligo di applicare il diritto comunitario, di disapplicare
la norma interna in contrasto con il diritto comunitario, e, in caso di
dubbio, di sollevare la questione di pregiudizialità dinanzi alla Corte
di Giustizia.
Nel diritto internazionale, il problema più eclatante postosi all’attenzione dei giuristi è stata la vicenda di Guantanamo e il principio di
“long arm jurisdiction” propria dell’ordinamento statunitense.
Nell’età della globalizzazione dei mercati, in cui si è dissolto il rapporto tra “nomos e terra”9, la giurisdizione sembra sia stata superata
dalla concertazione, dalla nuova lex mercatoria che si affida al contratto, anziché alla legge, e agli arbitri, quali giudici internazionali,
piuttosto che ai giudici nazionali, scelti sulla base delle regole del diritto privato internazionale 10. Il diffondersi delle ADR ha fatto sì che
conciliazione e mediazione anticipino o sostituiscano, quanto meno
per un grado, l’intervento del giudice ordinario, e pertanto, accanto
alla concezione di “legislazione diffusa”, oggi si può pensare anche ad
una “giurisdizione diffusa”, ovviamente intendendo questo termine in
senso assai lato.
L’espressione <giurisdizione> appare perciò affidata ad un notevole relativismo, storico, culturale, ed anche politico-sociale, se è vero
che essa deve esser accostata a (quando non identificata con) quella di
<giustizia>. Suonano attuali – a differenza delle trattazioni coeve di
altri autorevoli giuristi – le parole di Salvatore Satta – che prendendo
spunto proprio dalle modalità testuali con cui erano stati redatti gli
artt. 101 ss. Cost. osservava come la giurisdizione si risolvesse nella
giustizia. <Questa risoluzione della giustizia nella giurisdizione che il
legislatore fa, in aderenza all’intuizione e al linguaggio comuni è a nostro avviso– scriveva il Maestro - di grande e non trascurabile valore.
Non si tratta di un termine filosofico o di un termine vagamente generico, quale talvolta tutti adoperiamo prescindendo da ogni ordinamento giuridico o magari in opposizione ad esso: qui vi è una consapevole identificazione della giurisdizione con la giustizia (poiché tutto
quello che nelle norme si dispone riguarda “la” giurisdizione) onde il
termine ha un valore strettamente giuridico, assurge ad un autentico
sinonimo dell’ordinamento>. E aggiungeva: <E’ veramente singolare,
9
Oggetto della riflessione schmittiana rivisitata da N.Irti, Norma e luoghi, RomaBari, 2006.
10
Così Galgano, Lex mercatoria, Bologna, 1993.
46
e quasi commovente, il fatto che questa grande parola [cioè la giustizia] accuratamente bandita dal vocabolario del formalismo giuridico,
sia né più né meno che la parola del legislatore, così che, anche nel rispetto del rigore giuridico (anche, vorremmo dire, dallo stesso punto
di vista del formalismo) noi non possiamo non tenerne conto, anzi
dobbiamo farne la base del nostro ragionamento (…). Il problema è di
vedere che cosa ci sia dentro questa parola, che cosa l’uso di essa, nel
sistema giuridico, comporta>11.
In fin dei conti, ius dicere, ma anche interpretare e applicare la
norma, sanzionare il comportamento non conforme alla legge, amministrare il diritto tutelando i diritti e gli interessi dei consociati, costituiscono il significato essenziale di questo termine, che è altamente
evocativo. Al punto che, nella comparazione degli ordinamenti, vi
sono esperienze culturali come quella inglese in cui l’avvio della descrizione dei caratteri essenziali dei sistemi giuridici procede proprio
dalla giurisdizione, dal sistema delle corti, dal potere e dalla funzione
del giudice.
Non a caso, dunque, nella sua lectio magistralis, Lord Bingham ha
accostato la “jurisdiction” alla Rule of Law: una delle epifanie della
Rule of Law è appunto la funzione del giudice consistente nell’ interpretare e applicare la legge nell’interesse pubblico, a tutela dei diritti
fondamentali, e delle situazioni in cui versano quanti sono socialmente deboli.
In questa prospettiva sono ormai distanti e consegnate alla storia
della nostra cultura giuridica tutte le dotte e complesse discussioni sui
molteplici significati di giurisdizione collegati ai poteri dello Stato. Ma
sembrano distanti anche quelle che – collegandosi a questa funzione –
si ponevano il problema della unitarietà o meno della giurisdizione.
Questo è forse uno degli aspetti più interessanti della disamina del
termine: a differenza di quanto accade in Inghilterra, in cui la giurisdizione è devoluta al giudice ordinario anche se coinvolge la pubblica Amministrazione, in Italia, prima della approvazione della Costituzione repubblicana, si sono alternati il sistema unitario (dal 1865,
anno di fondazione del Regno al 1889) e il sistema pluralistico (dal
1889 in poi). Il cambiamento si deve alla istituzione di un giudice
competente a giudicare gli atti e i comportamenti della pubblica Amministrazione, un giudice dunque non ordinario, ma speciale. DappriS.Satta, Giurisdizione (nozioni generali), (voce) in Enc.dir., vol. XIX, Roma,
1970, p. 219-220.
11
47
ma si è raggiunto questo scopo con la istituzione di una sezione aggiunta (la quarta) alle sezioni del Consiglio di Stato; a questa sezione
si sono attribuite funzioni giurisdizionali, e, dato l’ampio carico di lavoro con il tempo si sono aggiunte altre due sezioni; si è istituita poi
la Corte dei Conti, che ha giurisdizione contabile sugli enti pubblici.
Questi due giudici speciali sono stati riconosciuti come tali dalla Costituzione repubblicana. Nel corso del ventennio fascista furono anche
istituiti tribunali speciali per i crimini politici. Sicché all’Assemblea
costituente (negli anni 1946 e 1947), che doveva dare all’Italia uscita
dalla guerra e dalla lotta al Fascismo e al Nazismo una nuova costituzione, di stampo repubblicano, democratico, e tanto solido da impedire che il Paese potesse ricadere nel tragico gorgo della dittatura, si
discusse con molta passione se si dovessero conservare oppure sopprimere i giudici speciali, ivi compresi quelli preesistenti e non correlati al regime dittatoriale. In particolare un grande giurista, docente di
diritto processuale civile, Piero Calamandrei, aveva difeso questa tesi.
Le sue erano argomentazioni di carattere politico, ma anche di natura formale. La dottrina, dopo quella stagione, ha finito per trincerarsi
dietro ragioni di natura formale.
Una storia a sé hanno avuto i Tribunali di commercio, soppressi
alla fine dell’ Ottocento, prima ancora che il codice di commercio
fosse unificato al codice civile, nel 1942.
L’esperienza pratica, oltre che le vicende politiche e legislative che
hanno inciso l’ordinamento giuridico nei sessanta anni che ci separano da quel periodo, ci hanno insegnato che con il formalismo giuridico non si possono risolvere tutte le questioni di giurisdizione; che
anche le questioni all’apparenza tecniche, come sono quelle proprie
del diritto processuale civile, hanno una loro valenza politica, e che un
po’ di sano gius-realismo suggerisce di non insistere sugli a-priori o su
concetti dogmaticamente troppo rigidi. D’altro canto, neppure l’idea,
di tanto in tanto riaffiorante negli studi e nelle proposte di riforma del
sistema, volta ad abolire la distinzione tra giudici ordinari e giudici
speciali (in particolare tra giudici ordinari e giudici amministrativi) si
è fatta strada12.
Tra gli studi più recenti riguardanti i diversi aspetti di questa problematica, v.
F.P.Luiso, La conciliazione nel quadro della tutela dei diritti, in judicium.it; B.Capponi,
Arbitrato e giurisdizione, ivi; B.Sassani, Corte Suprema e jiu dicere, ivi; G.M.Berruti, Nomofilachia, ivi; M.Clarich, La tutela giurisdizionale avverso gli atti delle Autorità indipendenti, ivi; G.Marongiu, Evoluzione della giurisdizione tributaria, Relazione tenuta
alla Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Pisa il 13 dicembre 2006; F.Satta, Brevi
12
48
Anzi. L’evoluzione dell’ordinamento ha preso tutt’altra piega: fatta
salva la distinzione tra giudici ordinari e giudici speciali sopravvissuti
alla Costituzione o non soppressi negli anni successivi (secondo quanto consentiva di fare la VI disposizione transitoria), si sono moltiplicati i giudici “specializzati”, giudici appartenenti alla Magistratura ordinaria ai quali sono devolute le questioni appartenenti a particolari
settori (i Tribunali per i minorenni, le sezioni specializzate per la protezione della proprietà industriale, e così via). Accanto ai giudici “togati” si sono dovuti affiancare giudici “onorari” di Tribunale e si sono
istituiti giudici di pace, per poter sopperire alle esigenze postulate da
una più efficiente (o meno traballante) macchina della giustizia.
Al pluralismo della giurisdizione si è ormai fatta acquiescenza, al
prezzo, talvolta, di interpretazioni funamboliche, come ci raccontano
i commentari della Costituzione; ed oggi, anche per superare le possibili obiezioni di natura logica e di natura dogmatica, si preferisce
muovere dalla definizione funzionale di giurisdizione, piuttosto che
da quella esclusivamente formale.
3.- Giurisdizione e crisi della giustizia.
Così, riflettere sulla giurisdizione, cioè sulla funzione giurisdizionale, sull’accesso e sulla amministrazione della giustizia, è divenuto
un compito non solo ineludibile per i giuristi, ma doveroso per chi riveste compiti istituzionali. Lo impone la crisi, conclamata e apparentemente irreversibile, in cui versa la giustizia italiana. Lo testimoniano la vita quotidiana dei tribunali, le indagini del Ministero della Giustizia, le ricerche condotte dalla Banca d’Italia e dal Consiglio Nazionale Forense, e anche i documenti pubblicati da organismi stranieri.
Mi riferisco alle indagini commissionate dalla Commissione europea
sugli aspetti economici dei servizi legali, al fine di identificare gli ostacoli alla concorrenza, allo sviluppo economico, alla elevazione della
qualità dei servizi, all’abbattimento dei costi legali per le imprese, al
miglioramento delle condizioni sociali dei cittadini europei e all’ampliamento dell’accesso alla giustizia. A tutto ciò si aggiungono: le rinote sul giudicato amministrativo, in judicium.it; C.Delle Donne, Passato e futuro della
giurisdizione esclusiva del GA nella sentenza della Consulta n. 204/2004: il ritorno del
“nodo gordiano” diritti-interessi; I.F.Caramazza, Le nuove frontiere della giurisdizione
amministrativa, in Atti del Convegno per il trentennale dei Tribunali Amministrativi Regionali, Napoli, 5-6 novembre 2004.
49
cerche del CEPEJ che includono il nostro Paese tra quelli nei quali la
giustizia è amministrata nel modo peggiore; le considerazioni, talvolta anche caustiche, della Banca mondiale, che addita il nostro Paese
tra quelli meno affidabili per gli investitori, attesa la lentezza della
macchina della giustizia, la difficoltà di tutelare i diritti, la lunghezza
dei tempi di recupero dei crediti; nonché le sentenze di condanna dell’Italia pronunciate dalla Corte europea dei diritti dell’uomo per le lungaggini dei processi.
La crisi in cui versa l’amministrazione della giustizia è una situazione nota dibattuta, che preoccupa le istituzioni, la Magistratura, gli
stessi avvocati, oltre che, naturalmente, i cittadini.
E’ stata il leit motiv che ha contrassegnato le relazioni inaugurali
dell’anno giudiziario tenutesi pochi mesi fa presso la Corte costituzionale, la Corte Suprema di Cassazione, il Consiglio di Stato, la Corte dei
conti; vi hanno fatto eco la Corte di Giustizia amministrativa siciliana,
i Tribunali amministrativi regionali e in particolare il T.A.R. del Lazio;
eguali problemi sono stati segnalati dalle sezioni regionali della Corte
dei Conti, dalle Commissioni tributarie, e finanche dal Consiglio Nazionale Forense13. Il fenomeno è noto anche in altre esperienze, e comune a molte di esse, come documentano le relazioni inaugurali dell’anno giudiziario della stessa Corte di Giustizia delle Comunità europee e della Corte europea dei diritti dell’uomo.
Intrecciato con il discorso sulla capacità delle attuali istituzioni
a dare adeguata risposta alla domanda di giustizia dei cittadini è il
discorso sulla organizzazione dei riti processuali, la cui molteplicità
ed eterogeneità aggrava la situazione in essere, e pure il discorso
sulla promozione di forme alternative di risoluzione delle controversie e sulla agevolazione della giustizia conciliativa ed arbitrale, ora
oggetto di interventi legislativi (peraltro divergenti tra loro), oppure
il discorso sulla stabilizzazione della giustizia onoraria, che, unitamente ad altri spetti del problema non è il caso, in questa sede di esaminare.
E’ opportuno in ogni caso sottolineare che oggi la giurisdizione
viene esercitata non più soltanto da giudici “togati”, assunti per concorso e qualificati come impiegati dello Stato – secondo la tradizione
napoleonica trapiantata dalla Francia – ma è esercitata da avvocati
che svolgono la funzione di giudice onorario affiancando i giudici toPer una ricognizione di questa problematica v. G.Alpa, Relazione sull’attività
svolta nell’anno 2007, Consiglio Nazionale Forense, Roma, 12 marzo 2008.
13
50
gati; gli avvocati sono giudici nominati per un determinato periodo di
tempo (che doveva essere limitato perché la misura doveva essere
provvisoria e straordinaria, ma ora si sta stabilizzando), e che continuano, in un altro distretto, a svolgere la loro attività privata, purché
in assenza di conflitto di interessi.
4.- Il pluralismo della giurisdizione come condizione ormai
irreversibile.
Ora visto come espressione di una scelta costituzionale ambigua
(se inteso in termini di unicità e non di unitarietà della giurisdizione,
ovvero di unitarietà della funzione giudicante, ovvero di unitarietà
della magistratura, ovvero di unitarietà delle garanzie di cui godono i
giudici), ora visto come interrogativo fondamentale nell’apprezzamento della efficienza economica della “macchina della giustizia”, il
principio di unità della giurisdizione si è recentemente riproposto all’attenzione degli studiosi e degli operatori per le incertezze interpretative a cui hanno dato luogo gli interventi legislativi sul riparto di giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo.
Un testo di legge ambiguo, un’applicazione contrastata delle pronunce della Corte costituzionale in materia, orientamenti tuttora divergenti di Adunanza plenaria del Consiglio di Stato e Sezioni Unite
della Corte di Cassazione – a cui peraltro compete la funzione di tracciare il confine del riparto – hanno reso ancor più complessa la situazione; a tutto ciò si aggiungono le sempre più perplesse posizioni dottrinali sulla distinzione tra diritti soggettivi e interessi legittimi, le pronunce epocali sul risarcimento del danno per la lesione di interessi legittimi, le incursioni nelle modalità di espressione della funzione giurisdizionale effettuate dal legislatore comunitario e alcune recenti posizioni assunte dagli stessi giudici comunitari.
Mi riferisco in particolare alla Corte di Giustizia delle Comunità
europee, la quale, attribuendosi il potere di sindacare l’applicazione
del diritto comunitario da parte dei giudici nazionali, ha affermato il
principio in base al quale se il diritto comunitario non è applicato o
non è applicato correttamente, lo Stato Membro risponde del danno
cagionato ai cittadini dai giudici nazionali (ancorché essi siano l’
espressione apicale della Magistratura).
Di recente la Corte costituzionale ha fatto rinvio diretto, ex art.
117 Cost., alla giurisprudenza della Corte europea dei diritti umani,
per la tutela dei diritti fondamentali nell’ordinamento interno.
51
5.- Giurisdizione e “legal formants”.
Dagli accenni sopra appena richiamati risulta evidente che il disegno costituzionale, il quale affidava agli artt. 102, 103, 111 Cost. (in
collegamento con l’art. 24) il ruolo di esprimere i principi in materia
di funzione giurisdizionale della Magistratura, non è rimasto cristallizzato nel tempo, ma nel sessantennio che è trascorso, si è venuto
componendo, anzi, “ricomponendo” in modo articolato per effetto di
alcuni fattori rilevanti.
Innanzitutto, il formante dottrinale. Le interpretazioni delle disposizioni previste dagli artt. 102 e 103 Cost. nel corso del tempo sono
state molteplici, ed il loro significato è tanto controverso che in una recente opera enciclopedica si contano almeno otto diversi modelli di
spiegazione14; il più semplice, il più neutro, attribuisce il carattere di
generalità alla sola giurisdizione ordinaria, natura costituzionale agli
ambiti di competenza dei giudici previsti dall’art. 103, ma non implica la costituzionalizzazione dei giudici previsti da questa disposizione;
predica inoltre l’impossibilità di dissolvere la distinzione tra giurisdizione ordinaria e giurisdizione speciale.
Poi il formante giurisprudenziale. Esso è costituito in particolare
dalla giurisprudenza della Corte costituzionale, che ha legittimato le
giurisdizioni speciali preesistenti all’entrata in vigore della Costituzione e non oggetto di revisione ai sensi della VI disp. trans., e pure la
conservazione e la istituzione di sezioni specializzate, il riparto tra
giurisdizione ordinaria e giurisdizione esclusiva, la conservazione
della dicotomia diritti soggetti/interessi legittimi, peraltro desumibile
dallo stesso testo della Carta costituzionale.
Infine, il formante legislativo, che viene per ultimo, non per ragioni di graduatoria delle fonti, ma per ragioni di intervento temporale.
E’ evidente allora che quando si parla di “giurisdizione” si fa riferimento non tanto ad un quadro complessivamente considerato in
modo statico, ma ad un sistema dinamico, i cui confini di volta in
volta si assestano, si precisano, si consolidano, a seconda dell’ intervento e della incidenza dei tre formanti.
Ma discutere di giurisdizione oggi – cioè di “ius dicere” – significa
anche tener conto della funzione creativa della giurisprudenza, ormai
considerata fonte del diritto equiparata alla fonte legislativa, e tener
Commentario della Costituzione a cura di G. Branca, sub art. 102, Zanichelli,
Bologna-Roma, 1981, p. 1968 ss.
14
52
conto della pervasività dei diritti fondamentali così come riconosciuti
e garantiti dalla Carta europea dei diritti a cui è stata finalmente ed
esplicitamente attribuita natura giuridica e quindi vincolante.
6.- Giurisdizione e ragionevole durata del processo.
Nella nostra esperienza il quadro costituzionale si è arricchito di
una grande novità, che si innesta nel rapporto sussistente tra gli artt.
102 e 103 della Costituzione: il principio di “ragionevole durata del
processo” disposto dall’art. 111 c. 2, per effetto della legge cost. 23 novembre 1999, n. 2.
Per il processo penale il principio è strettamente legato alla tutela
della libertà personale, oltre che al danno subìto dall’imputato per la
eccessiva durata del processo a cui è tratto. Per il processo civile sia
che si tratti di diritti personali sia che si tratti di diritti a contenuto
economico, la gravità degli effetti della durata eccessiva non è comparabile a quella che incide sulla libertà personale e tuttavia è di grande
rilevanza perché investe direttamente i rapporti sociali e i rapporti
economici in cui sono coinvolti, di cui sono parte, di cui sono attori gli
individui, soggetti di diritto, qualunque sia lo status di cui sono portatori.
Per il processo civile “ragionevole durata” implica perciò che tutti
gli operatori del diritto debbono collaborare perché il processo, svoltosi dinanzi al suo giudice naturale, al giudice competente, nelle forme
e nei riti stabiliti e con l’osservanza del contraddittorio tra le parti, in
condizioni di parità, davanti ad un giudice terzo e imparziale, non si
protragga per un tempo eccessivo; e quindi che si possa trasformare in
una sorta di prigione dei meccanismi processuali in cui si esplica la
funzione giurisdizionale tale da comprimere il diritto o l’interesse che
si vuol tutelare; e neppure che esponga all’incertezza il risultato del
processo e pertanto finisca per risolversi in una giustizia negata o dimidiata, con detrimento del rapporto (personale e economico che sia)
in cui le parti sono coinvolte; in una visione macroscopica della situazione, che non si risolva in un danno a chi chiede giustizia, in un
danno al sistema giudiziario, in un danno al sistema economico, in un
danno all’immagine del Paese.
Il pericolo più grave, in un sistema come quello che si è venuto via
via creando nella nostra esperienza, è che si moltiplicano le leggi, si
moltiplicano i diritti, si moltiplicano i giudici (ordinari, speciali, specializzati, onorari), ma non si assicura in modo concreto, efficiente,
53
rapido, la funzione della giustizia, cioè la tutela dei diritti e degli interessi.
Al di là della questione del completamento della pianta organica,
delle risorse finanziarie, del miglioramento dell’organizzazione della
macchina giudiziaria, ci si è rivolti allora alla interposizione di filtri
per far sì che, mantenendosi fermo ed anzi promuovendo l’accesso alla
giustizia, si semplificassero i suoi meccanismi.
Purtroppo, la giustizia amministrata dai giudici di pace si è risolta in un contenzioso altissimo, che ha investito direttamente la Corte
Suprema. La predisposizione di un giudice per le questioni “bagatellari” si è risolta dapprima in una estensione della competenza, di poi
in una proposta di consolidamento e di inclusione nell’ordine giudiziario, ed infine in un meccanismo perverso di alterazione della funzione di controllo di legittimità.
Il principio illuministico, consacrato dai Padri Costituenti, che
consente a tutti di agire in giudizio per far valere i propri diritti e interessi (art. 24 Cost.) è stato inteso nel senso che a chiunque è consentito di accedere alla Suprema Corte: e tuttavia l’art. 111 Cost. riserva il
ricorso alla Corte Suprema per violazione di legge solo contro i provvedimenti sulla libertà personale; per le decisioni del Consiglio di Stato
e della Corte dei Conti, solo per motivi inerenti alla giurisdizione. Si è
assistito invece ad una forte espansione dell’area della giurisdizione,
che può essere vista in modo positivo, perché solo il giudice assicura
l’imparziale e concreta tutela dei diritti, ma anche in modo negativo,
perché garantire a tutti la possibilità di adire la Corte Suprema per il
sindacato sulla violazione della legge ha comportato il moltiplicarsi di
processi, il moltiplicarsi di ricorsi, l’appesantimento insostenibile di
una macchina che sta rischiando di trasformare il giudice di legittimità in giudice di terzo grado, snaturando la sua funzione.
La situazione, vicina al collasso, esige pronti interventi. Tra gli
altri, il ripensamento non del testo, ma della interpretazione, dell’art.
111 Cost., affinché sia possibile individuare filtri nella risoluzione delle
controversie e, nella ripartizione per gradi, nell’accesso alla Cassazione (là dove non si tratti di provvedimenti che limitano la libertà personale), che assicurino a chiunque la tutela dei diritti e degli interessi ottenuta mediante l’esercizio della funzione giurisdizionale, cercando di
scongiurare il pericolo di inceppamento della macchina della giustizia,
operando alla base e giungendo fino alla sua espressione apicale.
Tutto ciò senza necessità di revisione del testo costituzionale, operazione che richiederebbe un impiego di tempo, di risorse e di impegno politico che porterebbero in là ogni riforma sostanziale.
54
Prendendo spunto da altre esperienze, si può pensare alla riduzione dei gradi di giurisdizione per tipi di interessi e per valore della
controversia; alla risoluzione delle questioni bagatellari mediante
forme alternative di risoluzione della controversia, salvo l’appello dinanzi ad un giudice di primo grado; all’impiego della conciliazione
non solo anteriormente al processo, ma anche nel corso del processo,
previa la sua sospensione e il rinvio al conciliatore; si può pensare alla
motivazione sintetica dei provvedimenti, come è previsto per le pronunce dei tribunali amministrativi regionali e, per il giudice ordinario,
dagli artt. 275, 281-quinquies e sexties c.p.c.; alla delibazione del giudice a quo sull’ammissibilità del ricorso; all’impiego più esteso del
principio di abuso del processo, e ad altri metodi che incidano sui riti,
sui mezzi di impugnazione, sulle modalità di difesa.
L’art. 113, secondo comma, Cost. dispone che la tutela giurisdizionale non può essere esclusa o limitata a particolari mezzi di impugnazione o per determinate categorie di atti. Ma è aperta la interpretazione di questa disposizione, perché essa è inclusa nell’ambito
della disciplina del controllo giurisdizionale degli atti della pubblica
Amministrazione. Se si attribuisce alla disposizione un significato
restrittivo, tale principio si può leggere in modo rovesciato, in modo
da consentire limitazioni a mezzi di impugnazione o a categorie di
atti.
7.- Giurisdizione e avvocatura.
Dal punto di vista dell’Avvocatura ogni soluzione che sia compatibile con il dettato costituzionale è bene accetta, anzi, è promossa con
convinzione (ne fanno prova le ripetute occasioni congressuali in cui
l’Avvocatura si è impegnata a cooperare con le istituzioni per la soluzione del problema della crisi della giustizia). L’Avvocatura si è anche
impegnata a migliorare il sistema di difesa, elaborando tariffe svincolate dai tempi della giustizia, per sfatare il sospetto di un interesse diretto nelle lungaggini dei processi. E gli organi di giustizia disciplinare sono da sempre impegnati nel pretendere l’osservanza dell’etica
della professione forense, formulata in disposizioni aventi natura di
norma primaria (attesa la funzione di giudice speciale assolta dal Consiglio Nazionale Forense). Tra le proposte di riforma della professione
forense si è anche contemplata la modificazione delle regole di accesso all’ albo dei patrocinatori ammessi alle giurisdizioni superiori, prevedendo, anziché l’ingresso automatico dopo l’effettuazione della pro-
55
fessione di avvocato per un periodo adeguato di tempo, l’obbligatorietà dell’esame di ammissione.
L’attività dell’avvocato è garanzia di difesa dei diritti all’interno del
processo: la sua attività <non corrisponde solo all’interesse delle parti,
ma anche a quello della giustizia, perché le deduzioni di parte contribuiscono alla formazione corretta della sentenza>. Per l’esercizio della
funzione giurisdizionale, pertanto, vi è ministero dell’avvocato, quale
garante dei diritti. Di qui le limitazioni ai poteri del giudice nel corso
del processo, essendo rari i casi in cui egli può agire d’ufficio senza
l’impulso di parte.
Per l’avvocato dunque chiamato alla difesa, l’esercizio della funzione giurisdizionale implica innanzitutto la individuazione del giudice competente, a seconda che la questione sia devoluta al giudice ordinario (civile o penale) ovvero al giudice speciale (giudice amministrativo, giudice contabile, giudice militare, giudice tributario, giudice
disciplinare magistratuale e forense). Al giudice costituzionale è possibile accedere solo mediante rinvio proveniente dal giudice (ordinario o speciale), mentre al giudice comunitario l’accesso è diretto, per
le materie di competenza della Unione europea, e può avvenire anche
attraverso la questione di pregiudizialità comunitaria rinviata dal giudice, ordinario o speciale.
In questi anni i problemi più gravi sono stati offerti dalla difficile
individuazione tra giudice ordinario e giudice amministrativo a proposito del risarcimento del danno per la lesione di interessi legittimi – non
essendo ancora accertato se sia pregiudiziale la declaratoria di illegittimità e la demolizione dell’atto amministrativo rispetto all’ accertamento e alla determinazione e liquidazione del danno derivante dalla lesione dell’interesse legittimo di cui è titolare l’interessato, oppure se l’accertamento dell’illegittimità possa essere effettuato in via incidentale
dal giudice ordinario, oppure ancora se il risarcimento possa essere liquidato direttamente dal giudice amministrativo. Ancora, sono rimasti
oscuri i confini delle aree di competenza esclusiva del giudice amministrativo, ora che la ripartizione della giurisdizione non avviene più per
tipologia di situazioni soggettive incise ma per materia. E a seguito
degli interventi del legislatore, della Corte Costituzionale e della Corte
di Cassazione, è ancora controversa la questione della translatio iudicii.
Nell’ambito della giurisdizione ordinaria l’avvocato deve poi scegliere il giudice specializzato, ove questo sia previsto; si sono moltiplicati in questi anni i giudici specializzati, ma al di là della lodevole intenzione di ripartire ulteriormente il carico di lavoro assegnandolo a
giudici particolarmente versati nelle materie trattate, si sono venute a
56
creare difficoltà sia nella individuazione della loro competenza, sia
nell’accesso alla giustizia, sia nella applicazione concreta delle disposizioni. Mi riferisco in particolare alle sezioni specializzate della proprietà industriale, alle sezioni (ordinarie) che amministrano il rito societario, al Tribunale per i minorenni, le cui competenze, rispetto al
Tribunale ordinario, finiscono – almeno per gli aspetti inerenti la giurisdizione civile - per frammentare la materia dei rapporti familiari
oggi bisognosi di unitaria valutazione alla luce dei principi costituzionali concernenti la tutela della persona, la tutela della famiglia e il
principio di eguaglianza. Alludo ancora alla giurisdizione volontaria,
il cui esercizio è oppresso da un affollamento eccessivo di istanze e
dalla carenza di personale e di risorse, che finiscono per oscurarne la
trasparenza e condizionarne le garanzie.
Si deve dunque assecondare la tendenza a creare giudizi specializzati per categorie di interessi? Si deve ritornare alla creazione di tribunali di commercio, anche se la loro soppressione alla fine dell’ Ottocento e l’unificazione dei codici obbedivano ad un principio opposto, volto alla unità della giurisdizione? Si può pensare alla creazione
di sezioni specializzate per il commercio, cioè per le attività economiche? A questa materia afferirebbero anche i rapporti tra professionisti
e consumatori oltre che i rapporti tra professionisti?
Una ulteriore scelta corrisponde al principio della territorialità
della giurisdizione. E quindi l’avvocato deve sapere se giudice competente è il giudice italiano oppure il giudice straniero. A questo proposito, le norme di diritto internazionale privato – sia di natura sostanziale, sia di natura processuale – pongono anch’esse problemi interpretativi.
I regolamenti comunitari in materia hanno portato chiarezza, almeno per gli argomenti trattati.
Quanto alle ADR, è ancora insuperato il principio secondo il quale
la riserva di giurisdizione non può soffrire alcuno “svuotamento”, indiretto o sostanziale, sicché si ritengono inammissibili l’arbitrato e la
conciliazione obbligatori. Tuttavia, la recente riforma dell’arbitrato ha
privilegiato l’arbitrato rituale rispetto all’arbitrato irrituale, e molteplici provvedimenti legislativi hanno introdotto forme di conciliazione
da esperire prima di adire il giudice ordinario. In ogni caso è sempre
ammesso il ricorso al giudice ordinario o l’appello, stante il principio
della insopprimibilità della funzione giurisdizionale ordinaria.
Anche questo principio però, tenuto conto della rilevanza costituzionale del diritto fatto valere, potrebbe essere rivisto, a beneficio della
riduzione del numero dei processi e del carico che ne deriva, quando
57
il giudice non togato che operi in veste di arbitro, mediatore o conciliatore, sia imparziale, competente, indipendente. Tutte garanzie che
la categoria degli avvocati che fossero chiamati ad espletare direttamente queste funzioni può agevolmente assicurare. D’altra parte, la
percentuale più alta di giudici di pace è estratta dalla categoria forense, e i giudici onorari (GOT d VPO) sono già avvocati.
8.- Il Consiglio Nazionale Forense come giudice speciale.
In questo quadro di riflessioni sulla giurisdizione e quindi sui giudici speciali un particolare approfondimento merita l’analisi del ruolo
e delle funzioni del Consiglio Nazionale Forense15.
Le decisioni dei Consigli dell’ordine locali in materia disciplinare
sono rese nell’esercizio di una potestà di carattere amministrativo nell’interesse della categoria, mentre il procedimento che, a seguito dell’impugnazione da parte dell’interessato di tali provvedimenti, si instaura presso i Consigli nazionali, almeno presso quelli precedenti
l’avvento della Costituzione repubblicana, con il suo divieto di istituzione di giudici speciali, è un procedimento di carattere propriamente giurisdizionale, che si conclude con una sentenza pronunziata in
nome del popolo italiano. Le caratteristiche della decisione del ricorso disciplinare confermano la natura propriamente giurisdizionale
dell’attività resa. Il provvedimento decisorio assume infatti le forme di
una sentenza pronunziata in nome del popolo italiano16.
Tale ricostruzione, pacifica in dottrina17, oltre che nella giurisprudenza della Corte costituzionale, conduce l’interprete a confronQuesto paragrafo è stato redatto dall’avv. Giuseppe Colavitti, dell’Ufficio studi
del CNF.
16
Presenta come elementi necessari, l’indicazione dell’oggetto del ricorso, le deduzioni del ricorrente, le conclusioni del pubblico ministero quando sia intervenuto, i
motivi sui quali si fondano, il dispositivo, l’indicazione del giorno del mese e dell’anno
in cui sono pronunziate, la sottoscrizione del presidente e del segretario, la pubblicazione mediante deposito nella segreteria del Consiglio, la comunicazione immediata al
procuratore generale presso la Corte di cassazione (cui si comunicano anche le date
delle notificazioni eseguite alle altre parti interessate), e soprattutto l’impugnabilità
delle sentenze stesse dinanzi alle sezioni unite della Corte di cassazione, presidio dell’uniforme interpretazione ed applicazione del diritto oggettivo nell’ordinamento.
17
Cfr. A. Pace, Giurisdizioni speciali, procedimenti amministrativi contenziosi, giudici “a quo” (A proposito del procedimento disciplinare davanti ai Consigli dell’ordine
degli avvocati e procuratori), nota alla sentenza Corte cost. 12 luglio 1967, n. 110, in
Giur. cost., 1967, p. 1206 e ssg.
15
58
tarsi con la massima soglia di integrazione pubblicistica di una formazione sociale – l’ordine professionale – che l’ordinamento italiano
presenta: a talune di tali formazioni sociali, infatti, l’ordinamento
consegna l’esercizio della funzione più spiccatamente legata alla sovranità statuale: la funzione giurisdizionale, il potere di dire la regola di diritto per il caso concreto. Il livello dell’integrazione degli ordini nella statualità è così elevato che il Consiglio nazionale forense, e
con lui altri Consigli nazionali, sono da considerarsi giudici a tutti gli
effetti, seppur non inquadrabili nell’ordine giudiziario, in quanto giudici speciali18.
Infatti, l’art. 102 Cost. si limita a disporre il divieto di “istituzione”
di giudici speciali, nel quadro di un’opzione solo tendenziale del costituente verso l’unicità della giurisdizione, contemperata da significativi elementi di pluralismo19, e non dispone ipso iure la soppressione
delle giurisdizioni speciali operanti al momento dell’entrata in vigore
della Costituzione, per le quali, più limitatamente, la Costituzione
stessa prevede, nella citata disposizione transitoria, la possibilità di
una “revisione” (e non di una “soppressione”) entro cinque anni dall’entrata in vigore della Costituzione stessa, termine peraltro ritenuto
avente natura meramente ordinatoria20. La Corte costituzionale ha
sempre ritenuto necessaria al riguardo la interpositio legislatoris, rifiutandosi di sancire la illegittimità costituzionale delle giurisdizioni spe18
Al potere giudiziario afferiscono, infatti, i magistrati dell’ordine giudiziario, protetti dalle particolari garanzie di autonomia e indipendenza di cui all’art. 104 Cost., ed
altri organi, i cd. giudici speciali, non inquadrati nel suddetto ordine (Cfr. S. Bartole,
Autonomia e indipendenza dell’ordine giudiziario, Cedam, Padova, 1964, p.285-286).
19
G. Azzariti, Giurisdizione e politica nella giurisprudenza costituzionale, in Riv. dir.
cost., 1997, p. 93 e ssg., ritiene infatti che convivano nel testo costituzionale due diversi modelli, l’uno unitario, imperniato sul principio dell’unità della giurisdizione, l’altro
pluralistico (artt. 103 e 108 Cost.), che l’autore ritiene prevalente soprattutto alla luce
delle interpretazioni rese dalla Corte costituzionale in materia di giudici speciali (sentenze n. 114 del 6 luglio 1970, n. 27 del 17 febbraio 1972, n. 284 del 23 dicembre 1986,
e, da ultimo, sentenza 25 luglio 1995, n. 387), ma anche in materia di magistrati onorari (sentenza n. 150 dell’8 aprile 1993, in Giur cost., 1993, p. 1143 e ssg.).
20
Corte cost. 23 dicembre 1986, n. 284, in Foro it., 1988, I, c. 3563. Anche, poi, a
volere considerare perentorio il termine, è evidente che ciò non può di per sé comportare la radicale incostituzionalità dei giudici speciali esistenti, non essendo l’espressione “revisione” certo equivalente al termine “soppressione”, o “eliminazione”. Solo il legislatore ordinario, in virtù della riserva di legge di cui alla VI disp. trans. Cost.,
“...dovrà in quella sede valutare se sia conveniente sopprimerli, con l’eventuale trasformazioni in sezioni specializzate dei tribunali ordinari, ovvero mantenerli, con le opportune modificazioni...” (punto 3 del considerato in diritto della sentenza citata).
59
ciali, e quindi lasciando ampia discrezionalità al formante legislativo
nel disegnare l’assetto concreto delle giurisdizioni21.
Delineato questo quadro di riferimento generale, e quindi fatta
salva, in linea di principio, la compatibilità costituzionale delle giurisdizioni speciali, la Corte costituzionale si è sempre opportunamente
riservata la facoltà di apprezzare le concrete modalità di esercizio
della giurisdizione, da parte del giudice speciale considerato, per verificare il puntuale rispetto dei canoni costituzionali. In questo quadro
si è posto il problema della contitolarità, in capo al Consiglio nazionale forense, di funzioni amministrative e di funzioni giurisdizionali,
propria anche di organi come il Consiglio di Stato e il Consiglio superiore della magistratura (con riferimento alla sezione disciplinare):
tale condizione non esclude di per sé l’ineliminabile requisito costituzionale dell’indipendenza, secondo il disposto degli artt. 101 e 108
Cost., e quindi non comporta per ciò solo l’effetto della illegittimità costituzionale22.
Neanche altre caratteristiche del Consiglio nazionale forense,
quali la circostanza della natura elettiva dell’organo, o il fatto di giudicare soggetti appartenenti alla medesima categoria professionale, ostacolano, secondo la Corte costituzionale, il riconoscimento della qualità
di giudice in capo a tale soggetto. Nella sentenza n. 284 del 1986, la
Corte costituzionale ha avuto modo di chiarire come il criterio elettivo, peraltro costituzionalmente previsto all’art. 106, secondo comma,
Cost. possa ben conciliarsi con il requisito dell’indipendenza, e che occorra avere riguardo, piuttosto, alle concrete modalità di scelta dei
componenti l’organo giudicante. In altra circostanza la Corte costituzionale ha ritenuto che il fatto che avvocati giudichino su avvocati non
pregiudichi di per sé il requisito dell’indipendenza del giudice; allo
stesso modo è stata riconosciuta natura propriamente giurisdizionale
alla sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura,
composto per due terzi da magistrati23. Anzi è di tutta evidenza che,
considerate le caratteristiche peculiari della responsabilità disciplinare, appare senz’altro opportuno che soggetti appartenenti alla stessa
categoria valutino i contegni dei colleghi. Dunque, la disciplina positiCfr. A. Poggi, op.cit.
Costante al proposito l’orientamento della giurisprudenza costituzionale: Corte
cost. 22 gennaio 1976, n. 25, in Foro. it., 1976, I, c. 1; 27 maggio 1968, n. 49, ivi, 1968,
I, c. 1383; 23 dicembre 1986, n. 284, ivi., 1986, I, c. 3563; e, più di recente, 8 luglio 1992,
n. 326, in Giur. cost., 1992, fasc. 4.
23
Corte cost. n. 12 del 1971, in Foro. it., 1971, I, c. 536.
21
22
60
va dell’attività decisoria che si instaura a seguito dell’impugnazione di
un provvedimento di un Consiglio dell’ordine degli avvocati integra
pienamente le caratteristiche strutturali e funzionali di un’attività propriamente giurisdizionale, anche grazie alle ulteriori garanzie di rispetto del contraddittorio che ha introdotto la Corte allorquando ha
sancito l’obbligo del pubblico ministero di non assistere alla camera di
consiglio, al pari dell’imputato e del di lui difensore. La Corte costituzionale ha sancito che la deliberazione della decisione del Consiglio
nazionale forense è “la fase conclusiva più delicata del giudizio, (è)
compito esclusivo dell’organo giudicante”, e proprio a garanzia dell’indipendenza di tale organo, la presenza del p.m., parte processuale, non
ha ragione di essere, realizzando piuttosto “una situazione di vantaggio con evidente menomazione del diritto di difesa dell’incolpato”.
Mentre infatti la norma originaria disponeva che “il pubblico ministero assiste alla decisione” (art. 63, secondo comma, regio decreto 22
gennaio 1934), la Corte costituzionale ha dichiarato illegittima per violazione dell’art. 24, secondo comma, Cost. l’assistenza del p.m. nel momento della deliberazione della decisione, a fronte del corrispondente
obbligo di allontanarsi dell’incolpato e del di lui difensore (sentenza 17
febbraio 1972, n. 27, in Foro it., 1972, I, c. 568). In questa sentenza, la
Corte ha rilevato che “l’esame delle disposizioni concernenti i procedimenti disciplinari innanzi al Consiglio nazionale forense (art. 59 e 68
del regio decreto n. 37 del 1934) non lascia adito a dubbi sulla posizione di parte che assume il pubblico ministero nei casi in cui spieghi
intervento in detti procedimenti”, e ha ritenuto inoltre di equiparare
pienamente ai procedimenti giurisdizionali ordinari il procedimento
che si svolge in sede di giurisdizione disciplinare innanzi al Consiglio
nazionale, asserendo che “la veste e le attribuzioni del p.m. nei procedimenti disciplinari innanzi al Consiglio nazionale forense non sono
dissimili da quelle spettanti al p.m. nei procedimenti ordinari e ciò
nondimeno per questi ultimi, l’ordinamento giudiziario vigente detta
una norma generale di contenuto diametralmente opposto sancendo
appunto il divieto per i p.m. di assistere alla deliberazione della decisione delle cause civili e penali da parte dei giudici di merito”.
In buona sostanza dunque, grazie all’opera del giudice delle leggi,
anche la giurisdizione speciale disciplinare, la cui ammissibilità sotto
il profilo generale risulta dal complesso delle disposizioni costituzionali che affiancano al principio di unità funzionale della giurisdizione
il principio pluralista, ha potuto beneficiare dell’estensione dei caratteri di terzietà ed imparzialità che connotano la funzione giurisdizionale tout court.
61
Peraltro è interessante considerare la raffinata giustificazione teorica con la quale il giudice delle leggi ha consolidato il sistema. All’atto di ribadire che il potere disciplinare è esercitato dai Consigli dell’ordine a protezione di un interesse di gruppo, la Corte costituzionale ha osservato che “(...) il Consiglio nazionale, a differenza dei singoli Consigli dell’ordine, svolge, quando è chiamato a decidere sui ricorsi contro i provvedimenti adottati da detti consigli, funzione giurisdizionale per la tutela di un interesse pubblicistico, esterno e superiore
a quello dell’interesse del gruppo professionale: il che può trovare conferma nella ricorribilità contro le decisioni del Consiglio nazionale alle
Sezioni unite della Corte di cassazione”24. La Corte mostra di riconoscere come la natura giurisdizionale dell’attività decisoria resa dal
CNF in sede di gravame avverso le decisioni dei Consigli dell’ordine sia
collegata all’esigenza superiore della tutela di interessi pubblici, mentre l’attività resa dai Consigli dell’ordine in sede disciplinare resta a
presidio degli interessi collettivi della categoria professionale.
Da ultimo val la pena di accennare ad un ulteriore profilo che conferisce ulteriore valore alla presenza nel sistema di alcune giurisdizioni speciali.
Il riconoscimento dello status di giudice speciale in capo ai Consigli nazionali degli ordini precedenti l’entrata in vigore della Costituzione repubblicana rappresenta, come prima accennato, il culmine del
processo di integrazione nello Stato-apparato di una organizzazione
complessa frutto dell’autoorganizzazione del pluralismo sociale. Connesso a tale status l’onore e l’onere della titolarità del potere di sollevare questione di legittimità costituzionale di norme o parti di norme
di legge e atti aventi forza di legge dello Stato e delle Regioni, ex art.
23 legge 11 marzo 1953, n. 87. I Consigli nazionali possono cioè adire
la Corte costituzionale affinché questa si pronunci sulla conformità a
Costituzione di una norma di rango primario che debba essere neces24
Corte cost. 6 luglio 1970, n. 114, in Foro it. 1970, I, c. 2303. Per gli stessi motivi
la Corte costituzionale aveva infatti escluso la legittimazione alla sollevazione della
questione di costituzionalità di un Consiglio dell’ordine degli avvocati, che aveva erroneamente argomentato circa la propria qualità di giudice a quo muovendo dalla considerazione dei poteri che spettano al p.m. nell’ambito del procedimento disciplinare
dinanzi al Consiglio dell’ordine degli avvocati stesso; tali poteri vanno più propriamente inquadrati nell’ambito di una attività di collaborazione all’esercizio di una funzione amministrativa, resa a tutela di un interesse del gruppo professionale, mentre
“...quando il procedimento si sposta nella sede del reclamo le funzioni del pubblico ministero si esercitano ai fini della tutela di un interesse esterno a quello del gruppo, diverso e distinto dall’altro che si incentra nell’ordine”.
62
sariamente applicata al giudizio principale. Il fatto che un’organizzazione complessa esponenziale di un interesse di gruppo acceda, in determinate condizioni di diritto, alla qualità di giudice speciale e al potere di adire formalmente il giudice delle leggi può ricevere una sistematizzazione convincente nella considerazione che talvolta gli interessi di gruppo sono così intimamente e inestricabilmente legati agli
interessi di tutta la comunità nazionale che il confronto tra essi finisce per svolgersi sul piano dei valori costituzionali. Il che è avvenuto
di recente, per impulso del CNF, che ha sollevato questione di legittimità costituzionale con riguardo alle norme che consentivano l’iscrizione nell’albo ai dipendenti pubblici a tempo parziale25.
Poco importa, ai fini del presente ragionamento, che il giudizio di
costituzionalità si sia risolto con una sentenza di rigetto. Ciò che importa è che la Corte sia entrata nel merito, abbia cioè valutato della legittimità costituzionale di norme di legge ordinaria dedotte in giudizio secondo la modalità qui descritta. Non era affatto scontato26. Nel
caso di specie si è aperta la strada ad una valutazione ponderata degli
interessi coinvolti, grazie al loro rilievo costituzionale, e grazie alla
condizione soggettiva specifica del Consiglio nazionale. L’interprete
non può che accogliere con favore un modello di assetto delle giurisdizioni che consenta di portare alla cognizione dell’organo che custodisce il supremo equilibrio degli interessi costituzionalmente rilevanti una questione che colpisce insieme interessi di gruppo e interessi pubblici, e che probabilmente necessitava di essere risolta a seguito
25
Sul tema vedi G. Colavitti. “La legittimazione a sollevare questione di costituzionalità e il principio pluralista. L’esercizio della professione di avvocato da parte di dipendenti pubblici con rapporto di lavoro a tempo parziale: un approccio dubbio al tema del
conflitto di interessi”, nota a Corte cost. (4 giugno) 11 giugno 2001, n. 189, in Giur. cost.
n. 4/2001, p. 2647 ssg
26
La questione era stata già sollevata in passato dal Consiglio nazionale forense,
ma era stata respinta con una pronunzia in rito che presentava peraltro profili di particolare interesse. Nell’ordinanza n. 183 del 1999, all’atto di dichiarare inammissibile per mancata integrazione del contraddittorio nel giudizio principale (con riferimento
alla posizione dei Consigli locali dell’ordine degli avvocati nel giudizio di fronte al Consiglio nazionale forense) - proprio la medesima questione di legittimità costituzionale,
la Corte costituzionale si sbilanciava in un inciso quasi minaccioso: “(...) anche a prescindere da qualsiasi valutazione in ordine alla conformità a Costituzione del Consiglio
nazionale forense quale giudice speciale (...)” (Corte cost. 20 maggio 1999, n. 183, in
Giur. cost., 1999, p. 1786 ss., a p. 1788). Nella decisione di merito (la citata 189/2001),
la conformità a Costituzione della condizione di giudice speciale del Consiglio nazionale forense viene invece ribadita con un lapidario richiamo alla giurisprudenza costituzionale pregressa.
63
dell’applicazione del criterio di ragionevolezza, in forza del quale la
Corte costituzionale, pur nel rispetto della natura discrezionale e politica delle scelte operate dal legislatore ordinario, si è infatti sempre riservata il potere di valutare in concreto se l’attività di ponderazione e
di bilanciamento tra interessi costituzionalmente protetti operata nel
caso singolo integri o meno una violazione dell’art. 3 Cost., sotto il
profilo dell’assoluta mancanza di ragionevolezza e logicità della scelta
operata27.
Considerata la vicenda “dal basso”, la prerogativa del Consiglio
nazionale forense può essere letta come l’occasione offerta ad un gruppo professionale organizzato di promuovere, nel rispetto dei requisiti
oggettivi e soggettivi che l’ordinamento richiede ai fini della corretta
instaurazione del sindacato di costituzionalità delle leggi, il vaglio di
costituzionalità su decisioni legislative che si assumono lesive di
norme costituzionali. Considerata “dall’alto”, la sollevazione di una
questione di costituzionalità da parte di un Consiglio nazionale professionale consente alla Corte di conoscere di norme che difficilmente
potrebbero accedere al sindacato medesimo per il tramite di un incidente afferente ad un giudizio ordinario, e soprattutto consente ad
essa di farsi “...canale di partecipazione politica che non si identifica
con quella che opera all’interno delle strutture di partito (...), strumento di un pluralismo che non sia solo istituzionale ma fondi le sue
radici nella società.”28
27
Cfr. A. Cerri, Corso di giustizia costituzionale, II ed., Giuffré, Milano, 1997, p. 233
e ssg.. A proposito delle decisioni della Corte costituzionale potenzialmente confliggenti con l’indirizzo politico delle maggioranze di governo, è stato segnalato il collegamento tra il ruolo della Corte ed il principio pluralista; in questo genere di decisione,
infatti, la Corte “...difende anche un aspetto essenziale del nostro sistema costituzionale: il pluralismo dei centri di decisione, espressione di un pluralismo più profondo
radicato nella società” (G. Zagrebelsky, La giustizia costituzionale, Il Mulino, Bologna,
1977, p. 355).
28
G. Zagrebelsky, op. cit., p. 373.
64
INTERVENTI
La Corte di Cassazione nella Costituzione
Ernesto LUPO
Presidente di sezione della Corte di cassazione
1.- Premessa.
L’anniversario della Costituzione, festeggiato nell’Aula magna
della Corte di cassazione, suggerisce di dedicare una specifica attenzione alle non scarse disposizioni in cui la Carta menziona questa istituzione giudiziaria. Si tratta di ben cinque commi, il cui contenuto è
stato ampiamente studiato. Ma, a distanza di oltre sessanta anni dalla
elaborazione delle dette disposizioni, può essere opportuno rivisitare
le ragioni della loro inclusione nella Legge fondamentale, individuare
le finalità ed i valori con esse perseguiti dai Costituenti, valutarne l’attualità.
Nel leggere i lavori della Assemblea costituente1 si constata che
alla Corte di cassazione fu dedicato un ampio spazio, che sarebbe interessante ripercorrere nella sua interezza e nei suoi dettagli. Ma la caratteristica di questo scritto ha imposto una ricostruzione estremamente sintetica e riassuntiva dei detti lavori, pure se non si è mancato
di indicare nelle note alcuni possibili percorsi di approfondimento.
2.- Le disposizioni della Costituzione che menzionano la Corte di
cassazione.
La Costituzione menziona la Corte di cassazione sia come giurisdizione che come giudice.
Sotto il primo profilo viene in considerazione l’art. 111, commi
settimo ed ottavo (nell’ordine assunto a seguito delle modifiche ad
esso apportate dalla legge costituzionale 23 novembre 1999, n. 2), i
quali prevedono che il ricorso in cassazione per violazione di legge è
1
Furono redatti resoconti sommari delle sedute della Commissione per la Costituzione (c.d. Commissione dei settantacinque) e delle relative sottocommissioni, resoconti stenografici delle sedute della Assemblea costituente, tutti ripubblicati in La Costituzione della Repubblica nei lavori preparatori della Assemblea Costituente, 8 volumi,
Camera dei deputati, 1970-1971 (d’ora in poi: Atti Costituente).
67
“sempre ammesso” “contro le sentenze e contro i provvedimenti sulla
libertà personale, pronunciati dagli organi giurisdizionali ordinari o
speciali”, mentre “contro le decisioni del Consiglio di Stato e della
Corte dei Conti il ricorso in cassazione è ammesso per i soli motivi inerenti alla giurisdizione”. Alla necessaria previsione del ricorso per cassazione può derogarsi “soltanto per le sentenze dei tribunali militari in
tempo di guerra” (ma una deroga esplicita è contenuta già nell’art.
137, ultimo comma, della Costituzione, ove si prevede che “contro le
decisioni della Corte costituzionale non è ammessa alcuna impugnazione”).
Sotto il secondo profilo possono considerarsi le altre disposizioni
che, dettate per finalità tra loro diverse, delineano aspetti organizzativi e posizione istituzionale della Corte di cassazione come organo dell’ordine giudiziario. Ci si riferisce all’art. 104, comma terzo, da cui si
desume la necessità della previsione del “primo presidente” della
Corte, oltre che del “procuratore generale della Corte di cassazione”
(ambedue membri di diritto del Consiglio superiore della magistratura); all’art. 106, terzo comma, ove si prevede “l’ufficio di consigliere di
cassazione”, al quale possono essere chiamati, “per meriti insigni”,
professori universitari ed avvocati; all’art. 135, primo comma, il quale,
in ordine alla composizione della Corte costituzionale, prevede che un
terzo dei suoi membri sia nominato “dalle supreme magistrature ordinaria ed amministrative” (primo comma), riferendosi inequivocabilmente, per quanto attiene alla magistratura ordinaria, alla Corte di
cassazione. Non concerne, invece, la sola Corte di cassazione il secondo comma dello stesso art. 135, il quale, relativamente ai requisiti che
i detti membri devono possedere, ne impone la scelta, oltre che tra i
professori universitari e gli avvocati, “fra i magistrati anche a riposo
delle giurisdizioni superiori ordinaria ed amministrative” (secondo
comma), perché tale previsione sta ad indicare i magistrati “da consigliere di corte di appello in su”2. La prassi finora seguita, peraltro, ha
limitato la scelta ai magistrati che prestano effettivo servizio presso la
Corte di cassazione3.
2
Così l’intervento di Perassi all’Assemblea costituente, nella seduta del 2/12/1947
(Atti Costituente, vol.V, p. 4285). La previsione delle giurisdizioni superiori si ricollega
all’emendamento Targetti presentato all’Assemblea nella seduta antimeridiana del
29/11/1947 (Atti Costituente, vol. V, p. 4255).
3
Ai quali è stato parificato, in un caso, il magistrato che ha esercitato le funzioni
di presidente della Camera dei deputati (cfr. A. Pizzorusso, Commentario della Costituzione a cura di G. Branca, sub art.135, Zanichelli, Bologna-Roma, 1981, p. 153, nota
12, ove tale parificazione è considerata una “evidente forzatura”).
68
A proposito della previsione del primo comma dell’art. 135 può essere interessante notare che la Costituzione, quando menziona la
Corte di cassazione, non la qualifica mai come Corte suprema, differenziandosi così dall’ordinamento giudiziario del 1941. La probabile
ragione di tale differenza è da ravvisarsi nel fatto che due dei tre progetti relativi al potere giudiziario presentati alla Commissione per la
Costituzione (quelli proposti da Calamandrei e da Patricolo) riservavano il termine di “suprema” alla Corte costituzionale che essi proponevano di introdurre4. Nel progetto di Costituzione poi approvato
dalla detta Commissione la Corte costituzionale perse la qualifica di
suprema, che però non fu recuperata dalla Corte di cassazione né nel
progetto, né nel testo definitivo della Costituzione. Si è, peraltro, visto
che la stessa Costituzione, nell’art. 135, parla di “suprema magistratura ordinaria”; e la correttezza dell’uso di tale qualificazione è giustificata dai compiti (che il vigente ordinamento attribuisce alla Cassazione) di nomofilachia e di rispetto dei limiti delle diverse giurisdizioni
(art. 65 dell’ordinamento giudiziario)5. Appare, pertanto, giustificata
la denominazione di Corte suprema di cassazione, costituente l’intestazione del capo V del titolo II del vigente ordinamento giudiziario
(regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12), anche se nell’art. 1 dello stesso
testo normativo essa è stata sostituita da quella di Corte di cassazione,
a seguito della riscrittura del detto art. 1 operata dall’art. 45 della legge
21 novembre 1991, n. 374, sull’istituzione del giudice di pace6.
4
Il testo dei tre progetti sul potere giudiziario e sulla Corte costituzionale presentati (da Calamandrei, da Leone e da Patricolo) alla Commissione dei settantacinque, e
precisamente alla seconda sezione della seconda sottocommissione, è pubblicato da F.
Rigano, Costituzione e potere giudiziario, Cedam, Padova, 1982, p. 261 ss.. Qui è pubblicato anche il progetto redatto da una Commissione di magistrati costituita dal Ministro di grazia e giustizia, progetto non presentato alla Commissione, ma di cui questa tenne conto.
5
In tal senso v. ampiamente A. Pizzorusso, voce Corte di Cassazione, in Enc. Giuridica Treccani, vol. IX, Roma, 1988, § 1.9: La Corte di cassazione come Corte Suprema.
6
Va rilevato che l’art. 1 del r.d. 30 gennaio 1941n n. 12 era stato già riscritto, dopo
la Costituzione repubblicana, dall’art. 1 del d.P.R. 22 settembre 1988, n. 449 (recante
norme sull’adeguamento dell’ordinamento giudiziario al nuovo processo penale ed a quello a carico degli imputati minorenni), che aveva mantenuto la denominazione di Corte
suprema di cassazione, ripristinando l’aggettivo (“suprema”) eliminato dal progetto
preliminare delle stesse norme. Sui ripensamenti “a corrente alternata” circa la qualifica di “suprema” della Corte di cassazione e per una critica all’intervento sul punto
della legge n. 374 del 1991 si consenta il rinvio al mio scritto in Commento al c.p.p.
coordinato da M. Chiavario. Le leggi collegate. II. La normativa ordinamentale, Utet, Torino, 1999, p.36-37.
69
3.- La Cassazione come giurisdizione.
Il “ricorso in Cassazione” – come lo denominano il secondo e terzo
comma dell’art. 111 Cost. (nella stesura originaria dell’articolo) – è
stato ritenuto tema da includere nella Costituzione repubblicana sin
dai lavori della c.d. Commissione Forti7. Esso “si coordina alla funzione della Cassazione di assicurare che i giudici applichino le leggi esistenti, e non sostituiscano alla volontà normativa arbitrarie e soggettive valutazioni”8.
Nel progetto presentato da Leone alla già citata Commissione per
la Costituzione, il ricorso per cassazione era espressamente previsto9
come garanzia individuale10, mentre la sua previsione era soltanto implicita nel progetto Calamandrei, desumendosi essa dalla disciplina
delle funzioni della Corte di cassazione11, in coerenza con la concezione che questo studioso aveva del ricorso per cassazione12.
Nella Commissione per la Costituzione (seconda sottocommissione, seconda sezione) il relatore Calamandrei presentò un testo con7
Si tratta della Commissione per studi attinenti alla riorganizzazione dello Stato costituita dal Ministero per la Costituente in preparazione dei lavori della Assemblea Costituente, alla quale essa poi presentò una Relazione, pubblicata in tre volumi da Failli, Roma, 1946.
8
Così, nell’ambito dei documenti conclusivi dei lavori della Prima sottocommissione della Commissione Forti, la relazione su La posizione costituzionale del potere giudiziario nella nuova Costituzione italiana, redatta da A. Giordano e A. Torrente, vol. I
della pubblicazione cit. nella nota precedente, p. 266.
9
Art.17, secondo comma: Nessuna sentenza può essere sottratta al controllo della
Corte suprema di cassazione.
10
Nel primo comma dello stesso art. 17 era prevista la regola generale secondo cui
In ogni causa devono essere osservati tre gradi di giurisdizione (alla regola era poi apportata qualche limitata eccezione).
11
L’art. 12, rubricato come Unicità della giurisdizione, prevedeva, nel secondo
comma: Al vertice dell’ordinamento giudiziario, unica per tutto lo Stato, siede in……la
Corte di cassazione istituita per mantenere la unità del diritto nazionale attraverso la
uniformità della interpretazione giurisprudenziale e per regolare le competenze dei giudici.
La disposizione qui trascritta, non approvata dalla Commissione, fu ripresentata
da Calamandrei ed altri (Atti Costituente, vol.V, p. 4171), con l’integrazione di siede in
Roma, in Assemblea, nella seduta pomeridiana del 27 novembre 1947, come art.95-bis
del progetto di Costituzione, ma non ebbe migliore fortuna.
12
Proprio nell’illustrare all’Assemblea l’emendamento trascritto nella precedente
nota, Calamandrei ebbe modo di esporre una ormai famosa distinzione: “in Cassazione non si va per difendere soltanto l’interesse del litigante, quello che gli antichi giuristi chiamavano jus litigatoris, ma altresì per difendere lo jus constitutionis, che è appunto l’interesse pubblico alla difesa del diritto e della sua unità, messa in pericolo
dalla pluralità delle interpretazioni disformi ed aberranti, le quali sono contagiose
70
cordato sulla giurisdizione, il cui art. 6, nella prima parte, recepiva del
progetto Leone l’espressa previsione del ricorso per cassazione, “sempre ammesso”, e, nella seconda parte, ripeteva la previsione del progetto Calamandrei sulle funzioni di interesse generale della Corte di
cassazione13. L’art. 6 fu approvato nella sola prima parte14. Tale decisione fu determinata dal fatto che nell’esame del ricorso per cassazione s’inserì la discussione sull’unicità della Corte di cassazione ovvero
sulla ricostituzione delle Cassazioni regionali (eliminate, nel settore
civile, dal fascismo15). E lo stesso Calamandrei, relatore, di fronte all’opposizione di Targetti all’inclusione nella Costituzione di una norma
sulla Cassazione unica, dichiarò di “aderire alla proposta Targetti e di
ritirare il capoverso in esame”16.
La disposizione sul ricorso per cassazione inserita nel progetto di
Costituzione che fu presentato all’Assemblea costituente, a seguito di
modifiche successivamente apportate in sede tecnica, fu del seguente
tenore: Contro le sentenze o le decisioni pronunciate dagli organi giurianche per l’avvenire” (loc. ult. cit.). V. anche A. Pizzorusso, La magistratura nel pensiero di Calamandrei, in Questione giustizia 1988, p.780 e, di recente, A. Barbera, Piero Calamandrei e l’ordinamento giudiziario: una battaglia su più fronti, in Piero Calamandrei
e la costruzione dello Stato democratico, a cura di S. Merlini, Editori Laterza, Bari,
2007, p.129.
13
L’art. 6 del progetto era del seguente tenore: Contro le sentenze pronunciate in ultimo grado da qualsiasi organo ordinario o speciale è sempre ammesso il ricorso alla
Corte di cassazione, istituita per mantenere l’unità del diritto nazionale attraverso la
uniformità della interpretazione giurisprudenziale e per regolare le competenze (Atti Costituente, vol. VIII, p. 1956).
14
Con riferimento al testo trascritto nella nota precedente, fu approvata la parte
sino alle parole “Corte di cassazione” (seduta antimeridiana della seconda sezione della
sottocommissione del 20 dicembre 1946: Atti Costituente, vol. VIII, p. 1958).
15
Il r.d. 24 marzo 1923, n. 601, nell’art. 1, soppresse le Corti di cassazione di Firenze, Napoli, Palermo e Torino e concentrò nella Corte di cassazione di Roma tutte le
attribuzioni spettanti alle quattro Corti soppresse. Il provvedimento, peraltro, riguardò
il solo settore civile, perché già la legge 6 dicembre 1888, n. 5825 aveva deferito alla
Corte di cassazione di Roma (divisa in due sezioni) la cognizione di tutti gli affari penali del Regno, sopprimendo le sezioni penali delle quattro Corti dianzi elencate.
16
Nella seduta pomeridiana dello stesso giorno 20 dicembre 1946, in cui si riprese la discussione sul secondo comma dell’art.12 del progetto Calamandrei sopra trascritto nella nota 11 (Atti Costituente, vol. VIII, p. 1962). Però, come si è detto, Calamandrei ripresentò in Assemblea il testo del cpv. dell’art.12 del suo progetto, che decadde a seguito dell’approvazione dell’ultimo comma dell’art. 102 del progetto di Costituzione (corrispondente all’ultimo comma del vigente art. 111: v. infra in questo stesso paragrafo). Dal resoconto sommario della seduta della sottocommissione non si desumono i motivi dell’adesione di Calamandrei al ritiro della norma da lui proposta, ma
poi ripresentata in Assemblea.
71
sdizionali ordinari o speciali è sempre ammesso il ricorso per cassazione, secondo le norme di legge (art.102)17.
La discussione dell’Assemblea sull’art. 102 del progetto si svolse
nella seduta pomeridiana del 27 novembre 1947. Il problema maggiormente discusso fu quello della molteplicità o della unicità della
Corte di cassazione18, problema sul quale si erano già avuti una lunga
serie di interventi nel corso della discussione generale sui titoli (abbinati) del progetto relativi alla magistratura ed alle garanzie costituzionali19. Il contrasto sul punto fu molto netto; alla fine Targetti ed altri
proposero un emendamento conciliativo del seguente tenore: “La
legge sull’ordinamento giudiziario regolerà l’istituto della Corte di cassazione”, emendamento che fu approvato da una ampia maggioranza
come ultimo comma dell’art. 102 del progetto20. Tale comma fu poi
soppresso dal Comitato di coordinamento dell’Assemblea, di cui non
17
E’ questo il testo approvato dalla seconda sezione della sottocommissione,
come modificato, prima, in sede di coordinamento dalla stessa sezione (Atti Costituente, vol.VIII, p. 2015, art. 10 del testo qui pubblicato) e, poi, nel corso della revisione operata dal comitato di redazione della Commissione plenaria (Atti Costituente,
vol.VI, p. 205).
Il progetto di Costituzione presentato dalla Commissione dei settantacinque alla
Presidenza dell’Assemblea costituente il 31 gennaio 1947 è pubblicato in Atti Costituente, vol. I, p. LVII; esso può leggersi anche in F. Rigano, Costituzione e potere giudiziario, cit., p. 310, nonché in La Costituzione della Repubblica italiana illustrata con i lavori preparatori, a cura di V. Falzone, F. Palermo, F. Cosentino, Mondadori, Milano,
1976, p. 471 ss.
18
Paolo Rossi, a nome della Commissione, nel proporre quello che sarà poi approvato come testo del secondo e terzo comma dell’art.111, la indicò come la “questione più grave e scottante di cui hanno discusso, oserei dire, senza far torto a nessuno, i più illustri parlamentari italiani” (Atti Costituente, vol. V, p. 4185).
19
Interventi sul tema furono svolti nella seduta pomeridiana del 6 novembre 1947
(Bozzi, Pietro Mastino), pomeridiana del 7 novembre (Villabruna, Vinciguerra, Angelo
Carboni), dell’8 novembre (Bellavista, Persico), pomeridiana dell’11 novembre (Romano), antimeridiana del 12 novembre (Cortese), pomeridiana del 12 novembre (Caccuri,
Fausto Gullo), antimeridiana del 13 novembre (Avanzini, Castiglia), antimeridiana del
14 novembre (Porzio, Mancini), del 15 novembre (Conti, per la Commissione), pomeridiana del 20 novembre (Umberto Merlin, ad illustrazione dell’ordine del giorno per la
Cassazione unica da lui presentato; altro ordine del giorno nello stesso senso fu, in tale
seduta, presentato da Mortati). In sede di discussione generale il Presidente Terracini,
con l’adesione del Presidente della Commissione Ruini, decise di rinviare la decisione
sugli ordini del giorno alla discussione sugli articoli (Atti Costituente, vol. V,, p. 3950).
La trattazione del tema, perciò, riprese in sede di discussione dell’art. 102 del progetto e, nella seduta pomeridiana del 27 novembre, intervennero su di esso Mortati,
Grassi, Targetti, Calamandrei, Togliatti, Orlando, Paolo Rossi (per la Commissione).
20
Atti Costituente, vol. V, p. 4188.
72
esiste alcun verbale. Le ragioni della soppressione possono, però, desumersi dalla posizione che su di esso, prima che fosse messo in votazione, assunse il presidente della Commissione Ruini (poi presidente
anche del Comitato di coordinamento), il quale rilevò che “se è materia costituzionale il principio che vi sia l’istituto del ricorso in Cassazione, non è necessario che la Costituzione dica come la Cassazione
deve essere foggiata. L’emendamento Targetti, che rinvia alla legge per
l’ordinamento della Cassazione, equivale al silenzio che vi era nel testo
della Commissione, e significa la stessa cosa”21.
Ma il rinvio alla legge della disciplina della Corte di cassazione
non impedì alla stessa Assemblea di discutere di un altro importante
problema relativo alla limitazione del controllo della Cassazione sulle
decisioni dei giudici speciali, una volta deciso il loro mantenimento.
Al riguardo si ribadì il tradizionale principio della sottoposizione delle
decisioni del Consiglio di Stato e della Corte dei Conti al solo controllo sulla giurisdizione, respingendosi la tesi di Mortati che intendeva
estendere tale restrizione a tutti i giudici speciali22. A siffatta limitazione si accompagnò, nella nuova formulazione dell’art. 102 del progetto presentata da Paolo Rossi per la Commissione23, la precisazione
che il ricorso per cassazione era ammesso, in tutti gli altri casi, per
violazione di legge (e non secondo le norme di legge, come si era previsto nel progetto). Con questa modifica venivano recepiti diversi emendamenti presentati in Assemblea alla ricordata formulazione del progetto24 e si attribuiva esplicito fondamento alla funzione di nomofilachia25 della Cassazione, richiamata, nella sostanza, a giustificazione
della Cassazione unica, dagli interventi favorevoli a tale scelta26.
Loc. ult. cit.. Successivamente, su richiesta del presidente dell’Assemblea, Ruini
ribadì: “Manteniamo la nostra posizione, che è di silenzio; e coincide in sostanza con
l’emendamento Targetti, tanto che, se fosse approvato, potrebbe anche togliersi nella
revisione formale e nulla muterebbe nella sostanza”.
22
V. l’intervento nella seduta del 27 novembre 1947 (Atti Costituente, vol. V, p. 4160).
23
Op. ult. cit., p. 4184.
24
La modifica del progetto nel senso di specificare che il ricorso per cassazione
era ammesso per violazione di legge (o formulazioni analoghe) era contenuta negli
emendamenti proposti da Monticelli, Romano, Colitto, Gabrieli, Caccuri, Cortese (op.
ult. cit., p. 4158, 4159 e 4162).
25
Sulla nomofilachia, su cui vi è una ampissima bibliografia, v., di recente, la parte
prima del volume collettaneo, Il nuovo giudizio di cassazione, a cura di G. Ianniruberto e U. Morcavallo, Giuffrè, Milano, 2007.
26
Possono citarsi, emblematicamente, le parole di Calamandrei: “La Cassazione è
un istituto, è un meccanismo, la cui struttura è tale che o la Cassazione è unica, ed allora serve a qualche cosa, o non lo è, ed allora non serve più a niente” (Atti Costituente, vol. V, p. 4171).
21
73
All’art. 102 del progetto una modifica molto importante fu apportata dal testo proposto da Paolo Rossi (per la commissione), con la
quale si recepì la proposta di Leone di estendere la garanzia del ricorso per cassazione nei confronti dei “provvedimenti di giudice ordinario o speciale concernenti la libertà personale dell’imputato”27. Come è
evidente, siffatta estensione del ricorso per cassazione ha riguardo
non più alla funzione di nomofilachia della Cassazione, ma alla tutela
garantistica della libertà personale, e quindi esclusivamente al profilo
impugnatorio come garanzia meramente individuale. Può convenirsi
con chi28 ha osservato che questa nuova previsione non è coerente con
la concezione di Calamandrei costituente l’iniziale fondamento dell’art. 102 del progetto, anche se le due ipotesi di ricorso per cassazione sono unificate dal sindacato limitato alla violazione di legge29.
Si è, di recente, osservato che la discussione dei Costituenti sul ricorso per cassazione “si concentrò essenzialmente su tre argomenti:
l’unicità della Cassazione, la funzione del giudizio di cassazione come
giudizio di legittimità, il sindacato sulle decisioni dei giudici speciali”30. L’osservazione può essere condivisa purché si abbia presente che
i tre argomenti non furono esaminati separatamente, ma si intrecciarono nelle discussioni, onde la funzione di giudice di legittimità della
Cassazione non sparì mai dal contesto degli interventi sulle disposizioni che sono poi diventate il secondo e terzo (oggi settimo ed ottavo)
comma dell’art. 111.
4.- La posizione del primo presidente della Cassazione nell’ambito
del Consiglio superiore della magistratura.
Nella discussione sulla composizione del Consiglio superiore della
magistratura una posizione particolare è stata, sin dall’inizio, attribui27
Per il testo dell’emendamento Leone ed il suo intervento illustrativo v. op. ult.
cit., p.4163.
28
V., per tutti, V. Denti, in Commentario della Costituzione a cura di G. Branca, Zanichelli, sub art. 111, 1987, p.31: “unificando nella medesima proposizione normativa
il ricorso contro le sentenze e quello contro i provvedimenti sulla libertà personale, il
costituente ha oscurato la sostanziale differenza tra i due tipi di garanzia, avendo inteso con la seconda attribuire alla Cassazione il ruolo, estraneo alla nostra tradizione,
di tutela dell’habeas corpus”.
29
Sul sindacato di legittimità e sulle “dicotomie” insite in esso v. A. Nappi, Il sindacato di legittimità nei giudizi civili e penali di cassazione, Giappichelli, Torino, 2006.
30
In tal senso v. A. Andronio, in Commentario alla Costituzione a cura di R. Bifulco, A. Celotto, M.Olivetti, Utet, Torino, 2006, vol. III, p. 2103.
74
ta al primo presidente della Cassazione. Il testo iniziale, proposto alla
sottocommissione (seconda sezione) da Leone, che “riassume(va) gli
articoli della sua relazione e di quella di Calamandrei”31, prevedeva che
il Consiglio superiore era presieduto dal Presidente della Repubblica e
ne attribuiva la vicepresidenza al primo presidente della Cassazione,
con la composizione paritaria tra magistrati e membri eletti dall’Assemblea Nazionale. A seguito di una discussione che si protrasse per
due sedute32 con diverse votazioni, in cui il tema della composizione
del Consiglio si inserì in quello della autonomia della magistratura e
dei rapporti con il potere esecutivo, e quindi con il Ministro della giustizia, fu approvato dalla sezione della sottocommissione un testo in
cui, rimaste ferme la presidenza del Presidente della Repubblica e la
composizione paritaria del Consiglio, era prevista la vicepresidenza
del Ministro ed il presidente della Corte ne diventava (l’unico) membro di diritto33.
Il tema fu ripreso nella adunanza plenaria della Commissione34, in
cui, a seguito della presentazione di emendamenti, discussione e votazioni, si pervenne al testo dell’art. 97 del progetto presentato all’Assemblea35, il cui secondo comma era del seguente tenore: Il Consiglio
Superiore della Magistratura, presieduto dal Presidente della Repubblica,
è composto del Primo Presidente della Corte di cassazione, vicepresidente, di un altro vicepresidente nominato dall’Assemblea Nazionale e di
membri designati per sette anni, metà da tutti i magistrati fra gli appartenenti alle diverse categorie, metà dall’Assemblea Nazionale fuori del
proprio seno36. La previsione di due vicepresidenze fu determinata
dalla considerazione che, essendo stato approvato l’emendamento
Leone-Conti che escludeva il Ministro della giustizia dal Consiglio superiore e ne attribuiva la vicepresidenza al presidente della Cassazione, non era più rispettata la parità dei membri del Consiglio37.
31
Così il resoconto sommario della seduta dell’8 gennaio 1947 (Atti Costituente,
vol. VIII, p. 1968).
32
Sedute dell’8 gennaio 1947 ed antimeridiana del giorno successivo.
33
Il testo approvato dalla seconda sezione della sottocommissione, in esito al lavoro di coordinamento, è quello che risulta dal resoconto della seduta dell’11 gennaio
1947, sub art.5 (op. ult. cit., p. 2015).
34
Seduta del 30/1/1947 (Atti Costituente, vol.VI, p.240-245).
35
Per il progetto di Costituzione presentato all’Assemblea costituente si rinvia alla
precedente nota 17.
36
Si omette l’ultima proposizione del comma trascritto nel testo, che non rileva in
questa sede.
37
V., in particolare, l’intervento di Calamandrei (op. ult. cit., p. 244).
75
Nell’Assemblea, dopo la discussione generale in cui il tema della
presidenza e della vicepresidenza del Consiglio superiore fu affrontato da molti intervenuti38, ed a seguito della presentazione di non pochi
emendamenti sull’art.97 del progetto39, Ruini, presidente della Commissione, dichiarò “di accettare, come testo base, da sostituirsi al testo
della Commissione”, un particolare emendamento40, “con alcune modificazioni”, in cui si prevedeva (per la parte che qui interessa) che Il
Consiglio superiore della magistratura, presieduto dal Presidente della
Repubblica, è composto del primo presidente della Corte di cassazione,
vicepresidente, del procuratore generale della Corte medesima, e di membri designati per quattro anni, metà dai magistrati e metà dal Parlamento. Su questo testo iniziarono le votazioni. Fu subito approvata la presidenza del Presidente della Repubblica, previo rigetto di due emendamenti che attribuivano la presidenza al primo presidente della
Corte41. Si aprì poi una discussione sulla proposta di includere nel
Consiglio superiore il Ministro della giustizia come secondo vicepresidente; messe ai voti e respinte le proposte sia di due vicepresidenze,
sia della (unica) vicepresidenza affidata al Ministro, il presidente della
Assemblea Terracini, di fronte alla proposta Lussu di attribuire la vicepresidenza, anziché al primo presidente della Corte (come era stato
proposto dalla Commissione con l’adesione espressa in Aula da Scalfaro), ad un membro designato dal Parlamento, sospese la votazione
sulla questione della vicepresidenza e dette precedenza alle votazioni
sulla composizione del Consiglio42. Fu approvata la partecipazione di
diritto del primo presidente e del procuratore generale della Corte.
Successivamente, non approvato l’emendamento secondo cui il Consiglio era composto esclusivamente da magistrati, fu approvata la proposta Scalfaro che modificò secondo il regime vigente (due terzi di
magistrati) la composizione paritaria formulata dalla Commissione43.
38
Si elencano gli interventi, con a fianco di ciascuno la pagina del resoconto dell’Assemblea costituente (Atti Costituente, vol V) in cui il tema è trattato: Bozzi (p. 3669),
Pietro Mastino (p. 3677), Crispo (p. 3690), Villabruna (p. 3699), Angelo Carboni (p.
3713), Persico (p. 3735), Macrelli (p. 3745), Sardiello (p. 3753), Monticelli (p. 3760),
Fausto Gullo (p. 3829), Umberto Merlin (p. 3929).
39
Riportati nel resoconto della seduta antimeridiana del 25 novembre 1947 (op.
ult. cit., p. 4043 ss.)
40
Presentato, nella seduta pomeridiana del 25 novembre 1947, da Conti, Leone,
Bettiol, Cassiani, Paolo Rossi, Dossetti, Perassi (op. ult. cit., p. 4070).
41
Op. ult. cit., p. 4071.
42
Op. ult. cit., p. 4079.
43
Op. ult. cit., p. 4081.
76
Quando, dopo questa votazione, che aveva modificato un punto su
cui erano state molto vive le discussioni nella sottocommissione e nell’Assemblea, si tornò alla “questione della vicepresidenza”44, Lussu
chiese la votazione a scrutinio segreto sul proprio già menzionato
emendamento (vicepresidenza di un membro designato dal Parlamento), che fu approvato con 159 voti (contrari 151 voti). L’andamento
delle votazioni rende non manifestamente infondata la supposizione,
espressa all’epoca da taluno45, secondo cui “coloro che erano contrari
alla prevalenza di magistrati nel Consiglio abbiano voluto prendersi
una piccola rivincita”, o comunque – si potrebbe meglio dire – abbiano voluto riequilibrare la distribuzione dei poteri, nell’ambito del
C.S.M., tra componente laica e componente togata.
Non rileva qui la valutazione sulla scelta del Costituente in ordine
alla vicepresidenza (comunque, a mio avviso, utile per la legittimazione ed il collegamento del Consiglio con gli altri poteri); interessa piuttosto segnalare il particolare rilievo che la figura del primo presidente
della Cassazione ha assunto nella elaborazione delle norme costituzionali sulla magistratura, espressa esplicitamente nelle parole di
Leone46 e di Ruini47.
5.- La qualità dei giudici della Corte.
L’art. 106, terzo comma, e l’art. 135 Cost. esprimono chiaramente,
anche se in modo indiretto, la concezione che il Costituente ha della
professionalità particolarmente qualificata del giudice di cassazione.
In particolare, l’art. 106 richiede il possesso di “meriti insigni”
(oltre ad una particolare posizione professionale) per essere chiamati
Così il Presidente: op. ult. cit., p. 4084.
In tal senso C. Giannattasio, in La Costituzione italiana. Commento analitico a
cura di G.Baschieri, L. Bianchi D’Espinosa, C. Giannattasio, Casa editrice R. Noccioli,
1949, p. 360.
46
“Riten(go) che la vicepresidenza affidata al Presidente della Cassazione significhi riconoscimento alla più alta carica della Magistratura, della sua funzione altissima
nello Stato moderno, soprattutto in uno Stato repubblicano” (op. ult. cit., p. 4073).
47
“Questa duplice inserzione (scil.: dei due membri di diritto del C.S.M.) è giustificata dalla particolare dignità di questi due altissimi magistrati, che sono al di fuori di
ogni interesse personale di carriera, e non riflettono che da un punto di vista generalissimo gli interessi delle varie categorie. E’ giusto che questi due magistrati facciano
parte del Consiglio superiore, e siano sottratti al giuoco delle elezioni di categoria:
siano dunque membri di diritto” (op. ult. cit., p. 4062).
44
45
77
(dall’esterno della magistratura) all’ufficio di consigliere di cassazione.
Il possesso di meriti insigni era previsto nel citato progetto presentato
da Calamandrei (art. 20, comma quarto), che recepiva nella sostanza
l’istituto già contemplato nell’art. 122 dell’ordinamento giudiziario del
1941. La necessità dei meriti insigni era rimasta nel testo approvato
dalla seconda sottocommissione (seconda sezione) della Commissione
dei settantacinque48; ma, nel testo presentato dal comitato di redazione all’adunanza plenaria della commissione, detta previsione non era
più riprodotta49, onde non figurava più nell’art. 98 del progetto presentato all’Assemblea costituente. Qui fu proposto l’emendamento
Caccuri per il suo ripristino, che fu subito approvato senza alcuna discussione50.
Anche nella composizione della Corte costituzionale la presenza
dei giudici della Cassazione è prevista sin dalle prime proposte formulate nell’ambito della citata Commissione Forti51. E la presenza non
esigua di tali giudici è una nota comune dei tre progetti relativi al potere giudiziario ed alla Corte costituzionale presentati alla Commissione per la Costituzione, pure se essi prevedevano differenti modalità di
scelta degli stessi52. Nel progetto di Costituzione approvato dalla Commissione dei settantacinque (art. 127), che affidò al Parlamento la “nomina” di tutti i giudici della Corte, si previde che essa era composta per
metà di magistrati; ma la genericità di questa previsione, che aveva già
incontrato, nell’ambito della sottocommissione, le obiezioni (peraltro
48
Atti Costituente, vol. VIII, p. 2003 e, poi, p. 2015 (testo coordinato dalla sezione,
art.6, quarto comma).
49
Atti Costituente, vol. VI, p. 262.
50
Nella seduta antimeridiana del 26 novembre 1947 (Atti Costituente, vol. V,
p. 4111).
51
La Commissione, nella relazione conclusiva, propose che detta Corte “sia composta da membri eletti nel proprio seno dalla Corte di cassazione e in proporzione gradualmente minore dal Consiglio di Stato, dalla Corte dei conti, dalle Facoltà giuridiche,
nonché dagli Ordini degli avvocati” (relazione su Sindacato di costituzionalità della legge,
redatta da A. Giordano, in Relazione all’Assemblea costituente, vol. I, Failli, 1946, p. 64).
V. anche la relazione generale redatta da G. Azzariti, (op. ult. cit., p. 10), che attribuisce
la proposta sopra indicata alla maggioranza della sottocommissione competente.
52
In particolare, l’art. 34, comma quarto, del progetto Calamandrei prevedeva che
I giudici della Suprema Corte Costituzionale sono scelti per metà tra i magistrati di grado
non inferiore a quello di consigliere di cassazione, eletti dalla stessa magistratura; l’art. 3
del progetto Leone sulla Corte di garanzia costituzionale prevedeva che tre dei nove
membri (tutti eletti dal Parlamento allargato) devono essere scelti tra i magistrati con
funzioni non inferiori a consiglieri di cassazione; l’art. 2 del progetto Patricolo prevedeva che, su quindici membri della Corte, tre erano eletti fra i presidenti di sezione ed i
consiglieri della Corte di cassazione.
78
non tradottesi in emendamenti) di Calamandrei, Ambrosini e Leone53,
fu superata dall’Assemblea, al cui voto la stessa Commissione, a seguito delle ampie critiche formulate in generale all’art. 127 del progetto,
presentò un testo del tutto diverso e corrispondente in sostanza all’attuale primo comma dell’art.13554. L’unica modifica che questo testo
subì fu quella proposta dall’emendamento Bozzi e Persico che, nella
previsione del sistema di scelta dei magistrati, sostituì al C.S.M. le supreme magistrature dell’ordine giudiziario e amministrativo55.
La profonda differenza tra il testo approvato dalla Assemblea ed
il progetto, in ordine alla composizione della Corte costituzionale56, si
spiega se si considera che fu molto vivo il dibattito sulla natura della
nuova Corte: organo svolgente una funzione prevalentemente politica
ovvero organo con funzioni soprattutto tecnico-giurisdizionali57.
Nella Commissione dei settantacinque prevalse la prima visione (da
qui l’investitura tutta parlamentare della Corte), nella Assemblea prevalse la seconda58. Le disposizioni contenute nei primi due commi del
vigente art. 135 sono coerenti con la scelta della Assemblea, che pertanto volle esprimere, anche nella composizione del nuovo organo di
garanzia costituzionale, la fiducia nella qualità dei giudici della Corte
di cassazione.
6.- La rilevanza costituzionale della Corte di cassazione.
Dall’esame dei lavori della Assemblea costituente si desume chiaramente la concezione della Corte di cassazione che in essa prevalse:
quella che sta alla base del disposto dell’art. 65 dell’ordinamento giuNella seduta del 23 gennaio 1947 (Atti Costituente, vol. VIII, p. 2053-2054).
Il testo che recepiva l’emendamento a firma di Conti, Monticelli, Leone, Bettiol,
Paolo Rossi ed Avanzini, prevedeva: La Corte costituzionale è composta di membri nominati per un terzo dal Presidente della Repubblica, per un terzo dal Parlamento riunito
in seduta comune e per un terzo dal Consiglio superiore della magistratura; v. l’intervento di Perassi, per la Commissione, il quale integrò anche l’emendamento con il numero di quindici dei membri della Corte (Atti Costituente, vol. V, p. 4245).
55
Op. ult. cit., p. 4353.
56
E’ utile tenere presente che, secondo l’art. 127 del progetto, la Corte, per la metà
diversa dai magistrati, era composta per un quarto di avvocati e docenti di diritto, per
un quarto di cittadini eleggibili ad ufficio politico, tutti aventi l’età di almeno quaranta
anni (tutti nominati, come si è detto, dal parlamento).
57
V., di recente, G. L. Conti, in Commentario alla Costituzione cit. nella nota 30, p.
2622-2624.
58
V. anche F. Rigano, Costituzione e potere giudiziario, cit. nella nota 4, p. 241 ss.
53
54
79
diziario, secondo cui questa istituzione “assicura l’esatta osservanza e
l’uniforme interpretazione della legge, l’unità del diritto oggettivo nazionale, il rispetto dei limiti delle diverse giurisdizioni”. Nell’Assemblea fu presente anche un orientamento difforme, che rimase minoritario e che si espresse soprattutto nel favore per le Cassazioni regionali (o comunque per una istituzione che fosse organizzata in modo
decentrato). Quest’ultimo orientamento, che individuava nella Cassazione unitaria ed accentrata una scelta dell’ordinamento fascista,
trovò alimento anche in qualche episodio di cronaca contemporanea,
come il discorso inaugurale dell’anno giudiziario della Cassazione tenuto, all’inizio del 1947, dal Procuratore generale Massimo Pilotti, il
quale omise il tradizionale saluto al Capo dello Stato, che per la prima
volta era il Presidente della Repubblica59.
Il modello della Cassazione recepito dalla Costituzione corrisponde sostanzialmente alla concezione tradizionale approfondita negli
studi di Calamandrei60, anche se la disposizione contenuta nel progetto di quest’ultimo, che confermava la norma dell’art. 65 dell’ordinamento giudiziario61, non entrò nel progetto di Costituzione approvato
dalla Commissione dei settantacinque e pure la disposizione sul giudicato contenuta dall’art. 104 del progetto di Costituzione62 (corrispondente all’art. 4 del progetto Calamandrei) non fu condivisa dall’Assemblea costituente.
Il fatto che queste disposizioni del progetto Calamandrei non furono recepite dalla Costituzione non fa venire meno la considerazione
essenziale che le funzioni di nomofilachia e di regolazione delle diverSul c.d. caso Pilotti e sulle polemiche da esso suscitate v. F. Rigano, Costituzione e potere giudiziario cit., p. 69. V. anche la recisa critica al comportamento del Procuratore generale espressa da Calamandrei nella seduta dell’Assemblea del 4 marzo
2007, in Atti Costituente, vol. I, p. 162.
60
In tal senso v. A. Pizzorusso, Corte di cassazione, in Enciclopedia giuridica Treccani cit., § 1.1, secondo cui la Costituzione ha recepito “il sistema della cassazione quale
è stato delineato attraverso una tradizione di studi che ha il suo massimo prodotto
nella famosa opera di Piero Calamandrei”. Secondo A. Barbera, “se si fa eccezione per
la figura del commissario della Giustizia e, soprattutto, per la unicità della giurisdizione, quasi tutte le proposte di Calamandrei verranno accolte e andranno a costituire la
struttura portante del testo costituzionale” (op. cit. retro, nella nota 12, p. 139).
61
V. l’art. 12 del progetto Calamandrei riportato retro, nella nota 11.
62
L’art. 104 del progetto di Costituzione prevedeva che Le sentenze non più soggette ad impugnazione di qualsiasi specie non possono essere annullate o modificate neppure per atto legislativo, salvo i casi di legge penale abrogativa o di amnistia, grazia ed indulto (primo comma) e L’esecuzione di una sentenza irrevocabile non può essere sospesa se non nei casi previsti dalla legge (secondo comma).
59
80
se giurisdizioni, già attribuite alla Cassazione dal preesistente ordinamento giudiziario, sono il presupposto implicito degli attuali commi
settimo ed ottavo dell’art. 111 Cost., sia nel significato oggettivo del disposto normativo, sia nelle intenzioni del Costituente, quale è possibile desumere dai lavori preparatori della Costituzione63.
Quindi, non solo la Corte di cassazione è stata contemplata direttamente dalla legge fondamentale dello Stato come organo giurisdizionale e nelle figure del suo primo presidente e del procuratore generale presso la stessa Corte nonché dei consiglieri, ma soprattutto sono
state recepite, sia pure in modo implicito, le funzioni già attribuite alla
istituzione. Onde può dirsi che dette funzioni hanno assunto rilevanza costituzionale, nel senso che esse non possono essere soppresse, di
diritto o nella realtà effettuale, dal legislatore ordinario. Ciò è stato affermato esplicitamente dalla Corte costituzionale, secondo cui “le
leggi ordinarie non possono disporre delle funzioni costituzionalmente riservate alla Corte di cassazione”64.
Una conferma recente di tale affermazione, con riferimento specifico alla funzione di nomofilachia, si desume dal messaggio del
Presidente della Repubblica Ciampi con cui, il 20 gennaio 2006, è
stata rinviata alle Camere la proposta legislativa di modifica del codice di procedura penale che è stata poi riapprovata come legge 20
febbraio 2006, n. 46. Nel messaggio presidenziale65 si afferma che le
modifiche apportate all’art. 606 c.p.p. “generano un’evidente mutazione delle funzioni della Corte di cassazione, da giudice di legittimità a giudice di merito, in palese contrasto con quanto stabilito dall’art. 111 Cost.”.
La rilevanza costituzionale delle funzioni della Cassazione (desumibile dall’art. 111 Cost.) è stata riferita dalla Corte costituzionale
(nella citata sentenza n. 86 del 1982 e nella contemporanea sentenza
n. 87) anche alla posizione dei giudici della Cassazione, in quanto essa
ha affermato che il legislatore ordinario non può trascurare il conferi63
Va, però, ricordato quanto si è già segnalato (v. retro, § 3 e, in particolare, nota
28) in ordine alla funzione di garanzia della libertà personale che, nell’art. 111, attuale settimo comma, si è aggiunta alle funzioni previste dall’art. 65 ord. giud..
64
Così Corte cost. 10 maggio 1982, n. 86, § 6, in Il Foro it., 1982, I, c. 1518.
65
Il messaggio presidenziale è pubblicato in Il Foro it., 2006, V, c. 83. Nella parte
del messaggio a cui ci si riferisce nel testo si prendono in esame due modifiche dell’art.606 c.p.p., relative ai motivi del ricorso per cassazione, che sono state poi riapprovate dalle Camere, ma in una versione diversa e più attenuata rispetto a quella, radicalmente innovativa, approvata prima del messaggio di rinvio.
81
mento effettivo delle funzioni di giudice di legittimità nel disciplinare
la nomina a magistrato di cassazione e l’elettorato passivo per il
C.S.M.66.
Può, quindi, concludersi per la rilevanza costituzionale non solo
della giurisdizione attribuita alla Cassazione, ma anche delle funzioni
esercitate dai giudici di legittimità e, conseguentemente, della qualità
degli stessi.
7.- Attualità delle finalità e dei valori perseguiti dal Costituente.
Se le finalità perseguite dal Costituente nel disciplinare la Corte di
cassazione ed i valori ad esse sottesi si confrontano con le esigenze
oggi emergenti nella società italiana e nel mondo del diritto, si resta
sorpresi dalla attualità delle une e degli altri.
E’ sufficiente qui richiamare due recenti interventi del legislatore
ordinario, l’uno attinente alla giurisdizione civile della Cassazione e
l’altro al profilo ordinamentale del magistrato di cassazione: il primo
messo a punto da un governo di centro-destra ed il secondo frutto di
una iniziativa del governo di centro-sinistra.
Il primo intervento legislativo è costituito dal d. lgs. 2 febbraio
2006, n. 40, che ha modificato il processo civile di cassazione “in funzione nomofilattica”, in attuazione della legge-delega 14 maggio 2005,
n. 80, la quale, nell’art. 1, comma 3, lettera a), ha introdotto nell’ordinamento la parola nomofilachia (nella sua forma aggettivale). Non è
questa la sede per stabilire se il legislatore (sia delegante che delegato)
sia riuscito a conseguire effettivamente l’obiettivo propostosi, e cioè
una disciplina del giudizio civile di cassazione idonea a realizzare la
funzione di nomofilachia; rileva soltanto la constatazione che detta
funzione, ritenuta così attuale dal legislatore del 2005-2006, è proprio
quella che la Costituzione ha voluto mantenere alla Corte di cassazione, compiendo una scelta non unanimemente condivisa dall’Assemblea costituente, ma discussa e poi prevalsa67.
66
La sentenza n.86 concerne la nomina a consigliere di cassazione e la sentenza
n.87 l’elezione al C.S.M. (v. le due sentenze in Il Foro it., 1982, I, c. 1495, con nota di A.
Pizzorusso).
67
E si vedrà (v. infra, § 8) che la Corte cost., nella recentissima sentenza n.98/2008,
ha ritenuto coerente con la funzione di nomofilachia perseguita dalla legge delega
n.80/2005 l’introduzione, da parte del legislatore delegato (d. lgs. n.40 del 2006), di un
“filtro” alla proponibilità del ricorso per cassazione.
82
Il secondo intervento è quello contenuto nella legge 30 luglio
2007, n. 111 che, nell’apportare molteplici modifiche all’ordinamento
giudiziario (quale risultante dai numerosi decreti legislativi attuativi
della c.d. riforma Castelli approvata con la legge 25 luglio 2005, n.
150), ha previsto, solo per il conferimento delle funzioni di legittimità,
la valutazione, nei candidati, della “capacità scientifica e di analisi
delle norme”, affidata ad una apposita commissione nominata dal
C.S.M. (art. 12, commi 13-16 del d.lgs. 5 aprile 2006, n. 160, nel testo
sostituito dall’art. 2, comma 3, della citata legge n.111 del 2007). Il
C.S.M., nel conferire le funzioni di legittimità, può discostarsi dal parere espresso dalla menzionata commissione, ma in tal caso “è tenuto a motivare la sua decisione”. Chiaro è il collegamento di questa
nuova disciplina con la particolare qualificazione professionale del
magistrato di cassazione, richiesta, come si è visto, dalla Carta costituzionale.
Non sempre, nel corso del sessantennio, i valori insiti nelle norme
costituzionali sulla Corte di cassazione (funzione di nomofilachia
della giurisdizione, particolare qualificazione dei magistrati che esercitano funzioni di legittimità) sono stati attuali ed accettati. Senza ripercorrere la storia di un periodo non breve (soprattutto nel dibattito
culturale e nelle prassi invalse nelle istituzioni competenti), ci si limita qui a ricordare, per quanto attiene alla nomofilachia, le proposte
contenute nello schema di disegno di legge “per la riforma dell’ordinamento giudiziario”, elaborato dalla apposita commissione ministeriale costituita con decreto 19 maggio 1982 e presieduta da Giuseppe
Mirabelli68, che soppresse la funzione di nomofilachia della Cassazione69, ritenendola “utopistico retaggio di ordinamenti superati”70 e riducendo la funzione del ricorso per cassazione alla garanzia individuale dell’impugnazione.
68
Giuseppe Mirabelli, quando fu chiamato a presiedere la commissione ministeriale, era presidente aggiunto della Cassazione e ne divenne poi primo presidente. La
commissione iniziò i lavori l’11 ottobre 1982 e li terminò il 30 aprile 1985.
69
L’art. 37 dello schema di disegno di legge, sotto la rubrica “funzioni della Corte
di cassazione” era del seguente contenuto: La Corte di cassazione giudica della conformità alla legge dei provvedimenti dei giudici, regola i conflitti di giurisdizione, di competenza e di attribuzione ed esercita gli altri compiti ad essa deferiti dalla Costituzione e dalle
leggi. Veniva, quindi, eliminato il riferimento alla uniforme interpretazione della legge
e all’unità del diritto oggettivo, mentre veniva conservato il giudizio sui conflitti di attribuzione superato dalla istituzione della Corte costituzionale.
70
Così la relazione illustrativa del disegno di legge, p. 29 del dattiloscritto ministeriale.
83
Le proposte della commissione Mirabelli non ebbero un seguito
istituzionale, ma esse, nel punto qui considerato, esprimono bene un
atteggiamento culturale, piuttosto ampio e prolungato nel corso del
sessantennio, contro il disposto dell’art. 65 dell’ordinamento giudiziario (sostanzialmente recepito, come si è visto, dalla Costituzione).
Questo atteggiamento trova spiegazione in una non condivisibile lettura dello stesso art. 65, tutta volta ad esaltare la posizione di vertice
che alla Cassazione era attribuita dal vecchio ordinamento della magistratura e che la Costituzione aveva inteso superare71; ma la fondata
istanza di riforma ordinamentale richiesta dal nuovo assetto costituzionale della magistratura finiva per espandersi sul terreno processuale, che va invece tenuto distinto. L’autonomia ed indipendenza
della magistratura sono valori che vanno congiunti con l’altro valore
dell’uniforme interpretazione della legge; la loro coesistenza può aversi se la nomofilachia viene perseguita esclusivamente nell’ambito e
con gli strumenti del processo, senza che all’istituzione giudiziaria per
essa predisposta sia attribuita una particolare posizione sul piano ordinamentale, idonea a realizzare impropri effetti di controllo e di
conformazione dell’intera magistratura.
La recente attualizzazione legislativa della “funzione nomofilattica” della Cassazione non può, però, fare ignorare che essa continua a
trovare obiezioni in una parte della dottrina, che ne denuncia soprattutto la concreta impossibilità72. Ma è difficile non condividere i valori sottesi alla uniformità della giurisprudenza73: la parità di trattamento delle persone che ricorrono alla tutela giurisdizionale; la prevedibilità delle decisioni giudiziarie; più in generale una almeno tendenziale certezza nella conoscenza del contenuto delle disposizioni normative. E l’attuale assetto complesso, oscuro e spesso caotico della normativa, soprattutto dei settori di legislazione speciale, aumenta il bisogno
della società attuale di nomofilachia.
Tale bisogno viene accresciuto da un fattore di recente emersione,
costituito dalla incidenza sempre maggiore che vanno assumendo le
71
Art.VII, comma primo, delle disp. trans., il cui contenuto è coerente con il nuovo
disegno costituzionale dell’ordinamento della magistratura.
72
Così, di recente, P. Biavati, nel volume collettaneo La giustizia civile e penale in
Italia, Il Mulino, Bologna, 2008, p. 182, il quale, a proposito della menzionata riforma
del giudizio civile di cassazione del 2005-2006, giudica il “tentativo del legislatore di restaurare la capacità nomofilattica della Cassazione” come “un tentativo non riuscito e,
probabilmente, impossibile”.
73
V., di recente, S. Chiarloni, voce Ricorso per cassazione (dir. proc. civ.), in Il diritto. Enciclopedia giuridica del Sole 24 ore, 2007-2008, vol. 13, p. 532.
84
Corti internazionali (Corte dei diritti dell’uomo, Corte di giustizia delle
Comunità europee), la cui giurisprudenza rende indispensabile, a livello interno, un momento di sintesi dell’attività interpretativa, idonea
ad evitare situazioni di frammentazione applicativa del diritto74. Ciò è
particolarmente evidente nel diritto comunitario che rende (non facoltativa, ma) obbligatoria la rimessione alla Corte di giustizia della
questione pregiudiziale75 quando essa insorga “in un giudizio pendente davanti a una giurisdizione nazionale, avverso le cui decisioni non
possa proporsi un ricorso giurisdizionale di diritto interno”, quale è il
giudizio davanti alla Corte di cassazione, alla quale viene così affidato
il compito di coordinare il diritto interno con l’ordinamento comunitario, evitando che si formi una giurisprudenza nazionale in contrasto
con quest’ultimo ordinamento
Tutto ciò non può essere messo in non cale solo dalla difficoltà di
raggiungere l’obiettivo, la quale non è una ragione sufficiente per rinunziare al suo, sia pure limitato, conseguimento.
8.- Il paradosso della situazione attuale della Corte.
Occorre, invece, analizzare le difficoltà ed intervenire per un
loro, almeno parziale, superamento. Senza avere la pretesa di affrontare qui il complesso tema, ci si limita a considerare un aspetto
di quella che, secondo una valutazione ampiamente diffusa, è la difficoltà principale che si frappone all’effettivo esercizio della funzione nomofilattica: il sovraccarico di lavoro incombente sulla Cassazione a causa dell’elevatissimo numero dei ricorsi proposti. Al riguardo mi sembra utile segnalare una caratteristica della situazione
attuale, che la rende paradossale rispetto agli obiettivi perseguiti dal
Costituente, essendo clamorosamente e sorprendentemente contraria agli stessi.
74
Per qualche esempio recente di sentenze della Cassazione intervenute su problemi collegati con la giurisprudenza delle Corti internazionali v. la Relazione sull’amministrazione della giustizia nell’anno 2007, tenuta dal Primo Presidente della Cassazione V. Carbone, parte VIII (Il bilancio dell’attività della Corte nel settore penale), § 1-2.
75
Secondo l’art. 234 del Trattato CE “la Corte di giustizia è competente a pronunciarsi, in via pregiudiziale: a) sull’interpretazione del presente trattato; b) sulla validità
e l’interpretazione degli atti compiuti dalle istituzioni della Comunità e della BCE”
(non rileva qui la successiva lettera c dell’art. 234). La rimessione della questione pregiudiziale alla Corte di giustizia è facoltativa per ogni giurisdizione di uno Stato membro, ed è obbligatoria per la sola giurisdizione indicata nel testo.
85
Nel descrivere l’origine della disposizione dell’art. 111, settimo
comma, Cost. sul ricorso per cassazione, si è constatato che essa è il
risultato di due visioni diverse delle funzioni dell’istituto: quella di Calamandrei, che dà prioritario rilievo alla funzione nomofilattica della
Cassazione; e quella di Leone, che è interessato alla garanzia della libertà del singolo costituita dall’impugnazione di legittimità, da consentire contro tutte le sentenze. E si è visto che la generalizzazione del
ricorso per cassazione (è sempre ammesso) si riconduce ad una previsione del progetto Leone, e non certo al progetto Calamandrei che si
limitava ad individuare le funzioni della Cassazione, senza neanche
prevedere esplicitamente il ricorso per cassazione.
Non è da trascurare la considerazione che mentre il primo componente dell’Assemblea costituente era uno studioso e pratico del processo civile, il secondo componente studiava e praticava il processo penale. Ed in realtà l’esigenza di nomofilachia sembra avvertita in maggiore misura dagli avvocati del foro civile rispetto a quelli del foro penale, più sensibili, in linea generale, alla garanzia individuale dell’impugnazione76. Ma, a mio avviso, l’esigenza di certezza normativa non è
minore quando ha per oggetto l’individuazione dell’area dei comportamenti puniti con una sanzione stigmatizzante come quella penale. E
ciò vale soprattutto per i diversi settori di legislazione penale speciale,
molto confusi anche perché soggetti a frequenti e complesse modifiche. Qui, come nella legislazione processuale, la funzione nomofilattica è necessaria non meno che nel settore civile, pure se è vero che nel
processo penale più frequentemente il punto centrale è costituito dall’accertamento del fatto e quindi dalla necessità di verificare la legalità
della relativa motivazione fornita dal giudice del merito77.
E’ indubbio, però, che la generalizzazione del ricorso per cassazione è coerente con la finalità di garanzia individuale dell’istituto, ma
non con la funzione di nomofilachia, la quale presuppone la selezione
dei ricorsi che pongono questioni giuridiche la cui soluzione possa costituire un “precedente”.
76
Un recente, chiaro riscontro della differenza indicata nel testo è individuabile
negli opposti indirizzi legislativi seguiti, per il giudizio civile di cassazione, dalla già ricordata legge 14 maggio 2005, n. 80 (e dal conseguente d. lgs. 2 febbraio 2006, n.40) e,
per l’analogo giudizio penale, dalla legge 20 febbraio 2006, n. 46.
77
Sulla necessità della funzione di nomofilachia anche nel settore penale, pure se
si riconosce che, in Italia, gli studi su di essa si sono avuti soprattutto da parte della
dottrina civilistica (ma non così in Germania), v. A. Nappi, Il sindacato di legittimità,
cit. retro nella nota 29, p.23-25.
86
Ebbene, le conseguenze più negative della generalizzazione del ricorso per cassazione incombono, oggi, sulla Cassazione civile, davanti alla quale si è creata una pendenza di ricorsi costituente ormai una
emergenza (sotto l’aspetto della durata ragionevole del giudizio di cassazione, che, secondo la Corte di Strasburgo, non può superare un
anno), mentre la Cassazione penale riesce a fare fronte in tempi di regola accettabili al numero, pur esso elevato, di ricorsi (con l’eccezione
– che qui non si può prendere in esame – dei ricorsi in materia di misure cautelari personali coercitive).
Qualche dato statistico per rendere chiara la rilevata differenza.
Alla data del 30 aprile 2008 il numero complessivo dei ricorsi civili
pendenti era di 101.976, mentre i ricorsi penali pendenti erano complessivamente 29.97978.
Per valutare l’entità di queste pendenze occorre metterle a raffronto con la capacità attuale di definizione dei procedimenti, espressa dal numero totale di ricorsi eliminati nel 2007: nell’intero anno la
Cassazione ha eliminato n. 29.776 procedimenti civili e n. 47.959 procedimenti penali. Ponendosi in rapporto la pendenza con quella che
potremmo chiamare la “capacità produttiva” attuale della Corte, la
pendenza penale esistente al 30 aprile 2008 costituisce il 62,50% della
capacità di smaltimento annuale, mentre la pendenza civile esprime il
342,47% della stessa capacità.
La gravissima situazione della Cassazione civile è da attribuirsi all’andamento delle sopravvenienze che, per i ricorsi civili, sono enormemente cresciute rispetto all’anno di approvazione della Costituzione. Nel 1948 furono presentati in Cassazione n. 3741 ricorsi civili ed il
numero annuale di tali ricorsi, fino al 1972, si è sempre mantenuto inferiore a quello di 500079; esso si è poi progressivamente elevato attestandosi, negli anni dal 1978 al 1985, ad oltre 9000 (ma sempre inferiore a 10.000), superando sensibilmente il limite di 10.000 dal 1986 al
1997, e dal 1998 oltrepassando, in rapidissima progressione, anche il
limite di 20.000 e poi quello di 30.000 a partire dal 2001 ed in quasi
tutti gli anni di questo secolo80.
78
Va segnalato, incidentalmente, il miglioramento delle pendenze avutosi nel
primo quadrimestre dell’anno in corso, perché, alla fine del 2007, pendenti erano n.
102.588 ricorsi civili e n. 33.212 ricorsi penali (tavole statistiche allegate alla Relazione
sull’amministrazione della giustizia nell’anno 2007, cit. retro nella nota 74).
79
Cfr. C. Cecchi, Analisi statistica dei procedimenti civili di cognizione in Italia, Laterza, Bari, 1975, Tav. III, p.275.
80
Per i dati statistici dal 1993 in poi v. le tavole statistiche cit. nella nota 78.
87
E’ evidente l’enorme distanza dalla domanda di giustizia che la
Cassazione aveva davanti quando fu costituzionalizzato il compito di
nomofilachia ad essa attribuito. Della situazione attuale del settore
civile della Corte occorre prendere consapevolezza. Appare oggi paradossale che la generalizzazione del ricorso per cassazione, riconducibile a scelte della cultura penalistica, finisca con l’ingolfare e
sommergere il giudizio civile di cassazione, nel quale l’intervento
della Corte non è stato inteso, all’inizio dei lavori della Costituente, in
funzione di garanzia individuale, ed al quale si addice, anziché l’attuale illimitata possibilità di proposizione del ricorso (con l’ampissimo uso che di essa oggi si fa), un filtro selettivo idoneo a realizzare
in concreto quelle funzioni di nomofilachia che la Cassazione, secondo la concezione prevalsa nell’Assemblea costituente, è tenuta ad assolvere.
E di “filtro” alla ricorribilità per cassazione ha, da ultimo, parlato
anche la Corte costituzionale, nella sentenza 11 aprile 2008, n. 98, la
quale ha ritenuto che rientrasse nell’obiettivo perseguito dalla già citata legge delega n. 80 del 2005 - di recupero della funzione nomofilattica della Cassazione - la riduzione dei casi di inappellabilità delle
sentenze e di conseguente loro immediata ricorribilità per cassazione.
L’introduzione dell’appello quale “filtro” del ricorso per cassazione (“al
fine di evitare che il giudizio di diritto, e dunque l’esercizio della funzione nomofilattica, vengano inquinati da impropri elementi di fatto,
riversati sulla Corte proprio a causa dell’assenza del filtro intermedio”81), se giova al corretto esercizio delle funzioni della Cassazione,
non accelera la durata complessiva del giudizio e, quindi, non contribuisce ad assicurare la ragionevole durata dell’intero processo, che è
una finalità ed un valore del nuovo testo dell’art. 111 Cost.. Da qui deriva la necessità di prevedere, almeno nel processo civile, un diverso
tipo di limite alla proponibilità illimitata del ricorso per cassazione,
senza che, ovviamente, l’attesa di un necessario intervento legislativo
attenui il dovere della Corte e di tutti i suoi componenti di elaborare
misure organizzative e prassi lavorative idonee a fare fronte al crescente aumento delle sopravvenienze ed a migliorare la grave situazione esistente.
Occorre, comunque, essere consapevoli che il mantenimento e la
migliore realizzazione effettiva della scelta fondamentale del Costi-
Le parole virgolettate sono tratte dalla motivazione della citata sentenza della
Corte cost., che le ha riprese dalla relazione ministeriale al d.lgs. n.40 del 2006.
81
88
tuente di una Corte di cassazione unica e “nazionale”, da un lato,
sono oggi resi ancora più necessari dall’ordinamento europeo e,
prima ancora, da quello regionale82; dall’altro, esigono che tutte le
istituzioni cooperino per rendere in concreto possibile l’assolvimento
della funzione di nomofilachia che ad essa sola, ed insostituibilmente, è affidata.
Sono da ricordare le seguenti considerazioni di Calamandrei (Atti Costituente,
vol. V, p. 4173): “l’esistenza delle Regioni e dello Stato regionale è una ragione di più
per mantenere e rafforzare la Cassazione unica; è una ragione decisiva per la quale se
la Cassazione non fosse unica bisognerebbe proprio oggi unificarla. In proposito esempi istruttivi si trovano negli ordinamenti stranieri a tipo federale. E’ inutile entrare in
particolari: tutti sanno che in Svizzera, nella Germania del secolo scorso, negli Stati
Uniti d’America, c’è al vertice, come necessario complemento e correttivo dell’autonomia che hanno gli Stati componenti la Federazione, un organo centrale giurisdizionale unico (la Corte federale, il Reichsgericht, ecc.) posto come moderatore delle forze
centrifughe, e che rappresenta una specie di ingabbiatura giuridica destinata a tenere
insieme gli elementi componenti e ad impedire che essi si assumano, attraverso la disformità della giurisprudenza, poteri legislativi più ampi di quelli permessi dalla Costituzione”.
82
89
La dialettica tra Corte di Cassazione e Corte Costituzionale
nell’interpretazione della norma giuridica e nell’applicazione
del precetto costituzionale
Mario Rosario MORELLI
Consigliere della Corte di cassazione
1.– Alla Corte di cassazione spetta - come ben noto - il compito da
garantire l’uniforme interpretazione ed applicazione della legge: da cui
dovrebbe conseguire anche un risultato deflattivo del contenzioso (e
quindi acceleratorio della durata media dei processi) per l’effetto dissuasivo che una tempestiva, chiara, uniforme e (tendenzialmente) stabile interpretazione della legge è suscettibile di esercitare rispetto alla
proposizione di tutti quei giudizi il cui esito risulti in partenza pregiudicato da principi così enunciati.
La nostra Corte di Cassazione non è però, effettivamente, allo
stato, in grado di assolvere in modo adeguato e funzionale questo ruolo
(insopprimibile) di giudice di legittimità o della c.d. “nomofilachia”.
E ciò per l’ormai insostenibile sovraccarico che le comporta l’attribuzione di una anomala concorrente funzione di giudice di merito
di terzo grado. Con la conseguenza che questa Corte – nell’impossibilità di dominare la marea di ricorsi da cui è per l’effetto sommersa (e
che costituisce una anomalia della Corte italiana, che non trova riscontro nella Corte di legittimità di alcun altro Paese), - finisce con
l’essere inevitabilmente in ritardo sul piano della nomofilachia e col
perdere in qualità per dover rincorrere la quantità, con enunciazioni di
diritto spesso eccessivamente orientate dal fatto e perciò frammentarie
e instabili, quando non (inconsapevolmente) contraddittorie.
Cosicché il ricorso per cassazione, da mezzo eccezionale posto a
tutela oggettiva della coerenza dell’ordinamento giuridico, finisce invece con il divenire lo strumento, diffusamente e surrettiziamente
adoperato, per ottenere una duplicazione (quando non addirittura la
triplicazione, la quadruplicazione, ecc.) dei tempi fisiologici di durata
del processo.
1.1. – Quali allora i rimedi?
Il Presidente Carbone ci ha parlato, in apertura, dei possibili “filtri” idonei a restringere e selezionare l’accesso alla Corte, e, in questa
direzione, pare ormai indifferibile, e non solo auspicabile, l’intervento
del legislatore.
90
2. – La restituzione della Cassazione alla sua funzione di legittimità renderebbe a questo punto anche più chiaro il ruolo di questa
Corte rispetto alla Corte costituzionale per i profili di interferenza e
confluenza delle rispettive funzioni (quella, appunto, “nomofilattica”
della Cassazione e quella sindacatoria della costituzionalità delle leggi
attribuita all’altra Corte).
E ciò sul duplice versante della:
a) esegesi della norma ordinaria, quanto all’approccio che, nel giudizio incidentale di legittimità costituzionale, il Giudice delle leggi
adotti rispetto alla “uniforme interpretazione” che della disposizione
sottoposta al suo sindacato già abbia dato la Cassazione;
b) esegesi della norma costituzionale che (parallelamente alla Corte
costituzionale) anche la Cassazione ha facoltà di operare (e si trova di
fatto ad operare) sia agli effetti della diretta applicazione nei rapporti
intersoggettivi delle norme costituzionali – immediatamente precettive – di tutela dei diritti fondamentali della persona, sia agli effetti della
doverosa opzione, tra le più interpretazioni [in tesi] possibili della
norma ordinaria, di quella conforme alla Costituzione: che dovrebbe
realizzare di per sé, in prima battuta, l’allineamento della normazione
ordinaria alla Costituzione, riservando l’intervento (annullatorio) della
Corte costituzionale alle più gravi patologie normative, non altrimenti emendabili per via di interpretazione adeguatrice.
3. – La configurazione, nei termini che si prospettano, del ruolo
delle due Corti (vengo ora propriamente al tema del mio intervento) è
venuta delineandosi solo per via di assestamenti progressivi (talora
anche traumatici) nella giurisprudenza parallela dei due Organi.
Diversa, per altro, come si vedrà, è la cifra di sintesi del percorso
evolutivo del rapporto fra le due Corti nell’uno e nell’altro dei due riferiti contesti, rispettivamente applicativi della norma ordinaria e di
quella costituzionale.
Sul primo versante vi sono stati, infatti, momenti di scontro
(anche aspro) tra le due Corti e si è posta l’esigenza di ricercare una
regola (che è stata poi trovata in via compromissoria) per la delimitazione dell’ambito delle rispettive competenze.
Diversamente, sul secondo versante, all’atteggiamento della Corte
costituzionale di aperto riconoscimento del potere dei giudici di applicare direttamente, nei rapporti intersoggettivi, le norme costituzionali di garanzia dei diritti fondamentali della persona e del loro potere (dovere) di utilizzare i precetti costituzionali in funzione ermeneutica per un controllo diffuso di legittimità della legislazione ordinaria
91
attraverso il meccanismo della “interpretazione adeguatrice” (cfr., da
ultimo, ordinanza nn. 33, 57, 90, 123, 154, 155, 156 del 2008), ha fatto
riscontro una estrema cautela e perplessità dei giudici e della Cassazione nell’esercizio di tali poteri.
Inoltre, mentre la definizione del ruolo rispettivo della Cassazione
e della Corte costituzionale in ordine all’esegesi della norma ordinaria
risulta allo stato sufficientemente stabilizzata (per cui l’argomento interessa, per questo aspetto, in chiave prevalentemente storicistica, di
ricostruzione del percorso che ha condotto all’agreement istituzionale), non altrettanto può invece dirsi con riguardo al profilo della applicazione (diretta o indiretta) della norma costituzionale nei giudizi
ordinari; per tal secondo versante, essendo invero, ancora compiutamente da definire il ruolo e l’ampiezza dei poteri del giudice ed avendo quindi la riflessione obiettivi di ricerca (ancora aperta) delle più
congrue soluzioni.
3.1. – Il primo segnale di quello che sarebbe stato il futuro contenzioso fra le due Corti in ordine all’esercizio della funzione di interpretazione della norma ordinaria si ebbe già con la sentenza n. 3 del
1956 (anno di esordio della Corte costituzionale): nella quale quel giudice anticipò la rivendicazione di un proprio potere di interpretare in
via autonoma la disposizione impugnata con l’incidente di costituzionalità, ancorchè stemperandola con una affermazione programmatica
di tendenziale rispetto di preesistenti orientamenti giurisprudenziali.
È dato, infatti, testualmente leggere in detta pronuncia che “la
Corte, pur ritenendo di potere e di dovere interpretare con autonomia
di giudizio e di orientamenti e la norma costituzionale che si assume
violata e la norma ordinaria che si accusi di violazione, non può non
tenere il debito conto di una costante interpretazione giurisprudenziale che conferisca al precetto legislativo il suo effettivo valore nella vita
giuridica, se è vero, come è vero, che le norme sono non quali appaiono in astratto, ma quali sono applicate nella quotidiana opera del giudice, intesa a renderle concrete ed efficaci”.
3.2. – Quella prima rivendicazione rimase però per lungo tempo
allo stato di enunciazione puramente virtuale, senza concrete conseguenze.
Solo nove anni più tardi il tono dei rapporti fra le due Corti si inasprì invece bruscamente e si aprì quella fase che, con una suggestiva
immagine, fu definita come “la guerra delle due Corti”.
A rompere le relazioni diplomatiche fra le due Corti fu la sentenza n. 11 del 1965.
Chiamata a sindacare, in relazione all’art. 24 della Costituzione, la
92
legittimità dell’art. 392 c.p.p. in quanto interpretato “anche dalla Cassazione a sezioni unite” in senso ostativo alla applicazione delle garanzie previste dalla novella del ‘55 nella istruttoria sommaria, la
Corte costituzionale dichiarò infatti non fondata “nei sensi di cui in
motivazione” tale questione dopo aver reinterpretato la norma denunciata nel senso viceversa della sua naturale apertura alla applicazione
di quelle garanzie.
Ed, a tal fine, espressamente teorizzò che «stabilire quale sia il
contenuto della norma impugnata è inderogabile presupposto del giudizio di legittimità costituzionale; ma esso appartiene al giudizio della
Corte non meno della comparazione, che ne consegue, fra la norma interpretata e la norma costituzionale, l’uno l’altro essendo parti inscindibili del giudizio che è propriamente suo».
Fermo fu però, a quel punto, il rifiuto dei giudici di ritenersi vincolati alle decisioni interpretative (di rigetto) della Corte costituzionale.
Con la conseguenza che quella Corte, nuovamente investita della
questione, dovette prendere atto della persistente contrarietà della magistratura – specie di vertice – all’applicazione nella istruttoria sommaria delle garanzie difensive vigenti per quella formale e sanzionò
conclusivamente, in termini di incostituzionalità, la sottostante disparità di trattamento sul versante della difesa con la successiva sentenza
n. 52 del 1965.
Questa pronuncia dette luogo peraltro ad una ulteriore occasione
di scontro tra le due supreme magistrature quanto all’efficacia temporale, retroattiva o meno, delle pronunzie costituzionali caducatorie di
norme processuali.
Con la sentenza Tarantino del 24 gennaio 1966, infatti, le Sezioni
unite penali della Cassazione – in applicazione del principio processuale “tempus regit actum”, affermarono che “la sentenza della Corte
costituzionale n. 52 del 1965, che ha dichiarato l’illegittimità dell’art.
392, comma primo, cod. proc. pen. (nella parte in cui rende(va) possibile non applicare alla istruzione sommaria le garanzie difensive stabilite per l’istruzione formale di cui agli artt. 304 bis, ter, quater stesso
codice), non ha effetto retroattivo nei giudizi in corso”, per cui “restano fermi gli atti di istruttoria sommaria già compiuti alla stregua del
medesimo art. 392” come vigente prima dell’intervento conformativo
del giudice delle leggi.
Questa accezione restrittiva dell’effetto temporale della decisione
costituzionale di accoglimento fu subito sconfessata – con un’altra interpretativa di rigetto dalla Corte costituzionale. La quale, con la sen-
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tenza n. 127 del 1966, in contrario affermò che – “pur ammettendo l’esistenza nel nostro ordinamento di un tale principio (tempus regit
actum), ricollegato a quello generale della normale non retroattività
delle leggi che modificano o sostituiscono quelle precedenti – al principio stesso non può farsi richiamo nel caso di specie, il quale è retto
da principi diversi (da quelli che regolano l’abrogazione della legge), e
cioè dai principi che disciplinano l’annullamento (art. 136 Cost.)” ai
quali è coessenziale la proiezione temporale retroattiva; per cui – concludeva – “le disposizioni circa il diritto alla difesa non solo sono applicabili alla istruttoria sommaria, com’è stato deciso, ma lo sono altresì agli atti istruttori compiuti, con tale rito, prima della pubblicazione della sentenza di questa Corte più volte menzionata (n. 52 del
1965), come effetto della dichiarazione di illegittimità dell’art. 392,
primo comma, del codice di procedura penale”.
Il conflitto così insorto poi trovò comunque soluzione, per l’atteggiamento prudente della Corte costituzionale che, con la successiva pronuncia n. 49 del 1970, qualificò quello in argomento come problema interpretativo (attinente alla individuazione della nozione di
“rapporto esaurito”, intangibile dalla dichiarazione di incostituzionalità), come questione cioè interna alla sfera di competenza della Cassazione.
Seguirono poi altre analoghe reinterpretazioni della Corte costituzionale contrarie all’esegesi della Cassazione in ordine alla natura
delle Commissioni tributarie (sentenze nn. 6 e 10 del 1969).
E lo scontro si alimentò per il rifiuto, in ogni caso, dei giudici e
della Cassazione di riconoscere la filachia dell’Organo costituzionale.
Il quale si vide così costretto a riesaminare i (riproposti) quesiti di
legittimità di quelle disposizioni nella interpretazione ribadita dalla
Cassazione (cfr. sentenze nn. 52 del 1965, 287 del 1974).
3.3. – L’armistizio tra le due Corti si delineò, poi, di fatto con l’adesione della Corte costituzionale alla tesi ascarelliana del “diritto vivente” come oggetto del sindacato di legittimità.
Ascarelli aveva elaborato la tesi della Corte tenuta a sindacare la
legittimità della disposizione legislativa “così come risulta applicata
dalla prevalente giurisprudenza”, muovendo dalla differenza tra interpretazione della legge compiuta dalla Consulta per valutarne la costituzionalità.
Con la seconda interpretazione – secondo l’Ascarelli – la Corte costituzionale era chiamata a compiere una sorta di “indagine storiografica, non più creativa ma dichiarativa, identificando il significato
concretamente assunto dalla legge nell’applicazione giurisprudenzia-
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le” e questo poi avrebbe dovuto assumere ad oggetto della valutazione
di legittimità.
L’adesione dei giudici della Consulta alla tesi di Ascarelli fu comunque solo parziale, poiché la conseguenza più radicale di questa
impostazione – che essi cioè dovessero ritenersi vincolati dalla interpretazione giurisprudenziale dominante – non fu condivisa, rimanendo ferma la rivendicazione di principio di una autonoma potestà ermeneutica della Corte costituzionale.
Il nuovo corso giurisprudenziale si aprì con la sentenza n. 129 del
1975, in cui si rinviene l’affermazione che l’interpretazione della disposizione legislativa «è essenzialmente compito del giudice, a tutti i
livelli: avendo invece la Corte la funzione di porre a confronto la norma,
nel significato comunemente ad essa attribuito, con le disposizioni della
Costituzione, per rilevarne gli eventuali contrasti e trarne le conseguenze
sul piano costituzionale».
Su questa linea, negli anni successivi si può dire che si sia quindi
definitivamente attestata la Corte costituzionale, elaborando vari criteri di identificazione del “diritto vivente”, ma sempre comunque lasciando nello sfondo l’affermazione di principio della riserva a se medesima della possibilità (ancorchè solo di rado attuata) di discostarsene.
4. – Di tale riserva, ad esempio, quella Corte si avvalse nuovamente nelle due sentenze n. 419 del 1999 e n. 1 del 2000 (in tema, rispettivamente, di riparto della pensione di reversibilità ex art. 9, comma 3,
legge 1970 n. 898; e di privilegio e dei crediti da provvigione ex art.
2751-bis, n. 3, c.c.), con le quali essa – pur ritenendo, implicitamente,
fondate le censure di illegittimità, formulate dai giudici a quibus in relazione ad una consolidata esegesi giurisprudenziale delle disposizioni denunciate traente causa (in entrambi i casi) anche dall’intervento
nomofilattico delle Sezioni unite della Cassazione – comunque preferì,
alla decisione di accoglimento (che pur pareva conseguenziale), una
interpretativa di rigetto che consentisse a quelle disposizioni di essere
«conservate nell’ordinamento nel significato, che si possono esprimere,
compatibile con la Costituzione» (così testualmente, la sentenza n. 419
del 1999).
5. – L’orientamento espresso da quelle due ravvicinate decisioni
avrebbe potuto in astratto innescare nuove vicende di conflitto tra le
due Corti.
Ma ciò non avvenne perchè il clima culturale in cui quel conflitto
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aveva trovato occasione e alimento era ormai superato ed il rapporto
tra le due Corti poteva dirsi ormai stabilizzato in termini di reciproca
collaborazione.
In realtà, più che un ritorno alle antiche rivendicazioni del Giudice delle leggi circa il proprio autonomo potere di interpretazione della
norma giuridica, oggetto di denunzia, quelle due pronunzie stavano
propriamente ad esprimere la prevalenza attribuita dalla Corte costituzionale alla funzione “ermeneutica” rispetto alla funzione di “limite”
dei precetti costituzionali.
Vale a dire che, con tali decisioni, la Corte ha tenuto a sottolineare che, al di là del rispetto del diritto vivente (che rappresenta la misura della sua collaborazione con il giudice della nomofilachia) debba
individuarsi come metavalore quello della interpretazione adeguatrice, quel canone cioè di conservazione della norma finchè ne sia possibile un’interpretazione compatibile, poiché – come più volte da Essa
puntualizzato – una norma non si dichiara incostituzionale, quando –
o sol perché – ne sia possibile un’interpretazione contraria alla Costituzione, ma solo quando ne sia impossibile una interpretazione
conforme alla Costituzione.
6.– Per questo profilo – dell’esigenza, cioè, di una previa verifica
di interpretabilità della norma giuridica secundum (e non contra) Costitutionem (esigenza che si impone ai giudici comuni e, quindi, alla
Cassazione che ne costituisce il vertice funzionale, prima ancora che
alla Corte costituzionale) – è significativa la giurisprudenza degli ultimi anni della stessa Corte costituzionale (fortemente orientata dal
Presidente Granata), quella giurisprudenza, cioè, che non solo ha inteso richiamare ai giudici (spesso non inclini se non diffidenti verso
l’interpretazione adeguatrice) l’importanza e l’imprescindibilità, invece, di questa operazione ermeneutica, ma che è giunta a sanzionare in
termini di inammissibilità le questioni da essi sollevate “senza la previa necessaria verifica di praticabilità di una interpretazione costituzionalmente orientata” (cfr., in particolare, ordinanze nn. 443 e 451
del 1994).
Al riguardo è stato obiettato da più parti in dottrina, che non si individuerebbe il fondamento positivo di una siffatta ulteriore causa di
inammissibilità della questione sollevata per via di giudizio incidentale ex art. 134 della Costituzione.
Ma la risposta mi pare agevole.
L’omessa verifica di praticabilità di una interpretazione adeguatrice equivale, infatti, al mancato riscontro dell’esistenza di una questio-
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ne configurabile come “questione di legittimità costituzionale”, e non
meramente interpretativa, e si risolve quindi nell’inosservanza, a fortiori, dell’obbligo di motivazione sulla “non manifesta infondatezza”
della “questione di legittimità”, che appunto ne comporta l’inammissibilità, ai sensi dell’art. 23 della legge 11 marzo 1953 n. 87 sul funzionamento della Corte costituzionale.
Ritornando quindi alla nostra prospettazione iniziale, vediamo
così ancor meglio definirsi il ruolo della Corte di legittimità, attraverso questa compartecipazione al controllo di costituzionalità che le
viene sollecitata dalla stessa Corte costituzionale.
Per modo che il Giudice della nomofilachia (che abbia, con l’auspicato ridimensionamento del suo contenzioso, la concreta possibilità di operare come tale) assicuri non solo la “uniforme interpretazione” delle norme giuridiche, ma (contestualmente a questa) anche il
rispetto delle gerarchie tra norme sottordinate e precetti costituzionali di rango superiore, attraverso la ricerca della (possibile) interpretazione delle prime in senso compatibile con i secondi.
7. – E veniamo infine, in rapida sintesi (come impone la clessidra)
al tema della esegesi e della applicazione diretta, nel processo delle
norme costituzionali immediatamente precettive.
Su questo versante la Cassazione è stata molto attiva a ridosso
della entrata in vigore della Costituzione.
Basti ricordare la storica pronuncia delle Sezioni Unite n. 838 del
9 aprile 1949 che – sul presupposto, appunto, della diretta applicabilità (senza necessità di intermediazione legislativa) dell’art. 111 della
Costituzione (“a cagione del comando perentorio che vi si contiene”)
affermò l’ammissibilità del ricorso per violazione di legge in Cassazione “contro tutte le sentenze di qualunque giurisdizione speciale”. E,
sulla stessa linea, a pochi anni di distanza, la sentenza n. 2696 del
1953 che – sviluppando uno spunto contenuto nella precedente sentenza della Sezione II civile – ritenne la diretta applicabilità dell’art. 36
della Costituzione, aggirando l’ostacolo dell’asserito “difetto di specificità” del precetto della “giusta retribuzione” con il meccanismo di integrazione con le clausole salariali dei contratti collettivi, utilizzate
come indice di segnalazione della retribuzione sufficiente.
Nel periodo successivo la Cassazione e i giudici in generale sono
stati, invece meno attenti e progressivamente sempre meno inclini alle
prospettive della drittwirkung di norme costituzionali.
Il che probabilmente è dipeso anche dalla discesa in campo [nel
1956] della Corte costituzionale che può aver indotto quei giudici a ri-
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tenere esaurita quella funzione in certo qual modo di supplenza da
essi svolta rispetto all’Organo non ancora entrato in attività.
Sta di fatto, però, che proprio la Corte costituzionale, in numerose sue pronunce, ha evocato e sollecitato la drittwirkung delle norme
di garanzia dei diritti fondamentali da parte dei giudici.
Nella giurisprudenza del Giudice delle leggi il favore per l’istituto
in esame si esprime così (in scala di intensità crescente): a) dando
quell’istituto per presupposto e facendovi richiamo come dato complementare di disciplina di date materie; b) esortando anzi i giudici a
farne applicazione; c) rimarcandone addirittura la necessità in determinati contesti normativi; d) rimuovendo infine ostacoli, frapposti dal
legislatore ordinario, alla sua operatività.
7.1. – Tra le sentenze che presuppongono l’immediata applicabilità
di precetti costituzionali, mi limito a ricordare la n. 333 del 1991, con
la quale, la Corte – nel respingere varie questioni di legittimità della disciplina repressiva della detenzione di stupefacenti e mostrandosi, comunque “avvertita dalla particolare delicatezza della situazione in
tutti i casi in cui l’eccedenza rispetto al limite di tolleranza (dose
media giornaliera) si presenti in termini quantitativamente marginali
o modesti” – fece rinvio appunto alla “diretta applicazione” in potere
dei giudici, degli artt. 27 e 13 della Costituzione e del principio di “necessaria offensività in concreto” della condotta penalmente perseguibile, estraibile dal combinato disposto di tali processi: per cui preciso
che “rimane precipuo dovere del giudice, nelle ipotesi marginali, apprezzare, alla stregua di quel principio “se la eccedenza eventualmente accertata sia di modesta entità così da far ritenere la condotta dell’agente priva di concreta idoneità lesiva dei beni giuridici protetti e
così fuori dall’area del penalmente rilevante.
7.2. – Tra le pronunzie per così dire esortative, un esempio citabile è già quello della sentenza n. 34 del 1973 (che invitava il giudice –
in quel caso il giudice che dispone le intercettazioni telefoniche – a garantire immediatamente i beni garantiti dall’art. 15 della Costituzione,
in applicazione diretta del precetto stesso). Lo stesso schema si rinviene nella successiva pronunzia n. 84 del 1986 che avvertiva il giudice, disponente l’assunzione di prove incidenti sulla persona umana,
che la diretta applicabilità degli artt. 2, 12 e 32 gli imponeva ex se di
rispettare i limiti che a detti precetti derivavano alla sua attività investigativa. E sempre in questa chiave ritengo vada letta anche la sentenza n. 347 del 1988 in tema di disconoscimento del figlio nato mediante inseminazione eterologa: con la quale la Corte – dopo la rilevata “carenza attuale” di una disciplina legislativa del fenomeno della
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procreazione assistita – ha sottolineato come al “nuovo nato”, in quanto “persona”, siano immediatamente comunque attribuibili i diritti
fondamentali – tra cui il diritto alla identità – sollecitando appunto il
giudice ad “assicurare (nell’immediato) la protezione degli anzidetti
beni costituzionali”. In questo caso ricevendo puntuale risposta dalla
Corte di Cassazione che con la successiva sentenza n. 2315 del 1999
della I Sezione civile ha negato la disconiscibilità, ex art. 235 c.c., del
figlio nato da fecondazione eterologa, a tutela appunto del diritto inviolabile alla identità personale del minore così procreato.
7.3. – A tutti ben nota è poi la sentenza n. 184 del 1996, in tema di
risarcibilità del c.d. “danno biologico”, fondata sulla premessa della
necessaria applicabilità diretta da parte dei giudici del “diritto alla salute” sub art. 32 Cost., in questo caso “in combinato contesto” con
l’art. 2043 c.c.
7.4. – Significativa è, infine, la rimozione di normativa impeditiva
della drittwirkung operata dalla sentenza n. 313 del 1990. Con la quale
la Corte costituzionale – premesso, e “ribadito”, che il principio del finalismo rieducativo della pena (sub art. 27, comma 3, Cost.) “vale
tanto per il legislatore quanto per i giudici della cognizione” (e per quelli della esecuzione e della sorveglianza) e rilevato poi che il nuovo art.
444, comma 2, c.p.p., imponendo al giudice del dibattimento di attenersi alla pena patteggiata, tra imputato e P.M., gli impediva di applicare direttamente il citato art. 27, agli effetti della commisurazione
della pena – dichiarando conseguenzialmente la illegittimità di quella
norma processuale “al fine” appunto – singolarmente esplicitato anche
nel dispositivo della sentenza – della rimozione dell’ostacolo legislativamente frapposto alla immediata e diretta applicabilità del precetto
costituzionale da parte del giudice.
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Unicità della cassazione e unità della giurisdizione nei lavori
dell’assemblea costituente
Antonio MARTONE
1. Ringrazio vivamente chi mi ha consentito di svolgere questo intervento, non soltanto per l’onore che mi ha concesso, ma anche perché mi ha offerto l’occasione per rileggere (e, per alcune parti, leggere
per la prima volta) i resoconti del dibattito che tra il 6 e il 27 novembre del 1947, si svolse in assemblea costituente in occasione dell’esame della proposta presentata dalla Commissione dei 75 e della definitiva approvazione del titolo IV della Carta costituzionale.
Si tratta di una lettura particolarmente interessante, non soltanto
per l’alto livello di alcuni dei principali protagonisti del dibattito (si
pensi agli interventi, spesso determinanti, di Leone, Calamandrei,
Mortati, Bozzi, Vittorio Emanuele Orlando e tanti altri), ma anche
perché in tale occasione alla vivacità delle opinioni, spesso contrapposte, si è aggiunto il comune intento di pervenire a soluzioni concordate e generalmente condivise o, comunque, di evitare paralizzanti contrasti.
Il dibattito, poi, è impreziosito dal richiamo di esperienze passate
anche di altri paesi, di episodi riguardanti l’attività di singoli magistrati, nonché di dati relativi al funzionamento degli uffici giudiziari e,
in primo luogo, della Corte di Cassazione.
Il dibattito così offre l’occasione, all’on. Mancini per ricordare
(nella seduta antimeridiana del 14 novembre) le minacce e le lusinghe
cui seppe resistere Umberto Tancredi “requirente in periodo istruttorio del processo Matteotti”, e all’on. Paolo Rossi per condannare (nella
seduta pomeridiana del 28 novembre 1947) l’assurdo allontanamento
di Mortara dalla Cassazione per aver presieduto la prima sezione della
Corte che aveva accolto il ricorso di un privato affermando l’incostituzionalità di un decreto del Governo Mussolini.
Per altro verso, come si può non sottolineare – anche con una
punta di invidia - la “tenerezza” con la quale Calamandrei, che pure
era tra i più tenaci sostenitori dell’unicità della Cassazione, ricorda il
funzionamento della Corte di cassazione di Firenze (“c’era una
udienza a settimana; in ogni udienza c’era soltanto la discussione di
un ricorso. Ci si trovava in un’atmosfera tranquilla, discreta, ovattata; l’udienza durava tre ore; ed era quasi un obbligo di buona creanza che gli avvocati discutessero per tre ore, perché sennò gli egregi
100
magistrati erano dispiacenti di dover andare a casa prima dell’ora
consueta”).
E nella stessa prospettiva si può ricordare l’intervento di Paolo
Rossi che, discutendo dei limiti del sindacato della Cassazione nei
confronti delle decisioni del giudice amministrativo, sottolinea come
nel ventennio precedente erano state impugnate davanti alle Sezioni
Unite della Cassazione complessivamente soltanto 83 sentenze del
Consiglio di Stato (20 proposte dall’Amministrazione e 63 dai privati)
e che sedici soltanto erano state accolte.
2. Prescindendo da altre citazioni che sarebbe, peraltro, estremamente interessante fare (anche perché ne emergerebbe un quadro non
conosciuto dai più, o dimenticato da altri, del concreto modo di essere della amministrazione della Giustizia nella prima metà del secolo) e
passando all’esame del dibattito, si deve rilevare come fin dalla discussione generale l’attenzione dei costituenti si sia soffermata sulla ricerca delle soluzioni più adeguate per assicurare l’autonomia e l’indipendenza della magistratura, in primo luogo attraverso l’istituzione del
CSM e la determinazione della sua composizione e dei suoi compiti.
Accanto a questo, altro tema che ha caratterizzato il lungo dibattito ha riguardato l’opportunità e i limiti alla introduzione di forme di
partecipazione popolare all’amministrazione della giustizia e, in particolare, le caratteristiche e la competenza della Corte d’assise. Ed è interessante rilevare come al riguardo siano emerse due diverse concezioni della funzione giurisdizionale che caratterizzano anche il dibattito sulla funzione e di riflesso la unicità della Cassazione civile.
3. Quest’ultimo tema, unitamente a quello più generale della unità
della giurisdizione, riguarda più da vicino l’odierno Convegno.
Entrambi gli argomenti vengono trattati congiuntamente nel
corso delle sedute in esame.
Sulla prima questione – che, anche se timidamente, viene oggi da
taluno riproposta sia pure al fine di assicurare una celere trattazione
dei procedimenti in sede di legittimità – dalla lettura dei resoconti
emerge un contrasto, che ha caratterizzato a lungo gli interventi sul
punto e che ha portato anche alla presentazione di contrapposti ordini del giorno, tra chi voleva la reintroduzione in materia civile, accanto alla Cassazione di Roma, delle quattro Corti di Torino, Firenze, Napoli e Palermo soppresse nel 1923 (con possibile estensione ad altre regioni), e chi invece ha difeso strenuamente l’unicità della Corte di cassazione.
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A favore della prima soluzione, in linea generale si sostiene come
l’unificazione, oltre tutto voluta dal governo fascista, avesse trascurato del tutto l’apporto culturale che le cassazioni regionali avevano saputo dare nel corso dei decenni e come, alla luce dell’esperienza successiva al 1923, l’unicità della Cassazione, non si fosse dimostrata idonea ad assicurare l’uniforme applicazione del diritto e come, per altro
verso, l’auspicata unicità potesse portare alla cristallizzazione della
giurisprudenza medesima (l’on. Bellavista già in sede di discussione
generale nella seduta dell’’8 novembre aveva parlato “ di quella che i
romani chiamavano l’ignavia ratio, una pigrizia di adeguamento al
precedente “); e ciò senza considerare il valore di un più agevole accesso per i cittadini.
I sostenitori dell’opposta tesi replicano a tali argomenti, ricordando come l’esigenza dell’unicità della Corte fosse stata già ripetutamente segnalata nella seconda metà del secolo precedente (nella seduta del
6 novembre l’on. Bozzi ricorda il progetto Minghetti del 1862 sottolineandone “l’impressionante attualità”), come l’auspicata uniformità
della giurisprudenza non ne implichi una cristallizzazione ma miri a
garantire l’eguaglianza dei cittadini, bene questo che é ancor più necessario garantire in considerazione della prevista istituzione delle regioni (significativamente l’on Pietro Mastino, pur dichiarandosi convinto regionalista, parla di “profondità di danno” che si verificherebbe
“se le cassazioni fossero tante quante le regioni”).
4. Non si può ricordare in questa sede tutto il dibattito che si è
svolto sul punto, ma si può affermare che quasi tutti gli interventori
sul titolo quarto della Costituzione prendono posizione in vario modo
sull’argomento.
Ma è nella seduta pomeridiana del 27 novembre che si manifesta
una netta divisione in vista della votazione del testo dell’art. 102.
Sul tema l’Assemblea, infatti, dovrebbe votare una serie di emendamenti (così trasformate anche le proposte di articoli 95 bis il cui
esame era stato rinviato al momento della discussione dell’art. 102):
quello degli onorevoli Mortati e Codacci Pisanelli nel quale è previsto
espressamente che la “Corte di cassazione è unica per tutto il territorio della Repubblica” e quello di identico tenore presentato dal Ministro di grazia e giustizia Grassi che aggiunge la previsione della sede
in Roma della Corte; in contrario l’On Vallebruna richiama l’emendamento che prevedeva il ripristino delle preesistenti cassazioni regionali, mentre l’on Crispo è il primo firmatario della proposta di istituire in Torino, Firenze, Napoli e Palermo sezioni distaccate della Corte.
102
I contrasti sono evidenti tanto che l’on. Targetti, a nome anche di
altri partecipanti, propone un diverso testo dell’art. 95 bis che prevede
che “la legge sull’ordinamento giudiziario regolerà l’istituto della
Corte di cassazione”, motivando tale proposta con il timore che “di
fronte alla possibilità che il contrasto tra i difensori strenui dell’unicità
della cassazione e i fautori della pluralità possa essere adottata una decisione con una votazione caratterizzata da un minimo scarto di voti”.
E il timore si rivela fondato.
Il primo intervento di rilievo è dell’on. Mortati che si sofferma sul
rapporto tra pluralità delle cassazioni e decentramento regionale,
chiarendo come, non avendo carattere federalistico, tale decentramento non possa toccare l’esercizio della funzione giurisdizionale ed
anzi rafforzi la necessità dell’unità nell’interpretazione delle leggi.
Quanto poi all’esigenza, richiamata in numerosi interventi a favore
della pluralità delle corti, di avvicinare il giudice alla coscienza popolare, Mortati riconosce la grande importanza di mettere il giudice
nelle condizioni di interpretare le leggi “con piena sensibilità e aderenza alle esigenze popolari” ma afferma che tale esigenza “deve essere soddisfatta attraverso la formazione, la scelta e la selezione dei giudici e non attraverso lo sparpagliamento nel territorio in quel momento della pronuncia del diritto che esige massimo di unità, proprio
nel giudizio di cassazione”.
A favore dell’unità della Cassazione si pronuncia anche il Ministro
di grazia e giustizia Grassi ricordando come l’unificazione della Corte
di cassazione anche nel settore civile sia il frutto, non di una scelta del
precedente regime, ma di un movimento appoggiato da tutti i cultori
del diritto processuale e principalmente da Ludovico Mortara, che fin
dal 1919 aveva insistito per l’unificazione della Cassazione civile e
come, del resto, in nessun paese al mondo, neanche negli stati federali, ci fossero più corti supreme.
L’intervento più deciso a favore della unicità dell’istituto è quello,
però, dell’on. Calamandrei che, prendendo la parola in qualità di
primo presentatore di un più articolato emendamento (“Al vertice
dell’’ordinamento giudiziario, unica per tutto lo Stato, siede in Roma
la Corte di cassazione, istituita per mantenere l’unità del diritto nazionale attraverso l’uniformità dell’’interpretazione giurisprudenziale
e per regolare la competenza tra i giudici”), dopo aver ricordato come
la Cassazione sia stata inventata in Francia dopo secoli di lotte tra il
potere monarchico centrale e le tendenze centrifughe delle Corti d’Appello regionali “proprio allo scopo di difendere il diritto proprio dello
stato nella sua unità in quanto ordinamento giuridico unitario”, sotto-
103
linea che è a questo scopo che la Cassazione deve servire e a tal fine è
necessario naturalmente che sia unica perché “se non serve a questo
non serve a nulla”.
Al ricorrente argomento poi che l’unificazione della giurisprudenza è un’utopia, il Calamandrei risponde distinguendo l’unificazione
nello spazio dall’unificazione nel tempo; se la prima non è un bene
perché non è un bene che la vita del diritto diventi statica, immobile e
si cristallizzi (“l’interpretazione della legge è un può come la critica
della poesia; Ognuno la interpreta a modo suo e la ricrea; così “ogni
epoca interpreta e ricrea la stessa legge in modo diverso”), non altrettanto deve dirsi della unicità della giurisprudenza nello spazio, perché
è indispensabile che uniforme sia l’interpretazione e l’applicazione
della legge dello Stato in ogni parte del territorio nazionale.
Quanto poi alla possibilità, secondo la proposta dell’on Crispo, di
trovare un compromesso attraverso la istituzione di sezioni distaccate, ricorda l’esperienza già fatta fino al 1923 (quando in caso di mancata adeguamento in sede di rinvio al principio espresso dalle cassazioni regionali era possibile il ricorso alle Sezioni unite a Roma che se
accoglievano il ricorso poteva disporre un nuovo rinvio ad un giudice
d’appello la cui decisione, per tali motivi era a sua volta impugnabile
davanti la cassazione regionale) che aveva indotto un giurista francese a definire il sistema come “il più ridicolo gioco cinese, chinoiserie,
fra tutti gli ordinamenti giudiziari del mondo”.
A queste argomentazioni, nella stessa seduta, si contrappone l’on.
Togliatti con un intervento volto a spiegare le ragioni per cui il suo
gruppo aveva manifestato opinione favorevole alla molteplicità delle
corti di cassazione. Richiamando anche l’esperienza fatta da Ministro
della Giustizia, dopo aver premesso di aver ritenuto in passato “che la
Corte di cassazione dovesse essere unica, essendo questa un mezzo potente per dare unità non soltanto alla giurisprudenza, ma a tutto il diritto attraverso la più elevata delle sue interpretazioni”, afferma che
alla diversa conclusione è pervenuto per una molteplicità di motivi..
In primo luogo perché l’esperienza della Corte di cassazione civile unica aveva dimostrato come, in mancanza della pronuncia delle
Sezioni unite, la giurisprudenza variasse “da sezione a sezione e da
presidente di sezione a presidente di sezione” e come tale diversità, se
riferita alle corti articolate sul territorio nazionale, sarebbe un fattore
positivo perché espressione di una sensibilità verso i problemi delle
singole zone d’Italia in coerenza con la concezione del diritto, “della
sua origine che è nel popolo, della sua fonte che è nella coscienza popolare e nello sviluppo delle molteplici attività nazionali”.
104
Alla dichiarazione dell’on. Togliatti seguono altri pochi interventi
che confermano il contrasto nell’Assemblea.
L’on. Vittorio Emanuele Orlando svolge una difesa sentita e commossa delle cassazioni regionali (“Napoli, Torino Firenze e Palermo
possono vantarsi di essere state, in virtù delle loro cassazioni, delle
grandi scuole di diritto”) e replica agli argomenti del Calamandrei; osservando come il diritto, come il linguaggio, sia “una creazione popolare per eccellenza” e come “ quanto più vasto è lo spazio, dove si alimentano” le sue “radici tanto è meglio”.
Quanto poi alla Cassazione unica, rilevando come la sua istituzione nel 1923 corrisponda alla spinta all’accentramento che aveva caratterizzato il regime fascista, osserva come le tre sezioni civili prevista
presso la Cassazione di Roma siano ormai articolate in sette otto collegi che possono dar luogo ad orientamenti contrastanti (sul punto ricorda la questione della validità della clausola oro e le conclusioni
svolte da un procuratore generale “magnifica figura di giurista” in difesa della giurisprudenza “che era stata acquisita”).
Seguono le dichiarazioni degli on. Romano e Dominerò che ribadiscono (il secondo anche a nome di numerosi colleghi) l’esigenza giuridica e sociale della Cassazione unica.
La discussione si chiude con l’intervento dell’on. Paolo Rossi che
quale relatore viene invitato ad esprimere il parere della Commissione.
Premesso che si tratta della “questione più grave e scottante di cui
hanno discusso i più illustri parlamentari italiani”, il Rossi esprime
due diversi pareri, dichiarando che “formalmente” la maggioranza ritiene che non convenga risolvere la questione nella Carta costituzionale e che sia meglio votare la proposta dell’’on. Targetti”, ma che se si
dovesse risolvere la questione bisognerebbe risolverla con “l’affermazione risoluta dell’unicità della Corte di cassazione”.
In questa seconda prospettiva sottolinea come l’argomento fondato sulla varietà multiforme del nostro paese e sulla conseguente esigenza di una maggiore aderenza della giurisprudenza della Corte di
cassazione agli interessi locali sia, da un lato smentita dall’esperienza
di altri paesi, quali America, Russia, Inghilterra che, nonostante la disparità di condizioni economiche, geografiche e demografiche,
“hanno tutte un’unica Corte di cassazione” e come, sotto altro aspetto,
l’unicità di tale Corte corrisponda ad un’esigenza maggiormente sentita proprio nel momento in cui nel testo della Costituzione si prevede
l’istituzione delle regioni.
5. Dopo alcune schermaglie procedurali, il Presidente dell’’Assem-
105
blea pone in votazione per primo l’emendamento Targetti; la votazione avviene, per espressa richiesta di numerosi partecipanti, a scrutinio
segreto e la proposta di rimettere alla legge sull’ordinamento giudiziario la disciplina della Core di cassazione viene approvata con una significativa maggioranza (211 voti favorevoli contro 96 voti contrari),
Termina in tal modo e con quello che può apparire un nulla di
fatto, la discussione sulla molteplicità o unicità della Cassazione che lo
stesso relatore della Commissione aveva indicato come la “ questione
più grave e scottante”.
Se si prescinde peraltro da alcuni aspetti determinati dalla situazione contingente (come, ad esempio, la questione se la Cassazione
unica fosse un istituto di marca fascista), dalla esame discussione possono trarsi interessanti indicazioni.
Pur in presenza della chiara volontà di evitare di ratificare con
una votazione netti contrasti in materia, emerge chiaramente come, se
anche sarebbe vano ricercare nei vari interventi il termine “nomofilachia”, il favore della maggioranza dei costituenti per la unicità della
Cassazione sia stata diretta conseguenza della ritenuta esigenza di assicurare una uniforme interpretazione del diritto e completare in tal
modo il processo di unificazione dello Stato e al tempo stesso assicurare ai cittadini parità di trattamento.
Sembra che si possa affermare, quindi, che la stessa opinione contraria, se si prescinde da alcune istanza “localistiche”, è stata conseguenza (l’intervento di Palmiro Togliatti prima richiamato è emblematico sul punto), non della negazione di tali principi, ma di una concezione della funzione giurisdizionale volta ad assicurare una maggiore vicinanza del diritto alla coscienza popolare che si era manifestata con maggior evidenza in occasione della discussione sulle forme
e i modi di partecipazione popolare all’amministrazioe della giustizia.
Ma, a ben vedere, si trattava di problemi che riguardavano in
primo luogo il settore penale e che erano condizionati da concreti episodi del dopoguerra (come emerge dagli interventi, nella seduta pomeridiana del 24 novembre 1947, dell’on Fausto Gullo e dello stesso
Togliatti e dall’espresso riferimento da lui fatto, in occasione del successivo intervento del 27 novembre, al diverso modo di operare della
sezione penale della Cassazione distaccata a Milano subito dopo la liberazione nei confronti di quello della Cassazione dopo la ripresa dell’attività in Roma).
Ma, giova ripeterlo, si tratta di questioni più propriamente politiche che risentono indubbiamente della situazione propria della giustizia penale nell’immediato dopoguerra o, per altro verso, sono conse-
106
guenza di diverse concezioni della giurisdizione che riguardano in generale l’attività dei magistrati e non in particolare la posizione della
Cassazione e la sua unicità (di particolare interesse al riguardo è l’intervento del Mortati prima richiamato, nonché la parte finale della relazione generale sul titolo IV del progetto di costituzione svolta dall’on. Leone nella seduta pomeridiana del 14 novembre).
6. Su di un piano caratterizzato da maggiore tecnicità si affronta,
invece, la questione dell’unità della giurisdizione e, di riflesso, dell’ambito e dei limiti del sindacato della Cassazione; prova ne è che,
contrariamente a quanto avvenuto per l’unicità della Cassazione, nella
seduta del 27 novembre il testo dell’art. 102 proposto dalla Commissione (e che costituirà il secondo e terzo comma dell’’art. 111 della Costituzione) al termine del dibattito viene approvato per alzata di mano.
A dire il vero molti dei principali problemi erano stati già risolti
con l’approvazione, nella seduta del precedente 21 novembre, del testo
dell’art. 96 (che, con alcune correzioni meramente formali, costituirà
il testo degli artt. 102 e 103 della Costituzione).
In quella sede, infatti, l’Assemblea si era già pronunciata sul divieto di istituzione dei giudici speciali e sulla possibile istituzione di
sezioni specializzate con la eventuale partecipazione di cittadini idonei estranei alla magistratura.
Del pari si era raggiunto un difficile accordo in ordine alla conservazione dei tribunali militari e ai limiti della relativa giurisdizione.
Egualmente, rifiutando la proposta (formulata, tra gli altri, dal Calamandrei in seno alla Commissione dei settantacinque) di una soppressione di tutte le giurisdizioni speciali, era stato deliberato il mantenimento, in considerazione della loro funzione e della loro storia, del
Consiglio di Stato e della Corte dei conti, anche muovendo dal presupposto (come sottolineato in molti interventi) che queste giurisdizioni erano sorte, non sottraendo competenze alla magistratura ordinaria, ma conquistando nuovi terreni di tutela per i cittadini.
Anche questa soluzione, peraltro, era stato il frutto di proposte inizialmente divergenti. Contro la conservazione del Consiglio di Stato si
era, infatti, pronunciato, tra gli altri, nella seduta pomeridiana del 11
novembre l’on. Monticelli (che, forse condizionato dall’esperienza
delle leggi speciali del fascismo, afferma che “per realizzare l’unità del
potere giudiziario bisognerebbe eliminare per sempre il giudice speciale perché nella coscienza giuridica del Paese è fermo il convincimento che la creazione di giudici speciali, straordinari o eccezionali è
contraria a ogni più elementare concetto di libertà e di giustizia”).
107
La trasformazione del Consiglio di Stato in una magistratura ordinaria specializzata, inoltre, era stata prospettata dall’on. Caccuri il giorno successivo per offrire ai cittadini la garanzia del doppio grado di
giurisdizione oltre al sindacato della Corte di cassazione e “diradare al
tempo stesso l’ombra del sospetto che anche le decisioni più giuste potessero essere considerate come provenienti d un organo di parte”.
Peraltro, come rilevato dall’on Leone (sempre nella seduta del 14
novembre) “non molte voci” si erano levate in senso contarlo alla conservazione del Consiglio di Stato e della Corte dei conti per la fondamentale esigenza di attribuire la giurisdizione sugli interessi ad organi adeguati alle caratteristiche della attività amministrativa, attribuendo loro la possibilità di intervenire sui comportamenti illegittimi,
sia pure non sostituendosi all’amministrazione nell’emanazione dell’atto, ma quanto meno annullandoli.
Quanto alla tutela dei diritti da parte del giudice amministrativo
la questione rimane marginale e prevalentemente legata alla esperienza della giurisdizione esclusiva per il pubblico impiego.
Nel corso del dibattito era stato, altresì, precisato, anche a seguito
dei ripetuti interventi dell’On. Mortati (favorevole, con un emendamento poi ritirato, a prevedere la possibilità di istituzione di altri giudici speciali per le controversie fra amministrazione pubblica e privati), che il riferimento “agli altri organi di giustizia amministrativa” contenuto nel testo posto in votazione, doveva intendersi (come precisato
dal Presidente Ruini) limitato ad organi periferici “correlati al Consiglio di Stato e che potranno foggiarsi in modo diverso per le regioni”.
Anche questa precisazione era particolarmente importante perché, come osservato dal Ministro Grassi (nel corso della seduta pomeridiana del 21 novembre) in Italia erano ancora presenti “una cinquantina” di giurisdizioni speciali.
Ma la scelta è chiaramente nel senso di prevedere la loro soppressione (rinviando, come precisato dal presidente della Commissione
Ruini nella seduta pomeridiana del 21 novembre, alle disposizioni
transitorie la fissazione di un “tempo adeguato perché si addivenga
alle necessarie trasformazioni”); ed è sulla base di questo presupposto
che nel corso della discussione non ci si sofferma su queste giurisdizioni, salvo il tentativo, inizialmente reiterato ma poi abbandonato,
dell’on. Adonnino di prevedere il riconoscimento della giurisdizione fiscale (sulla cui importanza per i cittadini si sofferma nel corso della
seduta pomeridiana del 20 novembre qualificandola come “un’ombra
che segue chiunque e con la quale chiunque ha da fare e alla quale nessuno si sottrae”).
108
7. Un’attenta rilettura del dibattito svoltosi in tema di giudici speciali può essere oggi di particolare interesse se posto in relazione alla
fondamentale diversa articolazione della giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo operata alla fine del secolo scorso in
occasione (ma forse più prendendo a pretesto che non a causa) della
c.d. privatizzazione del pubblico impiego e dei successivi interventi
della Corte costituzionale e del legislatore.
E analoghe considerazioni possono essere fatte in considerazione
dell’importanza che ha assunto la giurisdizione tributaria in sede di attuazione della riforma prevista dal decreto legislativo n. 546 del 1992
e, anche in questo campo, dei successivi ripetuti interventi del legislatore e della Corte costituzionale.
In questa sede ci si può limitare a ricordare come, proprio al fine
di contemperare il principio dell’unità della giurisdizione con la scelta operata in ordine alla conservazione di alcuni giudici speciali, nel
dibattito in sede di assemblea costituente ci si sia soffermati sull’ambito e sui limiti del sindacato della Corte di cassazione.
In questa prospettiva, mentre nel testo predisposto dalla Commissione il ricorso avverso le sentenze e le decisioni dei giudici ordinari e
speciali era previsto “secondo le norme di legge”, l’on. Colitto, fin dalla
seduta dell’8 novembre, osservando che tale previsione lasciava libero
il legislatore di fissare limiti al ricorso in cassazione, propone che la
ricorribilità sia sempre prevista “per violazione di legge” in modo da
riconoscere al cittadino il diritto di ricorrere, sia per inosservanza
delle garanzie processuali, sia per errata applicazione al caso singolo
del diritto sostanziale.
E tale formulazione sarà ripresa nel corso della discussione e inserita nel testo definitivamente approvato. Mentre, peraltro, nelle intenzioni dell’on. Colitto la ricorribilità per violazione di legge avrebbe
dovuto riguardare anche le decisioni delle “maggiori giurisdizioni amministrative”, per quanto riguarda il Consiglio di Stato e la Corte dei
conti la possibilità di ricorrere verrà successivamente limitata alle sole
questioni di giurisdizione.
I termini della questione sono riassunti dall’on. Mortati nel suo intervento nella seduta pomeridiana del 27 novembre, in occasione del
quale qualifica come una “contraddizione” il “creare una giurisdizione speciale e nello stesso tempo sottoporre le decisioni di questa giurisdizione speciale al controllo di un giudice che fa parte dell’ordine
giudiziario ordinario, sia pure di grado supremo”.
L’on Mortati nella stessa occasione era andato anche oltre proponendo che, in considerazione della proposta istituzione della Corte co-
109
stituzionale a questo ultimo organo venisse affidata la risoluzione, non
soltanto dei conflitti di attribuzione tra diversi poteri dello Stato fin
dal 1877 decisi dalla Corte di cassazione a sezioni unite, ma anche
quella dei conflitti di giurisdizione. Tale soluzione a suo avviso era logica conseguenza della espressa attribuzione in sede di Costituzione di
competenze specifiche ad organi di giurisdizione speciale e, di riflesso, della “rilevanza costituzionale” che assumerebbero i relativi conflitti.
A questa seconda argomentazione replica nel suo successivo intervento l’on Leone chiarendo come l’esigenza di poter disporre di un
giudice dotato di una particolare “forma mentis”che è alla base della
istituzione dei giudici speciali, è irrilevante in sede di giudizio di legittimità, con la conseguenza che anche le decisioni di tali giudici devono poter essere ricorribili in Cassazione per violazione di legge. Il ricorso va invece limitato ai solo motivi inerenti alla giurisdizione per
quanto riguarda le decisioni del Consiglio di Stato della Corte dei
conti in quanto “queste giurisdizioni incidono con la loro attività nell’atto amministrativo, sicché c’è maggiore aderenza tra queste giurisdizioni e gli atti del potere amministrativo, donde anche il motivo di
violazione di legge è motivo che si radica sull’essenza, sulla finalità,
sul motivo di opportunità che ispirano l’atto amministrativo”.
Ed è questa la soluzione che alla fine prevale dopo l’intervento del
presidente Ruini (che osserva come altrimenti la Cassazione finirebbe
col poter annullare anche i provvedimenti amministrativi) e del relatore della Commissione Paolo Rossi.
Si conclude, così, nella seduta pomeridiana del 27 novembre
(dopo la mancata approvazione dell’emendamento dell’on Mortati che
limitava il ricorso in Cassazione contro le sole sentenze degli organi
giurisdizionali ordinari e l’approvazione della possibile deroga per i
tribunali militari in tempo di guerra) la discussione sull’ambito del
giudizio di Cassazione.
Sull’argomento, peraltro, si ritornerà nelle sedute successive dedicate all’esame del Titolo VI e in particolare della proposta di istituire
la Corte costituzionale. Del resto già in sede di discussione generale
(seduta dell’11 novembre) l’on. Gaetano Martino, premesso che al rigidità della Costituzione doveva implicare un controllo giurisdizionale sulla costituzionalità delle leggi, si era posto il problema “se convenga meglio affidare questo potere ai magistrati ordinari o ad una
corte particolare come quella prevista nel progetto di Costituzione”. E,
solo dopo ave ricordato come l’onorevole Einaudi avrebbe voluto che
questo potere fosse affidato ai magistrati ordinari, aveva concluso in
110
favore della Corte costituzionale, perchè solo attribuendo il relativo
giudizio ad un apposito organo di sarebbe potuto ottenere la caducazione in generale della legge dichiarata incostituzionale e non una dichiarazione limitata al caso concreto sottoposto alla giurisdizione ordinaria.
Questo problema, affrontato dal Martino anche con riferimento al
rapporto tra interpretazione della Costituzione e interpretazione della
legge e cioè al rapporto tra Cassazione e Corte costituzionale, verrà poi
ripreso all’inizio della discussione sul Titolo VI dedicato alle garanzia
costituzionali.. I primi due interventi dell’on. Bertone e dell’on. Nitti
sono concordi nel proporre che quando nel corso di un giudizio venga
sollevata questione di incostituzionalità la decisione sia rimessa alle
Corte di cassazione a sezioni unite. E a favore di tale soluzione si pronuncia anche l’on. Preti, osservando che dalla mancata efficacia erga
omnes delle decisioni delle Sezioni unite non dovrebbe derivare alcun
inconveniente spettando al Parlamento prendere le opportune decisioni.
Questo orientamento, come quello diametralmente opposto che
voleva invece attribuire alla Corte costituzionale invece che alle sezioni unite della cassazione la soluzione dei conflitti di giurisdizione, vengono progressivamente superati in quanto la discussione si concentra
sulla composizione e il funzionamento della Corte Costituzionale e al
testo dell’art. 96 approvato nella seduta pomeridiana del 27 novembre
non vengono apportate modifiche o integrazioni.
8. Termina qui il mio intervento con il quale desideravo soltanto
offrire qualche spunto di riflessione tratto da in dibattito che, anche
quando, come era inevitabile, ha risentito di contingenti problemi, per
la varietà e il livello degli interventi può ancora oggi affascinare il lettore.
111
Le Corti supreme in Europa: le regole per l’accesso
Corte Suprema di Cassazione
Ufficio del Massimario
A cura di Giovanni CANZIO, Direttore dell’Ufficio del Ruolo e del
Massimario
Ersilia CALVANESE (Germania, Spagna, Francia, Svizzera, Regno
Unito, Ungheria, Romania, Svezia, Norvegia, Finlandia, Corte europea
per i diritti dell’uomo); Carmelo CELENTANO (Austria, Polonia)
Gaetano DE AMICIS (Belgio)
1.- Introduzione.
Nonostante gli interventi legislativi, anche recenti, mirati a rendere
la giurisdizione di legittimità idonea a regolare il servizio giustizia negli
ambiti tracciati dagli artt. 102 e 111 della Costituzione, la situazione attuale induce al più vivo allarme, perché la Corte di Cassazione, assegnataria di un ruolo centrale nell’architettura costituzionale delle giurisdizioni superiori, è, al contempo e nondimeno, gravata da uno smisurato
carico di ricorsi che rischia di impedire l’espletamento di quel ruolo.
Se, infatti, nel settore penale la riorganizzazione del servizio e l’abnegazione del personale giudicante ancora consentono la definizione,
in tempi adeguati, delle impugnazioni proposte (nell’anno 2007 sono
stati definiti n. 47.996 ricorsi su 43.810 pendenti), nel settore civile ciò
non è più possibile. Il numero dei ricorsi (n. 102.603 pendenti nell’anno 2007), afferenti alle più disparate materie e sovente implicanti questioni di elevata complessità, nonostante la profonda riorganizzazione
intrapresa da poco meno di tre anni e l’adozione di tecniche decisorie
snelle, non consente, pur nell’impegno straordinario del personale giudicante e degli uffici (nell’anno 2007 sono stati definiti n. 30.875 ricorsi) di pervenire alle decisioni, nel rispetto della necessaria accuratezza richiesta alle pronunzie della Corte di legittimità, in tempi adeguati agli standards di durata europei.
L’accesso indiscriminato, generale, non selettivo alla Corte sta rendendo, infatti, assai difficile – pur con la recente adozione di tecniche
e modelli organizzativi di velocizzazione – perseguire il raggiungimento dei valori del giusto processo, in un arco di tempo ragionevole, che
è assegnato, in primo luogo, alla Corte di Cassazione.
L’inattuazione di tali valori costituzionali, che devono operare alla
stregua delle norme precettive ed integrative vigenti in Europa, è un
112
dato del tutto paradossale per una Corte Suprema che – pressoché isolata tra le Corti europee – è destinataria di una richiesta indiscriminata e non selezionata di interventi, consentita dal legislatore italiano in
una visione di accesso, per tutti e per tutto, che rischia di pregiudicare
proprio la realizzazione dei valori che pur dichiara di voler perseguire.
Un “sistema” delle Giurisdizioni Superiori – nell’architettura disegnata anche da plurimi arresti della Corte europea dei diritti dell’uomo – può funzionare, nell’interesse dei cittadini, che si attendono interpretazioni autorevoli, certe e sollecite delle norme, solo se, con saggezza e realismo, si sappia individuare il punto di equilibrio tra l’interesse dei cittadini ad attivare tali giurisdizioni e la concreta possibilità
del “sistema” di dare risposte rapide ed autorevoli.
L’assenza di meccanismi di “filtro” in senso stretto sta esponendo
l’Italia a sanzioni della Corte europea dei diritti dell’uomo, perché la
giurisdizione di legittimità non riesce ad assicurare quegli standard di
celerità e di efficienza che, altrove, la selezione delle richieste esaminabili ha reso concretamente perseguibili.
Com’è stato recentemente ricordato dal Primo Presidente nella relazione sull’amministrazione della giustizia nell’anno 2007, uno dei
principali freni allo sviluppo produttivo dell’Italia è dato dalla lentezza dei processi, che genera incertezza negli scambi e scoraggia gli investitori. L’introduzione di filtri per l’accesso alla Suprema Corte può
apportare un contributo di semplificazione: riducendo i tempi del processo e riconducendo l’attività del giudice di legittimità alla sua funzione propria ed istituzionale, essa può costituire un fattore di sviluppo, di crescita e di competitività.
Le allegate schede di analisi sulle attribuzioni e sulle regole che
presiedono al funzionamento degli organi di vertice della giurisdizione negli altri Paesi europei offrono alla riflessione dell’interprete alcuni dati significativi.
Il primo elemento di interesse è che il ruolo che i Paesi europei affidano alla Corte Suprema è quello di essere garante della uniforme
applicazione e dei diritti fondamentali dei cittadini, non di presentarsi come giudice di terza istanza.
Coessenziale a questa funzione è la previsione, in quasi tutti gli ordinamenti europei, di limiti alla ricorribilità dinanzi alla Corte Suprema dei provvedimenti dei giudici di merito.
Così accade in Spagna, dove le sentenze di merito sono impugnabili dinanzi al Tribunal Supremo, in materia civile, soltanto quando
hanno ad oggetto la tutela di diritti fondamentali, quando il valore
della causa eccede 150.000 euro o quando la decisione del ricorso pre-
113
senta un “interés casacional” (che sussiste quando la sentenza impugnata si opponga ad una giurisprudenza consolidata del Tribunal Supremo o riguardi questioni sulle quali esiste un contrasto di giurisprudenza presso i giudici di merito o applichi una norma vigente da meno
di cinque anni); e, in materia penale, allorché si giudichi di un reato
punito con pena non inferiore nel massimo a cinque anni.
In Germania, il ricorso per revision al Bundesgerichtshof può essere ammesso, in materia civile, soltanto se il giudice di appello nella
stessa sentenza impugnata o la Corte Suprema, su reclamo in caso di
diniego del primo, hanno stabilito l’impugnabilità della sentenza (Zulassung). Secondo l’art. 543 ZPO, nel testo novellato dalla riforma del
2001, l’impugnazione può avere corso quando la questione di diritto
sia di importanza fondamentale, allorché l’evoluzione del diritto o la
salvaguardia dell’uniformità della giurisprudenza richiedano una decisione della Suprema Corte, o in presenza della violazione di fondamentali principi procedurali. Con tale riforma, il legislatore tedesco
sembra avere optato per una soluzione che, nella tradizionale divaricazione tra jus constitutionis e jus litigatoris, segna infine la prevalenza del primo, fondamentale, interesse pubblico, in termini di “nomofilachia” della Corte Suprema.
Non dissimile si presenta il sistema austriaco: in materia civile, il
ricorso alla Corte Suprema è assoggettato a limitazioni legate al valore dell’oggetto ovvero all’importanza della questione giuridica trattata,
intesa come rilevanza ai fini dei principi dell’unitarietà della giurisdizione o della certezza del diritto, ovvero in relazione all’interpretazione della legge; in materia penale, non è consentito il ricorso avverso le
pronunce dei giudici monocratici delle corti provinciali o distrettuali,
competenti in materia di reati minori.
Il Regno Unito conosce dal 1934 un filtro per l’ammissibilità del
ricorso alla House of Lords: si tratta del leave to appeal, che costituisce
una sorta di autorizzazione preventiva, la quale deve essere concessa
dal giudice a quo o, in caso di suo rifiuto, dalla stessa Corte Suprema,
con la presentazione di una petition. La decisione di dichiarare l’ammissibilità del caso dipende sostanzialmente dal rilievo pubblico generale della questione di diritto sollevata dal ricorso.
Il sistema del leave to appeal caratterizza anche i sistemi svedese,
finlandese e norvegese.
In Francia il ricorso per cassazione è configurato come un rimedio straordinario e la Corte dispone di una procedura semplificata che
le consente di dichiarare non ammessi i ricorsi, quando sono prima
facie inammissibili o non fondati su seri motivi.
114
In Svizzera il ricorso al Tribunale Federale è previsto solo quando
la controversia supera una certa soglia di valore oppure, ove il valore
litigioso non raggiunge l’importo determinato dalla legge, se la controversia concerne una questione di diritto di importanza fondamentale, se la legge federale prevede un’istanza cantonale unica, ovvero
contro le decisioni in materia di fallimento o di concordato.
Non diverso è il sistema polacco che, nelle controversie concernenti il diritto di proprietà o la materia commerciale, prevede un limite di valore per l’accesso alla Corte Suprema.
I dati numerici – anch’essi presenti nelle analitiche schede di lettura – confermano che la previsione di limiti alla ricorribilità dinanzi
alla Corte Suprema, per un verso, evita che quest’organo sia sopraffatto da una eccessiva mole di lavoro e, per l’altro, consente al giudice
di legittimità di dare una risposta di giustizia in tempi celeri.
In Spagna, ad esempio, nell’anno 2007 sono stati iscritti a ruolo
3.519 affari civili e 4.199 affari penali, mentre sono stati emessi, in civile, circa 6.000 provvedimenti (di cui 1.534 sentenze) e, in penale,
4.500 provvedimenti (di cui 1.125 sentenze). In Germania – dove, in
materia civile, tra ricorsi autorizzati e richieste per il leave to appeal
sono stati registrati in entrata 3.404 affari – oltre il 50% dei ricorsi
viene definito entro un anno.
Emerge, infine, dalla lettura delle schede1 che le limitazioni all’acLe schede analitiche esposte nella presente relazione sono state redatte previo interpello dei magistrati della Rete giudiziaria europea di Eurojust, ai quali è stato sottoposto nell’aprile scorso il questionario riportato in nota. Peraltro, solo pochissimi
Paesi hanno fornito le risposte richieste o le hanno corredate delle necessarie informazioni. Conseguentemente, la gran parte dei dati esposti sono il frutto di una ricerca
condotta dai magistrati del Massimario prevalentemente sulla legislazione nazionale
dei Paesi interessati, sulle pubblicazioni in dottrina e sulle informazioni fornite in via
ufficiale dalle stesse Corti Supreme nazionali.
1
Prego rispondere alle seguenti domande riguardanti l’organizzazione della Vostra
Corte Suprema e le caratteristiche del ricorso per cassazione:
1. Organico magistrati (specificando addetti al settore civile e al settore penale)
2. Numero delle Sezioni civili e penali
3. Numero dei ricorsi (penali e civili) all’anno (con riferimento agli ultimi tre anni)
4. Numero delle decisioni (penali e civili) all’anno (con riferimento agli ultimi tre
anni)
5. Esistenza di un filtro preliminare (ammissibilità o altro) dei ricorsi e relativa procedura
6. Sentenze impugnabili per cassazione (in materia penale e civile)
7. Motivi di ricorso (in materia penale e civile)
8. Ricorrenti (parte processuale, difensore, difensore specializzato, altro)
9. Riferimenti normativi (anche costituzionali) ed eventuali riforme in atto che riguardano i temi suddetti (testi in francese o inglese).
115
cesso alle Corti Supreme hanno complessivamente superato il vaglio
di costituzionalità e sono state ritenute non in contrasto con le garanzie del “giusto processo” stabilite dalla Convenzione europea per la
salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali.
2.- Germania.
L’organizzazione del sistema giudiziario della Repubblica Federale tedesca riflette le caratteristiche e le esigenze dello Stato federale. Il
potere giurisdizionale è diviso, in Germania, tra i Länder e la Federazione.
Nella giurisdizione ordinaria, che è uno dei cinque segmenti di
giurisdizione previsti nel sistema giudiziario tedesco, comprensiva del
settore civile e penale, la competenza è divisa, in primo grado, dagli
Amtsgerichte (corti locali) e dai Landsgerichte (tribunali regionali),
questi ultimi con competenze anche in grado di appello. A decidere in
secondo grado sono gli Oberlandesgerichte (corti d’appello regionali).
Il Bundesgerichtshof (Corte federale di giustizia) è posto al vertice della
giurisdizione ordinaria.
L’impugnazione di ultima istanza è il ricorso per cassazione (“revision”). Si tratta di un rimedio riguardante i points of law, diretto a
salvaguardare l’uniformità della giurisprudenza, attraverso la chiarificazione di fondamentali questioni giuridiche. La Corte è vincolata all’accertamento dei fatti come compiuto dai giudici di merito, a meno
che si versi in ipotesi di errori procedurali sufficientemente documentati nell’atto di ricorso.
1. Numero dei magistrati addetti alla Corte Suprema
1.1 Settore civile: 12 presidenti, 12 vice presidenti, 65 consiglieri (Richter)
1.2 Settore penale: 5 presidenti, 5 vice presidenti, 25 consiglieri
(Richter).
2. Numero di Sezioni
2.1 Civile: 12 Zivilsenate
2.2 Penale: 5 Strafsenate
Ogni Sezione (senate) è composta oltre al Presidente, da 6 o 7 giudici. L’udienza è tenuta da cinque giudici.
Vi sono poi 8 sezioni specializzate per materia (Spezialsenate), per
le questioni notarili, agrarie, riguardanti gli avvocati ecc..
116
La composizione delle sezioni, stante il principio costituzionale
del giudice naturale (art. 101 Abs.1 Satz 2 GG), è stabilita all’inizio di
ogni anno giudiziario dal Presiding Committee, composto dal Primo
Presidente e da 10 giudici della Corte.
3. Numero dei ricorsi
3.1 Civile:
Tra ricorsi autorizzati e richieste per il leave to appeal sono stati registrati in entrata: nel 2005 n. 3.233 (di cui 703 per ricorsi autorizzati); nel 2006 n. 3.319 (di cui 700 per ricorsi autorizzati); nel 2007 n.
3.404 (di cui 2.606 per il leave).
3.2 Penale:
Ricorsi per revision ricevuti dalla Corte: nel 2005 n. 2.845; nel
2006 n. 2.863; nel 2007 n. 3.104.
4. Numero di provvedimenti emessi
4.1 Civile:
Nel 2005 sono stati trattati 3.190 ricorsi.
La Corte ha concesso il leave: nel 2005 in 301 casi; nel 2006 in 349
casi (13,4%); nel 2007 in 329 casi (13,3%).
La Corte non ha concesso l’autorizzazione: nel 2005 in 2.275 casi;
nel 2006 in 2.257 casi; nel 2007 in 2.150 casi.
Circa la durata delle procedure: una durata di circa sei mesi
hanno avuto nel 2005 il 6,8%; nel 2006 l’8,3%; nel 2007 il 7,3%. E’ stato
definito nei 12 mesi nel 2005 il 39,6%; nel 2006 il 39,8%; nel 2007 il
43,3%. Hanno superato l’anno nel 2005 il 53,7%; nel 2006 il 51,9%; nel
2007 il 49,4%.
I procedimenti definiti sono stati complessivamente: nel 2005 n.
3.551; nel 2006 n. 3.391; nel 2007 n. 3.134.
Pendenze: nel 2005 n. 3.678; nel 2006 n. 3.606; nel 2007 n. 3.877
ricorsi.
4.2 Penale:
Nel 2005 sono stati trattati 2.907 ricorsi, di cui circa l’80% sono
stati definiti con la procedura di inammissibilità di cui all’art. 349
StPO (ricorsi manifestamente infondati). Nel 2006 sono stati trattati n.
2.936 ricorsi (di cui 2.659 ex art. 349); nel 2007 n. 2.990 (di cui 2.751
ex art. 349). Nel 2005, almeno il 97% di questi ultimi è stato completato in tre mesi; il 98,1% nel 2006 e il 98,1% nel 2007.
Nel 2006 sono stati trattati n. 2.936 ricorsi (di cui 2.659 ex art. 349
cit.), nel 2007 n. 2.990 (di cui 2.751 ex art. 349 cit.).
Dei ricorsi decisi con il rito ordinario nel 2005, il 60% è stato de-
117
finito in tre mesi, il 30% in sei mesi; nel 2006 rispettivamente il 70,3%
e il 25,6%; nel 2007 l’80,9% e il 17%.
Alla fine del 2005 pendevano ancora n. 412, nel 2006 n. 340 e nel
2007 n. 453 ricorsi.
5. Esistenza di un filtro preliminare
5.1 Giurisdizione civile
Secondo l’art. 543 ZPO, il ricorso per «revision» può essere ammesso soltanto se il giudice di appello nella stessa sentenza impugnata o la Corte Suprema, su reclamo in caso di diniego del giudice di appello, hanno stabilito l’impugnabilità della sentenza («Zulassung»).
Già nel 1980, la Corte costituzionale aveva ritenuto che l’ammissione dei ricorsi che non presentavano rilevanza di principio andasse
rifiutata «solo quando privi di ogni speranza di successo». La Corte costituzionale aveva invero riconosciuto la legittimità della procedura di
filtro, purché non finalizzata ad uno scopo meramente deflativo, che
avrebbe lasciato affidata al caso l’ammissione di un ricorso, con l’effetto di creare incertezza e imprevedibilità del diritto, oltre ad una disparità di trattamento nella trattazione delle cause.
I casi di ammissibilità dell’impugnazione sono definiti, a seguito
della riforma del codice di procedura civile del 27 luglio 2001, entrata
in vigore dal gennaio 2002, dal secondo comma dell’art. 543 ZPO:
a) quando la questione di diritto sia di «importanza fondamentale» o b) quando l’evoluzione del diritto o la salvaguardia dell’uniformità della giurisprudenza richiedano una decisione della Suprema
Corte2.
Sussiste la prima condizione in presenza di una questione giuridica che, da un lato, necessita di un chiarimento e, dall’altro, si può presentare in un numero indeterminato di casi, così da essere rilevante
per il futuro.
Relativamente alla seconda ipotesi, si ritiene che sussiste il
<<Fortbildung des Rechts>> quando il caso concreto costituisca l’occasione per affermare nuovi principi di diritto in tema di interpretazione di norme di legge ovvero per integrare dette norme quando ne sussista la necessità (sempre che si tratti di fattispecie tipiche o suscettibili di generale applicazione). Nella definizione legislativa sembra rieDie Revision ist zuzulassen, wenn
1. die Rechtssache grundsätzliche Bedeutung hat oder
2. die Fortbildung des Rechts oder die Sicherung einer einheitlichen Rechtsprechung
eine Entscheidung des Revisionsgerichts erfordert.
2
118
cheggiare e trovare soluzione il tradizionale dibattito continentale intorno alla funzione nomofilattica delle Supreme Corti e ai rapporti tra
jus constitutionis e jus litigatoris, dandosi sicura e netta prevalenza al
primo.
La necessità della tutela della coerenza della giurisprudenza si
presenta invece quando vi sia divergenza tra la decisione del giudice
di merito e la giurisprudenza della Corte Suprema (in tale ipotesi sono
fatti rientrare gli errori sintomatici nell’applicazione del diritto che incidono in modo rilevante sugli interessi della comunità).
La revisione, come chiarito dalla Corte costituzionale3, dev’essere
altresì ammessa in presenza della violazione di fondamentali principi
procedurali (diritto ad essere sentito, diritto ad un processo leale e non
arbitrario, diritto al giudice naturale: rispettivamente previsti dagli
artt. 103, par. 1, 3, par. 1, e 101, par. 1 della Costituzione). In ogni caso,
anche per le ipotesi di errore nell’applicazione della legge processuale,
la revision è ammissibile solo se ci si debba aspettare una ripetizione
dell’errore dallo stesso giudice o da altri giudici.
Con la riforma del 2001, si è inoltre previsto che, in caso di rifiuto della Zulassung da parte del giudice di appello, possa essere impugnato il diniego davanti alla Suprema Corte (art. 544 ZPO «Nichtzulassungsbeschwerde»), con il limite previsto, in via transitoria sino al
2011, che il valore della causa ecceda i E 20.000 (art. 26, n. 8 EGZPO),
non applicabile tuttavia quando il giudice di appello ha rigettato il gravame.
Il sistema di filtro attuato in particolar modo dalla selezione dei
casi in base al rilevo generale della questione è stato sottoposto al vaglio della Corte costituzionale che, con sentenza dell’8 gennaio 2004 (1
BvR 864/03), ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 543 ZPO4. La Corte ha ricordato che la Costituzione federale non impone la previsione di un meccanismo che garantisca l’accesso all’impugnazione, lasciando invece libero il legislatore di regolare le ulteriori istanze. La Corte costituzionale in merito
al rilevo della vaghezza della nozione di «questione di importanza fondamentale», ha giustificato con il breve tempo trascorso il fatto che la
Corte suprema non era ancora riuscita a fornire una interpretazione
uniforme su tale condizione di ammissibilità dei ricorsi, pur avverten3
Beschluss des Plenums des Bundesverfassungsgerichts, 1 PbvU 1/02, 30 aprile
2003.
http://www.bundesverfassungsgericht.de/entscheidungen/rk20040108_1bvr086403.html.
4
119
do che a divergenti conclusioni dovrà pervenirsi qualora la stessa
Corte non sarà capace di rendere “riconoscibili”, in termini concreti,
le condizioni di accesso5.
Circa la procedura, la Corte Suprema, come prevede l’art. 552
ZPO, esamina («Zulässigkeitsprüfungse») se il ricorso è autorizzato e
se è presentato nelle forme e nei tempi previsti. In caso contrario, rigetta con ordinanza il ricorso, dichiarandolo inammissibile.
Se di norma la Corte suprema è vincolata all’autorizzazione data
dal giudice di appello, con una riforma del 2004 si è inteso evitare che
di fronte ad una erronea decisione di ammissibilità la Corte stessa dovesse completamente istruire il ricorso. Con l’art. 552 A ZPO si prevede infatti che la Corte può emettere, con decisione unanime, un’ordinanza di rigetto del ricorso già autorizzato, se mancano le condizioni
di ammissibilità e il ricorso non ha chance di successo.
Un’ulteriore modifica introdotta dal primo gennaio 2005 (art. 544
Abs.7 ZPO) ha semplificato la trattazione da parte della Corte Suprema dei casi di ammissibilità dei ricorsi in cui sia denunciata la violazione del diritto al fair hearing. Non è invero più necessario procedere
alla successiva trattazione in un’udienza, in quanto la Corte con lo
stesso provvedimento con cui ammette il ricorso, dispone la cassazione ed il rinvio degli atti al giudice di merito.
5.2. Giurisdizione penale
Il ricorso dev’essere depositato presso il giudice a quo (art. 345
StPO), che deve valutarne l’ammissibilità sotto il profilo della tempestività e dei requisiti formali (art. 346 StPO). Contro l’eventuale decisione negativa, è prevista la possibilità di investire la Corte ad quem.
Se la Corte ritiene il ricorso inammissibile, può emettere un’ordinanza senza tenere l’udienza (art. 349 StPO). Se è il pubblico ministero a chiederlo, la Corte può all’unanimità dichiarare con ordinanza –
a seguito di un contraddittorio cartolare - inammissibile un ricorso
manifestamente infondato. Allo stesso modo decide (ovvero con ordinanza senza una pubblica udienza) quando considera il ricorso dell’imputato manifestamente fondato.
6. Provvedimenti impugnabili per cassazione
6.1 Giurisdizione civile
Sono impugnabili per «revision» tutti provvedimenti emessi in
grado di appello dai Landgericht e Oberlandesgericht (art. 542,
5
120
Nello stesso senso 1 BvR 2262/03 del 9 marzo 2004.
comma 1 ZPO). A seguito della riforma del codice di procedura civile
del 2001, sono stati abrogati i limiti di valore (la revision era consentita solo se l’ammontare della controversia era superiore a DM 60.000
«Wertrevision»).
La riforma ha sostanzialmente inciso sul processo civile, rinforzando il primo grado e ridisegnando in maniera sostanziale i tre mezzi
di impugnazione previsti dal codice (l’appello per motivi di diritto e di
fatto «Berufung»6, l’appello di solo diritto «revision» e l’appello misto
«Beschwerde»).
Il termine per l’impugnazione davanti alla Corte è di un mese (art.
548 ZPO).
Sono altresì impugnabili per “Rechtsbeschwerde” i provvedimenti
secondari (in materia di esecuzione, costi, insolvenza, ecc.).
6.2 Giurisdizione penale
Il sistema tedesco prevede 4 istanze di giurisdizione. A livello di
Lander: Amtsgericht, Landgericht, Oberlandesgericht, e a livello nazionale: Bundesgerichthof.
L’Amtsgericht e il Landgericht sono competenti in primo grado a
seconda della gravità del reato, il Landgericht a sua volta è giudice di
appello per i reati giudicati in primo grado dall’Amtsgericht. L’Oberlandesgericht è competente per i reati contro lo Stato e come giudice
di cassazione per quelli giudicati in appello dal Landgericht. Va evidenziato che l’appello è un giudizio di merito ex novo, nel quale il processo viene praticamente ricelebrato.
Contro le decisioni di primo grado del Landgericht e dell’Oberlandesgericht non è ammesso appello, ma solo il ricorso per cassazione
davanti al Bundesgerichthof.
Il ricorso per cassazione è ammesso contro le decisioni in grado di
appello.
Il termine per depositare un ricorso per cassazione è di una settimana. L’impugnazione ha sempre effetto sospensivo (artt. 316 e
343 stPo).
7. Motivi di ricorso
7.1. Giurisdizione civile
Motivo generale (Revisionsgründe) di ricorso è la violazione di
legge (Gesetzesverletzung) (art. 545 ZPO), che, per espressa indicazioLo standard è stato ridotto da una completa reexamination del caso alla correzione di errori fatti in prima istanza.
6
121
ne (art. 546 ZPO), consiste nella mancata o erronea applicazione di
una norma giuridica. Il ricorso deve comunque riguardare la violazione di una legge o regolamento federale, la cui applicazione deve andare al di là del distretto del giudice di appello7.
E’ ammissibile pertanto solo il ricorso che presenti un interesse
generale, nel senso che la questione di diritto sottoposta alla Corte
deve eccedere i limiti del caso singolo. Inoltre, l’erronea applicazione
della legge da parte del giudice deve presentarsi suscettibile di ripetizioni.
Affinché l’istanza sia accolta, la violazione deve essere in rapporto
di causalità con il contenuto della sentenza impugnata8. Vi sono peraltro casi in cui il codice considera sempre rilevante una violazione di
legge, quali “cause assolute di revisione” (art. 546 ZPO): si tratta di vizi
di procedura, quali la non corretta composizione dell’organo giudicante, la violazione del principio di pubblicità, i vizi di competenza, la
mancata rappresentanza in giudizio, la mancanza di motivazione, ecc.
I vizi della procedura non possono in ogni caso essere dedotti per
la prima volta in cassazione (art. 556 ZPO).
7.2 Giurisdizione penale
Unico motivo è la violazione di legge (art. 337 StPO), intesa come
mancata od erronea applicazione di una norma giuridica.
Anche per la materia penale, il codice individua casi tipici di violazione di legge (art. 338 StPO), quali la irregolare composizione dell’organo giudicante, vizi delle notificazioni, vizi della sentenza, mancanza di giurisdizione o incompetenza, violazione del diritto di difesa,
ecc.
Come per la materia civile, il ricorrente deve specificare le circostanze dalle quali discende la violazione (art. 344 StPO).
8. Ricorrenti
8.1 Giurisdizione civile
Le parti devono essere assistite da avvocati specializzati (art. 78
ZPO), il cui numero è attualmente di 31 unità.
8.2 Giurisdizione penale
Sia l’imputato che il pubblico ministero possono ricorrere per cas7
Die Revision kann nur darauf gestützt werden, dass die Entscheidung auf der Verletzung des Bundesrechts oder einer Vorschrift beruht, deren Geltungsbereich sich über
den Bezirk eines Oberlandesgerichts hinaus erstreckt.
8
In base all’art. 564 ZPO, la Corte non deve motivare il rigetto se le irregolarità
del procedimento non sono sostenute nel ricorso da buone ragioni.
122
sazione. Il pubblico ministero può impugnare sia a vantaggio che a
svantaggio dell’imputato.
9. Normativa di riferimento
L’art. 19, par. 4 della Legge fondamentale stabilisce che «should
any person’s rights be violated by public authority, he may have recourse to the courts. If no other jurisdiction has been established, recourse
shall be to the ordinary courts».
Per il resto, la Costituzione lascia al legislatore piena libertà sulla
disciplina dei mezzi di impugnazione e dei filtri da introdurre per limitare l’accesso in ultima istanza. Peraltro, tali limiti devono salvaguardare il principio di eguaglianza e del giudice precostituito per
legge, il principio ad essere sentito in giudizio e la certezza del diritto.
3.- Austria.
L’art. 92 comma 1 della Costituzione Federale Austriaca statuisce
che la Corte Suprema costituisce la Corte di ultima istanza in materia
civile e penale. Nell’ambito del sistema costituzionale austriaco la
Corte Suprema rappresenta, dunque, la massima istituzione della giurisdizione ordinaria, ma i principi costituzionali di riferimento non
impongono che sia assicurata in tutti i casi una garanzia di ricorso alla
Corte medesima.
1. Numero dei magistrati addetti alla Corte Suprema
1.1 Settore civile: 41
1.2 Settore penale: 16
Vi sono inoltre 35 “Assistenti”
2. Numero di Sezioni
2.1 Civile: 11, oltre a quella che svolge funzioni in materia di procedimenti anti-trust.
2.2 Penale: 5
3. Numero dei ricorsi
3.1 Civile: nel 2005 n. 2992; nel 2006 n. 2799; nel 2007 n. 2688
3.2 Penale: nel 2005 n. 712; nel 2006 n. 720; nel 2007 n. 820
4. Numero di provvedimenti emessi
4.1 Civile: nel 2005 n. 2959; nel 2006 n. 2796; nel 2007 n. 2681
4.2 Penale: nel 2005 n. 653; nel 2006 n. 721; nel 2007 n. 793
123
5. Esistenza di un filtro preliminare
Nella legislazione in vigore è dato riscontrare una serie di disposizioni che limitano l’accessibilità al giudizio di legittimità, la cui finalità sembra dettata dalla necessità di evitare che la Corte Suprema
possa essere sopraffatta dall’eccessiva mole di lavoro e che sia quindi
posta gravemente a repentaglio la sua funzione nomofilattica nei confronti di tutte le corti ordinarie.
5.1 Giurisdizione civile (Sezioni da 502 a 513 Zivilprozessordnung – ZPO)
Il ricorso alla Corte Suprema è assoggettato a limitazioni legate al
valore dell’oggetto ovvero all’importanza della questione giuridica
trattata, intesa come rilevanza ai fini dei principi dell’unitarietà della
giurisdizione o della certezza del diritto, ovvero in relazione allo sviluppo del diritto, con ciò attribuendo importanza decisiva al ruolo
della Corte nell’evoluzione del diritto e dell’ordinamento.
Il limite all’ammissibilità dell’impugnazione relativamente al valore della causa è inderogabilmente fissato in 4.000 euro.
Al di là di tale limite, l’ammissibilità del ricorso ordinario alla
Corte Suprema viene, poi, valutata attraverso un esame compiuto
dalla corte di appello, la quale, considerati tutti gli elementi che le disposizioni di legge impongono, emette una formale dichiarazione di
ulteriore ricorribilità.
Allorché sia intervenuto il giudizio di ammissibilità, emesso dalla
corte di appello, la parte ricorrente non ha l’obbligo di specificare le
ragioni per le quali la violazione di legge è rilevante ai fini della tutela
dei principi dell’unitarietà della giurisdizione o della certezza del diritto ovvero in relazione allo sviluppo del diritto.
E’ tuttavia contemplato un ricorso straordinario alla Corte, in difetto della dichiarazione di ammissibilità da parte della corte di appello. In tal caso la parte ha l’onere di specificare analiticamente i motivi che, diversamente da quanto indicato dalla corte di appello, rendono ammissibile il ricorso. I motivi devono, comunque, anche in questo caso essere relativi a vizi di violazione di legge che siano rilevanti
ai fini della tutela dei principi dell’unitarietà della giurisdizione o della
certezza del diritto ovvero in relazione all’interpretazione della legge.
5.2. Giurisdizione penale
Va precisato che avverso le pronunce dei giudici “monocratici”
delle corti provinciali o distrettuali, competenti in materia di reati minori, non è consentito il ricorso alla Corte Suprema.
Allo stesso modo non è prevista la ricorribilità per tutte quelle pronunce (Beschlüsse) che non possono essere qualificate come “verdet-
124
to”, non assistite cioè dal carattere della decisorietà, salvo che non si
tratti di decisioni che abbiano leso comunque diritti fondamentali, per
le quali è prevista una specifica impugnazione per tale motivo (Grundrechtsbeschwerde) e salva comunque la possibilità per il Procuratore
Generale di proporre ricorso nell’interesse della legge.
6. Provvedimenti impugnabili per cassazione
6.1 Giurisdizione civile
In materia civile la Corte esercita la propria giurisdizione, in
punto di legittimità, sulle impugnazioni avverso decisioni delle corti di
appello in grado unico, ovvero avverso pronunce delle corti di appello
rese in secondo grado, siano esse di riforma o conferma di quelle di
primo grado, nonchè avverso decisioni in rito pronunciate sempre
dalle corti di appello.
6.2 Giurisdizione penale
In materia penale vi sono due tipi di impugnazioni proponibili
avverso decisioni delle corti. Il primo riguarda le pronunce emesse
dalle corti in cui siedono giudici non professionali (Schöffengerichte)
od in cui sia presente una giuria popolare (Geschworenengerichte) e
che possono essere censurate attraverso un’impugnazione per nullità
(Nichtigkeitsbeschwerde), sulla quale è la Corte Suprema a pronunciarsi, anche relativamente alle statuizioni concernenti le pene inflitte e le azioni civili consequenziali. Sono contemplati i ricorsi proposti dal Procuratore Generale nell’interesse della legge e dei diritti fondamentali.
La seconda categoria di impugnazioni concerne l’appello contro le
decisioni delle corti provinciali di seconda istanza.
7. Motivi di ricorso
7.1. Giurisdizione civile
In materia civile il ricorso alla Corte Suprema può essere proposto soltanto per motivi attinenti alla violazione di legge, sia sostanziale che processuale, nel mentre non è ammissibile alcuna impugnazione in punto di merito.
I motivi devono, comunque, essere relativi a vizi di violazione di
legge che siano rilevanti ai fini della tutela dei principi dell’unitarietà
della giurisdizione o della certezza del diritto ovvero in relazione all’interpretazione della legge.
7.2 Giurisdizione penale
Per quanto concerne i procedimenti penali, sempre ammissibile è
il ricorso relativo a vizi procedurali, nel mentre i motivi per interpor-
125
re il ricorso per nullità, analiticamente enunciati dalla Section 281 del
codice di procedura penale - Strafprozessordnung StPO - riguardano
per la maggior parte vizi di legittimità, ma risultano previsti anche un
limitato numero di motivi che attengono al merito delle decisioni impugnate.
Il ricorso per motivi attinenti alla certezza del diritto coinvolge,
senza dubbio, soltanto questioni di legittimità.
8. Ricorrenti
8.1 Giurisdizione civile
Nel processo civile sono legittimati le parti e, se esistenti, gli interventori.
8.2 Giurisdizione penale
Nel processo penale il ricorso in favore dell’imputato può essere
proposto dall’imputato medesimo, dai suoi ascendenti e discendenti,
nonché dal suo difensore o dal Pubblico Ministero.
Il ricorso può essere proposto anche contro la volontà dell’imputato nel caso si tratti di minori e la volontà di impugnare provenga dai
genitori o dal legale rappresentante.
L’impugnazione a sfavore dell’imputato può invece essere proposta soltanto dal Pubblico Ministero o, in casi limitati, da alcune parti
private (Privatbeteiligter), che siano state autorizzate a costituirsi.
L’impugnazione nell’interesse della legge può essere proposto soltanto dal Procuratore Generale.
La proposizione dell’impugnazione per violazione dei diritti fondamentali è consentita alla persona i cui diritti inviolabili si assumono violati.
4.- Spagna.
In primo grado la giurisdizione, estesa a più municipi, è esercitata nel settore civile in prima istanza dai juzgados de primera instancia. Nel settore penale operano: juzgados de istruccion e de lo
penal, juzgados de menores, juzgados de vigilancia penitenciaria. Nelle
municipalità in cui non sono presenti i juzgados de primera instancia
e istruccion operano i juzgados de paz. A livello provinciale la competenza è delle Audiencias provinciales, organi collegiali di seconda
istanza. Ogni comunità autonoma ha un proprio Tribunal superior de
justicia (si tratta di organi posti al vertice dell’ordinamento autonomistico).
126
Due corti hanno giurisdizione estesa a tutto il territorio nazionale: il Tribunal supremo (corte di cassazione, con competenza estesa alla
materia civile, penale, sociale e amministrativa) e la Audiencia nacional (corte nazionale, con specifiche competenze in materia penale,
amministrativa e del lavoro).
1. Numero dei magistrati addetti alla Corte Suprema
1.1 Settore civile: 1 Presidente, 9 magistrati titolari e 4 magistrati emeriti
1.2 Settore penale: 1 Presidente, 13 magistrati titolari e 4 magistrati emeriti
2. Numero di Sezioni
2.1 Civile: non esistono sezioni predeterminate. Il collegio è formato da tre giudici.
2.2 Penale: come sopra. Il collegio è formato da tre o cinque giudici, a seconda dell’importanza del caso. Secondo un recente
provvedimento (2007) della «Junta General de Magistrados»,
tutti i casi devono essere trattati da sezioni di 5 magistrati.
3. Numero dei ricorsi (i dati statistici sono stati forniti dal Gabinetto tecnico del Tribunale Supremo).
3.1 Civile: nel 2005, n. 4251; nel 2006, n. 3603; nel 2007, n. 3519.
3.2 Penale: nel 2005, n. 4355; nel 2006, n. 4345; nel 2007, n.
4.199
4. Numero di provvedimenti emessi (i dati statistici sono stati
forniti dal Gabinetto tecnico del Tribunale Supremo).
4.1 Civile: nel 2005, 1005 sentenze e 4902 ordinanze; nel 2006,
1340 sentenze e 4232 ordinanze; nel 2007, 1534 sentenze e
5.480 ordinanze.
Ordinanze (autos) di inammissibilità: circa il 90% delle ordinanze
sono di inammissibilità, pertanto la percentuale rispetto al totale è del
74,48% nel 2005, del 68,19% nel 2006 e del 69,86% nel 2007.
4.2 Penale: nel 2005, 1698 sentenze e 3732 ordinanze; nel 2006,
1321 sentenze e 3026 ordinanze; nel 2007, 1125 sentenze e
3311 ordinanze.
Ordinanze di inammissibilità: circa il 90% delle ordinanze sono di
inammissibilità, pertanto la percentuale rispetto al totale è del 60,77%
nel 2005, del 62,11% nel 2006 e del 67,62% nel 2007.
127
5. Esistenza di un filtro preliminare
5.1 Giurisdizione civile
Nella cassazione civile (al pari di quella che si occupa del contenzioso amministrativo) esiste un primo vaglio sull’ammissibilità del ricorso. Esso è previsto dagli artt. 483 e 485 della Ley de Enjuiciamiento Civil (LEC).
Sono causa di inammissibilità:
- la non ricorribilità della sentenza impugnata,
- la mancanza del ricorso dei requisiti richiesti dalla legge,
- la mancanza di competenza della camera,
- la mancanza di interesse cassazionale per l’inesistenza di un contrasto a giurisprudenza consolidata, per assenza di un contrasto giurisprudenziale o se la norma da applicarsi è vigente da più di 5 anni, o se,
a giudizio della corte, esiste giurisprudenza del Tribunale supremo sull’applicazione della norma in questione o su altra anteriore di portata
eguale o similare, o esiste sulla questione una giurisprudenza sufficiente.
L’inammissibilità è pronunciata con ordinanza non ricorribile.
5.2 Giurisdizione penale
Diverso è il regime. Non esiste un filtro preliminare. La Corte valuta l’ammissibilità e la fondatezza del ricorso (art. 882 LECrim).
L’inammissibilità è pronunciata con ordinanza ed è regolata dagli
artt. 884 e 885 della Ley de Enjuiciamiento Criminal (LECrim).
Sono causa di inammissibilità:
1) la mancanza manifesta di fondatezza,
2) quando il T.S. ha già dichiarato inammissibili ricorsi sostanzialmente uguali,
3) se il ricorso riguarda casi diversi da quelli consentiti (artt. 849
e 850 LECrim),
4) se la sentenza non è impugnabile,
5) se le allegazioni del ricorrente non rispettano i fatti che la sentenza ha dichiarato come provati o se le allegazioni giuridiche siano in
notoria contraddizione o incongruenza con gli stessi, salvo che sia allegato un documento che evidenzi l’errore in tali fatti,
6) quando non sono stati osservati i requisiti formali per la preparazione e presentazione del ricorso.
L’inammissibilità riguarda circa il 60% dei ricorsi presentati.
6. Provvedimenti impugnabili per cassazione
6.1 Giurisdizione civile
Sono ricorribili per cassazione (art. 477 LEC) le sentenze di secondo grado delle Audiencias Provinciales quando:
128
1º hanno ad oggetto la tutela civile di diritti fondamentali, salvo
quelli indicati dall’art. 24 della Costituzione 9;
2º il valore della causa eccede 150.000 euro;
3º la decisione del ricorso presenta un “interés casacional”, che
sussiste quando la sentenza impugnata si opponga a giurisprudenza
consolidata del T.S. o riguardi questioni sulle quali esiste un contrasto
nella giurisprudenza delle Audiencias Provinciales o applichi norma
vigente da meno di 5 anni, sempre che in quest’ultimo caso non esista
già una giurisprudenza del T.S. su norme anteriori di contenuto uguale o similare.
6.2 Giurisdizione penale
Nel sistema attuale (del quale è in corso uno studio di modifica)
esiste un triplice regime di impugnazione:
1) solo ricorso per cassazione: nei casi in cui la pena edittale prevista per il reato sia superiore ai 5 anni di detenzione o 10 di misura
privativa di altri diritti. In prima istanza è competente la Audiencia
Provincial;
2) solo ricorso in appello: nei casi in cui la pena edittale è inferiore a quella indicata al punto 1). In prima istanza è competente il Tribunale penale (Juzgado de lo Penal) e in secondo grado la Audiencia
Provincial, la cui sentenza non è impugnabile per cassazione;
3) sistema di appello e cassazione: per taluni delitti è previsto il ricorso in appello e di seguito in cassazione. Il collegio è composto da 1
presidente togato e da 9 giudici popolari. In grado di appello è competente il Tribunale Superiore di giustizia.
Sulla base del sistema così descritto, attualmente, salvo motivi di
connessione, la Corte suprema si occupa soltanto di reati puniti con
pena non inferiore nel massimo a 5 anni di detenzione (o 10 anni se si
tratta di pena non carceraria).
9
Artículo 24.
1. Todas las personas tienen derecho a obtener la tutela efectiva de los que jueces y
tribunales en el ejercicio de sus derechos e intereses legítimos, sin que, en ningún caso,
pueda producirse indefensión.
2. Asimismo, todos tienen derecho al Juez ordinario predeterminado por la Ley, a la
defensa y a la asistencia de letrado, a ser informados de la acusación formulada contra
ellos, a un proceso público sin dilaciones indebidas y con todas las garantías, a utilizar
los medios de prueba pertinentes para su defensa, a no declarar contra sí mismos, a no
confesarse culpables y a la presunción de inocencia.
La Ley regulará los casos en que, por razón de parentesco o de secreto profesional,
no se estará obligado a declarar sobre hechos presuntamente delictivos.
129
7. Motivi di ricorso
7.1. Giurisdizione civile:
Si distinguono le violazioni di legge e le violazioni processuali.
A) Esiste un unico motivo per le violazioni di legge (art. 477 LEC):
violazione di nome giuridiche applicabili per risolvere le questioni oggetto del processo.
B) Le violazioni processuali (art. 469 LEC) si distinguono in:
1º violazione delle norme sulla giurisdizione o sulla competenza
per materia o funzionale;
2º violazione delle norme processuali relative alla decisione;
3º violazione delle norme giuridiche che governano gli atti e le garanzie del processo quando la violazione determina una nullità prevista dalla legge o è idonea a determinare una violazione del diritto di
difesa;
4º violazione, nel processo civile, di diritti fondamentali riconosciuti dall’art. 24 della Costituzione.
Si procede al ricorso straordinario per violazioni processuali solo
se il vizio è stato denunciato nelle istanze precedenti. Se il gravame attiene a violazione di diritti fondamentali e ha causato vizi sanabili,
deve essere stata richiesta nelle stesse istanze la loro sanatoria.
7.2 Giurisdizione penale
I motivi di ricorso possono raggrupparsi in tre categorie:
a) violazioni di diritti fondamentali (diritto di difesa, mancanza
di motivazione della sentenza, riservatezza, inviolabilità del domicilio, tutela giudiziaria effettiva, ecc., previsti dagli artt. da 14 a 29 della
Costituzione). In questo caso, dopo la sentenza della Corte suprema è
consentito esperire un ulteriore ricorso (“recurso de amparo”) davanti al Tribunal Constitucional e poi alla Corte europea per i diritti dell’uomo.
b) violazioni di legge: l’art. 849 della legge prevede 2 motivi. Il
primo riguarda ogni precetto penale o non, con carattere sostanziale.
L’altro riguarda il caso in cui esiste un errore nella valutazione della
prova basata su “documenti” che dimostrino l’errore del giudice e non
siano in contraddizione con altri elementi probatori. Si tratta dell’unico caso in cui è consentita la valutazione dei fatti provati nella sentenza.
Peraltro, è consentito allegare solo documenti con le seguenti caratteristiche:
- devono essere documenti che, ai sensi dell’art. 26 del Código Penal,
supportino materiale che esprime o incorpora dati, fatti, o descrizione
con efficacia probatoria o con altro tipo di rilevanza giuridica;
130
- non devono essere documenti del procedimento, con esclusione pertanto di atti che documentino prove raccolte oralmente al processo;
- devono essere autosufficienti, nel senso che non devono essere
completati con altri mezzi di prova;
- infine, i documenti non devono essere contraddetti da altre prove
utilizzate dal tribunale nella adozione della decisione.
c) Violazioni di forma, distinte in vizi del processo e vizi della sentenza.
I vizi del processo, previsti dall’art. 850 della Ley, riguardano:
- la mancata assunzione di una prova rilevante;
- l’omessa citazione delle parti per il giudizio orale, salvo che le
stesse compaiono all’udienza indicata nella citazione;
- la decisione del presidente della corte di escludere che un testimone risponda su domande a lui dirette, che sono pertinenti e di influenza manifesta nel processo;
- la valutazione di una domanda come suggestiva, capziosa e non
rilevante, sempre che la stessa abbia importanza per il risultato del
giudizio;
- la decisione del tribunale di continuare il giudizio per le parti
comparse in caso di contumacia di altri correi, sempre che esista un
motivo fondato che si opponga alla separazione o se è stata dichiarata erroneamente la contumacia.
In ordine ai vizi della sentenza, l’art. 851 della Ley contempla i seguenti motivi:
- la sentenza non esprime chiaramente i fatti provati o risulta manifestamente in contraddizione con questi o considera come fatti provati concetti, che per il loro carattere giuridico, implicano una «predeterminación del fallo»;
- la sentenza dichiara che i fatti allegati dalla parte dell’accusa non
sono stati provati, senza far riferimento a quelli che risultano provati;
- la sentenza non risolve tutti i punti che hanno fatto oggetto dell’imputazione o della difesa;
- la sentenza condanna l’imputato per un delitto più grave di quello contestato, senza che sia stata esperita la procedura di modifica
della contestazione ex art. 733;
- la sentenza è stata pronunciata da un numero inferiore di magistrati di quelli previsti o è stata approvata con una votazione non
conforme alla legge;
- la sentenza è stata pronunciata da un magistrato, la cui istanza
di ricusazione, presentata a termini di legge, è stata rigettata.
131
8. Ricorrenti
8.1 Giurisdizione civile
Possono ricorrere le parti attrici e convenute nel processo.
8.2 Giurisdizione penale
Possono ricorrere (art. 854 LECrim): il Pubblico Ministero (Ministerio Fiscal), che ha preso parte al procedimento, le persone condannate, i loro eredi.
Le parti civili (intervenienti nel processo solo per reclamare la responsabilità civile derivante dal reato) possono ricorrere limitatamente alle statuizioni civili.
9. Normativa di riferimento e riforme
9.1 Normativa
L’art. 123 della Costituzione prevede che il Tribunal Supremo, con
giurisdizione su tutta la Spagna, è un organo giurisdizionale superiore, in tutte le materie, salvo quanto disposto in materia di garanzie costituzionali.
La Costituzione (art. 53) riconosce al cittadino il diritto al ricorso
(recurso de amparo) davanti alla Corte costituzionale per la tutela dei
diritti e libertà fondamentali previste dalla stessa Costituzione.
Il ricorso per cassazione civile è regolato dalla Ley de Enjuciamiento Civil, vigente dal 7 gennaio 2000, dagli articoli da 468 a 489.
Il ricorso per cassazione penale è regolato dalla Ley de Enjuiciamiento Criminal, dagli articoli da 847 a 953.
9.2. Progetti di riforma
Nella passata legislatura, il Consiglio dei Ministri del 14 dicembre
2005 ha approvato e rimesso alle Corti generali il «Progetto di legge
organica n. 121 del 1969» per adattare la legislazione processuale alla
legge organica del 1° luglio 1985 n. 6, sull’organizzazione giudiziaria,
così da riformare il ricorso per cassazione ed estendere il doppio
grado di giudizio penale. Dopo le elezioni politiche del marzo 2008,
non è dato sapere se tale progetto, che apporta una fondamentale modifica al sistema dei ricorsi civili e soprattutto penali, sarà realizzato.
In penale, tale progetto estende a tutti i reati l’appello. Non solo
quindi alle sentenze del giudice penale, ma anche a quelle delle Audiencias Provinciales.
Con l’estensione dell’appello, la Corte suprema assume quindi il
ruolo di istanza di unificazione della giurisprudenza in tutte le materie (la funzione del Tribunal Supremo «como órgano jurisdiccional superior y garante de la unidad de doctrina en todos los órdenes jurisdiccionales»), mentre sarà sviluppata dai Tribunales Superiores de Justi-
132
cia «una función casacional en todas las ramas del Derecho Autonómico».
In sostanza, secondo il progetto:
1- l’appello viene esteso a tutte le decisioni di primo grado, così da
escludere il ricorso per cassazione dall’esame delle questioni di fatto.
Attualmente, la possibilità che in cassazione si valutino le questioni
concernenti la valutazione della prova si ricollega: o al meccanismo di
cui all’art. 849, co. 2 (quando c’è stato un errore nella valutazione della
prova, basato su documenti che da soli dimostrino l’errore del giudice, senza risultare contraddetti da altri elementi probatori); o alla presunzione di innocenza; o mediante la verifica del ragionamento operato in caso di prova indiziaria; o mediante l’applicazione dei canoni
stabiliti dal Tribunale Supremo e dal Tribunale costituzionale per assegnare valore a determinati mezzi di prova; o, infine, mediante la revisione in cassazione di sentenze che riguardano elementi interni o sostanziali del reati (ad es. volontarietà di uccidere o di offendere, destinazione della droga, ecc.).
2- La ricorribilità per cassazione non si estende a tutte le sentenze di secondo grado: sono escluse quelle emesse dalle Audiencias Provinciales per pene che non eccedono i 3 anni.
3- I motivi di ricorso ruotano sul contrasto della decisione con la
giurisprudenza del Tribunale Supremo o del Tribunale costituzionale.
Peraltro, la violazione di una norma costituzionale è sempre direttamente censurabile per cassazione davanti al TS.
4- E’ limitato il vaglio del TS alle sole questioni di diritto, rafforzandone la giurisprudenza con la previsione del precedente vincolante; si dispone infatti che «i giudici e i Tribunali applichino le leggi e i
regolamenti in conformità con la interpretazione uniforme e costante
del TS».
5.- Francia.
Sono presenti due gradi di giudizio di merito ed una terza istanza
limitata alle sole questioni di diritto. Al vertice dell’ordine giudiziario
è posta la Corte di cassazione (Cour de cassation), l’ordine amministrativo è invece sottoposto al controllo del Consiglio di Stato (Conseil
d’Etat).
Il ricorso per cassazione è una impugnazione straordinaria – stante l’originaria funzione politica e non giurisdizionale della Corte di
cassazione - limitata alle sole questioni di diritto.
133
L’art. L 411- 2 del Codice dell’organizzazione giudiziaria prevede
infatti che «la Cour de cassation ne connaît pas du fond des affaires,
sauf disposition législative contraire» e l’autorizza soltanto a verificare
se la legge è stata correttamente applicata ai fatti constatati nella decisione impugnata.
La Corte può essere investita anche da un giudice competente in
materia civile sulla base di una domanda (saisine pour avis), diretta a
porre una questione pregiudiziale di diritto su materie nuove, che
presenti una certa difficoltà e possa riguardare numerosi contenziosi
(art. L 151-1 del codice dell’organizzazione giudiziaria e art. 1031-1 e
ss. c.p.c.).
1. Numero dei magistrati addetti alla Corte Suprema
1.1 Settore civile: 1 Presidente, 1 consigliere anziano per ogni
sezione, 81 consiglieri, 65 consiglieri referendari, 10 consiglieri applicati.
1.2 Settore penale: 1 Presidente e 1 consigliere anziano, 28 consiglieri e 9 consiglieri referendari.
2. Numero di Sezioni
2.1 Civile: 5 sezioni (di cui una sociale e una commerciale). Ciascuna camera è composta da 1 Presidente, 1 consigliere anziano, da consiglieri e consiglieri referendari. A sua volta la
camera è divisa in sezioni. Quando giudica in formazione ristretta (ammissibilità del ricorso), la sezione è composta da
tre giudici. In formazione ordinaria è composta da almeno
cinque giudici deliberanti, o, su decisione del suo presidente,
può deliberare in formazione plenaria, con tutti i membri
della camera, quando la decisione riguarda una questione difficile o che potrebbe comportare una modifica della giurisprudenza.
2.2 Penale: una sezione, composta come sopra.
3. Numero dei ricorsi
3.1 Civile: nel 2005, n. 18830; nel 2006, n. 19034; nel 2007, n.
18232.
In materia civile, il numero dei ricorsi aveva conosciuto un leggero aumento nel 2006, poi contenuto nel 2007. Quest’evoluzione è stata
spiegata dal Primo Presidente con la diminuzione del contenzioso in
materia «prud’homal» (contratti di lavoro), a seguito dell’estensione
anche a tale settore, dal 2005, della difesa tecnica obbligatoria, da
134
parte degli avvocati abilitati presso il Consiglio di Stato e la Corte di
cassazione, che consente a monte di limitare il numero dei ricorsi. Le
materie dispensate dal ministero di un avvocato al Consiglio di Stato
ed alla Corte di cassazione rappresentano, attualmente, quasi il 50%
del contenzioso sottoposto alla Corte di cassazione.
3.2 Penale: nel 2005, n. 7765; nel 2006, n. 9205; nel 2007,
n. 7963.
4. Numero di provvedimenti emessi
4.1 Civile: nel 2005, n. 24776; nel 2006, n. 22461; nel 2007, n.
20354. In materia civile, nel 2007 si è registrata una tendenza
alla diminuzione dei tempi di attesa della trattazione di un ricorso (il termine medio delle procedure è di 16 mesi), grazie
alla riduzione di ufficio dei termini di deposito delle memorie delle parti ordinata dal Primo Presidente, sulla base dell’art. 1009 c.p.c., applicabile ai casi in cui la natura dell’affare
giustifica un esame accelerato. Il termine medio delle procedure penali nel 2007 è stato di 138 giorni.
4.2 Penale: nel 2005, n. 7826; nel 2006, n. 9047; nel 2007,
n. 8468.
5. Esistenza di un filtro preliminare
Dal 15 giugno 2001, la Corte di cassazione dispone, sul modello
del Consiglio di Stato, di una procedura semplificata che le consente
di dichiarare non ammessi i ricorsi, senza motivazione, quando sono
prima facie inammissibili o non fondati su seri motivi.
Questa procedura di inammissibilità è tuttavia attuata differentemente dinanzi alla Corte di cassazione: il principio del contraddittorio
è rispettato a monte, poiché le parti producono le loro memorie, ed il
relatore, che redige un documento unico, contenente la relazione ed il
parere di rifiuto, è dispensato soltanto dalla redazione di un progetto
di sentenza. Questa relazione è comunicata alle parti, che sono quindi poste a conoscenza delle ragioni dell’orientamento di non ammissione.
In materia civile, nel 2007 il 14% delle procedure sono state definite in formazione ordinaria (nel 2006 il 16%, nel 2005 il 18%). Nel
2007 il 32% delle procedure sono state definite con una decisione di
inammissibilità pronunciata dalla formazione ristretta (il 32% nel
2006, il 36% nel 2004).
In materia penale, nel 2007 solo il 3% delle procedure sono state
definite in formazione ordinaria (il 4% nel 2006, il 5% nel 2005). Nel
135
2007 il 59% delle procedure sono state definite con una decisione di
inammissibilità pronunciata dalla formazione ristretta (il 59% nel
2006, il 55% nel 2005).
5.1 Giurisdizione civile
L’art. L 131-6 del codice dell’organizzazione giudiziaria prevede
che, dopo il deposito delle memorie, i ricorsi sottoposti ad una camera civile sono esaminati da una formazione di tre magistrati («formation restreinte») che appartengono alla camera alla quale sono stati assegnati. Questa formazione dichiara non ammessi i ricorsi inammissibili o non fondati su un mezzo serio di cassazione e decide «quando
la soluzione del ricorso si impone». Nel caso contrario, ne rinvia l’esame all’udienza della camera. Tuttavia, il primo presidente o il presidente della camera interessata, o i loro delegati, d’ufficio o su richiesta del procuratore generale o di una delle parti, possono rinviare direttamente il ricorso all’udienza della camera sulla base di una decisione non motivata. Il codice è stato sul punto, da ultimo, modificato
con l’Ordonnance n° 2006-673 dell’8 giugno 2006 (non ancora in vigore), che prevede più sinteticamente che la formazione ristretta delibera «quando la soluzione del ricorso si impone» (art. L 431-1), lasciando per il caso contrario, la procedura previamente prevista. La modifica ha in sostanza spostato le disposizioni attualmente presenti nella
parte legislativa del codice in quella regolamentare.
Quale ulteriore deterrente, l’art. 628 c.p.c. stabilisce che il ricorrente in cassazione che soccombe o il cui ricorso è dichiarato inammissibile, in caso di ricorso abusivo, possa essere condannato ad
un’ammenda civile il cui importo non può eccedere i 3.000 euro e,
negli stessi limiti, al pagamento di un’indennità al convenuto.
5.2. Giurisdizione penale
L’art. L 131-6 del codice dell’organizzazione giudiziaria prevede
che, nel caso in cui la soluzione di un ricorso sottoposto alla camera
criminale «sembra imporsi», il primo presidente o il presidente della
camera criminale possono decidere di farlo giudicare da una formazione di tre magistrati. Questa formazione può rinviare l’esame dell’affare all’udienza della camera su richiesta di una delle parti; il rinvio è di diritto se uno dei magistrati che compongono la formazione
ristretta lo chiede. La formazione inoltre dichiara non ammessi i ricorsi inammissibili o non fondati su di un serio motivo di cassazione.
Con l’Ordonnance n°2006-673 dell’8 giugno 2006 (non ancora in
vigore), tali disposizioni sono state abrogate e si prevede che le disposizioni relative alla procedura d’ammissione dei ricorsi siano fissate
dal codice di procedura penale (art. L. 431-2). Gli artt. 567-1 e 567-2
136
c.p.p. già replicano la procedura previamente dettata dal codice dell’organizzazione giudiziaria.
In ogni caso, la Corte di cassazione, prima di deliberare nel merito del ricorso, verifica se l’impugnazione è stata regolarmente proposta. Se ritiene che le condizioni legali non siano soddisfatte, pronuncia, secondo i casi, una sentenza d’irricevibilità o di decadenza (art.
605 c.p.p.). Pronuncia una sentenza di non luogo a deliberare se l’appello è diventato senza oggetto (art. 606 c.p.p.).
6. Provvedimenti impugnabili per cassazione
6.1 Giurisdizione civile
Il ricorso per cassazione è un rimedio straordinario di impugnazione (art. 527 c.p.c.), insieme con l’opposizione di terzo e la revisione, limitato quindi ai soli casi previsti dalla legge e di norma senza effetto sospensivo. Impugnazioni ordinarie sono invece l’appello e l’opposizione, esperibili in tutte le materie e purché la parte vi abbia interesse, con effetto sospensivo.
L’art. 500 c.p.c. stabilisce che ha autorità di cosa giudicata la sentenza che non è suscettibile di alcun ricorso con effetto sospensivo.
L’art. 605 c.p.c. prevede che il ricorso per cassazione può essere
esercitato soltanto contro una sentenza pronunciata in ultima istanza
(«Le pourvoi en cassation n’est ouvert qu’à l’encontre de jugements rendus en dernier ressort»). Secondo l’art. 606 c.p.c., possono essere impugnate in cassazione le sentenze di ultima istanza che annullano nel loro
dispositivo una parte (ordinando una misura d’istruzione o un provvedimento provvisorio) o tutto il dispositivo della decisione principale,
come anche le sentenze di ultima istanza che, decidendo su una eccezione di procedura o su altro incidente, mettono fine al procedimento
(art. 607 c.p.p.). Eccezione alla regola prevista dall’art. 605 c.p.p. è il
caso in cui vi sia «contrarietà di giudizi» di cui all’art. 618 c.p.c.
6.2 Giurisdizione penale
Ai sensi dell’art. 567 c.p.p., sono ricorribili per cassazione «le sentenze della Chambre d’accusation e le sentenze pronunciate in ultima
istanza in materia criminale, correttiva e di polizia».
Sono ricorribili le decisioni d’acquittement pronunciate dalla corte
di assise, solo nell’interesse della legge e senza pregiudizio delle parti
assolte (art. 572). Possono tuttavia presentare un ricorso in cassazione le parti che intendono solo contestare le statuizioni civili.
Le sentenze della Chambre d’accusation sono ricorribili dalla parte
civile solo se c’è il ricorso del pubblico ministero. Tuttavia, è ammesso il solo ricorso della parte civile quando la camera ha stabilito «n’y
137
avoir lieu à informer» o quando ha dichiarato irricevibile l’azione della
parte civile (art. 575 c.p.p.).
7. Motivi di ricorso
7.1. Giurisdizione civile
Secondo l’art. 604 c.p.c., il ricorso per cassazione è diretto a far dichiarare dalla Corte di cassazione la «non-conformité du jugement qu’il
attaque aux règles de droit».
Non vi è una norma che elenchi i motivi di ricorso. E’ stata pertanto la stessa Corte ad elaborare i casi di ricorso.
I motivi di ricorso possono così elencarsi:
a) violazione di legge (violation de la loi). Si distingue in violazione per falsa applicazione, violazione per rifiuto di applicazione e violazione per erronea interpretazione.
b) vizi della motivazione (défaut de motifs e contradiction de motifs). L’art. 455 c.p.c. prevede, a pena di nullità, che tutte le sentenze di
merito devono essere motivate. Oltre alla mancanza di motivazione,
rileva la contraddittorietà della motivazione. In tale vizio viene fatto
ricadere anche il «défaut de réponse à conclusions», la mancata risposta alle questioni sollevate delle parti che hanno fatto oggetto di discussione.
c) mancanza di base legale (défaut de base légale). Si tratta del caso
in cui la constatazione dei fatti operata dal giudice sia insufficiente per
giustificare l’applicazione della regola di diritto applicata.
d) «dénaturation» di un atto chiaro. Il giudice interpreta in modo
erroneo un documento chiaro e preciso (di norma un contratto).
e) contrarietà di giudizi (art. 618 c.p.c.). Quando due decisioni,
anche non rese in ultima istanza, sono tra loro inconciliabili e nessuna di esse è suscettibile di un ricorso ordinario. Deve essere diretto
contro entrambe le decisioni.
f) eccesso di potere. La decisione di merito costituisce un’invasione di potere dell’autorità giudiziaria sul potere legislativo o esecutivo.
Scopo primario è «faire cesser le trouble causé à l’ordre public» dall’atto viziato. Tale motivo viene utilizzato tutte le volte in cui il giudice si
arroga un diritto che minaccia o viola un principio fondamentale della
procedura.
g) incompetenza.
h) inosservanza di forme. Violazione di forme prescritte a pena di
nullità per la formazione degli atti di procedura o delle sentenze. Il
nuovo codice di procedura civile ha peraltro fortemente ridotto i casi
di nullità.
138
i) ricorso nell’interesse della legge (art. 618-1). Un particolare ricorso è riservato al procuratore generale della Corte di cassazione.
Non produce effetti sulle parti, ma è diretto solo a mantenere l’unità
della giurisprudenza.
7.2 Giurisdizione penale
Il codice prevede due ipotesi:
a) violazione della legge. Le decisioni impugnabili possono essere
annullate per «violazione di legge» (art. 591 c.p.p.). Sono in particolare nulle le sentenze che non sono state rese dal numero dei giudici prescritto; che sono state rese da giudici che non hanno assistito a tutte
le udienze della causa (quando sono state dedicate molte udienze allo
stesso affare, si presume che tutti i giudici che hanno contribuito alla
decisione hanno assistito alle udienze); che sono state rese senza l’audizione del pubblico ministero; che non sono state rese, con riserva
delle eccezioni previste dalla legge, a seguito di una udienza pubblica
(art. 592 c.p.p.).
b) vizi della motivazione (art. 593 c.p.p.). Sono nulle le sentenze che
non contengono la motivazione o quando la stessa è insufficiente e non
consente alla Corte di cassazione di esercitare il suo controllo e di stabilire se la legge sia stata rispettata nel dispositivo. Parimenti, sussiste
nullità quando la sentenza non si è pronunciata su una o più domande
delle parti, ovvero su una o più richieste del pubblico ministero.
c) ricorso nell’interesse della legge. Un particolare ricorso è riservato al procuratore generale della Corte di cassazione, con il quale
sono denunciate alla camera criminale, al fine del loro annullamento,
sentenze o atti giudiziari contrari alla legge (art. 620 c.p.p.). Il procuratore generale della Corte di cassazione può impugnare una sentenza
ricorribile per cassazione, contro la quale nessuna delle parti ha presentato impugnazione entro il termine previsto, d’ufficio e nonostante
la scadenza del termine nel solo interesse della legge (art. 621 c.p.p.).
Ulteriori casi di ricorribilità per cassazione elaborati in sede giurisprudenziale sono: excès de pouvoir; incompétence; inobservation des
formes; dénaturation; contrariété de jugements; perte de fondement juridique.
8. Ricorrenti
8.1 Giurisdizione civile
Secondo l’art. 609 c.p.c., qualsiasi parte, che ha interesse, è ammessa a ricorrere in cassazione, «anche se la disposizione che le è sfavorevole non va a vantaggio del suo avversario». Il termine per la presentazione è di due mesi (art. 612 c.p.c.)
139
In ogni caso, la parte deve investire, a pena di inammissibilità, la
Corte di cassazione con un ricorso redatto da un avvocato (avocat o
Conseils), facente parte dell’ordine particolare dei patrocinanti presso
la Corte, eccetto se si tratta di una materia per la quale tale difesa non
è obbligatoria.
Tale condizione, giustificata dal particolare tecnicismo del giudizio in cassazione, è stata ritenuta in linea con la direttiva 98/5/CE del
Parlamento europeo e del Consiglio del 16 febbraio 1998, intesa a facilitare l’esercizio permanente della professione d’avvocato in uno
Stato membro diverso da quello dove la qualificazione è stata acquisita, che prevede in particolare all’art. 5, § 3, cpv. 2, che «allo scopo di
garantire il funzionamento regolare della giustizia, gli Stati membri
possono stabilire norme d’accesso alle corti supreme, come il ricorso
ad avvocati specializzati».
Senza che quest’elenco presenti un carattere esauriente, le principali materie nelle quali non è richiesta l’assistenza obbligatoria sono:
elezioni, e soltanto per alcune giurisdizioni d’oltremare, gli affari
«prud’homales» (contratti di lavoro). In questi casi, l’impugnazione
può essere proposta dal ricorrente stesso, da un avvocato patrocinante in cassazione, o da qualsiasi mandatario, a condizione che sia conferita procura speciale (artt. 984 - 989 c.p.c.).
8.2 Giurisdizione penale
Secondo l’art. 567 c.p.p., possono ricorrere per cassazione, in caso
di violazione della legge, il pubblico ministero o la parte che intende
far valere la nullità.
Il termine per la presentazione è di cinque giorni (tre in materia
di stampa) (art. 568 c.p.p.).
In materia penale, non vige per l’imputato il principio dell’assistenza obbligatoria di un avvocato specializzato. La dichiarazione può
essere fatta personalmente, o a mezzo di un procuratore legale della
giurisdizione del giudice a quo o di un’altra giurisdizione con procura
speciale.
Va considerato infine che l’aide juridictionnel non è accordato se il
ricorso risulta prima facie infondato (art. 7 l. 10 luglio 1991, n. 91-647
«si aucun moyen de cassation sérieux ne peut être relevé»). La Corte di
Strasburgo ha rilevato che tale limitazione è «indubbiamente ispirata
dalla legittima preoccupazione che il denaro pubblico sia usato soltanto per gli scopi del patrocinio gratuito a favore dei ricorrenti alla
corte della cassazione i cui gravami presentino una ragionevole prospettiva di successo» (Gnahorè c. Francia, 19 settembre 2000, § 41),
potendo tale istituto «funzionare soltanto se la procedura consente
140
una selezione dei casi» (Ange Garcia c. Francia, decisione della Commissione del 10 gennaio 1991), ed è conforme all’art. 6, par. 1 della
Convenzione, stante la ricorribilità davanti al primo presidente delle
decisioni di diniego.
9. Normativa di riferimento e riforme
9.1 Normativa
Nella Costituzione manca una disposizione corrispondente al nostro 111 Cost. Trovando la sua base nella legge (peraltro, tra le materie oggetto di riserva di legge ex art. 34 Cost. non rientra il diritto processuale), la dottrina sostiene la tesi secondo cui il legislatore potrebbe discrezionalmente limitare ed escludere il ricorso per cassazione. Il
Conseil constitutionnel ha definito tuttavia il ricorso per cassazione
una «garanzia fondamentale, la cui regolamentazione spetta al legislatore» (dec. 10 maggio 1988, n. 88-15710).
Il ricorso per cassazione civile è regolato dal codice di procedura
civile dagli articoli da 604 a 639.
Il ricorso per cassazione penale è regolato dal codice di procedura penale, dagli articoli da 567 a 621.
In ordine alle recenti riforme, che mirano ad una definizione più
rapida dei ricorsi, va segnalata la legge n° 2007-291 del 5 marzo 2007
che, in materia penale, ha imposto anche al pubblico ministero, che ricorre in cassazione, un termine per il deposito della memoria (un
mese dopo la presentazione della dichiarazione di ricorso, art. 585-1
c.p.p.).
9.2. Progetti di riforma
La Corte di cassazione formula annualmente proposte di riforma
riguardanti le materie di sua competenza, che sono indirizzate ufficialmente al Ministro della giustizia all’apertura dell’anno giudiziario.
Nel Rapporto annuale relativo al 2007, la Corte di cassazione ha
proposto alcune modifiche normative per diminuire i tempi delle procedure. In materia civile, per la riduzione dei termini per la istruzione
delle memorie è stata caldeggiata la modifica del codice di procedura
civile che disciplina la procedura dinanzi alla Corte di cassazione nelle
materie con assistenza legale obbligatoria. Sulla base di una prassi av-
http://www.conseil-constitutionnel.fr/decision/1988/88157l.htm. «Que cette dernière disposition a trait à une voie de recours qui constitue pour les justiciables une garantie fondamentale dont, en vertu de l’article 34 de la Constitution, il appartient seulement à la loi de fixer les règles».
10
141
viata nel 2005, in accordo con l’Ordine degli avvocati patrocinanti in
cassazione, il primo Presidente, utilizzando l’art. 1009 del c.p.c., ha
fortemente contratto i termini per la produzione delle memorie. La
proposta mira a ratificare tale prassi, riducendo i termini da cinque a
quattro mesi per il deposito delle memorie attoree, e da tre a due mesi
quelle in difesa. In materia penale, è stata proposta l’estensione della
assistenza legale obbligatoria da parte di un avvocato patrocinante in
cassazione, che garantirebbe per il ricorrente una garanzia qualitativa
nella presentazione dei motivi di ricorso.
6.- Belgio.
La Corte di Cassazione è unica per l’intero territorio belga e si
trova al vertice di tutte le giurisdizioni dell’ordinamento giudiziario.
La Corte non tratta il merito delle cause (ex art. 147 Cost.), né costituisce un terzo grado della giurisdizione, ma decide, ai sensi dell’art.
608 del Codice giudiziario, in merito alle decisioni rese in ultima
istanza che le sono deferite qualora vi sia stata violazione di legge o
violazione delle forme (sia sostanziali, sia prescritte a pena di annullamento). Essa, pertanto, decide in merito alle sentenze delle corti e
dei tribunali rese su qualsiasi questione ed in ultima istanza (art. 609,
punto 1, del Codice giudiziario), esercitando un controllo di legalità
ed una funzione di coordinamento (principio dell’unità della giurisprudenza).
1. Numero dei magistrati addetti alla Corte Suprema
I magistrati sono in totale 30, ivi compresi il primo presidente e
due presidenti e sono assegnati sia al settore civile che a quello penale.
2. Numero di Sezioni
2.1 Civile: 2
2.2 Penale: 1
La Corte di Cassazione comprende tre camere, ognuna delle quali
è suddivisa in due sezioni, la sezione olandese e la sezione francese:
ognuna di queste sezioni è composta da cinque consiglieri, compreso
il presidente (art. 128 del Codice giudiziario). La prima camera è competente per le materie del diritto civile, commerciale e tributario, la seconda è competente per la materia penale, mentre la terza per quelle
inerenti al diritto del lavoro e della previdenza sociale.
142
3. Numero dei ricorsi
3.1 Civile: nel 2005 n. 1.059; nel 2006 n. 1.152; nel 2007 n. 1.138.
3.2 Penale: 2005: n. 1.713; nel 2006 n. 1.697; nel 2007 n. 1.907.
4. Numero di provvedimenti emessi
4.1 Civile: nel 2005 n. 1.108; nel 2006 n. 1.036; nel 2007 n. 1.096.
4.2 Penale: nel 2005 n. 1.712; nel 2006 n. 1.722; nel 2007
n. 1.877.
Occorre peraltro considerare che i ricorsi proposti prima del 2005
spesso sono stati decisi nel corso del 2006 o successivamente.
5. Esistenza di un filtro preliminare
Non è previsto un filtro preliminare di ammissibilità dei ricorsi.
Tuttavia, la Corte di Cassazione, prima di esprimersi sulla fondatezza
del motivo di ricorso, deve verificarne le condizioni di ricevibilità, tenuto conto del fatto che essa è competente per le sole questioni di diritto (ad es., sono irricevibili i motivi imprecisi o privi di chiarezza;
quelli che investono i profili di fatto della causa; quelli proposti per la
prima volta in cassazione, ovvero quelli che investono una decisione
che non riguarda la persona del ricorrente). In materia penale, inoltre,
la Corte verifica d’ufficio se la decisione, contro cui è stato proposto
un ricorso ricevibile, sia conforme alla legge e se siano state rispettate, nella procedura, eventuali condizioni previste a pena di nullità.
6. Provvedimenti impugnabili per cassazione
Sono escluse dal ricorso per cassazione tutte le materie amministrative, che sono soggette alle decisioni degli organi amministrativi e
del Consiglio di Stato, così come le materie non ancora definitivamente trattate da un organo giudiziario di merito.
7. Motivi di ricorso
I motivi di ricorso riguardano: a) violazioni di legge in materia civile, commerciale, di lavoro, penale, militare e disciplinare: b) difetto
di competenza o abuso di potere da parte di un organo di merito; c)
conflitto di giurisdizione; d) errore di forma o nella motivazione; e)
falsità dell’atto; f) riapertura di un procedimento penale a seguito di
una decisione della Corte europea dei diritti dell’uomo.
8. Ricorrenti
Dinanzi alla Corte di Cassazione la legge prescrive l’intervento di
un avvocato avente la qualifica di cassazionista (nelle materie civile,
143
commerciale, di lavoro o disciplinare); questa condizione, peraltro,
non si applica alla parte civile in un procedimento penale (art. 478 del
Codice giudiziario). Occorre inoltre considerare che in materia penale e fiscale non è richiesta la rappresentanza da parte di un avvocato
cassazionista.
7.- Svizzera.
L’organizzazione giudiziaria è su base cantonale con giudici di
prima e seconda istanza. Al vertice vi è il Tribunale Federale.
In base alla legge sul Tribunale Federale (LTF) del 17 giugno 2005,
entrata in vigore il 1° gennaio 2007, l’uniformità della giurisprudenza è
così garantita (art. 23): «una Corte può derogare alla giurisprudenza di
una o più altre corti soltanto con il consenso delle corti interessate riunite. Se deve giudicare una questione di diritto concernente più corti,
la corte giudicante, qualora lo ritenga opportuno ai fini dell’elaborazione del diritto giudiziale o per garantire una giurisprudenza uniforme, chiede il consenso delle corti interessate riunite. Le Corti riunite
deliberano validamente soltanto se alla seduta o alla procedura per circolazione degli atti partecipano almeno due terzi dei giudici ordinari di
ciascuna corte interessata. La decisione è presa senza dibattimento e a
porte chiuse; è vincolante per la Corte che deve giudicare la causa».
1. Numero dei magistrati addetti alla Corte Suprema
1.1 Settore civile: 11
1.2 Settore penale: 6
Vi sono in tutto 38 giudici federali.
2. Numero di Sezioni
2.1 Civile: 2
2.2 Penale: 1
Il Tribunale federale svizzero non è unicamente autorità suprema
di ricorso in materia civile e penale, ma lo è anche in materia amministrativa ed esplica la funzione di giudice costituzionale in modo limitato (controllo costituzionale del diritto cantonale).
E’ composto in tutto di sette corti tra cui una Corte di diritto penale e due Corti di diritto civile.
La Corte di diritto penale tratta i ricorsi in materia penale, i ricorsi
in materia di diritto pubblico e i ricorsi sussidiari in materia costituzionale che concernono i seguenti campi:
144
a) diritto penale materiale (inclusa l’esecuzione delle pene e delle
misure);
b) procedura penale (con esclusione dei ricorsi contro decisioni
incidentali della procedura penale);
c) ricorsi contro decisioni finali di procedura penale (inclusi i non
luogo a procedere).
I ricorsi in materia penale contro decisioni incidentali nell’ambito
della procedura penale sono di competenza della prima Corte di diritto pubblico.
La prima Corte di diritto civile tratta i ricorsi in materia civile e i
ricorsi sussidiari in materia costituzionale che concernono i seguenti
campi:
a) diritto delle obbligazioni;
b) contratto di assicurazione;
c) responsabilità extracontrattuale (anche secondo leggi speciali);
d) responsabilità dello Stato per attività medica;
e) diritto privato della concorrenza;
f) diritti immateriali;
g) arbitrati;
h) tenuta dei registri e decisioni sul riconoscimento e l’esecuzione
di decisioni nonché sull’assistenza giudiziaria in materia civile nei
campi secondo le lettere a-g di questo capoverso.
La seconda Corte di diritto civile tratta i ricorsi in materia civile e
i ricorsi sussidiari in materia costituzionale che concernono i seguenti campi:
a) Codice civile:
1. diritto delle persone;
2. diritto di famiglia;
3. diritto delle successioni;
4. diritti reali;
b) diritto fondiario rurale;
c) esecuzione e fallimenti;
d) tenuta dei registri e decisioni sul riconoscimento e l’esecuzione
di decisioni nonché sull’assistenza giudiziaria in materia civile nei
campi secondo le lettere a) e c) di questo capoverso.
I collegi sono formati di regola da tre giudici, ovvero da cinque
se la causa concerne una questione di diritto di importanza fondamentale o se un giudice lo richiede (salvo i ricorsi contro decisioni
delle autorità cantonali di vigilanza in materia di esecuzione e fallimento).
145
3. Numero dei ricorsi
3.1 Civile: il numero degli affari introdotti in materia civile è di
749 nel 2005, 770 nel 2006 e 1497 nel 2007.
3.2. Penale: in materia penale il numero degli affari introdotti è
di 560 nel 2005, 621 nel 2006, e 1310 nel 2007.
4. Numero di provvedimenti emessi
4.1 Civile: il numero degli affari definiti in materia civile è di 720
nel 2005, 757 nel 2006 e 1371 nel 2007.
4.2 Penale: in materia penale il numero degli affari definiti è di
541 nel 2005, 622 nel 2006 e 1161 nel 2007.
5. Esistenza di un filtro preliminare
Esiste in generale una procedura semplificata per valutare ex ante
l’ammissibilità del ricorso. La Corte decide in formazione monocratica
sulla non entrata nel merito di ricorsi manifestamente inammissibili o
manifestamente non motivati in modo sufficiente (art. 108 LTF). Decide con formazione di tre membri sulla non entrata nel merito di ricorsi
che non sollevano una questione di diritto di importanza fondamentale
o non riguardano un caso particolarmente importante, nei casi in cui il
ricorso è ammissibile soltanto in base a questa condizione. Le corti decidono nella stessa composizione, con voto unanime, sulla reiezione di
ricorsi manifestamente infondati; sull’accoglimento di ricorsi manifestamente fondati, segnatamente se l’atto impugnato diverge dalla giurisprudenza del Tribunale federale e non vi è motivo di riesaminare tale
giurisprudenza. La decisione è motivata sommariamente. Può rimandare in tutto od in parte alla decisione impugnata (art. 109 LTF).
6. Provvedimenti impugnabili per cassazione
6.1 Giurisdizione civile
In genere, sono ricorribili i provvedimenti emessi dalle autorità
cantonali di secondo grado. Nelle cause di carattere pecuniario il ricorso è ammissibile soltanto se il valore della lite ammonta almeno a
15.000 franchi nelle controversie in materia di diritto del lavoro e di
locazione, 30.000 franchi negli altri casi. Quando il valore della lite
non raggiunge l’importo determinante ai sensi del primo capoverso, il
ricorso è ammissibile: a) se la controversia concerne una questione di
diritto di importanza fondamentale; b) se una legge federale prescrive
un’istanza cantonale unica; c) contro le decisioni delle autorità cantonali di vigilanza in materia di esecuzione e fallimento; d) contro le decisioni del giudice del fallimento e del concordato.
146
Nei limiti delle conclusioni presentate, il ricorso ha effetto sospensivo in materia civile solo se è diretto contro una sentenza costitutiva.
6.2 Giurisdizione penale
In genere, sono ricorribili i provvedimenti emessi dalle autorità
cantonali di secondo grado. Il termine per l’impugnazione è di regola
30 giorni.
Il ricorso non ha effetto sospensivo. Ha effetto sospensivo se è diretto contro una decisione che infligge una pena detentiva senza sospensione condizionale o una misura privativa della libertà; l’effetto
sospensivo non si estende alla decisione sulle pretese civili.
7. Motivi di ricorso
In generale, il ricorrente può fare valere qualunque violazione del
diritto svizzero, che comprende il diritto federale, il diritto internazionale, i diritti costituzionali cantonali, le disposizioni cantonali in materia di diritto di voto dei cittadini e di elezioni e votazioni popolari, il
diritto intercantonale.
Il ricorrente può censurare l’accertamento dei fatti soltanto se è
stato svolto in modo manifestamente inesatto o in violazione del diritto ai sensi dell’articolo 95 LTF e l’eliminazione del vizio può essere
determinante per l’esito del procedimento.
Contro le decisioni in materia di misure cautelari il ricorrente può
far valere soltanto la violazione di diritti costituzionali.
Possono essere addotti nuovi fatti e nuovi mezzi di prova soltanto
se ne dà motivo la decisione dell’autorità inferiore. Non sono ammissibili nuove conclusioni.
Accanto al ricorso ordinario, la LTF contempla la revisione per
violazione di norme procedurali da parte dello stesso Tribunale federale (se sono state violate le norme concernenti la composizione del
Tribunale o la ricusazione; il Tribunale ha accordato a una parte sia
più di quanto essa abbia domandato, o altra cosa senza che la legge lo
consenta, sia meno di quanto riconosciuto dalla controparte; il Tribunale non ha giudicato su singole conclusioni; il Tribunale, per svista,
non ha tenuto conto di fatti rilevanti che risultano dagli atti) o per violazione della CEDU.
8. Ricorrenti
8.1 Giurisdizione civile
Ha diritto di interporre ricorso in materia civile chi ha partecipato al procedimento dinanzi all’autorità inferiore o è stato privato della
147
possibilità di farlo ed ha un interesse giuridicamente protetto all’annullamento o alla modifica della decisione impugnata. Il diritto di ricorrere contro alcune decisioni spetta anche alla Cancelleria federale,
ai dipartimenti federali o, in quanto lo preveda il diritto federale, ai
servizi loro subordinati, se la decisione impugnata viola la legislazione federale nella sfera dei loro compiti.
8.2 Giurisdizione penale
Ha diritto di interporre ricorso in materia penale chi ha partecipato al procedimento dinanzi all’autorità inferiore o è stato privato
della possibilità di farlo ed ha un interesse giuridicamente protetto all’annullamento o alla modifica della decisione impugnata, segnatamente l’imputato, il suo rappresentante legale, il pubblico ministero,
l’accusatore privato, se in virtù del diritto cantonale ha sostenuto l’accusa senza la partecipazione del pubblico ministero, la vittima, se la
decisione impugnata può influire sul giudizio delle sue pretese civili,
il querelante, per quanto trattasi del diritto di querela come tale.
Anche il Ministero pubblico della Confederazione è legittimato a ricorrere se il diritto federale prevede che la decisione deve essergli notificata o se la causa penale è stata deferita per giudizio alle autorità
cantonali.
Il diritto di ricorrere contro alcune decisioni spetta anche alla
Cancelleria federale, ai dipartimenti federali o, in quanto lo preveda il
diritto federale, ai servizi loro subordinati, se la decisione impugnata
viola la legislazione federale nella sfera dei loro compiti.
9. Normativa di riferimento
La Costituzione federale all’art. 191 stabilisce che è la legge a garantire la possibilità di adire il Tribunale federale e che la stessa può
prevedere un valore della lite minimo per le controversie che non concernono una questione giuridica d’importanza fondamentale. La stessa Costituzione prevede, da un lato, che in determinati settori speciali la legge possa escludere la possibilità di adire il Tribunale federale e,
dall’altro, che la legge possa prevedere una procedura semplificata per
ricorsi manifestamente infondati.
La legislazione rilevante in materia è la Legge sul Tribunale federale (LTF) del 17 giugno 2005 entrata in vigore il 1° gennaio 2007. Tale
riforma è stata giustificata da tre principali motivazioni: sovraccarico
di lavoro della Corte suprema, sistema di rimedi giuridici troppo complicato, lacune per quel che concerne le possibilità di ricorso in sede
giudiziaria.
Gli obiettivi della riforma sono stati dunque:
148
a) lo sgravio della Corte suprema con il potenziamento delle istanze giudiziarie inferiori, l’introduzione o l’aumento dei limiti del valore
della lite, l’esclusione di determinati ambiti dalla competenza del Tribunale federale;
b) la semplificazione dei ricorsi con l’introduzione di un ricorso
unitario. Infatti, la vecchia organizzazione giudiziaria federale prevedeva un gran numero di ricorsi ed azioni, estremamente difficili da distinguere. Era addirittura necessario presentare due ricorsi distinti
contro un’unica decisione in funzione dai motivi del ricorso (ad esempio violazioni di diritti costituzionali o del diritto federale) e dall’autorità inferiore (federale o cantonale) che aveva emanato la decisione.
Secondo le nuove disposizioni, esiste un solo rimedio giuridico davanti al Tribunale federale per impugnare una decisione di un’autorità
inferiore, a prescindere da quest’ultima e dai motivi del ricorso.
8.- Regno Unito.
La struttura del sistema giudiziario inglese è molto complessa. La
giurisdizione ordinaria è esercitata, per il settore civile, da: magistrates courts, county courts, high court, court of appeal e la House of Lords.
Vi sono poi corti con competenza civile e penale quali: House of Lords,
court of appeal, high court, crown court e magistrates’ courts.
Un altro criterio di classificazione delle corti inglesi può basarsi
sulla distinzione tra corti di primo grado (courts of original jurisdiction), corti di secondo grado o di appello (courts of appelate jurisdiction) e corti con giurisdizione di primo e secondo grado. Appartengono alla prima categoria le magistrates’ courts, alla seconda la court of
appeal, alla terza la crown court, la high court e la House of Lords.
Inusualmente è affidato il ruolo di giudice di ultimo grado alla sezione giurisdizionale della House of Lords. Essa è competente sulle
questioni di diritto nelle materie civili (nelle quali convergono anche
quelle amministrative) su tutto il Regno Unito, e sulle materie penali
per l’Inghilterra, il Galles e l’Irlanda del Nord.
L’Appellate Jurisdiction Act definisce così il ruolo della Corte Suprema: «Every appeal shall be brought by way of petition to the House
of Lords, praying that the matter of the order or judgment appealed
against may be reviewed before Her Majesty the Queen in her Court of
Parliament, in order that the said Court may determine what of right,
and according to the law and custom of this realm, ought to be done in
the subject-matter of such appeal». La Corte Suprema è competente
149
dunque a «determinare ciò che in diritto, e secondo la legge e i costumi del Regno, deve essere fatto a proposito dell’oggetto, materia del ricorso».
Dal 1966, a seguito del Practice Statement del Lord Chancellor,
Lord Gardiner, la Corte non è più vincolata ai suoi precedenti 11.
1. Numero dei magistrati addetti alla Corte Suprema
Non esiste una divisione di competenze. Sin dall’Appellate Jurisdiction Act del 1876, la House of Lords si compone di Law Lords (nominati dalla Corona, tra gli anziani giudici delle corti di appello), attualmente in numero massimo di 12 (riforma del 1994). Membri di diritto della House of Lords sono poi il Lord Cancelliere, che ne ha la presidenza, e i pari incaricati di alti uffici giudiziari.
2. Numero di Sezioni
La House of Lords non ha camere civili e penali, ma lavora attraverso l’Appeal Committee (competente per la preliminare selezione dei
ricorsi) e l’Appellate Committee (competente per la decisione degli stessi), composti rispettivamente da 3 e 5 (ma talvolta anche 7 o 9) giudici.
3. Numero dei ricorsi
3.1 Civile: ricorsi già autorizzati nel 2005 n. 75; nel 2006 n. 62;
nel 2007 n. 62. Le petitions to leave presentate: nel 2005 n.
2.007; nel 2006 n. 199.
3.2 Penale: ricorsi già autorizzati nel 2005 n. 12; nel 2006 n. 11;
nel 2007 n. 10.
Le petitions to leave presentate: nel 2005 n. 40; nel 2006 n. 37.
Gli appeals già autorizzati dai giudici a quo: nel 2003 n. 65, nel
2004 n. 77, nel 2005 n. 102.
11
«Their Lordships regard the use of precedent as an indispensable foundation upon
which to decide what is the law and its application to individual cases. It provides at least
some degree of certainty upon which individuals can rely in the conduct of their affairs,
as well as a basis for orderly development of legal rules. Their Lordships nevertheless
recognise that too rigid adherence to precedent may lead to injustice in a particular case
and also unduly restrict the proper development of the law. They propose therefore to modify their present practice and, while treating former decisions of this House as normally
binding, to depart from a previous decision when it appears right to do so. In this connection they will bear in mind the danger of disturbing retrospectively the basis on which
contracts, settlements of property and fiscal arrangements have been entered into and also
the especial need for certainty as to the criminal law. This announcement is not intended
to affect the use of precedent elsewhere than in this House».
150
4. Numero di provvedimenti emessi
4.1 Civile:
Petitions accolte: nel 2005 n. 37; nel 2006 n. 68; nel 2007 n. 68.
Petitions rigettate: nel 2005 n. 118; nel 2006 n. 100.
Appelli decisi: nel 2005 n. 82; nel 2006 n. 75.
4.2 Penale:
Petitions accolte: nel 2004 n. 8; nel 2005 n. 20; nel 2006 n. 7; nel
2007 n. 7.
Petitions rigettate: nel 2005 n. 25; nel 2006 n. 26.
Appelli decisi: nel 2005 n. 20; nel 2006 n. 19
Sono circa 80/90 le udienze tenute all’anno dagli Appellate Committees.
5. Esistenza di un filtro preliminare
5.1 Giurisdizione civile
Con l’Administration of Justice Act del 1934 è stato introdotto un
filtro per l’ammissibilità del ricorso alla Corte Suprema, denominata
«leave to appeal». The Judicial Committee (General Appellate Jurisdiction) Rules Order del 1982 così definisce tale filtro: «No appeal shall be
admitted unless either (a) leave to appeal has been granted by the Court
appealed from; or (b) in the absence of such leave, special leave to appeal
has been granted by Her Majesty in Council».
Il leave to appeal è una sorta di autorizzazione preventiva, che deve
essere concessa dal giudice a quo o, in caso di rifiuto, dalla stessa
Corte Suprema, con la presentazione di una petition. L’istituzione del
leave è stata presentata come una garanzia per i singoli, al fine di non
esporli ad un iter giudiziario eccessivamente gravoso, piuttosto che
come un meccanismo di riduzione del carico di lavoro.
Il ricorso non è mai quindi un diritto della parte. La decisione
sulla petition è del tutto discrezionale, non essendovi nella legge criteri guida e, sino a pochi anni fa, non doveva essere motivata. Peraltro,
la stessa Corte emana delle Directions as to procedure e standing orders.
La decisione di rigetto dell’Appeal Committee è adottata in camera
di consiglio senza contraddittorio, se vi è unanimità. Diversamente, vi
è una discussione orale.
La decisione di dichiarare l’ammissibilità del caso dipende sostanzialmente dal rilevo pubblico generale della questione di diritto
sollevata dal ricorso. Secondo le Directions, il consenso all’appello è rilasciato in relazione ai ricorsi «which raise an arguable point of law of
general public importance which ought to be considered by the House at
that time, bearing in mind that the cause will have already been the
151
subject of judicial decision and may have already been reviewed on appeal». Pertanto, il ricorso che non presenta tale caratteristica è rigettato.
L’Appeal Committee non forniva in passato la motivazione della
sua decisione di rigetto. Dal 2003, si prevede invece che il Comitato
fornisca delle «brief reasons for refusing», ma non sia tenuto a spiegare oltre la sua decisione (Civil practice direction 2007-2008 § 4.7.).
Una volta ritenuta l’ammissibilità del ricorso, si apre una fase di
contraddittorio cartolare davanti all’Appellate Committee.
Funzione deterrente ai fini della presentazione di un ricorso è
anche l’estremo formalismo previsto dalle Directions. La petition deve
essere presentata in una determinata forma e seguita dal deposito –
anch’esso molto formale - di un considerevole numero di copie di atti.
Inoltre, è previsto il deposito di una cospicua somma all’atto della presentazione del ricorso.
5.2 Giurisdizione penale
In materia penale, di norma è richiesto oltre al leave to appeal
anche un certificate emesso dal giudice a quo che stabilisca quale sia
la questione di diritto sollevata e se la stessa investa una questione di
diritto di interesse pubblico generale, che deve essere esaminata dalla
Corte Suprema.
L’Appeal Committee decide generalmente senza un’udienza aperta
alle parti. Per il resto si applica la procedura descritta per i procedimenti civili (Criminal practice direction 2007-2008 § 5.7.).
Sulla procedura di ammissibilità del ricorso, va ricordato che la
Corte europea ha avuto modo di esaminare la compatibilità con la
Convenzione anche della condizione ostativa del certificate richiesto
per proporre ricorso, affermando che nessun diritto può essere fatto
valere, sub artt. 6 e 13, per «ottenere un ricorso alla House of Lords,
laddove il caso non mostri questioni di diritto di generale pubblica importanza» (Bullivant c. Regno Unito, 28 marzo 2000).
In ogni caso, anche se non obbligatoria, la difesa davanti all’House of Lords è di fatto riservata ad una élite di barristers (i Queen’s Counsel), stante la complessità della procedura sia nella fase di selezione
che di trattazione dei ricorsi.
6. Provvedimenti impugnabili per cassazione
6.1 Giurisdizione civile
Di norma, sono ricorribili le sentenze emesse dalle corti di appello. E’ consentito anche un ricorso diretto alla Corte Suprema («leapfrog» appeals), previsto dall’Administration of Justice Act del 1969. Il
152
filtro per tale appello è duplice. Occorre in ogni caso un certificate del
giudice a quo e il leave della House of Lords, oltre al consenso delle
parti, e l’oggetto del ricorso deve essere un «point of law of general pubblic importance», che si riferisca all’interpretazione di un atto legislativo o ad una questione sulla quale il giudice di prima istanza è vincolato da una decisione di un giudice superiore (corte d’appello o corte
suprema). Si tratta comunque di una procedura marginale, applicata
in pochissimi casi (4-5 l’anno).
6.2 Giurisdizione penale
E’ ricorribile davanti alla Corte Suprema «any decision» adottata
dalle corti di appello (Court of Appeal Criminal Division in England and
Wales, Courts-Martial Appeal Court, Court of Appeal in Northern Ireland, High Court of Justice in England and Wales, High Court of Justice
in Northern Ireland).
7. Motivi di ricorso
Come si è detto, le Directions prevedono come unico motivo di ricorso, sia in civile che in penale, la presentazione di una questione di
diritto di generale importanza.
8. Ricorrenti
8.1 Giurisdizione civile
Non vi sono indicazioni specifiche.
8.2 Giurisdizione penale
Secondo le Direttive penali, possono ricorrere l’imputato (defendant) e il pubblico ministero (prosecutor). Il diritto inglese non conosce l’istituto della parte civile. Come ogni privato cittadino, la vittima
del reato può nominare un prosecutor, che nel sistema delle impugnazioni è parificato al pubblic prosecutor.
9. Normativa di riferimento e riforme
9.1 Normativa
Il right to appeal alla House of Lords ha origine statutory, ovvero
sussiste solo in quanto sia previsto da un’apposita e specifica norma di
legge. Rientra nei poteri del legislatore pertanto sia escluderlo, sia
condizionarne l’esercizio.
Il right to appeal è regolato da varie disposizioni. Per i ricorsi civili: Administration of Justice (Appeals) Act 1934; Administration of Justice Act 1960; Administration of Justice Act 1969; Judicature
(Northern Ireland) Act 1978; Court of Session Act 1988; Access to Justice Act 1999.
153
Per la materia penale: Administration of Justice Act 1960; Criminal Appeal Act 1968; Courts-Martial (Appeals) Act 1968; Administration of Justice Act 1969; Judicature (Northern Ireland) Act 1978; Criminal Appeal (Northern Ireland) Act 1980; Proceeds of Crime Act
2002; Extradition Act 2003; Criminal Justice Act 2003; Serious Organised Crime and Police Act 2005.
9.2. Progetti di riforma
Sulla base del Constitutional Reform Act del 2005, dall’ottobre
2009 anche il Regno Unito avrà una Corte Suprema autonoma. Ciò
comporterà che il ruolo di presidente – ora spettante al Ministro della
Giustizia - sarà conferito al Lord Chief Justice. I suoi membri (i Law
Lords) non apparterranno più al Parlamento.
9.- Polonia.
1. Numero dei magistrati addetti alla Corte Suprema
1.1 Settore civile: 47
1.2 Settore penale: 24
Il numero di giudici in servizio presso la Corte è in totale di 117.
2. Numero di Sezioni
2.1 Civile: 2 (Civile e Lavoro Sicurezza Sociale ed affari pubblici).
2.2 Penale: 1
Vi è inoltre una sezione militare.
3. Esistenza di un filtro preliminare
Sono previsti limiti di legge alla proponibilità dell’impugnazione
dinanzi alla Corte Suprema, nel cui ambito la struttura organizzativa
della Corte stessa viene funzionalizzata ad un immediato esame preliminare dell’ammissibilità dei ricorsi.
Può, in particolare, farsi menzione dell’attività dei presidenti dei
“dipartimenti” di ciascuna sezione, i quali provvedono, utilizzando il
supporto della segreteria, all’esame preliminare dei ricorsi di competenza ed all’indicazione delle attività da compiere per il prosieguo del
giudizio, compresa la trasmissione al Pubblico Ministero che deve restituire il fascicolo venti giorni prima della data fissata per l’udienza.
3.1 Giurisdizione civile
In particolare, per quanto concerne il sistema civile, l’art. 392, par.
1 del codice di procedura civile, come emendato nel 1996, ha imposto
154
tassative limitazioni all’accesso al giudizio innanzi alla Corte Suprema. E’ stato infatti previsto un limite di valore nelle controversie privatistiche relative a diritti di proprietà, per cui non è consentito ricorrere al giudizio in terza istanza ove il valore della causa sia inferiore a
10.000 Zloty.
Nelle controversie in materia commerciale, nelle quali entrambe
le parti siano imprenditori, tale valore è aumentato a 20.000 Zloty.
Le norme in questione hanno formato oggetto di una questione di
costituzionalità, in relazione all’art. 64 della Costituzione (diritto alla
proprietà) e in relazione all’art. 23 (diritto alla parità di trattamento
davanti alla legge). Il Tribunale Costituzionale, tuttavia, con la decisione del 6 ottobre 2004 SK 23/0212, non ha ritenuto le norme incostituzionali, poiché l’individuazione di un criterio di selezione dei procedimenti non è stata ritenuta irragionevole, ma giustificata dalla natura di impugnazione straordinaria del ricorso alla Corte Suprema.
3.2. Giurisdizione penale
Nel sistema penale i limiti alla proponibilità del ricorso alla Corte
Suprema appaiono più fievoli. Anche in questa materia il carattere di
giudizio di legittimità viene mantenuto e garantito attraverso la connotazione di giudizio di cassazione.
Nel caso di iniziativa dell’imputato, l’art. 523 § 2 del codice di procedura penale, come emendato con legge del 20 luglio 2000, prevede
che il ricorso può essere proposto soltanto in presenza di una condanna a pena detentiva alla quale non sia stata associata la sospensione condizionale della pena, salvo i casi concernenti la manifesta violazione di legge che abbia comportato, ad esempio, la condanna per
reato inesistente ovvero per difetto di composizione della corte.
Anche tale limitazione è stata oggetto di un giudizio di costituzionalità, all’esito del quale il Tribunale costituzionale ha concluso per la
conformità della norma, non solo sul versante del diritto interno, ma
anche nei confronti della Convenzione europea dei diritti dell’uomo
(17 maggio 2004, SK 32/03).
4. Provvedimenti impugnabili per cassazione
La Corte esercita la giurisdizione sui ricorsi proposti avverso le decisioni delle corti di seconda istanza, in particolare delle corti distrettuali, anche su impugnazione del Ministro della Giustizia, ed adotta decisioni interpretative o di chiarimento sull’interpretazione della legge.
12
http://www.trybunal.gov.pl/eng/summaries/documents/SK_23_02_GB.pdf.
155
5. Motivi di ricorso
5.1 Giurisdizione civile
Si tratta in ogni caso di un giudizio di legittimità, che viene instaurato con un ricorso per cassazione, in relazione esclusivamente a
vizi di violazione di legge.
5.2 Giurisdizione penale
L’art 523 § 1 del codice di procedura penale contempla il ricorso
alla Corte per i motivi tassativamente indicati e per “ogni altra violazione di legge che abbia influito sostanzialmente sulla decisione della
corte di appello”. Altri motivi sono ricollegati a vizi “assoluti” della decisione, contemplati dall’art. 439, e riguardano la manifesta violazione di legge sostanziale o processuale, come il difetto di costituzione
del giudice ovvero la condanna per un reato non previsto dalla legge.
6. Ricorrenti
6.1 Giurisdizione civile: le parti e gli interventori.
6.2 Giurisdizione penale: oltre che dalla parte il ricorso può essere proposto dal Procuratore Generale e dal Commissario
per i Diritti Umani, nonché dal Ministro della Giustizia.
7. Normativa di riferimento
I testi di riferimento sono l’art. 183 della Costituzione; la legge del
23 novembre 2002 e successive modifiche; lo Statuto della Corte del 1°
dicembre 2003, ai sensi degli artt. 3 § 2 e 51 § 2 della legge istitutiva
della Corte del 23 novembre 2002 (Dz. U. No. 240, item 2052).
10.- Ungheria.
Secondo quanto prescrive la Costituzione, emendata nel 1997, il
sistema giudiziario ungherese è composto da una Corte Suprema, da
corti di appello, da county courts e da corti locali (art. 45). Il sistema è
pertanto organizzato in quattro livelli. Solo dal 2003 sono state istituite delle 5 corti di appello distrettuali. La Costituzione (art. 47) attribuisce alla Corte Suprema il compito di «assure the uniformity of the
administration of justice by the courts and its resolutions concerning
uniformity shall be binding for all courts».
In base agli artt. 24 e 25 della legge sull’organizzazione e amministrazione delle corti del 1997, le funzioni della Corte Suprema sono
così descritte: adotta decisioni uniformi e vincolanti per tutte le corti;
rivede le decisioni finali impugnate con rimedi straordinari; come
156
corte di secondo grado, esamina gli appelli avverso le decisioni delle
county courts e delle corti di appello nei casi previsti dalla legge; ha
competenza nelle materie sottopostele dalla legge.
In base all’art. 27 della stessa legge è compito della Suprema Corte
«ensuring uniform application of the law by the courts»: a tal fine
«adopts uniformity decisions and publish decisions of theoretical importance». La Corte adotta una «procedura di uniformità» ogni volta
che lo sviluppo e l’uniformità della pratica giudiziaria richiede l’approvazione di una decisione di uniformità su una questione di principio, o quando una sezione della stessa Corte intende deviare da un
orientamento adottato da altra sezione.
L’art. 28 stabilisce poi un sistema di prevenzione e monitoraggio
delle decisioni delle corti di merito che si discostino dalle decisioni
della Corte Suprema.
La Corte ha anche un ruolo consultivo nella legiferazione che riguardi la giurisdizione.
1. Numero dei magistrati addetti alla Corte Suprema
1.1 Settore civile: 48
1.2 Settore penale: 15
La Corte ha un organico di 81 magistrati (78 ordinari e 3 presidenti di settore).
Esiste un settore civile (comprensivo della materia contrattuale e
del lavoro), un settore penale e uno amministrativo (nel quale lavorano 15 giudici).
2. Numero di Sezioni
2.1 Civile: 13
2.2 Penale: 3
Ogni camera è composta in media da cinque giudici. Per il settore amministrativo vi sono 4 camere.
3. Numero dei ricorsi
3.1 Civile: nel 2005 n. 3835; nel 2006 n. 3985; nel 2007 n. 3965.
3.2 Penale: nel 2005 n. 1262; nel 2006 n. 1131; nel 2007 n. 1051.
In tale voce confluiscono sia i ricorsi ordinari che quelli straordinari.
4. Numero di provvedimenti emessi
4.1 Civile: nel 2005 n. 4136; nel 2006 n. 3787; nel 2007 n. 3777.
4.2 Penale: nel 2005 n. 1343; nel 2006 n. 1116; nel 2007 n. 1026.
157
5. Esistenza di un filtro preliminare
Non esiste un meccanismo di filtro preliminare.
Nel novembre 2004 la Corte costituzionale ha annullato la disposizione procedurale che consentiva alla Corte Suprema di rigettare un
ricorso solo perché la sentenza impugnata non si discostava su una
questione di diritto da una recente decisione della Corte stessa e il ricorso non contribuiva «to the development of the uniform application
of law».
6. Provvedimenti impugnabili per cassazione
6.1 Giurisdizione civile
In materia civile (e anche amministrativa) i ricorsi alla Suprema
Corte riguardano gli orders resi dalle regional appellate courts come
giurisdizioni di prima istanza.
Le parti possono impugnare direttamente davanti alla Corte Suprema (“leaping” appeals) le sentenze rese dalle county courts in prima
istanza, se è dedotta la violazione di «substantive legal regulations».
Le decisioni di secondo grado (final judgments) di merito sono invece impugnabili davanti alla Corte Suprema con «petitions for judicial review» (ricorso straordinario), sulla base soltanto di violazioni di
legge.
Il codice di rito, inoltre, esclude dal ricorso alcuni tipi di decisione: taluni provvedimenti di natura meramente procedurale, le sentenze in materia di famiglia (annullamento del matrimonio, divorzio, presunzione di paternità, responsabilità parentale), decisioni in materia
di visti, sentenze relative a cause di valore inferiore a 4.000 EUR.
6.2. Giurisdizione penale
I tipi di ricorso sono gli stessi del settore civile. Un terzo tipo di
impugnazione riguarda il caso in cui la prima e la seconda istanza abbiamo adottato decisioni divergenti.
Davanti alla Corte non possono essere assunte nuove prove né può
essere rivisto l’accertamento dei fatti. Il riesame si limita a questioni
di diritto.
Il ricorso straordinario è ammesso, inoltre, nel caso in cui sia dichiarata dalla Corte costituzionale l’illegittimità di una norma che è
stata applicata nel giudizio a quo o quando è stata constatata da una
organizzazione internazionale per i diritti dell’uomo la violazione di
una convenzione on human rights nel corso del procedimento.
Come nel sistema francese, è attribuita al pubblico ministero la facoltà di impugnare una sentenza in «favour of legality».
158
7. Motivi di ricorso
Tutti i rimedi esperibili davanti alla Corte Suprema riguardano
questioni di diritto, giammai il riesame dei fatti come accertati dalle
istanze inferiori.
Qualora si tratti di riaprire il procedimento per l’assunzione di
nuove prove, la Corte Suprema autorizza la revisione.
8. Ricorrenti
8.1 Giurisdizione civile
Tutte le parti interessate dalla sentenza possono impugnare, con la
limitazione della necessità in ogni caso di assistenza legale.
8.2 Giurisdizione penale
Possono ricorrere l’imputato, il prosecutor, la parte privata (the
private prosecutor), il difensore ed il legale rappresentante dell’imputato. Il procuratore generale può impugnare la sentenza in favour of legality. La partecipazione al giudizio del difensore è obbligatoria.
9. Normativa di riferimento
La legge III del 1952 sul codice di procedura civile: appeal procedure (Chapter XII, Sections 233-259) e judicial review procedure (Chapter XIV, Sections 270-275).
La legge XIX del 1998 sul codice di procedura penale: appeal procedure (Chapter XIV), third instance appeal procedure (Chapter XV, Sections 385-401), judicial review procedure (Chapter XVIII, Sections 416429), ricorso in favore della legalità (Chapter XIX, Sections 430-438).
11.- Romania.
Il sistema giudiziario è composto da tribunali, corti di appello e,
al vertice, l’Alta Corte di cassazione e di giustizia.
La Costituzione prevede che l’Alta Corte di cassazione e di giustizia assicura «the uniform interpretation and application of the laws by
all other courts, according to its competence».
1. Numero dei magistrati addetti alla Corte Suprema
1.1 Settore civile: 35 giudici e 20 referendari
1.2 Settore penale: 35 giudici e 18 referendari
2. Numero di Sezioni
2.1 Civile: 1 (oltre 1 per la materia commerciale e 1 per quella tributaria e amministrativa).
159
2.2 Penale: 1
Con la legge n. 304 del 2004, la Corte è stata organizzata ratione
materiae in una sezione «civil law and intellectual property», una sezione penale, una sezione commerciale e una sezione tributaria e amministrativa, nonchè un Panel di 9 giudici competenti in materia penale.
Il collegio giudicante è formato da 9 giudici.
3. Numero dei ricorsi
3.1 Civile: nel 2005 n. 13.960; nel 2006 n. 7.934; nel 2007 n. 9.594.
Ricorsi inevasi giacenti ad inizio anno: nel 2005 n. 29.602; nel
2006 n. 6.906; nel 2007 n. 4.377.
A tali dati devono aggiungersi quelli relativi ai ricorsi di competenza delle altre sezioni: nel 2007, la camera commerciale ha ricevuto
n. 4235 e quella tributaria- amministrativa n. 4626 ricorsi (le rispettive pendenze sono n. 2061 e n. 1949).
3.2 Penale: nel 2005 n. 7.953; nel 2006 n. 7.571; nel 2007 n.
6.755.
Ricorsi inevasi giacenti ad inizio anno: nel 2005 n. 1.716; nel 2006
n. 1.728; nel 2007 n. 1.338.
4. Numero di provvedimenti emessi
4.1 Civile: nel 2005 n. 22.696; nel 2006 n. 10.463; nel 2007
n. 8.514.
4.2. Penale: nel 2005 n. 7.941; nel 2006 n. 7.961; nel 2007
n. 6.895.
5. Esistenza di un filtro preliminare
Non esiste una procedura di filtro preliminare.
6. Provvedimenti impugnabili per cassazione
6.1 Giurisdizione civile
Davanti alla sezione «civil law and intellectual property» sono impugnabili le decisioni emesse dalle corti appello e altre decisioni previste dalla legge.
6.2 Giurisdizione penale
Sono ricorribili i provvedimenti emessi dalle giurisdizioni di appello. La sezione criminale ha competenze penali in prima istanza
(reati commessi da parlamentari, da alte cariche dello Stato, da funzionari di polizia) e le sue decisioni sono impugnate in grado di appello davanti al Panel di 9 giudici.
160
7. Motivi di ricorso
7.1 Giurisdizione penale
Con ricorso possono essere fatti valere una serie di vizi processuali
o sostanziali elencati nell’art. 385-9 c.p.p., tra i quali:
1. l’incompetenza;
2. non è stata tenuta l’udienza pubblica, nei casi in cui è richiesta;
3. il processo è stato tenuto nell’assenza dell’imputato, del prosecutor, o del difensore, la cui presenza era obbligatoria;
4. la sentenza è priva di motivazione o la stessa è incomprensibile
o contraria alla decisione adottata;
5. gli elementi costitutivi del reato non esistono o l’imputato è
stato condannato per un reato non previsto dalla legge;
6. la pena è illegale o «wrongly individualized»;
7. bis in idem;
8. la decisione è contraria alla legge o la applica erroneamente;
9. grave errore di fatto;
10. abuso di potere da parte del giudice;
11. mancata citazione di una parte.
Alcuni vizi sono rilevabili ex officio, a condizione che vi sia sugli
stessi un dibattito.
8. Ricorrenti
8.1 Giurisdizione civile
Le parti processuali e intervenienti, i loro eredi e rappresentati legali, i difensori e il pubblico ministero, anche se non ha partecipato al
processo.
8.2 Giurisdizione penale
Di norma, l’imputato, il pubblico ministero, le parti offese, la parte
civile e il responsabile civile, nonché il difensore di una delle parti.
Inoltre, il ricorso può essere promosso anche dal rappresentante
legale dei titolari del diritto di ricorso e, soltanto per l’imputato, anche
dal coniuge.
9. Normativa di riferimento
La Costituzione all’art. 129 prevede che «judicial decisions may be
appealed against by the parties concerned and by the Public Ministry,
subject to the law».
In materia civile, la materia è regolata dal codice di procedura civile del 1865, che è stato più volte modificato. In materia penale, la
materia è regolata dal codice di procedura penale.
161
12.- Svezia.
Il sistema giudiziario svedese è composto da tribunali di circoscrizione, da corti d’appello, e dalla Corte Suprema (HD).
Il compito principale della Corte Suprema consiste nel riesaminare le cause che possono avere importanza per l’evoluzione del diritto,
ossia che siano tali da creare giurisprudenza.
La Suprema Corte è competente ad esaminare i ricorsi avverso le
sentenze di secondo grado.
Le sue decisioni hanno valore di precedente, anche se non vincolano i giudici di merito.
Due componenti della Corte fanno parte full time del Council on
Legislation, che esamina i disegni di legge prima della loro presentazione in Parlamento.
1. Numero dei magistrati addetti alla Corte Suprema
1 Presidente e 15 magistrati (Justices), di nomina governativa; vi
sono poi 30 assistenti, che svolgono il lavoro preparatorio.
2. Numero di Sezioni
La Corte lavora in 2 sezioni, non specializzate, composte da 7 giudici. La composizione varia tre volte l’anno. I collegi sono composti da
5 giudici (o 7 nei casi più complessi). Esiste una specializzazione invece per gli assistenti.
3. Numero dei ricorsi
Complessivamente pervenuti: nel 2005 n. 5.101; nel 2006 n. 5.249,
nel 2007 n. 5.010.
4. Numero di provvedimenti emessi
Sono disponibili solo i dati complessivi relativi al 2002 - 2004. Nel
2002 n. 4487; nel 2003 n. 4955; nel 2004 n. 5205 provvedimenti.
Pendenze: nel 2002 n. 1050; nel 2003 n. 1136; nel 2004 n. 1247 procedimenti.
5. Esistenza di un filtro preliminare
Il Code of Judicial Procedure del 1998 prevede un sistema di leave to
appeal, preliminare per l’accesso alla Corte. L’autorizzazione è data se:
1. è importante per l’interpretazione del diritto che la Corte decida l’appello;
2. vi sono straordinarie ragioni perché la Corte si pronunci, come
162
quando si tratta di riparare a sostanziali vizi o gravi errori procedurali o quando la decisione del giudice a quo è il risultato di palesi errori.
Il leave può stabilire quali parti della sentenza siano soggette ad
impugnazione, ovvero quelle che riguardano questioni di «importance
for the guidance of the application of law (precedent question)».
Il sistema di filtro porta ad una consistente limitazione dei casi decisi dalla Corte (il 2%, ovvero circa 120 casi l’anno).
La decisione sul leave è adottata da un solo giudice della Corte
(93% dei casi). Solo in caso di dubbio sulla rilevanza della questione,
la decisione è sottoposta ad una formazione di 3 giudici.
La decisione di rigetto del leave non è motivata, onde evitare che
la spiegazione sulla questione di diritto possa costituire un precedente interpretativo per il futuro.
Una volta garantito il leave, il giudice stabilisce se il caso necessiti di un relatore (cosa che non accade sovente); diversamente, ritenendo il caso pronto per la decisione, fissa la data dell’udienza.
6. Provvedimenti impugnabili per cassazione
Il Chapter 54 del Code of Judicial Procedure prevede che sono impugnabili davanti alla Corte Suprema le decisioni delle corti di appello.
Vi è inoltre la possibilità, introdotta 1989, che sia il giudice distrettuale ad investire – con il consenso delle parti – la Corte «if the
matter at issue is such that an out of court settlement on the matter is
permitted». Con tale procedura è investita direttamente la Corte su una
questione di diritto rilevante, manifestatasi in tale grado di giudizio.
E’ comunque previsto il filtro del leave.
7. Motivi di ricorso
Nel ricorso, devono essere indicate le grounds in base alle quali il
ricorrente considera la decisione della corte d’appello erronea. La
Corte può esaminare anche questioni in fatto.
8. Normativa di riferimento
La Costituzione stabilisce che il diritto di accesso alla Corte Suprema può essere limitato dalla legge (Chapter 11). La materia del ricorso alla Corte Suprema è regolata dal Code of Judicial Procedure.
13.- Norvegia.
Il sistema giudiziario è composto da County Court come giudici di
163
prima istanza (District Courts, City Courts), da High Court o Crown
Court che hanno competenze di appello e talvolta di primo grado e
dalla Corte Suprema come ultima istanza.
L’uniformità della giurisprudenza è garantita dalla regola prevista
sin dal 1926 (Plenumsloven, The Plenary Act), secondo cui nel caso due
o più giudici della Corte Suprema intendono discostarsi dalla giurisprudenza della stessa devono rimettere il caso alla sessione plenaria.
1. Numero dei magistrati addetti alla Corte Suprema
1 Presidente e 18 giudici (Justices)
2. Numero di Sezioni
2 sezioni e 1 Appeals Selection Committee, coperti a rotazione. I
collegi giudicanti sono composti da 5 giudici.
3. Numero dei ricorsi
3.1 Civile: nel 2005 n. 814; nel 2006 n. 925; nel 2007 n. 845.
3.2 Penale: nel 2005 n. 960; nel 2006 n. 1.002; nel 2007 n. 971.
4. Numero di provvedimenti emessi
4.1 Civile: la Suprema Corte ha deciso – dopo il filtro - nel 2005
n. 76; nel 2006 n. 89; nel 2007 n. 85 ricorsi.
Nel 2005 la durata media dei procedimenti davanti all’Appeals Selection Committee è stata di mesi 1,3; davanti alla Corte Suprema di
mesi 6,9.
4.2 Penale: la Suprema Corte ha deciso – dopo il filtro - nel 2005
n. 112; nel 2006 n. 79; nel 2007 n. 97 ricorsi.
Nel 2005 la durata media dei procedimenti davanti all’Appeals Selection Committee è stata di mesi 0,8; davanti alla Corte Suprema di
mesi 3,4.
5. Esistenza di un filtro preliminare
I ricorsi sono esaminati da un Appeals Selection Committee della
Corte Suprema, composto da 3 giudici.
Come prevede il codice di rito (artt. 323 c.p.p. e 373 c.p.c.), il Comitato deve dare il consenso all’appello, verificando se la questione ha
un significato che va al di là del singolo caso o se ci sono altre ragioni
particolarmente importanti perché il caso sia portato davanti alla
Corte Suprema. La procedura è essenzialmente scritta. Il rigetto deve
essere dato all’unanimità.
164
6. Provvedimenti impugnabili per cassazione
6.1 Giurisdizione civile
Le decisioni emesse dai giudici di appello. Nelle controversie
di natura pecuniaria, vi è un limite di valore di NOK 100,000 (art.
357 c.p.c.).
6.2 Giurisdizione penale
Sono ricorribili le decisioni emesse dai giudici di appello.
7. Motivi di ricorso
7.1 Giurisdizione civile
La Corte ha ampia autorità per la revisione della sentenza, potendo rivalutare anche le prove raccolte nelle fasi precedenti.
7.2 Giurisdizione penale
Diversamente, nel settore penale non è consentito il ricorso basato sull’errore nella valutazione della prova in caso di condanna (art.
306 c.p.p.).
8. Normativa
La Costituzione prevede all’art. 88 che la Corte Suprema è giudice
di ultima istanza e che la legge può stabilire limitazioni al diritto di ricorso.
Nel settore civile la materia è regolata dal Dispute Act (“DA”) del
1915. Il codice di procedura civile è stato peraltro riformato nel gennaio 2008. La materia penale è regolata dal Criminal Procedure Act
(“CPA”).
14.- Finlandia.
Il sistema giudiziario è composto da una Corte Suprema, corti di
appello e corti distrettuali.
In base alla Costituzione, «justice in civil, commercial and criminal matters is in the final instance administered by the Supreme Court»
(art. 99).
Funzione primaria della Corte Suprema è di assicurare, attraverso i suoi precedenti in casi di rilievo, l’uniformità nell’amministrazione della giustizia da parte delle corti inferiori. La stessa Corte è vincolata alle sue decisioni, come si desume dall’art. 16 delle Regole interne di procedura, che impone la sottoposizione della questione alla sezione plenaria quando la Corte intende discostarsi da un suo precedente.
165
Davanti alla Corte Suprema sono esperibili due ricorsi: l’appello e
il ricorso straordinario.
La Corte Suprema ha anche la funzione di fare proposte di modifiche normative.
1. Numero dei magistrati addetti alla Corte Suprema
La Corte è composta da 1 Presidente e da 15 giudici.
2. Esistenza di un filtro preliminare
In base al chapter 30 del Code of Judicial Procedure, una decisione della corte di appello può essere impugnata per appeal davanti alla
Corte Suprema solo se è accordato il leave to appeal. Tale autorizzazione può essere rilasciata solo in presenza di una di queste situazioni:
a) «è importante portare il caso davanti alla Corte Suprema per
una decisione riguardante l’applicazione della legge in altri casi simili
o a causa dell’uniformità della giurisprudenza»;
b) vi è stato un errore procedurale o altro errore, che può determinare l’annullamento della decisione;
c) o vi è un’altra importante ragione per rilasciare il leave.
La dottrina distingue i tre criteri in: 1. «precendential argument»;
2. questioni basate sull’annullamento della decisione; 3. questioni basate su altre gravi ragioni.
Nella prassi è il primo motivo quello che di norma giustifica l’autorizzazione, mentre il secondo è limitato ai casi in cui vi sia la necessità di rettificare una decisione manifestamente erronea, irragionevole o iniqua.
Il ricorso viene trattato presso la Corte Suprema in due fasi: una
di ammissibilità (leave to appeal) e una di merito.
La procedura è descritta dal Supreme Court Act del 1918. L’ammissibilità è decisa da 2 (talvolta 3) membri della Corte sulla base di
una relazione fatta da un referendario. Qualora il ricorso sia dichiarato inammissibile, la decisione impugnata diviene definitiva. Il merito
del ricorso è deciso da 5 giudici, sulla base di una relazione fatta da un
referendario.
Per il ricorso straordinario, si prevede che la decisione di inammissibilità sia assunta con l’unanimità da una sezione di 3 giudici, in
caso contrario il caso viene trasferito alla sezione ordinaria di 5 giudici. Le decisioni riguardanti misure cautelari o relative all’enforcement
sono adottate da un solo giudice.
166
3. Provvedimenti impugnabili per cassazione
In base al chapter 30 cit., sono impugnabili con appeal davanti alla
Corte Suprema «judgment and decision of the Court of Appeal». Il ricorso straordinario di cui al chapter 31 ha ad oggetto i final judgments.
4. Motivi di ricorso
I motivi dell’appeal sono stati già descritti al n. 5.
Per quanto concerne il ricorso straordinario, il chapter 31 cit. stabilisce che una sentenza può essere annullata per «procedural error». I
casi sono ivi descritti e attengono: alla composizione della corte; alla
declaratoria di ammissibilità di un caso che doveva essere d’ufficio dichiarato inammissibile; all’ipotesi che la persona, giudicata in contumacia pur non avendo ricevuto la citazione, sia stata condannata o la
persona, che non è stata ascoltata, abbia sofferto altri pregiudizi; la decisione della sentenza sia talmente confusa o deficitaria da non far risultare dalla stessa cosa sia stato deciso; o comunque deve trattarsi di
altro errore che deve aver avuto una importanza decisiva sull’esito del
processo. All’esito di tale ricorso, se la Corte verifica l’esistenza dell’errore, annulla la sentenza e rinvia il caso alla corte a quo perché sia
nuovamente giudicato, fissando se del caso un termine.
Accanto al ricorso per errori di procedura, lo stesso chapter 31
prevede altri specifici casi di «Reversal of a final judgment» in penale e
in civile. Si tratta di casi in cui la decisione è stata nel merito influenzata da alcune evenienze negative (condanna dei giudici per fatti connessi al processo; utilizzazione di false prove documentali o di false
prove testimoniali o peritali; errore evidente nell’applicazione della
legge). In linea generale, la Corte, se accoglie il ricorso e la decisione
appare chiara, può decidere essa stessa il caso.
5. Normativa di riferimento
La Costituzione stabilisce che il right to appeal, come tutte le altre
garanzie del fair trial sono regolate dalla legge (art. 21).
Il ricorso davanti alla Corte Suprema sia per le materie penali
che per quelle civili è disciplinato dal Code of Judicial Procedure (ch.
30 e 31).
15.- La giurisprudenza della Corte europea per i diritti dell’uomo.
La Corte europea ha più volte affermato che «il ruolo delle giurisdizioni supreme è precisamente quello di regolare i contrasti della
167
giurisprudenza» (Grande Camera, Zielinski et Pradal e Gonzalez e
altri c. Francia, 28 ottobre 1999, § 59; Beian c. Romania, 6 dicembre
2007, §§ 37-39), «fonte di insicurezza giuridica che riduce la fiducia
del pubblico nel sistema giudiziario», e di «fissare una interpretazione
per il futuro» (Faltejsek c. Rep. Ceca, 15 maggio 2008, § 34).
In relazione al “right to the court”, di cui all’art. 6 par. 1 della Convenzione, la Corte europea ha precisato che il “right to access” ne costituisce un aspetto non assoluto nè privo di limitazioni, di guisa che,
per quanto concerne le condizioni di ricevibilità di un ricorso, spetta
allo Stato dettarne la regolamentazione con un certo margine di discrezionalità, con il limite tuttavia di non restringere le possibilità di
accesso sino al punto di attentare alla sostanza del diritto stesso (Faltejsek c. Rep. Ceca, cit., § 31). Occorre, pertanto, un “ragionevole rapporto di proporzionalità” tra i mezzi impiegati e lo scopo perseguito.
In ordine all’accesso alle giurisdizioni supreme, la Corte ha stabilito che «in considerazione della natura speciale del ruolo della Corte
di cassazione, che è limitato alla verifica della corretta applicazione
della legge, …la procedura seguita può essere più formale» (Levages
Prestations Service c. Francia, 23 ottobre 1996, §§ 45-48; K.D.B. c.
Paesi Bassi, 27 marzo 1998, § 38; Brualla Gómez de la Torre c. Spagna, § 37; Grande Camera, Meftha c. Francia, 26 luglio 2002, § 41).
Relativamente alla procedura preliminare per l’ammissibilità del
ricorso per cassazione, se in un primo tempo – nell’esaminare il sistema inglese di accesso alla Corte Suprema (leave to appeal) – la Commissione dei diritti dell’uomo aveva ritenuto che «quando una corte
suprema, come l’House of Lords, conduce un esame preliminare del
caso al fine di stabilire la sussistenza delle condizioni richieste per la
ammissione del ricorso», non viene in applicazione l’art. 6, par. 1 della
Convenzione (Porter c. Regno Unito, 9 novembre 1987), in seguito la
stessa Corte, pur inserendo tali procedimenti nel campo di applicazione del citato art. 6, ha ritenuto compatibili con tale norma una
serie di semplificazioni procedurali, manifestando un atteggiamento
particolarmente flessibile in merito all’applicazione di alcune garanzie del fair hearing, così da lasciare un ampio margine discrezionale in
capo alle autorità nazionali. In particolare, la Corte ha più volte ripetuto che, se «l’articolo 6… non costringe le Parti ad istituire le Corti di
cassazione, uno Stato che si doti di giurisdizioni di tale natura ha l’obbligo di provvedere a che gli utenti della giustizia godano, presso le
medesime, delle garanzie fondamentali dell’art. 6» (tra le tante, Ekbatani c. Svezia, 26 maggio 1988, § 24; Khalfaoui c. Francia, 14 dicembre 1999, § 37). Peraltro, ha aggiunto che la compatibilità delle limi-
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tazioni previste dal diritto interno al diritto di ricorrere ad una Corte
dei cassazione «depends on the special features of the proceedings in
issue», e che è necessario tener conto del ruolo svolto nel sistema giudiziario dall’alta corte, di guisa che le condizioni di ammissibilità di
un ricorso su questioni di diritto «may be more rigorous than those for
an ordinary appeal» (Bûle‰ e Others c. Repubblica Ceca, 12 novembre 2002, § 62).
In tale prospettiva, la giurisprudenza di Strasburgo ha ritenuto
più volte compatibili con l’art. 6 cit. le procedure di accesso che prevedono l’istituto della preventiva autorizzazione alla proposizione dell’appello (leave to appeal), ancorché non del tutto rispettose dei canoni del fair trial. Tali procedure hanno tra l’altro ricevuto un puntuale
riconoscimento nell’Explanatory Report al Protocollo n. 7 come forme
di review ai fini della garanzia prevista dall’art. 2 di quest’ultimo.
In particolare, in relazione alla procedura del leave to appeal, ricordando che la sua natura ed il suo significato devono essere valutati nel più ampio contesto dei sistemi processuali nazionali, alla luce
anche della portata dei poteri conferiti alle giurisdizioni superiori e al
modo con cui i procedimenti di impugnazione sono condotti, la Commissione europea (Webb c. Regno Unito, 2 luglio 1997) ha stabilito
che, nel caso una corte suprema rifiuti di accettare un ricorso sulla
base della mancanza nel caso di specie di legal grounds, «very limited
reasoning may satisfy the requirements of Article 6 of the Convention».
Pertanto ha ritenuto corretto che, a fronte di un pieno grado di appello, fosse stato rifiutato il leave senza dettagliate ragioni, in quanto era
implicito («it must be apparent to litigants») che il loro caso non coinvolgeva una questione di grande e generale importanza o una grave ingiustizia, richiesti dalla legge per accedere alla Corte Suprema. Questa
soluzione è stata fatta propria dalla Corte in altre decisioni riguardanti la procedura di leave to appeal davanti alla House of Lords (Nerva c.
Regno Unito, 11 luglio 2000).
Per altro verso, la Corte ha censurato, sotto l’aspetto della legal certainty, quegli ordinamenti che, nel prevedere l’appeal on points of law,
lasciano dipendere la decisione sulla sua ammissibilità interamente
dall’opinione della corte suprema sulla configurabilità nel ricorso di
una «questione di cruciale importanza» (Beles e altri c. Repubblica
ceca, 12 novembre 2002, § 63).
In generale, sul piano delle semplificazioni del rito in cassazione,
la Corte europea ha ritenuto non in contrasto con il «right to access»
la mancanza di «dettagliate motivazioni quando sia adottata, nei casi
previsti dalla legge, una decisione di irricevibilità di un ricorso, che
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non ha prospettive di successo» (Burg e altri c. Francia, decisione del
28 gennaio 2003; Menet c. Francia, 14 giugno 2005, § 35; De Franchis
c. Francia, 6 dicembre 2007, § 2613), ovvero la sensibile riduzione del
«grado di dibattito giuridico che riguarda il merito del ricorso» (Stepinska c. Francia, 15 giugno 2004, § 1; Sale c. Francia, 21 marzo 2006,
§ 1914).
Sulla previsione dell’assistenza obbligatoria di un legale nel procedimento in cassazione, la Corte ha ritenuto che tale limitazione in
sé non è contraria all’art. 6 cit., essendo giustificata dalle peculiari caratteristiche del ricorso incentrato su questioni di diritto (Staroszcyk
c. Polonia, 22 marzo 2007, § 108), così come ha ritenuto in linea con
tale norma la previsione di un monopolio di difensori specializzati
presso le corti supreme, in considerazione della «specificità della procedura dinanzi alla Corte di cassazione», pur aggiungendo che «questa specificità non può far sì che non sia offerto al richiedente in cassazione, al quale si riconosce nel diritto nazionale il diritto di difendersi personalmente, dei mezzi di procedura che gli garantiranno il diritto ad un processo equo dinanzi a questa giurisdizione» (Voisine c.
Francia, 8 febbraio 2000, §§29-33).
In sede europea va ricordata anche la Raccomandazione del Comitato dei Ministri del CoE n. (95)5 del 1995 «concerning the introduction and improvement of the functioning of appeal systems and procedures in civil and commercial cases». Al fine di razionalizzare i sistemi delle impugnazioni anche per le materie civili (una volta intervenuto per quelle penali il protocollo n. 7), la Raccomandazione da un
lato stabilisce il principio del diritto al judicial control, dall’altro consente alla legge nazionale di stabilire appropriate eccezioni, onde assicurare che l’appeal si concentri su determinate materie. A tal fine, la
raccomandazione reputa opportuno escludere l’appeal sulla base del
valore esiguo della causa (small claims), ovvero richiedere l’autorizza13
La Corte ha ritenuto sufficiente motivato il provvedimento di inammissibilità
recante la formula «there is no legal or well-founded ground of appeal to the Court of Cassation» in Goru c. Grecia, 14 giugno 2007, § 17.
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«De l’avis de la Cour, dès lors qu’un pourvoi est orienté vers une formation de nonadmission et qu’il se conclut par une décision de non-admission rendue par une telle formation, le degré de débat juridique portant sur le mérite du pourvoi s’en trouve sensiblement réduit puisque, selon les termes mêmes de l’article L. 131-6 précité, la formation de
trois magistrats de la chambre à laquelle l’affaire est attribuée «statue lorsque la solution
du pourvoi s’impose», que celui-ci relève des pourvois irrecevables ou de ceux manifestement dénués de fondement (ce qui revient d’ailleurs au même)».
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zione all’impugnazione (leave to appeal). Inoltre per arginare gli effetti negativi del ricorso abusivo all’impugnazione, la raccomandazione
prevede che sia consentito una procedura di inammissibilità «in a simplified manner» (per es. senza un’udienza in contraddittorio con le
altre parti), per i ricorsi manifestamente infondati o immotivati, con
la previsione in tal caso di adeguate sanzioni. Per le giurisdizioni superiori (Role and function of the third court), la Raccomandazione ne
riserva la competenza alle questioni che «potrebbero far sviluppare il
diritto o contribuire ad una sua uniforme interpretazione». In tal
senso, raccomanda di limitare i casi di accesso a tali giurisdizioni solo
alle questioni concernenti «a point of law of general public importance». Qualora non siano in grado di accettare un sistema di autorizzazione all’impugnazione (leave to appeal), gli Stati dovrebbero comunque limitare i casi di accesso alle Corti supreme.
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Finito di stampare nel mese di gennaio 2009