1 LA GESTIONE BANCARIA ORIENTATA AL VALORE. INDICATORI

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LA GESTIONE BANCARIA ORIENTATA AL VALORE. INDICATORI, VERIFICHE,
METODOLOGIE D’APPLICAZIONE.
Fabio Santorum ed Eugenio Pavarani1 - Bancaria, n.9 / 2001
Indice
1. Introduzione
1.1
Struttura e contenuti del lavoro
1.2 Una premessa: il rafforzamento della shareholder view nelle gestioni bancarie
2. La creazione di valore nelle banche italiane: indicatori di risultato e verifiche
empiriche
2.1
Indicatori di mercato per la misurazione del valore percepito dagli azionisti
2.2
Requisiti di un indicatore di performance aziendale coerente con l’obiettivo
della massimizzazione del valore percepito dagli azionisti
2.3
EVA® come indicatore gestionale per la creazione del valore nelle banche
2.4
Le relazioni tra delta EVA e valore di mercato del patrimonio netto delle
banche
3. Delta EVA come driver per la creazione di valore: profili metodologici
3.1
A livello consolidato
3.2. Nelle unità operative della banca
4. La logica EVA applicata al value based management nelle banche
4.1
Sistema gestionale
4.2
Sistema incentivante
5. Conclusioni
Bibliografia
1. Introduzione
1.1 Struttura e contenuti del lavoro
Le banche italiane stanno creando valore per gli azionisti o sono ancora lontane da
quest’obiettivo? C’è corrispondenza tra il valore creato dalle banche ed il valore percepito
dagli azionisti attraverso le quotazioni di mercato? Le quotazioni riflettono le performance
correnti delle banche o scontano anche, e in quale misura, attese di miglioramenti futuri
dei risultati? Quali metodologie d’applicazione sono oggi concretamente a disposizione del
management bancario per orientare l’intera gestione alla creazione di valore? Come
allineare gli interessi del management con quelli degli azionisti?
Il presente lavoro si propone di fornire risposte ai quesiti enunciati; le risposte sono
elaborate utilizzando l’approccio metodologico proposto dalla <<logica EVA >> (economic
value added). La scelta metodologica condiziona l’intera impostazione del lavoro. Infatti,
ragionare sui temi indicati, in termini di EVA, significa andare oltre la trattazione di un
1
Eugenio Pavarani è Professore di Finanziamenti di Aziende nell’Università di Parma.
Fabio Santorum è associate di Stern Stewart & Co. Esperto di finanza e gestione delle imprese, collabora
con l’Università di Parma. Sebbene il lavoro sia frutto congiunto dell’opera dei due autori, la stesura dei
paragrafi dal 1.1 al 2.3 è da attribuirsi ad Eugenio Pavarani, quella dei paragrafi dal 2.4 al 4.2 a Fabio
Santorum.
Il lavoro ha beneficiato dei preziosi commenti di Giulio Tagliavini, Stefano Monferrà ed Alberto Lanzavecchia.
Ad essi va il ringraziamento degli autori, cui resta ovviamente ogni responsabilità per i contenuti.
1
complesso di strumenti di analisi idoneo a fornire misurazioni, informazioni, soluzioni a
specifici problemi di metodo. La logica EVA è molto di più che una metodologia per la
misurazione del valore: EVA propone una logica di impostazione della gestione in grado di
essere pervasiva sull’intera organizzazione e coinvolgente in rapporto al complesso dei
comportamenti aziendali che vengono indirizzati, misurati ed incentivati sulla base della
stessa metrica con cui si misura la performance aziendale in termini di creazione di valore.
Adottare la metodologia EVA significa proporsi di allineare i comportamenti dei singoli
operatori aziendali, dai più periferici al top management, agli obiettivi gestionali ed alle
attese di remunerazione degli azionisti. L’allineamento è guidato dall’uso di una metrica
comune. La metrica con cui si stabiliscono gli obiettivi di budget individuali e si misura
l’incentivazione del personale è la stessa con cui si programmano gli obiettivi aziendali e si
misura la performance dell’impresa; ed è la stessa metrica che – secondo la moderna
teoria finanziaria – è implicita nella logica di funzionamento dei mercati e nella loro
specifica funzione segnaletica che, incorporando nei prezzi le informazioni sulle
performance aziendali, determina i ritorni per gli azionisti. E’ questa la qualificazione più
rilevante della logica EVA. Ed è una qualificazione che deriva dalla capacità di coniugare
scientificità dell’approccio con il pragmatismo necessario per un’efficace applicazione
aziendale.
EVA affonda le proprie radici nei modelli teorici della finanza aziendale. Il valore aggiunto a
questi ultimi sta nell’aver proposto una rielaborazione che va oltre la spiegazione della
logica di funzionamento dei mercati, supera le ipotesi semplificatrici che adombrano, nei
teoremi, la complessità gestionale e propone linee guida e strumentario metodologico di
supporto idonei a porre il concreto comportamento delle imprese su una base di razionalità
coerente con le attese dei mercati.
Il lavoro è organizzato nel modo seguente.
Nel § 1.2 vengono proposte considerazioni in merito alla tendenza crescente nel sistema
bancario italiano ad orientare le scelte gestionali verso la massimizzazione del ritorno per
gli azionisti.
Nel § 2 il tema della attitudine delle gestioni bancarie a creare valore viene affrontato in
una duplice prospettiva: come misurare il ritorno per gli azionisti, secondo le metriche dei
mercati, e come prendere le misure alla capacità della gestione bancaria di produrre i
risultati che il mercato, secondo le sue logiche di funzionamento, possa tradurre in maggior
valore per gli azionisti.
In primo luogo, si propone (§ 2.1) una quantificazione dell’incremento effettivo di valore
percepito dagli azionisti delle principali banche italiane nell’arco temporale 1996-2000. Si
utilizza, a questo scopo, un indicatore denominato “valore percepito netto” (VPN). Ci si
interroga, successivamente (§ 2.2), sulle logiche - implicite nel funzionamento dei mercati
secondo la modellistica finanziaria - che legano le performance aziendali al VPN: come i
mercati “leggono” le performance aziendali e come le traducono in valore per gli azionisti
(logica del discounted cash flow). Viene quindi argomentata (§ 2.3) la valenza di EVA
quale misura dei risultati gestionali idonea a replicare, a livello aziendale, la stessa metrica
implicita nella formazione dei prezzi nei mercati delle azioni in ipotesi di razionalità degli
operatori e di efficienza dei mercati stessi.
E’ questa identità di “codice genetico” che spiega il successo di EVA. Avendo questo
indicatore lo stesso “DNA” del mercato efficiente e razionale, si può dire che EVA
rappresenti un clone, operativo a livello aziendale, del modello di pricing del mercato, il
discounted cash flow model (DCF). La capacità manageriale di governare l’EVA
internamente, attraverso la finalizzazione della gestione operativa, porta, con attendibili
gradi di consequenzialità, ad incrementare il valore di mercato delle società. Lo
strumentario EVA consente, inoltre, di identificare linee guida attendibili per la creazione
del valore nelle situazioni aziendali in cui manca il riscontro con il mercato (società non
2
quotate ed unità operative). Si puntualizza, a questo proposito, che la corretta misura di
una performance aziendale di successo è da quantificarsi in termini di delta EVA e non in
termini di valore assoluto di EVA, come talora, in modo improprio, viene indicato. Questa
puntualizzazione consente anche di superare un’esigenza di carattere metodologico,
indicata in letteratura, in ordine alla corretta quantificazione dei mezzi propri “a valori di
mercato”, quantificazione che risulta di difficile applicazione a livello operativo. Si propone
di misurare il capitale proprio, per la determinazione di EVA a livello consolidato, sulla
base dei valori contabili rettificati e si argomenta, a sostegno della proposta, che la
discussione in ordine alle modalità di quantificazione dei mezzi propri perde significato ove
si ragioni sulla performance in termini di delta EVA.
La capacità di delta EVA di spiegare il VPN, viene sottoposta a verifica empirica. Si
propone, a questo fine, una quantificazione del delta EVA prodotto dalle banche italiane
nel periodo 1996-2000 distinguendo, per ulteriore approfondimento, l’effetto prodotto dai
margini (tra rendimento e costo del capitale) dall’effetto prodotto dalla dimensione del
capitale. Vengono quindi messe a confronto le due quantificazioni (VPN e delta EVA) con
l’obbiettivo di testare la capacità di EVA di correlarsi al ritorno per gli azionisti.
L’attitudine di EVA a spiegare il valore di mercato del capitale proprio genera anche
interessanti ed innovativi strumenti di analisi dei mercati finanziari consentendo di
evidenziare quanta parte del valore societario espresso dai mercati è determinata dai livelli
correnti di EVA e quanta parte è spiegata da incrementi attesi di EVA che il mercato già
sconta nei prezzi. Al fine di determinare gli incrementi di EVA necessari per assicurare il
mantenimento delle quotazioni correnti e gli incrementi necessari per battere le attese del
mercato e innalzare le quotazioni, vengono presentati (§ 2.4) due strumenti di analisi: il
current operations value (COV) ed il future growth value (FGV). L’applicazione dei due
strumenti di analisi al valore di mercato delle principali banche italiane consente, infine, di
misurare quanta parte del prezzo corrente delle azioni è spiegata dalle performance
correnti e quanta parte è legata ad attese (speranze?) di miglioramento.
Il § 3 propone argomentazioni di carattere metodologico in ordine alle best practices per la
soluzione dei problemi relativi alle rettifiche da apportare al risultato operativo in coerenza
con la logica EVA (quantificazione del NOPAT) ed alla determinazione del capitale a
rischio a livello consolidato (§ 3.1) e per le unità operative (§ 3.2). In riferimento al primo
problema, si presenta, a titolo indicativo, la metodologia di rettifica adottata dal Credito
Emiliano. Per il calcolo del capitale a rischio e dell’EVA prodotto dalle unità operative, si
propone di utilizzare la volatilità del NOPAT.
Il § 4, conclusivamente, pone l’attenzione sul fatto che adottare la logica EVA, al di là della
mera acquisizione di significativi strumenti di misurazione e di elaborazione di informazioni,
offre l’opportunità di supportare un modello innovativo di gestione in coerenza con la logica
del value based management. E’ in questa prospettiva che la logica EVA dà il meglio di sé
divenendo la linea guida dell’intera organizzazione. Secondo tale modello, le banche non
pianificano più obiettivi solamente di margini, masse o rendimento contabile, ma
esplicitamente anche obiettivi di valore. Le unità operative non sono chiamate a
massimizzare i margini, “data” una determinata dotazione di capitale, bensì sono chiamate
a massimizzare la creazione di valore stessa, scegliendo, con il coordinamento strategico
centrale, il giusto mix tra risultato operativo marginale e costo del rischio marginale. Per
stimare in modo attendibile ed in misura prudenziale la massima esposizione al rischio
sostenibile dai mezzi propri, a livello economico, dalla banca nel suo complesso, si
propone di utilizzare il COV. Sia le performance che le decisioni strategiche e operative
vengono valutate in termini di contributo alla creazione di valore.
Condizione essenziale per il successo in questa prospettiva è che il sistema di
incentivazione del personale sia parametrato sulla produzione di incrementi di EVA,
all’interno di ogni singola unità operativa, almeno nella misura attesa dal mercato ed
3
implicita nelle quotazioni (nella componente FGV). In questo modo, ogni collaboratore
della banca viene messo nella condizione di applicare i principi base della moderna teoria
finanziaria alle proprie decisioni quotidiane e viene motivato ad agire nell’interesse degli
azionisti, perché in questo modo realizza, attraverso il conseguimento del bonus, anche il
proprio interesse personale.
1.2 Una premessa: il rafforzamento della shareholder view nelle gestioni bancarie
Tra i rilevanti fenomeni che hanno interessato negli anni novanta la profonda
trasformazione del sistema bancario in Italia, particolarmente significativa è la centralità
assunta, nelle nuove logiche gestionali, dal capitale proprio e dalla capacità delle banche
di assicurare agli azionisti remunerazioni allineate ai benchmark di mercato. lI capitale
proprio ha assunto le connotazioni di risorsa costosa, critica e fonte di intensi
condizionamenti nella direzione della disciplina gestionale e dell’efficienza economica.
La trasformazione degli assetti proprietari (privatizzazioni, società per azioni, diffusione
della proprietà) e la crescente focalizzazione delle funzioni obbiettivo degli azionisti sul
binomio rischio-rendimento espongono i risultati gestionali al vaglio del mercato, legano la
valutazione delle banche alla capacità di remunerare il capitale per cassa e con l’aumento
del valore per gli azionisti, condizionano la capacità di raccolta sul mercato azionario
all’attitudine delle banche di proporsi come investimento competitivo, comportano
l’esigenza di incrementare l’efficienza nell’impiego dei mezzi propri 2.
In un quadro di crescente integrazione dei mercati finanziari e di accentuata mobilità degli
investitori, le banche emittenti si trovano a competere con l’intero ventaglio degli
investimenti alternativi e la concorrenza sul funding è sempre più circoscritta alla capacità
di assicurare incrementi di valore avendo progressivamente perso peso altre motivazioni
alla detenzione delle azioni, quali per esempio le finalità di interesse strettamente sociale o
mutualistico legate ad assetti proprietari pubblici o cooperativi. In relazione all’accresciuta
contendibilità degli assetti proprietari ed all’esigenza di essere competitivi, in termini di
capacità di remunerazione, assumono anche rilevanza il mercato dei diritti di proprietà e le
sanzioni che da questo possono derivare a carico di logiche e di prassi imprenditoriali
insoddisfacenti sotto il profilo della capacità di produrre valore per gli azionisti.
D’altra parte, oltre ad essere divenuto riferimento primario dei risultati gestionali, il capitale
di rischio è anche risorsa costosa. Quest’ultima connotazione deriva dalle specifiche
funzioni del capitale di rischio nelle imprese bancarie. Diversamente da quanto è tipico per
le imprese industriali, il capitale proprio nelle banche non ha una funzione significativa di
finanziamento dell’attività operativa; per contro, assorbe pressoché interamente il rischio
della gestione. Caratteristica delle gestioni bancarie è infatti l’avversione al rischio dei
detentori delle passività emesse; ed è, pertanto, molto modesto il premio per il rischio
incorporato nei tassi passivi. Pressoché l’intero rischio gestionale è coperto dai mezzi
propri la cui onerosità è ulteriormente innalzata dalle condizioni di elevata opacità delle
attività bancarie che generano corrispondenti costi di agenzia e di informazione a carico
degli azionisti 3.
Il capitale proprio è, infine, risorsa critica in quanto fattore limitazionale dei percorsi di
crescita dimensionale e di allargamento dello spettro dei posizionamenti strategici sulle
2
Per un’analisi della funzione obiettivo delle banche, v. Ruozi R. (1987).
Per un approfondimento delle specifiche condizioni di elevatezza del costo del capitale delle banche, cfr.
Merton R. C. e Perold A. F. (1993). Nello stesso senso, v. Cesarini F. (1988). Sironi A. (1996) mette in rilievo
come la rete di protezione istituzionale (assicurazione dei depositi, credito di ultima istanza, vigilanza delle
autorità monetarie) concorra ad attenuare la percezione dei rischi rispetto al caso delle imprese non
finanziarie.
3
4
diverse graduazioni di rischio delle attività finanziarie. Al di là dei vincoli patrimoniali posti
dall’organo di vigilanza, la dotazione e la valorizzazione dei mezzi propri assume un ruolo
critico nell’attuale fase di ristrutturazione del sistema che vede accentuarsi la valenza
competitiva delle dimensioni aziendali e dell’ampiezza della gamma dei servizi offerti. La
concreta percorribilità degli indirizzi di ristrutturazione strategica ed organizzativa necessari
per il sostegno della capacità competitiva, da un lato, impone gradi di capitalizzazione
crescenti, dall’altro, passa al vaglio di condizioni di economicità espresse dai valori
societari e dai prezzi di concambio nei percorsi di crescita esterna fondati su processi di
aggregazione regolati con acquisition currency (“carta contro carta”).
L’effetto congiunto del crescente peso della shareholder view e degli intensi mutamenti di
scenario che determinano nuove regole del gioco “equity intensive” nelle dinamiche
competitive, stringe le banche in una morsa che sposta verso l’alto il livello minimo dei
risultati aziendali necessari per “stare sul mercato”.
Il sistema bancario ha vissuto un lungo periodo di mutazione genetica che lo ha
rapidamente avvicinato agli standard morfologici, strutturali e funzionali prevalenti sulla
scena internazionale. L’effetto combinato della globalizzazione finanziaria e
dell’adeguamento della cornice istituzionale e regolamentare ha fatto cadere diversi fattori
di imperfezione dei mercati che rendevano sostenibili condizioni di competitività sui prezzi
congiunte con strutture inefficienti dei costi. Le imperfezioni esistenti assicuravano la
compatibilità di equilibri di mercato stabili con condizioni di elevate dispersioni dei prezzi
intorno ai valori medi4.
Tra le condizioni permissive, un ruolo significativo era svolto da assetti proprietari non
vincolanti sotto il profilo della massimizzazione del rendimento atteso. In altri termini, gli
ampi gradi di libertà dal vincolo della massimizzazione dei profitti economici attesi, in
presenza di livelli modesti e di forti divari nelle remunerazioni attese dalla proprietà,
concorrevano a rendere possibili e sostenibili ampie divaricazioni nelle condotte di mercato
degli intermediari bancari e, corrispondentemente, nelle loro performance. Per contro, la
sopravvenuta crescente pressione esercitata da aspettative di rendimento sui mezzi propri
– più alte che in passato ed allineate alle condizioni più generali del mercato azionario
internazionale – restringe gli spazi di sostenibilità dell’allocazione del capitale su strutture
produttive inefficienti, o comunque disallineate rispetto a quelle dei leader di mercato.
Ora che la cornice istituzionale e regolamentare è stata riassettata ed è in atto un
ridisegno dei mercati (ampliamento internazionale, abbassamento delle barriere,
sostituibilità tra prodotti, concentrazione, ampliamento delle opportunità di differenziazione
attraverso innovazione e focalizzazione strategica, crescente contendibilità, ecc.), si esalta
il ruolo dell’anello intermedio che lega concorrenza ad efficienza, anello costituito dalle
capacità imprenditoriali e manageriali di generare competitività 5. Si restringono, infatti, i
percorsi di sviluppo: in presenza di strutture dei costi e di livelli di produttività disallineati
rispetto ai competitors, si generano divari nei rendimenti economici, ma <<se tutti gli
azionisti hanno aspettative uniformi, la “resa dei conti” è inevitabile6>>. Le “vie di fuga”
4
Per una approfondita trattazione dei mutamenti degli scenari del sistema bancario, degli effetti sulla
dinamica competitiva, dell’ampiezza delle azioni necessarie per ricostituire il vantaggio competitivo e delle
modalità ed effetti delle ristrutturazioni, cfr. Forestieri G. (2000). Per un’analisi sistematica delle scelte
strategiche e delle soluzioni organizzative adottate dalle banche italiane in risposta ai nuovi assetti
concorrenziali, si veda Fabrizi P. L. (2000).
5
A questa considerazione perviene Ciocca F. (2000) a conclusione dell’analisi sulla “metamorfosi” della
finanza italiana nel ventennio 1980-2000. Dopo aver rilevato che il ridisegno della cornice è stato completato
e che il sistema finanziario è ora nelle condizioni morfologiche e strutturali adeguate a supportare, in
condizione di competitività con gli standard internazionali, lo sviluppo economico delle imprese e del Paese,
egli afferma che <<la concorrenza, se promuove l’efficienza, può garantirla solo qualora non sia carente la
capacità dei produttori di rispondere alla sollecitazione competitiva>>.
6
Cfr. Forestieri G. (2000).
5
hanno un respiro molto corto: il recupero sui prezzi porta alla perdita di quote di mercato
ove non siano particolarmente rilevanti i vantaggi competitivi da differenziazione; il
recupero dei margini a scapito di maggiori rischi porta ad un maggiore fabbisogno di
capitale proprio e l’accresciuto ritorno, se misurato in termini di profitti contabili (ROE)7,
appare soltanto illusorio in rapporto alla creazione di valore per gli azionisti in quanto
incapace di cogliere la relazione tra maggiori rischi e livello del costo del capitale; il
contenimento dei costi a sostegno dell’innovazione e dello sviluppo rinvia di poco ed
intensifica le prospettive di declino.
Deve essere, infine, rilevato come la stessa regolamentazione di vigilanza sta evolvendo
nella direzione di assecondare la dimensione strategica del capitale proprio. Orientandosi
verso criteri che riconoscono la specificità aziendale, la stessa regolamentazione
prudenziale favorisce la maturazione di nuove logiche di gestione del capitale proprio nella
direzione del ribaltamento da “vincolo” da soddisfare a “leva” della competitività aziendale
attraverso l’allocazione firm specific, efficiente in rapporto ai posizionamenti strategici
perseguiti, ai vantaggi competitivi ricercati, alle attese degli azionisti.
Nel progredire lungo le direzioni indicate, il sistema bancario italiano sconta la debolezza
della logica imprenditoriale connessa alla pregressa scarsa qualificazione – sotto questi
profili – degli assetti giuridici e proprietari e sconta l’inevitabile inerzia di un processo di
crescita che è prima ancora culturale – di cultura manageriale – che giuridico,
regolamentare e di politica di governo delle istituzioni. E’ attraverso la cultura del valore,
della gestione ottima del capitale e della massimizzazione dei ritorni per gli azionisti, che
deve necessariamente passare, come già da tempo avvenuto nell’esperienza di molte
imprese industriali, il salto di qualità delle direzioni bancarie verso l’adozione di logiche di
value based management8.
2. La creazione di valore nelle banche italiane: indicatori di risultato e verifiche
empiriche
2.1. Indicatori di mercato per la misurazione del valore percepito dagli azionisti
Il valore societario incrementale 9, ad una certa data, è misurato dall’indicatore “valore di
mercato aggiunto”, il cosiddetto market value added (MVA). MVA è dato dalla differenza
tra il valore di mercato del capitale proprio e l’importo storicamente investito dagli azionisti.
Market value added (MVA) =
valore di mercato del capitale proprio – valore storico dell’investimento di capitale proprio
Il valore di mercato del capitale proprio è costituito dal prodotto del numero delle azioni per
il prezzo di mercato dell’azione. MVA è la rilevazione di mercato del valore incrementale,
7
Per una valutazione critica dell’attendibilità del ROE quale indicatore di performance delle banche, cfr. Di
Antonio M.(1999).
8
Con il termine value based mangement (VBM) si intende la gestione orientata alla creazione di valore, un
sistema cioè formale di procedure, modelli e attività che mettano in grado il management a tutti i livelli
dell’organizzazione di decidere ed agire nell’interesse degli azionisti in modo costante, premiando il
raggiungimento dell’obiettivo comune di creazione di valore attraverso la condivisione di parte della stessa
tra il management e la proprietà (gli azionisti). Per un’analisi sulla diffusione delle tecniche di VBM in un
campione di banche e di gruppi bancari italiani, v. Locatelli R. (2001).
9
Per un
inquadramento della relazione strategia – valore e per un’analisi della distinzione ed
interdipendenza tra il mercato dei titoli rappresentativi del capitale proprio delle banche ed il mercato delle
imprese bancarie, v. Mottura P. (1987).
6
rispetto all’investimento originario da parte degli azionisti, in riferimento ad un dato
momento di osservazione.
Nell’ottica dell’azionista investitore, il management ha il compito di massimizzare
attraverso la gestione, in ogni esercizio, la creazione di un flusso incrementale di ricchezza
costituito da due componenti: l’erogazione dei dividendi e l’incremento di MVA. Incrementi
di MVA presuppongono che ogni euro di nuovo investimento di capitale generi più di un
euro di valore di mercato. Il valore creato in un singolo esercizio, nell’ottica dell’azionista,
può quindi essere definito con la seguente espressione:
Valore percepito (VP) = dividendi erogati nell’anno 10 + delta MVA
Per dare un giudizio definitivo sul ritorno per gli azionisti in un anno, è infine necessario
confrontare il valore percepito (VP) con la creazione di valore attesa dagli azionisti, in
principio d’anno, sulla base del rendimento minimo ritraibile da investimenti di pari rischio
(costo di opportunità). Dal punto di vista del management, esso rappresenta il “costo del
capitale”11, il tasso di rendimento minimo da riconoscere per l’uso del capitale, secondo gli
standard di mercato. Il valore atteso può essere definito per mezzo della seguente
espressione:
Valore atteso (VA) = valore di mercato del capitale proprio iniziale x tasso di rendimento
minimo atteso
Nell’ottica dell’azionista, il valore netto effettivamente percepito, in un determinato periodo
(cfr. tab. 1 per un esempio di calcolo), è così definito come differenza tra il valore percepito
(VP) e la creazione di valore attesa (VA):
Valore percepito netto di mercato (VPN) = Valore percepito (VP) – Valore atteso (VA)
10
Si intendono sia i dividendi ordinari che straordinari, ad esempio il sovra-prezzo - rispetto al prezzo di
mercato corrente - pagato in occasione di acquisto di azioni proprie.
11
Nella prassi, il modello più diffuso per stimare il costo del capitale proprio è quello basato sulla teoria del
capital asset pricing model (CAPM); si veda Sharpe W. F. (1964), Lintner J. (1965); per un approccio
operativo alla stima del costo del capitale si veda Copeland T., Koller T., Murrin J. (1994).
Nel calcolo del costo del capitale per gli istituti bancari si fa generalmente riferimento al solo costo del
capitale proprio (cost of equity). Gli oneri sul debito, diversamente da quanto considerato per le imprese
industriali, sono infatti attribuiti, nelle gestioni bancarie, ai costi dell’attività caratteristica. E’ altresì possibile
considerare anche nel caso della banca una definizione di costo medio ponderato del capitale “anomala”
(weighted average cost of capital, WACC) comprensiva anche del costo del debito subordinato.
7
Tabella 1 – Il valore percepito netto (VPN)
Esempio di
calcolo del valore
percepito netto
(VPN): caso
Banca Fideuram,
esercizio 2000
Banca Fideuram - Esercizio 2000 (Valori in milioni di Euro)
Valore creato (VC)
A)
Valore di mercato del patrimonio netto al 31.12.2000
13.511
- Valore di mercato del patrimonio netto al 31.12.1999
10.811
Delta valore di mercato del patrimono netto 1999
Capitale investito al 31.12.2000 (netto del patrimonio di terzi)
- Capitale investito al 31.12.1999 (netto del patrimonio di terzi)
2.700
1.162
960
B)
Capitale investito incrementale 2000
C)
Delta MVA 2000 (A-B)
Dividendi pagati 2000
2.497
85
Valore creato (VC) (C+D)
2.582
D)
203
Valore atteso (VA)
Valore di mercato del patrimonio netto al 31.12.1999
x Tasso di rendimento minimo atteso
Valore atteso (VA)
10.811
13%
1.385
Valore creato netto (VCN)
Valore creato (VC) (E)
- Valore atteso (VA) (F)
2.582
1.385
Valore creato netto (VCN) (E-F)
1.196
Ciò che rileva, ai fini della determinazione del valore percepito dagli azionisti, non è
soltanto l’entità del flusso corrente dei dividendi bensì, a monte di ciò, la capacità degli
investimenti di generare un margine positivo tra rendimento e costo del capitale. Gli
azionisti attendono un rendimento in termini di valore, non necessariamente di pagamenti
immediati. Ogni azionista ha la possibilità di trasformare parte del suo valore in cassa a
suo piacimento, vendendo o impegnando parte delle azioni di sua proprietà. In altri termini,
non è rilevante che il valore sia distribuito; se la banca è in grado di sostenere ulteriori
opportunità di investimento economicamente vantaggiose, il miglior interesse per gli
azionisti è costituito dalla ritenzione e dal reinvestimento del valore stesso12. Il valore delle
azioni aumenta, secondo l’impostazione richiamata, anche in assenza di dividendi
immediati. Con il reinvestimento profittevole (in grado cioè di generare delta MVA > 0)
l’impresa costituisce, infatti, le premesse per l’erogazione di maggiori dividendi futuri che il
mercato efficiente riconosce, nell’immediato, incorporandoli nel prezzo in misura del loro
valore attuale.
Le formulazioni proposte offrono uno spunto di riflessione importante per lo sviluppo delle
considerazioni successive: il capitale effettivamente investito dagli azionisti è, in ogni
periodo d’analisi, pari al valore di mercato del capitale investito e non al valore storico
“contabile” dello stesso. L’azionista è chiamato a confrontarsi nel continuo con la decisione
di lasciare il valore delle proprie azioni impiegato in banca, oppure di liquidare
l’investimento, andando quindi alla ricerca di impieghi alternativi. Portando l’analisi dal
continuo al discreto, all’inizio di ogni periodo (un anno, più anni) l’azionista decide di
lasciare il proprio valore impiegato in banca, nell’attesa di un’adeguata remunerazione in
termini di incremento di valore e di dividendi.
Il patrimonio netto contabile, o forme rettificate dello stesso, rappresentano l’investimento
storicamente attuato dagli azionisti, comprensivo degli utili contabili generati dalla gestione
e reinvestiti. Come si indicherà in seguito (v. § 2.4), il patrimonio netto contabile può
essere utilizzato, per semplificazione metodologica e maggiore efficacia operativa, quale
proxy del valore investito nel calcolo di indici di profittabilità a livello consolidato qualora si
12
Quanto affermato corrisponde all’indicazione del noto teorema della separazione di I. Fisher.
8
parametri la performance sugli incrementi di EVA piuttosto che sui valori assoluti, ma non
è in ogni caso rappresentativo del reale investimento in essere degli azionisti.
Di seguito, si propone un’analisi (v. tab. 2) in ordine al valore percepito netto (VPN) dagli
azionisti dei principali gruppi bancari italiani negli esercizi dal 1996 al 2000. Gli istituti
bancari sono ordinati in base al valore percepito netto (VPN) assoluto cumulato nei cinque
anni.
Tabella 2 – Valore percepito netto (VPN) dagli azionisti di un campione di banche nel
periodo 1996-200013.
Milioni di Euro
Cumulato 1996-2000
UNICREDIT
SAN PAOLO IMI
B.CA POP BRESCIA
B.CA FIDEURAM
B.CA INTESA
B.CA COMM.ITALIANA
ROLO BANCA 1473
B.CA NAZ. LAVORO
CREDITO EMILIANO*
B.CA POP NOVARA
MEDIOBANCA
B.CA POP BERGAMO CRED VARESINO
B.CA POP COMM. IND.
B.CA POP VERONA*
B.CA POP LODI
MONTE PASCHI SIENA*
B.CA POP MILANO
B.CA DI ROMA
Delta
MVA
18.468
16.071
10.254
12.011
11.038
8.439
6.463
5.103
1.259
1.299
3.031
570
195
-62
-100
380
100
1.282
Dividendi
1.383
2.341
2.292
265
1.196
917
912
186
80
39
317
386
131
435
130
194
220
139
Valore
Creato
(VC)
19.852
18.411
12.546
12.276
12.234
9.356
7.376
5.288
1.339
1.339
3.348
956
326
374
30
574
320
1.422
Valore
Atteso
(VA)
7.157
6.377
2.151
2.754
4.825
3.551
3.136
1.987
402
534
2.840
803
483
556
247
908
766
2.980
Valore
Creato
Netto (VCN)
12.694
12.035
10.395
9.523
7.409
5.805
4.240
3.302
937
805
509
152
-157
-182
-218
-333
-446
-1.558
* = vd. Nota 13
Dalla tabella si può rilevare come, in generale, gli azionisti delle banche considerate
abbiano percepito incrementi di valore nell’arco temporale di riferimento. L’ammontare
complessivo di valore percepito netto (VPN) positivo ammonta a 67.806 milioni di Euro,
mentre il valore distrutto netto è stato pari a 2.895 milioni di Euro. Tali dati confermano
quindi una ricchezza incrementale rilevata dal mercato, in riferimento al complesso delle
banche analizzate, pari a 64.912 milioni di Euro.
2.2 Requisiti di un indicatore di performance aziendale coerente con l’obbiettivo
della massimizzazione del valore percepito dagli azionisti
Al fine di introdurre linee guida che orientino i manager verso l’obbiettivo della
massimizzazione di VPN, occorre preliminarmente ragionare sui fattori che determinano
MVA e delta MVA e, a seguire, il pagamento di dividendi, secondo l’impostazione dei
modelli elaborati dalla moderna teoria finanziaria. Questo approccio è importante sia per
13
Il valore percepito netto (VPN) cumulato dagli azionisti di Credito Emiliano fa riferimento all’arco temporale
1998-2000 (3 esercizi), quello della Banca Popolare di Verona al periodo 1999-2000 (2 esercizi), mentre il
VPN dagli azionisti di Monte dei Paschi di Siena si riferisce al solo esercizio 2000. In caso di
acquisizione/fusione accorsa nell’arco temporale considerato, per gli anni antecedenti alla
acquisizione/fusione stessa, si considera la performance dell’entità acquirente/acquisita/fusa più rilevante per
dimensioni (es. il BAV nel caso di Banca Intesa).
9
definire un appropriato indicatore di performance aziendale in grado di guidare la gestione
alla creazione del valore, sia per qualificare il sistema degli strumenti gestionali orientati
alla creazione di valore che, proprio nella teoria della finanza, trovano il loro presupposto
scientifico e metodologico. Ci si riferisce, in particolare, ai teoremi di Modigliani e Miller
che, sotto la copertura di ipotesi semplificatrici, descrivono il valore dell’impresa come il
valore attuale dei flussi di cassa futuri attesi complessivamente dall’impresa stessa.
Il modello generale del discounted cash flow (DCF) prevede che, il valore di un’impresa sia
pari al valore attuale dei flussi di cassa che l’impresa stessa saprà generare in futuro. Nel
calcolo di tale valore attuale, i cosiddetti free cash flow14 (FCF) vengono scontati ad un
tasso d’interesse che rappresenta il tasso di rendimento minimo atteso in media da
azionisti, finanziatori di capitale di debito, altri creditori e, nel caso specifico delle banche,
dai depositanti.
Il valore dell’impresa è quindi dato dal:
Valore attuale netto dei flussi di cassa futuri (VAN) =
FCFt
∑ (1 + wacc)
t =0
t
Dove:
-
t indica lo specifico periodo d’analisi;
FCFt è il flusso di cassa netto atteso nel periodo t;
wacc (weighted average cost of capital) è il costo medio ponderato delle diverse
forme di finanziamento dell’attività (capitale proprio, debito, depositi, ecc.), “dato un
determinato profilo di rischio medio delle attività stesse” e un determinato livello di
dotazione di capitale proprio.
Si noti che, diversamente da quanto indicato nella presente formula e diversamente dalla
prassi comune dei settori non bancari, nella valutazione delle banche, è normale utilizzare
un tasso di sconto che, anziché essere media ponderata dei rendimenti minimi attesi dalle
diverse categorie di investitori (inclusi i depositanti), corrisponde al tasso di rendimento
minimo atteso dai soli azionisti (costo del capitale proprio). In banca infatti la misura del
free cash flow (FCF) è tipicamente quantificata al netto degli interessi passivi a fronte di
depositi, in quanto aventi natura operativa. In questo modo, considerare il costo dei
depositi anche nel wacc, porterebbe ad una duplicazione di costi 15.
Si condivide tale approccio sia a livello pratico che logico, e lo si farà proprio nel seguito
del lavoro. Nel presente paragrafo però, si ritiene più utile, a fini esplicativi, considerare il
modello generale (non specifico del settore bancario) del discounted cash flow (DCF), con
tasso di sconto dato dalla media ponderata delle diverse forme di finanziamento
dell’attività (inclusi i fondi dei depositanti).
Alla luce della formula di cui sopra, è così possibile intuire come la matrice del valore, nella
modellistica teorica, stia in generale nella capacità dell’impresa di implementare
14
Il free cash flow (FCF) è il flusso di cassa residuale, dopo che dal flusso generato dall’attività operativa
sono stati sottratti i flussi di cassa relativi agli investimenti di capitale. Si tratta quindi del flusso di cassa
“disponibile” ad essere utilizzato (pagamento di dividendi, riacquisto di azioni, pagamento di interessi passivi
sul debito, ammortamento del debito) nel quadro dei rapporti con i finanziatori dell’attività, azionisti e
creditori.
15
Il rendimento atteso dai finanziatori di debito subordinato e di altre forme di debito può essere considerato
a seconda dei casi alternativamente nel wacc o, soluzione più comune e pragmatica, a deduzione dei flussi
operativi.
10
investimenti in grado di generare rendimenti superiori al costo medio ponderato del
capitale. Scontare infatti i flussi di cassa di un investimento ad un tasso pari al wacc,
quando il rendimento atteso è inferiore al wacc stesso, porta ad un contributo negativo in
termini di valore attuale netto (VAN). Investimenti aventi un rendimento superiore al wacc
producono invece, a beneficio dei portatori di capitale, flussi futuri che rappresentano
extra-profitti rispetto ai rendimenti degli investimenti alternativi attivabili direttamente dagli
stessi azionisti. I flussi eccedentari attesi costituiscono un valore aggiunto (MVA) al
capitale originariamente apportato, valore aggiunto che viene incorporato nei prezzi delle
azioni in termini di valore attuale dei flussi attesi.
Volendo applicare tale modello generale per valutare decisioni specifiche alla realtà
bancaria, è importante notare come, erroneamente, si potrebbe pensare che singole
operazioni strategiche ed operative non abbisognino marginalmente di capitale proprio. Le
aziende bancarie non hanno infatti generalmente bisogno di richiedere agli azionisti
versamenti di liquidità per finanziare specifiche attività operative (se non in fase di avvio
dell’attività bancaria). Esse possono infatti accedere ampiamente alla fonte di
finanziamento meno onerosa rappresentata dai fondi dei depositanti.
In realtà, anche la banca, più di ogni altra impresa, necessita di capitale proprio a
copertura del rischio di vedere il valore di mercato delle attività scendere al di sotto del
valore di mercato delle passività. Se questo accadesse, da un lato gli azionisti
perderebbero la totalità del valore del capitale da loro investito, dall’altro lato l’impresa non
sarebbe più in grado di assicurare la propria solvibilità. Nel caso specifico della banca, il
risparmio dei depositanti e la stabilità del sistema finanziario risulterebbero minacciati.
Si noti che tale requisito di patrimonializzazione minima, valido per ogni decisione della
banca, non deriva da imposizioni dell’autorità di vigilanza, ma da una necessità
prettamente economica dell’azienda bancaria: non dotarsi di capitale proprio in modo
adeguato, significherebbe per la banca incorrere, al contrario di quello che si potrebbe
pensare, in un costo medio ponderato dei fondi (wacc) più elevato (i finanziatori di capitale
di debito, non disponendo più di adeguate garanzie, richiederebbero rendimenti
estremamente alti dal loro investimento 16), e, nel caso estremo, porterebbe a non essere
più in grado di attingere ai fondi dei depositanti. Questi ultimi non sono infatti pronti ad
assumere nessun rischio riguardo alla solvibilità dell’istituto bancario.
In via semplificata, si può quindi affermare che gli istituti bancari devono dotarsi di un
livello minimo di capitale proprio che garantisca la solvibilità a beneficio dei depositanti in
relazione ad ogni decisione marginale. Tale valore minimo di dotazione patrimoniale è
solitamente definito con il termine di capitale a rischio (CAR). Il costo netto del capitale a
rischio può essere così visto come una forma di premio assicurativo pagato dagli
azionisti 17.
Ogni decisone marginale ha un impatto sul profilo di rischio complessivo dell’istituto e
presuppone un parallelo impatto sul wacc, inclusivo del costo del capitale proprio. Tale
effetto può essere verificato o sul tasso di rendimento atteso in relazione alle diverse forme
16
Sulla teoria riguardante la struttura finanziaria ottima e i costi del fallimento si veda Baxter (1967), Stiglitz
(1972), Kraus e Litzenberger (1973), Kim (1978).
17
L’interpretazione formale in termini assicurativi della funzione del capitale a rischio è proposta da Merton
R., Perold A. (1993); tali autori quantificano il costo economico dell’assicurazione per l’azienda come pari al
rendimento atteso dagli azionisti stessi, eccedente il rendimento ottenuto dall’investimento dei fondi in
impieghi privi di rischio. Tale interpretazione del “costo dell’assicurazione” è efficace dal punto di vista
esplicativo, ma potrebbe portare a pensare che l’ammontare di capitale a rischio dovrebbe effettivamente
essere investito in attività prive di rischio (titoli del tesoro, ecc.). Tale conclusione non sarebbe corretta e
contrasterebbe con uno dei fondamenti della teoria finanziaria moderna, con il principio cioè della
separazione tra decisioni di investimento e di finanziamento delle stesse. Per una disamina critica in ordine
all’applicabilità agli intermediari finanziari dei principi della finanza aziendale, si veda Sironi (1996).
11
di finanziamento o sul fattore di ponderazione delle diverse fonti (struttura finanziaria) o su
entrambe.
Se l’effetto di ogni decisione operativa in termini di flussi di liquidità e di rendimento
contabile è esplicito e diffusamente riconosciuto, meno esplicito, ma non meno importante,
risulta l’impatto della decisione sul profilo di rischio della banca (e quindi sul wacc), e
quindi sul valore dell’impresa (il wacc è al denominatore della formula del VAN del modello
del discounted cash flow).
Il valore di mercato di un’impresa in ogni momento d’analisi incorpora precise previsioni in
termini di flussi di cassa (FCF) e di grado di rischio atteso (wacc). Per generare incrementi
di MVA e pagamenti di dividendi ritenuti soddisfacenti dagli investitori, quindi superiori alle
attese di creazione di valore (VA), l’azienda bancaria deve così:
generare flussi di cassa (FCF) in linea o superiori a quelli già implicitamente incorporati
nel valore di mercato del patrimonio netto all’inizio del periodo d’analisi, senza
modificare il profilo di rischio complessivo;
mantenere o diminuire il profilo di rischio complessivo, quindi i costi per assicurare il
rischio, garantendo comunque la realizzazione di flussi operativi in linea con le attese;
generare nuovi flussi di cassa operativi, il cui rendimento sia superiore al costo
complessivo dovuto al rischio incrementale.
Si capisce così come il metodo del discounted cash flow (DCF) consenta, teoricamente, di
prendere le decisioni gestionali corrette nell’interesse degli azionisti, adottando lo stesso
criterio che, secondo i modelli proposti dalla letteratura finanziaria, determinano, nei
mercati, la formazione dei prezzi delle azioni. Ma, oltre a costituire una ineccepibile
costruzione logica per una corretta interpretazione dell’operare secondo razionalità, il
modello si presta a costituire anche uno strumento operativo aziendale per guidare l’attività
dei manager ?
La risposta è negativa ove si consideri che le banche devono disporre di sistemi di
misurazione del contributo alla creazione del valore che siano significativi in riferimento a
singoli periodi, da utilizzarsi in riferimento ad ogni singolo esercizio, ai fini di programmare
e di controllare a consuntivo la performance aziendale e per definire l’incentivazione del
personale. Il modello DCF, per contro, misura il valore attuale in riferimento all’intero
orizzonte dei flussi attesi ed impone previsioni di carattere soggettivo 18. La quantificazione
del flusso di cassa periodale, estrapolata dal flusso complessivo, perde significato e non
costituisce una misurazione attendibile della performance periodale. Si consideri, infatti,
che il flusso di cassa periodale potrebbe assumere un valore modesto per ragioni molto
diverse19. Una prima ragione potrebbe essere costituita da elevati investimenti alimentati
da risultati di gestione molto soddisfacenti. Oppure, all’estremo opposto, il FCF potrebbe
essere modesto semplicemente perché sono contenuti i flussi operativi. Un indicatore che
non distingue performance così diverse non si presta ad essere utilizzato come driver
aziendale della capacità di creare valore.
Il value based management richiede una misura della performance aziendale che sia
operativa, periodale e coerente con la modellistica che interpreta la logica di
funzionamento del mercato. Si tratta di risolvere un “dilemma”: il mercato “prende le
misure” alle performance aziendali in termini monetari (flussi di cassa attesi) e li traduce in
valore sulla base di un concetto di profitto inteso in termini economici (il mercato non
riconosce la logica contabile); le imprese prendono le misure periodali in termini di
convenzioni contabili e anche se adottassero la logica di valutazione del mercato non
18
Per un’analisi della solidità concettuale del metodo dei flussi di cassa in contrapposizione
all’insoddisfacente spendibilità operativa, si veda Di Antonio M. (1999).
19
Cfr. O’Byrne S. F. (1999a).
12
potrebbero derivare direttamente, dai flussi monetari periodali, indicazioni utili a guidare le
scelte operative 20.
2.3 EVA come indicatore gestionale per la misurazione della creazione del valore
nelle banche
L’individuazione di un indicatore di performance aziendale che sia contemporaneamente
operativo e coerente con la logica del mercato è il tema centrale della letteratura sul value
based management. Per essere orientata alla soddisfazione degli interessi degli azionisti,
la gestione deve essere puntualmente guidata da un indicatore capace di discriminare le
scelte che creano valore da quelle che lo distruggono. Disporre di uno strumento affidabile
a questi fini è particolarmente importante per le banche non quotate che non hanno il
riscontro del mercato (VPN). Ma anche nel caso delle banche quotate, VPN deve essere
inteso come il riscontro ex post di un’attività operativa che deve essere monitorata e
guidata ex ante sia in riferimento all’attività a livello consolidato, sia in riferimento all’attività
delle singole unità operative e, possibilmente, in riferimento all’attività creatrice di valore di
ogni manager e di ogni collaboratore.
Disporre di uno strumento attendibile consente anche di prendere le misure agli “errori” del
mercato. Le dinamiche di MVA possono essere infatti influenzate da fluttuazioni non
spiegate da modificazioni della performance corrente delle banche. In tal caso si deve
valutare quanta parte del valore di mercato del patrimonio netto è spiegato dall’attesa di
perpetuazione delle performance correnti e quanta parte è spiegata da attese di
cambiamento, in aumento o in diminuzione, delle stesse performance. Sotto questi profili,
un indicatore capace di misurare correttamente e di guidare la capacità di una banca di
creare valore produce anche una esternalità per il mercato: consente di misurare quanta
“speranza” (accreditamento della capacità prospettica, da confermarsi in futuro, di
incrementare la produzione di extra-profitti) o quanto “pessimismo” (assunzione di attese di
riduzione della capacità attuale e dimostrata di produrre i livelli correnti di extra-profitto)
sono incorporate nelle quotazioni attuali di mercato della banca.
Tra le diverse soluzioni proposte dalla letteratura21, l’economic value added (EVA)22, oltre
a rispondere ai pre-requisiti indicati, trova conferma della propria affidabilità anche nelle
verifiche empiriche 23.
La formula base dell’EVA per la banca è la seguente:
EVA = risultato gestionale netto rettificato24 - costo di periodo del capitale a rischio (valore
impiegato dagli azionisti a copertura del rischio x costo percentuale del capitale 25)
20
Per un’analisi della diversa accezione dei profitti bancari nella logica economica e nella logica contabile, si
veda Kimball R. C. (1998).
21
Cfr. Kimball R. (1997), Bacidore J.M., Boquist J.A., Milbourn T.T., Thakor A.V. (1997).
22
Cfr. Stewart G. B. (1991).
23
Su questo aspetto, peraltro, le posizioni in letteratura non sono concordi. Tra gli altri, argomenti a favore
sono proposti da Stewart G. B. (1991), Stern J. M., Stewart G. B., Chew D. H. (1995), Uyemura D.G., Kantor
C., Pettit J. (1996), O’Byrne S. (1997); argomenti contrari sono proposti da Kramer J, Pushner G. (1997),
Lehn K., Makhhija (1996). Una specifica approfondita confutazione delle tesi contrarie è proposta da O’
Byrne S. F. (1999b).
24
NOPAT nel lessico EVA; è l’acronimo di net operating profit after taxes. Una più puntuale definizione ed
una indicazione delle rettifiche sono proposte nel successivo §.3.1.
25
Il costo del capitale percentuale è il tasso di rendimento minimo atteso dagli azionisti. Riguardo
all’opportunità di utilizzare un costo del capitale medio ponderato (wacc), si veda il precedente § 2.2 e la nota
15.
13
L’EVA è definito come la differenza tra il reddito gestionale rettificato al netto delle imposte
ed il costo del valore impiegato dagli azionisti all’inizio del periodo d’analisi a copertura del
rischio. L’idea di base dell’indicatore è che il reddito generato dalla gestione deve coprire
non soltanto i costi operativi, ma anche il costo di opportunità del capitale proprio investito
in azienda, il cui onere non trova rappresentazione nel bilancio d’esercizio.
La coerenza di EVA con il modello del discounted cash flow (DCF) è piena. Formulate
ipotesi riguardo a risultati economici futuri, il valore attuale netto dei flussi di cassa futuri
coincide matematicamente con il valore presente degli EVA futuri. Tale relazione non deve
sorprendere, in quanto EVA nasce storicamente come sforzo per riformulare la misura del
free cash flow (FCF) in chiave operativa 26.
In ogni periodo d’analisi, nel calcolo dell’EVA viene considerato esplicitamente il costo del
valore impiegato netto. In questo modo l’EVA permette, a differenza dei flussi di cassa, di
“ricordare” in modo costante l’investimento di capitale in essere ed il suo costo. Il modello
del discounted cash flow (DCF) e quello dell’EVA, usati ai fini valutativi, danno entrambi la
stessa risposta corretta e coerente con l’obiettivo di massimizzare il valore percepito netto
(VPN). L’EVA contribuisce però a dare un giudizio sul contributo alla generazione di valore
in ogni singolo periodo d’analisi ed è, pertanto, adatto a supportare la gestione e a
motivare i collaboratori verso la creazione di valore.
L’indicatore rappresenta una soluzione di compromesso tra visione contabile (ottica
dell’impresa) e visione economica (ottica del mercato) della performance aziendale.
Gli azionisti attendono una remunerazione adeguata del valore di mercato del loro
investimento. Da questo punto di vista, ai fini della quantificazione dell’effettivo costo
sostenuto dalla banca a copertura del rischio di periodo, l’unica misura adeguata del valore
impiegato dagli azionisti, sembrerebbe essere il valore di mercato del patrimonio netto
all’inizio del periodo d’analisi. In realtà, calcolare EVA in base ad un risultato gestionale
netto rettificato derivato dalla contabilità o dal sistema gestionale, e ad un capitale investito
espresso a valori di mercato, non risulta né agevole, né indispensabile dal punto di vista
operativo 27. Tale misura sarebbe infatti calcolabile solo per aziende bancarie quotate, a
livello consolidato, e comunque, anche in questo caso, la sua utilità risulterebbe sospetta.
L’indicatore così formulato sarebbe infatti riferito contestualmente a valori di mercato, che
incorporano sia volatilità di breve periodo che attese di performance di lungo periodo, ed a
misure di performance operativa monoperiodali 28.
La risposta concreta a tale problema, ideata nell’ambito delle applicazioni più recenti dei
sistemi EVA nelle banche e nelle imprese industriali, è stata quella di utilizzare
approssimazioni del valore di mercato dell’investimento degli azionisti operativamente
rilevanti e derivabili all’interno del sistema contabile/gestionale (per definire tali
approssimazioni convenzionali del valore impiegato, si userà in seguito il termine generale
“capitale operativo”), spostando l’attenzione, per contro, dal livello assoluto di EVA ai valori
di performance incrementale di EVA rispetto all’anno precedente.
La sicurezza dell’impianto contabile/gestionale rende l’EVA strumento operativo vicino alle
logiche gestionali tradizionali e, come si è accennato, declinabile all’interno dell’intera
organizzazione. D’altro canto, però, calcolare l’EVA in base ad un capitale operativo
contabile/gestionale rende la misura assoluta dell’EVA incapace di dare una risposta
definitiva in merito alla creazione di valore o meno di una banca o di una parte di essa.
Non è corretto, infatti, affermare che banche con EVA positivo creano valore e banche con
EVA negativo lo distruggono. Il giudizio definitivo sulla creazione di valore per gli azionisti
26
Free cash flow (FCF) = NOPAT – delta capitale investito. Per una dimostrazione della identità tra valori
attuali dei FCF e degli EVA periodali, si veda O’Byrne (1999a).
27
Tale versione dell’EVA è nota come REVA (“refined EVA”), Bacidore J.M., Boquist J.A., Milbourn T.T.,
Thakor A.V. (1997).
28
Queste considerazioni sono condivise da Young S.D., O’Byrne S. (2001), p. 260.
14
può venire solo dalla misura del valore percepito netto (VPN) e dalle attese in ordine agli
EVA futuri implicite nel valore di mercato corrente del patrimonio netto.
Quanto affermato non sminuisce l’importanza dell’EVA quale strumento per mettere in
grado il management della banca di prendere decisioni corrette in chiave di creazione di
valore e per motivare tutti i collaboratori, dal top-management al dipendente di filiale, a
perseguire gli interessi degli azionisti. Si tratta di focalizzare meglio le relazioni che
intercorrono fra EVA e valore di mercato del capitale. A questo proposito, nel prossimo
paragrafo, si dimostrerà come utilizzare il delta EVA, anziché l’EVA assoluto, e
parallelamente introdurre il concetto del “miglioramento atteso dal mercato” nel lungo
periodo, permette di legare lo strumento operativamente rilevante e praticabile dell’EVA al
valore di mercato dell’investimento degli azionisti, e responsabilizzare così il management
per la remunerazione dell’effettivo capitale investito.
Di seguito (v. tab. 3), si propone un’analisi dell’EVA prodotto dai maggiori gruppi bancari
italiani nell’arco temporale 1996-2000. In questo caso, il valore investito è approssimato
utilizzando come specificazione del capitale operativo il patrimonio netto contabile
rettificato.
Nell’analisi, si scinde inoltre l’incremento dell’EVA in due parti ideali: delta EVA dovuto ad
un accresciuto grado di profittabilità (ampliamento dello spread tra rendimento e costo del
capitale percentuale) e delta EVA legato alla crescita dimensionale. Le aziende risultano
ordinate in base al miglioramento di EVA realizzato in valore assoluto nel periodo
considerato.
Tabella 3 – Delta EVA creato da un campione di banche nel periodo 1996–200029
Milioni di Euro
SAN PAOLO IMI
UNICREDIT
MONTE PASCHI SIENA
B.CA COMM.ITALIANA
ROLO BANCA 1473
MEDIOBANCA
B.CA NAZ. LAVORO
B.CA POP NOVARA
B.CA DI ROMA
B.CA POP BERGAMO CRED VARESINO
B.CA POP VERONA
B.CA POP MILANO
B.CA FIDEURAM
B.CA POP BRESCIA
B.CA POP LODI
CREDITO EMILIANO
B.CA POP COMM. IND.
B.CA INTESA
EVA 1995
-585
-467
-519
-673
-366
-403
-426
-494
-1.263
-69
-131
-126
-14
-15
-64
-46
-26
-75
EVA 2000
1.964
968
769
159
286
-132
-173
-242
-1.059
108
42
31
140
121
47
4
-48
-215
Delta EVA
1995-2000
2.550
1.435
1.289
832
653
271
253
252
205
177
173
157
154
136
111
50
-22
-141
Dovuto a
Dovuto a
maggior
crescita
profittabilità dimensionale
1.642
908
847
588
1.100
188
796
35
570
83
316
-46
281
-28
264
-12
458
-254
121
57
157
17
149
9
83
71
37
98
74
37
48
2
2
-23
58
-198
Come si può rilevare dalla tabella 3, gli indicatori di performance gestionale confermano
nel complesso di settore quanto emerso dagli indicatori di mercato (tab. 2) in ordine alla
maturata capacità delle banche italiane di creare valore partendo, peraltro, da una
situazione ampiamente negativa rilevata in riferimento all’inizio del periodo.
Nella maggior parte dei casi, il delta EVA è stato altamente significativo. E’ interessante
inoltre notare, confrontando le tabelle 2 e 3, come tra le prime dieci aziende bancarie per
29
In caso di acquisizione/fusione accorsa nell’arco temporale considerato, per gli anni antecedenti alla
acquisizione/fusione stessa, si considera la performance dell’entità acquirente/acquisita/fusa più rilevante per
dimensioni (es. il BAV nel caso di Banca Intesa).
15
Valore Creato Netto (VCN), sei facciano parte delle prime dieci anche in termini di delta
EVA 1996-2000, mentre le restanti quattro rappresentino tutte casi di banche per cui il
mercato a fine 2000 riconosceva un premio dovuto alle distintive potenzialità strategiche di
sviluppo futuro (Banca Intesa, Banca Fideuram, BIPOP, CREDEM).
Monte dei Paschi di Siena e Banca di Roma si trovano tra le prime dieci banche in termini
di delta EVA, ma appaiono penalizzate in termini di Valore Creato Netto (VCN). Tali
eccezioni non stupiscono, se si pensa al fatto che nel calcolo del VCN di MPS è stato
considerato solamente l’esercizio 2000 (mentre nel calcolo del delta EVA si considerano
cinque anni) e che Banca di Roma ha migliorato fortemente il livello di EVA, ma tale livello
continua comunque a rimanere negativo.
In generale, sembra possibile individuare conclusivamente all’interno del campione delle
banche analizzate tre diverse categorie:
1. istituti bancari con una dimensione e un modello di business già sviluppati nel 1995,
che hanno creato valore prevalentemente attraverso un processo di razionalizzazione
(Unicredit, S. Paolo-IMI, COMIT, Rolo);
2. banche “della nuova generazione” (Fideuram, Bipop) e istituti più tradizionali (Banca
Intesa) nei confronti delle quali il mercato ha creduto e crede, in grossa parte grazie
alle opzioni di sviluppo futuro da esse generate;
3. istituti (es. BPCI, Banca di Roma) che non sono riusciti, pur migliorando in alcuni casi
anche di molto la performance del 1995, a raggiungere sufficienti di EVA;
I dati proposti e l’analisi effettuata in riferimento alle tabelle 2 e 3 sembrano suggerire una
rilevante correlazione tra delta EVA positivi e valore percepito dagli azionisti (VPN). Tale
ipotesi è stata testata in relazione al campione esaminato (18 istituti), sull’arco temporale
di riferimento (1996-2000). In particolare, è stata valutata la qualità della correlazione
statistica (R2) tra la misura del valore percepito netto (VPN), da un lato, e gli indicatori di
performance più diffusi, dall’altro: delta EVA, delta utile netto per azione e delta ROE 30. I
risultati sono riassunti nella tabella 4.
30
Per sterilizzare la regressione dall’effetto dimensionale dei singoli istituti, i dati di valore percepito netto
(VPN) sono stati standardizzati in base al capitale investito medio in ogni esercizio e i dati di delta EVA sono
stati normalizzati in base al capitale investito al termine dell’esercizio 1995, quelli di di delta utile per azione,
in base al capitale investito per azione al termine dell’esercizio 1995.
16
Tabella 4 – Capacità dei più comuni indicatori di performance del campione di banche
considerato (v. tab. 2 e 3) di spiegare incrementi nel valore percepito netto (VPN).
Variabile
Capacità di "spiegare" il
VCN ( R2)
Delta EVA standard
49,4%
Delta utile per azione
37,6%
Delta ROE
8,3%
Le analisi danno sostanzialmente conferma all’ipotesi del delta EVA quale indicatore di
performance con la più rilevante capacità di “spiegare” a livello operativo la creazione di
valore per gli azionisti, e mettono in risalto lo scarso grado di significatività in particolare
del ROE. Riguardo all’alto grado di correlazione con la creazione di valore mostrato dal
delta utile per azione, una precisazione risulta necessaria: é possibile dimostrare che un
modello basato sul delta utile per azione standardizzato in base al capitale investito per
azione non è un modello puramente di utile per azione, bensì diventa un modello di utile
per azione e capitale, quindi un modello EVA “travestito”31.
Se il dato esposto in tab. 4 è importante a sostegno dell’EVA e della sua rilevanza anche
per la realtà italiana, non appare corretto identificarlo come il fattore determinante per
adottare il sistema EVA. Le motivazioni chiave sono altre e più importanti.
Si ritiene infatti possibile che un sistema di incentivi basato su un determinato indicatore di
performance sappia stimolare in modo ottimale decisioni e azioni coerenti con l’interesse
degli azionisti, mentre altri indicatori siano invece superiori nello spiegare ex post
movimenti del corso azionario. Tale parere è condiviso, tra gli altri, da Zimmerman: << è
improbabile che il successo di un indicatore di performance nel descrivere variazioni di
breve periodo del corso azionario di un’azienda possa essere il fattore più importante nella
decisione della metrica di riferimento per definire l’incentivazione del management… . La
miglior misura di performance è quella che, senza incorrere in costi eccessivi, dà al
management gli incentivi più significativi a intraprendere azioni che accrescano il valore
d’impresa.32>>. Studi empirici dimostrano che EVA è la misura più adeguata a tale
compito 33.
2.4 Le relazioni tra delta EVA e valore di mercato del patrimonio netto delle banche
Qualunque sia la convenzione utilizzata nella specificazione del capitale operativo 34, la
relazione tra EVA e valore di mercato dell’investimento degli azionisti può essere così
esplicitata: coerentemente con il modello di valutazione del discounted cash flow (DCF), il
31
O’Byrne S.F. (1999 b).
Zimmerman J.L. (1997), pp. 98-109.
33
Biddle G., Bowen R., Wallace J. (1999).
34
Come indicato in precedenza, con il termine “capitale operativo”, si intende ogni approssimazione
contabile/gestionale del valore di mercato impiegato dagli azionisti. Nel seguito del lavoro, ai fini del calcolo
dell’EVA, si propone di utilizzare come capitale operativo:
a livello consolidato: il patrimonio netto contabile rettificato;
a livello di unità operativa (società, business unit, ecc.): il capitale a rischio specifico dell’unità.
32
17
valore di mercato del capitale proprio può essere letto come somma del capitale operativo
e il valore attuale degli EVA futuri attesi35:
Valore di mercato del capitale proprio = capitale operativo + valore attuale degli EVA futuri
Le attese di performance EVA futura possono essere quindi scomposte in attese di
mantenimento del livello di EVA corrente e in attese di miglioramento di tale livello 36. Così,
quando al capitale operativo al tempo della valutazione viene sommato il valore della
performance corrente di EVA, si misura il valore dell’operatività corrente della banca:
Current operations value (COV) = capitale operativo + valore della performance EVA
corrente 37
Questo è il valore che il mercato attribuirebbe al patrimonio della banca, se la stima
incorporasse attese di performance EVA immutate per l’intera vita futura dell’istituto. Nella
realtà però il mercato tipicamente incorpora attese di miglioramento, o peggioramento, del
livello corrente di EVA.
35
Calcolati in modo coerente in base alla stessa definizione di capitale operativo.
La scomposizione qui riproposta in riferimento ad EVA, è stata originariamente elaborata da Modigliani F.,
Miller M. H. (1961). La riproposizione nella logica EVA applicata alle imprese industriali è stata elaborata da
O’Byrne S. F. (1996).
37
Tale valore è quantificato in via semplificata attraverso la formula matematico-finanziaria della rendita
perpetua: valore della performance EVA corrente = EVA corrente / costo del capitale percentuale.
36
Si noti inoltre, che iI valore del COV non cambia a seconda della convenzione scelta in relazione al capitale
contabile/gestionale utilizzato per approssimare il valore di mercato dell’investimento degli azionisti;
condizione necessaria per tale equivalenza, è che l’EVA sia calcolata in base ad un capitale operativo
coerente. Si pensi al caso in cui:
NOPAT = 1.000
Patrimonio netto contabile rettificato = 5.000
Capitale a rischio (CAR) = 2.500
Costo del capitale percentuale = 10%
A) EVA calcolata utilizzando come capitale operativo il patrimonio netto contabile rettificato =
= 1.000 – 5.000 x 10% = 1.000 – 500 = 500
da cui: COV = 5.000 + 500 / 10% = 5.000 + 5.000 = 10.000
B) EVA calcolata utilizzando come capitale operativo il capitale a rischio (CAR) =
= 1.000 – 2.500 x 10% = 1.000 – 250 = 750
da cui: COV = 2.500 + 750 / 10% = 2.500 + 7.500 = 10.000
18
Grafico 2 – Scomposizione del valore di mercato del capitale proprio nel valore della
performance corrente e nel valore delle attese di miglioramento di EVA corrente
Valore
Valore delle
delle
attese
attese di
di
MVA
miglioramento
miglioramento
Valore
Valoredi
di
mercato
mercato
del
delcapitale
capitale
proprio
proprio
FGV
FGV
Valore
Valore della
della
performance
performance
EVA
EVA corrente
corrente
COV
COV
Capitale
Capitale
investito
investito
operativo
contabile
contabile
Partendo quindi dal valore di mercato del capitale proprio38 e sottraendo il valore
dell’operatività corrente (COV), è possibile quantificare il valore relativo alle attese di
miglioramento del livello di EVA corrente (FGV) implicitamente espresso dal mercato:
Future growth value (FGV) = valore di mercato del capitale proprio – current operations
value (COV)
E’ possibile, infine, tradurre il valore delle attese di miglioramento del livello di EVA in valori
di miglioramento atteso annui del livello di EVA impliciti in un determinato valore di
mercato dell’investimento degli azionisti 39.
La valenza applicativa di tale principi è notevole e consente di stringere ulteriormente la
relazione tra EVA e valore di mercato del capitale proprio. La banca crea valore nel
momento in cui il miglioramento dell’EVA raggiunto, indipendentemente dalla convenzione
adottata per la determinazione del capitale a rischio da remunerare, è maggiore rispetto a
quello atteso. Di converso, la banca distrugge valore nel momento in cui il delta EVA
realizzato è inferiore a quello minimo atteso dal mercato, quello cioè già scontato nel
corrente valore di mercato del patrimonio. Il miglioramento dell’EVA atteso dal mercato
rappresenta per il management della banca la soglia da raggiungere per mantenere il
valore di mercato e da superare per conseguire la creazione di ulteriore valore di mercato
del capitale proprio.
Si può rilevare, per inciso, che EVA, originato come metrica interna alla banca, presenta,
nei profili indicati, anche importanti esternalità. L’entità del valore di mercato viene, infatti,
ricondotta, in modo esplicito e puntualmente quantificato, alle performance implicitamente
attese dal mercato. Attraverso lo strumentario di analisi proposto dalla logica EVA, queste
aspettative ed i prezzi di borsa che le contengono possono essere valutati criticamente,
nella loro credibilità, alla luce dell’attendibilità delle performance aziendali prospettiche
presupposte.
Si capisce così perché valutare e responsabilizzare il management in termini di
miglioramento continuo dell’EVA sia il miglior modo per arrivare alla massimizzazione del
valore percepito netto (VPN) e come si possano anche valutare gli scostamenti dei prezzi
di borsa rispetto ad attendibili valutazioni delle performance aziendali.
Un’ulteriore importante intuizione implicita nell’impianto descritto è quella che rettificare il
patrimonio netto, o altre misure gestionali di capitale, per renderle più vicine al valore di
38
39
Per le aziende bancarie quotate, il valore di borsa del patrimonio netto.
Per la derivazione di target annuali di delta EVA dal FGV, si veda Young S.D., O’Byrne S. (2001), p. 308.
19
mercato di per sé è un esercizio sterile e ridondante ai fini gestionali 40. Affinché si possa
verificare questa condizione è comunque necessario che le variazioni nel capitale
operativo siano, in ogni periodo d’analisi, significativa espressione del maggiore o minore
capitale investito dal management nell’interesse degli azionisti e che la misura dell’EVA
incrementale, che sconta appunto il costo del capitale incrementale, dia indicazioni
decisionali coerenti con gli interessi degli azionisti.
L’obiettivo di miglioramento continuo dell’EVA vale anche per gli istituti bancari non quotati
che, non disponendo di conferme esterne di mercato sull’andamento della gestione,
dovrebbero dotarsi, con ancor maggior convinzione, di un sistema che sappia replicare le
logiche valutative del mercato stesso. Il miglioramento atteso della performance dell’EVA
corrente, per le banche non quotate, è comunque definibile per mezzo del confronto con
altri istituti di credito quotati o attraverso l’esplicitazione delle attese condivise dai principali
stakeholders della banca.
Di seguito, si riporta un’analisi (v. tab. 5) del valore di mercato del capitale proprio delle
banche italiane del campione in chiave COV/FGV a fine 2000. Le banche sono ordinate in
base al FGV in percentuale del valore di mercato del patrimonio netto. Maggiore il FGV in
relazione al valore di mercato, relativamente maggiori sono le attese di miglioramento della
performance di EVA attuale.
Tabella 4 – Valore della performance corrente (COV) e valore delle attese di
miglioramento (FGV) delle banche del campione considerato
Milioni di Euro, esclusi i prezzi delle azioni
B.CA POP NOVARA
B.CA DI ROMA
B.CA FIDEURAM
B.CA POP BRESCIA
CREDITO EMILIANO
B.CA POP COMM. IND.
MEDIOBANCA
B.CA NAZ. LAVORO
B.CA INTESA
B.CA COMM.ITALIANA
ROLO BANCA 1473
UNICREDIT
B.CA POP VERONA
SAN PAOLO IMI
MONTE PASCHI SIENA
B.CA POP BERGAMO CRED VARESINO
B.CA POP LODI
B.CA POP MILANO
Prezzo
dell'azione in
Euro
31/12/2000
7,9
1,2
14,9
7,0
4,6
16,8
12,2
3,3
5,1
7,3
20,6
5,6
12,2
17,8
4,7
21,0
12,9
5,4
Valore di
mercato del
capitale
proprio
31/12/2000
1.882
6.358
13.511
12.026
2.417
971
7.346
6.999
28.298
13.132
9.528
27.968
2.855
24.963
11.021
2.706
1.448
1.465
Di cui
COV
-1.165
199
2.254
2.815
828
403
3.259
3.726
15.659
7.977
6.138
19.838
2.526
27.048
13.931
3.471
2.119
2.193
Di cui
FGV
3.047
6.159
11.257
9.211
1.589
568
4.087
3.273
12.639
5.154
3.390
8.130
329
-2.086
-2.910
-765
-671
-728
FGV in
percentuale
del valore di
mercato
162%
97%
83%
77%
66%
58%
56%
47%
45%
39%
36%
29%
12%
-8%
-26%
-28%
-46%
-50%
Come evidenziato in precedenza, al termine dell’anno 2000, il mercato dei capitali
incorporava nella valutazione di alcune aziende bancarie attese di miglioramento della
performance corrente alquanto rilevanti.
Guardando alle prime dieci banche del campione in termini di FGV in percentuale del
valore di mercato totale del patrimonio netto, è possibile distinguere, da un lato, aziende
con una performance operativa di creazione di valore passata deludente (es. Banca di
40
L’approccio suggerito consente di conciliare l’esigenza indicata in letteratura (cfr per tutti Sironi, 1996) in
ordine all’espressione dei mezzi propri a valori di mercato, con le difficoltà operative (talora impossibilità) di
allontanarsi dai valori contabili; sull’argomento si veda anche l’irrilevanza delle convenzioni in merito al
capitale operativo sul COV, dimostrata in nota 37.
20
Roma), per le quali il mercato “vede” potenzialità di miglioramento, dall’altro lato, invece, si
evidenziano istituti come Fideuram, Bipop, che hanno già dimostrato una performance
passata importante, e nei quali il mercato, a fine 2000, credeva comunque ancora molto.
Si osserva, in ogni caso, che, per mantenere le attuali quotazioni, le banche indicate
dovranno almeno raggiungere i livelli di EVA attesi dal mercato e, per migliorare le
quotazioni, dovranno “battere” le attese del mercato: soltanto incrementi di performance
molto rilevanti potranno determinare incrementi delle quotazioni.
Essendo molto contenuta la componente FGV della quotazione corrente, ogni incremento
di performance, anche modesto, dovrebbe tradursi in incrementi delle quotazioni. Il
discorso appare invece diverso per gli altri istituti. Questi ultimi hanno infatti registrato
performance di EVA negative in passato e il mercato non sta loro riconoscendo alcuna
significativa speranza di turn-around per il futuro. Se tale constatazione appare da un certo
punto di vista sconsolante, è doveroso sottolineare come le opportunità di creazione di
valore siano sempre accessibili anche, e soprattutto, per questi istituti. Un basso livello di
FGV implica, infatti, un miglioramento minimo atteso del livello attuale di EVA
sostanzialmente basso. Secondo la modellistica finanziaria, “battere” tali attese minime
porta ad accrescere il valore delle proprie azioni. Gli istituti con FGV negativo
rappresentano il caso limite, in cui il mercato esprime attese di peggioramento dell’attuale
performance di EVA.
3. Delta EVA come driver per la creazione di valore: profili metodologici.
3.1. A livello consolidato
La definizione della misura dell’EVA a livello consolidato è generalmente il primo passo nel
processo di implementazione di un sistema gestionale ed incentivante orientato alla
creazione di valore in un gruppo bancario. Si propone, di seguito, una specificazione delle
diverse componenti della formula dell’EVA41.
Risultato gestionale netto rettificato (NOPAT) – Risulta dall’utile netto contabile attraverso
l’applicazione di specifiche rettifiche 42. La finalità più importante delle rettifiche è quella di
stimolare nel management decisioni coerenti con l’obiettivo di accrescere il valore della
banca e di esprimere adeguatamente in termini di delta EVA l’effetto delle decisioni
manageriali sul valore. Le rettifiche sono infatti principalmente riconducibili all’esigenza di
giungere ad un significativo riconoscimento temporale del contributo delle decisioni alla
creazione di valore, di passare cioè da una logica di impatto sulla cassa – ottica del
creditore - ad una logica di impatto sul valore economico della banca – ottica dell’azionista
- (es. una spesa avente vantaggi pluriennali viene capitalizzata e considerata come
investimento, coerentemente con la sua vera natura economica).
Altre rettifiche sono mirate a ridimensionare l’impatto di decisioni non operative sul risultato
operativo di periodo. Un esempio è dato dalla rettifica riguardante gli accantonamenti al
fondo svalutazione crediti: nel risultato gestionale rettificato (NOPAT) viene considerata
solo la parte operativa delle svalutazioni su crediti, mentre gli accantonamenti in eccesso
41
EVA = risultato gestionale netto rettificato – valore impiegato dagli azionisti x costo percentuale del
capitale.
42
E’ prevista la possibilità di apportare più di 160 rettifiche specifiche; solitamente si limita il numero delle
rettifiche effettivamente applicate a 5-10. Per una descrizione completa delle rettifiche EVA, nel caso delle
banche, si veda Uyemura D.G., Kantor C., Pettit J. (1996); per una descrizione delle rettifiche in generale si
veda Young, S.D., O’Byrne, S. (2001), EVA and Value-Based Management. Per un esempio pratico di
calcolo, si veda la tab. 6.
21
rispetto a quelli motivati gestionalmente (iscritti ad es. per fini fiscali), vengono considerati
come riserve e quindi ad incremento del capitale investito contabile.
Costo percentuale del capitale – Nella prassi, il modello più diffuso per stimare il costo del
capitale proprio è quello basato sulla teoria del capital asset pricing model (CAPM) 43 . Tale
approccio prevede di stimare le attese di rendimento future degli azionisti attraverso
l’analisi del rendimento generato in passato da investimenti aventi un analogo profilo di
rischio.
Valore impiegato dagli azionisti a copertura del rischio - Il patrimonio netto contabile
rettificato è convenzionalmente utilizzato come approssimazione del valore di mercato del
capitale investito in banca. A livello consolidato, il patrimonio contabile è preferito al
capitale a rischio (CAR)44, in primo luogo per la maggior affidabilità riconosciuta dei dati
contabili rispetto a quelli gestionali di derivazione statistica su cui tipicamente la
quantificazione del CAR si basa, in secondo luogo perché la responsabilità del topmanagement di gruppo è principalmente di tipo strategico e di ottimizzazione e gestione di
un portafoglio di macroattività. E’ possibile cogliere l’impatto di valore delle principali
decisioni caratteristiche di tale area di responsabilità considerando il delta EVA calcolato
con capitale investito derivato dal patrimonio netto di bilancio. Aumenti di capitale sono
infatti per definizione espressi a valore di mercato. Opportune rettifiche al patrimonio netto
contabile, simmetriche a quelle applicate all’utile netto, fanno poi in modo che anche
l’effetto di disinvestimenti sia rilevato a valore di mercato ai fini del calcolo del costo del
capitale incrementale 45.
Il costo in termini assoluti del capitale a copertura del rischio è dato, pertanto, dalla
moltiplicazione del patrimonio netto rettificato per il costo del capitale percentuale.
Il miglioramento dell’EVA (delta EVA) è calcolato sottraendo dal risultato gestionale netto
(NOPAT) il costo assoluto del rischio, e confrontando tale misura con l’EVA del periodo
precedente.
In tabella 5, si riporta, a titolo esemplificativo, il calcolo dell’EVA consolidato per gli anni
1999 e 2000 pubblicato dal Credito Emiliano (CREDEM)46 nel bilancio d’esercizio 2000.
E’ possibile in particolare rilevare come le rettifiche apportate al risultato gestionale
rettificato (NOPAT) vengano parallelamente apportate anche al patrimonio netto contabile
e come, applicando al capitale investito medio dell’anno un costo percentuale del capitale
derivato con metodologia capital asset pricing model CAPM, si giunga alla quantificazione
dell’EVA e del delta EVA di periodo.
43
Nel presente lavoro, non si approfondisce la tematica della stima del costo percentuale del capitale. Per
ulteriori indicazioni bibliografiche e di metodo, cfr. nota 11.
44
L’utilizzo del capitale a rischio (CAR) come approssimazione del valore investito dagli azionisti rimane
comunque una soluzione applicativa possibile anche a livello consolidato.
45
Plusvalenze e minusvalenze contabili da cessione di attività non vengono considerate nel risultato
gestionale rettificato (NOPAT) e vengono capitalizzate: le plusvalenze riducono il capitale investito; le
minusvalenze lo incrementano. A livello di capitale investito, qualora la liquidità generata dal disinvestimento
non venga distribuita agli azionisti, non si riscontra così nessun effetto. Attraverso la cessione, la banca ha
infatti semplicemente trasformato valore impegnato in attività, in valore di cassa.
46
Il Credito Emiliano (CREDEM) è stato tra le prime banche italiane a sposare la logica e i metodi EVA.
22
Tabella 5 – Un esempio di calcolo dell’EVA a livello consolidato: Gruppo Credito Emiliano
(CREDEM)
Risultato gestionale netto
rettificato (NOPAT)
Valori in Milioni Lire
+ Utile netto (A)
1
- Saldo partite straordinarie nette
- Partite straordinarie per imposte differite attive
Aggiustamenti per le banche
+ Rettifiche nette su crediti
- Perdite operative
+
+
+
+
Variazione fondo per rischi eventuali su crediti
Svalutazione nette su titoli immobilizzati
Svalutazione nette su titoli non immobilizzati
Rettifiche nette su partecipazioni operative
+- Variazione fondo rischi bancari generali
3
Ulteriori aggiustamenti
+ Altri aggiustamenti ed effetto fiscale degli aggiustamenti
+ Aggiustamenti netti (B)
= Risultato gestionale rettificato, NOPAT (A+B)
Capitale operativo
2000
286.691
16.903
15.999
Motivazione della rettifica
Aggiustamenti standard
+ Ammortamento avviamento
2
1999
89.373
Valori in Milioni lire
+ Patrimonio netto contabile (A)*
-1.857
-13.212
-97.262
-71.608
97.227
174.789
-25.468
-30.039
4.440
-7
18.249
6.352
13.363
1.236
0
0
L'avviamento acquistato non ha generalmente una vita utile
limitata e predifinita; gli ammortamenti non hanno rilevanza
economica
Il risultato relativo ad eventi straordinari tenderebbe a
distorcere i dati della reale performance operativa di periodo e
viene così eliminato dal calcolo del NOPAT
E' possibile che, in alcuni periodi della vita della banca,
le rettifiche nette su crediti non rappresentino, in quanto
contaminate da fattori civilistico-fiscali, le reali perdite attese in
relazione alla gestione futura; le perdite contabili vengono così
sostituite da perdite stimate operative
Nella gestione bancaria, può accadere che il fondo venga
movimentato con finalità non prettamente operative (fisco,
politica di bilancio, ecc.); non deve quindi avere un effetto sul
NOPAT
Le partecipazioni vengono riportate al costo storico, non
rappresentando eventuali variazioni di valore dei titoli una
componente del risultato operativo a livello consolidato
Nella gestione bancaria, può accadere che il fondo venga
movimentato con finalità non prettamente operative (fisco,
politica di bilancio, ecc.); non deve quindi avere un effetto sul
NOPAT
61.807 -100.871
80.391
-10.351
169.764
276.340
1998
1999
2000
1.240.863 1.328.861 1.526.881
1
+
+-
Aggiustamenti standard
Avviamento
Partite straordinarie nette cumulate
Partite straordinarie per imposte differite attive cumulate
61.072
77.975
93.974
(36.480)
(38.337) (51.549)
(14.372) (111.634) (183.242)
2
+
+
+
+
++
Aggiustamenti per le banche
Rettifiche su crediti
Fondo per rischi eventuali su crediti
Svalutazione nette su titoli immobilizzati
Svalutazione nette su titoli non immobilizzati
Rettifiche nette su partecipazioni operative cumulate
Fondo rischi bancari generali
98.853
1.619
(13.576)
10.823
20.938
170.612
6.059
18.249
17.175
21.161
60.780
114.948
(1.831)
189.657
276.208
231.701
3 Ulteriori aggiustamenti
+ Altri aggiustamenti ed effetto fiscale degli aggiustamenti
+ Aggiustamenti netti (B)
= Capitale (A+B)
= Capitale medio
315.362
6.052
13.363
18.411
21.161
1.430.520 1.605.069 1.758.582
1.517.795 1.681.825
* : il Patrimonio netto contabile non include il Fondo rischi bancari generali, che viene considerato separatamente
EVA
Valori in Milioni
+ Risultato gestionale rettificato (NOPAT)
Capitale Investito Medio
* Costo del capitale percentuale
- Costo del capitale
= EVA
∆∆ EVA
1999
2000
169.764
276.340
1.517.795 1.681.825
9,2%
9,5%
139.500
160.558
30.263
115.782
85.519
Nota: i presenti dati EVA sono stati forniti dall’Ufficio Contab ilità del Credito Emiliano e sono qui riprodotti con l’autorizzazione del
Credito Emiliano stesso. I valori di NOPAT, capitale e EVA sono differenti da quelli esposti nella precedente tab. 3, in quanto la
definizione dell’EVA qui riportata è quella specifica sviluppata dal CREDEM per fini gestionali interni, mentre la definizione a lla base
dei valori in tab. 3 è standard ed applicata a tutti gli istitut i in modo indifferenziato.
3.2. Delta EVA come driver per la creazione di valore nelle unità operative della
banca (società, business unit, aree geografiche, segmenti di clientela,
macroprodotti, ecc.): profili metodologici
La formula di calcolo dell’EVA per le unità operative assume generalmente la
specificazione seguente:
EVA = risultato gestionale netto rettificato (NOPAT) – (capitale a rischio (CAR) x costo
percentuale del capitale)
Risultato gestionale netto rettificato (NOPAT) – I dati sono normalmente estrapolati dal
sistema informatico gestionale della banca.
23
Una delle aree di attività necessarie nella definizione del NOPAT riguarda la strutturazione
di un sistema di tassi interni di trasferimento (TIT) dei fondi, che sappiano isolare in modo
convincente il contributo alla creazione di valore dell’attività di impiego da quello
dell’attività di raccolta e dell’attività di gestione del rischio di tasso.
Altrettanto importante è la definizione di adeguati criteri per l’allocazione dei costi delle
unità di supporto alle unità di profitto (profit center o EVA center). Nella definizione di tali
criteri, per evitare di investire più del necessario alla ricerca di un alto grado di precisione
solo formale, è importante non perdere di vista la finalità del lavoro: la misurazione
dell’EVA non è fine a se stessa, bensì strumentale nell’indirizzare e motivare il giusto
comportamento del management. In un sistema EVA, nel momento della quantificazione
dei costi da allocare, è necessario considerare anche il costo del capitale a rischio (CAR)
nelle unità di supporto.
Prevedendo la misura dell’EVA un costo percentuale del capitale a rischio allocato sulla
singola unità operativa, al fine di non duplicare il costo di finanziamento di una parte della
liquidità dell’unità, è necessario riaccreditare al NOPAT un ammontare pari al tasso interno
di trasferimento (TIT) applicato a fondi di ammontare pari al capitale a rischio allocato 47.
Costo percentuale del capitale – E’ possibile utilizzare il medesimo tasso applicato a livello
consolidato. Quando la differenza nel profilo di rischio dell’attività considerata rispetto a
quello consolidato non è sufficientemente rilevante, e può quindi essere già espressa in
modo adeguato attraverso la stima del capitale a rischio, è consigliabile fare uso di un
unico costo percentuale del capitale espressione della rischiosità media della banca. La
superiorità di tale approccio è riscontrabile a livello di facilità e di univocità di
comunicazione interna e di applicazione della misura. Il diverso grado di rischio è
quantificato non dal tasso ma dal maggior assorbimento di capitale.
Capitale a rischio – Il valore effettivamente impiegato dagli azionisti per coprire il rischio
che il valore di mercato delle attività dell’istituto scenda al di sotto del valore di mercato
delle passività, il cuscinetto cioè rappresentato dal valore di mercato del capitale proprio, è
convenzionalmente approssimato, nel calcolo dell’EVA per le unità operative, dal capitale
a rischio (CAR). Tale accezione di capitale è stata in precedenza definita come
l’ammontare minimo di capitale proprio del quale la banca dovrebbe dotarsi e che
dovrebbe essere figurativamente investito in un impiego sicuro per garantire il livello di
flussi di cassa attesi dalla gestione. L’utilizzo del capitale a rischio (CAR) come
approssimazione del valore investito è strumentale a responsabilizzare il management per
l’analisi e la giusta valutazione del costo del rischio legato ad ogni decisione operativa
marginale. Se è in generale vero che la gestione deve remunerare il valore di mercato del
patrimonio netto, ogni decisione marginale deve invece remunerare solamente il costo del
capitale a rischio marginale, cioè il costo assicurativo incrementale 48.
Per le unità operative, non sarebbe opportuno utilizzare una definizione contabile del
capitale investito. Il patrimonio netto, anche qualora esso fosse disponibile, ad esempio, a
livello di business unit, non è espressione del maggior o minor rischio intrapreso dalla
47
In sostanza, si presume che una parte della liquidità necessaria all’unità operativa sia finanziata con
capitale proprio. Su tale parte, sulla quale si sta già scontando il costo percentuale del capitale proprio, non è
necessario pagare il TIT. Il TIT riaccreditato è quello con maturità pari alla cosiddetta equity duration
(derivabile dal mismatch nella duration media dell’attivo e del passivo della banca).
48
Tale affermazione presuppone che la struttura finanziaria (ammontare complessivo dei fondi impiegati
nell’operazione/capitale a rischio) implicita nel valore di capitale a rischio, capitale minimo richiesto per
supportare un certo profilo di attività, sia anche la struttura finanziaria ottima. Tale affermazione è rilevante,
in quanto si potrebbe presentare il caso per cui la dotazione di capitale minima necessaria alla copertura del
rischio di perdite di valore non è adeguata per il raggiungimento del rating che in complesso porta alla
minimizzazione del costo dei fondi per la banca.
24
banca nel continuo; il suo adeguamento avviene “a singhiozzo” in occasione di aumenti di
capitale, re-investimento di utili, dismissioni, fusioni, ecc.. I metodi più diffusi per la stima
del capitale a rischio di un’operazione o di un’unità operativa prevedono che l’ammontare
di valore complessivamente a rischio sia espresso come somma del valore soggetto a
perdita a fronte di più fonti di rischio specifiche. Si sono sviluppati così modelli statistici per
valutare tra gli altri il rischio di credito, il rischio di mercato, i rischi operativi, ecc. . In
questa sede, non si approfondiscono in dettaglio le problematiche legate a tali metodi. Si
desidera invece sottolineare la possibilità di utilizzare un metodo alternativo per la
determinazione del capitale a rischio coerente con le tecniche di valutazione presentate
nella prima parte del presente documento (DCF), e quindi con una definizione di rischio
che è quella tipica dell’azionista.
Il metodo in parola è quello basato sulla volatilità storica dei flussi di cassa dell’unità
organizzativa considerata, metodo che si impone, peraltro, in tutti i casi in cui l’attività
considerata non trova corrispondenza in valori di mercato.
La moderna teoria della finanza riconosce il valore della banca, o di qualsiasi sua unità
operativa, come pari al valore attuale dei flussi di cassa operativi attesi meno il valore
attuale dei costi di assicurazione degli stessi. Il valore del capitale proprio della banca deve
fungere da cuscinetto a fronte del rischio di perdite di valore inattese. Più incerto (volatile)
è il complesso dei flussi operativi attesi, maggiore dovrà essere la dotazione di capitale
necessaria a coprire oscillazioni negative di valore dell’unità organizzativa analizzata, e
maggiore quindi il costo per assicurare i flussi.
Nelle esperienze più recenti di applicazione di tale metodo, la tendenza è stata quella di
sostituire il concetto di flusso di cassa con quello di risultato gestionale netto rettificato
(NOPAT)49. Tale variazione rende l’approccio più comprensibile e gestibile a livello
operativo. Si utilizza la volatilità del NOPAT storica o attesa come approssimazione della
volatilità del valore di mercato attesa dell’unità considerata 50. Qualora vi siano degli
elementi sostanziali per prevedere una rischiosità futura molto diversa da quella storica,
tali considerazioni possono e devono essere tenute in considerazione attraverso un
aggiustamento al valore del capitale a rischio.
L’approccio basato sulla volatilità del NOPAT presenta il vantaggio di:
catturare tutti i rischi contemporaneamente;
essere applicabile a tutte le unità organizzative contraddistinte da un risultato
gestionale o margine (es. segmenti di clientela, prodotti servizi, aree geografiche, centri
di costo, ecc.);
esprimere il rischio dal punto di vista dell’azionista;
essere non problematico dal punto di vista dell’elaborazione dei dati;
saper quantificare gli effetti del vantaggio in termini di rischio relativi alla
diversificazione delle attività della banca attraverso la comparazione del profilo di
volatilità del NOPAT a livello consolidato con quello del NOPAT a livello di unità
operativa.
49
Solitamente si utilizzano serie storiche di NOPAT per quantificare attese di volatilità futura. Qualora per
alcune unità non fossero presenti dati di NOPAT, l’analisi può essere approssimata con dati di margine o di
ricavo. Qualora anche questi dati non fossero disponibili, è possibile considerare entità alternative aventi un
profilo di rischio comparabile.
50
Una definizione generica del metodo descritto è racchiusa nella formula seguente:
Valore a rischio = c x σ(NOPAT) / (k – r)
Dove c è una costante espressione del livello di sicurezza con la quale ci si vuole coprire da perdite di valore
future, σ(NOPAT) è la deviazione standard dei dati di NOPAT considerati, k è il costo del capitale
percentuale e r è espressione della crescita dimensionale futura dell’unità considerata. L’analisi può essere
svolta su serie storiche di NOPAT generalmente mensili o trimestrali per un arco temporale che, a seconda
della significatività dei dati, può variare da uno a tre anni.
25
E’ bene sottolineare come il metodo descritto preveda di utilizzare la volatilità del NOPAT
per determinare il livello minimo di capitale a rischio che le unità operative devono
marginalmente remunerare, e non per allocare capitale investito netto alle unità operative.
In conclusione, per calcolare il capitale a rischio e quindi l’EVA delle unità operative della
banca è possibile utilizzare modelli statistici diversi, più o meno tradizionali, basati su
tecniche specifiche per fonte di rischio o sulla volatilità di flussi di cassa o di NOPAT. Non
c’è un modello migliore a priori. Se il metodo basato sulla volatilità dei risultati presenta
degli indubbi vantaggi, d’altro canto, l’approccio può risultare contro-intuitivo se utilizzato
molto in basso nell’organizzazione o se proposto per attività contraddistinte
essenzialmente da una sola fonte di rischio.
Il miglior approccio nella misurazione dell’EVA per le unità operative sembra così essere
quello di integrare l’approccio della volatilità del NOPAT descritto in precedenza, usato ai
livelli più alti dell’organizzazione bancaria (business unit, ecc.), con le tradizionali tecniche
di VaR51 impiegate fino a livello di operazione singola.
4. La logica EVA applicata al value based management nelle banche
E’ possibile integrare tutte le attività imprenditoriali della banca – dalla pianificazione
strategica, alle decisioni operative fino alla misurazione della performance e
all’incentivazione del management – in un sistema di gestione e di incentivazione orientato
in modo univoco alla creazione di valore. Nonostante ogni banca sia chiamata ad adattare
in modo specifico ed individuale gli strumenti offerti dalla metodologia EVA alle proprie
necessità, l’introduzione del sistema implica generalmente un affinamento dell’approccio
gestionale. In generale (v. tabella 6), autonomia decisionale decentralizzata,
responsabilizzazione per il raggiungimento di risultati di creazione di valore e tensione
verso miglioramento continuo sono i caratteri più significativi del modello EVA.
51
Con il termine valore a rischio (VaR) si intende il valore che potrebbe essere perso in un arco temporale
specifico, con un certo grado di probabilità, in relazione alla singola attività della banca o ad un insieme di
attività espresso come somma del valore perdibile nell’operazione singola. Il processo di derivazione del
valore a rischio (VaR) è di natura statistica.
26
Tabella 6 – L’approccio gestionale EVA
Modello gestionale tipico
Modello gestionale EVA
•
La holding è assimilabile a un manager che
fa strategia e gestisce i business
•
La holding è assimilabile a un investitore che fa
Strategie di portafoglio e ha compiti di coordinamento.
•
Il manager è un esecutore di obiettivi, è un
agente della holding
•
Il manager è il gestore del business, tenuto
conto delle strategie di Gruppo
•
Responsabilizzazione del management per il
rendimento (margini e masse)
•
Responsabilizzazione per il valore: rendimento
(margini e masse) e rischio (capitale)
•
L’obiettivo è conseguire il budget
•
L’obiettivo è il miglioramento massimo possibile
•
L’incentivazione è discrezionale,
contrattata e solo annuale
•
L’incentivazione è chiara ed oggettiva, legata
alla produzione di profitti soddisfacenti (EVA) di
lungo termine
4.1. Sistema gestionale
Fissazione degli obiettivi e pianificazione - L’obiettivo principale di ogni azienda bancaria
orientata alla creazione di valore è la massimizzazione del valore percepito netto (VPN)
dagli azionisti, e quindi delle sue componenti MVA e dividendi.
Come esposto nel corso del presente lavoro, il legame tra valore di mercato del patrimonio
netto e performance attesa di EVA, o meglio di delta EVA, è forte e univoco. Risulta quindi
possibile porsi obiettivi di accrescimento del valore del patrimonio netto, implicitamente
quindi del valore di ogni singola azione, e di tradurre poi tale obiettivo in attese di
miglioramento della performance operativa corrente.
Si distinguono solitamente due livelli di performance obiettivo:
1. raggiungimento delle attese degli azionisti
→ rendimento percentuale totale per gli azionisti (apprezzamento del corso azionario e
dividendi) pari al costo percentuale del capitale
→ valore percepito netto (VPN) = 0
2. superamento delle attese degli azionisti
→rendimento percentuale totale per gli azionisti derivato da quello ottenuto dai migliori
concorrenti in passato
→ valore percepito netto positivo (VPN) > 0
I due livelli di obiettivo vengono tradotti in performance di miglioramento dell’attuale livello
di EVA, a livello consolidato prima, e allocati sulle unità operative rilevanti (società,
business unit, aree geografiche, ecc.) poi. Se il processo di pianificazione avviene in modo
decentralizzato, ogni unità operativa dovrà almeno prevedere performance di delta EVA in
linea con il primo livello di obiettivo, il livello soglia per la creazione di valore.
Si noti come in un sistema orientato alla creazione di valore, le unità operative non siano
più chiamate a pianificare solamente margini e masse, bensì anche il profilo di rischio
legato a tali margini, e quindi il costo dello stesso.
Obiettivi di ROE, o di RORAC, sono implicitamente incorporati in obiettivi di miglioramento
dell’EVA assoluto (in Euro, Lire, ecc.), ma non possono essere considerati come obiettivi
primari della gestione.
27
Allocazione e gestione di capitale a rischio (CAR) e limiti all’espansione dello stesso - In
generale, “allocare” miglioramenti attesi in termini di EVA sulle unità operative equivale
implicitamente a responsabilizzare il management per il raggiungimento di quel valore del
patrimonio netto considerato ai fini della quantificazione del miglioramento atteso stesso.
In un sistema EVA, non si allocano quindi parti del valore di mercato del patrimonio netto,
bensì obiettivi di miglioramento in linea con la finalità di mantenimento o di incremento di
tale valore di mercato.
In particolare, si possono così fissare obiettivi di delta EVA minimi per il management
operativo, capaci di responsabilizzarlo per il raggiungimento di performance aggiustate per
il rischio che sappiano remunerare adeguatamente il valore del pieno investimento degli
azionisti, espresso a valore di mercato.
Slegata così da finalità di responsabilizzazione del management per la remunerazione del
capitale investito storicamente, la pianificazione di capitale a rischio (CAR) è guidata da
logiche prettamente gestionali. La finalità è quella di pianificare e coordinare l’attività delle
unità gestionali in modo tale da massimizzare il miglioramento previsto in termini di EVA.
Anche in corso d’anno, in un sistema come quello descritto, dove il capitale allocato non è
fisico, bensì è semplicemente formalizzazione condivisa del limite di rischio accettabile in
relazione ad una determinata unità operativa, è possibile gestire l’allocazione in modo
dinamico. Un comitato di gestione del capitale potrebbe coordinare e controllare
l’assorbimento di capitale a rischio delle diverse unità operative. Ogni iniziativa che
prometta di generare rendimenti incrementali superiori al costo del capitale a rischio
marginale dovrebbe essere approvata e nuovo capitale a rischio (CAR) dovrebbe essere
allocato sull’unità proponente. Capitale a rischio in eccesso dovrebbe invece essere tolto
dal “conto” dell’unità operativa che sappia dimostrare la profittabilità in termini di valore di
tale decisione marginale.
In passato, si è argomentato che, in situazioni in cui la dotazione di capitale sia da
considerarsi almeno pro tempore fissa, rifiutare iniziative con un rendimento positivo ma
inferiore al costo del capitale, possa rappresentare una decisione non corretta. Si riteneva
infatti l’impiego di capitale a rendimenti sì positivi, ma non soddisfacenti dal punto di vista
degli azionisti, migliore rispetto al non investimento 52. Tali affermazioni paiono non
condivisibili, in quanto il vero costo fisso della gestione non è rappresentato dal valore
investito dagli azionisti, bensì dal rendimento in termini di valore atteso in relazione a tale
investimento. Si ricorda dal § 2 del presente lavoro che, per accrescere il valore della
banca, il management deve:
generare flussi di cassa operativi in linea o superiori a quelli già implicitamente
incorporati nel valore di mercato del patrimonio netto all’inizio del periodo d’analisi,
senza modificare il profilo di rischio complessivo;
mantenere o diminuire il profilo di rischio complessivo, quindi i costi per assicurare il
rischio, garantendo comunque la realizzazione di flussi operativi in linea con le attese;
generare nuovi flussi di cassa operativi, il cui rendimento copra il costo complessivo
dovuto al rischio incrementale.
Ogni impiego incrementale di capitale che non presenti un rendimento superiore al costo
del capitale non solo non contribuisce alla copertura del primo costo fisso della gestione, la
remunerazione in termini di valore attesa dagli azionisti, ma allontana ulteriormente l’unità
operativa dall’obbiettivo di creazione di valore. A livello operativo, il vero costo fisso è
rappresentato dal miglioramento minimo atteso in termini di EVA.
Una delle ipotesi forti alla base del sistema EVA per la banca è l’elasticità del valore
impiegabile dagli azionisti in azienda.
52
Saita F. (2000), p.343 e altri.
28
L’ammontare complessivo di capitale a rischio (CAR) impiegato a garanzia dei flussi di
cassa operativi non dovrebbe mai superare l’ammontare di valore impiegato in banca dagli
azionisti.
A livello pratico, il vincolo economico allo sviluppo del capitale a rischio dovrebbe essere
dato da una stima del valore del patrimonio netto, che presenti un adeguato margine di
sicurezza, a seconda dell’attitudine al rischio e al grado di sviluppo dei sistemi di risk
management del singolo istituto. Una delle possibili stime del valore impiegabile può
essere data dal current operations value (COV). Si ricorda che il COV è il valore che il
mercato attribuirebbe al patrimonio della banca, se la valutazione incorporasse attese di
performance EVA immutate per l’intera vita futura dell’istituto. Tale valutazione appare
oggettiva e, almeno nella maggior parte dei casi, conservativa, in quanto non fa ricorso a
nessuna stima di performance futura e non ne recepisce il valore nella valutazione.
Utilizzando il COV come limite all’espansione del capitale a rischio complessivo della
banca, si tende a riconoscere agli istituti con una migliore performance corrente di EVA,
oltre che con un maggior capitale operativo, una più elevata capacità di crescita futura53.
Tale concetto è importante, soprattutto se si pensa al fatto che ogni iniziativa, operazione,
progetto con un contributo EVA positivo, consumano sì valore disponibile, ma al tempo
stesso contribuiscono loro stessi ad allontanare il vincolo all’espansione. Il circolo è
virtuoso: il valore alimenta altro valore.
Alla luce di quanto detto, e se è ormai realtà accettata che le aziende non bancarie
possono reperire dal mercato il capitale proprio necessario a finanziarie qualsiasi iniziativa
profittevole, la flessibilità del capitale proprio deve valere a maggior ragione anche per le
aziende bancarie.
Gestione del patrimonio di vigilanza - Il capitale di vigilanza è l’ammontare minimo di
capitale del quale il bilancio della banca deve essere dotato in base alla regolamentazione
imposta dall’autorità di vigilanza. Dal punto di vista economico, esso rappresenta il capitale
a rischio, secondo una particolare definizione di ispirazione contabile 54.
La gestione del capitale di vigilanza rappresenta una parte importante dell’attività della
banca. Tale vincolo rappresenta infatti un limite effettivo all’attività. Si tratta però di un
vincolo di patrimonializzazione contabile a livello complessivo. Il controllo sul rispetto del
vincolo di vigilanza è esercizio di natura contabile e deve essere gestito centralmente (così
come la liquidità e il patrimonio impiegato in attività sicure necessari a garantire
costantemente la solvibilità). E’ responsabilità del management centrale, quando
necessario, trasformare valore economico in valore contabile, o di cassa, nel caso della
gestione della liquidità, al fine di rispettare i vincoli esistenti.
53
Essendo COV = Capitale a rischio0 + EVA0/Costo del capitale percentuale, maggiore è EVA0, maggiore è
anche il COV. Si noti che il COV rappresenta solo una delle possibili vie per stimare il valore di mercato del
patrimonio netto impiegabile operativamente e che non rappresenta comunque una soluzione applicabile,
senza essere adattata, a tutte le realtà bancarie (ad esempio, esistono banche con COV negativo).
54
E’ ormai interpretazione diffusa che i requisiti di vigilanza, pur essendo formalmente riferiti solo a poste
dell’attivo, prevedano implicitamente un livello di patrimonializzazione adeguato alla copertura di un insieme
ben più ampio di rischi legati dell’attività bancaria complessiva rispetto a quello della mera attività di credito.
Tale affermazione trova conferma negli ultimi sviluppi dell’accordo di Basilea, così come risulta dalla
proposta BIS di gennaio 2001. Il primo pilastro della proposta prevede che, a parità di requisito patrimoniale
minimo richiesto (8%), vengano ora quantificate tre tipologie di rischio: il rischio di credito, il rischio di
mercato e i rischi operativi. L’innovazione consiste, a parità di requisito patrimoniale, nella migliore
comprensione delle fonti di rischio, introducendo il nuovo concetto di “rischio operativo”. Sostanzialmente, ciò
porta ad un affinamento della precedente regola del 1988 “one size fits all”, peraltro già emendata nel 1996,
con l’introduzione dei rischi di mercato. Per approfondimenti, si veda: Secretariat of the Basel Commitee on
Banking Supervision (2001).
29
Deve invece essere percepita come una responsabilità diffusa quella legata alla gestione
del valore della banca. Considerazioni riguardanti il vincolo di vigilanza non devono
condizionare le decisioni operative. Operativamente si crea valore quando si investe in
attività che garantiscono rendimenti superiori al costo del capitale a rischio marginale.
Valutazione di decisioni strategiche e operative - La regola per valutare ogni decisone sia
strategica che operativa appare ormai chiara: se il rendimento complessivo legato alla
decisione è superiore al costo del capitale percentuale la decisione crea valore; nel caso
contrario lo distrugge.
E’ possibile, ad esempio, quantificare il valore presente dei flussi di EVA attesi in relazione
ad una nuova iniziativa strategica oppure valutare la convenienza di una singola
operazione sul mercato. Quali esempi concreti di applicazione di tali logiche si possono
citare modelli per la valutazione del contributo di valore di nuove filiali o di nuove
acquisizioni.
Non è sempre facile, per le aziende bancarie, stimare correttamente il rendimento
complessivo di una decisione, a causa degli effetti sinergici che singole azioni possono
avere su molte attività in parallelo, ma questo non rende la regola base della finanza
moderna meno valida. Tale peculiarità del mondo bancario nobilita semmai ogni sforzo di
arrivare ad una lettura più chiara del contributo di valore di ogni decisione manageriale.
Misurazione della performance - Di regola, per la misurazione della performance dell’unità
operativa a consuntivo in termini di EVA, si fa uso del valore del capitale a rischio allocato
quale risultato dell’interazione in corso d’anno dell’unità operativa con il comitato di
gestione del capitale e la funzione di risk management della banca.
A tal riguardo, è importante che i meccanismi che determinano l’assorbimento di capitale
durante l’anno (i coefficienti di assorbimento) siano comunicati in modo chiaro al
management operativo e vengano lasciati quanto possibile immutati per lo meno nel corso
del singolo esercizio. Ogni manager deve poter valutare il costo del rischio incrementale e
quindi il costo del capitale incrementale relativo ad ogni sua decisione o proposta.
4.2. Sistema incentivante
Attraverso l’introduzione in banca di un adeguato sistema incentivante è possibile creare i
presupposti affinché la creazione di valore sia realmente vissuta da tutti i collaboratori.
Incentivare la massimizzazione dei soli ROE o RORAC può portare alla distruzione di
valore - Numerosi istituti bancari in Italia e all’estero danno al proprio management obiettivi
di ROE o di RORAC, e tendono ad incentivare la massimizzazione esclusivamente di tale
indicatore. Tale approccio non è coerente con i principi di base della moderna teoria della
finanza.
Ogni iniziativa con un rendimento superiore al costo del capitale crea valore e dovrebbe
essere incentivata; ogni iniziativa che non batte il costo del capitale dovrebbe essere
sanzionata.
30
Grafico 3 – Il principio fondamentale della moderna finanza del valore: battere il costo del
capitale è condizione necessaria e sufficiente.
ROE/RORAC
A
VALORE
CREATO
Costo del capitale
percentuale
VALORE
B
DISTRUTTO
Prendendo in considerazione il grafico 3, si consideri il comportamento potenziale di un
manager incentivato a massimizzare il ROE / RORAC della propria unità organizzativa, al
quale viene proposto un nuovo impiego avente un rendimento stimato inferiore al
rendimento medio corrente dell’unità rappresentato dal punto contrassegnato dalla lettera
(A) ma superiore al costo del capitale. L’impiego porterebbe ad una diminuzione del livello
del ROE/RORAC medio corrente. Non verrebbe quindi messo in atto. La banca avrebbe
però perso un’opportunità per creare valore.
Ancora più problematica appare la situazione di quel manager che, incentivato a
massimizzare il ROE/RORAC, si trova ad amministrare un’unità operativa avente un
rendimento medio corrente rappresentato dal punto (B). Sarebbe portato ad approvare
ogni impiego marginale avente un rendimento superiore al livello di ROE/RORAC medio
corrente, anche se sotto al costo del capitale, quindi inferiore al rendimento minimo
richiesto dagli azionisti. In questo modo la banca sta distruggendo valore.
L’incentivazione nella logica EVA - L’introduzione di un sistema di bonus basato sull’EVA o
su suoi driver operativi dovrebbe comunque essere inquadrato all’interno della
complessiva strategia di remunerazione della banca, che preveda, a seconda dei vari livelli
dell’organizzazione, il possibile utilizzo integrato di stock option, EVA, altri parametri
quantitativi, indicatori qualitativi, benefit e altri strumenti motivazionali coerenti con
l’obiettivo di creazione di valore.
Se, ad esempio, per l’incentivazione del top-management di società quotate è indicato
utilizzare l’EVA in parallelo con stock option, per i manager di banche non quotate e per i
manager responsabili di unità operative, le stock option o non sono utilizzabili o comunque
non sembrano essere uno strumento adeguato. Il sistema incentivante EVA è adatto ad
indirizzare il comportamento potenzialmente di tutti i collaboratori sia in banche quotate sia
in istituti non quotati in modo coerente con gli interessi degli azionisti.
A livello di top-management, dove un sistema di stock option sia già stato introdotto, EVA
mostra ai manager i driver strategici e operativi della creazione di valore55 . L’EVA può poi
essere utilizzata come test di performance per l’esercizio delle opzioni (se non viene
55
„Attribuire solo grandi quantitativi di azioni o opzioni distoglie la concentrazione dei manager dalla gestione
del business quotidiano, del trimestre o del semestre. Così, quello di cui abbiamo bisogno è una misura di
performance di flusso, e non di stock, e periodale. (…) EVA, se implementata correttamente, è
assolutamente la miglior misura di questo tipo che io conosca.“; Michael Jensen; Harvard Business School;
tratto da un discorso tenuto all’EVA Institute del 19 - 21 marzo 1998 a Phoenix, Arizona.
31
raggiunta una determinata performance di EVA, le opzioni non possono essere esercitate)
o come parametro per determinare ogni anno il numero o il valore delle opzioni distribuite.
L’utilizzo di un sistema incentivante EVA, o basato su driver dell’EVA, per i collaboratori a
tutti i livelli della banca, appare invece come l’approccio più coerente utilizzabile dal topmanagement per accrescere il valore dell’azienda, facendo contemporaneamente gli
interessi degli azionisti ed i propri, grazie alla contestuale crescita del valore delle opzioni
detenute.
A livello operativo di area o di filiale, è solitamente opportuno utilizzare EVA in parallelo
con adeguati incentivi di tipo commerciale o individuale. Non si deve comunque mai
perdere di vista l’obiettivo ultimo di ogni strumento motivazionale: la creazione di valore.
I più moderni sistemi d’incentivazione orientati alla creazione di valore tendono a premiare
il miglioramento continuo e sostenibile dell’EVA e dei suoi driver. Ogni miglioramento in
termini di EVA dovrebbe essere premiato, indipendentemente dalla performance
pianificata o dagli obiettivi assegnati. Il miglioramento continuo dell’EVA è infatti il driver
primo per massimizzare il valore percepito netto (VPN). Di seguito, si distinguono i
caratteri più particolari di un sistema incentivante basato sulla misura dell’EVA
incrementale (delta EVA). Si ricorda che i meccanismi descritti devono essere adattati alla
particolare realtà di ogni banca in modo specifico e che, come sottolineato in precedenza,
difficilmente possono rappresentare l’unico strumento incentivante ai diversi livelli
dell’organizzazione.
Fissazione degli obiettivi per il sistema incentivante – Gli obiettivi per il sistema
incentivante vengono espressi in modo coerente alla pianificazione degli obiettivi di valore
descritta nel corso del paragrafo § 4.1. e sono esplicitati in termini di delta EVA atteso,
relativamente ad ogni unità operativa rilevante.
Nella definizione degli obiettivi per il sistema incentivante del management operativo, è
possibile tener conto di un certo ammontare di excess capital, la cui remunerazione non è
richiesta a livello operativo. Il miglioramento dell’EVA atteso per ogni unità può venir
fissato in anticipo per un periodo di due o più esercizi, e quindi in modo indipendente dal
budget annuale, per evitare l’estenuante e spesso ingiusta contrattazione tipica di molti
piani d’incentivazione tradizionali. Gli obiettivi di miglioramento vengono fissati per un
periodo pluriennale, anche perché, adeguando le attese di performance tutti gli anni,
incrementi del corso azionario arriverebbero a rappresentare per il management obiettivi
più sfidanti per l’anno successivo, con ripercussioni motivazionali potenzialmente negative.
Obiettivo del sistema è quello di stimolare la creazione di valore di medio-lungo periodo.
Partecipazione del management alla creazione di valore - Il management partecipa ad una
percentuale fissa del delta EVA raggiunto dalla, o dalle, unità organizzativa per la quale, o
per le quali, è responsabile o co-responsabile. Il bonus è calcolato attraverso l’applicazione
di una formula, i cui parametri sono noti a tutti i partecipanti al sistema.
32
Grafico 4 – Profilo di determinazione del bonus: ogni Euro di miglioramento dell’EVA porta
alla determinazione di un ammontare fisso di bonus incrementale.
Bonus
Bonus-target
Miglioramento
atteso
Delta EVA
Quando il centro di responsabilità rilevante (es. istituto consolidato, business unit, ecc.)
raggiunge il miglioramento atteso, i manager ricevono il 100% del loro bonus-target
personale. Quando il miglioramento viene raggiunto solo in parte, i manager ricevono solo
una parte proporzionale del bonus-target. Oltre un certo limite di insuccesso nel
raggiungimento dell’obiettivo di miglioramento, nessun bonus viene erogato. Nel caso
opposto, quando il miglioramento minimo atteso risulta superato, il management ha diritto
ad un “extra”-bonus indicativamente proporzionale all’importanza del risultato raggiunto.
E’ possibile arrivare a raggiungere bonus il cui ammontare è pari a due o tre volte il bonustarget. In pratica, l’inclinazione della retta del bonus mostrata nel grafico 5, e quindi la
facilità o meno con cui il management può guadagnare e perdere molto, è funzione della
cultura aziendale, della volatilità dei risultati del centro di responsabilità considerato (più
volatile il centro, più piatta deve essere la retta) e dalla complessiva strategia di
remunerazione adottata (integrazione degli obiettivi EVA con obiettivi qualitativi, utilizzo di
meccanismi di differimento del bonus, ecc.).
Il sistema d’incentivazione EVA “puro” non presenta né tetti né soglie. La possibilità di
raggiungere bonus potenzialmente illimitati e, di converso, di vedersi riconoscere crediti
negativi quando la performance è altamente insoddisfacente, risulta essere il miglior
strumento per motivare un incremento continuo dell’EVA.
Meccanismi di differimento di parte del bonus - Un altro strumento tipico dei moderni
sistemi incentivanti è la “banca del bonus”. Secondo la più utilizzata delle sue possibili
varianti (banca del bonus “a soglia”), tale meccanismo prevede che, qualora il
miglioramento minimo atteso sia superato, solo una parte dell’extra-bonus venga liquidata
subito al management e che l’ammontare rimanente venga iscritto nella banca del bonus.
Solo se l’extra-performance viene confermata negli esercizi successivi, l’intero extra-bonus
viene pagato al management. La banca del bonus rappresenta uno strumento di risk
management: i manager non hanno interesse a ricercare rischi e risultati premianti solo nel
breve periodo e non sostenibili nel medio e lungo periodo.
33
5. Conclusioni
La centralità assunta dal capitale proprio nella gestione delle banche italiane ha
accentuato l’interesse per le logiche del value based management. Negli ultimi anni, le
principali banche italiane hanno tendenzialmente spostato l’attenzione della gestione dagli
obbiettivi dimensionali (masse gestite/amministrate ed articolazione territoriale) ad
obbiettivi di allocazione del capitale in grado di assicurare rendimenti remunerativi dei
rischi assunti. Al fine di esplorare il comportamento delle banche italiane, il lavoro svolto si
è avvalso degli strumenti proposti nell’ambito della logica EVA. Si sono sviluppate
indicazioni di carattere metodologico e verifiche quantitative sui bilanci delle maggiori
banche italiane.
La metodologia EVA, applicata ad un campione di 18 banche, ha in particolare consentito
di evidenziare che, dall’anno di riferimento iniziale dell’analisi (1995), il sistema bancario
ha incrementato notevolmente la propria performance in termini di creazione di valore. Le
analisi svolte nel presente lavoro consentono di approfondire la conoscenza di questo
fenomeno. E’ stata quantificata la performance in termini di delta EVA nel periodo 19952000 ed è stato evidenziato, per ogni banca del campione, il risultato dovuto
all’ampliamento dello spread tra rendimento e costo del capitale, da un lato, e, d’altro lato,
il contributo dovuto alla crescita del capitale investito per dato spread positivo.
Si è anche evidenziato che delta EVA si configura come la misura di performance
maggiormente in grado di spiegare le quotazioni di mercato delle azioni bancarie. Queste
ultime presentano, soprattutto nel mercato italiano, condizioni di elevata volatilità e
presentano dinamiche non sempre spiegate dalle performance aziendali. In queste
condizioni, il valore percepito dagli azionisti attraverso i valori di mercato tende ad
incorporare attese di miglioramenti rispetto alle capacità correnti - certe e dimostrate - di
creare valore. La metodologia EVA consente, a questo proposito, di evidenziare
l’attendibilità dei miglioramenti attesi consentendo di mettere a confronto quanta parte
delle quotazioni è spiegata dalle performance correnti e quanta parte è spiegata da attese
di incrementi degli EVA da prodursi nei prossimi esercizi. L’analisi, con tutte le cautele
legate alle condizioni di inefficienza dei nostri mercati azionari, ha evidenziato che
numerose banche dovranno incrementare notevolmente le proprie performance al fine di
aumentare le quotazioni di mercato delle proprie azioni. Secondo la modellistica
finanziaria, se non lo faranno, il mercato le sanzionerà. Altre banche presentano quotazioni
caratterizzate da una scarsa incidenza delle attese di miglioramento. Per queste, ogni
incremento di EVA corrente è destinato, in futuro, a spingere verso l’alto le quotazioni di
mercato.
Si è affermato che adottare la logica EVA, al di là della mera acquisizione di strumenti di
misurazione innovativi e completi, offre l’opportunità di supportare un approccio innovativo
di gestione in coerenza con la logica del value based management. L’importanza del
“fenomeno EVA” risiede in gran parte proprio nell’insieme di meccanismi e di regole
gestionali sviluppati intorno alla misura dell’EVA stessa. Si ricorda l’innovativo processo di
allocazione alle unità operative di miglioramento atteso del livello di EVA corrente,
accompagnato da una gestione dei limiti di capitale a rischio veramente dinamica,
proposto in sostituzione della tradizionale allocazione di capitale a rischio correlata da
obiettivi di redditività potenzialmente distorsivi in termini di comportamento. Si rammenta
poi la proposta di utilizzare il COV in veste di possibile limite massimo all’espansione del
capitale a rischio complessivo della banca.
Lo strumento EVA esprime il suo massimo potenziale quando utilizzato per indirizzare i
comportamenti manageriali. Misurare il valore creato o distrutto è esercizio fine a se
stesso, se non sa diventare base per l’introduzione di un sistema incentivante capace di
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agevolare il processo di trasformazione di tutti i dipendenti della banca in co-imprenditori.
EVA deve significare “cambiamento comportamentale” e orientamento al raggiungimento
del comune obiettivo di creazione di valore. Il successo degli azionisti deve coincidere con
il successo di tutti i collaboratori della banca.
EVA® è un marchio registrato di Stern Stewart & Co.
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