UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DEL SALENTO Facoltà di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali Corso di Laurea in Fisica Tesi di laurea triennale Energia di vuoto ed Effetto Casimir Relatore: Prof. Claudio Corianò Candidato: Federica Cataldini Anno accademico 2011-2012 Ai miei nonni ii “Muss es sein? Es muss sein!” Ludwig van Beethoven iii Prefazione Lo sviluppo della meccanica quantistica ha fornito una descrizione della realtà che spesso esula da ogni logica e previsione classica. Uno dei risultati più importanti, legato tutt’oggi a problematiche non risolte, è l’esistenza di un’energia di vuoto. In elettrodinamica classica non vi è motivo per cui nel vuoto debba esserci radiazione elettromagnetica, ma già nel 1912 Planck, concentrato sullo studio dello spettro del corpo nero, trovò un’energia di punto zero, partendo dalla sola ipotesi che la radiazione fosse costituita da quanti discreti e indistinguibili di energia. Da quel momento, in un susseguirsi di eventi, la teoria quantistica prese forma e fu dalla quantizzazione del campo elettromagnetico che riemerse l’energia di vuoto. La presente tesi si propone di esporre gli aspetti salienti dei fenomeni ad essa legati, con particolare attenzione per l’effetto Casimir, i cui risvolti abbracciano vasti ambiti della fisica. Il primo capitolo richiama le proprietà fondamentali dell’elettromagnetismo classico, presupposto essenziale per l’analisi quantistica. Verranno introdotte e illustrate le trasformazioni di gauge e si adopererà in particolare la gauge di Coulomb per dimostrare che, nel vuoto, il potenziale vettore e i campi elettromagnetici soddisfano l’equazione di D’Alembert e dunque si rappresentano in termini di sovrapposizione di onde piane polarizzate. Risolvendo poi l’equazione delle onde per il potenziale vettore entro un volume cubico, si dimostrerà che l’hamiltoniana del campo coincide con quella di un sistema di infiniti oscillatori armonici disaccoppiati. Ogni frequenza di oscillazione del campo elettromagnetico sarà rappresentata da un oscillatore armonico, a cui si attribuisce il nome di modo normale. A questo punto, sfruttando il principio di corrispondenza, si procederà con la quantizzazione del campo elettromagnetico. Come nel caso dell’oscillatore, verranno definiti gli operatori di creazione e annichilazione, i quali consentiranno di rappresentare 1 l’energia in termini di quantità discrete, i fotoni; si giungerà ad un’espressione dei campi analoga a quella classica, dove le ampiezze saranno sostituite dai due operatori citati. Dalla trattazione emergerà uno spettro discreto per l’energia del campo, corrispondente alla quello di infiniti oscillatori armonici, e fluttuazioni non nulle nello stato fondamentale, lo stato di vuoto. L’origine del punto zero dell’energia risiede nella non commutabilità degli operatori di creazione e annichilazione, e in virtù del principio di indeterminazione, le fluttuazioni di vuoto si potranno associare a fotoni virtuali che si annichilano a vicenda. La comparsa in elettrodinamica quantistica dell’energia di vuoto rappresentò un punto di svolta nella fisica teorica, giacchè essa è responsabile della divergenza dell’hamiltoniana di un qualunque sistema a infiniti gradi di libertà. La presenza di queste quantità infinite è cruciale, infatti se, da un punto di vista formale, l’energia di vuoto può essere eliminata tramite un riordinamento normale, non si può ignorare la sua presenza in fenomeni puramente quantistici quali il Lamb shift e l’effetto Casimir. Il cuore della descrizione teorica dei due fenomeni consisteva proprio nel rendere finita una quantità che, a causa dell’energia di punto zero, non poteva convergere. La risoluzione del ‘dilemma’ aprı̀ le porte alla teoria quantistica dei campi. Il terzo capitolo è dedito all’approfondimento di tali aspetti e alla descrizione dei due fenomeni citati. Il Lamb shift fornisce una correzione alla struttura fine dell’atomo di idrogeno, dovuta all’interazione fra l’elettrone amico e le fluttuazioni di vuoto del campo elettromagnetico interno. L’effetto Casimir è un fenomeno di natura quantistica ma che si manifesta nella realtà macroscopica: esso appare nel momento in cui si impongono condizioni al contorno al campo elettromagnetico quantizzato. Più precisamente si tratta di una forza, attrattiva nella maggior parte dei casi, che si esercita fra due lastre piane infinite e perfettamente conduttrici. Quest’interazione è la manifestazione macroscopica delle fluttuazioni di vuoto vincolate dai confini materiali del sistema fisico in esame. L’effetto Casimir si manifesta anche su scala atomica, provocando l’attrazione fra due atomi o molecole neutre vicine; si parla in questo di forza di Casimir-Polder, è una forza a lungo raggio, strettamente legata ad un’altra interazione quantistica, la forza di Van der Waals, che invece si manifesta fino a distanze di pochi nanometri. La verifica sperimentale di questi due fenomeni arrivò diversi anni dopo la loro formulazione teorica e, mentre il Lamb shift è stato determinato con l’ausilio della spettroscopia, lo studio dell’effetto Casimir è ancora oggi sul palcoscenico della comunità scientifica. Dal quarto capitolo in poi, si cercherà dunque di porre le basi per la comprensione dell’attività sperimentale legata alla forza di Casimir. Per la misura di tale forza si utilizzano dei 2 condensati di Bose-Einstein, oggetti macroscopici con caratteristiche quantistiche (stati coerenti), che obbediscono alla statistica di Bose-Einstein. Lo sviluppo teorico di questi due elementi sarà infine seguito dalla descrizione dei più significativi esperimenti che hanno confermato l’esistenza dell’effetto Casimir. Le difficoltà pratiche legate alla configurazione di parallelismo di due lastre conduttrici, hanno fatto sı̀ che nel corso degli anni, la misura della forza di Casimr fosse stata effettuata prima sfruttando geometrie diverse. Si è scelto di illustrare esperienze che si differenziassero per tecniche di indagine, geometria del sistema e portata storica. In particolare verranno descritti due esperimenti in cui si verificò l’esistenza di un’attrazione fra un conduttore sferico e una lastra metallica piana; in un caso l’obiettivo fu raggiunto misurando la forza di richiamo di un pendolo a torsione su cui era posizionata la sfera, nella seconda esperienza invece si utilizzò un microscopio a forza atomica. Si esporrà poi il recente lavoro, in cui fu dimostrata l’azione della forza di Casimir fra due lastre parallele: attraverso un interferometro a fibra ottica, si ricavò la forza misurando la variazione di frequenza indotta in una microleva all’avvicinarsi di un’altra superficie conduttrice. Infine, si descriverà la misura della forza di Casimir-Polder che si manifesta attraverso la variazione delle oscillazioni del centro di massa di un condensato di Bose-Einstein, posto in prossimità di una superficie piana metallica. 3 Indice 1 La teoria elettromagnetica 5 1.1 Le equazioni di Maxwell . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 6 1.2 I potenziali elettromagnetici e le trasformazioni di gauge . . . . . . . . . . . 8 1.3 Il campo elettromagnetico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 14 2 Quantizzazione del campo elettromagnetico 19 2.1 I modi normali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 20 2.2 Il campo elettromagnetico quantizzato . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 26 3 Effetti delle fluttuazioni di vuoto 32 3.1 Lamb shift . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 32 3.2 Effetto Casimir . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 40 4 Stati coerenti 49 4.1 Definizione e proprietà . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 49 4.2 Rappresentazione nello spazio delle fasi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 57 5 Condensazione di Bose-Einstein 59 5.1 Matrice densità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 59 5.2 Le distribuzioni statistiche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 62 5.3 Condensazione di Bose-Einstein . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 69 5.4 Condensato di Bose-Einstein . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 72 6 Verifiche sperimentali dell’effetto Casimir 75 Bibliografia 84 4 Capitolo 1 La teoria elettromagnetica L’esposizione della teoria elettromagnetica classica è doverosa, oltre che propedeutica, per ben comprendere ed apprezzare quelli che saranno i risultati della formulazione quantistica. L’analisi che segue verte ad analizzare alcuni dei punti salienti di tale teoria, partendo dal pilastro dell’elettrodinamica, le equazioni di Maxwell. Introducendo i potenziali elettromagnetici si dimostrerà che l’intero studio di un sistema è condensato nell’equazione delle onde e che la dinamica dipende da due soli gradi di libertà, coincidenti con le componenti trasversali del campo elettrico e del campo magnetico. La descrizione delle trasformazioni di gauge consentirà poi di esporre, in una formulazione elegante, degli interessanti casi di simmetria per la teoria elettromagnetica. Infine sfruttando la teoria della trasformata di Fourier, si giungerà ad uno dei punti cardinali della fisica, la dimostrazione che la radiazione è esprimibile come una sovrapposizione di onde piane, soluzione dell’equazione di D’Alembert. 5 1 – La teoria elettromagnetica 1.1 Le equazioni di Maxwell L’elettrodinamica classica è interamente descritta dalle equazioni di Maxwell , che espresse nel sistema c.g.s assumono la forma ~ x,t) = 4πρ(~x,t) ∇ · E(~ (1.1) ~ x,t) = 0 ∇ · B(~ (1.2) ~ ~ x,t) + 1 ∂ B(~x,t) = 0 ∇ ∧ E(~ c ∂t ~ ~ x,t) − 1 ∂ E(~x,t) = 4π ~j(~x,t), ∇ ∧ B(~ c ∂t c (1.3) (1.4) dove ρ(~x,t) è la densità di carica e ~j(~x,t) è la densità di corrente, legate dall’equazione di continuità ∂ρ = 0, (1.5) ∂t che esprime la legge di conservazione della carica elettrica. Fra le equazioni di Maxwell , ∇ · ~j + le ultime due, note rispettivamente come Legge di Faraday-Neumann e Legge di Ampère, ~ x,t) e del campo magnetico rappresentano le equazioni del moto del campo elettrico E(~ ~ x,t), mentre le prime due costituiscono delle condizioni al contorno che devo essere B(~ soddisfatte dai campi stessi e che quindi consentono di ridurre il numero di gradi di libertà del sistema. Scomponendo ciascun vettore in una parte trasversale, a rotore nullo, e in una lungitudinale, a divergenza nulla, ~ =B ~L + B ~T B ~ =E ~L + E ~T E (1.6) dove ~ L = 0, ∇∧E ~ T = 0, ∇·E (1.7) ~ L = 0, ∇∧B ~ T = 0, ∇·B (1.8) si dimostra che la dinamica del sistema dipende soltanto dalle componenti trasversali dei campi. Infatti, dalla Legge di Gauss (1.1), per la proprietà di additività della divergenza, si ricava ~ =∇·E ~ L = 4πρ, ∇·E (1.9) mentre dalla (1.2) si nota che anche la componente longitudinale del campo magnetico è solenoidale ~ L = 0, ∇·B 6 (1.10) 1 – La teoria elettromagnetica e dunque, essendo anche irrotazionale, si conclude che ~L = 0 B (1.11) e che il campo magnetico è puramente trasverso ~ ≡B ~T . B (1.12) Inoltre separando anche la densità di corrente nelle sue due componenti, l’equazione di continuità si esprime esclusivamente in termini di ~jL ∂ρ = 0. ∇ · J~L + ∂t (1.13) Derivando rispetto al tempo la legge di Gauss (1.9) si ricava ∇· da cui ~L ∂ρ ∂E = 4π = −4π∇ · ~jL , ∂t ∂t (1.14) ~ ∂ EL ~ + 4π jL = 0. ∇· ∂t (1.15) ~L ∂E ∂t + 4π~jL è solenoidale, ma esso ~ e ~j, dunque è anche irrotazionale, perchè coinvolge solo le componenti longitudinali di E Quest’ultima relazione evidenzia che il campo vettoriale soddisfa l’equazione di Laplace ~ ~ ~ ∂ EL ∂ EL 2 ∂ EL ~ ~ ~ ∇ + 4π jL = ∇ ∇ · + 4π jL −∇∧ ∇∧ + 4π jL = 0. (1.16) ∂t ∂t ∂t Ora, un campo vettoriale a laplaciano nullo che vada all’infinito in maniera sufficientemente rapida è nullo ovunque: ~L ∂E + 4π~jL = 0 ∂t ossia ~L ∂E = −4π~jL . (1.17) ∂t Dalle proprietà appena esposte è immediato dedurre che sia la legge di Ampère (1.4) che la legge di Faraday-Neumann (1.3), si esprimono in termini delle sole componenti trasversali: e ~ ~ T − 1 ∂ ET = 4π ~jT , ∇·B c ∂t c (1.18) ~ ~ T + 1 ∂ BT = 0. ∇∧E c ∂t (1.19) 7 1 – La teoria elettromagnetica Riassumendo, le equazioni di Maxwell (1.1)-(1.4), si scindono in due gruppi: le equazioni per i campi trasversali, (1.18) e (1.19), che descrivono la dinamica del campo elettromagnetico e le equazioni (1.9) e (1.10), che fissano istante per istante le componenti longitudinali ~L e B ~ T . I gradi di libertà dinamici si riducono ai due campi trasversi E ~T e dei campi E ~T . B 1.2 I potenziali elettromagnetici e le trasformazioni di gauge Come si è visto nell’equazione (1.2), il campo magnetico è solenoidale, dunque in uno spazio ~ x,t) semplicemente connesso, esso si può esprimere come il rotore di un campo vettoriale A(~ ~ = ∇ ∧ A. ~ B (1.20) L’equazione di Faraday-Neumann (1.3) pertanto si scrive come ~=0 ~ + 1 ∂ ∇∧A ∇∧E c ∂t (1.21) ~+1∂A ~ = 0, ∇∧ E c ∂t (1.22) o equivalentemente ~ + 1 ∂t A ~ è irrotazionale e in una regione semplicemente connessa esiste per cui la quantità E c una funzione scalare φ(~r,t) tale che ~+1∂A ~ = −∇φ. E c ∂t (1.23) ~ x,t) e φ(~x,t) sono chiamati potenziali elettromagnetici, Gli oggetti matematici introdotti A(~ ~ x,t) è detto potenziale vettore, o potenziale magnetico, mentre la funzione in particolare A(~ scalare φ(~x,t) è denominata potenziale scalare, o potenziale elettrico. Le definizioni dei ~ x,t) e B(~ ~ x,t) in termini dei potenziali elettromagnetici A(~ ~ x,t) e φ(~x,t) campi E(~ ~ =∇∧A ~ B e ~ − ∇φ. ~ = −1 ∂ A E c ∂t (1.24) sono tali da soddisfare le due equazioni di Maxwell omogenee (1.2) e (1.3). ~ e φ si ottengono dalle restanti due equazioni non omogenee (1.1) e (1.4), I potenziali A 8 1 – La teoria elettromagnetica che, sfruttando le (1.20), (1.24), divengono ~ 1 ∂A ∇2 φ + ∇ · = −4πρ c ∂t (1.25) 2~ ~ + 1 ∂ ∇φ + 1 ∂ A = 4π ~j ∇∧ ∇∧A c ∂t c2 ∂t2 c (1.26) per la legge di Gauss, e per l’equazione di Ampère; servendosi dell’identità ~ ~ = ∇(∇ · A) ~ − ∇2 A, ∇ ∧ (∇ ∧ A) (1.27) ~ 1 ∂2A 4π 1 ∂φ ~ ~ ∇ A− 2 2 −∇ ∇·A+ = − ~j. c ∂t c ∂t c (1.28) si ottiene in definitiva 2 L’introduzione dei potenziali elettromagnetici ha consentito dunque di ridurre il sistema delle equazioni di Maxwell da quattro a due, tuttavia le (1.25) e (1.28) sono ancora equazioni accoppiate. Per disaccoppiarle si ricorre all’arbitrarietà insita nelle definizioni dei potenziali: nella relazione (1.20) il potenziale vettore è determinato a meno del ~ e B, ~ ad essi corrigradiente di una qualche funzione scalare χ, cosicchè, dati i campi E spondono infiniti potenziali elettromagnetici. Tale indeterminazione consente di definire delle trasformazioni per i potenziali elettromagnetici, dette trasformazioni di gauge, che lasciano invariati i campi e le equazioni di Maxwell , determinando cosı̀ una simmetria per l’elettromagnetismo. In particolare, se si considera la trasformazione del potenziale vettore ~ x,t) −→ A ~ 0 (~x,t) = A(~ ~ x,t) + ∆χ(~x,t) A(~ (1.29) dove χ(~x,t) è una generica funzione scalare, il campo magnetico non varia: ~ −→ B ~0 = ∇ ∧ A ~0 = ∇ ∧ A ~ + ∇ ∧ ∇χ = ∇ ∧ A ~=B ~ B (1.30) essendo ∇ ∧ ∇χ = 0. Il campo elettrico (1.24) invece si trasforma come ~0 ~ ~ − 1 ∂ ∇χ. ~ −→ E ~ 0 = −∇φ − 1 ∂ A = −∇φ − 1 ∂ A − 1 ∂ ∇χ = E E c ∂t c ∂t c ∂t c ∂t (1.31) Pertanto affinchè neppure il campo elettrico cambi è necessario che la trasformazione (1.29) sia contemporanea alla trasformazione del potenziale scalare φ(~x,t) −→ φ0 (~x,t) = φ(~x,t) − 9 1∂ ∇χ, c ∂t (1.32) 1 – La teoria elettromagnetica in questo caso infatti si ha ~0 ~ −→ E ~ 0 = −∇φ0 − 1 ∂ A E c ∂t ~ 1 ∂χ 1 ∂ A 1∂ = −∇φ + ∇ − − ∇χ c ∂t c ∂t c ∂t ~ 1 ∂A ~ = −∇φ − =E c ∂t (1.33) Le relazioni (1.29) e (1.32) sono le trasformazioni di gauge sopra citate e l’invarianza dei campi che da esse discende è detta invarianza di gauge. Si può ora dimostrare che oltre ai ~ eB ~ è gauge invariante anche la componente trasversale del potenziale vettore, campi E infatti è noto che ~=A ~L + A ~T , A (1.34) ~ si trasformano come dunque le componenti di A ~0 = A ~T A T (1.35) ~0 = A ~ L + ∇χ, A L (1.36) essendo ∇χ puramente lungitudinale. Questo evidenzia che il potenziale vettore trasverso ~ T è un invariante di gauge, le sue componenti sono gradi di libertà dinamici e quindi A ~ L e il potenziale scalare φ, dipenineliminabili. Invece il potenziale vettore longitudinale A dono da χ e dunque dalla scelta di gauge. A seconda delle condizioni che si impongono su ~ e su φ si ottengono diverse situazioni. A La gauge temporale richiede φ = 0, (1.37) pertanto le equazioni dei potenziali divengono semplicemente ∂ ~ = −4πρ, ∇·A ∂t 2~ ~ − 1 ∂ A − ∇(∇ · A) ~ = − 4π ~j. ∇2 A c2 ∂t2 c (1.38) (1.39) Una gauge usata molto frequentemente, perchè invariante per sistemi di riferimento inerziali, è la gauge di Lorentz la quale impone la condizione ~ + 1 ∂φ = 0. ∇·A c ∂t 10 (1.40) 1 – La teoria elettromagnetica Sotto questa ipotesi, le equazioni (1.28) e (1.25) si disaccoppiano e si riconducono alle equazioni di D’Alembert non omogenee ~− ∇2 A ~ 4π 1 ∂2A = − ~j, c ∂t2 c (1.41) ~ 1 ∂2φ = −4πρ c ∂t2 (1.42) per la prima, e ~− ∇2 φ per l’ultima. Ovviamente, in assenza di sorgenti le suddette equazioni coincidono con l’equazione delle onde. L’equazione (1.40) dunque consente di esprimere una delle quattro variabili φ, Ax , Ay , Az in funzione delle restanti, ma è possibile ridurre ulteriormente i gradi di libertà, mediante una trasformazione di gauge generata da una funzione scalare χ che soddisfa l’equazione delle onde ∇2 χ − 1 ∂2χ = 0. c ∂t2 (1.43) ~ 0 e φ0 soddisfano ancora la condizione di Lorentz (1.40). I nuovi potenziali cosı̀ ottenuti, A È particolarmente importante ricordare anche la gauge di Coulomb, che a differenza di quella di Lorentz ha il vantaggio, sotto opportune ipotesi, di essere unica. Inoltre dipende dal sistema inerziale in cui si opera e, come la gauge precedente, conduce all’equazione di D’Alembert non omogenea per il potenziale vettore. La condizione di gauge di Coulomb è ~ = 0, ∇·A (1.44) Essa impone la trasversalità del potenziale vettore, infatti, come visto per il campo magnetico, l’essere soleinoidale della componente longitudinale di un vettore, comporta il suo annullarsi se anche la sua divergenza è nulla. Si conclude che ~L = 0 A dunque ~=A ~T . A (1.45) In questo frangente l’equazione (1.25) ∇2 φ + 1∂ ~ = −4πρ ∇·A c ∂t (1.46) si semplifica come ∇2 φ = −4πρ, 11 (1.47) 1 – La teoria elettromagnetica ~ T irrotazionale per definizione. Si nota quindi che in questa gauge, il potenziale essendo A vettore è solenoidale e il potenziale scalare soddisfa l’equazione di Poisson (1.47), la quale, in assenza di superfici di contorno al finito, ammette come soluzione Z ρ(~x0 ,t) 3 0 φ(~x,t) = d ~x ; |~x − ~x0 | (1.48) quest’ultimo risultato consente di identificare φ con il potenziale di Coulomb istantaneo dovuto alla densità di carica ρ(~x,t). Derivando rispetto al tempo la (1.47) e sfruttando l’equazione di continuità ∇ · ~jL = −∂t ρ, si ottiene ∂ρ ∂ 2 ∇ φ = −4π = 4π∇ · ~j ∂t ∂t (1.49) da cui, invertendo l’ordine fra la derivata temporale e il laplaciano al primo membro, ∂φ ~ − 4π j = 0. (1.50) ∇· ∇ ∂t Ricordando che ∇ ∧ ~jL = 0 e che il rotore di un gradiente è nullo, la quantità in parentesi nell’ultima relazione è sia solenoidale che irrotazionale, di conseguenza anche il suo laplaciano è nullo e, nell’ipotesi che φ e ~jL si annullino all’infinito in modo sufficientemente rapido, si può concludere che ∇ ∂φ − 4π~j = 0 ∂t (1.51) Ora, imponendo la condizione di Coulomb (1.44), l’equazione (1.28) diviene ~− ∇2 A ~ 1 ∂2A 1 ∂φ 4π − ∇ = − ~j 2 2 c ∂ c ∂t c (1.52) o analogamente ~ 1 ∂2A 4π 1 ∂φ = − ~j + ∇ , c2 ∂ 2 c c ∂t che in virtù della (1.50) e della scomposizione ~j = ~jL + ~jT si semplifica in ~− ∇2 A ~− ∇2 A ~ 1 ∂2A 4π = − ~jT . 2 2 c ∂ c (1.53) (1.54) Come anticipiato, anche il gauge di Coulomb consente di descrivere la dinamica del potenziale vettore attraverso l’equazione di D’Alembert. Inoltre una trasformazione di gauge ~ −→ A ~0 = A ~ + ∇χ A 12 (1.55) 1 – La teoria elettromagnetica generata da una funzione χ a laplaciano nullo ∇2 χ = 0 (1.56) ~0 = ∇ · A ~ + ∇ · ∇χ = ∇ · A ~ + ∇2 χ = ∇ · A; ~ ∇·A (1.57) soddisfa ancora la condizione (1.44) se si richiede che la trasformazione di gauge sia ovunque regolare, l’unica classe di soluzioni ~=A ~ 0 . La gauge di Coulomb in questo della (1.56) è χ = costante, di conseguenza si avrà A caso è unica. In assenza di sorgenti, ρ = 0 l’equazione (1.54) per il potenziale vettore non è che l’equazione delle onde ~ 1 ∂2A = 0. (1.58) 2 2 c ∂ In tale situazione si può richiedere di soddisfare contemporaneamente due condizioni ~− ∇2 A ~ = 0, ∇·A φ = 0, (1.59) è questa la gauge di radiazione. Si dimostra ora che le richieste (1.59) sono consistenti con l’ipotesi ρ = 0. Dati dei generici ~ e φ, si consideri una trasformazione di gauge potenziali elettromagnetici A ~0 = A ~ + ∇χ A 1 ∂χ φ0 = φ − , c ∂t (1.60) (1.61) generata dalla funzione Z t χ(~x,t) = c φ(~x,t0 ) dt0 . (1.62) t0 Derivando la funzione χ, la (1.61) coincide con la condizione della gauge temporale Z t ∂ 0 φ =φ− φ(~x,t0 ) dt0 = 0. (1.63) ∂t t0 Si effettui ora un’ulteriore trasformazione di gauge ~ 00 = A ~ 0 + ∇χ0 A 1 ∂χ0 φ00 = φ − , c ∂t (1.64) (1.65) ~ 00 con l’ulteriore richiesta su A ~ 00 = ∇ · A ~ 0 + ∇2 χ0 = 0. ∇·A 13 (1.66) 1 – La teoria elettromagnetica La soluzione di quest’ultima equazione, altrimenti formulata come l’equazione di Poisson per χ0 ~ 0, ∇2 χ0 = −∇ · A (1.67) è, ricordando la (1.38) e che ∇0 ≡ ∂/∂~x0 , χ0 (~x0 ,t) = 1 4π ~ 0 (~x0 ,t) ∇0 · A d3 ~x0 . 0 |~x − ~x| Z (1.68) Ancora, la gauge temporale φ0 = 0 ottenuta, fornisce l’omogenea dell’equazione (1.38) per il potenziale vettore ∂ ~ 0 = 0, ∇·A ∂t che sostituita nella soluzione (1.68) comporta ∂χ0 =0 ∂t (1.69) (1.70) Quindi, in definitiva si ricava φ00 = φ0 − 1 ∂χ0 = φ0 = 0, c ∂t (1.71) confermando che in assenza di sorgenti, possono essere scelti dei potenziali elettromagnetici che soddisfino la gauge di radiazione (1.59). 1.3 Il campo elettromagnetico Da quanto appena illustrato risulta che la gauge di radiazione si rivela efficace per la descrizione del campo elettromagnetico nello spazio vuoto, privo di sorgenti e consente di sintetizzare le quattro equazioni di Maxwell (1.1)-(1.4), in un’unica equazione per il ~ potenziale vettore A 2~ ~ − 1 ∂ A = 0, (1.72) ∇2 A c2 ∂ 2 l’equazione delle onde. In generale ogni funzione f (~x,t) a quadrato integrabile rispetto ad ~x, cioè appartenente allo spazio L2 (R3 ) per ogni t, se soddisfa l’equazione ∇2 f (~x,t) − 1 ∂ 2 f (~x,t) = 0, c ∂2t può essere rappresentata mediante un integrale di Fourier Z 1 ~ d3~k F(~k,t) eik·~x , f (~x,t) = 3/2 (2π) 14 (1.73) (1.74) 1 – La teoria elettromagnetica dove F(~k,t) = 1 (2π)3/2 Z ~ d3 ~x e−ik·~x f (~x,t) ∈ L2 (R3 ) (1.75) è la sua trasformata inversa; sostituendo la (1.74) nella (1.73) si ottiene 1 (2π)3/2 =− 1 i~k·~x ∂ 2 F(~k,t) 2 i~k·~ x ~ d k F(k,t) ∇ e − 2e c ∂2t Z 1 ∂ 2 F(~k,t) i~k·~x d3~k ~k 2 F(~k,t) − 2 e = 0, c ∂2t Z 1 (2π)3/2 3~ che è vera se e solo se ∂ 2 F(~k,t) − ω 2 F(~k,t) = 0, ∂2t (1.76) (1.77) dove si è posto ω = c~k 2 = ck. La soluzione generale di quest’ultima equazione è della forma F(~k,t) = c1 (~k)e−iωt + c2 (~k)eiωt , per cui l’equazione delle onde (1.73) ammette soluzioni del tipo Z 1 3~ ~k)ei(~k·~x−ωt) + c2 (~k)ei(~k·~x+ωt) f (~x,t) = d k c ( 1 (2π)3/2 ~ o equivalentemente, sostituendo nel secondo membro ~k con −k, Z 1 ~ ~ f (~x,t) = d3~k c1 (~k)ei(k·~x−ωt) + c2 (~k)e−i(k·~x−ωt) . 3/2 (2π) Dunque, il potenziale vettore, soluzione della (1.72) è Z 1 ~ ~ ~ A(~x,t) = d3~k ~a(~k) ei(k·~x−ωt) + ~ã(~k) e−i(k·~x−ωt) ; 3/2 (2π) (1.78) (1.79) (1.80) (1.81) ~ sia reale si ha imponendo che A ~ã(~k) = ~a∗ (~k), (1.82) ottendendo in definitiva ~ x,t) = A(~ 1 (2π)3/2 Z ~ ~ d3~k ~a(~k) ei(k·~x−ωt) + ~a∗ (~k) e−i(k·~x−ωt) . Per convenienza formale si usa rinormalizzare l’ultima relazione come segue r Z 1 2πc2 ~ i(~k·~x−ωt) ~ 3~ ~ x,t) = A(~ d k ~a(k) e + ~a∗ (~k) e−i(k·~x−ωt) . 3/2 ω (2π) 15 (1.83) (1.84) 1 – La teoria elettromagnetica ~ cosı̀ ricavata è di fatto la sovrapposizione di onde piane L’espressione di A ~ ~a(~k) e±i(k·~x−ωt) (1.85) di ampiezza ~a(~k), pulsazione ω e numero d’onda ~k, quest’ultime legate dalla relazione ~ = 0 implica ω = c k. Si tratta in particolare di onde trasversali, infatti, la condizione ∇ · A che le ampiezze delle onde siano perpendicolari alla direzione di propagazione: ~k · ~a(~k) = 0. (1.86) La trasversalità delle onde si esplicita ulteriormente introducendo i versori di polarizza~ definiti come segue zione ˆ1 (~k) e ˆ2 (k), ˆ1 (~k) · ˆ2 (~k) = ˆ1 (~k) · ~k = ˆ2 (~k) · ~k = 0 ~k ˆ1 (~k) ∧ ˆ2 (~k) = . k (1.87) (1.88) Le ampiezze ~a(~k) allora si esprimono in termini dei versori di polarizzazione ~a(~k) = a1 (~k)ˆ 1 (~k) + a2 (~k)ˆ 2 (~k), (1.89) dunque anche l’espressione (1.84) del potenziale vettore si modifica in r 2 Z X 1 2πc2 3~ ~k) aλ (~k) ei(~k·~x−ωt) + a∗ (~k) e−i(~k·~x−ωt) ; ~ x,t) = A(~ d k ˆ ( λ λ ω (2π)3/2 λ=1 (1.90) come anticipato, la trasversalità delle onde piante è ancora più evidente in questa espressione, dal momento che, secondo la definizione (1.87) i versori ˆi , i = 1,2, sono ortogonali al vettore di propagazione ~k. Si dimostra ora che, non solo il potenziale vettore, ma anche il campo elettrico e il campo magnetico, soddisfano l’equazione di D’Alembert. Si considerino a tal fine le equazioni di Maxwell nel vuoto ~ x,t) = 0 ∇ · E(~ (1.91) ~ x,t) = 0 ∇ · B(~ ~ x,t) 1 ∂ B(~ =0 c ∂t ~ ~ x,t) − 1 ∂ E(~x,t) = 0; ∇ ∧ B(~ c ∂t ~ x,t) + ∇ ∧ E(~ 16 (1.92) 1 – La teoria elettromagnetica applicando alla legge di Faraday-Neumann l’operatore rotore e sfruttando l’identità ~ ~ = ∇(∇ · E) ~ − ∇2 E, ∇ ∧ (∇ ∧ E) (1.93) ~ + 1 ∂ ∇∧B ~ − ∇2 E ~ = 0, ∇(∇ · E) c ∂t (1.94) si ottiene ed infine dalle leggi di Gauss (1.91) e di Ampère (1.92) nel vuoto si conclude ~− ∇2 E ~ 1 ∂2E = 0. c2 ∂t2 (1.95) ~ Al medesimo risultato si giunge applicando l’operatore rotore alla divergenza di B: ~− ∇2 B ~ 1 ∂2B = 0. c2 ∂t2 (1.96) ~ anche è immediato dedurre che, analogamente a quanto visto per il potenziale vettore A, ~ eB ~ si possono esprimere come una sovrapposizione di onde piane del tipo i campi E 1 ~ x,t) = E(~ (2π)3/2 ~ x,t) = B(~ 1 (2π)3/2 r 2πc2 h ~ ~ i(~k·~x−ωt) ~ ∗ ~ −i(~k·~x−ωt) i , E (k) e + E (k) e ω r Z i 2πc2 h ~ ~ i(~k·~x−ωt) 3~ ~ ∗ (~k) e−i(~k·~x−ωt) ; d k B(k) e +B ω Z d3~k (1.97) (1.98) anche in questo caso, le espressioni appena illustrate devono essere coerenti con le equazioni di Maxwell le quali impongono l’ortogonalità fra i campi e il vettore d’onda ~k ~k · E~ (~k) = 0 ~ ~k) = 0, ~k · B( (1.99) e, tramite la Legge di Faraday (1.3), la perpendicolarità fra i campi stessi ~ ~ ~k) = k ∧ E~ (~k). B( k (1.100) ~ costituiscono una terna di vettori perpendicolari. Si conclude dunque che i vettori ~k, E~ e B Inoltre ricordando le relazioni che legano campo elettrico e campo magnetico al potenziale vettore nella gauge di radiazione ~ ~ = − 1 ∂A E c ∂t ~ ~ B =∇∧A 17 1 – La teoria elettromagnetica si ricavano analoghe formule per le ampiezze dei tre vettori ω E~ (~k) = i ~a(~k) c ~ ~ ~ B(k) = ik ∧ ~a(~k). (1.101) (1.102) ~ eB ~ nel vuoto, scaturiscono da poche ultime conLe espressioni definitive per i campi E ~ , dunque sostituendo le (1.101), siderazioni: le ampiezze dei campi sono uguali E~ = B (1.102) negli integrali di Fourier (1.97) e (1.98) e tenendo conto della relazione (1.89), si ottiene r 2 Z 2 X 1 3 ~k 2πc iω ˆλ (~k) aλ (~k) ei(~k·~x−ωt) − a∗ (~k) e−i(~k·~x−ωt) , ~ x,t) = E(~ d λ ω c (2π)3/2 λ=1 (1.103) ~ x,t) = B(~ 1 (2π)3/2 2 X Z r d3~k λ=1 2πc2 ~ ~ ~ i[k ∧ ˆλ (~k)] aλ (~k) ei(k·~x−ωt) − a∗λ (~k) e−i(k·~x−ωt) . ω (1.104) Ecco dimostrato quanto auspicato: la radiazione elettromagnetica è data da una sovrapposizione di infinite onde piane. Anticipando sinteticamente quanto verrà di seguito illustrato, si può affermare che anche nella teoria quantistica il campo elettromagnetico è ottenibile in termini di onde viaggianti, la sua energia coinciderà con quella di infiniti oscillatori armonici, e soprattutto sarà quantizzata. 18 Capitolo 2 Quantizzazione del campo elettromagnetico Sul finire del diciannovesimo secolo, Max Planck, percorreva una strada che avrebbe condotto all’avvento della meccanica quantistica. Egli infatti era dedito allo studio della termodinamica ed in particolare i suoi sforzi erano concentrati sulla determinazione dello spettro energetico del corpo nero. Il corpo nero, un oggetto ideale capace di assorbire completamente la radiazione incidente, aveva attratto per mezzo secolo l’attenzione dei più insigni fisici dell’epoca, Boltzmann, Stefan, Wien, finchè Rayleigh e Jeans non si spinsero fino ai limiti della fisica classica. La teoria del calore e della radiazione fino a quel momento poggiava sull’opera di Maxwell e Boltzmann: era noto che ogni corpo materiale riscaldato emette onde elettromagnetiche con vibrazioni di tutte le frequenze e lunghezze d’onda, che per ogni data temperatura esiste una particolare distribuzione di energia fra le diverse frequenze e che vi è una frequenza di vibrazione predominante a cui l’intensità è massima, frequenza che cresce all’aumentare della temperatura. La meccanica statistica inoltre aveva come principio fondamentale il Teorema di Equipartizione dell’energia, il quale afferma che l’energia totale di un sistema costituito da un gran numero di particelle, che scambiano energia tra loro per mezzo di urti reciproci, si ripartisce ugualmente (in media) fra tutte le particelle. Lord Rayleigh e Sir Jeans cercarono di estendere il metodo statistico ai problemi della radiazione termica, ipotizzando che l’energia raggiante totale disponibile sia ugualmente distribuita fra tutte le possibili frequenze di vibrazione. In tale assunzione risiede il limite della fisica classica: il numero di molecole di un gas in uno spazio chiuso, seppur grandissimo, è sempre finito, mentre il numero di vibrazioni possibili 19 2 – Quantizzazione del campo elettromagnetico nello stesso spazio è infinito, dunque per il Teorema di Equipartizione si concluderà che ad ogni singola vibrazione spetterà una quantità di energia infinitamente piccola. Inoltre Raylaigh e Jeans determinarono l’omonima distribuzione per la densità di energia della radiazione termica 8πν 2 kT, c3 ρ(ν) = (2.1) dunque la densità di energia totale ∞ Z ρ(ν)dν u= (2.2) 0 diverge all’aumentare della frequenza ν, da cui il nome catastrofe ultravioletta. Nel dicembre 1900, ad una riunione della Società Tedesca di Fisica, Planck sostenne che il pericolo della catastrofe ultravioletta poteva essere evitato se si postulava che l’energia delle onde elettromagnetiche può esistere solo sotto forma di pacchetti discreti di energia indistinguibili fra loro. Ciascun pacchetto, o quanto, possiede una quantità di energia ben definita ed in particolare proporzionale alla sua frequenza ν secondo la relazione = hν. (2.3) Planck aprı̀ cosı̀ le porte alla meccanica quantistica. L’idea che la luce, ed in genere la radiazione elettromagnetica, si possa considerare come un continuo treno d’onde, lasciò il passo ad una concezione del campo elettromagnetico quantizzato. La costante h è una costante universale chiamata costante di Planck ; nel sistema internazionale il valore della costante di Planck è 6,626 · 10−34 Js, dunque un valore cosı̀ piccolo suggerisce che la teoria classica conserva intatta la sua validità su grande scala, cedendo alla teoria quantistica il compito di descrivere la realtà su scala atomica. Circa trent’anni dopo la rivoluzionaria intuizione di Planck, la teoria della meccanica quantistica era pressocchè completa, e la quantizzazione del campo elettromagnetico si ottenne formalmente dallo studio quantistico di un oscillatore armonico, che è di fatto, matematicamente equivalente ad un campo elettromagnetico monocromatico con stessa frequenza di vibrazione. 2.1 I modi normali L’Hamiltoniana quantistica di un oscillatore armonico ha la stessa forma di quella classica, a patto di sostituire le variabili canoniche con i corrispondenti operatori hermitiani definiti 20 2 – Quantizzazione del campo elettromagnetico nello spazio di Hilbert. Pertanto, se m è la massa della particella, l’Hamiltoniana del sistema è H= 1 (p2 + m2 ω 2 q2 ), 2m (2.4) dove q e p corrispondono rispettivamente alle coordinate q e ad i momenti coniugati p, per i quali vale la relazione [q,p] = i~. (2.5) Si usa introdurre gli operatori non-hermitiani (dunque non corrispondenti ad alcun osservabile) di annichilazione a e creazione a† a= √ 1 (ωq + ip) 2~ω a† = √ 1 (ωq − ip), 2~ω (2.6) i quali sono l’uno il complesso coniugato dell’altro e soddisfano la relazione di commutazione [a,a† ] = 1; (2.7) p e q in funzione di tali operatori son dati dalle relazioni r r ~ m~ω † † (a + a ) p=i (a − a). q= 2mω 2 (2.8) Definendo inoltre l’operatore hermitiano N = a† a l’Hamiltoniana è esprimibile come 1 H = ~ω(N + ). 2 (2.9) Pertanto la determinazione di autovalori e autostati per l’Hamiltoniana si traduce nella ricerca degli autovalori e autostati di N che soddisfano l’equazione N |ni = n |ni , (2.10) accompagnati condizione di normalizzazione hn | ni = 1. Si trova che gli autovalori dell’energia sono 1 En = ~ω(n + ) 2 con n = 0,1,2, . . . (2.11) mentre autostati e autofunzioni sono determinati a partire dallo stato fondamentale |0i, in corrispondenza del quale l’oscillatore armonico possiede la minima energia: 1 |ni = √ (a† )n |0i n! 1 ψn = √ (a† )n ψ0 n! 21 (2.12) 2 – Quantizzazione del campo elettromagnetico con |0i = ψ0 . Tali autostati formano un insieme ortonormale completo che fornisce una base per lo spazio di Hilbert. Si considerino ora le equazioni di Maxwell per un campo elettromagnetico nel vuoto, cioè si escluda la presenza di dielettrici o sorgenti esterne. Nel sistema c.g.s. esse sono: ~ =0 ∇·E (2.13) ~ =0 ∇·B (2.14) ~ ∇∧E ~ ∇∧B ~ 1 ∂B =− c ∂t ~ 1 ∂E = . c ∂t (2.15) (2.16) (2.17) Riprendendo le argomentazioni sviluppate nel capitolo precedente, si esprimono il campo ~ e il campo magnetico B ~ in funzione dei potenziali elettromagnetici A ~eφ elettrico E ~ =∇∧A ~ B ~ ~ + 1 ∂ A = −∇φ; E c ∂t ~ = 0 e φ = 0, Inoltre, la scelta della gauge di Coulomb, in assenza di sorgenti esterne, ∇ · A conduce alle espressioni dei campi tramite il potenziale vettore che soddisfa, sotto queste ipotesi, l’equazione delle onde nel vuoto (1.73) ~− ∇2 A ~ 1 ∂2A = 0. c2 ∂t2 (2.18) Come dimostrato nel capitolo precedente, il potenziale vettore, soluzione della (2.18), è rappresentato da un insieme continuo di sovrapposizione di onde piane polarizzate linearmente. Tuttavia, il processo di quantizzazione del campo elettromagnetico risulta più agevole se si esprime il campo in funzione di un numero infinito ma discreto di variabili, in modo da poter stabilire una corrispondenza fra di esse e gli operatori dello spazio di Hilbert. A tal fine è necessario risolvere l’equazione delle onde (2.18) con appropriate condizioni al contorno, in altre parole è necessario immaginare il campo contenuto in una regione finita dello spazio. Si supponga dunque che il campo elettromagnetico sia contenuto in un cubo di lato L, privo tuttavia di confini materiali; ciò si traduce nella condizione di periodicità ~ r,t) = A(~ ~ r + L,t), A(~ 22 (2.19) 2 – Quantizzazione del campo elettromagnetico dove ~r = (x,y,z) e L si ipotizza molto grande rispetto alle dimensioni di interesse fisico. L’equazione delle onde si risolve per separazioni delle variabili, assumendo come soluzione una funzione della forma ~ r,t) = A ~ 0 (~r)ψ(t), A(~ (2.20) che sostituita nella (2.18) conduce all’equazione ~ 0 (~r) − ψ(t) ∇2 A ∂ 2 ψ(t) 1 ~ A (~ r ) = 0, 0 c2 ∂2t (2.21) 1 1 ∂ 2 ψ(t) = 0. c2 ψ(t) ∂ 2 t (2.22) ~ 0 (~r)ψ(t) si ottiene dividendo per A 1 ~ 0 (~r) A ~ 0 (~r) − ∇2 A Il membro a destra dell’ultima equazione dipende esclusivamente dalle variabili spaziali, quello a sinistra dalla variabile temporale, poichè i due gruppi di variabili sono indipendenti, i due membri devono essere identicamente uguali ad una costante. Pertanto, indicata per convenienza tale costante con −k 2 , la (2.22) si scinde in due equazioni ψ̈(t) = −k 2 c2 ψ(t) (2.23) ∇2 A~0 (~r) = −k 2 A~0 (~r), (2.24) ~ 0 (~r) = 0 ~ 0 (~r) + k 2 A ∇2 A (2.25) e che espressa nella forma prende il nome di Equazione di Helmholtz. L’equazione differenziale temporale (2.23) ammette come soluzione la funzione ψ(t) = αk (0)e∓ickt = αk (0)e∓iωk t , (2.26) mentre l’integrale generale dell’equazione di Helmholtz è ~ A~0 (~r) = βe±ik·~r = a cos ~k · ~r ± i b sin ~k · ~r, (2.27) k = |~k| e ωk = ck e a e b costanti reali, ~k è evidentemente il vettore d’onda. Combinando ~ = 0 imposta dalla ora la condizione al contorno (2.19) per ~r = 0, con la richiesta ∇ · A ~0 gauge di Coulomb, si ricava per la componente x di A dA0x (Lx ) dA0x (0) = = 0, dx dx 23 (2.28) 2 – Quantizzazione del campo elettromagnetico che si esplicita come b=0 e sin kx Lx = 0, (2.29) ossia kx = nx Lπx con nx = ±1, ± 2, ± 3,.... Tale procedimento si estende alle restanti componenti. ~ = 0 e quella di normalizzazione Inoltre, per soddisfare la condizione di transversalità ∇ · A Z ~ 0 (~r)2 = 1, d3~r A (2.30) V con V = L3 , si sceglie come soluzione particolare dell’equazione di Helmholtz (2.25), per ogni fissato ~k ~ kλ (~r) = V − 12 êkλ ei~k·~r , A (2.31) dove êkλ è un vettore unitario, assunto reale, che garantisce la transversalità del potenziale vettore; per ogni ~k è possibile scegliere solo due versori perpendicolari fra loro e perpendicolari a ~k ~k · êkλ = 0, êkλ · êkλ0 = δλλ0 , (2.32) con λ = 1,2. Cosı̀ definito, êkλ specifica una delle due possibili polarizzazioni del campo ed è pertanto noto come vettore di polarizzazione. In definitiva, in virtù della linearità delle equazioni di Maxwell, il potenziale vettore, soluzione dell’equazione (2.18) è X ∗ ∗ ~ ~ ~ A(~r,t) = ψk (t)Akλ (~r) + ψk (t)Akλ (~r) ~kλ = V − 12 X −i(ωk t−~k·~ r) αk (0) e + ~ αk∗ (0) ei(ωk t−k·~r) êkλ ~kλ = V − 12 X αk (t) e i~k·~ r + ~ αk∗ (t) e−ik·~r , êkλ (2.33) ~kλ dove il vettore d’onda può assumere solo valori discreti ~k = nx π , ny π , nz π con nx,y,z = 0, ± 1, ± 2, ± 3, . . . Lx Ly Lz Il campo elettrico e magnetico assumono di conseguenza la forma i X i~k·~ r ∗ −i~k·~ r ~ E(~r,t) = 1 ωk αk (t) e − αk (t) e êkλ V 2 ~kλ X i ~ ~ i k·~ r ∗ −i k·~ r ~k ∧ êkλ ~ r,t) = 1 αk (t) e − αk (t) e B(~ V 2 ~kλ 24 (2.34) (2.35) (2.36) 2 – Quantizzazione del campo elettromagnetico mentre per l’energia elettromagnetica del campo si ottiene l’espressione Z X k2 1 ~2 + B ~2 = αk (t)2 , d3~r E H= 8π V 2π (2.37) ~kλ dove l’integrale è esteso all’intero volume del cubo contenente il campo. Definendo le quantità reali 1 αk (t) + αk∗ (t) qkλ (t) = √ c 4π ik ∗ pkλ (t) = √ αk (t) − αk (t) 4π (2.38) (2.39) si ricava, fissato ~k, quanto annunciato, ossia un’espressione per l’Hamiltoniana del campo elettrico formalmente equivalente a quella di un oscillatore armonico di ugual frequenza ωk 1 2 2 . pkλ + ωk2 qkλ 2 Inoltre ricordando che αk (t) = αk (0)e−iωt e che ωk = kc, si verifica Hkλ = q̇ = = = 1 √ −iωk αk + iωk αk∗ c 4π iω √ k αk∗ − αk c 4π ick ∗ √ αk − αk = p c 4π (2.40) (2.41) e ik √ iωk αk∗ + iωk αk 4π k ωk ∗ = − √ αk + αk c 4π = −ωk2 q, ṗ = (2.42) cioè qkλ (t) e pkλ (t) soddisfano le equazioni di Hamilton classiche rispetto all’Hamiltoniana (2.40), ossia equivalgono a tutti gli effetti alle variabili canoniche coniugate, coordinate e impulsi rispettivamente. Pertanto, l’Hamiltoniana totale del sistema X1 2 H= p2kλ + ωk2 qkλ 2 (2.43) kλ corrisponde a quella di un insieme discreto di infiniti oscillatori armonici disaccoppiati, ciascuno oscillante con frequenza ωk . Ogni oscillazione prende il nome di modo normale. 25 2 – Quantizzazione del campo elettromagnetico 2.2 Il campo elettromagnetico quantizzato Partendo dall’ultimo risultato ottenuto e sfruttando le proprietà quantistiche dell’oscillatore armonico precedentemente esposte, si può procedere con la quantizzazione del campo elettromagnetico. In primo luogo, da un confronto fra le relazioni (2.8) e le (2.38)-(2.39), si può notare che nel processo di quantizzazione, le ampiezze del campo, α e α† sono state sostituite, a meno di un fattore di proporzionalità, dagli operatori di creazione e distruzione a e a† e che l’operatore N = a† a, rappresentante il numero di fotoni del sistema, ha preso il posto della quantità |α|2 . Sostituendo alle variabili canoniche e al vettore d’onda i corrispondenti operatori nello spazio di Hilbert q, p e k, vi è consistenza fra le (2.8) e le (2.38)-(2.39) se si pone s αk −→ 2π~c2 ωk s akλ αk∗ −→ e 2π~c2 † a kλ , ωk per cui, per ogni k, si introducono gli operatori coordinata e impulso s 2π~c2 qkλ = (akλ + a† kλ ) ωk s 2π~c2 † pkλ = (a kλ − akλ ). ωk (2.44) (2.45) (2.46) La definizione degli operatori di creazione e annichilazione, seppur con diverso significato fisico, resta invariata 1 1 akλ = √ (ωk qkλ + ipkλ ), a† kλ = √ (ωk qkλ − ipkλ ), 2~ωk 2~ωk cosı̀ come è immutata la regola di commutazione (2.47) 3 [akλ (t),a† k0 λ0 (t)] = δkk 0 δλλ0 , (2.48) [akλ (t),ak0 λ0 (t)] = [a† kλ (t),a† k0 λ0 (t)] = 0 (2.49) a cui si aggiungono le relazioni che scaturiscono dall’indipendenza dei diversi modi del campo elettromagnetico. In virtù della sostituzione (2.44) si ricavano anche il campo elettrico e il campo magnetico 1 X 2π~ωk 2 E(r,t) = i akλ (t) eik·r − a† kλ (t) e−ik·r ekλ (2.50) V kλ 1 X 2π~ c2 2 B(r,t) = i akλ (t) eik·r − a† kλ (t)e−ik·r k ∧ ekλ , (2.51) ωk V kλ 26 2 – Quantizzazione del campo elettromagnetico dove ogni osservabile è stata sostituita dal rispettivo operatore; essi si ottengono dal potenziale vettore 1 X 2π~ c2 2 A(r,t) = akλ (t) eik·r − a† kλ (t)e−ik·r ekλ ωk V (2.52) kλ che soddisfa la condizione di normalizzazione Z 3 d3 r Akλ (r) · A∗k0 λ0 (r) = δkk 0 δλλ0 . (2.53) V A questo punto è evidente che l’Hamiltoniana del campo elettromagnetico nel vuoto è X 1 † H= ~ωk a kλ akλ + ; (2.54) 2 kλ essa corrisponde all’Hamiltoniana di un sistema costituito da infiniti oscillatori armonici quantizzati indipendenti fra loro, dunque è ottenuta dalla somma infinita delle hamiltoniane di singolo oscillatore, ciascuno corrispondente ad un modo normale k. Ogni modo del campo ha uno spettro discreto di energia, costituito da livelli energetici equidistanti 1 con nkλ = 0,1,2,... (2.55) Enkλ = ~ωk nkλ + 2 dove nkλ è l’autovalore dell’operatore N kλ = a† kλ akλ , cui appartiene l’autostato |nkλ i: N kλ |nkλ i = nkλ |nkλ i . (2.56) L’autovalore nkλ rappresenta il numero di quanti di energia, i fotoni, presenti per un particolare modo k; il numero totale di fotoni del campo è dato di conseguenza dalla somma del numero di fotoni di ogni modo X nkλ . (2.57) kλ Gli autovalori di H si ottengono, in virtù dell’indipendenza dei modi vibrazionali, come la somma degli autovalori Enkλ En = X ~ωkλ nkλ + kλ 1 , 2 (2.58) gli autostati invece son dati dal prodotto tensoriale degli autostati dell’Hamiltoniana di singolo oscillatore |ni = O |nkλ i = |nk1 λ i ⊗ |nk2 λ i ⊗ |nk3 λ i ⊗ . . . . kλ 27 (2.59) 2 – Quantizzazione del campo elettromagnetico Per ogni modo k, gli autostati |nkλ i costituiscono un insieme completo ortonormale per lo spazio di Hilbert Hkλ cui essi appartengono; l’intero sistema è dunque definito in uno spazio di Hilbert H ottenuto a sua volta dal prodotto tensoriale dei sottospazi Hkλ O H = Hkλ . (2.60) kλ è opportuno ricordare a questo punto che la teoria quantistica si fonda sul principio di corrispondenza, che sancisce un legame formale con la teoria classica, eppure le conclusioni a cui le due teorie conducono sono tutt’altro che scontate. Nell’espressione dell’energia del campo elettromagnetico (2.58) sono sintetizzati alcuni dei risultati più sorprendenti della meccanica quantistica. In primo luogo è evidente la nota quantizzazione dell’energia, precedentemente ricavata per l’oscillatore armonico e qui generalizzata al caso di un sistema a infiniti gradi di libertà: l’energia del campo elettromagnetico è strettamente legata al numero di fotoni che lo compongono, ciascuno dei quali ha energia ~ω. Ad ogni frequenza di vibrazione del campo ωk è associato uno spettro energetico, la cui energia è data dalla somma dell’energia dei quanti caratterizzati dalla medesima ωk ; poichè i modi del campo sono indipendenti l’un l’altro, l’energia totale è data dalla somma dell’energia di ciascuno spettro. Nel caso di un campo elettromagnetico confinato in un certo volume, lo spettro energetico è discreto e l’energia complessiva è espressa dalla (2.58); se il campo si trovasse nel vuoto, in assenza di alcun confine, i suoi livelli energetici formerebbero uno spettro continuo. In ogni caso, comunque, non tutti i valori dell’energia sono consentiti, come invece è vero in elettrodinamica classica. Il secondo punto di rottura con la teoria classica si manifesta ponendo nella (2.55) nkλ = 0, ossia assumendo che in un certo stato |nkλ i, con k fissato, non ci siano fotoni; tale stato è chiamato vacuum state, stato di vuoto, ed indicato con |0i. Seppur in assenza di fotoni, il campo elettromagnetico ha energia ~ωkλ /2, definita zero-point energy, energia di punto zero . Quanto appena affermato è indubbiamente sbalorditivo, considerando che secondo la centenaria visione classica della realtà, nello stato di vuoto, anche detto stato di minima energia, il campo si annulla in ogni punto; ma cè di più. Nel particolare caso in esame, cioè quando si ha a che fare con un sistema a infiniti gradi di libertà, l’esistenza del energia di punto zero comporta la divergenza dell’Hamiltoniana del sistema (2.54): la P somma kλ 12 ~ωk evidentemente non converge. L’infinito emerso è la somma dei punti zero dell’energia degli infiniti modi normali che costituiscono il campo elettromagnetico. Estendendo ora l’attenzione agli altri autostati dell’energia |ni si evidenziano ulteriori proprietà degne di nota. Si può ad esempio dimostrare che i valori medi dei campi sugli 28 2 – Quantizzazione del campo elettromagnetico stati stati stazionari |ni sono nulli. L’azione degli operatori di creazione e annichilazione sul generico stato |nkλ i, con k fissato, è definita dalle formule di ricorrenza a† kλ |nkλ i = akλ |nkλ i = con √ √ nkλ + 1 |nkλ + 1i (2.61) nkλ |nkλ − 1i (2.62) akλ |0i = 0, (2.63) ed inoltre un generico autostato |nkλ i si ottiene applicando più volte allo stato di vuoto l’operatore di creazione a† kλ (a† kλ )nkλ √ |0i . nkλ ! Ora, dalla (2.50) si ricava il modo del campo elettrico di frequenza ωk |nkλ i = E kλ (r,t) = iεkλ [akλ (t)Akλ (r) − a† kλ (t)A†kλ (r)], (2.64) (2.65) 1 1 dove εkλ = (2π~ωk ) 2 e Akλ (r) = V − 2 eik·r ekλ , dunque per ogni k, si ha hnkλ | E kλ (r,t) |nkλ i = hnkλ | iεkλ (akλ Akλ − a† kλ A†kλ ) |nkλ i = iεkλ Akλ hnkλ | akλ |nkλ i − A†kλ hnkλ | a† kλ |nkλ i √ √ = iεkλ Akλ nkλ hnkλ | nkλ − 1i − A†kλ nkλ + 1 hnkλ | nkλ + 1i = 0; (2.66) Dall’ortogonalità degli autostati del campo e dalle relazioni (2.50) e (2.59) si evince che il valore medio del campo elettrico sugli autostati dell’energia è nullo hn|E(r,t)|ni = 0, (2.67) con analogo procedimento, considerando la (2.51), si dimostra un medesimo risultato anche per il campo magnetico hn|B(r,t)|ni = 0. (2.68) Diverso è tuttavia il risultato per il valor medio di E 2 (r,t): 2 hnkλ | E 2 (r,t) |nkλ i = −ε2kλ [A2kλ a2kλ + a† kλ A2kλ − |Akλ |2 (akλ a† kλ + a† kλ akλ )] 2 = −ε2kλ A2kλ hnkλ | a2kλ |nkλ i + A2kλ hnkλ | a† kλ |nkλ i + − |Akλ |2 hnkλ | 1 + 2a† a |nkλ i = ε2kλ |Akλ |2 (2nkλ + 1) r h 1 i2 , = εkλ |Akλ | nkλ + 2 29 (2.69) 2 – Quantizzazione del campo elettromagnetico per ogni k, quindi r Xh 1 i2 hn|E 2 (r,t)|ni = εkλ |Akλ | nkλ + . 2 (2.70) kλ Pertanto non nullo è anche lo scarto quadratico medio che fornisce una stima delle fluttuazioni del campo ∆E = Xq hE 2kλ i − hE 2kλ i Xq = hE 2kλ i kλ kλ = X = X kλ r εkλ |Akλ | nkλ + 1 2 √ εkλ |Akλ | nkλ + hE 2kλ i0 , (2.71) kλ dove hE 2kλ i0 = εkλ |Akλ | 21 è la dispersione del campo elettrico rispetto allo stato di vuoto |0i. Il risultato appena ottenuto è una conseguenza della non commutabilità di N kλ e E kλ su cui si fonda un altro pilastro della meccanica quantistica, il principio di indeterminazione, in virtù del quale è impossibile conoscere contemporaneamente e con precisione il campo elettrico e il numero di fotoni che lo compongono. Tale proprietà essendo valida per tutti gli stati del campo lo è anche per lo stato di vuoto , a dimostrazione che anche in assenza di fotoni il campo elettromagnetico presenta delle fluttuazioni. L’energia di vuoto del campo elettromagnetico si associa a particelle virtuali che compaiono e scompaiono nello stato fondamentale |0i. Da un punto di vista formale, le fluttuazioni di vuoto contribuiscono con costanti aggiuntive alle misure dei valori medi, costanti che non alterano il significato fisico delle misure; si possono dunque inglobare le fluttuazioni di vuoto nella definizione dell’Hamiltoniana, senza perdere alcuna informazione fisica X 1 1 † ~ωk akλ a kλ − ~ωk HF = H − h0| H |0i = 2 2 kλ X 1 1 † ~ωk 2a kλ akλ + 1 − ~ωk = 2 2 kλ X = ~ωk a† kλ akλ . (2.72) kλ La ridefinizione dell’Hamiltoniana, (2.72), è chiamata normal order e consente di eliminare formalmente l’energia di punto zero perchè implicita nella definizione stessa. Ciò nonstante, come verrà dimostrato a breve, l’energia di vuoto ha una realtà fisica che non può essere ignorata e che anzi è alla base di numerosi fenomeni quantistici. Per concludere, è opportuno aprire una parentesi sulla fase del campo elettromagnetico. Fin qui si è 30 2 – Quantizzazione del campo elettromagnetico assunto senza indugio, che, come per le altre osservabili, anche alla fase fosse associato un operatore hermitiano; in realtà la sua stessa esistenza è tutt’ora argomento di discussione. Vari sono stati i tentativi di dare forma a tale operatore: Dirac, per primo, ipotizzò una decomposizione in forma polare degli operatori di annichilazione e creazione √ a = eiφ N a† = √ N e−iφ (2.73) di modo che l’operatore dell’esponenziale della fase eiφ fosse unitario (condizione necessaria per essere hermitiano). Susskind e Glogower dimostrarono che tale decomposizione non è attuabile e ne proposero una alternativa, introducendo gli operatori E ed E † , detti operatori SG 1 1 E = (N + 1)− 2 a = (aa† )− 2 a 1 (2.74) 1 E † = a† (N + 1)− 2 = a† (aa† )− 2 , (2.75) che di fatto corrispondono proprio all’operatore esponenziale e±iφ . Una volta determinati gli autostati |φi di E che soddisfano l’equazione E |φi = eiφ |φi , (2.76) quindi, autostati della fase, li utilizzarono per costruire una sorta di distribuzione della fase P (φ) per un arbitrario stato |ψi del campo P (φ) = 1 | hφ | ψi |2 . 2π (2.77) Ad un risultato simile giunsero anche Pegg e Barnett, i quali però definirono prima un operatore di fase approssimativo in uno spazio ristretto, finito-dimensionale, dello spazio di Hilbert, per poi ottenere proprio, come limite, la distribuzione (2.77). 31 Capitolo 3 Effetti delle fluttuazioni di vuoto La teoria quantistica della radiazione, attraverso la quantizzazione del campo elettromagnetico, ha evidenziato l’esistenza di un’energia di punto zero, ossia l’esistenza di uno stato con numero di fotoni nullo e fluttuazioni del campo finite. I risvolti di tale risultato furono notevoli: diversi fenomeni infatti, fra cui il Lamb shift e l’effetto Casimir, non possono essere spiegati secondo la fisica classica perchè ascrivibili a interazioni puramente quantistiche. In particolare, dall’analisi sperimentale dell’atomo di idrogeno, apparvero distinti, dei livelli energetici che la teoria prevedeva essere degeneri. La separazione è, per l’appunto, dovuta all’interazione dell’elettrone con le fluttuazioni di vuoto del campo elettromagnetico interno all’atomo. L’effetto Casimir invece si manifesta come un’interazione fra due conduttori, legata alle condizioni al contorno imposte dal sistema al campo magnetico quantizzato. Casimir, predisse teoricamente il fenomeno studiando due lastre infinte perfettamente conduttrici; egli determinò l’esistenza di una forza attrattiva fra i due oggetti, indipendente dal materiale, che attribuı̀ alla pressione dell’energia di punto zero delle onde elettromagnetiche. Su scala atomica, fra un atomo e una superficie conduttrice, le fluttuazioni di vuoto generano una forza attrattiva nota come forza di Casimir-Polder. 3.1 Lamb shift L’atomo di idrogeno, nella sua rappresentazione più semplice e stilizzata, è costituito da un protone e un elettrone soggetti a un potenziale centrale. Dal momento che la 32 3 – Effetti delle fluttuazioni di vuoto massa del protone è molto più grande di quella dell’elettrone, è possibile descrivere il sistema assumendo che l’elettrone ruoti attorno al protone immaginato fisso nel centro del sistema di riferimento in cui si opera. Questa approssimazione consente di ridurre l’analisi dell’atomo allo studio della funzione d’onda del solo elettrone. Sotto queste ipotesi dunque, l’Hamiltoniana del sistema è H0 = e2 p − , 2m r (3.1) dove naturalmente p, m, −e sono rispettivamente impulso, massa non relativistica e carica dell’elettrone, e r è la distanza dal protone. Per un sistema a potenziale centrale di questo tipo, le funzioni d’onda si esprimono come il prodotto di un’autofunzione radiale e di una angolare ψ(r,ϑ,ϕ) = Rn (r) Ylm (ϑ,ϕ) (3.2) essendo n, l, m i numeri quantici legati agli autovalori degli operatori H0 , L2 , Lz H0 |ψi = En |ψi con n = 0,1,2, . . . (3.3) L2 |ψi = ~ l(l + 1) |ψi con l = 0, . . . ,n − 1 (3.4) Lz |ψi = ~ m |ψi con m = −l, . . . , + l, (3.5) dove |ψi è l’autostato associato all’autofunzione ψ. L’equazione di Schrödinger indipendente dal tempo H0 ψ = E ψ (3.6) fornisce gli autovalori dell’energia, che in questa rappresentazione dell’atomo di idrogeno, dipendono esclusivamente dal numero quantico principale n: 1 1 = −13,6 2 eV, En = −α2 mc2 2 2n n dove n può assumere solo valori interi non negativi, come prima indicato, e α = (3.7) e2 ~c ' 1 137 è la costante di struttura fine. Inoltre, tenendo presente l’intervallo di variazione dei tre numeri quantici, si osserva che per n fissato, ogni livello energetico ha degenerazione n2 : n−1 X (2l + 1) = n2 , (3.8) l=0 il che significa che per ogni n, esistono n2 autostati aventi la medesima energia En . Le discrepanze fra i risultati sperimentali e le predizioni teoriche sono tuttavia notevoli, in 33 3 – Effetti delle fluttuazioni di vuoto particolare lo spettro energetico dell’atomo presenta più livelli energetici di quanti il modello ne predica. Una descrizione più accurata si ottiene ricordando che l’energia cinetica classica è il limite, per basse velocità, dell’energia relativistica, e che l’elettrone possiede un momento angolare intrinseco, lo spin. Ciò si traduce nell’aggiungere all’Hamiltoniana H0 opportuni termini correttivi: la correzione relativistica è rappresentata dal termine ! 1 p4 , (3.9) Hrel = − 8m3 c2 il contributo di spin invece è espresso come Hso = e2 S · L , 2m2 c2 r3 (3.10) con S e L, rispettivamente spin e momento angolare orbitale dell’elettrone. Il termine (3.9), come detto, scaturisce dalla definizione dell’energia nella relatività ristretta T = p p2 c2 + m2 c4 − mc2 (3.11) che all’ordine più basso è approssimato da T = p2 p4 − + .... 2m 8m3 c2 (3.12) Esso consente di ricavare la deviazione, negativa, rispetto all’energia E 0 , autovalore dell’Hamiltoniana imperturbata H0 : E rel " # 2n 1 3 = −α4 mc2 2 − . 4n l + 21 2 (3.13) Poichè Erel è proporzionale alla quarta potenza di α, fornisce una correzione di un circa un fattore 10−4 . Il termine (3.10) è legato all’interazione spin-orbita fra il momento di dipolo µS associato allo spin dell’elettrone e il campo magnetico B che il protone genera ruotando attorno all’elettrone. La scelta del sistema di riferimento è infatti totalmente arbitraria, quindi immaginando una descrizione dell’atomo in cui l’elettrone è a riposo 1 e il protone gli orbita attorno, il campo magnetico B è legato al momento angolare L dell’elettrone dalla relazione B= e L. mcr3 1 (3.14) Si tratta di un sistema non inerziale, dunque per ottenere il termine di interazione W nel sistema di riferimento inerziale originario, sarà necessario dividere per due. [5] 34 3 – Effetti delle fluttuazioni di vuoto Inoltre, il momento di dipolo magnetico µS si definisce come e S, mc (3.15) W = −µS · B (3.16) µS = − dunque l’energia di interazione si esprime in funzione del prodotto scalare S · L, e nel sistema di riferimento originario è e2 S·L , 2 2 3 2m c r W = (3.17) da cui la (3.10). La deviazione dall’energia E 0 dovuta all’interazione spin-orbita è data da # j(j + 1) − l(l + 1) − 3/4 . Eso = α2 mc2 4n3 l(l + 1)(l + 172) (3.18) La hamiltoniana totale del sistema a seguito di tali correzioni diviene H = H0 + Hrel + Hso , (3.19) combinando infine le (3.13) e (3.18) si ricava la correzione all’energia E 0 da cui ha luogo la struttura fine dell’atomo di idrogeno Ef s dove j = l − 12 , . . . , l + 1 2 " # 1 2n 3 = −α mc − 4n2 j + 21 2 4 2 (3.20) e’ il numero quantico associato al momento angolare totale J = L + S che in presenza dell’interazione spin-orbita si conserva (invece non si conservano più L e S). Dalla relazione (3.20) è evidente che le correzioni apportate hanno abbassato i livelli energetici associati all’hamiltoniana imperturbata H0 e hanno rimosso parzialmente la degenerazione degli stati con ugual numero quantico n e diverso j; infatti confrontando l’intervallo di variabilità di i e l si deduce che j ha numero di degenerazione n, potendo assumere i valori 1 1 j = , ... n − . (3.21) 2 2 Dunque ogni livello En si scinde in n sottolivelli distinti la cui energia dipende dal momento angolare totale j. Ancora una volta però l’esperienza è in disaccordo con la teoria. La relazione (3.20) sostiene che i livelli energetici 2s1/2 e 2p1/2 siano degeneri, ma nel 1947 Lamb e Retherford 35 3 – Effetti delle fluttuazioni di vuoto misurarono una piccola separazione fra di essi: il livello 2s1/2 si trovava circa 1000 MHz più in alto del livello 2p1/2 . L’effetto prese il nome di Lamb shift. L’inadeguatezza della struttura fine dell’atomo di idrogeno è dovuta al trattamento classico che si è riservato al il campo magnetico H. Nell’espressione del potenziale centrale V (r) = − re2 si riconosce infatti la legge di Coulomb, e lo stesso campo magnetico lo si è ottenuto dalla legge di Biot-Savart ev , (3.22) cr2 dove e, v sono rispettivamente carica e velocità orbitale del protone e r la distanza radiale B= rispetto all’elettrone posto al centro del sistema di riferimento non inerziale. Esprimendo la velocità v in funzione del momento angolare dell’elettrone L = rmv si è giunti alla (3.14). La chiave di volta del Lamb Shift è dunque la quantizzazione del campo magnetico visto dall’elettrone nel suo sistema di riferimento non inerziale. A questo punto sembrerebbe ridondante ripetere che una descrizione quanto più possibile veritiera della realtà è imprescindibile da un approccio quantistico, ma probabilmente ai tempi di Lamb non era ancora cosı̀ ovvio, dal momento che Dirac, nel 1989, ricordò la scoperta di Lamb e Retherford e l’interpretazione del fenomeno, come una svolta nella storia della fisica teorica. Lo stesso Dirac ritenne che l’elemento mancante della trattazione precedente fosse l’accoppiamento fra l’elettrone e il campo elettromagnetico di vuoto. 2 In questa prospettiva, l’elettrone dell’atomo, interagente con il campo elettromagnetico quantizzato, ha energia 2 1 p − ec A , ed è soggetto a cinetica espressa dal termine di accoppiamento minimo, 2m potenziale eφ, dove p è il momento della particella, A e φ potenziale vettore e potenR 3 1 d r (E 2 + B 2 ). Dunque per ziale scalare rispettivamente. L’energia del campo è 8π l’hamiltoniana del sistema si ha Z e 2 1 1 H = p − A + eφ + d3 r (E 2 + B 2 ) 2m c 8π p2 e e e2 = − (A · p) − (p · A) + A2 + eφ + 2m 2mc 2mc 2mc2 p2 e e e2 = + eφ − (A · p) − (p · A) + A2 + 2m 2mc 2mc 2mc2 e e e2 = HA + HF − (A · p) − (p · A) + A2 , 2mc 2mc 2mc2 Z 1 d3 r (E 2 + B 2 ) 8π Z 1 d3 r (E 2 + B 2 ) 8π (3.23) dove HA è l’hamiltoniana dell’elettrone atomico e HF l’hamiltoniana del campo. Inoltre ipotizzando che la lunghezza d’onda del campo λ sia molto maggiore del raggio di Bohr 2 Per una trattazione più dettagliata si rimanda a [3] 36 3 – Effetti delle fluttuazioni di vuoto a0 , λ a0 si pù operare sfruttando l’approssimazione di dipolo elettrico, il quale consente di trascurare la dipendenza spaziale del potenziale vettore A. Sotto queste ipotesi, l’hamiltoniana è in definitiva H = HA + HF − e e2 (A · p) + A2 . mc 2mc2 (3.24) La teoria delle perturbazioni stazionarie consente di valutare gli effetti dell’interazione fra elettrone e campo elettromagnetico, racchiusa negli ultimi due termini dell’hamiltoniana (3.23). In realtà l’unico termine che modifica i livelli energetici dell’atomo di idrogeno è quello proporzionare a A · p, in quanto l’altro, e2 2mc2 A2 , non dipende dagli operatori atomici. Ricordando l’espressione (3.40) ricavata per il potenziale vettore nel processo di quantizzazione del campo elettromagnetico 1 X 2π~ c2 2 akλ (t) eik·r − a† kλ (t)e−ik·r ekλ , A(r,t) = ωk V kλ si può ottenere al secondo ordine perturbativo, lo spostamento dell’n-esimo livello energee (A · p) tico dell’atomo di idrogeno, dovuto alla presenza dal termine di interazione − mc ∆En = X X hm, 1kλ | hkλ |n, vaci2 m dove hkλ = − kλ En − Em − ~ωk , e 2π~c2 21 † a kλ (ekλ · p). mc ωk V (3.25) (3.26) Lo stato |n, vaci corrisponde alla situazione in cui l’atomo si trova nel suo autostato stazionario |ni e il campo nello stato di vuoto. Lo stato |m, 1kλ i rappresenta invece l’atomo nello stato |mi e un solo fotone nel modo (kλ). La presenza di |m, 1kλ i è giustificata dall’azione degli operatori di creazione e di distruzione a† kλ e akλ , che compaiono nell’espressione di A, e che agiscono sullo stato di vuoto del campo secondo le definizioni: a† kλ |vaci = |1kλ i . akλ |vaci = 0 (3.27) Dal momento che hm, 1kλ | hkλ |n, vaci = − e 2π~c2 12 pmn · ekλ , mc ωk V 37 (3.28) 3 – Effetti delle fluttuazioni di vuoto lo spostamento dello stato |n vaci è dato dalla relazione 2 e2 2π~c2 X X pmn · ekλ ∆En = m2 c2 ωk V m En − Em − ~ωk kλ 2 2πe2 1 X X 1 pmn · ekλ = , m2 V m ωk ωnm − ωk (3.29) kλ dove si è posto ~ωnm = En − Em . Inoltre, a parte il fattore numerico, esplicitando il termine hm, 1kλ | hkλ |n, vaci2 = hm, 1kλ | a† kλ (p · ekλ ) |n, vaci2 = hn, vac| akλ (p · ekλ ) |m, 1kλ i hm, 1kλ | a† kλ (p · ekλ ) |n, vaci , (3.30) si osserva che la causa dello spostamento ∆En può essere ricondotta al processo di emissione n −→ m + γ, seguito da un processo di riassorbimento m + γ −→ n di un fotone virtuale γ da parte dello stato di vuoto del campo. Figura 3.1. Rappresentazione della relazione (3.30). Interpretazione del Lamb shift in termini dell’emissione e assorbimento di un fotone virtuale Tale procedimento conduce, però, ad un risultato che costituı̀ un vero e proprio dilemma per i fisici dell’epoca. Maneggiando la relazione (3.29) e assumendo i modi del campo continui e infiniti, si ottiene ∆En = = Z ∞ 2e2 X ωdω 2 |p | mn 3πm2 c3 m ω nm − ω 0 Z ∞ 2α 1 2 X EdE |pmn |2 . 3π mc E − Em − E n 0 m (3.31) L’integrale diverge, dunque lo spostamento del livello n-esimo, che probabilmente corrispondeva al Lamb shift, risultava essere infinito, mentre sperimentalmente era stato 38 3 – Effetti delle fluttuazioni di vuoto misurato un valore piccolo, ma finito. La soluzione alla questione fu trovata da Bethe attorno al 1947, il quale sfruttò un procedimento noto come mass renormalization, ispirandosi ai lavori di Kramers e Weisskopf. L’idea di base fu quella di sottrarre allo spostamento ∆En (3.31), la variazione dell’energia del livello n-esimo dovuta all’accoppiamento fra l’elettrone libero e il campo elettromagnetico. Inoltre egli assunse che l’interazione fra l’elettrone e lo stato di vuoto responsabile del Lamb shift, avvenisse per frequenze del campo sufficientemente basse da giustificare un approccio non relativistico; in quest’ottica Bethe limitò superiormente l’intervallo di integrazione della (3.31), assumendo come limite superiore non più infinito, ma mc2 . L’intuito ebbe un esito brillante: Bethe ottenne per il livello energetico 2s dell’atomo di idrogeno uno spostamento di circa 1040M Hz, in eccellente accordo con la misura effettuata da Lamb e Retherford. Circa un anno dopo, nel 1948, Welton giunse alla stessa conclusione di Bethe, individuando la causa del Lamb shift nelle fluttuazioni della posizione dell’elettrone, dovute all’energia di vuoto del campo. Egli inoltre riuscı̀ a svincolarsi dal procedimento rinormalizzazione della massa, fondamentale nell’operato di Bethe, imponendo come estremo superiore dell’intervallo di integrazione il valore mc2 e come estremo inferiore l’energia media di eccitazione dell’elettrone. Un’ulteriore interpretazione del Lamb shift, firmata Richard Feynman, riprende in qualche modo il principio ispiratore di Bethe. Feynman considerò un gas diluito in una grande scatola costituito a N atomi. Il Lamb shift fu ricavato sottraendo allo spostamento energetico ∆En degli atomi del gas, quello ottenuto considerando gli elettroni atomici come particelle libere ∆Enf ree ; la differenza ∆En − ∆Enf ree , condusse ad un risultato che nel caso limite di gas costituito da un solo atomo, riproduceva l’espressione finale di Bethe ottenuta a seguito della rinormalizzazione della massa. Successivi studi hanno dimostrato che le correzioni allo spettro dell’atomo di idrogeno dovute al Lamb shift, dipendono dal numero quantico l. In particolare, se l = 0, la deviazione è ∆ELamb = α5 mc2 1 {k(n,0)}, 4n3 (3.32) dove {k(n,0)} è un fattore numerico che varia gradualmente al variare del numero quantico n assumendo i valori 12,7 (per n = 0) e 13,2 (quando n → ∞) ; se invece l 6= 0 si ha ∆ELamb ( ) 1 1 = α5 mc2 3 k(n,l) ± , 4n π(j + 21 )(l + 12 ) 39 (3.33) 3 – Effetti delle fluttuazioni di vuoto dove k(n,l) ha valore minore di 0,05 e varia lentamente con n e l. La dipendenza del termine di Lamb shift dal numero quantico l rimuove la degenerazione per gli stati caratterizzati dalla stessa coppia di n e l. Infine, è necessario menzionare il fatto che il solo Lamb shift non completa la descrizione dello spettro dell’atomo di idrogeno. Come l’elettrone, anche il nucleo, infatti, è dotato di spin. Ciò comporta un accoppiamento fra gli spin dell’elettrone e del nucleo e un’interazione dovuta all’azione del campo elettromagnetico, prodotto dal moto orbitale dell’elettrone, sul momento intrinseco del protone (la si può immaginare come un’interazione spin-orbita nucleare). Inoltre la differenza di massa fra elettrone e protone, si ripercuote in una differenza di ordini di grandezza fra i rispettivi momenti di dipolo, pertanto le interazioni dovute alla presenza di µp sono meno intense rispetto a quelle responsabili della struttura fine. Il risultato complessivo è la rimozione della degenerazione anche rispetto al numero quantico di momento angolare totale j: ogni livello energetico con n, l e j, è scisso in due sottolivelli. Tale rappresentazione dello spettro energetico dell’atomo di idrogeno prende il nome di struttura iperfine. 3.2 Effetto Casimir “Bohr mumbled something about zero-point energy.” H. Casimir [6] Le radici dell’effetto Casimir risiedono nell’attrazione di Van der Waals che si manifesta fra due atomi o molecole vicine, anche se si tratta di molecole apolari. Questo tipo di interazione si estende anche a corpi neutri macroscopici e ha origine nel moto delle cariche elettriche che li compongono, le quali generano campi elettromagnetici fluttuanti nella regione di spazio fra i due oggetti. Tali campi inducono dei momenti di dipolo transienti nelle molecole, provocandone l’interazione. Nella formulazione quantistica dell’interazione di Van der Waals, sviluppata da Fritz London, si verifica ciò che è stato visto precedentemente per il campo elettromagnetico: il valore medio degli operatori associati ai momenti di dipolo degli atomi o molecole apolari è nullo, ma i momenti di dipolo istantanei indotti fanno sı̀ che lo scarto quadratico medio sia diverso da zero. In altri termini, la forza di Van der Waals è da intendersi come una conseguenza delle fluttuazioni di vuoto del campo elettromagnetico, dal momento che il campo intermolecolare si può interpretare come una serie di oscillazioni dell’energia di punto zero. Ne consegue pertanto che l’interazione di 40 3 – Effetti delle fluttuazioni di vuoto Van der Waals è puramente quantistica; il lavoro di London conferma questa asserzione e la completa, dimostrando che si tratta di un effetto non relativistico, dal momento che i risultati da lui ottenuti dipendono dalla costante di Planck h, ma non dalla velocità della luce nel vuoto c. Quanto detto è vero nel limite in cui due atomi, molecole o corpi macroscopici si possano definire vicini. Una forza di Van der Waals quantistica e non relativistica si manifesta infatti se i due oggetti si trovano a distanza di pochi nanometri, distanza che consente ad un fotone virtuale emesso da un atomo, di raggiungere l’altro in un arco di tempo minore o uguale al suo tempo di vita. In queste condizioni le oscillazioni prodotte dall’emissione, o assorbimento, del fotone, inducono momenti di dipolo istantanei in entrambi gli atomi; si parla di nonretarded Van der Waals force. Se invece gli atomi sono situati a distanza tale da non consentire al fotone virtuale di essere trasferito dall’uno all’altro, l’attrazione dovuta alla forza non ritardata di Van der Waals non sussiste. Tuttavia, anche in questo caso la dispersione del campo elettromagnetico risulta essere non nulla. Ciò comporta il sorgere di momenti di dipolo e di una forza attrattiva fra i due atomi. Tale interazione può essere interpretata come una manifestazione su larghe distanze della forza non ritardata di Van der Waals, che prende il nome di forza di Casimir-Polder. Essa è un’interazione ovviamente quantistica, ma, al contrario della precedente, è relativistica e dipende dalla polarizzabilità degli atomi. Su scala macroscopica, Casimir predisse l’esistenza di una forza attrattiva fra due lastre neutre parallele e perfettamente conduttrici, poste nel vuoto. Quest’interazione, l’effetto Casimir, è dunque un’estensione della forza di Casimir-Polder entro confini materiali. La dimostrazione, per ora teorica, dell’esistenza della forza di Casimir si ricava considerando un campo elettromagnetico all’interno di un parallelepipedo di lati Lx ≡ Ly = L e Lz , costituito da due piastre perfettamente conduttrici di area L2 ciascuna e poste a distanza d ≡ Lz . Le equazioni di Maxwell nel vuoto impongono la trasversalità del campo elettrico e del campo magnetico, la scelta della guauge di Coulomb la impone anche per il potenziale vettore A(r,t). Inoltre, la condizione di perfetta conducibilità è soddisfatta se le componenti tangenziali del campo elettrico si annullano sulle pareti del parallelepipedo; analoga limitazione sussiste dunque anche per il potenziale vettore, le cui componenti spaziali, 41 3 – Effetti delle fluttuazioni di vuoto soluzioni dell’equazione di Helmholtz, sono del tipo 1 Ax (r) = (8/V ) 2 ax cos (kx x) sin (ky y) sin (kz z) 1 2 Ay (r) = (8/V ) ay sin (kx x) cos (ky y) sin (kz z) 1 2 Az (r) = (8/V ) az sin (kx x) sin (ky y) cos (kz z), (3.34) (3.35) (3.36) dove a2x + a2y + a2z = 1, V = L2 Lz e il vettore d’onda k soddisfa le condizioni al contorno (2.34) k= n π n π n π y x z , , L L Lz con nx,y,z = 0,1,2,... Immancabile è ovviamente la condizione di normalizzazione Z 2 d3 r A(r) 1 = V Z L Z L Z Lz dz[A2x (r) + A2y (r) + A2z (r)]. dx dy = 0 0 (3.37) (3.38) 0 La trasversalità richiesta dalla gauge di Coulomb ∇ · A = 0 si traduce nella relazione kx Ax + ky Ay + kz Az = π π (nx Ax + ny Ay ) + (nz Az ) = 0, L Lz (3.39) dunque se nxyz 6= 0 ci sono due possibili polarizzazioni indipendenti, se uno dei tre valori invece si annulla c’è un’unica direzione di polarizzazione. Ora, dalla (3.37) si evince che all’interno del parallelepipedo solo alcune frequenze sono ammesse: ωkn 1 2 n2y n2z 2 nx = c|kn | = πc 2 + 2 + 2 . L L Lz (3.40) Pertanto l’energia di punto zero all’interno del volume è data dalla somma dei punti zero dei modi del campo caratterizzati da frequenze ωkn X n 1 2 X n2y 1 n2z 2 nx 0 (2) ~ωkn = 0 π~c 2 + 2 + 2 , 2 L L Lz n n n (3.41) x y z in cui il fattore 2 prende in considerazione le due possibili polarizzazioni nel caso in cui nxyz 6= 0, mentre l’apostrofo implica il fattore 1 2 nel caso in cui uno degli interi nxyz si annulli, in qual caso si ha un’unica polarizzazione. Immaginando di far tendere all’infinito le dimensioni delle superfici laterali, ossia immaginando che le lastre conduttrici diventino infinitamente grandi, pur mantenendo fissa la distanza d fra esse, i modi possibili nelle direzioni x e y diventano infiniti, dunque nella 42 3 – Effetti delle fluttuazioni di vuoto (3.41), la somma rispetto a nx e ny è sostituita da un integrale, mentre i valori di nz continuano ad essere discreti: X nxyz X L 2 Z Z 0 → dkx dky . π n (3.42) z L’energia di punto zero (3.41) in questa configurazione risulta 1 Z ∞ X Z ∞ n2z π 2 2 L2 2 2 dky kx + ky + 2 dkx 0 E(d) = 2 (~c) π d 0 0 n (3.43) z quindi una quantità infinita in un volume finito. Se ora, rendendo infinite le dimensioni delle due piastre, anche la distanza d diventa infinita, nz potrà assumere valori continui; di conseguenza nell’intero spazio vuoto, tutte le frequenze di vibrazione sono consentite. Anche la somma su nz diviene un integrale e l’energia di punto zero nell’intero spazio si ottiene dall’integrale triplo Z Z ∞ Z ∞ 1 L2 d ∞ E(∞) = 2 (~c) dkx dky dkz (k2x + k2y + k2z ) 2 , π π 0 0 0 (3.44) che anche in questo caso fornisce una quantità infinita. Stando a quanto finora dimostrato, l’energia potenziale del sistema nella configurazione iniziale, cioè con le due piastre poste a distanza d è una differenza fra due infiniti (figura (3.2)). Essa infatti è l’energia necessaria per portare le due piastre dall’infinito a distanza d, dunque " 1 Z ∞ Z ∞ n2z π 2 2 L2 ~c X 2 2 0 dkx dky kx + ky + 2 U (d) = π2 d 0 0 nz # Z Z ∞ Z ∞ d ∞ 2 2 2 12 − dkx dky dkz (kx + ky + kz ) . π 0 0 0 (3.45) La forza di Casimir si ottiene rendendo finita questa quantità. Ciò è possibile attraverso un’appropriata funzione di cut-off, che prende in considerazione il limite di conducibilità delle lastre, ossia il fatto che tale proprietà non è più vera a grandi frequenze, o in altri termini, a lunghezze d’onda dell’ordine delle dimensioni atomiche. L’energia potenziale (3.45) in coordinate polari u, ϑ nel piano kx ,ky > 0 assume la forma " 1 Z ∞ n2z π 2 2 L2 ~c π X 2 0 du u u + 2 U (d) = π2 2 n d 0 z # Z ∞ Z ∞ 1 d − dkz du u(u2 + kz2 ) 2 , (3.46) π 0 0 43 3 – Effetti delle fluttuazioni di vuoto dove dkx dky = u dudϑ, con 0 < ϑ < π/2. La funzione di cutoff è definita come 1 f (k) = f ([u2 + kz2 ] 2 ), (3.47) di modo che, posto km ≈ 1/a0 , dove a0 è il raggio di Bohr, risulti f (k) = 1 per k << km (3.48) f (k) = 0 per k >> km . (3.49) e In queste approssimazioni l’effetto Casimir risulta essere essenzialmente proprio delle basse frequenze, caratterizzato da energia potenziale " 1 Z ∞ 1 n2z π 2 2 L2 ~c π X 2 du u u + 2 0 f ([u2 + kz2 ] 2 ) U (d) = 2 π 2 n d 0 z # Z ∞ Z ∞ d 2 2 21 2 2 21 dkz − du u(u + kz ) f ([u + kz ] ) , π 0 0 che effettuando il cambio di variabili x = u2 d2 /π 2 e k = kz d/π diviene " Z ∞ 1 1 π L2 ~c π X 0 dx (x + n2z ) 2 f [x + n2z ] 2 U (d) = 2 π 2 n d 0 z # Z ∞ Z ∞ π 2 12 2 12 − dk dx (x + k ) f ( [x + k ] . d 0 0 (3.50) (3.51) Applicando ora la formula Eulero-Maclaurin ∞ X n=1 Z F (n) − 0 ∞ 1 1 1 000 dk F (k) = − F (0) − F 0 (0) + F (0) . . . 2 12 720 alla funzione Z F (k) ≡ 0 ∞ 1 1 π dx (x + k2 ) 2 f ( [x + k2 ] 2 , d con F (k) → 0 per k → ∞, l’espressione di U si semplifica ulteriormente in # 2 " Z ∞ ∞ X π ~c 2 1 U (d) = L F (0) + F (n) − dk F (k) . 4d2 2 0 (3.52) (3.53) (3.54) n=1 Inoltre la funzione F (k) si può riscrivere come Z ∞ √ π√ F (k) = u , du u f d k2 44 (3.55) 3 – Effetti delle fluttuazioni di vuoto la cui derivata di primo ordine è π F 0 (k) = −2k2 f ( k), d (3.56) F 0 (0) = 0 F 000 (0) = −4 (3.57) pertanto risulta mentre tutte le derivate di ordine superiore sono nulle se si suppone che tutte le derivate della funzione di cutoff si annullino per k = 0. In conclusione si ha ∞ X Z ∞ F (n) − 0 n=1 4 1 dk F (k) = − F (0) − 2 720 (3.58) e conseguentemente U (d) = π2~ c 4d3 L2 π2~ c =− L2 . 720 720 d3 −4 (3.59) Si è quindi estrapolato un valore finito dell’energia potenziale e indipendente dalla funzione di cutoff; ne risulta una forza attrattiva fra le due lastre F (d) = − π2~ c 240 d4 (3.60) per unità di area. È proprio questa forza di Casimir, a dimostrazione che le fluttuazioni di vuoto del campo elettromagnetico possono essere finite e osservabili. Figura 3.2. Due lastre parallele conduttrici nel vuoto. All’interno è consentito un numero discreto di oscillazioni, all’esterno un numero infinito. 45 3 – Effetti delle fluttuazioni di vuoto Si è detto che l’energia di vuoto può essere associata alla presenza di fotoni virtuali nello stato di vuoto, ebbene, nel 1988 Milonni interpretò la forza di Casimir come il risultato della pressione esercitata dalle fluttuazioni di vuoto sulle superfici conduttrici, o in altri termini, come la pressione dovuta alla riflessione di queste particelle virtuali sulle lastre. !" !" !" !" !" !" !" cavitywall !" !" !" !" !" !" !" !" cavitywall !" !" !" !" !" !" !" !" !" !" !" !" FIG. 4: Casimir force can be thought of as originating in d pressure differences caused by reflections of virtual photons Figura 3.3. La forza di Casimir si può attribuire alla pressione esercitata dai fotoni virtuali on conducting surfaces. FIG. 6: Two dipoles at a small distance dello stato di vuoto sulle lastre conduttrici harmonic oscillators. Quando un’onda di frequenza ω incide normalmente su una superficie perfettamente pressure of conduttrice esercita una pressione pout p̃ωn = ~|kn |j, " " ∞ !c ! ∞ = dkx dky # dπ 2 n 0 0 (3.61) The expression for the total inward dove ~|k| è l’energia del singolo fotone virtuale incidente e j è la densitàlar. di The corrente di sum just has to b remaining integral. particelle. Se ρ è la densità di fotoni, j = cρ = c/V , dunque c~|k| p̃ωn = . V FIG. 5: Reduced wall area and reduced normal component of the wave vector if a wave penetrates under an angle θ pin = " ∞ " " ∞ !c ∞ dk dkz # dk y x π 3 (3.62) 0 0 0 The Casimir force per unit area ca Nel caso più generale in cui la radiazione di vuoto non incida normalmente alla superficie, . subtracting equations (17) and (16 Euler-Maclaurin formula [11] as in c la pressione esercitata sulle lastre, per ogni frequenza ωkn è where j is the current density of photons. Using π pin − pout = pc = − (3.63) 2 c 2 ϑ, pωn = p̃ωn cos j = cρ = V This is exactly the same result as Casimir force was calculated from ze ferences. dove ϑ è l’angolo diwith incidenza. the density of photons ρ yields La pressione netta che agisce sulle lastre si c!|k| ottiene con un procedimento di sottrazione ṕω = (13) V è data dalla differenza fra la pressione analogo a quanto visto precedentemente: essa Theinterna pressureesercitata acting ondagli the plates the capacitor esterna e la pressione infinitiofmodi di puntoper zero. mode ω (again we assume a two plate geometry) is IV. CASIMIR AND VAN D INTERACTION Per ottenere la pressione sulle superfici esterne, si può passare ad un insieme di frequenze pω = ṕω cos2 θ (14) 46 because the effective wall The two factors cos θ occur area and the normal component of the wave vector (with respect to the plate) are each reduced by a factor cos θ if the wave is penetrating at an angle θ. This is illustrated k2 in fig. 5. Using kz2 = cos2 θ and the following relations ω = c|k| πn kz = d 2 (15a) (15b) London and van der Waals calcula that, at first glance, differs from Ca considered two identical dipole oscill distance d, as shown in fig. 6. The dip to the electrostatic dipole fields. On of coupled differential equations ẍ1 + ω02 x1 = Kx2 ẍ2 + ω02 x2 = Kx1 with the dipole coupling e2 3 !" !" !" !" !" cavitywall !" !" !" !" !" !" !" !" !" cavitywall !" !" !" !" !" !" !" !" !" !" !" !" !" 3 – Effetti delle fluttuazioni di vuoto FIG. 4: Casimir force can be thought of as originating in pressure differences caused by reflections of virtual photons on conducting surfaces. d FIG. 6: Two dipoles at a small distance d regarded as coupled harmonic oscillators. pressure of pout = " " ∞ 2 ( nπ !c ! ∞ d ) dkx dky # dπ 2 n 0 2 2 0 k + k + ( nπ )2 x FIG. 5: Reduced wall area and reduced normal component of the wave vector if a wave penetrates under an angle θ . Figura 3.4. y d (16) The expression for the total inward pressure looks similar. The remaining sum just has to be replaced by a third integral. " ∞ " " ∞ kz2 !c ∞ dky dkz # pin = 3 dkx (17) π 0 0 0 kx2 + ky2 + kz2 The Casimir force per unit area can be calculated by subtracting equations (17) and (16). Using again the Euler-Maclaurin formula [11] as in chapter 2 we obtain: Incidenza di un fotone virtuale sulla superficie conduttrice where j is the current density of photons. Using pin − pout = pc = − c V j = cρ = π 2 !c 240d4 (18) This is exactly the same result as in (11) where the Casimir force was calculated from zero point energy differences. con componenti del vettore d’onda kx e ofkphotons Trascurando la polarizzazione, questa y continue. with the density ρ yields c!|k| assunzione consente di sostituire le sommeṕ con gli integrali(13) = V on the plates The pressure acting Z ofZthe capacitor per X X mode ω (again we assume L a 2two plate geometry) is → dkx dk(14) y. p = ṕ cos θ π n n ω ω Dunque, osservando che cos2 ϑ = con d ≡ Lz , si deduce che pout 2 ω z xyz The two factors cos θ occur because the effective wall area and the normal component of the wave vector (with respect to2the plate) are each reduced by a factor cos θ if kz penetrating at an angle 2 θ. This is illustrated the wave is 2 k2 in fig. 5.kUsing kz2 = cos2 θ and the following relations IV. CASIMIR AND VAN DER WAALS INTERACTIONS London and van der Waals calculated a vacuum force that, at first glance, differs from Casimir force.[2] They considered two identical dipole oscillators at a very tiny distance d, as shown in fig. 6. The dipoles are coupled due to the electrostatic dipole fields. One obtains a system of coupled differential equations , che V = L d e ricordando le relazioni (3.37) e (3.40), ω = c|k| πn kz = d ∞ V = L2 d dkx,y L = 0 π Z Z ~c X ∞ = dkdnx dπ 2 n 0 x,y (15a) (15b) nz π (15c) ẍ1 + ω02 x1 = Kx2 ẍ2 + ω02 x2 = Kx1 with the dipole coupling 2 K∝ e2 (20) md d dky q .atomic mass and (3.64) (15d) where m isthe e is the electron charge. 2 nπ The eigenfrequencies of this system are k2x + k2y + d # z Inserting everything into (14) and replacing two sums by integrals (in analogy to (9)), gives to a total outward ω± = 3 ω02 ± K Analogamente, la pressione interna alle due lastre si ottiene immaginando di rendere infi- nite le tre dimensioni del sistema e dunque anche la somma su nz viene sostituita da un integrale, ottenendo pin ~c = 3 π Z ∞ Z dkx 0 ∞ Z ∞ dky 0 0 k2z dkz q . k2x + k2y + k2z (3.65) Si è giunti ad una differenza di infiniti. Anche in questo caso la convergenza è garantita introducendo la funzione di cutoff e sfruttando lo sviluppo in serie di Eulero-Maclaurin; il valore finito che si ricava coincide esattamente con la forza di Casimir (3.60): pin − pout = − π 2 ~c . 240 d4 (3.66) L’infinità di frequenze di radiazione consentite all’esterno del condensatore è di ordine maggiore rispetto all’infinità di frequenze possibili all’interno; intuitivamente, si può dunque attribuire l’attrazione fra le due lastre al fatto che la pressione esercitata dall’esterno sia maggiore di quella esercitata internamente. 47 (19a) (19b) 3 – Effetti delle fluttuazioni di vuoto Prima di concludere è opportuno osservare che la forza di Casimir è strettamente legata all’interazione fra le fluttuazioni di vuoto del campo e geometria del sistema. In altre parole, poichè generata dalla differenza di due infiniti, uno dovuto alla radiazione esterna alle due lastre, l’altro alla radiazione interna ad esse, la forza di Casimir appare come la manifestazione macroscopica delle condizioni al contorno imposte dai confini materiali del sistema al campo elettromagnetico. Nello spazio libero, dove le fluttuazioni di vuoto sono isotropiche, l’effetto Casimir non ha modo di verificarsi, pertanto se ne deduce che esso dipende fortemente dalla geometria del sistema. Infine, è interessante notare dall’espressione (3.60), che sebbene la forza di Casimir sia prodotta dal campo elettromagnetico, la carica elettrica non compare nella sua definizione. Compare invece il prodotto ~c, il che consente di ribadire quanto affermato nell’introdurre l’effetto: la forza di Casimir è prettamente quantistica, oltre che relativistica, e non ha alcuna controparte classica. 48 Capitolo 4 Stati coerenti Nell’introdurre la quantizzazione del campo elettromagnetico, è stata evidenziata la distinzione di intenti fra la meccanica quantistica e la meccanica classica, la prima necessaria per descrivere la realtà atomica, la seconda, suo limite macroscopico. Tuttavia, la separazione fra i due mondi e le rispettive teorie è tutt’altro che netta e definibile: esistono infatti dei sistemi fisici macroscopici che possono essere ben descritti in termini quantistici. Gli elementi di raccordo fra meccanica classica e meccanica quantistica sono gli stati coerenti. Anche in questo caso, la descrizione quantistica dell’oscillatore armonico consentirà di definire tali stati, di cui verranno illustrate le proprietà più importanti, e di esporre ulteriori peculiarità della radiazione quantizzata. 4.1 Definizione e proprietà La definizione degli statu coerenti è strettamente legata all’analisi dell’oscillatore armonico precedentemente affrontata; brevemente, è stato dimostrato che l’Hamiltoniana di un oscillatore armonico dipende dalla sua frequenza di oscillazione ω e si esprime in termini dell’operatore N = a† a 1 , H = ~ω N + 2 di conseguenza i suoi autostati e autovalori sono connessi con quelli di N . Gli autovalori dell’energia sono 1 En = ~ω n + , 2 a cui corrisponde l’autostato 1 |ni = √ (a† )n |0i n! 49 (4.1) 4 – Stati coerenti espresso in funzione dello stato di vuoto |0i. Ebbene, si definisce stato coerente, ogni autostato |αi dell’operatore di annichilazione a a |αi = α |αi (4.2) √ dove α è un arbitrario numero complesso. Usando la formula di ricorrenza a |ni = n |n − 1i P∞ ed espandendo |αi in funzione degli autostati dell’oscillatore armonico |αi = n=0 cn |ni, si ottiene a |αi = ∞ X ∞ X √ cn n |n − 1i = α cn−1 |ni n=0 (4.3) n=0 confrontando i coefficienti di |ni di ambo i membri √ cn n = αcn−1 (4.4) da cui αα αn α cn−2 = · · · = √ c0 . cn = √ cn−1 = √ √ n n n−1 n! La costante c0 si ottiene imponendo la condizione di normalizzazione hα | αi = 1 hα | αi = 1 = |c0 |2 1 ∞ X X (α† )n αm X |α|2n 2 √ hn | mi = |c0 |2 = |c0 |2 e|α| , n! n!m! n m n=0 (4.5) (4.6) 2 che implica c0 = e− 2 |α| . In definitiva, uno stato coerente normalizzato |αi è definito dalla relazione − 21 |α|2 |αi = e ∞ X αn n=0 n! |ni . (4.7) Per comprendere in che senso gli stati coerenti si trovino al confine fra la meccanica classica e quella quantistica si può analizzare l’evoluzione temporale dell’oscillatore armonico. Si considerino a tal fine le equazioni del moto di Heisenberg per p e q dp dt dq dt = −mω 2 q (4.8) p m (4.9) = Da cui si ottengono, tenendo presente le definizioni di a e a† , le due seguenti equazioni differenziali r da mω p = ( − iωq) = −iωa dt 2~ m e † da = iωa† dt 50 (4.10) (4.11) (4.12) 4 – Stati coerenti che ammettono come soluzioni, rispettivamente a(t) = a(0)e−iωt a† (t) = a† (0)eiωt . e (4.13) Sfruttando le definizioni di a e a† (2.6) si possono ottenere le equazioni del moto per q e p q(t) + p(0) −iωt ip(t) = q(0)e−iωt + i[ ]e mω mω (4.14) ip(t) p(0) iωt = q(0)eiωt − i[ ]e , mω mω (4.15) e q(t) − infine eguagliando le parti reali e complesse di ambo i membri di una delle due equazioni si ottiene q(t) = q(0) cos ωt + [ p(0) ] sin ωt mω (4.16) e p(t) = −mωq(0) sin ωt + p(0) cos ωt. (4.17) è evidente la somiglianza delle equazioni del moto appena ottenute con quelle classiche, cosı̀ come è evidente che anche nel caso quantistico p e q, intese come operatori, oscillino con frequenza ω. Tuttavia sarebbe affrettato dedurre da ciò che anche hpi e hqi manifestino lo stesso comportamento oscillatorio. Proprio nei valori medi, infatti, è celata l’anomalia quantistica: il valore medio di p(t) o di q(t) su un qualunque autostato |ni dell’oscillatore armonico è nullo. Tenendo conto delle formule di ricorrenza a|ni = a† |ni = √ √ n |n − 1i (4.18) n + 1 |n + 1i , (4.19) per le coordinate si verifica come segue r ~ h cos ωt(hn| a(0) |ni + hn| a† (0) |ni) + i sin ωt(hn| a† (0) |ni hn| q(t) |ni = 2mω − hn| a(0) |ni)] r √ √ ~ = cos ωt( n hn | n − 1i + n + 1 hn | n + 1i) 2mω √ √ +i sin ωt( n + 1 hn | n + 1i − n hn | n − 1i) = 0 (4.20) 51 4 – Stati coerenti Con il medesimo procedimento si ottiene lo stesso risultato anche per p(t). L’annullarsi dei valori medi di q(t) e p(t) è dovuto, come si può notare all’azione degli operatori di annichilazione e creazione e all’ortogonalità degli autostati dell’oscillatore armonico; del resto a tale conclusione si giunge immediatamente notando che per t = 0, hq(0)i e hp(0)i son nulli per le suddette ragioni, e ricordando che i valori medi di osservabili su stati stazionari, quali appunto gli autostati |ni non variano nel tempo, dunque lo stesso risultato si ottiene qualunque sia t. A questo punto entrano in scena gli stati coerenti: per come sono stati definiti, essi risultano essere una sovrapposizione di autostati dell’energia e di conseguenza non stazionari, pertanto il valore medio degli operatori q(t) e p(t) calcolato rispetto ad uno stato coerente non si annullerà, ma presenterà anch’esso un comportamento oscillante. Infatti, per la definizione di stato coerente |αi, si ha r hα| q(t) |αi = ~ h cos ωt(hα| a(0) |αi + hα| a† (0) |αi) 2mω i +i sin ωt(hα| a† (0) |αi − hα| a(0) |αi) r ~ [cos ωt(α + α∗ ) + i sin ωt(α∗ − α)] . = 2mω (4.21) Altre peculiarità degli stati coerenti consistono nel fatto che, sebbene, come visto, siano legati agli autostati dell’oscillatore armonico che costituiscono un insieme ortonormale completo dello spazio di Hilbert, essi non godono né della proprietà di ortogonalità né formano un insieme completo, ma supercompleto: sono in numero maggiore rispetto a quanti ne servirebbero per esprimere un generico stato come loro combinazione lineare, in altre parole, non sono tutti linearmente indipendenti. Quest’ultima caratteristica deriva dalla dipendenza degli stati coerenti da un parametro complesso, il quale provoca un passaggio da uno spettro discreto, di autostati |ni, ad uno spettro continuo, che difficilmente si presta ad essere una base per lo spazio di Hilbert. A dimostrazione di ciò, si considerino due generici stati coerenti |αi e |βi 1 |αi = e− 2 |α| 2 ∞ X αn n=0 n! 1 |βi = e− 2 |β| |ni 2 ∞ X βm |mi m! m=0 52 4 – Stati coerenti per il loro prodotto scalare si ha 1 1 2 hβ | αi = e− 2 |α| e− 2 |β| = e 2 − 21 |α|2 − 12 |β|2 e 1 = e 2 (β † α−βα† ) X X (β † )m αn √ hm | ni m!n! m n ∞ X (β † α)m √ m! m=0 1 2 e− 2 |β−α| ; (4.22) ora, poichè il primo termine è una fase complessa, risulta 1 2 | hβ | αi |2 = e− 2 |β−α| 6= 0 (4.23) pertanto l’asserzione è verificata; ovviamente all’aumentare dell’argomento |β − α|2 , l’esponenziale tenderà a zero e quindi i due stati coerenti tenderanno all’ortogonalità. Per quanto riguarda la relazione di completezza, essa nel caso di stati coerenti assume la forma: Z |αi hα| d2 α = 1, π (4.24) dove d2 α = dRe(α)dIm(α), e l’integrale è esteso a tutto l’α-piano complesso. Si può a questo punto verificare la supercompletezza che caratterizza tali stati d2 α |αi hα | βi π 1 d2 α 2 1 2 † |αi e− 2 |α| − 2 |β| +α β . π Z |βi = = (4.25) Si conclude pertanto, come annunciato, che gli stati coerenti non costituiscono una base ortonormale per lo spazio di Hilbert. Un’altra caratteristica che contraddistingue gli stati coerenti dai generici stati quantistici, a tal punto da essere sfruttata come definizione alternativa, è il loro render minimo il principio di indeterminazione, ossia soddisfare l’uguaglianza ∆p∆q = ~ . 4 (4.26) Si consideri infatti un generico stato |βi e gli operatori impulso p e coordinata q espressi in funzione degli operatori a e a† r q= r ~ (a + a† ) 2ω p = −i 53 ~ω (a − a† ) 2 (4.27) 4 – Stati coerenti Si ricavano i seguenti valori medi: hβ| q2 |βi = k hβ| (a + a† )2 |βi 2 = k hβ| a2 + a† + a† a + aa† |βi 2 = k hβ| a2 + a† + 2a† a + 1 |βi = k[(β + β ∗ )2 + 1], e hβ| q |βi = √ k hβ| a + a† |βi = (4.28) p β + β∗ (4.29) dove si è posto k = ~/2ω. Perciò ∆q = hβ| q2 |βi − (hβ| q |βi)2 = k(β + β ∗ )2 + k − k(β + β ∗ )2 = k = ~ 2ω (4.30) Analogamente, per l’impulso si ottiene hβ| p2 |βi = t2 hβ| (a − a† )2 |βi 2 = t hβ| a† + a2 − 2a† a − 1 |βi = t(1 − (β ∗ − β)2 ) (4.31) hβ| p |βi = t hβ| a − a† |βi = t(β ∗ − β) (4.32) e q con t = −i ~ω 2 . Quindi ∆p = hβ| p2 |βi − (hβ| p |βi)2 = In definitiva ∆p∆q = ( ~ω . 2 ~ ~ω ~2 )( ) = . 2ω 2 4 (4.33) (4.34) Si è inoltre visto che la quantizzazione dei livelli energetici dell’oscillatore armonico conduce alla quantizzazione del campo elettromagnetico, dal momento che un’onda monocromatica è formalmente equivalente ad un oscillatore armonico di massa unitaria. Tale analogia consente di evidenziare caratteristiche degli stati coerenti che fanno di loro ”i più classici fra gli stati quantistici”. Si consideri a tal fine un campo elettrico di frequenza ωk e polarizzazione fissata in una buca di potenziale, la cui espressione si ottiene dalla (2.50) 1 2π~ωk 2 E(r,t) = i a(t) eik·r − a† (t) e−ik·r V 54 (4.35) 4 – Stati coerenti In maniera del tutto analoga al caso dell’oscillatore armonico, si definisce lo stato coerente − 21 |α|2 |αi = e ∞ X αn √ |ni, n! n=0 (4.36) autostato dell’operatore di annichilazione a|αi = α|αi, (4.37) con α = |α|eiϕ numero complesso. Il valore medio di E su un generico stato coerente |αi non è nullo ma è formalmente simile all’espressione classica del campo elettrico, infatti 1 2π~ω 2 ik·r αe − α∗ e−ik·r hα|E(r,t)|αi = i V 1 2π~ω 2 = i |α| ei(k·r+ϕ) − |α| e−i(k·r+ϕ) V 1 2π~ω 2 = 2|α| sin (k · r + ϕ); V (4.38) inoltre 2π~ω 2 hα|E 2 (r,t)|αi = − hα| a2 e2ik·r + a† e−2ik·r − 2aa† − 1 |αi V 2π~ω 2 2ik·r = − α e + α∗2 e−2ik·r − 2|α|2 − 1 V 2π~ω (α eik·r − α∗ e−ik·r )2 − 1 = − V 2π~ω 2 i(k·r+ϕ) = − |α| (e − e−i(k·r+ϕ) )2 − 1 V 2π~ω 2 = − |α| (2i sin2 (k · r + ϕ)) − 1 V 2π~ω = 4|α|2 sin2 (k · r + ϕ) + 1 , V (4.39) dunque lo scarto quadratico medio è 1 q 2π~ω 2 2 2 ∆E = hE i − hEi = , V (4.40) che corrisponde alle fluttuazioni di vuoto, in analogia con quanto trovato nella relazione (2.71) ponendo nkλ = 0. Da tale risultato si evince il primo elemento di quasi-classicità: 55 4 – Stati coerenti un valore medio classico che manifesta fluttuazioni quantistiche. Ancora, si dimostra che le fluttuazioni del numero di fotoni n ottenute dallo scarto quadratico medio relativo, diminuiscono all’aumentare del valore medio di N . Innanzitutto si deve notare che il modulo quadro di α, |α|2 , è proprio il numero medio di fotoni del campo, infatti, essendo N = a† a, si ricava hN i = hα| N |αi = hα| a† a |αi = |α|2 ; inoltre hN 2 i = hα| N 2 |αi = |α|4 + |α|2 , dunque q p hN 2 i − hN i2 |α|2 1 ∆N = = =p , hN i hN i hN i hN i (4.41) (4.42) come era intenzione dimostrare. Infine, nonostante le controversie a suo riguardo, la fase del campo si può determinare sempre con maggior precisione, all’aumentare del valor medio di N . Anche in questo caso è opportuno sottolineare un’altra importante proprietà degli stati coerenti: ad ogni stato coerente non corrisponde un numero definito di fotoni n, dal momento che essi non sono autostati dell’operatore N , invero la probabilità di trovare n fotoni a seguito di una misura su uno stato |αi, è regolata dalla distribuzione di Poisson con valore medio N , infatti Pn = | hn | αi |2 2 0 ∞ |α|2 X αn 0 − 2 √ n n = e n0 ! n0 =0 |α|2 αn 2 = e− 2 √ n! n 2n −|α|2 |α| −N N = e =e . n! n! (4.43) Ora, la distribuzione della fase per uno stato coerente è P (φ) = = 1 | hφ | αi |2 2π ∞ 2 1 −|α|2 X in(φ−θ) |α|n √ ; e e n=o 2π n! (4.44) ma per valori grandi di α la distribuzione di Poisson è approssimabile da una Gaussiana −|α|2 |α|2n 1 −(n − |α|2 )2 2 −|α| 2 − e , (4.45) e 2 ≈ (2π|α| ) 2 exp n! 2|α|2 56 4 – Stati coerenti dunque per la distribuzione della fase si ha P (φ) ≈ 2|α|2 π 12 exp[−2|α|2 (φ − θ)2 ]. (4.46) P (φ) è dunque rappresentata da una Gaussiana centrata per φ = θ, per cui all’aumentare di hN i = |α|2 il picco diventa sempre più stretto e la fase sempre meglio determinata. 4.2 Rappresentazione nello spazio delle fasi Analizzata la ‘classicità’ degli stati coerenti, si può andare oltre e pensare di attribuir loro una certa rappresentazione nello spazio delle fasi; proposito non semplice, dal momento che, le coordinate x e gli impulsi p non commutano fra loro e dunque, in virtù del principio di indeterminazione, lo stato di un sistema quantistico non può essere ben localizzato, come invece accade in meccanica classica. Va ricordato però che gli stati coerenti sono stati di 3.6 Phase-space pictures of coherent states minima indeterminazione. Introducendo gli operatori di quadratura 57 Fig. 3.5. Phase-space portrait of a coherent state of amplitude |α| and phase angle θ . Note the error circle is the same for all coherent states. Note that as |α| increases, the phase uncertainty #θ decreases, as would be expected in the “classical limit”. Figura 4.1. Rappresentazione di un generico stato coerente |αi = a + a† 2 a − a† X2 = , 2i X1 = Fig. 3.6. Phase-space portrait of the quantum iθ |α|e nello spazio delle vacuum state. fasi. (4.47) (4.48) si ha che gli scarti quadratici medi rispetto ad un generico stato coerente |αi con α = |α|eiθ , sono (∆X1 )2 = (∆X2 )2 = 57 1 4 (4.49) Fig. 3.7. Phase-space portrait of the number state |n!. The uncertainty in the photon number is #n = 0 while the phase is entirely random. 4 – Stati coerenti phase angle θ . Note the error circle is the same for all coherent states. Note that as |α| increases, the phase uncertainty #θ decreases, as would be expected in the “classical limit”. Fig. 3.6. Phase-space portrait of the quantum vacuum state. Figura 4.2. Rappresentazione dello stato di vuoto, mentre i [X1 ,X2 ] = . 2 Fig. 3.7. Phase-space portrait of the number corrispondente al caso in cui |α| = 0. state |n!. The uncertainty in the photon number is #n = 0 while the phase is entirely random. (4.50) Risulta quindi soddisfatta, in uguaglianza, la relazione di indeterminazione di Heisenberg 1 ∆X1 2 ∆X2 2 = |h[X1 ,X2 ]i|, 4 (4.51) Infine valori medi di X1 e X2 sempre rispetto allo stato |αi sono: A number state |n! can be represented in phase space as a 1circle of radius n, the hX1 iα = (α + α∗ ) = <α 2 uncertainty in n being zero and the uncertainty in phase again being 2π, as in 1 Fig. 3.7. It must be understood that these pictures are qualitative but hX2 iα = (α − in α∗nature ) = =α. 2i of noise in various are useful as a graphical way of visualizing the distribution quantum states of the field. As most quantum states of the field have no classical (4.52) (4.53) Dunque se, a parte una costante moltiplicativa, la parte reale e quella immaginaria di α assumono il ruolo delle coordinate e degli impulsi rispettivamente, vi è equivalenza fra lo spazio delle fasi e il piano complesso α. In questo nuovo sistema di riferimento, lo stato coerente |αi è rappresentato da un vettore di lunghezza α che forma un angolo θ con l’asse di X1 , mentre l’incertezza di cui esso è affetto è rappresentata da un disco il cui centro p si trova a distanza |α| = hni dall’origine e che forma lo stesso angolo θ; la variazione ∆θ rappresenta l’incertezza sulla fase dello stato coerente e diminuisce all’aumentare di α: per |α| = 0, il disco è centrato nell’origine degli assi e l’indeterminazione sulla fase è massima, ∆θ = 0. 58 Capitolo 5 Condensazione di Bose-Einstein Negli anni venti, in India, Bose era intento all’elaborazione di un modello statistico che descrivesse il comportamento dei quanti di luce, studi da cui nacque la cosiddetta Statistica di Bose-Einstein; in questo quadro egli predisse la possibilità di transizioni di fase di un gas costituito da atomi non interagenti fra loro. Il lavoro a quattro mani di Einstein e Bose, condusse alla conclusione che quando un gas di bosoni, particelle a spin intero, si trova a temperature prossime allo zero assoluto parte di esse si porta nello stato quantistico di minima energia; tale fenomeno prese il nome di condensazione di Bose-Einstein (BEC). È opportuno contestualizzare il fenomeno all’interno di descrizione generale della meccanica statistica, con particolare attenzione per le distribuzioni quantistiche. 5.1 Matrice densità Nella maggior parte dei casi, quando ci si accinge allo studio di un sistema fisico, lo stato in cui tale sistema si trova non è perfettamente determinato, di conseguenza si hanno a disposizione solo informazioni parziali. D’altro canto, la meccanica quantistica ha di per se un carattere probabilistico. Lo strumento matematico che consente di trarre informazioni quanto più complete possibili, raccordando le sue proprietà quantistiche e la sua indeterminazione intrinseca è l’operatore densità. Spesso lo stato del sistema in esame è uno stato misto, ossia una miscela statistica di stati |ψi = X n 59 pn |ψn i (5.1) 5 – Condensazione di Bose-Einstein con 0 ≤ p1 , p2 ,... ≤ 1 e X pn = 1, (5.2) n dove i coefficienti p1 , p2 , p3 , . . . rappresentano la probabilità che il sistema si trovi, rispettivamente, nello stato |ψ1 i, |ψ2 i, |ψ3 i, . . . . È doveroso notare la distinzione fra lo stato misto (5.1) e uno stato |ϕi ottenuto da una sovrapposizione di stati |ϕn i X |ϕi = cn |ϕn i . (5.3) n In quest’ultimo caso il sistema ha probabilità |cn |2 di trovarsi nello stato |ϕn i e le varie ampiezze di probabilità possono interferire fra loro dando luogo a termini cn c∗n0 , nello stato misto (5.1), rappresentato dalla somma pesata di probabilità, invece, fra gli stati |ψn i non vi è interferenza. Inoltre lo stato misto è affetto da una duplice indeterminazione: quella puramente quantistica che si manifesta nelle misure di osservabili, legata al principio di Heisenberg, e l’indeterminazione statistica, in virtù della quale non si conosce la situazione iniziale del sistema. Una situazione particolarmente fortunata si ha se è noto lo stato in cui si trova il sistema, ossia se nella (5.1) tutte le probabilità pk sono nulle tranne una; in questo caso si dice che il sistema si trova in uno stato puro. Se {|un i} è una base ortonormale, è noto che il sistema in un particolare istante t si trova nello stato X |ψ(t)i = cn (t) |un i , (5.4) n 2 dove le ampiezze di probabilità cn (t) sono tali che X cn (t)2 = 1, (5.5) n inoltre, se H(t) è l’Hamiltoniana del sistema, l’evoluzione temporale di |ψ(t)i è descritta dall’equazione di Schrödinger i~ d |ψ(t)i = H(t) |ψ(t)i . dt (5.6) Il valore medio di un generico osservabile A rispetto allo stato |ψ(t)i è X X hAi(t) = hψ(t)| A |ψ(t)i = c∗n (t)cm (t) hun | A |um i = c∗n (t)cm (t)Anm , n,m (5.7) n,m in cui Anm sono gli elementi della matrice hun | A |um i che rappresenta l’operatore A rispetto alla base {|un i}. Ebbene, si definisce operatore densità ρ, quell’operatore dello 60 5 – Condensazione di Bose-Einstein spazio di Hilbert che nella base {|un i} è rappresentato da una matrice i cui elementi sono c∗n (t)cm (t). Nel caso attuale in cui il sistema si trova nello stato puro |ψ(t)i, l’operatore densità è definito come ρ(t) = |ψ(t)i hψ(t)| , (5.8) i suoi elementi di matrice sono infatti ρ(t)mn = hum | ρ |un i = hum | ψ(t)i hψ(t) | un i = c∗n (t)cm (t). (5.9) La matrice di densità ρ(t) è dunque un operatore hermitiano ρ = ρ† . La sua conoscenza consente di calcolare la media di qualsiasi grandezza che caratterizza il sistema e le probabilità dei diversi valori della grandezza. Si dimostrano facilmente alcune proprietà della matrice densità: X X cn (t)2 = ρnn (t) = T rρ(t) = 1 n (5.10) n la matrice densità ha dunque traccia unitaria; inoltre il valore medio di un osservabile A, considerando la (5.7) e sfruttando la relazione di completezza per gli elementi della base {|un i}, si esprime come hAi(t) = X hum | ρ |un i hun | A |um i m,n = X hum | ρ(t)A |um i M = T r{ρ(t)A}. (5.11) L’evoluzione temporale dell’operatore ρ(t) si ricava dall’equazione di Schrödinger ! ! d d d ρ(t) = |ψ(t)i hψ(t)| + |ψ(t)i hψ(t)| dt dt dt = = 1 1 H(t) |ψ(t)i hψ(t)| + |ψ(t)i hψ(t)| H(t) i~ (−i~) 1 H(t), ρ(t) . i~ (5.12) Estendendo ora l’argomentazione al caso più generale in cui il sistema si trovi in uno stato misto (5.1), la definizione della matrice densità si tramuta in ρ= X pn ρn = X n n 61 pn |ψn i hψn | . (5.13) 5 – Condensazione di Bose-Einstein Anche in questo caso, la matrice densità del sistema è hermitiana, essendo i coefficienti pn reali, ed inoltre persistono invariate le proprietà precedentemente esposte, riassumendo brevemente T rρ = 1 (5.14) hAi = T r{ρA} d i~ ρ(t) = H(t), ρ(t) . dt (5.15) (5.16) Inoltre se si richiede che l’operatore ρ sia stazionario, l’ultima equazione, che ne descrive l’evoluzione temporale, conduce all’equivalente teorema quantistico del Teorema di Liouville: H(t),ρ(t) = 0, (5.17) la condizione di stazionarietà si traduce per la matrice densità nell’avere forma diagonale. Infine, sia |ai un generico stato, dalla definizione (5.13), si ha hu| ρ |ui = X pn hu| ρn |ui = n X 2 pn hu | ψn i (5.18) n dunque hu| ρ |ui ≥ 0, (5.19) ossia, ρ è un operatore definito positivo. 5.2 Le distribuzioni statistiche Si consideri un corpo macroscopico isolato, suddiviso in un gran numero di sottosistemi, anch’essi macroscopici, in equilibrio termico fra loro. Sebbene l’energia totale del sistema sia costante, le particelle costituenti il corpo si scambiano vicendevolmente energia urtandosi l’un l’altra, dunque l’energia di ciascun singolo sottosistema è variabile; inoltre il numero stesso di particelle in ogni sottosistema non è costante, ma fluttua oscillando attorno ad un valore medio. Con l’ulteriore ipotesi che il sistema sia costituito da particelle identiche, si concentri l’attenzione su un particolare sottosistema. La probabilità che tale sottosistema si trovi in uno stato quantistico caratterizzato da energia En e da N particelle è descritta dalla matrice densità che in tali condizioni assume la forma Ω + Φ − En,N ρn,N = exp kT 62 (5.20) 5 – Condensazione di Bose-Einstein e prende il nome di distribuzione gran canonica. La probabilità dunque dipende oltre che dall’energia En , anche dal potenziale di Gibbs Φ = N µ, dove µ è il potenziale chimico, dal potenziale termodinamico Ω = F − Φ, essendo F l’energia libera del sottosistema, e ovviamente dalla temperatura T . Poichè il sistema si trova in equilibrio, la temperatura T e il potenziale chimico µ sono ovunque costanti, mentre il potenziale Ω e l’energia libera F sono caratteristici del sottosistema in esame. k è la costante di Boltzmann. La condizione di normalizzazione XX N ρn,N = eΩ/kT n i Xh X eN µ/kT e−En,N /kT = 1 (5.21) n N impone che sia uguale a uno il risultato della sommatoria di ρn,N prima su tutti gli stati quantistici n, per N fissato, e poi su tutti i valori del numero di particelle N . Da essa si ottiene eΩ/kT X eN µ/kT X e−En,N /kT = 1, (5.22) n N applicando il logaritmo ad ambo i membri si ottiene # " X X Ω −En,N /kT N µ/kT =0 e + ln e kT n (5.23) N ossia " Ω = −kT ln X e N µ/kT X e −En,N /kT # . (5.24) n N La funzione Z= i X Xh eN µ/kT e−En,N /kT (5.25) n N è detta funzione di ripartizione, la quale consente di determinare tutte le variabili termodinamiche d’interesse, una volta ricavato il potenziale Ω. Dalla distribuzione gran canonica appena illustrata, valida per un generico sistema macroscopico in equilibrio termico, si può derivare la distribuzione di probabilità per un gas perfetto. Con gas perfetto si intende un gas in cui l’interazione fra le molecole costituenti è talmente debole da poter essere trascurata. Fisicamente tale sistema si realizza se la densità del gas è sufficientemente bassa cioè, in altre parole, se il gas è molto rarefatto; in questo caso la distanza fra le molecole è maggiore del raggio di azione delle forze intermolecolari e dunque l’interazione sufficientemente piccola. Di conseguenza, poichè si ipotizza che le molecole siano sostanzialmente indipendenti le une dalle altre, l’energia totale del gas è data dalla somma dell’energia di ciascuna di esse. Per semplificare la 63 5 – Condensazione di Bose-Einstein trattazione, si può ulteriormente assumere che il gas sia costituito da particelle identiche (molecole dello stesso tipo), di conseguenza esse avranno tutte lo stesso spettro energetico e la determinazione dei livelli energetici En dell’intero sistema si riduce alla ricerca dei livelli energetici di una singola particella εi , dove l’indice i rappresenta l’insieme dei numeri quantici che caratterizzano lo stato in cui si trova la molecola. Sia inoltre ni il numero di particelle nello stato i-esimo, tale valore prende il nome di numero di occupazione dello stato quantistico ed il suo valore medio è determinato dalla distribuzione di Boltzmann. Se il gas è in equilibrio, la distribuzione di Boltzmann per il sottosistema del gas costituito dalle particelle che si trovano nello stato i-esimo si ricava dalla distribuzione gran canonica (5.20), che adattata all’attuale circostanza assume la forma Ω + µni − εi ni ρi,ni = exp kT (5.26) ed è accompagnata dalla condizione di normalizzazione X ρi,ni = 1. (5.27) ni Il valore medio di ni è, per definizione hni i = X ni ρi,ni ; (5.28) ni invero, siccome si opera sotto l’ipotesi di gas ideale, gas molto rarefatto, il numero medio di particelle per stato dev’essere molto piccolo, di conseguenza è necessario che sia soddisfatta la condizione hni i 1. (5.29) Ora, la richiesta di convergenza della serie (5.28) imposta dalla (5.29) deve combinarsi con la condizione di normalizzazione (5.27): ρ0,n0 + ρ1,n1 + ρ2,n2 + ρ3,n3 + · · · = 1 (5.30) ρ1,n1 + 2ρ2,n2 + 3ρ3,n3 + · · · 1 (5.31) ρ0,n0 = eΩ/kT ∼ 1 (5.32) di conseguenza dev’essere e ρi,ni 1 con ni = 1,2,3,. . . . 64 (5.33) 5 – Condensazione di Bose-Einstein Per il valore medio (5.28) si ha dunque hni i = e (µ−εi )/kT + 2 e 2(µ−εi )/kT + 3 e 3(µ−εi )/kT + . . . 2 3 = e (µ−εi )/kT + 2 e (µ−εi )/kT + 3 e (µ−εi )/kT + · · · 1 (5.34) è allora evidente che il termine predominante della somma è il primo e che i successivi possono essere trascurati; si ottiene cosı̀ la annunciata distribuzione di Boltzmann µ − ε i . (5.35) hni i = exp kT Si ribadisce che essa fornisce il numero medio di particelle presenti nello stato i-esimo la cui energia è εi , pertanto se la si applica ad ogni stato quantistico del sistema, si ottiene la distribuzione nei diversi stati delle molecole identiche di un gas perfetto in equilibrio termico. Tuttavia è necessario sottolineare che la statistica di Boltzmann-Maxwell, di cui la distribuzione (5.35) è colonna portante, fu elaborata in un contesto classico: le particelle del sistema erano infatti assunte come identiche ma distinguibili. Il carattere probabilistico della meccanica quantistica invece priva ogni particella della propria identità: il principio di indeterminazione di Heisenberg non consente di assegnare ad una particella delle coordinate spaziali ben definite e lo strumento di localizzazione è la sua funzione d’onda, il cui modulo quadro rappresenta, appunto, la probabilità che essa ha di trovarsi in una regione finita dello spazio. In un sistema di molte particelle, le funzioni d’onda possono sovrapporsi fra loro, dunque diventa impossibile individuare per ogni particella la rispettiva funzione d’onda e viceversa. Nella descrizione quantistica di un sistema è necessario tener conto dell’indistinguibilità di particelle identiche e di conseguenza i risultati delle misure devono essere invariati per scambio di particelle. Questo si traduce in specifiche proprietà di simmetria per le funzioni d’onda: un sistema di particelle a spin intero, i bosoni, dev’essere descritto da una funzione d’onda simmetrica rispetto allo scambio di due bosoni; invece un sistema di particelle a spin 21 , i fermioni, è ulteriormente vincolato dal principio di esclusione di Pauli, che impedisce a due particelle di trovarsi in uno stato quantistico caratterizzato dagli stessi numeri quantici, ciò è garantito se e solo se la funzione d’onda del sistema è antisimmetrica. è inoltre doveroso concentrare l’attenzione sulla questione energetica: come è stato detto in precedenza la rottura di fondo fra la meccanica classica e la meccanica quantistica risiede nella quantizzazione dell’energia. Nelle distribuzioni statistiche classiche, l’energia può variare con continuità e assumere qualunque valore, mentre le distribuzioni quantistiche, che saranno esposte a breve, poggiano sull’ipotesi imprescindibile che l’energia del 65 5 – Condensazione di Bose-Einstein sistema sia quantizzata e che dunque solo alcuni valori siano consentiti. La distribuzione gran canonica e la distribuzione di Boltzmann, essendo nate come distribuzioni classiche, assumono, nella loro formulazione originale, l’energia come una variabile continua; nell’esporre le due distribuzioni in forma quantistica (5.20) e (5.35), l’ipotesi di quantizzazione dell’energia è implicita e la loro validità anche in ambito quantistico è indubbia, a meno della precisazione sull’indistiguibilità delle particelle appena esposta. Come anticipato il mondo bosonico è descritto dalla statistica di Bose-Einstein, quello fermionico dalla statistica di Fermi-Dirac. Le distribuzioni dei due sistemi si ricavano dal potenziale termodinamico (5.24). Si consideri dunque un gas ideale in equilibrio alla temperatura T , costituito da bosoni o fermioni non interagenti fra loro. Il potenziale termodinamico Ωi per il sottoinsieme del gas costituito da tutte le particelle che si trovano nello stato quantistico i-esimo è # " µn X εi n i i . (5.36) − Ωi = −kT ln exp kT kT n i dove εi è l’energia del livello in esame e ni il suo numero di occupazione che assume valori differenti a seconda che le particelle del gas siano fermioni o bosoni, in particolare ni = 1,2,3, . . . ni = 0,1 per un sistema di bosoni (5.37) per un sistema di fermioni (5.38) Si ha " Ωi = −kT ln X ni " = −kT ln X ni (µ − εi )ni exp kT # # µ − ε n i i exp . kT (5.39) Noto il potenziale termodinamico Ωi , il numero medio di particelle dell’i-esimo stato quantistico hni i, si ricava dalla relazione ∂Ωi hni i = − ∂µ ! . (5.40) T,V A questo punto, considerando la condizione (5.38) si ottiene h i ΩFi = −kT ln 1 + e(µ−εi )/kT , 66 (5.41) 5 – Condensazione di Bose-Einstein dunque ∂ΩFi hni iF = − ∂µ ! e(µ−εi )/kT 1 e(µ−εi )/kT = 1 + e(µ−εi )/kT kT 1 + e(µ−εi )/kT = kT T,V (5.42) e finalmente hni iF = 1 e(εi −µ)/kT +1 . (5.43) È questa la distribuzione di Fermi-Dirac valida per un gas perfetto di fermioni, in cui il potenziale chimico µ può assumere tutti i valori da −∞ a +∞. Essa è normalizzata dalla condizione X hni iF = N (5.44) i ossia 1 X i e(εi −µ)/kT +1 =N (5.45) dove N è il numero totale di fermioni presenti nel gas. Inoltre il potenziale termodinamico dell’intero sistema si ottiene sommando su tutti gli stati quantistici: ΩF = X ΩFi = −kT i h ln 1 + e(µ−εi )/kT . X i (5.46) i Con analogo procedimento, si ricava la distribuzione per un gas di bosoni, il cui potenziale termodinamico relativo allo stato i-esimo, tenendo conto della (5.37), è " ΩB i = −kT ln X ni # µ − εi ni exp ; kT (5.47) la serie di quest’ultima relazione è una serie geometrica che converge se e solo se eµ−εi /kT = eµ/kT e −εi /kT < 1, (5.48) in altre parole, il potenziale termodinamico ΩB i converge se e solo se è soddisfatta la condizione µ ≤ 0, (5.49) in qual caso si ha h ΩB = −kT ln i 1 i 1 − e(µ−εi )/kT 67 h i = kT ln 1 − e(µ−εi )/kT . (5.50) 5 – Condensazione di Bose-Einstein Infine, il numero medio di bosoni nello stato i-esimo e aventi energia εi è ! ∂ΩB −e(µ−εi )/kT 1 e(µ−εi )/kT i hniB = − = −kT = ∂µ 1 − e(µ−εi )/kT kT 1 − e(µ−εi )/kT (5.51) T,V da cui, la distribuzione di Bose-Einstein, valida per un gas ideale di bosoni hniB = 1 e(εi −µ)/kT −1 . (5.52) Se N è il numero totale di bosoni che costituiscono il gas ideale, la condizione di normalizzazione anche in questo caso è 1 X i e(εi −µ)/kT −1 = N, (5.53) e il potenziale termodinamico del sistema ΩB = kT X i h ln 1 − e(µ−εi )/kT . (5.54) i Tenendo ben presenti le due distribuzioni quantistiche appena determinate, (5.43) e (5.52), sono d’obbligo alcune riflessioni. Innanzitutto osservando la distribuzione di Fermi (5.43) si osserva che per ogni stato quantistico, il numero di fermioni che esso contiene è 0 ≤ hniF ≤ 1, nel rispetto del principio di esclusione di Pauli, mentre per un gas di bosoni, il numero di occupazione per ogni stato quantistico varia da zero a infinito, 0 ≤ hniB ≤ ∞, a dimostrazione che per particelle a spin intero, la presenza di un bosone in un determinato stato quantistico, non inibisce l’arrivo di un’ulteriore presenza. Inoltre, da un confronto fra le distribuzioni di Bose-Einstein e Fermi-Dirac hni iB = 1 e(εi −µ)/kT − 1 hni iF = 1 e(εi −µ)/kT + 1 con la distribuzione di Boltzmann hni i = e(µ−εi )/kT è evidente che se exp[(εi − µ)/kT ] 1 ed in particolare se µ −→ −∞, le distribuzioni quantistiche approssimano la distribuzione di Boltzmann, fornendo lo stesso numero medio di particelle per stato hniBoltz ∼ hniB ∼ hniF 1. Tale limite si ritrova anche nel caso di temperature piuttosto alte, quando la distribuzione di Boltzmann prevede un numero di occupazione molto minore di uno, di conseguenza la possibilità di trovare due o più particelle nello stesso stato è molto bassa, le differenze fra fermioni e bosoni sono 68 5 – Condensazione di Bose-Einstein irrilevanti e dunque le predizioni statistiche delle tre distribuzioni coincidono. Al contrario, a temperature molto basse i loro comportamenti quantistici non possono più essere ignorati: il principio di esclusione di Pauli, per bocca della distribuzione di Fermi, vieta la presenza di due fermioni nello stesso stato, mentre vi è libera possibilità, per i bosoni, di convivere nel medesimo stato. In particolare, allo zero assoluto, T = 0, la distribuzione di Fermi-Dirac è rappresentata da una funzione a gradini 0 µ > εi hni iF = 1 µ < εi la quale, inoltre, assume il valore 1 2 (5.55) se µ = εi ; fisicamente ciò significa che per T = 0, le particelle del gas si dispongono nei diversi stati quantistici in modo tale che l’energia totale del gas abbia il valore minimo possibile. Dunque, a partire dallo stato fondamentale ε0 = 0, occupano i soli stati con energia minore di εi (ogni stato è ovviamente occupato da un unico fermione), mentre gli stati con energia superiore risultano vuoti. I livelli energetici che ospitano i fermioni costituiscono la cosiddetta sfera di Fermi nello spazio degli impulsi e l’energia che ne delimita il confine, cioè quella che caratterizza l’ultimo stato occupato, è detta energia di Fermi. 5.3 Condensazione di Bose-Einstein La descrizione di un gas di bosoni allo zero assoluto, consente invece di introdurre il fenomeno di condensazione di Bose. Si consideri a tal fine un sistema di particelle a spin intero, non relativistiche e non interagenti fra loro, contenute in una scatola cubica di lato L e volume V , posta nello spazio libero, non soggetta ad alcun campo esterno. Dal momento che il gas è contenuto in una regione finita, l’autofunzione di ogni particella è soggetta a condizioni al contorno che ne impongono la forma ! ! ! 8 2πny 2πnz 2πnx sin x sin y sin z . ψ= V L L L (5.56) L’insieme degli stati consentiti ha la forma di una griglia rettangolare nello spazio dei vettori d’onda k. La densità media di stati per unità di volume è V /8π 3 ; se il volume V è molto grande rispetto alle dimensioni della griglia, allora la distribuzione degli stati permessi si può assumere continua. Analogamente la densità di stati per unità di volume nello spazio dei momenti p = ~k è V /(2π~)3 . Tutti gli stati quantistici aventi un impulso 69 5 – Condensazione di Bose-Einstein p variabile nell’intervallo [p, p + dp], sono contenuti di una sfera 4πp2 dp nello spazio degli impulsi e sono in numero ! V (4πp2 ) dp = g (2π~)3 dτ = g V p2 dp 2π 2 ~3 (5.57) dove il fattore g = 2s+1 contiene la degenerazione dell’impulso p rispetto allo spin s di ogni bosone. Inoltre, poichè si considera particelle di massa m libere, non relativistiche, la loro energia è dovuta esclusivamente alla loro componente cinetica ε = p2 /2m, di conseguenza pm dp √m dε = 2mε , ossia dp = 2ε dε. Si può cosı̀ affermare che il numero di stati aventi energia ε compresa nell’intervallo [ε, ε + dε] è dτε ! r V m (2mε) dε = g 2π 2 ~3 2ε V m3/2 √ = g√ ε dε. 2π 2 ~3 (5.58) La distribuzione di Bose-Einstein (5.52) consente allora di determinare il numero di bosoni nel suddetto intervallo energetico √ ε V m3/2 dNε = hnε idτε = g √ dε, (ε−µ)/kT 2 3 −1 2π ~ e (5.59) e il numero totale di particelle del gas Z N= 0 ∞ V m3/2 dNε = g √ 2π 2 ~3 Z 0 ∞ √ ε e(ε−µ)/kT −1 dε. (5.60) Quest’ultima è una relazione generale, valida per qualunque temperatura di equilibrio T , con potenziale chimico variabile fra −∞ e 0. La situazione diventa interessante quando la temperatura T diminuisce progressivamente, mediante una successione di stati di equilibrio termico, pur restando costante la densità N/V . In questo caso l’integrale Z I(T,µ) = 0 ∞ f (ε) dε e(ε−µ)/kT − 1 (5.61) che compare nella relazione (5.60), è una funzione monotona crescente, dunque affinchè N/V resti costante, al diminuire di T il potenziale chimico µ dovrà necessariamente aumentare, cioè dovrà diminuire in modulo. Esso raggiungerà il valore limite µ = 0 alla 70 5 – Condensazione di Bose-Einstein temperatura, detta temperatura di degenerazione, T = T0 che si ricava dalla relazione (5.60) N m3/2 = g√ V 2π 2 ~3 ∞ Z √ ε dε. −1 eε/kT0 0 (5.62) La sostituzione z = ε/kT0 consente di esprimere la densità do bosoni come N V (kmT0 )3/2 = g √ 2π 2 ~3 Z ∞ √ z dz −1 !3 Z ∞ √ ez 0 )3/2 2π (kmT0 z √ dz z 2 h e −1 2π 0 !3 √ Z ∞ √ Z ∞ √ 2 2πmkT0 z g 2 z √ = g dz = 3 √ dz, z z h λ π 0 e −1 π 0 e −1 = g (5.63) √ dove λ = h/ 2πmkT è la lunghezza d’onda di de Broglie. La soluzione di quest’ultimo integrale si ottiene sfruttando la relazione Z 0 ∞ z x−1 dz = ζ(x)Γ(x), ez − 1 (5.64) dove ζ(x) è la funzione zeta di Riemann e Γ(x) è la funzione gamma di Eulero; si nota infatti che ∞ 1 3 ∞ z 2 −1 dz = ζ(3/2) Γ(3/2), (5.65) ez − 1 0 0 √ dunque sapendo che ζ(3/2) ≈ 2,612 e Γ(3/2) = π/2, la densità (5.63) risulta essere Z z2 dz = z e −1 Z √ g N = 3 ζ(3/2) = g V λ 2πmkT0 h !3 ζ(3/2), (5.66) da cui si ricava la temperatrua T0 h2 T0 = g −2/3 2πm N V ζ(3/2) !2/3 . (5.67) A questo punto, la temperatura del sistema non potrebbe ulteriormente diminuire perchè altrimenti il potenziale chimico µ assumerebbe valori positivi, il che non è consentito nella statistica di Bose-Einstein. La contraddizione a cui si è giunti ha le sue radici nel passaggio, non completamente lecito, da stati discreti a stati continui. Infatti, nel sostituire la somma (5.53) con l’integrale (5.59), si ha perdita di informazione circa lo stato fondamentale ε0 = 0 71 5 – Condensazione di Bose-Einstein che nell’integrale scompare: √ ε = 0 per ε = 0. Inoltre, alla temperatura T0 , quando il potenziale chimico si annulla, la (5.53) diviene N= X i 1 eεi /kT0 −1 = 1 eε0 /kT0 −1 + 1 eε1 /kT0 −1 + 1 eε2 /kT0 −1 + ..., (5.68) in questa circostanza, i termini corrispondenti agli stati eccitati, εi 6= 0, tendono ad un valore finito, mentre il primo termine, relativo allo stato fondamentale, caratterizzato quindi da energia nulla, ε0 = 0, diverge. Per ovviare a questo inconveniente, si può far tendere µ non a zero, ma ad una quantità infinitesima, garantendo cosı̀ la convergenza di ciascun termine della sommatoria. Allora per T < T0 ci saranno particelle negli stati eccitati, con ε > 0, distribuite al variare dell’energia secondo la (5.59), con µ = 0, e il cui numero totale è √ Z ∞ ε V m3/2 dε Nε>0 = g √ ε/kT 2 3 e −1 2π ~ 0 √ Z V (mT )3/2 ∞ z = g √ dz z e −1 2π 2 ~3 0 !3 T 2 . = N T0 (5.69) Invece, le particelle ad energia nulla saranno " N0 = N − Nε>0 = N 1 − T T0 !3 # 2 . (5.70) Quanto appena esposto illustra come avvicinandosi allo zero assoluto, oltre la temperatura di degenerazione T0 , i bosoni del gas perfetto convoglieranno tutti nello stato energetico fondamentale; in tale configurazione le funzioni d’onda dei bosoni si sovrappongono l’un l’altra dando luogo ad un nuovo oggetto, una sorta di “superatomo”. È questa la ragione per cui si è dato al fenomeno il nome di condensazione di Bose-Einstein . 5.4 Condensato di Bose-Einstein “È nuovo stato della materia. Ha un comportamento completamente diverso da qualunque altro materiale”. Sono queste le parole di Carl Wieman che, nel 1995, accompagnarono verso le luci della ribalta il primo condensato di Bose-Einstein. Si tratta di una piccolissima palla di atomi di rubidio, dal diametro di circa 20 micrometri, realizzata all’interno 72 5 – Condensazione di Bose-Einstein di un contenitore di vetro a forma di carota, ad una temperatura di circa 170 nanokelvin, la minima temperatura mai raggiunta fino ad allora. Il lavoro, compiuto nei laboratori JILA, congiunti con l’Università del Colorado a Boulder, valse il premio Nobel, nel 2001, ai suoi artefici Carl Wieman, Eric Cornell e Wolfgang Ketterle. Il processo che conduce al condensato di Bose si compone sostanzialmente di due stadi, la cattura e il raffreddamento di un gas, costituito da atomi di rubidio, attraverso cosiddette laser e magnetic traps. La prima di queste ‘trappole’ si ottiene disponendo una serie di laser di modo che gli atomi del gas siano bombardati in ogni direzione da fasci di luce; cosı̀ facendo, come spiegò Weiman, “è come se gli atomi si trovassero all’interno di una forte grandinata”, per cui essi vengono incessantemente colpiti da fotoni, indipendentemente dalla direzione in cui si muovono. Tale flusso costante di luce produce un gran numero di urti fra fotoni e atomi di Rb, cosicchè quest’ultimi perdono energia, rallentano e si raffreddano, raggiungendo una temperatura di circa 10 milionesimi di grado sopra lo zero. Nel provocare questo temporale di fotoni, è necessario tener presente l’effetto Doppler, che induce in inganno gli atomi, i quali andando incontro ai fotoni ne ‘vedono’ una lunghezza d’onda più spostata verso il rosso. Lo spostamento dipende inoltre dalla velocità dell’atomo incidente, ed in particolare esso è maggiore per gli atomi più lenti; è necessario dunque regolare la lunghezza d’onda del fotone in modo che esso possa interagire solo con gli atomi più veloci. Un’insidia sorge nel momento in cui gli atomi, rallentando, variano la propria lunghezza d’onda, non risentono più della presenza del fascio luminoso, e muovendosi indisturbati potrebbero urtare contro le pareti di vetro ed acquistare nuovamente energia. Per evitare quest’incombenza, si avvolge l’ampolla di vetro con due bobine percorse da corrente che circolano in verso opposto: si crea dunque un campo magnetico la cui intensità è massima ai bordi del contenitore e diminuisce verso l’interno. Esso agisce sui fotoni dei laser facendo variare la loro lunghezza d’onda man mano che gli atomi rallentano; di conseguenza persistono urti fra fotoni ed atomi e quest’ultimi, respinti nella zona centrale del contenitore, sono in trappola. La possibilità di ridurre la temperatura del gas sfruttando la trappola laser è però limitata dall’energia dei fotoni stessi, energia che, per quanto piccola, viene trasferita agli atomi che dunque continueranno a muoversi. Si procede pertanto spegnendo i laser e applicando un ulteriore campo magnetico, più intenso di quello utilizzato nella laser trap, ma con ugual obiettivo: tener lontani gli atomi dalla parete di vetro. Ora però il campo è talmente intenso da agire direttamente sui momenti di dipolo magnetici degli atomi, costringendoli al centro dell’ampolla senza la luce dei laser attorno. 73 BEC: How is BEC made? The Introduction http://www.colorado.edu/physics/2000/bec/how_its_made.html 5 – Condensazione di Bose-Einstein È questa la cosiddetta magnetic trap. Essa introduce l’ultima fase dell’esperimento, cioè il raffreddamento per evaporazione, Lavorando un po’ di fantasia, si può How is evaporative BEC made?cooling. The Introduction paragonare tale meccanismo con70 quanto accade una tazza di caffè It took years to realizeadEinstein's concept of calda: le molecole di Bose-Einstein in a gas. was first caffè più energetiche riescono a sfuggirecondensation dalla superficie del It liquido sotto forma di vapore, accomplished by Eric Cornell and Carl Wieman in sottraendo una certa quantità di calore alleinmolecole rimaste Boulder, Colorado 1995. They did it all’interno by cooling della tazzina, che to a much lower temperature than been di Boulder è stata quella di conseguenza si atoms raffreddano. Analogamente, l’idea delhad gruppo previously achieved. Their technique used laser light to di selezionare e mandar viaand dalla magnetica gli atomi caldi, cercando però di first cool holdtrappola the atoms, and then these atomspiù were further cooled by something called evaporative cooling. conservare all’interno, dove la temperatura aveva raggiunto i 170 nanokelvin, una densità sufficientemente alta di atomi di Rb per poter ottenere l’ambito condensato. It looks like a pretty simple piece of equipment for such Figura an important experiment. Is that really all there 5.1. Apparato sperimentale was? Not exactly. There a table fullilluminato of equipment La mattina del 5 giungo 1995 lo scopo era is raggiunto: da un’intensa luce rossa, associated with the lasers, and they needed to Cornell e colleghi osservarono materializzarsi sulcolor fondo dell’ampolla produce exactly the right of light. Also theredi vetro un piccolo is a Per computer bunch of other electronic e denso grumo di materia. poco and piùadi 15 secondi, circa duemila atomi di rubidio equipment for controlling everything and making diedero forma al primo condensato di Bose-Einstein. 1 di 2 21/01/12 14:13 74 Capitolo 6 Verifiche sperimentali dell’effetto Casimir La forza di Casimir e un condensato di Bose-Einstein sono accomunati da una peculiarità: fungono da ponte fra realtà quantistica e realtà classica. Sinteticamente la forza di Casimir può essere definita come una forza di origine quantistica che si manifesta nel mondo macroscopico; un condensato di Bose-Einstein è un corpo macroscopico regolato da leggi quantistiche o, più precisamente, uno stato coerente macroscopico. Inoltre i condensati di Bose sono utilizzati in molti degli esperimenti atti alla misurazione della forza di Casimir. La storia sperimentale dell’effetto Casimir inizia circa un decennio dopo la sua formulazione teorica per mano del fisico olandese. Il fenomeno tuttavia tardò ad avere riscontri nei laboratori del periodo. Numerosi furono i tentativi in questa direzione, ma molto poco soddisfacenti i risultati. Le principali difficoltà incontrate riguardavano non tanto la misura effettiva della forza di Casimir, essendo questa relativamente intensa entro distanze dell’ordine di pochi micrometri, quanto piuttosto la perfetta calibrazione e disposizione dell’apparato sperimentale. Nel corso degli anni la strumentazione, sempre più efficiente e sofisticata, ha consentito di raggiungere traguardi significativi. Gli esperimenti condotti si distinguono l’un l’altro oltre che per strumenti e metodologie, anche per la geometria del sistema di conduttori. Il primo tentativo di misura della forza nella configurazione originale illustrata da Casimir (due lastre conduttrici parallele), fu effettuato da Sparnaay [12] nel 1958; sebbene nei suoi esperimenti emerse una forza attrattiva, i risultati erano affetti da un’incertezza del 100% che non consentiva di ergerli a prova sperimentale, ma almeno, come spiegò 75 6 – Verifiche sperimentali dell’effetto Casimir Sparnaay, “non contraddicevano le predizioni teoriche di Casimir”. Successivamente Blokland e Oveerbeek, era il 1978, pensarono misurare la forza di Casimir fra una superficie piana conduttrice e un conduttore sferico, in modo da svincolarsi dal problema di parallelismo delle lastre emerso nell’operazione dei predecessori. I risultati furono positivi, ma l’incertezza di cui erano affetti i risultati era ancora piuttosto alta, del 25%. Il primo risultato entusiasmante emerse a Seattle, all’Università di Washington, nel 1995. Lamoreaux alla guida del progetto, annunciò che “l’azione delle fluttuazioni di vuoto fra due superfici conduttrici era finalmente stata dimostrata” [14]. Nel processo di misurazione fu utilizzato un sistema elettromeccanico basato su un pendolo a torsione. Anche a Seattle, la scelta fu quella di una lastra piana di quarzo, di larghezza 2,54 cm e spessore 0,5 cm, e una lente sferica di 4 cm di diametro; la prima posizionata su un braccio del pendolo, la seconda su un sistema di microposizionamento piezoelettrico che consentiva di variare con alta precisione la distanza fra i due conduttori. Tale configurazione geometrica comporta una correzione all’espressione della forza di Casimir, dovuta all’introduzione della cosı̀ detta proximity force approximation (PFA), la quale deriva dall’interazione coulombiana, e richiede che le superfici conduttrici siano separate da una distanza molto più piccola della loro curvatura. Se R è il raggio della sfera e d la distanza dalla lastra, la forza di Casimir, in modulo, è FC = π 3 ~c R , 360 d3 (6.1) valida se R d. Il primo passo dell’esperimento fu quello di cercare di eliminare gli effetti di viscosità, portando il sistema ad una situazione di vuoto di 10−4 torr, ma la fase cruciale dell’esperienza consisteva nel mantenere il pendolo ad un angolo fisso. L’obiettivo fu raggiunto utilizzando un sistema di feedback, costituito da due piastre compensatrici poste ai due lati del pendolo a formare un condensatore. La posizione del pendolo veniva calibrata di volta in volta misurando le capacità dei compensatori e verificando che esse fossero uguali, qualora ciò non era verificato, si applicava ad essi una piccola tensione correttiva. Nello stadio di preparazione alla misura, la calibrazione del sistema avveniva attraverso misure elettriche basate sulla variazione della capacità del condensatore costituito dai due conduttori, in funzione della distanza fra di essi. Tra i due conduttori, a causa dell’apparecchiatura interna del circuito di cui facevano parte, era presente un potenziale di 430 mV che fu eliminato applicando una tensione esterna in modo da lasciare solo una minimo potenziale δV assunto come ‘zero’. La presenza di un potenziale intrinseco cosı̀ intenso 76 6 – Verifiche sperimentali dell’effetto Casimir fu inoltre la causa di una sovrapposizione di forze elettrostatiche alla forza di Casimir e dunque fu necessario utilizzare particolari tecniche di sottrazione che eliminassero il contributo di tali forze, facendo emergere esclusivamente l’interazione di interesse. La forza di Casimir fu misurata variando di una quantità discreta per volta la tensione applicata al sistema piezoelettrico e ricavando, ad ogni passo, la forza di richiamo del VOLUME 81, NUMBER 21 PHYSICAL REVIEW LETTERS 23 NOVEMBER 1998 pendolo attraverso la misura della variazione della quantità δV necessaria per mantenere Ar is the average roughness amplitude, and equal in Fig. 1). This force and the corresponding cantilever l’angolo fisso. Ogni misurawhere risultava affetta da un’accuratezza di 0,01 µm. Lo spostamenroughness for both surfaces has been assumed. There deflection are related by Hooke’s law: F ! kDz, where k are also corrections due to the finite temperature [12,18] is the force constant, and Dz is the cantilever deflection. to massimo a 92V fu di 12,3 corrispondente givenµm, by mentre lo spostamento medio misurato, The piezoextension with applied voltage was calibrated " # with height standards, and its hysteresis was measured. (2% linear correction) and cantilever deflection (to be discussed 3 superfici conduttrici da 0,6where µm a 6f!j"µm, sulle misure. later) were applied to the sphere-plate separations in all ! !jcon #2p"zun’accuratezza !3" 2 !j 4 p 2 #45", jdel ! 5% collected data. 2pkB Td#hc ! 0.131 3 1023 d nm21 for T ! 300 ±K, I punti deboli dell’esperienza Lamoreaux consistevano nel fatto che non furono To measure the Casimir force vabetween the sphere and and z !3" !di 1.202 . . . , is the Riemann zeta function, and plate they are grounded together with the AFM. The kB is the Boltzmann constant. plate then moved towards the sphere in 3.6 nm steps We use a standard da AFMquella to measure the force belutate le deviazioni della forza misurata ideale, dovute allais finita conducibilità and the corresponding photodiode difference signal was tween a metallized sphere and flat plate at a pressure of measured (approachMohideen curve). The signal mTorr and at A room temperature. A schematic diadei conduttori ed alla loro 50ruvidezza. tale mancanza cerarono di sopperire e obtained for a typical scan is shown in Fig. 3(a). Here “0” separation gram of the experiment is shown in Fig. 1. Polystyrene stands for contact of the sphere and plate surfaces. It spheres of 200 6 4 mm diameter were mounted on the tip Roy [15] nel 1998 a Riverside. does not take into account the absolute average separation of 300 mm long cantilevers with Ag epoxy. A 1.25 cm $120 due to the Essi 20 nm utilizAu#Pd layer (transparent at optically polishedambiente sapphire disk eis pressione used as the di L’esperimento fu realizzatodiameter a temperatura 50nmmTorr. these separations [20]) and the 35 nm roughness of the Al plate. The cantilever (with sphere) and plate were then coating on each surface. Region 1 shows that the force coated with 300 nm of Al in an evaporator. zarono un microscopio a forza atomica per misurare la Aluminum forza di Casimir fra una sfera di curve at large separations is dominated by a linear signal. is used because of its high reflectivity for wavelengths This is due to increased coupling of scattered light into the (sphere-plate separations) .100 nm and good representapolistirene, dal diametro dition196 µm, e un disco di zaffiro di diametro cm. La sfera fu diodes1,25 from the approaching flat surface. Embedded in of its reflectivity in terms of a plasma wavelength the signal is a long range attractive electrostatic force from lp $ 100 nm [19]. Both surfaces are then coated with collocata sulla punta della amicroleva del microscopio e il tutto, disco compreso, ricoperto the contact potential difference between the sphere and the less than 20 nm layer of 60% Au#40% Pd (measured plate and the Casimir force (small at such large distances). at . 90% transparency for l , 300 nm [20]). This was di alluminio per garantire un altoto potere al sistema. In region 2 (absolute separations between contact and necessary prevent anyriflessivo space charge effects due to patch 350 nm) the Casimir force is the dominant characteristic oxidation of the Al coating. A scanning electron microLa fase di calibrazione dell’apparato sperimentale, fu with simile descritta nella errors si- (the electrostatic far exceeding all the systematic scope (SEM) image of the coated cantilever spherea quella force is less than 3% of the Casimir force in this region). attached is shown in Fig. 2. The sphere diameter was 3 is the flexing the cantilever resulting from tuazione precedente: un potenziale applicato per Region compensare la oftensione measured usingesterno the SEM toveniva be 196 mm. The average the continued extension of the piezo after contact of roughness amplitude of the metallized surfaces was meathe two a surfaces. the distance moved by the flat sured usingquando an AFM to ibedue 35 nm.conduttori erano messi interna, di circa 30 mV, presente terra.Given Il processo plate (x axis), the difference signal of the photodiodes In the AFM, the force on a cantilever is measured by can sfera be calibrated to a cantilever deflection the deflection of itsincidere tip. A laser un beamfascio is reflected off thesulla di misura fu effettuato invece facendo laser e raccogliendo il in nanometers using the slope of the curve in region 3. The deflection cantilever tip to measure its deflection. A force on the of the cantileverprovocata leads to a decrease sphere result in a cantilever deflection leading to microleva, raggio riflesso per mezzo di duewould fotodiodi. La deflessione della dalin the sphere-plate a difference signal between photodiodes A and B (shown R a 5,75V, risultò essere 0,75 µm. FL’intervallo di 720 indagine ricoprı̀ unacorrections distanza frathelepiezohysteresis due f!j" , (4) The due to c !d" ! Fc !d" 1 1 2 p FIG. 1. Schematic diagram of the experimental setup. Application of voltage to the piezo results in the movement of the plate towards the sphere. The experiments were done at a presFIG. 2. Scanning electron microscope image of the metallized suremicroscopio of 50 mTorr and ataroom temperature. mounted on a AFM per cantilever. del forza atomica sfruttato da sphere Mohideen e Roy Figura 6.1. Schema misurare la forza di Casimir. 4550 77 6 – Verifiche sperimentali dell’effetto Casimir fascio laser, induceva una variazione nei segnali rivelati dai due fotodiodi; valutando tale variazione si poteva risalire alla deflessione e la forza fra i due conduttori veniva ottenuta sfruttando semplicemente la legge di Hooke F = k∆z, dove k è la costante della forza e ∆z la deflessione della microleva. L’operazione fu ripetuta numerose volte, facendo avvicinare di 3,6 nm per misura, il disco alla sfera. Nell’analizzare i dati registrati, il gruppo californiano riuscı̀ a stimare numerosi fattori di disturbo esterni: la conducibilità finita, la ruvidezza del materiale, e la temperatura finita. Inoltre essi riuscirono a valutare l’errore sistematico nella misura effettiva della distanza fra le due superfici, dovuto alla flessione della microleva stessa e alla presenza di una forza elettrostatica, generata dal potenziale residuo presente fra i due conduttori. Grazie alla precisione degli strumenti utilizzati, dovuta in particolare al grande raggio di curvatura e all’utilizzo del laser, Mohideen e Roy furono in grado di misurare la forza di Casimir per distanze comprese fra 0,1 e 0,9 µm, con l’1% di accuratezza. La geometria sferico-planare fu adottata in successivi esperimenti, ad Harvard ed ai laboratori Bell, accompagnata dall’utilizzo di materiali e strumenti d’indagine ovviamente diversi, ma contemporaneamente vennero analizzate anche altre strutture geometriche, ad esempio è stata osservata la forza di Casimir fra due cilindri incrociati (Ederth) e fra due emisferi. L’ultimo caso è di particolare rilevanza perchè ebbe un risultato non contemplato teoricamente, ossia una forza di Casimir repulsiva. Fu invece in Italia, che l’idea di Casimir trovò compimento. Dopo Spanraay, nessun tentativo di misurare la forza fra due piastre parallele andò a buon fine, soprattutto a causa di quel perfetto parallelismo estremamente difficile da realizzare. All’Università di Padova, nel 2002, il problema fu risolto utilizzando come strumento per la misura dello spostamento un interferometro a fibra ottica e riducendo sensibilmente i fattori di disturbo ambientali. Il gruppo di ricerca, guidato da Onofrio e Bressi, osservò l’effetto attrattivo fra le due lastre, con distanze di separazione comprese tra 0,5 e 3,0 µm, ottenendo risultati con precisione al 15%. Le due superfici parallele fra cui si esercitava la forza erano quelle di una microleva, posizionata su una base di rame e libera di oscillare attorno al proprio perno, e la faccia, ad essa opposta, di un’altra leva rigida più sottile (chiamata sorgente). Ciascuna era collegata ad un motorino che permetteva di ruotarle, in modo da garantire la condizione di parallelismo, la sorgente inoltre era fissa su un sistema piezoelettrico lineare in ceramica, che consentiva di controllare e modificare opportunamente la distanza fra di esse. Entrambe le leve erano di silicone, ricoperte da un sottile strato di cromo e avevano le dimensioni di 78 6 – Verifiche sperimentali dell’effetto Casimir SEM Vacuum Enclosure Optical Fiber Interferometer Detection Fiber Linear PZT Capacitance Meter Source Switch Cantilever Spectrum Analyzer Precision Voltage Calibrator Support Figura 6.2. Schematizzazione dell’apparato sperimentale utilizzato nell’esperimento di Padova 1,9 cm × 1,2 mm con spessore di 50 nm per la sorgente e di 47 µm per l’altra. Nella prima fase dell’esperimento si utilizzarono particolari tecniche per eliminare le particelle di polvere dalle due superfici, per poi procedere con la determinazione del parallelismo. Questo si raggiungeva massimizzando la capacità del sistema alla minima distanza ottenibile: si ricavò un valore di 22 pF corrispondente ad una separazione fra le due leve pari a 0,4 µm. Inoltre furono valutate le deviazioni rispetto alla neutralità elettrica delle due superfici, determinando il potenziale V0 dovuto alla presenza di diversi materiali metallici presenti nel circuito. Questo fu possibile applicando, per varie distanze fra le piastre, un campo esterno Vc e misurando, di volta in volta, l’inclinazione della microleva che ne conseguiva; si ottenne un valore di V0 di circa -68 mV. Fu possibile stimare la forza di Casimir misurando con un interferometro a fibra ottica la variazione della frequenza della microleva all’avvicinarsi della sorgente (ciò che in realtà si misurava era la variazione della distanza fra la microleva e la fibra ottica). Infatti ogni forza che ha dipendenza spaziale, induce una variazione ∆ν nella frequenza di oscillazione della microleva, dunque, considerando che oltre alla forza di Casimir, l’interazione fra le due superfici era dovuta anche alla presenza del potenziale residuo Vr = V0 − Vc , ∆ν si è potuta determinare dall’espressione ∆ν 2 (d) = ν 2 − ν02 = −Cel Vr2 Ccas − 5 , d3 d (6.2) con Cel = (0 S)/(4πmef f ) e Ccas = (Kc S)/(πmef f ), dove 0 è la costante dielettrica del 79 6 – Verifiche sperimentali dell’effetto Casimir vuoto, S l’area effettiva delimitata dalle due superfici interagenti e mef f la massa effettiva della microleva. Per separare i contributi dovuti all’interazione elettrostatica e alla forza di Casimir, furono effettuate diverse misure facendo variare la tensione Vc . Si determinò Ccas = (2,34 ± 0,34) · 10−28 Hz 2 m5 , coerentemente con la previsione di una forza attrattiva (il segno di ∆ν è negativo) e dunque un coefficiente della forza di Casimir Kc = 0 Ccas = (1,22 ± 0,18) · 10−27 N m2 . 4 Cel (6.3) Il valore di Kc cosı̀ ottenuto coincide, entro la banda di errore, con quello determinato teoricamente, pertanto il lavoro di Onofrio fu la prima verifica sperimentale dell’esistenza della forza di Casimir. Parallelamente alla ricerca attorno alla forza di Casimir, si è sviluppato nel corso degli anni lo studio sperimentale su scala atomica, in cui fa da controparte la forza di CasimirPolder, che si manifesta fra un atomo e una superficie. Fu per primo Sukenik ad individuare e misurare l’incrocio fra il raggio di azione della forza di Van der Waals e quello forza di Casimir-Polder; nel caso di un sistema composto da un atomo di rubidio e una superficie piana, l’incontro avviene ad una distanza di separazione fra di essi di circa 0,1µm. Al di sotto di tale distanza prevale l’interazione di Van der Waals che dipende dalla distanza d come 1/d3 , per separazioni maggiori invece è preponderante la forza di Casimir-Polder proporzionale a 1/d4 . Recentemente la forza di Casimir-Polder è stata misurata in una serie di esperimenti condotti da Eric Cornell nei laboratori JILA [13]. Essi utilizzarono un condensato di Bose-Einstein di rubidio e verificarono l’esistenza dell’interazione attrattiva misurando le variazioni della frequenza di oscillazione del centro di massa del condensato, dovute alla presenza di una superficie conduttrice. Tale superficie altera la trappola magnetica a cui son soggetti gli atomi di rubidio, causando lo spostamento del centro di massa dei singoli atomi e l’oscillazione del centro di massa, detta anche oscillazione di dipolo, dell’intero sistema. Gli spostamenti singoli non furono misurati perchè inferiori rispetto alla sensibilità della strumentazione usata, mentre l’oscillazione di dipolo fu il parametro necessario per la determinazione della forza di Casimir-Polder. La superficie fu posta sopra il condensato, parallelamente ad esso, e la distanza determinata applicando un campo magnetico uniforme nella direzione verticale (direzione x̂ nella figura (6.3)). Con opportune semplificazioni e approssimazioni, la variazione della frequenza di oscillazione di dipolo, nella direzione x̂, γx , si ottiene a partire dalla frequenza di 80 the surface, we can translate the trap to measure surfa Thomas-Fermi radii of 85.9 #m and 2.40 #m in the axial forces at many different locations on our 5 " 8 mm surfac and radial directions, respectively. See Fig. 1#a$ for the coFinally, we can adjust the angle of the ẑ trap axis to ordinate definitions and orientations of the surface and conparallel with respect to the surfaces. Using the surface refle densate in the experiment. tion images, we have verified that the deviation from paral The surfaces for study are located '1 mm above #+x̂ diis $0.25°. rection$ where evaporation occurs. To position the condenTo excite a condensate dipole oscillation in the x̂ dire sate near the surface, a vertical #x̂-direction$ magnetic field is tion, we apply an oscillating magnetic field of the form applied. This uniform magnetic field acts to displace the 2 2 magnetic minimumsperimentali of the trapping field. By applying a care6 – Verifiche dell’effetto Casimir Bx#t$ % e−#t − t0$ /& cos#'xt$, # fully controlled field ramp, we are able to move the atoms & is the time width of the pulse #10 ms in this expe where arbitrarily close to the surface without exciting mechanical ment$ and t0 is the time of the peak of the pulse. In frequen oscillations of the condensate, and the condensate can be space, this excitation is centered on the radial trap frequen held there for many seconds. oscillazione in assenza della superficie, ωx , e dalla frequenza ωx0 perturbata: 'x and contains no dc or high-frequency components; th To measure the distance between the condensate and the prevents excitation of unwanted internal condensate mod surface, we use an absorption imaging technique described in 0 ωthex atoms − ωxwith a beam perpen- Similarly, dipole oscillations can be excited in the ŷ and !15,17" where we illuminate γx = . (6.4) directions. dicular to the long axis of the ω condensate. This beam imx Expansion of the oscillating condensate is accomplish pinges on the surface with a slight grazing incidence angle of by a microwave adiabatic rapid passage to the %F = '2.4° such that when the condensate is within '100 #m of ~ oscillante which is antitrapped, followed by '5 ms mF = −2& state,di Per misurare γx fu applicato un both campo magnetico B con frequenza normalizthe surface, a direct absorption image and a reflected rapid antitrapped expansion !14". The antitrapped expansi absorption image of the condensate appear. Measuring the acts to push atoms away from the magnetic minimum, a because of gravitational sag, the condensate begins the e pansion below the magnetic minimum, so the condensate pushed away from the surface during expansion. Additio ally, the antitrapped expansion acts to amplify the radial d pole oscillation amplitude by approximately 20-fold, perm ting straightforward measurement of the oscillation expansion. For example, see Fig. 1#b$. Finally, the conde sate is simultaneously imaged through absorption along bo the ŷ and ẑ directions, allowing us to monitor the position Figura 6.3. Misura della forza di Casimir-Polder. the condensate in all three directions. The typical experiment is performed as follows. First surface calibration set is taken to determine the magne zazione ωx . Le oscillazioni indotte sul centro di massa del condensato fieldfurono necessarymisurate to position sia the condensate the desired d tance from the surface. Second, a vertical oscillation data s alla distanza d, in esame, fra condensato e superficie, sia a distanza dis0taken , usata ottenere at theper desired trap-center to surface distance d, typ cally 6 – 12 #m. Interspersed with these data are vertical o la frequenza ωx . Il valore di γx fu ottenuto dal confronto dei valori dicillation oscillazione data taken misurati at d0, the distance we use to obtain t normalization frequency 'x. Data points and normalizati in d e in d0 , secondo la relazione (6.4). Il gruppo di Boulder riuscı̀ apoints misurare la di during the course of the da were randomlyforza alternated set in order to prevent trap frequency drift from affecting o Casimir-Polder fino a una separazione di circa 5 µm, risultato fino admeasurement. allora maiForraggiunto. this experiment d0 = 15 #m. A distance FIG. 1. #Color online$ #a$ Diagram, to scale, illustrating the 15 #m is far away enough such that surface forces will n aspect ratio of the condensate and typical oscillation position relaaffect the frequency; the normalized dipole frequency sh tive to the surface. The coordinate axis orientation and the direction −6 from the of gravity are also indicated. #b$ Typical data showing the radial I tentativi di misuradipole della forza di Casimir sono in continua crescita ed Casimir-Polder evoluzione.force La is less than 10 at this d oscillation after expansion away from the surface. tance. By comparing the frequency measured at d to th prospettiva è quella di riuscire a verificare il fenomeno a distanze inferiori, con strumenti 033610-2 di maggiore precisione, cercando anche di valutare e limitare i fattori di non idealità. 81 Conclusioni Il lavoro di tesi ha consentito di affrontare uno dei temi d’avanguardia tanto nell’ambito della fisica teorica, quanto in quello sperimentale. Risolvendo l’equazione di D’Alembert nel vuoto, con appropriate condizioni al contorno, si è giunti alla formulazione quantistica del campo elettromagnetico, la cui peculiarità consiste nella presenza di una energia non nulla nello stato di vuoto. Si è visto che le fluttuazioni di vuoto non sono un semplice risultato matematico, ma hanno una realtà fisica. Nell’atomo di idrogeno, l’elettrone interagisce con le fluttuazioni di vuoto del campo elettromagnetico generato dal protone, eliminando la degenerazione di livelli energetici caratterizzati dalla stessa coppia di numeri quantici n ed l. Il Lamb shift dunque ha condotto alla struttura iperfine dell’atomo di idrogeno, verificata sperimentalmente con tecniche spettroscopiche. È stato inoltre illustrato il ruolo delle fluttuazioni di vuoto nel mondo macroscopico: fra due atomi o molecole apolari, esse inducono dei momenti di dipolo momentanei che ne causano l’attrazione (forza di Casimir-Polder); analogamente, i fotoni virtuali presenti nello stato di vuoto, esercitano una pressione sulle superfici di due lastre conduttrici vicine che, di conseguenza, si attraggono (forza di Casimir). La dimostrazione sperimentale dell’effetto Casimir è stata descritta in diverse configurazioni e geometrie, con precisione dei risultati crescente. Tale descrizione, oltre che la quantizzazione del campo, ha fornito l’occasione per introdurre e analizzare gli stati coerenti e la condensazione di Bose-Einstein. I primi sono elementi basilari in ottica quantistica e fungono da raccordo fra la meccanica classica e la meccanica quantistica: definiti come gli autostati dell’operatore di annichilazione, essi sono stati quantistici con proprietà classiche. In particolare soddisfano, con l’uguaglianza, il principio di indeterminazione di Heisenberg e fanno emergere importanti caratteristiche del campo elettrico. Infatti il valore medio del campo su stati coerenti conduce all’espressione classica del campo stesso 82 6 – Verifiche sperimentali dell’effetto Casimir e, contemporaneamente, lo scarto quadratico medio corrisponde alle fluttuazioni di vuoto quantistiche. Oltrepassato il confine quantistico, il mondo sperimentale macroscopico necessita una descrizione statistica. Una trattazione panoramica delle distribuzioni quantistiche quali la distribuzione di Fermi-Dirac e di Bose-Einstein ha consentito dunque di introdurre il condensato di Bose-Einstein, con il cui ausilio è stata determinata sperimentalmente la forza di Casimir. La ricerca sperimentale e teorica attorno all’effetto Casimir e all’energia di vuoto offre prospettive di ampio respiro, vaste sono infatti le applicazioni nelle nanotecnologie, in chimica e biofisica, fino agli orizzonti della cosmologia. Come dire, il sipario non è ancora calato. 83 Bibliografia [1] Vincenzo Barone, Relatività, Bollati Boringheri (2004) [2] P. Caldirola, R. Cirelli, G. M. Prosperi, Introduzione alla fisica teorica, UTET (1982) [3] Peter. W. Milonni, The Quantum Vacuum: an introduction to quantum electrodynamics, Academic Press, Inc. (1994) [4] P. Lambropoulos, D. 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