Biologia molecolare clinica Organizzazione del laboratorio di

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Biologia molecolare clinica
Organizzazione del laboratorio di biologia molecolare clinica
Le tecniche di biologia molecolare negli ultimi anni si sono diffuse nei laboratori di diagnostica
clinica dove sono ampiamente utilizzate per l’identificazione di agenti patogeni (virus e batteri), la
ricerca di cellule tumorali, la caratterizzazione di mutazioni genetiche che predispongono alle
malattie ereditarie e le analisi medico-legali. Fra tutte le tecniche di biologia molecolare quella più
comunemente adoperata è la Reazione a Catena della Polimerasi (PCR) che grazie alla sua
particolare sensibilità, specificità e semplicità operativa viene utilizzata per l’identificazione e
caratterizzazione sia di tipo qualitativo che quantitativo del DNA e RNA.
La possibilità di determinare con precisione la sequenza nucleotidica del DNA ha aperto la
possibilità di studiare le alterazioni molecolari che sono causa di malattie e di applicare queste
metodiche alla diagnostica di malattie genetiche.
Il laboratorio di biologia molecolare deve possedere una struttura organizzativa che lo metta in
grado di generare i risultati delle analisi con elevato grado di eccellenza. Per tale motivo esso deve
possedere tutti i requisiti di qualità, di certificazione ed accreditamento, previsti dalle normative
vigenti e una organizzazione interna assai accurata. La PCR è una metodica molto sensibile in
quanto ogni molecola del DNA viene “amplificata”, cioè moltiplicata un gran numero di volte, e in
tali condizioni anche piccole quantità di un contaminante, prodotto magari dall’amplificazione di
campioni precedenti, possono essere moltiplicate e dare risultati falsamente positivi. Questo
fenomeno si chiama carry-over. Si sono quindi sviluppati dei metodi per evitare questa
contaminazione: le aree di lavoro nel laboratorio di biologia molecolare devono essere
accuratamente suddivise e non si devono allestire reazioni di PCR in vicinanza di aree o banconi
dove siano presenti prodotti di amplificazione.
Cenni sulla struttura e sulla biochimica degli acidi nucleici
Il DNA è una macromolecola formata da catene lineari di desossiribonucleotidi legati insieme
mediante gruppi fosfato. Ogni desossiribonucleotide comprende una base azotata e uno zucchero
(desossiriboso). Le basi sono quattro: due purine (Adenina e Guanina) e due pirimidine (Citosina e
Timina). L’ordine delle basi codifica l’informazione genetica contenuta nel DNA in base ad un
codice genetico quasi universale. Le catene di DNA assumono una forma ad elica nella quale una
base pirimidinica di un filamento si accoppia con una base purinica del filamento opposto (G con C
e A con T) in modo che ciascun filamento è complementare all’altro. La lunghezza dei filamenti
viene misurata in coppie di basi (“base pairs”, bp) e loro multipli (kilobasi, kb; megabasi, Mb).
Principali tecniche di estrazione e purificazione del DNA e del RNA
1. Isolamento del DNA
Il primo passo di qualunque tecnica di biologia molecolare consiste nell’isolare e purificare il
DNA. I dettagli sperimentali variano a seconda del tipo cellulare, dal tipo di esperimento che si
deve effettuare, ecc. In tutti i casi si deve rompere in qualche modo la membrana cellulare e
separare gli acidi nucleici da altri componenti cellulari quali proteine, lipidi, polisaccaridi,
nucleotidi, sali ecc. In generale gli acidi nucleici sono staccati da tutti gli altri componenti cellulari
mediante precipitazione selettiva in soluzioni alcoliche. Generalmente si usano 2 volumi di etanolo
a (-20°C per 15 minuti) o 0,7 volumi di isopropanolo (5 minuti a temperatura ambiente). Dopo la
precipitazione, che viene di solito effettuata in presenza di cationi monovalenti la soluzione viene
centrifugata, asciugata e risospesa in adeguate soluzioni tampone. Una tecnica comunemente
utilizzata per rimuovere il grosso delle proteine dagli acidi nucleici consiste nel trattare la soluzione
acquosa contenente gli acidi nucleici con solventi organici che non si mescolano all’acqua, tipo
fenolo/cloroformio. Emulsionando i due componenti si formano due fasi distinte nelle quali si
partizionano i vari componenti; il DNA nella fase acquosa e le proteine in quella organica. Dopo
aver separato le due fasi per centrifugazione si prende la fase acquosa (fase superiore) avendo cura
di non prelevare né quella inferiore (fase fenolica) né lo straterello intermedio (proteine denaturate),
dove si accumulano la maggior parte delle proteine. Poiché tracce di fenolo, eventualmente rimaste
in soluzione possono inibire trattamenti enzimatici successivi (denaturanando gli enzimi!) di solito
si allontanano le tracce di fenolo con cloroformio, precipitando successivamente gli acidi nucleici
deproteinizzati. In alternativa ai classici metodi di purificazione degli acidi nucleici esistono in
commercio numerosi kit di isolamento e purificazione degli acidi nucleici che rappresentano una
alternativa sempre più utilizzata. Esistono molti prodotti commerciali che garantiscono facilità
d’uso riproducibilità ed elevato livello di purificazione. Si basano essenzialmente sull’utilizzo di:
(1) resine a scambio ionico (scambiatori anionici come la DEAE cellulosa); (2) matrici silicee; (3)
ultrafiltrazione; (4) biglie magnetiche
2. Quantificazione degli acidi nucleici
Prima di utilizzare il DNA negli esperimenti di biologia molecolare o a scopo diagnostico è
necessario valutare la concentrazione degli acidi nucleici nella soluzione con cui lavoriamo.
Esistono due metodi principali: (1) la lettura spettrofotometrica; (2) lo spot test. La determinazione
spettrofotometrica della concentrazione del DNA è il metodo principale, molto accurato. Per avere
una stima attendibile la lettura deve essere compresa tra OD = 0,1 e O.D.= 1. Dai dati di
letteratura relativi ai coefficenti di estinzione molari di soluzioni acquose di acidi nucleici
sappiamo che:
per un DNA a doppio filamento
per un DNA a singolo filamento
per un DNA a doppio filamento
un O.D A260 = 1 corrisponde a 50 µg/ml
un O.D A260 = 1 corrisponde a 33 µg/ml
un O.D A260 = 1 corrisponde a 20 µg/ml
Esempio di calcolo. Da una preparazione plasmidica abbiamo ottenuto 100 µl di concentrazione
incognita.
Diluiamo 25 µl di questa preparazione in 500 µl di H2O (cuvetta da 500 µl)
Leggiamo un OD A260 = 0.53
Metodo 1
1 OD : 50 µg/ml = 0.53 OD :x
x =0.53 x 50 µg/ml =26,5 µg/ml (concentrazione del DNA nella cuvetta)
26,5µg : 1ml = xµg : 0,5 ml
x = 13,25 µg ( quantità totale di DNA nella cuvetta)
13,25 µg /25 = 0,53 µg/µl (concentrazione DNA nel campione)
0,53 µg/µl x 100 µl = 53 µg ( quantità totale DNA nel campione)
Metodo 2
Calcoliamo il fattore di diluizione : 25 µl + 475 µl di H2O = 1/20
La concentrazione del DNA nel campione è uguale a:
0.53 x 50 µg/ml x 20 (fattore di diluizione)= 530 µg/ml (530 ng/µl)
La quantità di DNA totale è 530 µg/ml x 0,1 ml = 53 µg (530 ng x 100 = 53 µg )
La reazione a catena della polimerasi
La biologia molecolare nel laboratorio clinico rappresenta una innovazione che ha modificato
profondamente gli approcci convenzionali alla diagnosi di infezioni virali o batteriche,
all'individuazione di marcatori genetici di malattie ereditarie, di malattie neoplastiche ed
all’accertamento di paternità. Nel campo della Diagnostica Molecolare l'innovazione tecnologica
che ha determinato il salto di qualità è rappresentata dalla tecnica di PCR (Polymerase Chain
Reaction), utilizzata in un numero crescente di laboratori. E’ stata scoperta nel 1984 da Kary Mullis
ed è universalmente riconosciuta come uno dei più grandi progressi recenti per la ricerca. Negli
ultimi 20 anni la tecnica della tecnica PCR per l'amplificazione degli acidi nucleici ha preso sempre
più piede fino a diventare parte integrante del moderno laboratorio di ricerca biologica.
La reazione di PCR è una tecnica enzimatica studiata per amplificare in vitro
una regione specifica di DNA o di RNA a partire da una quantità anche
minima di acidi nucleici, permettendo di ottenere una quantità di acido
nucleico misurabile e caratterizzabile. La miscela di reazione comprende, oltre
al DNA da amplificare, due primers (oligonucleotidi appositamente disegnati
in modo che corrispondano alle estremità che fiancheggiano il tratto di DNA
da amplificare), nucleotidi, DNA polimerasi termostabile. Aumentando la
temperatura della reazione, i due filamenti di DNA si separano; su ciascuno di
essi si posiziona un primer (annealing) che inizia la reazione di copiatura del
DNA complementare (extension), effettuata dalla DNA polimerasi,
utilizzando i nucleotidi presenti e riformando una doppia elica da ciascuno dei
due filamenti. Le nuove doppie eliche vengono di nuovo separate mediante innalzamento di
temperatura e il ciclo di copiatura viene ripetuto per molte volte, fino a raggiungere una quantità di
DNA, uguale a quello iniziale, sufficiente per l’analisi. Ad ogni ciclo di amplificazione, il numero
dei "primers" presenti nel campione da analizzare viene raddoppiato. Mediante la ripetizione dei
cicli di denaturazione,di annealing dei primer e di estensione ad opera della DNA polimerasi, si
ottiene un processo di amplificazione esponenziale secondo le potenze di 2 della sequenza di DNA
bersaglio originariamente presente nel campione. L'andamento esponenziale della reazione fa sì che
il numero delle molecole di DNA o RNA ottenute sia pari a 2n, con n = numero di cicli eseguiti. In
una tipica reazione di PCR in vitro, una stima realistica di amplificazione è tra 105-106 copie di
acido nucleico amplificato, per cui da poche molecole di DNA bersaglio (virtualmente anche una
singola copia di ac. nucleico), si producono milioni di copie di DNA, rendendo tale tecnica
estremamente sensibile e specifica.
Il materiale di partenza, o substrato per l'amplificazione, è il DNA e la reazione è catalizzata dalla
Taq-polimerasi, un enzima termoresistente che svolge la funzione di duplicare l'acido nucleico. È in
grado di catalizzare la sintesi di nuovo DNA in presenza di desossinucleotidi a partire dal breve
frammento di DNA a doppia elica costituito dal primer legato complementarmente alla sua regione
bersaglio. Gran parte degli enzimi di questo tipo presenti in natura vengono distrutti dalle alte
temperature utilizzate nella PCR. Alcuni microrganismi adattatisi ad habitat estremi, come le
sorgenti termali, quali il Thermus aquaticus ed il Pirococcus furiosus, posseggono delle DNA
polimerasi termostabili (Taq polimerasi e Pfu polimerasi).
Naturalmente le variazioni di temperatura necessarie al compimento della reazione ciclica vengono
effettuate automaticamente grazie ad apparecchi detti termociclatori, dotate di piastre la cui
temperatura può essere fatta variare a piacere con grande precisione ed omogeneità. La rivelazione
del DNA amplificato avviene mediante i mezzi più disparati: segnali fluorescenti o colorati per
marcare le sonde, uso di intercalanti, etc.
I termociclatori sono di vario tipo ma la maggior parte di quelli in commercio si basa sull’effetto
Peltier che garantisce variazioni di temperatura in salita e discesa (rampe) molto veloci e quindi
consente cicli di amplificazione estremamente corti. Il range di temperatura varia ma di solito è
compreso tra 4 e 99°C. L’apparecchio presenta una tastiera numerica e un display grafico che
permette in ogni momento la visualizzazione dei programmi in corso e del tempo di reazione. La
maggior parte dei termociclatori in commercio sono dotati di coperchio riscaldato che,
raggiungendo una temperatutra superiore ai 100°C, rende inutile l'aggiunta di olio minerale come
barriera contro l’evaporazione. Un tempo infatti le reazioni di PCR dovevano essere ricoperte di
olio minerale col rischio di diminuire l'efficienza dell’amplificazione e di favorire contaminazioni.
Il numero di termoblocchi all’interno dell’apparecchio varia a seconda del modello: sono in genere
da 1 a 6. Ogni termoblocco permette in genere di alloggiare 96 provette da 0,2 ml oppure 40-48
provette da 0.5 ml o una micropiastra da 48, 96 o 384 pozzetti. Per la PCR “in situ” alcuni
termociclatori possiedono termoblocco piatto che può contenere 4 vetrini da microscopio. E’ molto
importante che i pozzetti del termoblocco aderiscano perfettamente ale provette in modo da
garantire uno scambio di calore immediato ed uniforme, ed una grande omogeneità di temperatura
all'interno di ogni blocco. Esistono infine termoblocchi con funzione “gradiente” che consentono di
creare una variazione lineare di temperatura variabile tra 1°C e 15/20°C. In questo modo in un solo
esperimento si possono testare un certo numero di temperature diverse fino a trovare la tempretaura
di annealing ottimale.
Definizione dei parametri per il ciclo di amplificazione.
Il profilo termico della reazione PCR seve esere determinato accuratamente per evitare la
formazione di bande aspecifiche che potrebbero ostacolare o addirittura impedire ulteriori analisi
(es. sequenziamento, identificazione di mutazioni ecc.) o determinare l’inspiegabile assenza di
amplificato. I metodi più comuni di ottimizzazione includono la titolazione della concetrazione del
magnesio, dello stampo, dei primer, dei dNTP e della concentrazione della Taq polimerasi,
l’aggiunta di detergenti, la riduzione dei cicli di PCR o attraverso una graduale modificazione della
temperatura di annealing.
1. Il DNA stampo. Normalmente vengono utilizzate quantità intorno ai 100 nanogrammi di
DNA stampo. Anche se teoricamente è sufficiente una sola molecola di DNA stampo per
ottenenre la reazione la presenza di meno di 100 molecole rende molto difficile la fase di
screening da parte dei primer poiché la frequenza di incontri tra le due molecole è molto
bassa, mentre la formazione di primer-dimer è molto facile. Quando il DNA è molto diluito
è opportuno ricorrere alla PCR booster o alla PCR hot-start.
2. Denaturazione. Per bersagli < 1 kb denaturare per 1 minuto a 94°C. Se si usano provette a
parete ultrasottile si può ridurre la desaturazione a 30 secondi. Per frammenti più lunghi
occorre aggiungere 1 minuto di desaturazione per kb (30 secondi se si usano provette
ultrasottili).
3. Annealing. La determinazione della temperatura ideale di annealing è forse una delle fasi
più critiche nella ottimizzazione della specificità nelle reazioni di amplificazione. Nella
maggior parte dei casi questa temperatura deve essere testata empiricamente. Per avere una
specificità ideale la temperatura di annealing dovrebbe corrispondere alla più bassa
temperatura di dissociazione fra quelle dei due primer. La PCR normalmente viene eseguita
partendo da una temperatura che è 5°C sotto la Tm calcolata per il primer utilizzato. La
formazione comunque di bande aspecifiche secondarie dimostra che la temperatura ideale è
spesso più alta rispetto a quella calcolata (>12°C). Si suggerisce di utilizzare un tempo di
annealing di 1 minuto ma si può scendere a 30 secondi se il volume della reazione è piccolo
(25 µL) o si utilizzano provette a parete ultrasottile.
4. Numero di cicli. Per mettere a punto uno nuova reazione PCR è opportuno partire da 30 cicli
di amplificazione. Trenta cicli sono normalmente sufficienti per visualizzare il prodotto di
reazione col bromuro di etidio o col Sybr Green. Venticinque cicli sono sufficienti se i
prodotti sono radiomarcati e visualizzati mediante autoradiografia. Increementi di 5 cicli di
reazione per volta possono essere effettuati se la resa è insoddisfacente.
5. Estensione. La Taq DNA-polimerasi è in grado di sintetizzare 1-4 kb al minuto (35-70 basi
al secondo). Per bersagli < 1 kb una fase di estensione di 1 minuto a 72°C è sufficiente. Per
frammenti più lunghi si può aggiungere 1 minuto per ogni kb.
6. Concentrazione dell’enzima. Nella maggior parte dei protocolli si suggerisce di utilizzare
una concentrazione di Taq polimerasi di 0,5 unità per 25 µL di miscela di reazione. In
questo modo l’enzima è il componente limitante della reazione. Concentrazioni superiori a
1,25 unità per 25 µL sono da evitare se si vuole controllare la specificità della reazione. Per
le più recenti DNA-polimerasi termostabili (Pfu) la concentrazione ottimale è diversa e sarà
opportuno seguire i suggerimenti del fornitore.
Per essere certi che venga amplificata solo la sequenza voluta è importante che il termociclatore
raggiunga l'esatta temperatura richiesta. Se tale temperatura non viene raggiunta, si può verificare
l'assenza di prodotto amplificato oppure l'amplificazione di prodotti aspecifici dovuta all’annealing
errato dei primer a causa della temperatura troppo bassa. Una temperatura troppo alta può al
contrario portare alla degradazione della Taq polimerasi e quindi alla riduzione della quantità di
prodotto amplificato. Alcuni termociclatori fanno uso di sonde per la misura della temperatura in
singoli pozzetti anche se ciò non sempre è rappresentativo delle temperature di tutti i pozzetti del
blocco. I sistemi che usano metodi comprovati di calcolo della temperatura sono più efficaci nel
mantenere temperature accurate , particolarmente quando si usano diversi volumi di reazione.
Esempio di protocollo PCR
A. Preparazione della miscela di reazione (x 16 campioni)
Aggiungere i seguenti reagenti in una provetta etichettata “master mix”.
Primer 1 (250 pmoli/µL)
Primer 1 (250 pmoli/µL)
dNTP stock
Buffer 10X
H2O distillata
Taq DNA-polimerasi (5 U/µL)
4 µL
4 µL
40 µL
40 µL
294.4 µL
1.6 µL
2.5 pmoli/µL
2.5 pmoli/µL
200 µmoli/L
1X
0.5 U/25 µL
Vorticare la miscela. Distribuire 24 µL di master mix in ognuna delle 16 provette e centrifugare
brevemente per portare al fondo il contenuto. Quindi aggiungere 1 µL di DNA stampo per provetta.
B. Cicli termici. Impiegare il seguente profilo:
Denaturazione a 94°C
Annealing a Td
Polimerizzazione a 72 °C
1 minuto per kb
1 minuto
1 minuto per kb
I tempi consigliati possono essere ridotti a 30 secondi se si usano provette a parete ultrasottile.
Ripetere il ciclo per un numero di volte compreso fra 20 e 50 e proporzionale al rapporto
primer/stampo.
La PCR a gradiente è una tecnica che permette la determinazione empirica delle condizioni ottimali
di PCR utilizzando il minor numero di passaggi. Questa ottimizzazione può spesso essere raggiunta
in un solo esperimento.
Hot-start. L'amplificazione con “partenza a caldo” (hot start) serve per migliorare l'efficienza di
amplificazione e ridurre i prodotti anomali.. Il metodo isola uno o più componenti della reazione di
PCR fino a che non viene raggiunta una temperatura abbastanza alta. Questo impedisce
l'ibridazione a basse temperature dei primer oligonucleotidici a siti di DNA parzialmente omologhi
e l'allungamento tramite Taq polimerasi. La partenza a caldo può essere ottenuta aggiungendo i
reagenti alle provette di reazione aperte nel termociclatore. Tuttavia ciò dovrebbe essere evitato
perchè aumenta notevolmente il rischio di contaminazione con prodotti di PCR precedentemente
amplificati. La partenza a caldo può essere ottenuta senza aumentare il rischio di contaminazione
includendo i reagenti della PCR in olio di paraffina o legando la Taq polimerasi ad un anticorpo
termolabile, entrambi i sistemi sono disponibili in commercio. Come per qualsiasi analisi clinica
con la PCR, dovrebbero essere impiegate delle barriere fisiche e, in maniera facoltativa, delle
barriere chimiche per impedire la contaminazione dei campioni freschi con prodotti
precedentemente amplificati. In ogni dosaggio dovrebbe venir incluso un campione di controllo
negativo che non contiene DNA stampo per controllare le cross-contaminazioni.
La tecnica PCR consente tra l’altro di evitare il Southern Blotting: in quest’ultima metodica il
DNA da analizzare viene digerito con enzimi di restrizione che permettono di frammentare il DNA
in maniera riproducibile: su ciò si basa la possibilità di isolare il frammento di interesse, cioè quello
che contiene una specifica sequenza. I frammenti di restrizione sono separati per mezzo
dell’elettroforesi; quindi il DNA viene denaturato e trasferito dal gel a un substrato solido (in genere
un filtro di nitrocellulosa), in modo tale da mantenere la posizione che avevano assunto nel gel. Il
filtro viene successivamente messo a contatto con una sonda specifica marcata radioattivamente. I
frammenti che ibridizzano con la sonda possono essere facilmente rilevati mediante autoradiografia.
Con la tecnica del Northern Blotting, invece, si rileva la presenza di specifiche molecole di RNA
messaggero. La molecola di RNA viene separata tramite gel elettroforesi sulla base delle proprie
dimensioni; in seguito viene trasferita a un filtro di nitrocellulosa, il filtro viene messo a contatto
con una sonda marcata e infine viene sottoposto a autoradiografia. Il Northern blot viene utilizzato
per sapere se un dato mRNA è presente in un determinato tessuto e, in caso affermativo, per
conoscere le dimensioni.
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