CANTO E MUSICA NELLA LITURGIA
Un commento al direttorio diocesano
Per comprendere il valore che canto e musica hanno all’interno della celebrazione
liturgica, presentiamo il documento “Canto e musica nella liturgia” – redatto dalla Commissione
di Musica Sacra nel 1994 e che costituisce il Direttorio liturgico-pastorale per la Diocesi di
Bergamo - corredato da opportuni commenti.
1. LE OPPORTUNE PREMESSE
Il documento inizia con alcune fondamentali Premesse che mettono in luce le prerogative
essenziali del canto liturgico. Costituiscono, infatti, i necessari chiarimenti e presupposti di tutto
quanto i numeri successivi del documento espliciteranno.
1.Premesse
Il canto e la musica hanno sempre avuto un ruolo significativo nelle celebrazioni
liturgiche, un ruolo che, andando oltre il dato estetico presente in ogni espressione
artistica dell’uomo, diviene elemento di stupore, di lode e di contemplazione che permette
alla liturgia di poter meglio esplicare la sua finalità: essere “glorificazione di Dio e
santificazione di fedeli” (cfr. SC 10). In questo senso “la musica sacra è parte necessaria e
integrante della liturgia” (SC 112).
La partecipazione attiva alla liturgia, voluta dal Concilio Ecumenico Vaticano II e
concretizzata dalla riforma liturgica, trova quindi una delle sue espressioni efficaci nel
canto dell’assemblea che, tutta e nelle sue singole componenti, è chiamata a dare lode al
Signore e a dire il proprio grazie con “salmi, inni e cantici spirituali” (Ef 5,19).
Il canto acquista in tal modo l’efficacia di un segno visibile dell’esultanza e
dell’implorazione di chi, nella fede, riconosce il mistero di Dio che si rende presente agli
uomini nei segni liturgici, e per questo loda con riconoscenza la misericordia del Padre
che è donata nel Figlio per mezzo dello Spirito Santo.
Aiutare i fedeli ad entrare in questo clima di preghiera, con sobrietà e proprietà, per
orientare e favorire l’apertura al mistero, è compito primario del canto liturgico che,
proprio per questo, deve possedere requisiti teologici e artistici tali da essere degno del
ruolo che svolge in rapporto a ciò che si celebra.
Nascono da queste premesse alcune esigenze fondamentali che debbono essere tenute
presenti a partire dalle norme date dai documenti conciliari e post-conciliari.
Una lettura attenta di questi documenti è necessaria e doverosa per quanti voglio mettersi
al servizio della liturgia attraverso l’animazione musicale.
E' da sottolineare, innanzitutto, il fatto che il ruolo che canto e musica svolgono
all'interno della liturgia parte da un dato puramente estetico - che ogni espressione artistica
dell'uomo ha - ma non si ferma esclusivamente ad esso: l'elemento estetico, infatti, diviene la
base su cui si imposta la possibilità per la liturgia di essere compresa e vissuta come apertura al
Mistero, come contemplazione, come stupore e lode; è in questo modo che la liturgia può
divenire “glorificazione di Dio e santificazione dei fedeli”. Ed è proprio per questo che “la
musica sacra è parte integrante e necessaria della liturgia”; non una parte accessoria, ad
libitum, non più solo “serva” della liturgia (nel senso che il canto debba servire a rendere più
bella la liturgia) ma parte indispensabile a completarne l'efficacia e senza la quale la liturgia è
incompleta.
Un secondo elemento da sottolineare è l'utilizzo del canto come forma di partecipazione
attiva tra le più complete e simboliche. Tutta l'assemblea che canta (e qui per assemblea si
intende anche il presidente, i vari ministri, il coro… ) e che esprime coralmente la propria fede è
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segno visibile di quanti riconoscono che il mistero di Dio si rende presente agli uomini, è segno e
anticipazione di quel canto eterno che riempie la Gerusalemme Nuova, il canto di coloro che
dall'Agnello sono stati redenti.
Per poter essere tale, per favorire il clima di preghiera e di partecipazione, per orientare al
mistero, per poter aiutare la liturgia a meglio esprimere se stessa, ecco che il canto ha bisogno
(nel documento è detto: “deve possedere”, e sottolineo quel “deve” che non è lasciato all’arbitrio
di nessuno) di requisiti teologici e artistici ben precisi e che il documento espliciterà nei numeri
successivi.
Un ulteriore particolare degno di nota è l'elenco posto in nota dei documenti magisteriali
di riferimento, quasi a ribadire che quanto è stato e verrà espresso nel direttorio nasce dalla
precisa ed esplicita volontà legiferatrice della Chiesa e non dalle mode del momento o dalle bizze
di qualcuno. I documenti presi in considerazione sono: la Costituzione Sacrosanctum Concilium
del Vaticano II, l'istruzione Musicam Sacram, l'Istruzione Generale del Messale Romano,
l'Istruzione Generale della Liturgia delle Ore, le Precisazioni della CEI sul Messale Romano
ed.1983, la Nota Pastorale della CEI Il rinnovamento liturgico in Italia.
2. PERCHÉ SI CANTA
NON IL CANTO NELLA LITURGIA MA IL CANTO DELLA LITURGIA
2.UNA FEDE DA CANTARE
2.1
Elementi di riflessione
Il canto sacro, come ogni elemento rituale, è legato anche a motivazioni antropologiche.
Innanzitutto esso trova la sua ragion d'essere nel fatto che contribuisce a costruire la festa,
cioè a far sperimentare in coloro che partecipano al rito il senso della gratuità della vita e
quindi l'apertura al Mistero.
Inoltre, il canto esalta le potenzialità della parola umana; come la poesia, esso conferisce alla
parola un'aggiunta di senso, grazie al ritmo, alle immagini e alla sonorità.
Il canto, infine, è "simbolo" - cioè manifestazione e realizzazione nello stesso tempo dell'unità di coloro che cantano, essendo la propria voce la sola realtà fisica e sensibile che
gli individui possono fondere in unità.
Le motivazioni umane del canto si prolungano nel progetto proprio della celebrazione
cristiana. La liturgia ricorre al canto e alla musica per tre delle sue funzioni essenziali:
a) significare il rendimento di grazie: l'Eucarestia, come anche la celebrazione degli altri
sacramenti e la Liturgia delle Ore, sono azione di grazie e sacrificio spirituale della Chiesa.
Essi vanno celebrati nella gioia e nella festa, delle quali la musica è una forte espressione. Il
ricordo delle meraviglie della salvezza è attualizzato negli inni di lode dei convitati. Il canto
diviene anche simbolo del sacrificio spirituale: colui che loda esce da se stesso e si proietta
con la sua voce verso Colui al quale rende grazie.
b) annunziare il Vangelo: il canto e la musica danno forza alla Parola, nelle letture bibliche,
nel salmi, negli Inni, nei prefazi, nelle litanie di lode, per proclamare apertamente, con libertà
e con gioia le meraviglie di Dio e la buona notizia della salvezza in Gesù Cristo. Essi
amplificano l'effetto della Parola rivelata e ne favoriscono la memorizzazione, l'assimilazione
e la meditazione.
c)sostenere la professione di fede della Chiesa: alla Parola annunciata i credenti riuniti
rispondono con la professione di fede, con suppliche e preghiere di lode, con acclamazioni,
ritornelli, antifone, inni. Allora "Dio abita la lode di Israele" (Sal. 21,4) e Cristo è "presente
quando la Chiesa prega e canta i salmi" (SC 7). Il canto dunque permette all'assemblea di
esprimere e visibilizzare il proprio credo che è quello della Chiesa.
Pertanto la celebrazione liturgica, da un lato, assume i diversi significati umani del canto,
dall'altro li prolunga, li completa e ne realizza il senso più profondo di parola totale ed
efficace, di comunione e di festa.
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Questi elementi di riflessione vogliono aiutarci a rispondere alla domanda: “Perché
cantiamo nella liturgia?”.
La risposta parte dalle considerazioni che l'antropologia culturale, l'etnologia musicale e
la sociologia religiosa offrono per la comprensione del problema. In tutte le culture c'è un canto
“religioso”, “sacro”, “rituale”, un canto con caratteristiche specifiche ed uniche, un canto che
assume e comprende tre elementi principali: il senso della festa, l'esaltazione della parola umana,
il carattere simbolico in riferimento all'unione-unità dei partecipanti.
Queste tre motivazioni basilari comuni a tutte le culture religiose, trovano un
prolungamento, un approfondimento nello specifico progetto della celebrazione cristiana che le
adegua alle esigenze teologiche e rituali proprie. Ecco allora che dal primo elemento, il senso
della festa, scaturisce la funzione del “significare il rendimento di grazie” proprio della
celebrazione cristiana dei Sacramenti - in particolare dell'Eucaristia - e della Liturgia delle Ore.
Dalla capacità della musica e del canto di esaltare la parola umana per conferirle
“un’aggiunta di senso grazie al ritmo, alle immagini e alla sonorità”, nasce la funzione liturgica
dell’“annunziare il Vangelo” sia in senso stretto (l’antica cantillazione permetteva la
memorizzazione e quindi la meditazione personale dei testi in tempi in cui la cultura era
prevalentemente trasmessa oralmente) sia in senso lato, per la ripresa in canto di temi o pagine
bibliche, per l'eucologia (orazioni, prefazi ... ), per tutto ciò che permette l'annuncio della Buona
Novella e la sua diffusione nel mondo.
Infine, dalla capacità simbolica che canto e musica hanno in riferimento all'unione-unità
di chi si esprime attraverso di essi, ecco scaturire la terza funzione: “sostenere la professione di
fede della Chiesa”, permettere cioè, di esprimere e rendere visibile il credo comunitario, facendo
di un insieme di individui i sia pure radunati per i medesimi intenti, una comunità di credenti.
Gli elementi di riflessione sopra esposti costituiscono la base e sono l’origine teorica di
alcune applicazioni concrete:
2.2 Orientamenti pastorali
- Nella scelta dei canti si ricordi che i testi devono esprimere il messaggio di fede e devono
fare riferimento al mistero celebrato e all'azione liturgica svolta. Secondo la tradizione
liturgico-musicale della Chiesa si dia la precedenza a quelli tratti dalla Sacra Scrittura.
- In luogo di alcuni canti indicati dai libri liturgici (antifone d'ingresso, di comunione,
inni) "si possono usare canti adatti all'azione, al momento e al carattere del giorno e del
tempo purché siano approvati dalla Conferenza Episcopale nazionale o regionale o
dall'Ordinario del luogo" (cfr IGMR 25 e 26).
- Non si inseriscano al posto dei canti rituali (ad es. Gloria, Santo e padre Nostro) testi
parafrasati, ma ci si attenga esclusivamente ai testi liturgici ufficiali.
Come si può arguire, tali orientamenti non sono nulla di nuovo; vi possiamo ritrovare
disposizioni generali già in vigore (forse, però, mai lette né tantomeno applicate) e presenti nei
vari documenti ufficiali. Vengono ribaditi alcuni punti fermi da cui non si può prescindere se si
vuole dare efficacia pastorale al canto liturgico. E l'efficacia pastorale non sta nel “cantare tanto
per cantare” o nel “cantare per far fare qualcosa alla gente”, oppure nel “cantare per riempire dei
buchi”, o nel “cantare per tenere insieme un gruppetto di ragazzi”. L'efficacia pastorale del canto
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sta nell'essere esso stesso liturgia, sta nel far convergere il canto all'azione liturgica e alle sue
dinamiche, ai suoi contenuti, alle sue strutture linguistiche, alla sua spiritualità. Il canto, cioè,
sarà pastoralmente efficace quando sarà un tutt'uno con ciò che si celebra.
Il primo di tali orientamenti fa riferimento ai testi dei canti. La verifica del testo deve
essere la prima preoccupazione nella scelta di un brano. Sempre deve trattarsi di un testo
dottrinalmente sicuro, non ambiguo, non di vaga religiosità, ma capace di dare un chiaro
messaggio di fede (cattolica s'intende!). Inoltre il testo deve fare riferimento al contenuto de1la
celebrazione. Quando non si tratta di un testo già codificato dai libri liturgici, come nel caso dei
canti rituali (un tempo detti Ordinario), è indispensabile che esso abbia un aggancio logico e
letterale o per immagini, ai contenuti della celebrazione o del tempo. Questo richiamo serve a
dare maggiore spessore al contenuto e al messaggio liturgico, per non creare giustapposizioni,
contrasti o divergenze tra esso e ciò che si canta.
Nel primo degli Orientamenti pastorali si afferma anche di dare la precedenza ai testi
tratti dalla Sacra Scrittura, secondo la tradizione liturgico-musicale della Chiesa. Infatti,
possiamo considerare un modello di riferimento per tale lavoro, l'opera svolta nei secoli per la
formazione del Messale. Ogni celebrazione è stata dotata di testi (antifone d'ingresso,
d'offertorio, di comunione, graduali, canti al Vangelo... ) che hanno offerto la base per le
composizioni confluite in quello che è chiamato repertorio gregoriano, repertorio ufficiale della
liturgia cattolica. La scelta dei testi, quasi esclusivamente biblici, nasce da una attenta
meditazione della Parola di Dio e dei misteri liturgici, per trovarvi corrispondenze e reciproca
illuminazione. Alla base del Messale non sta una azione casuale, ma un'azione scaturita dalla
dimensione contemplativa della liturgia e dalle sue stesse esigenze. Ecco perché nel canto
gregoriano noi assistiamo alla massima e completa fusione tra parole-rito-musica. Lo stesso
dinamismo lo dobbiamo attuare noi, chiamati a dare corpo ad un repertorio di canti nuovo ed in
lingua italiana. Non si sceglie a caso, ma guidati dalla liturgia, la quale scaturisce da secoli di
vita cristiana, di fede, di meditazione delle Sacre Scritture. Ecco perché la preferenza va
accordata ai testi biblici, anche per essere in sintonia con quella ininterrotta tradizione e per
riscoprire una sorgente inesauribile da cui possa nascere e nutrirsi la nostra preghiera liturgica.
Scaturisce da queste osservazioni il secondo orientamento pastorale che riprende una
normativa del Messale (purtroppo puntualmente inosservata) che concede l'utilizzo di altri canti
rispetto a quelli del Messale “purché siano approvati dalla Conferenza Episcopale nazionale o
regionale o dall’ordinario del luogo”.
La preoccupazione che la liturgia in tutte le sue parti rispecchi sempre l'affermazione “Lex
orandi statuit lex credendi” così che nella liturgia si ritrovi tutta e sola la norma della fede, ha
portato la chiesa a vigilare costantemente sui testi in uso nei riti affinché questi non contenessero
errori, devianze o parzialità riguardo alla dottrina cattolica. Da qui l'abbondanza di testi biblici,
come abbiamo già evidenziato. Per testi diversi da quelli tratti dalla Sacra Scrittura, la prudenza
della Chiesa ha sempre vincolato l’uso alla previa approvazione dell'autorità competente, la sola
che può legiferare in campo liturgico: “Regolare la sacra Liturgia compete unicamente alla
autorità della Chiesa, la quale risiede nella Sede Apostolica e, a norma del diritto, nel Vescovo.
In base ai poteri concessi dal diritto, regolare la Liturgia spetta, entro limiti determinati, anche
alle competenti assemblee episcopali territoriali di vario genere legittimamente costituite. Di
conseguenza nessun altro, assolutamente, anche se sacerdote, osi di sua iniziativa, aggiungere,
togliere o mutare alcunché in materia liturgica” (SC 22). Da questa perentoria affermazione del
Concilio Vaticano II scaturisce la normativa, tuttora vigente, che consente l'utilizzo di altri canti,
diversi da quelli indicati nei libri liturgici, “purché siano approvati dalla Conferenza Episcopale
nazionale o regionale o dall'Ordinario del luogo.” (Cfr. l'Istruzione generale del Messale romano
nn. 26 e 56). Quanto questa precisa condizione sia stata rispettata nel. recente passato e lo sia nel
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presente è sotto gli occhi, o sarebbe meglio dire è negli orecchi, di tutti! A riprova di ciò ecco
uno scritto del Cardinale Giacomo Biffi, arcivescovo di Bologna, nel quale si stigmatizzano testi
di alcuni canti: “Vorrei richiamare i pastori d'anime a un maggior senso critico nei confronti dei
testi da cantare durante la messa. Non tutti - anche tra quelli che possono ritenersi lodevoli e
suggestivi - sono adatti all'Eucaristia. Ad esempio, non vorrei mai ascoltare durante la messa la
preghiera contenuta nel Quinto Evangelio di Pomilio: «Cristo non ha mani...», perché non è
«vera» e può comunque indurre a opinioni errate sulla reale esistenza del Cristo vivo. Né: «La
tua porta sarà chiusa... per il grande della storia» perché non è «vera»: e in ogni caso bisogna
cantare la misericordia del Padre e non le nostre antipatie sociologiche. Né: «Noi non sappiamo
chi era, noi non sappiamo chi fu…» e altri canti simili a questi.”
Il terzo degli orientamenti pastorali di cui stiamo parlando vieta la introduzione di testi
parafrasati al posto dei canti rituali, come ad esempio il Gloria, il Santo ed il Padre nostro, e
impone l'utilizzazione esclusiva dei testi liturgici ufficiali. Da qualche parte, infatti, è invalso
l'uso di sostituire tali testi con canti che ne sono una più o meno fedele parafrasi o con brani che
si avvicinino un poco quanto a senso o a contenuto. Così la preghiera del Signore lascia il posto
ad un canto che di simile ha solo le prime due parole del titolo (Padre nostro ascoltaci) e qualche
espressione sparsa qua e là, ma che è ben lontana dalla preghiera che è il modello di ogni altra
preghiera, per la quale e solo per essa siamo “obbedienti alla parola del Salvatore e formati al
suo divino insegnamento”; cosi la “Laus angelica magna”, inno tra i più antichi e venerabili
tramandatici, per il solo fatto di essere un l'inno di lode viene sostituito con un canto il cui testo
laudativo più o meno si avvicina (e quasi sempre meno che più) a quello liturgico. Quanto questo
comportamento sia fuori da ogni logica (non dico da ogni regola) liturgica si vede da sé. Forse
che le “ipsissima verba Christi” che i Vangeli ci hanno tramandato, che le comunità cristiane
hanno gelosamente custodito, che sono state fonte di meditazione e di trattati per i Padri della
Chiesa e per i maestri di spirito di tutti i tempi, siano diventate insufficienti agli occhi e agli
orecchi del Padre comune tanto da dover essere espressi in altra forma? Forse che tale testo non
sia più attuale o espresso in maniera comprensibile?
Un discorso a parte meriterebbe il caso inerente la Professione di Fede, il Credo, la cui
normatività dogmatica scredita “ipso facto” chiunque lo sostituisca, ma l’evidenza dei problemi
che tale stravolgimento testuale suscita è sufficiente a delineare la gravità dell'infrazione.
3. CHE COSA SI CANTA
NON LE PAROLE MA LA PAROLA, NON IL RUMORE MA LA MUSICA
La terza parte del Documento ha come titolo “Un repertorio da vivificare”. Essa si
preoccupa di identificare alcuni criteri per la valutazione musicale ed il corretto inserimento nella
struttura celebrativa dei canti che formano il repertorio.
3. UN REPERTORIO DA VIVIFICARE
3.1 Elementi di riflessione
Un repertorio di canti resterà "lettera morta" per una comunità, quando esso non sarà in
grado di aiutare l’assemblea ad una celebrazione più vera, dove ogni intervento è pensato
in rapporto alle caratteristiche della celebrazione, al ritmo celebrativo, alla pluralità di
attori musicali, di interventi e di forme, alla conformazione stessa dell'assemblea. La
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musica può essere al servizio di un popolo che canta e celebra il suo Dio perché è radicata
profondamente nella natura e nella cultura dell'uomo, ma anche e soprattutto perché è
armoniosamente integrata nell'azione liturgica, la quale ha le sue proprie leggi e le sue
articolazioni. Pertanto non ogni canto e non ogni musica sono adatte alla liturgia e non
ogni brano di musica sacra è adatto ad ogni momento della celebrazione e ad un
determinato tempo liturgico.
Gli elementi di riflessione del terzo paragrafo mettono in evidenza la necessità che il
canto e la musica contribuiscano a rendere “più vera” la celebrazione liturgica. Non è solo la
bellezza di un brano o la profondità del testo a far sì che tale composizione contribuisca in modo
degno alla liturgia, ma soprattutto il fatto che essa sia strettamente legata alla struttura della
celebrazione, al suoi contenuti: “armoniosamente integrata nell'azione liturgica la quale ha le
sue proprie leggi e le sue articolazioni”. E la prima legge della liturgia riguarda la verità dei
segni posti. Proprio questa legge ci impedisce di cantare tanto per cantare e ci invita invece a
pensare ogni intervento musicale “in rapporto alle caratteristiche della celebrazione, al ritmo
celebrativo, alla pluralità di attori musicali, di interventi e di forme, alla conformazione stessa
dell'assemblea”, perché la liturgia esprima in un tutto omogeneo il messaggio particolare di cui
ogni celebrazione è carica.
Ecco perché “non ogni canto e non ogni musica sono adatte alla liturgia e non ogni brano di
musica sacra è adatto ad ogni momento della celebrazione ed ad un determinato tempo
liturgico”.
E' necessario che ogni animatore musicale pensi la celebrazione come un tutto omogeneo,
dove ogni singola parte, esaltata o meno dalla musica, si integri e si innesti perfettamente con
l'altra, assecondando un giusto ritmo celebrativo che impedisce gli eccessi musicali (ad esempio:
un Kyrie ed un Gloria. spropositatamente lunghi, cantati in successione, contrapposti ad una
preghiera eucaristica dove si canta a malapena un Santo striminzito) o la omogeneità di forme
musicali (ad esempio: eseguire tutti i canti nella forma del corale oppure tutti canti responsoriali)
o che affida solo a pochi (leggi schola cantorum) l'esecuzione di tutti i brani che si è deciso di
cantare.
Operando in questo senso si renderà vivo un repertorio, che altrimenti corre il rischio di
essere pure un bel repertorio ma vuoto di significato liturgico.
3.2 Orientamenti pastorali
- Nell’operare la scelta, oltre al criterio esposto precedentemente circa la qualità dei testi,
occorre verificare la componente musicale a partire da queste condizioni:
* deve essere autentica musica; questo comporta che sul piano proprio dell’arte musicale il
brano possieda caratteristiche di correttezza formale e di una certa bellezza compositiva;
* deve possedere un linguaggio musicale religioso, capace cioè di mediare il rapporto tra
l’uomo e Dio, un linguaggio legato certamente al proprio contesto culturale o epocale, ma
non per questo privò di connotati propri e appartenenti ai generi musicali utilizzati dalla
liturgia (acclamazioni, salmi, cantici, inni, litanie, invocazioni, antifone);
* deve esprimere questa dignità artistica e questa religiosità su un piano funzionale, proprio
dell’evento liturgico, perché "la musica sacra sarà tanto più santa quanto più strettamente
sarà unita all’azione liturgica" (SC 112). Per essere efficace il "segno" sonoro dovrà
effettivamente corrispondere alla realtà liturgica celebrata, sia per quanto riguarda il testo,
sia per quanto concerne la forma musicale. In questo senso il canto non sarà un puro
ornamento esteriore dei riti, né un riempitivo, ma sarà elemento necessario per rendere viva
e partecipata la celebrazione.
* Gli interventi musicali siano pensati secondo un progetto generale della celebrazione,
distinguendo tra liturgie feriali e festive e caratterizzando ciascun periodo dell’anno
liturgico. Tali interventi possono andare da un minimo irrinunciabile anche per le messe
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feriali (Alleluia e Santo) ad un massimo che comprende tutti gli interventi possibili. Tra
questi due estremi sono comprese tantissime possibilità; sarà compito dell’animatore del
canto, d’accordo con il presidente dell’assemblea e il gruppo liturgico, valutare quali
elementi sottolineare con il canto.
- Le messe domenicali e festive siano tutte veramente tali, superando la concezione ancora
presente nella nostra Diocesi di un’unica messa "cantata" o "solenne" contrapposta alle altre
messe "lette".
Gli Orientamenti pastorali del terzo paragrafo elencano una serie di criteri per la
valutazione del. repertorio a partire dalla componente musicale. Sono quei criteri che, se
applicati, ci permettono di celebrare una liturgia viva e vera, come abbiamo già specificato.
Il primo dei criteri riguarda la validità musicale del brano, in particolare la “correttezza
formale” e la “bellezza compositiva”. Non ci si stancherà mai di raccomandare questi due
elementi, indissolubilmente legati alla validità della proposta. Con correttezza formale
intendiamo riferirci alla applicazione delle regole del comporre musicale, regole così spesso
inapplicate anche in tanti canti che vanno per la maggiore nelle nostre chiese per il semplice fatto
che il cosiddetto “compositore” tale non è. Per comporre musica non serve solo l'orecchio, ma
occorre essere veri musicisti, e per essere musicisti occorrono anni di studio e non solo una
semplicistica buona volontà; per essere compositori, poi, è necessario possedere doti naturali
sviluppate anch’esse con uno studio serio e assiduo.
Una interessante rassegna di problemi sollevati a livello di repertorio carente da un punto
di vista della correttezza formale la possiamo trovare in un interessantissimo articolo pubblicato
dalla Rivista Internazionale di Musica Sacra nel numero 3-4 del 1992: Bruno Meini, Il canto
dell’assemblea nelle celebrazioni liturgiche: riflessioni e proposte di un ascoltatore curioso.
Da ascoltatore curioso ma soprattutto da musicista, l'articolista analizza spietatamente le gravi
lacune di canti famosissimi, mettendo in evidenza l'imperizia (e in qualche caso meglio sarebbe
dire la crassa ignoranza) musicale dei presunti compositori. L'analisi viene estesa agli elementi
ritmici, alla simbiosi testo-melodia, agli aspetti armonici, fino a rilevare tracce melodiche prese
di sana pianta dal repertorio classico profano o addirittura dal rock: “Il mio bacio è come un
rock”, canzone lanciata da Celentano nel 1959!!!
Il secondo criterio di verifica della componente musicale di un canto, esposto negli
orientamenti pastorali del terzo paragrafo riguarda la necessità che il linguaggio, oltreché essere
musicalmente valido e corretto, debba essere anche religioso. E subito viene specificato in cosa
consiste questa religiosità richiesta: “capace, cioè, di mediare il rapporto tra l’uomo e Dio, un
linguaggio legato certamente al proprio contesto culturale o epocale, ma non per questo privo di
connotati propri".
Esiste una musica religiosa? Esiste la musica religiosa? 0 tutta la musica è religiosa di
per se stessa? Questione assai dibattuta e che fa il paio con l'altrettanto dibattuta questione del
“sacro”. C'è, infatti chi sostiene che non esiste il sacro come non esiste il profano, e ciò in tutti
gli ambiti, compreso quello musicale. Non è questo certo il luogo per dibattiti teologici o
disquisizioni semantiche; a tali affermazioni rispondiamo esclusivamente rimandando ai
documenti ecclesiastici e liturgici i quali espressamente parlano di “musica sacra”, “musica
religiosa”, “musica per la liturgia” delineandone ambiti, competenze e caratteristiche ben precise.
In secondo luogo possiamo argomentare con un esempio: quando ascoltiamo, anche solo di
sfuggita e non intenzionalmente, un brano di canto gregoriano, quale realtà esso ci richiama,
volenti o nolenti? Quale dimensione del nostro essere viene stimolata se non quella spirituale?
Questione di formazione e di cultura si dirà. Certo che è questione di cultura, o meglio è anche
questione di cultura: alle popolazioni africane il canto gregoriano, tanto per rimanere
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nell'esempio, può non dire nulla, ma a noi fa questo effetto, proprio perché è un fatto culturale
condiviso non solo da alcuni, ma da tutti.
Oltre al legame al contesto culturale o epocale (anche se alcune costanti si possono
rilevare al di là del tempo di formazione e si pongono in un certo senso trasversalmente rispetto
all'asse cronologico, divenendo appunto delle costanti “sovratemporali”) vengono evidenziati
anche i connotati “propri e appartenenti ai generi musicali utilizzati dalla liturgia” e da essa
richiesti, aprendo cosi il discorso circa la funzionalità della musica sacra che è tale proprio
perché “liturgica”.
Il terzo criterio di verifica della componente musicale di un canto, infatti, riguarda la
“funzionalità” del brano rispetto alle esigenze rituali. Non si tratta di un criterio pragmatista, un
criterio cioè che si limita a verificare l'inserimento del canto o la sua durata, oppure se
l'esecuzione è affidata ad un attore musicale piuttosto che ad un altro. Si tratta invece del criterio
che indica le condizioni per le quali “la musica sacra sarà tanto più santa quanto più
strettamente sarà unita all’azione liturgica”. Il concetto di musica sacra non è un concetto
ipostatizzato, qualcosa di valido universalmente e a prescindere da qualsiasi condizione; la
musica sacra non è tale ipso facto, ma solo se c'è corrispondenza tra segno sonoro e la realtà
liturgica celebrata, una corrispondenza che riguarda e scaturisce nello stesso tempo dal testo e
dalla forma musicale, i quali devono nutrirsi e nutrire allo stesso tempo la celebrazione liturgica.
In questo caso, “il canto non sarà un puro ornamento esteriore dei riti, né un riempitivo”, un
occupare il tempo liturgico facendo altro rispetto alla azione liturgica, ma sarà l'elemento
necessario per rendere viva e partecipata la celebrazione.
Un esempio chiarificatore: il problema del Sanctus. La normativa liturgica ed anche il
senso di quella particolare azione liturgica che è il Santo affermano che tale canto deve essere
eseguito da tutta l'assemblea oppure dal coro ma sempre senza escludere l'assemblea. Nessuno
dubita che i Sanctus delle messe composte da Perosi o da Palestrina non siano “musica sacra”,
ma, dal momento che escludono di fatto il canto dell’assemblea - e questo ovviamente senza
colpa alcuna e senza diminuirne il valore o la portata storica nella evoluzione musicale - non
sono “ipso facto” musica per la liturgia, o meglio non lo sono più, perché contravvengono alla
struttura stessa della liturgia e alla funzione particolare che il Sanctus è ora chiamato a svolgere
in questo particolare e attuale modo di celebrare la liturgia.
Gli ultimi due suggerimenti mettono in luce l'esigenza di darsi un progetto generale
anche per quanto riguarda il canto liturgico, progetto che deve essere costruito a partire da quello
della tipologia celebrativa, progetto che, inoltre, deve prendere in considerazione ciascun periodo
dell'anno liturgico. Una progettualità seria dovrà partire dal repertorio già in uso e valutarne le
lacune per poter programmare l'inserimento di nuovi canti; dovrà considerare la presenza o meno
dello schola; dovrà valutare gli elementi che di volta in volta si dovranno mettere in evidenza per
mezzo del canto.
Tale progettualità è opportuno che parta dalla considerazione della diversificazione tra
liturgia feriale e festiva, perché le prime siano veramente feriali, distinguendosi anche per
numero di canti e carattere dei medesimi, mentre le festive siano efficacemente segnate da una
maggior ricchezza del canto, tale da far percepire il carattere di Pasqua settimanale.
Corriamo spesso il rischio, infatti, di appiattire ogni celebrazione applicando il medesimo
schema di esecuzione: canto di ingresso, canto al Vangelo, canto d'offertorio, canto di
comunione, canto finale (il Santo “è meglio tralasciarlo perché sennò si allunga la Messa”! Tale
obiezione, udita con i miei orecchi, la dice lunga sui criteri che vigono nelle nostre comunità
circa la scelta di cosa si deve o si può cantare). Il criterio della solennizzazione progressiva
esposto in Musicam Sacram mette in risalto l'esigenza imprescindibile di dare un diverso
spessore musicale alte celebrazioni a seconda del. fatto che siano ferie, memorie, feste e
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solennità, che ricorrano in settimana o che siano celebrazioni domenicali. Tale criterio ci
permette di partire da un minimo irrinunciabile anche per le messe feriali, minimo che è
costituito dai due elementi che devono sempre essere cantati, l’Alleluia e il Santo, fino ad un
massimo che comprende tutti gli interventi possibili, in modo particolare i canti rituali del
celebrante. Tra questi due estremi sono comprese tantissime possibilità; verissimo in teoria, ma
nella pratica delle nostre comunità?
4. CHI CANTA
NON TUTTO A TUTTI MA A CIASCUNO IL SUO
Il quarto capitolo del Documento “Il canto e la musica nella liturgia” ha come titolo “Un
ministero da espletare”. Gli elementi di riflessione ci aiutano a comprendere in che misura si
parla di ministerialità del canto e della musica in riferimento alla liturgia.
4. UN MINISTERO DA ESPLETARE
4.1 Elementi dì riflessione
Il canto e la musica nella liturgia si pongono, accanto ad altri segni, al servizio dell'azione
liturgica per contribuire, come già detto, a realizzarne il duplice scopo: la glorificazione di
Dio e la santificazione dei fedeli. Da qui il preciso compito ministeriale che canto e musica
assumono: il loro specifico non si può ridurre né a puro piacere estetico né a generica
elevazione religiosa.
Questo carattere ministeriale si esprime anche nella pluralità dei ministeri che il canto nella
liturgia esige, contribuendo a dare specificità al ruolo che ognuno nella celebrazione
ricopre: sacerdote, presidente e diacono, assemblea, coro, solisti, direttori e strumentisti.
4.2 Orientamenti pastorali
- Sarà dovere del celebrante e del diacono intervenire, secondo le proprie capacità e tenendo
conto del contesto celebrativo, nel canto delle parti che loro spettano, soprattutto dei
dialoghi con l'assemblea, del prefazio, delle ora7ioni, del Vangelo, della preghiera
universale.
L'assemblea liturgica sia educata al canto delle parti che le sono strettamente proprie: in
modo particolare le risposte ai dialoghi con il celebrante, le acclamazioni al Vangelo, le
risposte alla preghiera universale, il Santo, le acclamazioni di anamnesi, l'Amen al termine
della preghiera eucaristica.
Il coro, che è parte dell'assemblea liturgica, si pone al servizio della stessa, sostenendone il
canto, anche in dialogo e alternanza, favorendo così la partecipazione attiva dei fedeli.
Esso, inoltre, educa e aiuta l'assemblea ad una partecipazione attraverso l'ascolto e la
preghiera interiore, eseguendo quelle parti che possono essergli proprie e che la ricchezza
della tradizione musicale sacra ha tramandato. In particolare l'istruzione Generale del
Messale Romano affida alla Schola la possibilità di eseguire: il canto d'ingresso, il Gloria, il
salmo tra le letture, il canto di offertorio e il canto di comunione (cfr. IGMR 26, 31, 36, 50,
56). La Schola, però, non deve sostituire l'assemblea nel canto delle parti che le spettano.
In questo senso sono da escludere le celebrazioni nelle quali tutte le parti sono cantate dal
coro. Quanto si è detto sopra vale per i cantori solisti, in particolare per coloro che hanno
un proprio compito specifico da svolgere nella liturgia, come il salmista; il ministero del
cantore solista è da valorizzare per il canto dei salmi e di quelle parti in cui la parola cantata
assume particolare importanza, come nelle invocazioni dell'atto penitenziale, della litania di
frazione (Agnello di Dio), nelle altre forme litaniche. Il direttore del coro e l'animatore del
canto dell'assemblea, l'organista e gli altri strumentisti, nella consapevolezza di svolgere un
ben preciso ministero all'interno della celebrazione, dovranno caratterizzarsi per un
atteggiamento di fede, senso del servizio, nonché per sensibilità liturgica.
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Anche gli strumenti musicali hanno un importante ruolo nella celebrazione liturgica, sia che
accompagnino il canto sia che suonino da soli (Cfr. MS 62). Fra gli strumenti musicali
nella liturgia l'organo a canne ha un posto preferenziale, sia per una lunga tradizione, sia per
le intrinseche potenzialità musicali anche per sostenere il canto del coro e dell'assemblea
(Cfr. SC 116). Altri strumenti sono consentiti purché adatti all'uso liturgico e non siano,
secondo il giudizio e l'uso comune, propri della musica profana (Cfr. MS 63. Tali possono
essere ad esempio la fisarmonica, la batteria, la chitarra elettrica, ecc.). Tale
discernimento è comunque legato più all'uso concreto che si fa degli strumenti e al
repertorio da essi esigito, che alla loro natura.
Ogni comunità parrocchiale si impegni nella formazione del coro, del direttore,
dell'organista e dell'animatore del canto dell'assemblea. Per tale formazione, in particolare
per lo studio del canto e dell'organo, è auspicabile che ci si avvalga della competenza
pluridecennale della scuola musicale diocesana Santa Cecilia.
C'è, innanzitutto, una ministerialità intrinseca dell’aspetto musicale nei confronti della
liturgia: il canto e la musica si pongono, accanto ad altri segni, al servizio della azione liturgica
per contribuire a realizzarne il duplice scopo: la glorificazione di Dio e la santificazione dei
fedeli. E' in questo duplice intendimento che si definiscono i compiti ed i limiti della musica
nella liturgia. Quando il canto deborda da questi limiti diviene fine a se stesso e quindi nuoce
all'azione liturgica: ecco perché lo specifico della componente musicale non si può e non si deve
ridurre “né a puro piacere estetico, né a generica elevazione religiosa”.
Questi elementi sono certo parte del concetto di musica per la liturgia (la musica deve essere
anche bella, esteticamente efficace e capace di aprire gli animi alla comprensione del Bello e del
Vero) ma non lo esauriscono, perché una musica può essere bella fin che si vuole, ma se è
inserita malamente in un contesto liturgico e se stravolge l'azione liturgica stessa, essa ne diviene
un corpo estraneo, non serve la liturgia, non si pone nell'ottica della ministerialità, ma assume un
ruolo che non le compete, una importanza eccessiva e decisamente fuorviante perché, in
definitiva, essa finisce per celebrare se stessa e non l'evento.
Non è certo un discorso facile da comprendere, né tantomeno da realizzare, data la labilità
dei confini di definizione e di attuazione; il dato soggettivo e la lettura storico-culturale vengono
a incrementare tali difficoltà.
Un secondo aspetto che riguarda il concetto di ministerialità in riferimento al canto liturgico
è quello della pluralità dei ministeri che canto e musica esigono. Non utilizzo a caso questo
verbo così forte, perché tutti i libri liturgici parlano di numerosi e differenziati ministri musicali
che esprimono il proprio partecipare all'assemblea liturgica attraverso il canto. Anzi, dal
momento che tutta la liturgia è nata nel canto e con il canto, possiamo affermare che tutti coloro
che partecipano alla celebrazione sono ministri di diritto e di fatto anche in ciò che concerne il
canto.
Possiamo anche dire che proprio attraverso il canto si contribuisce a dare specificità al
ruolo che ognuno nella celebrazione ricopre: presidente (sacerdote o diacono nei casi consentiti),
diaconi, assemblea, coro, lettori, salmisti, solisti, direttori del coro e del canto dell'assemblea,
organisti e strumentisti vari. Come si può notare i soggetti chiamati a cantare e quindi a
partecipare alla liturgia cantando sono numerosi e ben differenziati: ciascuno ha un suo ruolo da
svolgere senza prevaricare il ruolo dell'altro o degli altri componenti.
Sono da evitare in modo perentorio le assolutizzazioni dei due estremi: canta solo il coro,
canta solo l'assemblea. Purtroppo assistiamo a questa contrapposizione radicale anche in alcune
parrocchie della nostra diocesi, contrapposizione causata dalla mal comprensione o addirittura
dall'ignoranza circa le esigenze musicali della liturgia odierna, sia da parte del clero (deve cantare
solo l'assemblea) sia da parte dei direttori di coro (dobbiamo cantare solo noi, almeno nelle
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solennità più importanti). Mi si esoneri dal citare casi concreti di dissidio nei quali il coro, per
un aspetto o per l'altro, è al centro della singolar tenzone, ma non posso esimermi dal ripetere che
nella liturgia c'è posto per tutti, coro e assemblea. Il punto necessario di verifica è, semmai,
quello di una giusta ed equilibrata distribuzione degli interventi e dell'uno e dell'altra.
Dopo aver presentato alcuni elementi di riflessione circa la ministerialità del canto nella
liturgia e circa la pluralità di ministeri, il documento diocesano che stiamo passo passo
esaminando indica alcuni “Orientamenti pastorali” perché tale ministerialità possa realmente
esplicarsi.
Vengono passati in rassegna i vari ministri dell'azione liturgia evidenziandone il
particolare ruolo musicale, il “ministero proprio” ed il contenuto di tale ruolo ( ciò che tale
ministro deve o può cantare e ciò che non deve o non può cantare). Sembrerebbe a prima vista
una inutile e pedissequa elencazione di possibili interventi, ma, stando alla situazione concreta
delle nostre assemblee tale elenco non pare inutile, anzi mette in evidenza le lacune presenti nel
nostro cantare la liturgia ed alcuni soprusi ancora in atto.
Innanzitutto il sacerdote presidente dell’assemblea liturgica ed il diacono eventualmente
presente. Anch’essi hanno delle parti proprie che, se cantate, contribuiscono ad una maggior
incisività, ad un maggior peso della parola liturgica. E’ importante riprendere tale funzione
musicale della parola presidenziale, se non in tutto ciò che è possibile (quanti preti cantano nella
preghiera eucaristica le parole dell'Istituzione come suggerito dal Messale?) almeno nelle
orazioni e nel prefazio, che per il loro andamento lirico e solenne più si prestano a tale forma.
Certo, anche gli orientamenti pastorali sottolineano l'intervento musicale dei ministri ordinati
“secondo le proprie capacità e tenendo conto del contesto celebrativo”, ma è in atto non dico un
ripensamento, ma almeno una verifica delle reali possibilità di tale canto da parte dei nostri preti?
In secondo luogo vengono presi in considerazione gli interventi dell'assemblea previsti
dal Messale Romano, il quale li indica come “propri” o “strettamente propri”. L'elencazione
mette ancora una volta in evidenza la difformità della nostra prassi da quanto invece suggerito
dalla liturgia stessa, e cioè il fatto che le nostre assemblee si sono abituate a cantare parti che
possono essere affidate al coro (i canti processionali di ingresso, di offertorio, di comunione)
trascurando le parti specifiche dell’assemblea (le risposte al celebrante, le acclamazioni al
Vangelo, le risposte della preghiera universale, il Santo, il mistero della fede, l'Amen della
dossologia, il Padre nostro)
Dopo aver elencato le parti che competono al celebrante e all'assemblea gli Orientamenti
pastorali del documento diocesano si soffermano a specificare in cosa consiste il ruolo del coro.
Vengono sottolineate alcune caratteristiche fondamentali, che è bene riprendere perché non
ancora di patrimonio comune.
1) Il coro è “parte dell'assemblea liturgica”. Questa affermazione non vuol dire che il luogo di
collocazione della schola sia esclusivamente in mezzo all’assemblea o comunque a stretto
contatto con essa. Là dove è acusticamente possibile lo si potrà fare, ma il più delle volte nelle
nostre chiese il luogo acusticamente adatto resta il coro, nella conca absidale. A parte queste
considerazioni, l'affermazione in oggetto, più che concernere lo spazio occupabile dalla schola,
riguarda la mentalità con cui il coro deve porsi nei confronti delle altri componenti: l’assemblea,
in particolare, rimane il punto di riferimento anche per le scelte di repertorio del coro.
2) E' in questo modo che il coro “si pone al servizio” dell'assemblea, servizio che si esplica in un
duplice modo: “sostenendo il canto dell’assemblea anche in dialogo ed alternanza con essa” e
“favorendo la partecipazione attiva dei fedeli”. Non mi sembra il caso di disquisire
ulteriormente sul concetto di partecipazione attiva che qualcuno vorrebbe comprensivo di una
partecipazione d'ascolto. Non mi pare si possa interpretare in questo modo: sicuramente il
legislatore quando si riferisce a partecipazione attiva intende una partecipazione che impegna
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direttamente e pienamente il fedele, partecipazione che, a mio parere, non è e non può essere solo
d'ascolto; neppure è da ricercare qui la motivazione di una possibile esecuzione di parti
esclusivamente corali, la quale risiede, invece, altrove.
3) C'è invece un compito ulteriore della schola che sta proprio nell'aiutare la partecipazione
attraverso l'ascolto e la preghiera interiore dell'assemblea e che si esplica attraverso l'esecuzione
di alcune parti (e solo quelle) che possono essere affidate al coro e che la ricchezza della
tradizione musicale sacra ha tramandato.
L'Istruzione Generale del Messale Romano è estremamente precisa nell'elencare le parti
che possono essere eseguite dalla schola e che rientrano nella funzione pedagogica del coro
stesso. Sembra quanto mai strano che ancora non ci sia adeguati ed in modo convinto. Tali
interventi sono:
- il canto d'ingresso (cfr. IGMR n° 26).
- il Gloria (cfr. IGMR n° 31),
- il Salmo tra le letture (affidato al salmista, cfr. IGMR n° 36),
- il canto di offertorio (cfr. IGMR n° 50),
- il canto di comunione (cfr. IGMR n° 56i).
Non si parla di canto finale ovviamente, non essendo previsto dal messale. Questi e solo questi
sono gli interventi affidabili esclusivamente al coro. Nelle altre parti il coro può interagire con
l'assemblea, può alternarsi ad essa, può sostenerla, ma non può e non deve mai sostituirsi ad essa
in modo particolare in quelle che l'IGMR chiama "parti proprie" dell'assemblea, cioè:
- le risposte ai dialoghi con il celebrante;
- le acclamazioni al Vangelo;
- le risposte alla preghiera universale;
- il Santo;
- le acclamazioni di anamnesi (mistero della fede);
- l'Amen al termine della preghiera eucaristica
- il Padre nostro.
Tale elencazione deve essere attentamente considerata e presa sul serio: deve cioè divenire
patrimonio comune dei nostri cori e delle nostre assemblee, tanto più che il documento diocesano
che stiamo chiosando vieta espressamente la prassi contraria: “sono da escludere le celebrazioni
nelle quali tutte le parti sono cantate dal coro”
Quando il documento diocesano parla di “coro” o “schola” intende certo riferirsi a quelle
compagini tradizionalmente presenti nelle nostre parrocchie e che da decenni svolgono un
regolare servizio liturgico. Ma con questi termini vengono pure comprese tutte quelle
formazioni, stabili o sporadiche, a componente prevalentemente giovanile che di fatto svolgono il
medesimo servizio nella liturgia, quello, cioè, di un gruppo “specializzato” per il canto. Anche
per costoro valgono le regole precedentemente esposte circa il tipo di servizio a loro richiesto e
circa quello che possono e non possono cantare per non prevaricare i diritti canori dell'assemblea
celebrante. Capita spesso, infatti, che ciò che questi gruppi giovanili stigmatizzano in
riferimento alla presenza e al servizio reso dai cori "tradizionali", di fatto finiscono per assumerlo
essi stessi, pur essendo convinti di fare meglio o “di fare cantare la gente” solo perché cantano in
italiano o eseguono canti all'ultima moda. Di fatto, pure queste “performance” sono fuori luogo,
perché anche i cori giovanili devono mettersi al servizio dell'assemblea, aiutandola nella
partecipazione di quelle parti che le sono proprie.
Il rischio di scadere in un peggioramento del repertorio (i mottetti di un Perosi sono composti da
un signor musicista, le canzonette vigenti no) ed il rischio di sostituire di fatto il coro tradizionale
svolgendone le medesime funzioni onnicomprensive sono spesso presenti. Una maggior
lungimiranza pastorale dovrebbe, inoltre, impedire la costituzione e la contrapposizione di due
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cori, “quello dei giovani” e “quello dei vecchi”, che alla fine risultano due mezzi-cori
guerreggianti fra di loro, con conseguenze pure sulla Messa: “Messa dei giovani” e “Messa degli
anziani” dove chi ci va di mezzo è sempre la povera assemblea che viene palleggiata a destra e a
manca e sempre considerata come una platea su cui riversare un repertorio che essa non sente
come proprio. Né la falsa illusione di voler far sembrare una comunità “giovane” solo perché
canta canzonette alla moda e che nulla hanno da spartire con la celebrazione liturgica, può
giustificare lo scadere di tante nostre liturgie alla stregua dei cabaret televisivi di mezza serata.
Un ulteriore ruolo che esplicita la ministerialità del canto liturgico e che gli
"Orientamenti pastorali" del Documento diocesano sottolineano è quello dei cantori solisti, in
modo particolare coloro che hanno un compito specifico da svolgere nella liturgia, come il
salmista.
Viene suggerita una valorizzazione di questo ministero, soprattutto nel canto dei salmi e di quelle
parti nelle quali il peso della parola, rispetto alla musica, ha maggior rilievo, come ad esempio
nelle invocazioni litaniche dell'atto penitenziale ed in quelle della litania di frazione (Agnus Dei).
Ma è soprattutto il canto del salmo tra le letture, sia nella forma responsoriale che nella forma
diretta, ovvero con e senza ritornello, quello in cui l'arte del salmista viene messa a servizio della
Parola, perché la musica, lungi dall'essere esaltazione delle capacità canore, ha il principale
compito di esaltare ciò che il Signore dice al suo popolo.
Se anche solo per la proclamazione (cioè per la semplice lettura) del salmo è necessario che il
salmista “possegga l'arte del salmodiare e abbia una buona pronuncia e una buona dizione”
(P.N.M.R. n° 67) ciò è tanto più vero e necessario per il canto del salmo. Consumata arte,
esercizio continuato, ma soprattutto volontà precisa di mettersi al servizio della Parola del
Signore, per farne gustare tutta la bellezza e la poesia. Tutto questo finalizzato a far sì che
l'assemblea entri, con il salmo responsoriale o diretto, in un clima di risposta e di contemplazione
che facilita e sostiene l'interiorizzazione della Parola di Dio appena proclamata.
Un ruolo, quindi, da riscoprire e da valorizzare. Soprattutto nelle liturgie domenicali si dovrebbe
avere l'accortezza di introdurre il canto del salmo tra le letture. E' una prassi questa ancora poco
sviluppata, almeno nella nostra Diocesi, mentre dovrebbe costituire un felice momento di
connubio tra arte musicale e preghiera, tra espressione lirica e dimensione contemplativa, tra
“proposta” da parte di Dio con la sua Parola e “risposta” da parte del popolo di Dio tramite una
delle più alte espressioni dell'animo umano, la musica appunto.
La consapevolezza dell'importanza dei diversi ruoli musicali all'interno della celebrazione
liturgica e della necessità di una continua educazione a meglio comprendere in prima persona i
caratteri salienti del loro ministero liturgico, ha portato ad inserire negli Orientamenti pastorali
che stiamo commentando, alcuni accenni alle caratteristiche fondamentali e ai requisiti minimi
ed indispensabili del direttore di coro, dell'animatore del canto dell'assemblea, dell'organista e
degli altri eventuali strumentisti, auspicabili, però, anche per i membri dei vari gruppi corali.
Tali requisiti sono stati identificati in: atteggiamento di fede, senso del servizio, sensibilità
liturgica.
1) Atteggiamento di fede: sembrerebbe strano il ricordarlo ma non è infrequente il caso di
incontrare dei buoni musicisti, dei buoni tecnici, ma che vivono il loro far musica in chiesa
essenzialmente dal punto di vista musicale, non sono cioè animati da spirito di fede e non sono
partecipi della dimensione comunitaria che la fede esige. Questo fondamentale requisito è la
base su cui si appoggiano gli altri due atteggiamenti.
2) Senso del servizio: è proprio di che vive nella fede i propri carismi e le proprie capacità
metterle a frutto, soprattutto nel servizio agli altri; nella liturgia tale atteggiamento è poi
indispensabile proprio perché si tratta di esercitare un servizio, un ministero. Tale senso del
servizio aiuterà anche a superare inevitabili divergenze che dovessero sorgere tra dato musicale e
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necessità liturgiche contingenti; aiuterà pure ad affrontare gli inevitabili sacrifici legati ad un
servizio continuato festivo, qualche volta poco appagante perché mal riconosciuto.
3) Sensibilità liturgica: il mettersi a servizio della liturgia comporta una conoscenza abbastanza
approfondita di tutte le dinamiche che concorrono a fare di un rito scritto sul messale una
celebrazione vera e viva; la preghiera personale, la conoscenza dell'anno liturgico e dei suoi
ritmi, dei testi da utilizzare, della conformazione dell'assemblea nelle varie celebrazioni, sono
tutti elementi da cui non si può prescindere.
Non poteva mancare nel capitolo riguardante i ministeri musicali della liturgia qualche
accenno al problema degli strumenti musicali nella liturgia. Se ne occupa un paragrafo degli
Orientamenti pastorali.
Innanzitutto vengono specificati i due ambiti nei quali si colloca il ruolo degli strumenti:
- il sostegno del canto
- la funzione solistica.
In secondo luogo viene ribadita la assoluta preferenza dell'organo a canne rispetto a
qualsiasi altro strumento. Il Concilio stesso si esprime in termini mai usati prima nei confronti di
tale strumento: “Nella Chiesa latina si abbia in grande onore l'organo a canne, strumento
musicale tradizionale, il cui suono è in grado di aggiungere notevole splendore alle cerimonie
della Chiesa, e di elevare potentemente gli animi alle realtà celesti” (SC 120).
Se la prima motivazione di tale preferenza è legata alla tradizione culturale e musicale propria
dell'Occidente cristiano – e sarebbe sufficiente questa, nel “rispetto dell'indole e delle tradizioni
dei singoli popoli” (MS 63) - la seconda è di gran lunga più specifica, entrando nel merito delle
capacità foniche e delle potenzialità musicali intrinseche allo strumento stesso, sia nell'ambito
dell'accompagnamento del canto della schola e dell'assemblea, sia nell'ambito della esecuzione
solistica. Anche per quanto riguarda l'organo a canne assistiamo nella Chiesa ad un curioso
fenomeno: mentre cresce sempre più l'interesse culturale per tale strumento (restauri, concerti,
incisioni di dischi... ) diminuisce proporzionalmente l'interesse cultuale e l'utilizzo specifico
dell'organo, facilmente abbandonato o anche solo mortificato, a scapito di altri strumenti che,
solo in secondo ordine sono ammessi nella liturgia, e che comunque non godono di quelle
peculiarità che spinsero i Padri Conciliari (ma anche il buon senso ed il buon gusto) a preferire
l'organo a canne a qualsivoglia strumento. Capita un po' come per il canto gregoriano: tutti lo
apprezzano, tutti lo esaltano, tutti si commuovono religiosamente a sentirlo, tutti corrono a
comprarne dischi, tutti lo colgono come il canto sacro per eccellenza, ma dalle nostre chiese è
quasi scomparso!!!
Ritengo che il "grande onore" in cui si deve tenere l'organo a canne vada inteso anche come
esortazione a:
1) un utilizzo nella liturgia secondo le modalità del rinnovamento liturgico che non ha
mortificato, come taluno afferma, la presenza ed il suono dell'organo, limitandone i tempi di
possibile uso, sia a sostegno dell'assemblea e del coro, sia in veste di commentatore solistico;
2) salvaguardia del patrimonio organario antico. La consapevolezza di possedere e conservare
beni culturali porta la Chiesa a valutare con maggior attenzione gli interventi di restauro,
perché siano rispettosi dell'eredità del passato che è sempre da conciliarsi con le aspettative
del presente;
3) incremento del patrimonio, con costruzioni di nuovi strumenti che oggi come un tempo,
trovino negli ideali sonori contemporanei un'espressione musicale confacente con la
religiosità dell'uomo contemporaneo;
4) studio e ricerca sull'organaria del passato, non certo fini a stessi ma sempre volti ad arricchire
il presente.
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Un terzo e determinante aspetto viene messo in risalto dagli Orientamenti pastorali: le
“intrinseche potenzialità musicali” dell'organo in riferimento al sostegno del canto del coro e
dell'assemblea.
Queste capacità acustiche non sono da mettere in secondo piano; infatti, degli altri strumenti che
si possono utilizzare nella liturgia, compresi anche gli organi elettronici o elettrofoni, nessuno
può essere paragonato all'organo a canne, non tanto per potenza di suono (il volume) quanto per
qualità di suono (ricchezza di armonici, capacità di diffusione, ecc.). Proprio questa qualità di
suono è il segreto che rende l'organo capace di sostenere il canto di uno di pochi o di tanti.
La valutazione circa l'inserimento nella liturgia di altri strumenti secondo quanto
raccomanda l'istruzione Musicam Sacram al n° 63, è condizionato da una parte all'essere adatti
all'uso liturgico e dall'altra a che non siano propri della musica profana. Circa il primo criterio
vale quello che si diceva poc’anzi nei riguardi della qualità del suono dell'organo; non si potrà
certo pretendere di accompagnare l'assemblea con una chitarra dato che questo strumento è nato e
resta uno strumento che sostiene il canto di un solista o di un piccolo gruppo e, neppure quando è
amplificato è in grado di svolgere un servizio che non gli è proprio.
Proprio per questo si afferma che il discernimento è legato “più all’uso che si fa degli strumenti e
al repertorio da essi esigito, che alla loro natura”, cioè, in parole povere, al come e al che cosa
si suona.
Un ultimo punto messo in evidenza dagli Orientamenti pastorali che riguardano la
ministerialità del canto liturgico, è quello dell'impegno di ciascuna comunità alla formazione del
coro, del direttore, dell'organista e dell'animatore del canto dell'assemblea.
Ciascuna parrocchia, infatti, deve sentirsi responsabile innanzitutto nel considerare il
canto e la musica nella liturgia un problema pastorale, con tutto quello che tale definizione
comporta: analisi del problemi, verifica della situazione concreta, obbiettivi da raggiungere,
metodologie da attuare ecc.
In secondo luogo ogni comunità deve sentirsi impegnata a costituire un coro, grande o
piccolo non importa, come non importa neppure se costituito da persone professionisti,
competenti o solo da amatori del canto; penso che quanto abbiamo sin qui affermato possa aver
chiarito le idee circa la presenza del coro nella liturgia, presenza che non è affatto un optional, un
di più o un lusso, ma è una esigenza che è insita nella logica stessa della struttura ministeriale
della liturgia.
In terzo luogo ogni parrocchia deve curare la formazione dei ministri musicali,
formazione che spazia dalle nozioni di liturgia, alla cultura biblica, dalla spiritualità della vita
cristiana alla spiritualità liturgica; formazione questa che può essere benissimo effettuata nella
propria parrocchia o a livello vicariale.
Accanto a questa particolare formazione ci si deve impegnare a quella ben più onerosa
della preparazione musicale dei soggetti. Non sarebbe disdicevole che la parrocchia si
preoccupasse della educazione musicale di alcuni ragazzi dotati e desiderosi di mettersi al
servizio della liturgia, preoccupazione che potrebbe anche assumere l'aspetto economico di tale
formazione. Sarebbe certamente un buon investimento, pastoralmente giustificabile. Nel campo
musicale, infatti, la buona volontà non basta; occorre pure la tecnica, l'arte del linguaggio proprio
dell'espressione musicale e per appropriarsene occorre studiare. Forse, in questo campo abbiamo
preferito servirci troppo di volonterosi orecchianti, e non invece di personale serio e preparato,
sia dal punto di vista musicale che liturgico. Tale preparazione non è certo possibile a livello
parrocchiale; la nostra Diocesi vanta una presenza discreta e preziosa a tale riguardo: la Scuola
musicale S. Cecilia, che da decenni prepara organisti e direttori di coro.
E' forse troppo auspicare che ogni parrocchia si impegni a mandare e sostenere almeno un allievo
presso tale scuola diocesana di musica?
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5. UNO STRUMENTO PASTORALE
L’ultimo capitolo del documento diocesano si preoccupa di delineare
innanzitutto gli ambiti e i limiti del Repertorio Diocesano:
5. UN MEZZO DA UTILIZZARE
La nuova edizione del repertorio diocesano dei canti per la liturgia “Canta e Cammina”,
curata dalla Commissione di Musica Sacra, in collaborazione editoriale con l‘Editrice
Carrara, risponde alla esigenza di dare alle comunità parrocchiali di tutta la Diocesi una
base comune perché si esprima anche nel canto quell’unità che la celebrazione
comunitaria della fede esige. Inoltre il repertorio diocesano si pone come modello
orientativo ed esempio pratico del lavoro di discernimento che, rispettando l'equilibrio tra
fedeltà ad una tradizione liturgica già acquisita e attenzione alle nuove esigenze di una
Chiesa in cammino, sulla base dei criteri precedentemente esposti, mira a valorizzare
pedagogicamente e pastoralmente il canto liturgico, per farlo divenire vero strumento dì
educazione alla fede.
Le novità della presente edizione, rispetto alle precedenti, rispecchiano questa volontà.
Tutto il repertorio è stato rivisto, corretto, aggiornato, tenendo conto delle pubblicazioni
edite negli ultimi anni, vagliandole attentamente, sia per quanto concerne i testi che le
melodie.
Una nuova distribuzione tripartita dei canti è stata adottata per rispondere anche a fini
didattici e preferenziali, perché si imparino a cantare innanzitutto i canti rituali
(Ordinario) e perché rispetto ad altri testi, si dia la precedenza a quelli di derivazione
biblica.
Nella sezione dell'Ordinario della Messa è riportata anche una scelta delle melodie del
celebrante e delle risposte dei fedeli, nella notazione predisposta dal Messale Romano ed.
1983 e da "Melodie per il rito della Messa ed altri riti" ed. 1993, nonché una selezione di
melodie gregoriane per i Kyrie, Gloria, Credo, Sanctus, Agnus Dei, tratte dai libri ufficiali:
il Graduale Romano ed. 1974 e il Graduale Simplex ed. 1975.
La seconda sezione riporta salmi e cantici della Sacra Scrittura nel loro ordine numerico
biblico e secondo varie versioni e traduzioni, non parafrasate. La presenza di salmi e
cantici previsti per le Lodi e i Vespri delle quattro domeniche del Salterio e delle principali
solennità e feste, permette agevolmente anche la celebrazione della Liturgia delle Ore.
Nella terza sezione sono raccolti i canti in lingua italiana e latina in ordine alfabetico.
Chiude la raccolta una selezione di preghiere comuni della tradizione cristiana.
Un dettagliato indice alfabetico-liturgico costituisce, da una parte, una guida puntuale per
le opportune scelte rispetto ad azioni e tempi liturgici diversificati, dall'altra consente l'uso
contemporaneo della nuova edizione con le due precedenti, nonostante la diversa
numerazione.
Si auspica che le nuove proposte, mirate ad una più puntuale corrispondenza ai testi
liturgici, e lo sforzo degli animatori liturgici di studiare l’impostazione e di valutare i
contenuti del nuovo repertorio, contribuiscano ad un miglioramento del nostro cantare la
liturgia, attuando non solo esteriormente, ma anche nell’animo dei fedeli, ciò che l’azione
liturgica intende raggiungere: l’incontro di Dio con il suo popolo.
Le esigenze da cui il Repertorio Diocesano nasce sono due: dare una base comune alla
Diocesi e porsi come modello orientativo ed esempio pratico di discernimento. Il Repertorio
Diocesano non esclude l’uso di un repertorio parrocchiale, ma fa confluire quest’ultimo in un
ambito più vasto: il parrocchiale presuppone quello diocesano. Inoltre, il confronto con le altre
due edizioni precedenti i canti eliminati, la nuova disposizione tripartita, sono tutti elementi che
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dovrebbero aiutare un lavoro critico nelle singole comunità in ordine alla verifica dei canti del
repertorio parrocchiale e alla valutazione di eventuali nuovi inserimenti.
Un mezzo quindi da utilizzare come sussidio liturgico-musicale, ma anche uno strumento
didattico per mezzo del quale imparare il lavoro di discernimento indispensabile a far sì che il
canto liturgico sia vera espressione di fede.
Don Gilberto Sessantini
Resp. Ufficio di Musica scara
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