Diagnosi di un caso di disfunzione della pars intermedia dell`ipofisi

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❚ Endocrinologia
Diagnosi di un caso di disfunzione della pars
intermedia dell’ipofisi (PPID) complicato
da laminite endocrina in un pony Shetland
Francesco Ferrucci1, Enrica Zucca1, Antonio Boccardo1, Giovanni Stancari1, Bianca Conturba1,
Davide Zani2 e Elisabetta Ferro1
Università degli Studi di Milano, Dipartimento di Scienze Cliniche Veterinarie
1
Sezione di Clinica Medica Veterinaria e Diagnostica di Laboratorio e 2Sezione di Radiologia
RIASSUNTO
Un pony Shetland di sette anni, di sesso femminile, è stato presentato alla visita clinica a causa
di un costante aumento di peso, letargia e difficoltà di movimento.
La visita clinica, gli esami di laboratorio e le indagini di diagnostica per immagini hanno evidenziato un quadro di epatopatia, alterazione
del metabolismo glucidico e laminite cronica. In
base ai risultati delle indagini endocrinologiche
effettuate si è emessa diagnosi di disfunzione
della pars intermedia dell’ipofisi (Pituitary Pars
Intermedia Dysfunction, PPID). La sintomatologia di questa endocrinopatia è variegata e, in alcuni casi, di difficile interpretazione. In particolar modo la laminite e l’irsutismo rappresentano le alterazioni più importanti in pazienti geriatrici e sono, nella maggior parte dei casi, il
motivo per cui si richiede la visita del Medico
Veterinario. La difficoltà diagnostica si evidenzia
in particolar modo quando ad essere colpiti da
PPID sono animali più giovani, che non presentano i classici segni clinici patognomonici della
malattia. Lo scopo di questo case report è quello di descrivere il complesso iter diagnostico
cui questi soggetti devono essere sottoposti
per giungere ad una diagnosi, terapia e prognosi accurate.
INTRODUZIONE
La disfunzione della parte intermedia dell’ipofisi, rappresenta l’endocrinopatia più importante nella clinica del paziente equino geriatrico (Miller et al., 2008). L’ACTH (Adreno-Cortico-Tropic Hormone) è, in condizioni fisiologiche, prodotto in modeste quantità dalla pars intermedia.
La PPID si riferisce alla patologia che in passato veniva chiamata sindrome di Cushing nel paziente equino (Equine Cushing Disease, ECD).
Oggi il termine viene usato per descrivere l’insieme dei segni clinici attribuibili ad un aumento cronico dei glucocorticoidi circolanti. Questa
forma patologica può essere causata da una disfunzione a carico dell’asse ipotalamo-ipofisario con relativa ipersecrezione di ACTH; da
un’ipersecrezione di glucocorticoidi da parte di un adenoma o di un
carcinoma del surrene; da una secrezione di ACTH ectopico da parte
di una neoplasia non endocrina; ed infine da una somministrazione esogena di glucocorticoidi (Schott, 2002).
Nell’uomo e nel cane, la patologia è essenzialmente legata alla formazione di adenomi a livello della pars distalis, ed alla presenza di neoformazioni surrenaliche. Nel cavallo, invece, l’ECD è riconducibile quasi
esclusivamente ad una disfunzione della pars intermedia dell’ipofisi
(Schott, 2002). Questa caratteristica degli equidi è maggiormente avvalorata dalle rarissime neoplasie a carico del surrene (Van Der Kolk
et al., 1993).
L’ipofisi è composta da due strutture di diversa origine embriologica.
L’adenoipofisi, che deriva dall’invaginamento di una porzione dell’epitelio faringeo conosciuto con il nome di tasca di Rathke, e la neuroipofisi, che deriva dal tessuto nervoso dell’ipotalamo. La porzione ghiandolare, a sua volta, può essere suddivisa in tre parti: la pars distalis, la pars
tuberalis e la pars intermedia (Schott, 2002). La pars intermedia è composta da singole strutture cellulari, i melanotropi. Tali cellule sono direttamente innervate dalla via dopaminergica ipotalamica periventricolare
che prende origine dal nucleo periventricolare dell’ipotalamo, adiacente al terzo ventricolo. Tali strutture nervose si proiettano attraverso
l’infundibolo e raggiungono la pars intermedia dell’ipofisi (Saland, 2001).
I neuroni rilasciano il neurotrasmettitore dopamina che, legandosi ai
recettori specifici D2 presenti sulla membrana cellulare dei melanotropi, inibisce la produzione, e quindi il rilascio, del principale prodotto di
queste cellule, la proopiomelanocortina (POMC) (Saland, 2001). La proo-
“Articolo ricevuto dal Comitato di Redazione il 26/04/2010 ed accettato per la pubblicazione dopo revisione l’08/09/2010”.
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piomelanocortina viene prodotta anche dalle cellule della pars distalis (i corticotropi) ma, in condizioni fisiologiche, esistono delle nette differenze
del metabolismo della POMC nelle due porzioni
dell’adenoipofisi. Grazie alla presenza, nella pars distalis, dell’enzima pro-ormone convertasi I la POMC
viene quasi del tutto modificata in ACTH che viene rilasciato in circolo. Nella pars intermedia, oltre
all’enzima pro-ormone convertasi I si trova anche
la pro-ormone convertasi II. L’ACTH, quindi, subisce
un ulteriore clivaggio con la formazione di tre
peptidi maggiori, l’ormone melanotropo α (α-Melanocyte-Stimulating Hormones, α-MSH); una β-endorfina (β-END) e il peptide simil corticotropo del lobo intermedio (Corticotropin-Like Intermediate
Lobe Peptide, CLIP) (Malven, 1997).
Il movente patogenetico è legato ad una riduzione
del controllo inibitorio sulla pars intermedia dell’ipofisi da parte dell’innervazione dopaminergica
(Donaldson et al., 2002). Uno studio immunoistochimico ha rilevato una forte diminuzione del numero di terminazioni nervose del fascio periventricolare e del numero di neuroni a livello del nucleo ipotalamico, in cavalli affetti da PPID (McFarlane et al., 2005).
La degenerazione dei neuroni della via periventricolare è legata ad una forma di stress ossidativo. I neuroni dopaminergici sono particolarmente esposti al danno ossidativo in quanto lo stesso metabolismo della dopamina produce una
consistente quantità di radicali liberi (McFarlane,
2009). Nell’ipofisi di cavalli affetti da PPID sono
stati trovati prodotti dell’ossidazione come la 3nitrotirosina e la lipofuscina (Glover et al. 2009). In
questi pazienti, però, non è stato possibile individuare una riduzione della normale attività antiossidante rispetto ad individui normali (McFarlane
e Cribb, 2005).
La riduzione dell’attività inibitoria della via dopaminergica induce modificazioni della pars intermedia
(iperplasia, ipertrofia e molto più raramente adenomi veri e propri) coerenti con il quadro di aumento dei peptidi derivati dalla processazione della POMC (Miller et al., 2008).
In alcuni casi, l’aumento dei livelli plasmatici di
CLIP, α- MSH e β-END, non rispecchia un aumento del livello plasmatico di ACTH nei cavalli affetti da sindrome di Cushing (Orth e Nicholson,
1982). Infatti, la produzione di ACTH dei tumori
ipofisari negli equidi sembra essere piuttosto variabile (Heinrichs et al., 1990). Bisogna sottolineare che il rilascio di ACTH dalla pars distalis è sotto il controllo neuroendocrino dell’ipotalamo, mediato dal rilascio di Corticotropin Releasing Hormone (CRF) e soggetto al feed-back negativo del cortisolo (Schott, 2002). Quindi la secrezione di
ACTH nella pars distalis è inibita dall’aumento cronico della concentrazione di cortisolo. Per contro,
la secrezione di peptidi POMC-derivati, nella pars
intermedia, è sotto il controllo dopaminergico e non
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sembra essere soggetta all’effetto del cortisolo
plasmatico (Schott, 2002). In un recente studio è
riportato che il 44% dei cavalli affetti da PPID
presenta iperplasia adrenocorticale (Glover et
al., 2009). Studi meno recenti riportano percentuali inferiori (Heinrichs et al., 1990).
L’eccessiva secrezione dei peptidi POMC-derivati
ha la funzione di potenziare l’efficacia dell’ACTH a
livello surrenalico. L’azione steroidogenica della
corticotropina è aumentata pari a sei volte quella
degli altri peptidi POMC-melanotropo-derivati
(Shaker e Sharma, 1979;Vinson et al. 1985; Seger e
Bennett, 1986). Perciò anche un lieve aumento
della concentrazione di ACTH, accompagnato da
un elevato aumento di MSH e β-END, può contribuire alla disfunzione adrenocorticale mediata dai
melanotropi. Quindi l’attività biologica dell’ACTH è
notevolmente aumentata nei cavalli colpiti, ed i segni clinici della sindrome possono essere attribuiti principalmente agli effetti del cortisolo endogeno prodotto in maggior quantità. (Glover et al.,
2009; Walsh et al., 2009).
L’aumento della concentrazione sierica di ACTH,
che in alcuni casi si rende evidente, molto probabilmente è legato all’aumento del CLIP. Questa
molecola possiede caratteristiche chimiche simili
alla corticotropina e viene quindi riconosciuta
come tale dalle tecniche immunoreattive utilizzate per determinare la sua concentrazione (Couetil, 1996). Il CLIP però non sembra avere le stesse caratteristiche biologiche dell’ACTH. Inoltre,
in molti casi l’aumento del cortisolo sierico, misurato attraverso un singolo prelievo, non è così
evidente (McFarlane, 2007). Una possibile spiegazione può essere l’alterazione dei normali ritmi
circadiani di secrezione di cortisolo in cavalli affetti da PPID; quindi l’accumulo deve essere inteso nell’arco delle 24 ore (Dybdal et al., 1994;
McFarlane, 2007).
Alla luce di queste affermazioni, alcuni quesiti sulla patogenesi della PPID rimangono irrisolti. In
modo particolare i dubbi si concentrano sui cavalli che non presentano iperplasia delle corticosurrenali e non può essere esclusa la possibilità che
altre molecole, non conosciute e diverse dal cortisolo, possano avere importanti effetti sulla patogenesi delle alterazioni indotte da PPID (McFarlane e Toribio, 2010).
La sintomatologia caratteristica della PPID è
estremamente ampia e variabile. I segni clinici che
si riscontrano con maggior frequenza sono irsutismo, laminite cronica, perdita o aumento di peso
con ridistribuzione del grasso corporeo, letargia,
poliuria e polidipsia, iperidrosi, atrofia muscolare,
infezioni concomitanti e alterazioni neurologiche
(Schott, 2006).
La diagnosi si basa sullo studio dinamico dell’asse
ipotalamo-ipofisi-surrene del paziente e si presenta di facile attuazione quando sussistono i segni
clinici tipici della patologia.
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L’irsutismo dei cavalli anziani è sicuramente il sintomo maggiormente descritto in letteratura. In alcuni lavori le percentuali di animali malati che evidenziano questo sintomo arriva alla totalità dei
casi descritti (van der Kolk et al., 1993).
Ben più difficile è diagnosticare la PPID in cavalli
che non presentano criteri patognomonici di sintomatologia ed età. In questi pazienti, infatti, per
effettuare un ragionamento diagnostico-differenziale corretto, è opportuno conoscere le modificazioni organiche e funzionali che l’eccesso delle
molecole sopra descritte può produrre.
Scopo del presente lavoro è di descrivere un caso
atipico di PPID ed evidenziare alcuni complessi
meccanismi patologici di questa endocrinopatia,
con particolare riferimento alla laminite che sempre più spesso è considerata la più grave alterazione secondaria di un’endocrinopatia.
La risonanza magnetica, pur non evidenziando alterazioni strutturali della ghiandola pituitaria, correlabili con certezza a PPID, ha comunque contribuito a fornire preziose informazioni utili alla conferma della diagnosi.
CASO CLINICO
Segnalamento e anamnesi
Un pony Shetland femmina di 7 anni è stato presentato alla visita clinica perché il proprietario riferiva che l’animale ingeriva eccessive quantità di
cibo e si muoveva con difficoltà. La dieta era a base di fieno e mangime fioccato, anche se, frequentemente, era riportata la somministrazione di alimenti inconsueti (caramelle, biscotti, brioches,
ecc.). Nei mesi precedenti il ricovero, il paziente
presentava aumento di peso graduale e già dall’inverno precedente l’arrivo in clinica, manifestava
apatia e riluttanza al movimento (Fig. 1).
Il pony rimaneva a lungo in decubito nell’arco della giornata e si muoveva con difficoltà, anche al
passo. Inoltre veniva riferito un aborto nell’ultimo
trimestre di gravidanza, durante l’estate precedente il ricovero.
Esame obiettivo generale
All’esame obiettivo generale si evidenziava un body condition score di 4 su 5 (Carroll e Huntington, 1988), peso corporeo 196 kg, depressione
del sensorio e riluttanza al movimento. L’animale
in box alternava decubito prolungato a stazione
con gli arti posteriori sotto di sé e gli anteriori
estesi cranialmente.
La temperatura rettale era 37,7 °C, la frequenza
cardiaca 44 bpm e quella respiratoria 32/min; le
mucose erano rosee e il tempo di riempimento
capillare pari a 2 secondi.
All’esame dei linfonodi e della cute non si evidenziavano alterazioni di sorta. Le grandi funzioni organiche erano conservate.
FIGURA 1
Esame obiettivo particolare
L’esame obiettivo particolare degli apparati cardiocircolatorio e respiratorio non evidenziava alterazioni degne di nota.
La riluttanza al movimento giustificava l’esecuzione dell’esame obiettivo particolare della regione
digitale. All’ispezione si rilevava, sia sul bipede anteriore che posteriore, un’alterata conformazione della scatola cornea, caratterizzata da cerchiature che evidenziavano una crescita divergente ai
talloni. Il polso digitale si presentava aumentato
soprattutto sui posteriori dove si evidenziava aumentata sensibilità alla prova della sonda da piede nella regione della punta e delle mammelle.
Clinicamente il pony presentava segni clinici di laminite di II/III grado secondo la classificazione di
Obel (1948).
Esami di laboratorio
Sono stati eseguiti l’esame emocromocitometrico
completo (Tab. 1), l’esame ematochimico (Tab. 2),
l’esame di emocoagulazione (Tab. 3), l’esame elettroforetico (Tab. 4) e l’esame completo delle urine
(Tab. 5).
L’esame emocromocitometrico non evidenziava
spostamenti dai valori normali di riferimento. L’esame ematochimico, invece, mostrava valori aumentati di glicemia, trigliceridemia e protidemia. L’attività
enzimatica di AST, ALP, GGT, CK, LDH e amilasi risultava aumentata. L’attività enzimatica delle lipasi
era diminuita.
All’esame delle urine si evidenziava marcata glicosuria, aumento del peso specifico e modesto aumento del GGT-Index.
Ultrasonografia dell’addome
In seguito ai risultati degli esami di laboratorio è
stato eseguito lo studio ecografico dell’addome
con l’impiego di un ecografo Technos MPX (EsaoIppologia, Anno 21, n. 3, Settembre 2010
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TABELLA 1
Esame emocromocitometrico
8,76 x1012 /L
RBC
9
TABELLA 3
Emocoagulazione
(6,8-9,3)
PT
12 sec.
(9-15)
APTT
32.2 sec.
(31-61)
WBC
7,96 x10 /L
(5,5-9.0)
Hb
145 g/L
(113-165)
Ht
0,36 P
(0,32-0,45)
MCV
41,4 fL
(37-59)
MCH
16,6 pg
(15-19)
MCHC
400 g/L
(310-400)
Albumina
45% (37-56.5%)
37,8 g/L (29-36 g/L)
Neutrofili
59,5 %
(30-65)
Alfa 1
3.3% (2-14%)
2,7 g/L (1,5-9 g/L)
Linfociti
34 %
(25-40)
Alfa 2
11.6% (9.5-19%)
9,7 g/L (5-13 g/L)
Monociti
2.1 %
(1-3)
Beta 1
10.6% (6-24%)
8,8 g/L (2-16 g/L)
Eosinofili
3,3 %
(0-2)
Basofili
0,2 %
(0-1)
Beta 2
12% (4.4-13%)
10 g/L (2-9 g/L)
LUC
1%
(0-3)
Gamma
17.1% (8.5-39%)
14,2 g/L (3-20 g/L)
PLT
190 x10³/mmc
(90-200)
Totale
TABELLA 4
Elettroforesi proteine sieriche
TABELLA 2
Esame ematochimico
12
83,3 g/L
TABELLA 5
Esame urine completo
Urea
10 mmol/L
(5,3-16,06)
Glucosio
11,6 mmol/L
(4,44-6,11)
Colore
Ambra
Creatinina
79,56
(<141,44)
Aspetto
Torbido
Trigliceridi
0,87 mmol/L
(0,17-0,4)
P.S.
1.058
Bilirubina tot.
29,07 µmol/L
(<42,75)
pH
8
Proteine tot.
83 g/L
(55-80)
Albumine
+
Albumine
37 g/L
(29-36)
Glucosio
++++
A/G
0,8
(0,7-1,5)
Sangue
Assente
Fibrinogeno
7,35 µmol/L
(2,94-7,35)
Acetone
Assente
Sodio
134,3 mmol/L
(126-156)
Urobilininogeno
Assente
Potassio
3,3 mmol/L
(3,3-5,6)
Bilirubina
Assente
Cloro
114 mmol/L
(99-109)
Eritrociti
Rari
Calcio
2,75 mmol/L
(2-3)
Leucociti
rari
Magnesio
0,53 mmol/L
(0,58-0,95)
Epiteli
transizione ++, sfald. rari
Ferro
25,24 µmol/L
(17,36-37,05)
Cilindri
-
AST
391 U/L
(<300)
Cristalli
CaCO3 +++
ALP
264 U/L
(<180)
Batteri
+
GGT
30 U/L
(<25)
Muco
+
CK
328 U/L
(<150)
Proteinuria
10,0 mg/dl
(20-50)
LDH
1079 U/L
(<550)
UP/UC
0,0
(<0,5)
GLDH
1 U/L
(3-6)
FE-Na
0,020%
(0,001-0,3)
Amilasi
9 U/L
(2-6)
FE-K
3,5%
(10-40)
Lipasi
1 U/L
(20-40)
GGT-Index
13,360%
(<8)
mol/L
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te Biomedica) e di una sonda convex multifrequenza (2.0-5.0 MHz) impostata a 5.0 MHz.
Tale indagine evidenziava un diffuso ed uniforme
aumento dell’ecogenicità epatica (Fig. 2).
Esame radiografico
A corredo dell’esame fisico dell’apparato locomotore, è stato eseguito uno studio radiografico della regione del piede. Quest’ultimo ha evidenziato
discreti fenomeni di rimaneggiamento della punta
della III falange in tutti gli arti. Sulle proiezioni latero-mediali, con l’ausilio di un apposito software1,
sono state eseguite misurazioni volte ad oggettivare eventuali alterazioni dei normali rapporti
morfometrici tra la III falange e la scatola cornea
(Fig. 3 e Tab. 6).Tali misurazioni hanno permesso di
evidenziare a carico degli arti anteriori un aumento, pari a 11 mm, della distanza di sprofondamento (Founder Distance o FD). A carico degli arti anteriori e di quelli posteriori è stato rilevato inoltre mancato parallelismo tra profilo dorsale della
III falange e muraglia dorsale, rappresentato da
una disuguaglianza tra la distanza misurata a due
diverse altezze (Hoof Laminar Distance o HLD).
Inoltre si evidenziava un significativo aumento dell’angolo palmare/plantare e un’alterazione della distanza tra muraglia dorsale e falange distale (Hoof
Distal Phalanx Distance o HDPD).
L’esame radiografico ha confermato il sospetto clinico evidenziando alterazioni radiografiche compatibili con laminite cronica a carico di tutti e quattro gli arti (Pollitt, 2008).
FIGURA 2 - Immagine ecografica ottenuta nella regione addominale craniale sinistra. Si noti l’aumento dell’ecogenicità del parenchima epatico, confrontato con il
parenchima splenico.
Test endocrinologici
I risultati della visita clinica, degli esami di laboratorio e della diagnostica per immagini ci hanno
portato ad effettuare un pannello di test endocrinologici dinamici.
Il primo test eseguito, al fine di valutare la capacità dell’animale di secernere insulina e utilizzare il
glucosio, è stato un test di tolleranza al glucosio e
determinazione del rapporto glucosio/insulina.
1
FIGURA 3 - Esame radiografico. Rapporto morfometrico tra la III falange e la scatola cornea dell’arto anteriore destro. FD = Founder Distance, HL= Hoof Laminar Distance, HDPD= Hoof Distal Phalanx Distance, L= lunghezza III falange.
Vet-MR Esaote S.P.A Genova.
TABELLA 6
Rapporto morfometrico tra la terza falange e la scatola cornea di tutti e quattro gli arti
Misurazioni
Ant. ds.
Ant. sn
Post. ds.
Post. sn.
FD
11 mm
11 mm
2 mm
2 mm
HL1
16 mm
16 mm
15 mm
15 mm
HL2
17 mm
18 mm
20 mm
19 mm
HDPD/VN
16/11 mm
17/11 mm
17/11.5 mm
17/11.5 mm
L
44 mm
44 mm
46 mm
46 mm
Ang. palmare
14°
15°
19°
16°
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TABELLA 7
Rapporto insulina/glicemia
glicemia mmol/l
10,00
8,00
6,00
4,00
2,00
Glicemia
Insulinemia
T0=5,99 mmol/L
T0= 159,04 pmol/L
T1=5,83 mmol/L
T1= 520,88 pmol/L
T2=8,88 mmol/L
T2= 701,45 pmol/L
0,00
0
30
60
90
120
Tempo min.
180
240
Campione in esame
FIGURA 4 - Curva glicemica.
FIGURA 5 - Risonanza Magnetica. Diametri e area di sezione dell’ipofisi secondo i piani trasversali (A,B) e sagittali (C,D).
Il test è stato eseguito somministrando 0,5 g/kg di
glucosio in soluzione al 20% tramite sonda nasogastrica. Poiché il pony presentava iperglicemia elevata, e per non esacerbare questa condizione, si è
deciso di dimezzare la normale dose di glucosio da
somministrare pari a 1 g/kg (Ralston, 2002).
È stato eseguito un prelievo di sangue basale (T0)
e prelievi a 30’, 60’, 90’, 120’, 180’ e 240’ per costruire la curva glicemica (Fig. 4). Nel prelievo basale; nel terzo, dopo 60’ (T1); e nel quarto, dopo
90’ (T2), è stata misurata la concentrazione di insulina (Tab. 7).
Dai risultati del test si è osservato che la concentrazione di insulina aumentava in parallelo all’aumento del glucosio plasmatico indicando che
il paziente presentava una normale secrezione di
questo ormone da parte delle cellule β delle isole di Langerhans. Non si è inoltre osservata insulino-resistenza in quanto la glicemia rientrava nei
valori basali al termine del test (Tab. 7). I dati ot-
14
tenuti hanno permesso di escludere il diabete di
tipo I e di tipo II.
La diagnosi differenziale si è quindi orientata verso altre possibili cause di iperglicemia quali la sindrome metabolica equina (Equine Metabolic Syndrome, EMS) e la PPID.
È stato pertanto effettuato un test di soppressione con desametazone (Dexamethasone Suppression Test, DST) secondo il protocollo overnight:
per misurare la concentrazione di cortisolo basale, è stato effettuato un prelievo di sangue (T0) alle ore 17.00, che secondo il ritmo circadiano di
secrezione del cortisolo, dovrebbe corrispondere
al momento di maggior secrezione. In seguito sono stati somministrati 40 µg/kg per via intramuscolare di desametazone e il successivo prelievo
di sangue (T1), per misurare la concentrazione di
cortisolo plasmatico, è stato eseguito alle ore 12:00
del giorno seguente.
Soggetti normali presentano una concentrazione
del cortisolo (T1) soppressa del 30% rispetto alla
concentrazione del cortisolo basale (T0) (McFarlane e Toribio, 2010).
Nel paziente esaminato la concentrazione basale di
cortisolo era pari a 27,30 nmoli/l e, dopo somministrazione di desametazone, a 30,90 nmoli/l. Pertanto il test è risultato positivo, poiché non solo non è
stata soppressa la concentrazione di cortisolo plasmatico, ma il suo valore è addirittura aumentato.
Risonanza magnetica
In base ai risultati delle indagini precedentemente
descritte il sospetto diagnostico era di una forma
giovanile di PPID. Lo studio dell’ipofisi in risonanza magnetica è stato effettuato per raccogliere un
maggior numero di dati riguardo questo caso “atipico”. Ottenuto il consenso del proprietario, è
stato eseguita un’indagine morfologica della ghiandola ipofisaria mediante Risonanza Magnetica
(RM) con un tomografo1 aperto a bassa intensità
di campo (0,2 Tesla). Il pony è stato posto in anestesia generale e posizionato in decubito laterale
sinistro affiancando la testa ad una bobina di ricezione asimmetrica. Poiché il limitato Field of View
(FoV) non permetteva di includere tutto l’encefalo nel volume d’acquisizione, l’animale è stato posizionato in modo tale da poter ottenere delle
scansioni utili allo studio della regione sellare e parasellare. Sono state eseguite sequenze pesate in
Diagnosi di un caso di disfunzione della pars intermedia dell’ipofisi (PPID) complicato da laminite endocrina in un pony Shetland
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T1,T2, e ad inversione con soppressione dei fluidi
(Fluid Attenuated Inversion Recovery, FLAIR) secondo i piani sagittale, dorsale e trasversale. Le sequenze pesate T1 sono state ripetute dopo la
somministrazione di mezzo di contrasto paramagnetico a base di gadolinio2, somministrato in bolo per via endovenosa alla dose di 0,1 ml/kg.
L’esame RM ha consentito di osservare che l’ipofisi non evidenziava alterazioni di forma o di segnale anche dopo somministrazione di mezzo di
contrasto paramagnetico. Tuttavia, l’esame non ha
permesso di identificare il peduncolo ipofisario.
Successivamente tramite software dedicato3 sono
stati misurati i diametri e l’area di sezione secondo i piani trasversali e sagittali (Fig. 5) e i risultati
sono stati correlati con i dati provenienti da studi
morfometrici dell’ipofisi equina (Van der Kolk et
al., 2004; Miller et al., 2008). Alcuni di questi confronti avvaloravano l’ipotesi di un aumento di volume della ghiandola pituitaria del paziente da noi
esaminato, sebbene non vi siano in letteratura dati di riferimento relativi ai volumi normali dell’ipofisi nel pony shetland.
Diagnosi
Alla luce delle indagini effettuate veniva emessa
diagnosi di PPID associata ad epatopatia da steroidi e laminite cronica.
Terapia
Lo scopo del trattamento è stato quello di correggere la dieta del paziente al fine di correggerne
lo stato di obesità, di trattare la laminite cronica e
di istituire una terapia eziologica con farmaci agonisti dei recettori dopaminergici (pergolide).
L’alimentazione dell’animale si è basata sulla somministrazione di alimenti di ottima qualità, quali 45 kg/die fieno polifita e 1,5 kg/die di uno specifico
mangime pellettato disponibile in commercio, ricco di fibra e povero di carboidrati (McFarlane e
Toribio, 2010).
Al soggetto è stato praticato un pareggio correttivo dello zoccolo, con l’obbiettivo di ridurre la leva in punta, di ridurre l’angolo palmare e di reclutare le porzioni palmari della suola e del fettone
tramite l’applicazione di resine poliuretaniche.
Il trattamento con pergolide è iniziato ad una dose
di 0,002 mg/kg s.i.d. per via orale. Al proprietario
è stato consigliato di aumentare la dose del farmaco di ulteriori 0,002 mg/kg se entro 8 settimane
non si fossero evidenziati miglioramenti dello stato clinico del paziente (Schott, 2002). La risposta
al trattamento si manifesta con una attenuazione
della sintomatologia clinica e la normalizzazione
del test DST (Mc Farlane e Toribio, 2010).
2
3
Omniscan, GE Healthcare.
OsiriX v.3.6.1 32-bit.
Prognosi
La prognosi in cavalli affetti da PPID è da ritenersi riservata, ma alcuni soggetti vivono per anni dopo l’instaurarsi di una corretta terapia e di un corretto management (McFarlane, 2009).
Follow up
Dopo un mese di terapia, al fine di modulare il dosaggio del pergolide, è stato contattato telefonicamente il proprietario del paziente. Quest’ultimo
riferiva delle soddisfacenti condizioni del pony e
quindi è stato ritenuto opportuno continuare a
tempo indeterminato la terapia con il dosaggio
prescritto inizialmente e comunque sino ad una
nuova esecuzione di DST. È stato suggerito, inoltre, di proseguire con una corretta alimentazione
del soggetto e di effettuare il pareggio del piede ad
intervalli regolari.
DISCUSSIONE
La disfunzione della pars intermedia dell’ipofisi è
una patologia endocrina caratterizzata dall’andamento tipico delle malattie degenerative; essa si
presenta come una malattia insidiosa e progressiva degli animali anziani (McFarlane, 2007).
Il caso riportato trova molte congruenze con i dati raccolti in letteratura, ma sono assenti alcuni segni clinici ritenuti comuni, da molti autori, quali
l’irsutismo, il dimagramento la poliuria/polidpsia.
Nel nostro caso il dato che maggiormente risalta
è la giovane età del soggetto. È bene ricordare che
la PPID non è esclusivamente una malattia che
colpisce animali anziani. Negli ultimi anni, infatti,
sono aumentati i casi in cui questa endocrinopatia
viene riconosciuta anche in soggetti più giovani, a
partire dai 7 anni di età (Heinrichs et al., 1990;
Frank, 2009).
Anche l’irsutismo sembra essere un segno clinico
patognomonico di PPID. Questo dato è molto frequente negli animali malati, ma il nostro paziente
non ha evidenziato nessun tipo di alterazione del
manto riconducibile ad irsutismo anche se, secondo uno studio condotto da Donaldson e colleghi
(2004), sembra che i pony affetti da PPID molto
spesso non presentino irsutismo. Alcuni autori
suggeriscono che l’irsutismo possa derivare dall’aumento degli androgeni secreti dalle surrenali
(Holscher et al., 1978); altri dall’alterazione dei
centri regolatori ipotalamici della temperatura,
conseguente ad una compressione da parte della
pars intermedia oppure a modificazioni biologiche
indotte dall’aumento dei POMC-derivati (van der
Kolk et al. 1993).
I cavalli anziani affetti da PPID mostrano spesso
perdita progressiva di peso. Bisogna però porre
l’attenzione sul fatto che la perdita di peso è associata spesso ad altri disturbi concomitanti quali
anomalie dentarie, infestazioni parassitarie, enteIppologia, Anno 21, n. 3, Settembre 2010
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ropatie croniche o altre malattie che possano causare debilitazione. Spesso, questi sono disturbi legati all’età ed è probabilmente per questo motivo
che la PPID, considerata fino a poco tempo fa una
malattia prettamente di interesse geriatrico, viene
associata a perdita di peso.
In alcuni casi di PPID, come nel nostro paziente, si
evidenzia un aumento costante del peso corporeo
a causa di un abnorme accumulo di grasso.
La causa dell’obesità, negli animali che soffrono di
PPID, è da ricercare nell’aumento dei peptidi derivati dal clivaggio della POMC e in particolar modo
dell’α-MSH. L’ormone melanocita stimolante ha
due recettori, MC3R e MC4R, che si trovano a livello ipotalamico e sembrano avere una importante funzione nel regolare il metabolismo della leptina, ormone che regola il centro della fame e il metabolismo dei lipidi (Nahon, 2006). Nel cavallo
l’obesità è direttamente proporzionale alla concentrazione ematica di α-MSH (Donaldson et al.,
2004). Ad avvalorare questa tesi si è dimostrato,
anche nel cavallo, una maggior attività della pars intermedia in alcuni periodi dell’anno (McFarlane et
al., 2004). Nel mese di settembre, i ponies hanno
una maggior concentrazione di α-MSH. L’effetto
stagionale di questo ormone è stato ben studiato
nell’uomo, nella cavia e nella pecora (Logan et al.,
1979; Altmeyer et al., 1986; Lincoln et al., 2001). Anche nei piccoli ruminanti il picco di peptidi derivati dalla POMC si evidenzia a settembre e alcuni
eventi fisiologici si manifestano in questo periodo,
come ad esempio l’aumentata ingestione di sostanza secca e deposizione di grasso corporeo (Lincoln
et al. 2001). Sembra quindi che l’α-MSH giochi un
ruolo importante per la preparazione dell’organismo a temperature più rigide ed a una maggior
scarsità di cibo. Nel cavallo, quindi, un aumento costante e patologico dell’ormone melanocita-stimolante, senza oscillazioni stagionali, potrebbe essere
alla base dell’alterazione del comportamento alimentare e del metabolismo lipidico.
La letargia che spesso accompagna i pazienti affetti
da PPID è un altro sintomo imputabile all’aumento
dei derivati della POMC. Come già ricordato in
condizioni fisiologiche la pars intermedia produce βendorfine. Queste molecole hanno una scarsa azione sui recettori oppioidi. I cavalli affetti da PPID
producono, oltre ad una maggior quantità di β-endorfine, anche una tipologia particolare di endorfina,
la β-endorfina (1-31) che ha una maggior affinità per
i recettori oppioidi (Millington et al. 1988).
Le numerose alterazioni evidenziate dalle indagini
ematochimiche possono essere messe in relazione con l’endocrinopatia. In corso di PPID l’iperglicemia è presente fino al 75% dei casi (Schott,
2006). Il cortisolo stimola l’enzima fosfoenolpiruvato carbossichinasi con conseguente aumento della
gluconeogenesi epatica. Inoltre aumenta l’enzima
glucosio-6-fosfatasi con aumento dell’utilizzazione
energetica del glucosio.
18
L’iperlipidemia si riscontra molto facilmente nei
cavalli affetti da PPID, visto che anche la riduzione
delle lipasi è legata all’aumento del cortisolo.
(Schott, 2006). Nei casi gravi, con concentrazioni
ematiche superiori ai 500 mg/dl, a causa dell’eccessivo accumulo di acidi grassi a livello epatico, è
possibile il concomitante sviluppo di steatosi epatica. Il fegato, infatti, non è più in grado di esportare, tramite le lipoproteine, o di ossidare i lipidi e
quindi li accumula all’interno delle proprie cellule.
Il nostro caso clinico manifestava una leggera forma di iperlipidemia che può trovare spiegazione
nell’aumento della massa grassa e quindi nella sua
maggiore ed immediata disponibilità a cedere trigliceridi in circolo (Barton, 2010). I ponies sono
più sensibili, rispetto ai cavalli, ad ormoni iperlipemizzanti che si liberano in caso di stress, come ad
esempio il dolore da laminite (Barton, 2010). L’aumento dei valori di AST, ALP, GGT, LDH, unitamente alle caratteristiche ecografiche del fegato, possono essere messe in correlazione con un’alterata
funzionalità dell’organo dovuta a steatosi oppure
ad epatopatia indotta da steroidi (Schott, 2002).
La steatosi epatica, di solito, non si evidenzia in casi di iperlipemia di bassa entità (Naylor, 1982). Anche se una biopsia epatica avrebbe potuto meglio
chiarire il quadro enzimatico ed ecografico, in
questo caso riteniamo più ipotizzabile accostare
l’alterazione epatica ad una degenerazione vacuolare degli epatociti (Glover, 2009). Questo reperto patologico, infatti, può essere collegato ad una
epatopatia indotta da un aumento degli steroidi
circolanti (Ryu et al., 2004).
L’esame delle urine mostrava un aumento della glicosuria e del peso specifico. Queste modificazioni
sono entrambe legate all’iperglicemia che causa il
superamento della soglia di riassorbimento tubulare del glucosio, che nel cavallo è fissata a 160180 mg/dl.
Nel cavallo il secondo segno clinico che si presenta con maggior frequenza in corso di PPID è la laminite. Questa è una patologia spesso severa, che
può causare dolore intenso è può diventare la
complicanza più grave di PPID, se non si interviene tempestivamente.
La frequente associazione di laminite a PPID, EMS
e al diabete mellito deve far riflettere sul fatto che
questa patologia deve essere considerata come
una conseguenza di alterazioni endocrine.
Un recente studio ha evidenziato la correlazione
tra l’insulinemia di cavalli affetti da PPID e da EMS,
con la gravità della laminite (Walsh et al., 2009).
In condizioni fisiologiche normali l’insulina, nell’uomo, gestisce la pressione vasale attraverso due
meccanismi contrapposti. Quest’ormone provoca
vasodilatazione attraverso l’aumento di produzione di ossido-nitrico (Nitric Oxide, NO) endoteliale (Aljada e Dandona, 2000) e allo stesso tempo
induce vasocostrizione attraverso la produzione
di endotelina-1 (ET-1) (Kim et al., 2006).
Diagnosi di un caso di disfunzione della pars intermedia dell’ipofisi (PPID) complicato da laminite endocrina in un pony Shetland
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Nel cavallo si è evidenziato un aumento postprandiale della vasodilatazione e della concentrazione
di insulina e glucosio a livello della porzione distale degli arti (Hoffman et al., 2001).
La vasodilatazione indotta dall’insulina, provoca
una diminuzione della perfusione ematica delle
lamine (Asplin, 2007). Questo ormone, infatti,
induce un aumento della perfusione ematica nel
piede equino ma provoca, allo stesso tempo, anche l’apertura degli shunt artero-venosi particolarmente numerosi nella circolazione lamellare
(Molineaux et al., 1994). Proprio a causa di questo meccanismo, nei ratti, la somministrazione di
insulina in condizioni euglicemiche provoca nei
nervi periferici una evidente ipossia, nonostante
un aumento del flusso ematico totale (Kihara et
al., 1994). Il sangue, quindi, viene spinto via dai
capillari lamellari e questo si traduce in una ipoperfusione patologica delle lamelle, nonostante
l’aumento del flusso ematico digitale (Hood et
al., 1978).
Questa teoria potrebbe spiegare in parte l’insorgenza della laminite nel caso clinico riportato che
non presentava difetti di secrezione e funzionalità
dell’insulina. La produzione di insulina è stimolata
dai glucocorticoidi, ma anche il CLIP esercita la
stessa funzione (Beloff-Chain et al., 1983).
Nell’equino la concentrazione basale di insulina a
digiuno deve essere inferiore ai 20 U.I./ml. L’insulinemia subisce forti variazioni in base alla glicemia, alle caratteristiche della razione alimentare,
alla condizione corporea e in base alla concentrazione di cortisolo ematico (Ralston, 2002). Appare
evidente come l’insulinemia, nel nostro paziente,
possa essere risultata alterata da una serie di modificazioni endocrino-metaboliche che possono
portare ad un suo costante aumento.
È possibile che negli animali con alterata funzionalità della pars intermedia, si evidenzi una iperinsulinemia non sempre legata all’insulino-resistenza
(Schott, 2002). Infatti, nei casi di resistenza all’insulina, la genesi della laminite endocrina si presenta
completamente diversa.
I recettori GLUT-1 sono predominanti sulle lamine e questi recettori sono insulino-independenti,
così non è possibile affermare che in caso di insulino-resistenza, o in caso di ipoinsulinemia, le lamine vadano incontro ad alterazioni a causa dell’ipoglicemia (Asplin et al., 2007).
Probabilmente, quando si verifica una insulino-resistenza, correlata ad uno stato di iperglicemia costante, nel cavallo, come per l’uomo, la produzione di NO è diminuita in virtù dell’inattivazione dei
recettori della NO-sintetasi causata dalla glicazione
delle strutture proteiche recettoriali (Geor, 2008).
Il recettore per la produzione di ET-1, invece, non
viene inattivato, comportando uno stato di squilibrio tra NO e ET-1 (Kim et al. 2006). Questa modificazione comporta uno stato di ipertensione e
quindi di ipossia delle lamine.
Il pony da noi esaminato presentava un evidente
stato di iperglicemia. Studi recenti hanno messo in
correlazione modificazioni istologiche e modificazioni biochimiche che avvengono a livello delle lamine dopo un protocollo di sovraccarico da carboidrati (French e Pollit, 2004; Budak et al., 2009).
L’iperglicemia prodotta induce l’aumento delle
concentrazioni di una serie di metallo-proteinasi; di
una serie di sostanze regolatrici della funzione cellulare; di sostanze ad attività pro-infiammatoria, a
poche ore dal carico e comunque prima della possibilità di osservare qualsiasi alterazione clinica.
La laminite endocrina è quindi una patologia che
può derivare sia da un aumento della glicemia, sia
da un aumento della insulinemia o dalla resistenza
a questo ormone. È evidente come la teoria vasomotoria ed enzimatica della patogenesi della laminite endocrina, possano confluire e non essere
considerati come fenomeni distinti.
Nei pazienti affetti dalla sintomatologia descritta
nel nostro caso, deve essere indagata l’integrità
del sistema endocrino con particolare riferimento
ai meccanismi ormonali che regolano il metabolismo glico-lipidico.
In un cavallo anziano che presenta irsutismo, la
diagnosi di PPID risulta essere particolarmente
agevole. Il caso clinico da noi descritto, invece,
presentava una serie di difficoltà legate alla giovane età del soggetto, all’assenza del sintomo patognomonico di PPID e al quadro dei dati clinici e
degli esami complementari sovrapponibili con altre patologie endocrine.
In tale situazione gli esami effettuati non permettono di escludere altre ipotesi patologiche. Infatti la
diagnosi differenziale deve sicuramente prendere in
considerazione anche il diabete mellito e la EMS.
Data l’iperglicemia e la glicosuria, al fine di escludere un diabete mellito, si è eseguito un test di
tolleranza al glucosio valutando il rapporto glucosio/insulina per rilevare la capacità dell’animale di
secernere insulina e di utilizzare il glucosio.
Nei cavalli normali l’insulina è secreta immediatamente all’aumento della glicemia, la quale torna a
livelli basali entro tre ore (Toribio, 2010). In caso
di diabete insulino-dipendente l’insulinemia non
aumenta e la glicemia rimane alta oltre le tre ore.
Per contro, in caso di diabete insulino-resistente la
concentrazione dell’ormone aumenta, ma l’abbassamento della glicemia è molto ritardato.
Il test overnight di soppressione con desametazone
(DST) è il test più eseguito e raccomandato per la
diagnosi di PPID (Schott, 2006). Si basa sulla incapacità, nei cavalli affetti dalla patologia, di ridurre la
concentrazione di cortisolo sierico a seguito di una
somministrazione esogena di desametazone.
Come già ricordato, la secrezione dei peptidi
POMC-derivati non è sensibile al feed-back negativo da parte dei cortisonici e quindi la loro
produzione non cessa, anche in presenza di elevate concentrazioni di desametazone. Questo
Ippologia, Anno 21, n. 3, Settembre 2010
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test, però, non è scevro da limiti; quali una bassa
sensibilità a causa dei falsi positivi riportati (cioè
incapacità di riduzione della concentrazione del
cortisolo), specialmente in autunno quando l’attività dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene aumenta
(Donaldson et al. 2005). Il DST oltre a permettere la diagnosi di una alterata funzionalità dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene ci ha permesso di
escludere la EMS.
In un soggetto giovane e obeso questa patologia
si rileva molto più di frequente rispetto alla PPID,
ma i cavalli affetti da EMS hanno una reazione
normale alla prova del desametazone (Reeves et
al., 2001). Le due patologie, però, possono essere concomitanti in quanto i cavalli affetti da EMS
sono a forte rischio di sviluppare anche una disfunzione della pars intermedia dell’ipofisi (Frank,
2009).
Nel nostro caso, l’assenza di una palese forma di
insulino-resistenza ha maggiormente supportato
la diagnosi di PPID, in quanto questa alterazione
rappresenta la chiave di volta della patogenesi dell’EMS (Frank, 2009).
In medicina umana, a partire dagli anni ’70 le tecniche tomografiche hanno rivoluzionato, con la Tomografia Computerizzata (TC) prima e con la Risonanza Magnetica (RM) poi, lo studio della regione sellare e parasellare. In particolare la RM si è
affermata come tecnica d’elezione per lo studio di
patologie che interessano questa particolare regione anatomica. Il ricorso a tali tecniche d’indagine per il paziente equino non è tuttavia molto frequente per diversi fattori. Oltre alle restrizioni di
ordine economico e tecnico, legate in particolar
modo alla limitata disponibilità di tomografi adatti
ad accogliere il paziente equino, esistono limitazioni proprie della procedura legate alla capacità
risolutiva del tomografo utilizzato e non da ultimo
dalle dimensioni delle lesioni. Per quanto riguarda
la patologia in questione, bisogna aggiungere il fatto che, in precedenti studi, è stata dimostrata l’alta percentuale di soggetti che non presentavano
significative alterazioni dimensionali della ghiandola pituitaria, pur manifestando un quadro clinico
correlabile a PPID (Heinrichs, 1990). Resta tuttavia il fatto che il ricorso a tali tecniche diagnostiche è al momento l’unica possibilità per poter evidenziare eventuali alterazioni anatomiche della
ghiandola pituitaria in vivo.
Le alterazioni macroscopiche della ghiandola pituitaria in caso di PPID, come già ricordato, sono
inconstanti rispetto a quelle istologiche (Van der
Kolk et al., 2004; Miller et al., 2008). Nel lavoro di
Miller et al. (2008) sono state rapportate le dimensioni macroscopiche dell’ipofisi ai risultati dell’esame istologico. Appare evidente come l’altezza
e l’area totale dell’ipofisi non siano correlate alla
gravità delle lesioni istologiche. Le misurazioni da
noi effettuate, sulla base dei reperti di RM, possono rientrare in tutti i gradi di positività istologica,
20
e quindi funzionale, descritte in questo studio.
Basandoci esclusivamente su questi dati, la RM
presenta degli evidenti limiti. Esistono però altri
dati che ci permettono di fare delle considerazioni diverse. Il lavoro di Van der Kolk et al., (2004) ha
messo in relazione modificazioni macroscopiche
ed istologiche dell’ipofisi di diverse tipologie (razza, sesso, età, stato fisiologico) di equini sani e clinicamente affetti da PPID. Inoltre è noto che le dimensioni dell’ipofisi aumentano con l’aumentare
dell’età (Dobberstein e Stunzi, 1968).
L’ipofisi di cavalle non gravide e non in lattazione
hanno dimensioni macroscopiche minori di quelle
gravide o che allattano un puledro. Di contro, però, gli equidi di sesso femminile hanno l’ipofisi
sempre di maggiori dimensioni rispetto a soggetti
di sesso maschile (Van der Kolk et al. 2004).
La giovane età del nostro paziente, il mancato riconoscimento del peduncolo ipofisario, il fatto
che non era in stato di gravidanza, né in lattazione, ci fa supporre che le dimensioni totali dell’ipofisi riscontrate in risonanza magnetica, possono
essere attribuite ad un aumento di volume della
pars intermedia e quindi avvalorare maggiormente
la diagnosi di PPID.
Parole chiave
PPID, Pony, Laminite Endocrina, Test Soppressione Desametazone, Risonanza Magnetica.
❚ Diagnosis of Pituitary Pars
Intermedia Dysfunction (PPID)
complicated by endocrinopathic
laminitis in a Shetland pony
Summary
A 7 year old Shetland pony mare was presented
with a history of obesity, lethargy and reluctance to
move. The physical examination, laboratory evaluation and diagnostic imaging investigations showed a
picture of liver disease, impairment in glucose metabolism and chronic laminitis.According to the endocrinology investigations carried out, a diagnosis
of PPID was made. The clinical signs of PPID are
variable and sometimes difficult to interpret. Particularly, laminitis and hirsutism in older patients
are frequently observed and, in most cases, the
reason for veterinary intervention.The diagnosis
is particularly difficult when younger animals, not
showing the typical signs of disease, are presented
for veterinary evaluation. The aim of this case report is to accurately describe the complex diagnostic procedures that these patients have to undergo in order to achieve an accurate diagnosis,
treatment and prognosis.
Key words
PPID, Pony, Endocrinopathic Laminitis, Dexamethasone
Suppression Test, Magnetic resonance.
Diagnosi di un caso di disfunzione della pars intermedia dell’ipofisi (PPID) complicato da laminite endocrina in un pony Shetland
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❚ Endocrinologia
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