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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI NAPOLI FEDERICO II
DOTTORATO DI RICERCA
IN
DIRITTO PUBBLICO E COSTITUZIONALE
XXV CICLO
L’interpretazione conforme a Costituzione.
Aspetti teorici e applicazioni pratiche.
Tutor:
Ch.mo Prof. Vincenzo Cocozza
Candidato:
Dott.ssa Maria Antonella Gliatta
Coordinatore:
Ch.mo Prof. Agatino Cariola
ANNO ACCADEMICO 2012- 2013
1
2
INDICE
Considerazioni introduttive………………………………………………………..6
CAPITOLO PRIMO
GIUDICI COMUNI E GIUDIZIO COSTITUZIONALE
1. La funzione della questione di legittimità come discrimen nei rapporti tra giudici
comuni e giudice costituzionale…………………………………………………...p.12
2. Le principali posizioni emerse in dottrina:
2.1 L’accentuazione del profilo soggettivo: la questione di legittimità costituzionale
come
strumento
di
garanzia
dei
diritti
costituzionali………………………………………………………………………p.24
2.2 Le posizioni ambivalenti……………………………………............................p.29
2.3
La
non
manifesta
infondatezza
come
“separazione”……………………………………………………………………...p.30
2.4 Recenti approdi sul problema del rapporto tra giudizio costituzionale e
giudizio a quo …………………………………………………………….p.36
3. I due giudizi: i limiti della relazione tra Giudici comuni e Corte
3
costituzionale……………………………………………………………………..p.39
4. L’accesso alla Corte e le sue condizioni “tradizionali”: rilevanza e non manifesta
infondatezza……………………………………………………………………….p.39
5. Una prima conclusione………............................................................................p.50
CAPITOLO
SECONDO
L’INTERPRETAZIONE CONFORME
PRESUPPOSTI TEORICI E DIFFICOLTÀ RICOSTRUTTIVE
1.
L’interpretazione
conforme:
le
difficoltà
di
inquadramento
teorico…………………………………………………………………………p.56
2. La rilevanza e non la non manifesta infondatezza di fronte all’obbligo di
composizione ermeneutica. Spunti per una ricostruzione…………………….p.62
3.Alla ricerca di un fondamento logico.
I limiti dell’interpretazione
conforme………………………………………………………………………p.82
4. L’obbligo di interpretazione conforme nella giurisprudenza costituzionale del
biennio 2011-2012……………………………………………………………p. 92
5.Interpretazione conforme e applicazione diretta della Costituzione: la ricerca di
una linea distintiva…………………………………………………………...p.105
6. Una recente giurisprudenza amministrativa in materia di pari opportunità: le
ricadute sul piano interpretativo……………………………………………...p.115
4
CAPITOLO TERZO
UN CASE STUDY: INTERPRETAZIONE CONFORME ED EVOLUZIONE DELLA NOZIONE
COSTITUZIONALE DI “FAMIGLIA”
1. L’ausilio dell’interpretazione conforme alla connotazione della famiglia come
nozione costituzionale “dinamica”………………………………………p.125
2. Le sue declinazioni giurisprudenziali: il matrimonio
2.1 L’affidamento dei figli…………………………………......p138
2.2 La previdenza……………………………………..............p.141
2.3 L’immigrazione……………………………………………..p.147
Bibliografia consultata………………………………………………………p.152
5
Considerazioni introduttive
Il tema dell’adeguamento interpretativo delle leggi a Costituzione ad opera
della giurisprudenza comune soffre – potrebbe dirsi – di una consistente
problematizzazione dovuta ad una contrapposizione fra orientamenti
giurisprudenziali e ricostruzioni dottrinali. A fronte, infatti, di un costante
orientamento della Corte costituzionale, indiscutibilmente favorevole alla
valorizzazione dell’attività di prevenzione del contrasto gerarchico fra legge e
Costituzione, le voci in dottrina sono spesso polarizzate su posizioni di netta
opposizione. Ciò ha reso quello dell’interpretazione conforme un problema
all’interno del sistema di giustizia costituzionale italiano.
Già sul finire degli anni ’80 la Corte comincia a configurare l’obbligo di
interpretazione conforme come un requisito processuale della questione di
legittimità costituzionale, in difetto del quale dichiara la questione
inammissibile. Gli strumenti prescelti per sanzionare il mancato tentativo di
adeguamento a Costituzione si differenziano nel tempo, alternandosi fra
dispositivi di infondatezza “nei sensi di cui in motivazione”, di rigetto cd.
occulti e ordinanze di inammissibilità, semplice o manifesta1.
Per una ricostruzione delle tipologie decisionali adottate dalla Corte per sanzionare il
mancato rispetto dell’obbligo di interpretazione conforme, G. SORRENTI, L’interpretazione
conforme a Costituzione, Milano 2006, pp. 209 e ss.
1
6
La formula con cui la Corte esemplifica il ruolo sussidiario che riserva alla
dichiarazione di illegittimità ex art. 136 Cost. all’interno del sindacato
incidentale delle leggi ha trovato, poi, una chiara cristallizzazione nella
sentenza n. 356 del 1996. In quell’occasione la Corte dichiarò la questione
inammissibile perché – disse – «in linea di principio, le leggi non si dichiarano
costituzionalmente illegittime perché è possibile darne interpretazioni
incostituzionali (e qualche giudice ritenga di darne), ma perché è impossibile
darne interpretazioni costituzionali». L’anno successivo, con la sentenza 224,
precisò che «la risoluzione dell'eventuale dubbio interpretativo in ordine alla
norma impugnata è lasciata alla preliminare valutazione del rimettente, vuoi ai
fini della richiesta motivazione sulla rilevanza della questione di legittimità
costituzionale nel giudizio a quo vuoi in ossequio all’obbligo, pure posto a
carico dello stesso giudice, della interpretazione adeguatrice, ove possibile,
alla Costituzione».
L’orientamento è andato, poi, consolidandosi. Valga come dato
esemplificativo il riferimento all’ultimo biennio. Nel 2011, la Corte pronuncia
tredici ordinanze di inammissibilità per omessa interpretazione conforme (ord.
nn. 15, 101, 103, 137, 139, 167, 173, 212, 222, 266, 270, 287), due ordinanze
di
manifesta
infondatezza
rispettivamente
per
erroneo
presupposto
interpretativo e per omessa interpretazione conforme (ord. nn. 270 e 173), tre
sentenze di non fondatezza della questione nei sensi di cui in motivazione
(sentt. nn. 49, 83, 248). Nel 2012 la Corte pronuncia dieci ordinanze di
7
inammissibilità per omessa interpretazione conforme (ord. nn. 26, 44, 102,
125, 146, 181, 194, 254, 255, 304), un’ordinanza di restituzione degli atti (ord.
n. 150) e una sentenza di non fondatezza nei sensi di cui in motivazione (sent.
n. 109), una sentenza di inammissibilità (sent. n. 58).
A fronte di un quadro giurisprudenziale univoco, quanto meno sulla
affermazione del carattere sussidiario del giudizio di legittimità rispetto allo
sforzo preventivo del giudice comune, gli orientamenti dottrinali sono spesso
assestati su posizioni critiche.
Gli ostacoli che impedirebbero una piena valorizzazione dell’attività di
interpretazione conforme ad opera dei giudici o – quanto meno – che
richiederebbero una più decisa definizione dei suoi limiti sono, nella maggior
parte dei casi, coincidenti con i rischi di alterazione del sistema di giustizia
costituzionale accentrato e con la relativa espromissione delle competenze
della Corte costituzionale2. Ma la critica, poi, intreccia, anche il rischio di un
affievolimento del vincolo di soggezione del giudice alla legge che
discenderebbe da una pratica giudiziale sostanzialmente per principi3.
L’analisi delle posizioni critiche e la verifica della loro consistenza rivela,
tuttavia, la necessità di una opzione preliminare di fondo.
In questo senso, A. PACE, I limiti dell’interpretazione adeguatrice, in Giurisprudenza
costituzionale, 1963, pp. 1070 e ss. M. LUCIANI, Le funzioni sistemiche della Corte
Costituzionale, oggi, e l’interpretazione “conforme a”, Relazione tenuta il 18 maggio 2007
al Convegno “Il ruolo del giudice: le magistrature supreme”, Università di Roma Tre; G.
SORRENTI, L’interpretazione conforme…, cit., pp. 140 e ss.
2
3
G. SORRENTI, ivi, pp. 124 e ss.
8
Il problema dell’interpretazione conforme diventa, così, sostanzialmente un
problema di prospettiva. L’inquadramento del metodo interpretativo in esame
richiede, infatti, la definizione della funzione della questione di legittimità
costituzionale. E’ questo, un profilo trascurato dalle indagini sul tema. La
maggior parte delle ricostruzioni assume, infatti, come angolo visuale quello
della teoria dell’interpretazione e, per questa via, insiste sulla ricerca di un
limite attraverso una più generale definizione del rapporto fra giudice e legge
nella fase di interpretazione/applicazione del diritto4. Nonostante se ne
riconosca la strumentalità, la prospettiva che parte dalla ricerca di un metodo
giuridico prescrittivo risulta monca, in assenza di una assunzione preliminare.
Il grado di accettabilità del canone dell’interpretazione conforme e il ruolo da
questa esercitato nel complesso sistema di garanzia costituzionale non può,
infatti, essere definito senza che si prenda posizione sul destinatario della
dichiarazione di illegittimità costituzionale.
L’analisi, quindi, prenderà avvio dalla costruzione del modello di giustizia
costituzionale sull’alternativa fra l’opzione cd. oggettiva/astratta e quella
soggettiva/concreta. Individuata la funzione prevalente della questione di
legittimità costituzionale, si passerà, poi, alla definizione dei presupposti
processuali della rilevanza e della non manifesta infondatezza.
Alla delineazione delle linee essenziali del sindacato di legittimità
costituzionale seguirà, senza soluzione di continuità, l’inquadramento teorico
4
Fra tutti, G. SORRENTI, ivi, pp. 57 e ss.
9
del canone dell’interpretazione conforme.
Le diverse declinazioni dei significati della rilevanza e della non manifesta
infondatezza, influenzate dall’opzione preliminare, permetteranno di fissare il
grado di compatibilità dell’attività di adeguamento preventivo al modello di
controllo, così come originariamente delineato dalla Costituzione e dalle leggi
attuative. L’opzione iniziale, poi, ne condizionerà la stessa individuazione del
fondamento logico e del limite che il giudice incontra nella scelta tra la
dichiarazione della non manifesta infondatezza e/o irrilevanza della questione
e la remissione degli atti ex art. 23 l. 87 del 1953.
L’assunzione di un punto di vista schiettamente empirico, permetterà
invece, di prendere in considerazione il secondo dei profili problematici,
ovvero la presunta frizione con il vincolo di soggezione alla legge. Il rapporto
fra giudici, legge e Costituzione, risulta, infatti, messo alla prova da tecniche
interpretative che manipolano il testo legislativo, attraverso operazioni di
significazione estensive e/o evolutive. La complessità del tema, suggerisce,
tuttavia, di preferire un’analisi giurisprudenziale a quella esclusivamente
teorica che offra un panorama sui modi di esercizio della funzione
giurisdizionale, prevalentemente in caso di assenza di tutele legislative. Il
“caso” della rappresentanza femminile e quello del matrimonio omosessuale
saranno, infatti, le aree tematiche a partire dalla quali si snoderà un’analisi
giurisprudenziale che tenterà di descrivere i rapporti fra decisione giudiziaria e
“argomenti” costituzionali.
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CAPITOLO PRIMO
GIUDICI COMUNI E GIUDIZIO COSTITUZIONALE
SOMMARIO: 1. La funzione della questione di legittimità come
discrimen nei rapporti tra giudici comuni e giudice costituzionale. 2. Le
principali posizioni emerse in dottrina. 2.1. L’accentuazione del profilo
soggettivo: la questione di legittimità costituzionale come strumento di
garanzia dei diritti costituzionali. 2.2. Le posizioni “ambivalenti”. 2.3. La
non manifesta infondatezza come “separazione”. 2.4. Recenti approdi sul
problema del rapporto tra giudizio costituzionale e giudizio a quo. 3. I
due giudizi: i limiti della relazione tra Giudici comuni e Corte
costituzionale 4. L’accesso alla Corte e le sue condizioni “tradizionali”:
rilevanza e non manifesta infondatezza. 5. Una prima conclusione.
1. La funzione della questione di legittimità come discrimen nei rapporti
tra giudici comuni e giudice costituzionale.
Quello che suole definirsi come il “problema” dell’interpretazione
conforme richiede la soluzione di svariate questioni preliminari e l’adozione di
numerose opzioni teoriche di fondo.
Innanzitutto, sembra indispensabile individuare quale funzione assolva, nel
nostro ordinamento, la questione di legittimità costituzionale. L’obiettivo che
12
si segue con l’ordinanza di remissione – d’ufficio o su istanza di parte –
contribuisce, infatti, inevitabilmente a segnare il riparto competenziale fra
giudici e Corte Costituzionale in tema di contrasti gerarchici fra norme 5 e a
definire lo statuto giuridico dell’interpretazione conforme. Nonostante risulti
dirimente, è questo un profilo trascurato nelle indagini sul tema – o meglio –
non ne è sufficientemente sottolineato il collegamento funzionale con il profilo
dell’interpretazione in conformità alla Costituzione6. Eppure sembra
particolarmente chiaro che dalla definizione dell’interesse che sottende la
remissione degli atti alla Corte, ne risulti anche tracciato lo spazio che residua
all’attività di composizione preventiva dei contrasti fra legge e Costituzione. I
limiti posti alle decisioni secundum Constitutionem rese nei giudizi ordinari –
o addirittura il loro grado di omogeneità con il sistema di giustizia
costituzionale cd accentrato – variano a seconda di quale scopo si intenda
perseguire con la proposizione della questione di legittimità costituzionale. Le
Sulla gerarchia delle fonti del diritto, tra gli altri, V. CRISAFULLI, voce Fonti del diritto
(diritto costituzionale), in Enc. Dir., XVII; A. RUGGERI, Gerarchia, competenza e qualità nel
sistema costituzionale delle fonti normative, Milano,1977; G. ZAGREBELSKY, Manuale di
diritto costituzionale, I. Il sistema delle fonti del diritto, Torino, 1987; A. PIZZORUSSO, Fonti
(Sistema costituzionale delle), in D. disc. pubbl., VI, Torino, 1991; F. MODUGNO, La teoria
delle fonti nel pensiero di Vezio Crisafulli, in Dir. soc., 1993; A. RUGGERI, Fonti e norme
nell'ordinamento e nell'esperienza costituzionale, Torino, 1993; F. SORRENTINO, Le fonti del
diritto, rist., Genova, 1994; L. PALADIN, Diritto costituzionale, Padova, 1995; F. MODUGNO,
voce Fonti del diritto (gerarchia delle), in Enc. dir., Agg. I, Milano, 1997; G.U. RESCIGNO,
Gerarchia e competenza, tra atti normativi, tra norme, in Diritto pubblico, 1–2, 2010; S.
PARISI, La gerarchia delle fonti. Ascesa, declino e mutazioni, Napoli, 2012.
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Ne fa accenno Giusi Sorrenti, senza tuttavia sviluppare le conseguenze sul tema in oggetto.
G. SORRENTI, La “manifesta infondatezza” delle questioni di legittimità costituzionale e
l’applicazione diretta della Costituzione nella prassi giudiziaria. Ovvero: una ricerca
empirica su una risalente ipotesi, di rinnovata attualità, in E. MALFATTI, R. ROMBOLI, E.
ROSSI (a cura di) Il giudizio sulle leggi e la sua “diffusione”. Verso un controllo di
costituzionalità di tipo diffuso? Atti del seminario di Pisa svoltosi il 25 – 26 maggio 2001 in
ricordo di Giustinio D’Orazio, p. 100.
5
13
posizioni si polarizzano su due alternative; da un lato, c’è chi ritiene che nel
controllo di legittimità costituzionale prevalga l’interesse oggettivo e astratto
alla coerenza costituzionale dell’ordinamento, dall’altro chi sottolinea
l’incidenza della decisione del giudice costituzionale sulla posizione giuridica
delle parti del processo a quo. Prima, però, di esporre le tesi sul punto e, di
assumerne una come valido angolo visuale per l’indagine, è necessaria una
precisazione.
L’alternativa appena posta soffre di una eccessiva radicalizzazione. Non può,
infatti, non tenersi conto che la remissione degli atti alla Corte persegue
entrambi gli obiettivi appena enunciati, per via del carattere eclettico del
giudizio di legittimità costituzionale7. La previsione di una duplice
legittimazione a dare impulso al processo costituzionale – ovvero quella di
parte e quella d’ufficio – dimostra, infatti, la contemporanea coesistenza di
interessi eterogenei che contribuiscono a conformare la complessità del
sistema di controllo incidentale delle leggi8. Se sollevata d’ufficio, l’ordinanza
Distinguono nettamente le due ipotesi – di remissione d'ufficio e su istanza di parte – anche
quanto a disciplina e presupposti, F. PIZZETTI – G. ZAGREBELSKY, «Non manifesta
infondatezza» e «rilevanza» nella instaurazione incidentale del giudizio sulle leggi, Milano,
1972, p 6 e ss.
8
In questo senso, G. ZAGREBELSKY, Il diritto mite. Legge, diritti. Giustizia, Torino, 1992,
pp. 78 e ss., il quale sottolinea le differenze – queste sì radicali – fra il sistema di controllo
di costituzionalità cd di diritto obbiettivo in Francia e quello cd di diritto soggettivo
statunitense. L'Autore rileva che, nel primo caso «il procedimento di controllo a priori si
svolge come raffronto tra testi normativi, indipendentemente dalla loro concreta applicazione
a casi concreti e, per quanto si siano avute aperture all'esigenza di un contraddittorio, non
contempla la rappresentazione delle ragioni dei titolari dei diritti, di fronte alle ragioni dei
“padroni” della legge». Al contrario, il sistema nord americano di giustizia costituzionale è
incentrato sulla protezione delle posizioni giuridiche soggettive. «La tutela di questi diritti e
non altro è la ragione essenziale di quel sistema di giustizia costituzionale, nel quale il
7
14
segnerà la prevalenza dell’interesse oggettivo al rispetto del criterio
gerarchico,
viceversa
di
quello
soggettivo
alla
tutela
dei
diritti
costituzionalmente rilevanti. Solo, quindi, una descrizione semplicistica
potrebbe portare ad affermare l’assoluta prevalenza di un obiettivo su un altro.
Pur tuttavia, è possibile rilevare l’accentuazione – anche solo contingente o
temporanea – di un profilo rispetto all’altro.
E’ indiscutibile che la composizione della Corte Costituzionale veicoli la
figura dell’organo arbitrale «chiamato a regolare il conflitto latente e
strutturante tra il potere legislativo e il potere giudiziario»9, come è evidente –
controllo sulla legge, almeno da un punto di vista concettuale, avviene per incidens in
procedimenti giudiziari su controversie che coinvolgono concretamente i diritti delle parti e
nei quali le ragioni del legislatore non trovano alcuno spazio di autonoma rappresentazione».
Tra i due modelli, si colloca, in posizione mediana il controllo di costituzionalità nei sistemi
europei, diversi da quello francese, e quindi, anche quello italiano. Dice, infatti, l'Autore «a
parte la Francia che su questo punto fa caso a sé, il controllo di costituzionalità sulle leggi in
Europa è organizzato in modo tale da garantire un equilibrio fra le esigenze del legislatore e
le esigenze dei diritti. Escludendo il judicial review of legislation americano, svolto in modo
«diffuso» da tutti i giudici nell'ambito della loro normale giurisdizione sui diritti individuali,
si è voluto creare un sistema speciale che evitasse di sfociare nella judicial supremacy, il che
equivale a dire la supremazia, per il tramite della giurisdizione, dei diritti sulla legge. Il
controllo di costituzionalità riservato ad organi ad hoc, distinti dal potere giudiziario
ordinario, cioè la cosiddetta Verfassungsrichtsbarkeit o giurisdizione costituzionale, è rivolto
a riconoscere, accanto a quelle dei titolari dei diritti costituzionali, le esigenze della legge e
del legislatore». Come ogni schematizzazione, tuttavia, anche quella presentata dall'Autore
vale fino a prova contraria e, infatti, è lui stesso a rilevare che «malgrado le differenze di
principio tra i diversi sistemi di controllo di costituzionalità sulle leggi vi sono stati – come è
noto – notevoli passi di avvicinamento. La Corte suprema degli Stati Uniti è ormai il giudice
speciale delle grandi questioni di costituzionalità, analogo alle Corti costituzionali europee e,
d'altra parte, la possibilità di innestare il controllo delle leggi, attraverso questioni
pregiudiziali di costituzionalità, ha inserito le Corti costituzionali europee nel circuito
giudiziario comune, con esiti sotto molti aspetti assimilabili a quelli del sistema statunitense.
D'altra parte, lo stesso sistema francese ha subito una spettacolare evoluzione, tuttora in
corso, verso una concezione «comune» della giustizia costituzionale».
9
R. BIN, L'applicazione diretta della Costituzione, le sentenze interpretative,
l'interpretazione conforme a Costituzione della legge, in www.astridonline.it. pp. 7 e ss., il
quale ha ragione a ritenere che «per scongiurare il rischio di un conflitto tra chi è investito
del potere democratico di legiferare e chi è chiamato al ruolo sacerdotale di difendere il
diritto (e la legalità costituzionale in primis), è stata introdotta quella “giurisdizione
15
viceversa – che il “giudice dei diritti” nel nostro sistema è il giudice ordinario
(e, con i noti problemi di distinzione, quello amministrativo); il principio
dominante è che ogni posizione di diritto (e di interesse) debba essere
azionabile davanti alla giurisdizione»10.
Ma, del pari, ha ragione chi rileva come la Corte «si è fatta nel corso del
tempo “giudice tra i giudici”, preoccupandosi maggiormente dell’esito non
incostituzionale
delle
controversie
all’esame
della
magistratura
che
dell’impatto ordinamentale, sul diritto oggettivo, delle proprie pronunce»11. Lo
scarso utilizzo della pronuncia di illegittimità tout court12, a tutto favore di
particolarissima” rappresentata dalla Corte costituzionale: particolarissima essenzialmente
per questo, perché è chiamata a svolgere un ruolo arbitrale tra il mondo della legislazione e
quello dell’‟interpretazione-applicazione” della legge».
10
R. BIN, ivi, p. 8
11
In questo senso, E. LAMARQUE, La fabbrica delle interpretazioni conformi a Costituzione
tra Corte Costituzionale e giudici comuni, in www.astridonline.it, p. 2 e ss.
12
Per un'indagine statistica sull’uso di dispositivi di accoglimento tout court R. ROMBOLI (a
cura di), Aggiornamenti in tema di processo costituzionale (2008–2010). Nel 2004 sono state
pronunciate ventitré sentenze che contengono una o più declaratorie di illegittimità
costituzionale. Di queste, sono soltanto cinque quelle che si pronunciano in senso
caducatorio di una intera disposizione (sentenze numeri 24, 114, 204, 282 e 315). Per quanto
peculiare appare sostanzialmente riconducibile al genus dell'accoglimento tout court anche la
sentenza n. 147, la quale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 30 bis, primo
comma, del codice di procedura civile, «ad eccezione della parte relativa alle azioni civili
concernenti le restituzioni e il risarcimento del danno da reato, di cui sia parte un magistrato,
nei termini di cui all'art. 11 del codice di procedura penale». Nel 2005, sono state
pronunciate 32 dispositivi di accoglimento. Soltanto in 6 occasioni si è avuta una
dichiarazione di illegittimità costituzionale di una intera disposizione ( sentenze numeri 191,
220, 221, 278, 437 e 466). Tra queste, fra l'altro, può considerarsi come la sentenza 466,
avendo ad oggetto una disposizione nel testo anteriore a modifiche apportate dal legislatore,
ma non applicabili nel giudizio a quo, ha dichiarato l'incostituzionalità precisando, in
motivazione, che essa colpisce «la disposizione censurata nel testo vigente prima delle
modifiche introdotte». Nel 2006 sono state pronunciate ventinove sentenze che contengono
una o più declaratorie di illegittimità costituzionale, per un totale di trenta dispositivi di
annullamento. In quattordici occasioni si è avuta una dichiarazione di illegittimità
costituzionale di una intera disposizione (sentenze numeri 39, 50, 58, 137, 232, 254, 308,
310, 341, 394, 411, 441 e 448). Nel 2007, sono state pronunciate trentasei sentenze che
contengono una o più declaratorie di illegittimità costituzionale, per un totale di quarantotto
dispositivi di annullamento. In sole otto occasioni si è avuta una dichiarazione di illegittimità
16
pronunce cd manipolative, mostrerebbe come la Corte decida sempre più
spesso «di risolvere il problema pratico che avevano il giudice a quo e le parti
del suo processo: quello di affermare la Costituzione in un rapporto giuridico
controverso nonostante la presenza di un testo di legge incostituzionale perché
lacunoso o sovrabbondante, o comunque bisognoso di essere corretto, più che
cancellato del tutto»13. La prevalenza dell’interesse obiettivo richiederebbe –
senza dubbio e al contrario – una pronuncia da cui non residui nessuna
possibilità interpretativa incostituzionale e, quindi, la caducazione della
disposizione viziata. L’affermarsi dell’uso di pronunce interpretative, invece,
«è la conseguenza dello spostamento di prospettiva che si è determinato, uno
spostamento le cui conseguenze non sempre sono state avvertite con
chiarezza: lo spostamento del controllo di costituzionalità delle leggi dal
terreno delle fonti a quello dell’interpretazione; dalla cura dell’astratta
costituzionale di una intera disposizione (sentenze numeri 25, 116, 156, 171, 267, 348, 349,
364). Nel 2008 sono state pronunciate quarantaquattro sentenze che contengono una o più
declaratorie di illegittimità costituzionale. In quattordici decisioni si è avuta una
dichiarazione di illegittimità costituzionale di una intera disposizione (sentenze numeri 128,
179, 213, 214, 231, 271, 296, 350, 351, 361, 369, 370, 390, 399). Nel 2009 sono state
pronunciate trentuno sentenze che contengono una o più declaratorie di illegittimità
costituzionale. In otto occasioni si è avuta una dichiarazione di illegittimità costituzionale di
un'intera disposizione (sentenze nn. 10, 24, 121, 137, 166, 214, 227 e 262). Nel 2010, sono
state pronunciate quarantadue sentenze che contengono una o più declaratorie di illegittimità
costituzionale, tra queste in 11 decisioni si è registrata una declaratoria di illegittimità
costituzionale di una intera disposizione (sentenze nn. 44, 69, 108, 209, 214, 224, 249, 272,
293, 354, 366). Nel 2011, trentacinque sentenze contengono dispositivi di accoglimento, ma
solo quindici dichiarano l'illegittimità costituzionale di intere disposizioni legislative
(sentenze nn. 23, 41, 42, 181, 184, 188, 242, 243, 271, 280, 293, 309, 228, 238).
13
E. LAMARQUE, La fabbrica delle interpretazioni conformi a Costituzione..., cit., p. 3.
Appunta la sua attenzione sugli aspetti processuali, tra cui l'uso delle sentenze interpretative
per avvalorare la tesi della funzione soggettiva della questione di legittimità costituzionale,
anche G. ROLLA, Giudizio di legittimità costituzionale in via incidentale e tutela dei diritti
fondamentali, Testo della relazione tenuta il luglio 2004 in San José Costa Rica, consultabile
in www.crdc.unige.it, pp. 10 e ss.
17
coerenza del sistema giuridico alla garanzia di successo dell’interpretazione.
Tale spostamento, funzionale a ogni concezione della Costituzione come
norma di applicazione giudiziaria, cioè come norma che entra in rapporto con
la legge ai fini della risoluzione dei casi controversi, getta una luce del tutto
diversa su quei contestati tipi di decisioni. Il compito della giustizia
costituzionale, in questa luce, si rivela come quello della garanzia che il punto
di vista della legge e quello della Costituzione, sul caso da decidere, non si
contraddicano ma si fondino armonicamente»14.
G. ZAGREBELSKY, La legge e la sua giustizia. Tre capitoli di giustizia costituzionale.
Bologna, 2008, p. 261 e ss. A confortare, poi, la presunta torsione “soggettiva” della
funzione della questione di legittimità costituzionale, non vi è solo l'utilizzo di pronunce più
strumentali alla risoluzione della controversia pendente davanti al giudice a quo che alla
garanzia del rispetto del criterio gerarchico, ma anche un dato emergente da una modifica
costituzionale. La legge cost. n. 3 del 2001 e il nuovo art. 117, primo comma Cost.,
sottoponendo la legislazione statale e regionale al rispetto degli obblighi internazionali e
comunitari, ha introdotto le Carte internazionali di protezione dei diritti umani nel sistema
costituzionale italiano e aperto la strada del giudizio di legittimità costituzionale per la
violazione “mediata” delle stesse. L’adeguamento dell'ordinamento italiano alle fonti
internazionali e, in particolar modo alle Carte sui diritti, è tema che interseca quello qui in
oggetto, ma che lo trascende per il punto di vista esclusivamente interno scelto. È, tuttavia,
rilevante nella misura in cui conferma l'accentuazione del ruolo di giudice dei diritti per la
Corte Costituzionale Tra i tanti e dopo le sentenze Corte Cost. n. 348–349 del 2007, E.
LAMARQUE, Il vincolo alle leggi statali e regionali derivanti dagli obblighi internazionali
nella giurisprudenza comune, in A.A V.V “Corte costituzionale, giudici comuni e
interpretazioni adeguatrici”, Roma, Palazzo della Consulta, 6 novembre 2009; I. CARLOTTO,
I giudici comuni e gli obblighi internazionali dopo le sentenze n. 348 e n. 349 del 2007 della
Corte
costituzionale:
un’analisi
sul
seguito
giurisprudenziale,
in
www.associazionedeicostituzionalisti.it; A. RUGGERI, La CEDU alla ricerca di una nuova
identità, tra prospettiva formale–astratta e prospettiva assiologico–sostanziale
d’inquadramento sistematico, in www.forumcostituzionale.it; A. RUGGERI, Ancora in tema di
rapporti tra CEDU e Costituzione: profili teorici e questioni pratiche, in
www.archivio.rivistaaic.it, 2008; M. CARTABIA, La Cedu e l’ordinamento italiano: rapporti
tra fonti, rapporti tra giurisdizioni, in All’incrocio tra Costituzione e Cedu. Il rango delle
norme della Convenzione e l’efficacia interna delle sentenze di Strasburgo, a cura di R. BIN
– G. BRUNELLI – A. PUGIOTTO – P. VERONESI, Torino, 2007; D. TEGA, Le sentenze della
Corte costituzionale nn. 348 e 349 del 2007: la Cedu da fonte ordinaria a fonte “sub–
costituzionale” del diritto, in www.forumcostituzionale.it; F. DONATI, La Cedu nel sistema
delle fonti del diritto alla luce delle sentenze della Corte Costituzionale del 24 ottobre 2007,
in www.osservatoriosullefonti.it; S. CICCONETTI, Creazione indiretta del diritto e norme
14
18
Se quanto detto è vero, se si consolida l’idea dell’esercizio della funzione di
garanzia costituzionale come strumento di tutela di posizioni soggettive
rilevanti15, allora la singola decisione secundum Constitutionem resa nel
giudizio ordinario, non solo è compatibile con il sistema di giustizia
costituzionale accentrato, ma ne permette il corretto funzionamento in quanto
parte di un meccanismo di tutela più ampio. All’irrilevanza cui sarebbe
condannata ove si accentrasse in capo alla Corte solo l’astratto e obiettivo
interposte, in www.associazioneitalianadeicostituzionalisti.it; T.F. GIUPPONI, Corte
Costituzionale, obblighi internazionali e “controlimiti allargati”: che tutto cambi perchè
tutti rimanga uguale?, in www.forumcostituzionale.it; R. DICKMANN, Corte Costituzionale e
diritto internazionale nel sindacato delle leggi per contrasto con l'art. 117, primo comma,
della Costituzione. Nota a Corte Cost., 22 ottobre 2007, n. 348 e 24 ottobre 2007, n. 349, in
www.federalismi.it, 2007; T.E. FROSINI, Corte europea dei diritti dell’uomo e Costituzione
italiana, in V. PARISIO (a cura di), Diritti interni, diritto comunitario e principi
sovranazionali. Profili amministrativistici, Milano, 2009, pp. 177 e ss.
15
Che la funzione delle Corti costituzionali sia prevalentemente quella della tutela delle
posizioni soggettive e dei diritti riconosciuti dalla Costituzione nei confronti dei pubblici
poteri, M. CAPPELLETTI, La giurisdizione costituzionale delle libertà, Milano, 1950; L.
PALADIN, La tutela delle libertà fondamentali offerta dalle Corti costituzionali europee:
spunti comparatistici, in L. CARLASSARE (a cura di), Le garanzie giurisdizionali dei diritti
fondamentali, Padova, 1988, pp. 11 e ss.; V. ONIDA, La corte e i diritti: tutela dei diritti
fondamentali e accesso alla giustizia costituzionale, Studi in onore di Leopoldo Elia, II,
Milano, 1999, pp. 1097 e ss. Sostiene, poi, che il giudizio di costituzionalità in via
incidentale segni la prevalenza dell'interesse concreto alla tutela delle posizioni processuali
delle parti del giudizio principale, G. ROLLA, Giudizio di legittimità costituzionale in via
incidentale…, cit., p. 8 e ss., per cui lo stesso obbligo di interpretazione conforme che grava
sul giudice comune evidenzia la strumentalità della questione di legittimità costituzionale
rispetto alle posizioni delle parti del processo principale. Sull’evoluzione della funzione della
Corte Costituzionale, insiste S. GAMBINO, La giurisdizione costituzionale delle leggi.
L’esperienza italiana nell’ottica comparata (con particolare riguardo al giudizio in via
incidentale) e in quella eurounitaria, in ID. (a cura di), Diritti fondamentali e giustizia
costituzionale. Esperienze europee e nord-americana, Milano, 2012, il quale sottolinea che
l’evoluzione del sistema di giustizia costituzionale corrisponde ad una accentuazione del
ruolo di garante dei diritti, ma non solo in senso negativo e difensivo, ma anche suppletivo e
integrativo, pp. 20 e ss. Si riferiscono al ruolo della Corte come quello di legislatore cd.
positivo per intenderne l’evoluzione, G. ZAGREBLESKY, La Corte Costituzionale e il
legislatore, in P. BARILE, E. CHELI, S. GRASSI (a cura di), Corte Costituzionale e sviluppo
della forma di governo in Italia, Bologna, 1982, pp. 103 e ss.; G. SILVESTRI, Le sentenze
normative della Corte Costituzionale, in AA. VV., Scritti su la giustizia costituzionale in
onore di V. Crisafulli, I, Padova, 1985, pp. 755 e ss. A. PIZZORNO, R. ROMBOLI, E. ROSSI, Il
contributo della giurisprudenza costituzionale alla determinazione della forma di governo
italiana, Bologna, 1982.
19
controllo del rispetto del criterio di gerarchia, si sostituisce la necessaria
valorizzazione dell’attività di prevenzione interpretativa del conflitto. Ma,
nonostante posizioni contrarie, l’idea sembra confermata anche dalla
disciplina normativa o – detto altrimenti – la prospettiva assunta ci permette di
cogliere quegli aspetti che, poi, hanno permesso l’evoluzione cui si è fatto
cenno.
La regolamentazione positiva, in realtà, soffre di una complessità intrinseca a
causa del carattere progressivo della normazione in materia. Alle previsioni
contenute negli artt. 134 e ss. Cost. segue, infatti, prima la legge cost. n. 1 del
1948 e poi la l. n. 87 del 1953. L’arco temporale che intercorre tra gli
interventi legislativi non poteva che causarne una diversità – ideologica –
riguardo al ruolo sia della Corte che dei giudici. L’attivazione, prima timida,
poi costante del controllo di legittimità costituzionale16 ha finito, infatti, per
influenzare, da un lato la lettura dei dati normativi preesistenti, dall’altro gli
stessi interventi successivi. L’indagine che segue mostrerà, infatti, quanto sia
cambiato il rapporto fra giudici e giudizi fra la previsione dell’effetto
abrogativo delle sentenze di annullamento di cui all’art. 136 Cost. e
l’accentuazione del profilo di concretezza del giudizio costituzionale operata
con l’art. 23 della legge del 1953.
Nonostante si ritenga di condividere l’idea di chi ricostruisce la funzione della
Sull'attivazione del sindacato di legittimità costituzionale italiano: G. ZAGREBELSKY, La
giustizia costituzionale, Bologna, 1988; A. CERRI, Corso di giustizia costituzionale, Milano,
2008; E. MALFATTI, S. PANIZZA, R. ROMBOLI, Giustizia costituzionale, Torino, 2011.
16
20
questione di legittimità costituzionale in senso unitario17, indipendentemente
cioè dal soggetto legittimato ad “adire” la Corte – il giudice o le parti – non
può non tenersi conto della differenziazione operata sia dall’art. 1 della l. cost.
n. 1 del 1948, sia dall’art. 23 della legge n. 87 del 1953 e di opinioni
contrastanti in dottrina18.
Sulla ratio della questione di legittimità sollevata dalle parti del processo a
quo, in realtà, le posizioni in dottrina sono sostanzialmente omologate dalla
univocità dell’intenzione del Costituente. In Commissione l’on. Leone
affermava che «bisogna allargare la sfera di iniziativa, attribuendo tale potere
anche al cittadino. Ciò sia per obbedire ad un’esigenza di attuazione larga del
principio democratico, sia per svincolare la tutela del diritto del cittadino dal
giudizio di un organo, che può in buona o in mala fede sacrificarlo mediante il
mancato esercizio del potere di iniziativa»19. Il passo, testualmente riportato,
veicola con immediatezza l’idea per cui la funzione della questione di
legittimità costituzionale sollevata dalle parti del giudizio a quo sia quella di
tutelare le posizioni soggettive di cui si controverte e che trovano tutela
costituzionale. Ma l’idea per cui la remissione degli atti alla Corte su iniziativa
delle parti in causa non abbia altro scopo che evitare la compressione di diritti
Tra gli altri, P. CALAMANDREI, Corte Costituzionale ed Autorità giudiziaria, in Opere
giuridiche, III, Napoli, 1968, pp. 621 e ss.
18
Sono, infatti, dell’idea che la funzione della questione di legittimità costituzionale non
possa essere ricostruita in senso unitario, F. PIZZETTI – G. ZAGREBELSKY, «Non manifesta
infondatezza» e «rilevanza»…, cit., pp. 14 e ss.
19
Il resoconto dei lavori in Assemblea Costituente è consultabile in
www.legislature.camera.it, seduta del 13 gennaio 1947.
17
21
costituzionali non necessita di trovare conforto nel dibattito in Costituente, se
solo si ha riguardo al carattere inequivocabilmente concreto del modello di
sindacato incidentale quale emerge dai già citati art. 1 l. cost. n. 1 del 1948 e
art. 23 della l. n. 87 del 1953. L’art. 1 della l. cost. n. 1 del 1948 dispone
che la questione di legittimità costituzionale di una legge o di un atto avente
forza di legge della Repubblica rilevata d’ufficio o sollevata da una delle parti
nel corso di un giudizio e non ritenuta dal giudice manifestamente infondata, è
rimessa alla Corte costituzionale per la sua decisione. Del pari, e ad
integrazione, per l’art. 23 della l. n. 87 del 1953 l’autorità giurisdizionale,
qualora il giudizio non possa essere definito indipendentemente dalla
risoluzione della questione di legittimità costituzionale o non ritenga che la
questione sollevata sia manifestamente infondata, emette ordinanza con la
quale, riferiti i termini ed i motivi della istanza con cui fu sollevata la
questione, dispone l’immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale
e sospende il giudizio in corso.
Il rapporto di pregiudizialità – o come si dice di pertinenza – tra il giudizio
costituzionale e il giudizio a quo non può che significare l’esclusione di un
controllo astratto sulla conformità della legislazione ordinaria alle disposizioni
costituzionali20.
Per una opinione contraria, F. MODUGNO, Riflessioni interlocutorie sulla autonomia del
giudizio incidentale, estratto dalla Rassegna di diritto pubblico, XX, 1965, pp. 62 e ss., il
quale sottolinea la competenza accentrata della Corte Costituzionale a garanzia del rispetto
del criterio gerarchico nei rapporti fra legge e fonte superiore.
20
22
La stessa omogeneità di cui si diceva non si rinviene, però, rispetto alla
funzione della questione sollevata d’ufficio e al ruolo del giudice a quo nel
sistema di controllo incidentale delle leggi. L’indecisione sullo scopo
perseguito dal secondo dei modi di attivazione del giudizio costituzionale è,
probabilmente, dovuta ad una formulazione legislativa che estende i
presupposti e la disciplina dell’ipotesi di giudizio su istanza di parte a quello
d’ufficio con un mero richiamo testuale che lascerebbe indiziare, in realtà, una
diversità di regolamentazione.21 Nonostante posizioni contrarie, tuttavia –
come detto – la tendenza è nel senso di unificare la fase introduttiva del
giudizio, senza alcuna differenza tra l’ipotesi in cui l’iniziativa sia presa dalla
parte e l’ipotesi in cui sia presa dal giudice. Attraverso la valorizzazione del
rapporto di pregiudizialità che lega i due giudizi si afferma che la questione di
legittimità costituzionale è questione del processo a quo ed ha come obiettivo
la tutela delle posizioni giuridiche delle parti
22
. La cd rilevanza della
questione diventa, così, elemento caratterizzante della questione di legittimità
costituzionale su cui, del resto, il legislatore del 1953 appunta la sua attenzione
e che ci conferma che quella “torsione soggettiva” cui si faceva riferimento era
già in nuce e passibile di ulteriori sviluppi.
Sulla eterogeneità di funzione e di disciplina per i due modi di attivazione del sindacato, F.
PIZZETTI – G. ZAGREBELSKY, «Non manifesta infondatezza» e «rilevanza»…, cit., p. 20, per
i quali in questo caso la funzione della questione di legittimità costituzionale «mira
essenzialmente a consentire che tutte le disposizioni legislative prese in considerazione nel
corso di un processo e su cui si manifesti un dubbio di costituzionalità siano sottoposte al
vaglio della Corte Costituzionale».
22
In questo senso, fra tutti CALAMANDREI, Corte Costituzionale ed autorità giudiziaria, cit.,
p. 621.
21
23
Assunta la prospettiva unitaria che non differenzia l’analisi sulla base del
soggetto che chiede il pronunciamento della Corte, risulta – tuttavia –
imprescindibile sondare le posizioni dottrinarie che offrono una diversa lettura
al modello di controllo incidentale. Dall’esame saranno, infatti, da subito
evidenti le conseguenze sul tema oggetto del lavoro. Solo sciogliendo
l’alternativa sarà, poi, possibile prendere posizione sull’interpretazione
conforme a Costituzione.
2. Le principali posizioni emerse in dottrina:
2.1. L’accentuazione del profilo soggettivo: la questione di legittimità
costituzionale come strumento di garanzia dei diritti costituzionali
Tra le posizioni di chi sottolinea la prevalenza della funzione soggettiva della
questione di legittimità costituzionale si annovera quella di Carlo Esposito.
Nel suo La validità delle leggi23 sgombera il campo da tutte quelle tesi che, in
un modo o in un altro, sostenevano che la validità o invalidità delle leggi non
potesse essere oggetto di un giudizio da parte dei giudici, né delle autorità o di
altri organi sottoposti, annientando, così, il pregiudizio sull’insindacabilità
della funzione normativa.24
C. ESPOSITO, La validità delle leggi. Studio sui limiti della potestà legislativa, i vizi degli
atti legislativi e il controllo giurisdizionale, Milano, 1934, rist. 1964.
24
Esposito affronta partitamente le tesi che negavano la possibilità stessa di concepire un
sindacato di validità sulla legge, rectius sugli atti normativi, perché la pubblicazione p. 29 e
23
24
Se la tesi principale del lavoro di Esposito è che gli atti legislativi (non solo le
leggi in senso stretto, ma anche altri atti come ad es. i regolamenti) possono
dunque essere sottoposti a limiti e vincoli alla stessa guisa di ogni altro atto
dello Stato, «qualunque sia l’oggetto regolato, qualunque sia il regime
costituzionale in cui gli atti sono emanati, qualunque sia la sottospecie di atto
legislativo»25 , sulla funzione della questione di legittimità costituzionale la
ricostruzione non è – a primo vista – di immediata percezione. La posizione di
Esposito sul punto è richiamata, infatti, in dottrina26 come una posizione
dissidente rispetto all’idea della centralità del processo a quo nel sistema di
giustizia costituzionale italiano. Invero, l’autore non manca di sottolineare la
differenza tra l’idea del Costituente, cristallizzata nella previsione dell’effetto
meramente abrogativo delle sentenze di accoglimento previsto nell’art. 136
ss. e la promulgazione p. 34 e ss. si ritenevano rappresentassero un accertamento definitivo
ed incontrollabile della validità delle leggi. L’analisi, pur imprescindibile, degli argomenti
contrari al sindacato sulla validità delle leggi risulta qui ultronea. Per una ricostruzione
sintetica, ma efficace dell’opera, cfr. G.U. RESCIGNO, Su libro “La validità delle leggi” di
Carlo Esposito, Relazione al convegno tenutosi il 12 ottobre 2007 presso l'Università di
Camerino, su “Gli scritti camerti di Carlo Esposito”, ora in www.rivistaaic.it, dicembre
2007.
25
In questo senso, C. ESPOSITO, ivi, pp. 231 e ss. Dell’idea di Esposito sulla nozione ampia
di atto legislativo se ne ha parziale contezza in A. PUGIOTTO, Sindacato di costituzionalità e
«Diritto Vivente». Genesi, uso e implicazioni, Milano, 1994, pp. 116 e ss. L’Autore non
manca di sottolineare che nella riflessione di Esposito intorno all’attività interpretativa della
Corte Costituzionale vi è un evidente evoluzione in ordine al ruolo dell’applicazione del
testo legislativo impugnato: dall’iniziale convincimento che la dichiarazione d’illegittimità si
giustifichi solo quando sia impossibile una lettura della legge conforme a Costituzione,
l’Autore successivamente matura l’idea che, almeno in talune ipotesi, la certezza
dell’incostituzionalità della disposizione «può essere raggiunta solo in via concreta o
storica», per approdare infine all’elaborazione della tesi di un diritto vivente di matrice
regolamentare. Il riferimento è prima a C. ESPOSITO, Osservazione a Corte Costituzionale n.
10 del 1957, in Giur. Cost., 1957, pp. 72 e ss., poi ID., Della prudenza nelle dichiarazioni di
illegittimità costituzionale, in Giur. Cost. 1961, pp. 9 e ss.
26
F. PIZZETTI – G. ZAGREBELSKY, Non manifesta infondatezza» e «rilevanza»…, cit., pp. 29
e ss.
25
Cost.27, e quella espressa nella l. cost. 1 del 1948, ma senza pigli polemici28.
L’incertezza è, infatti, facilmente fugata29 quando Esposito auspica che se «la
Costituzione malgrado i suoi difetti sarà conservata, e non si continueranno a
vagheggiare, ad ogni difficoltà di applicazione, mutamenti radicali del testo,
sconsacrandolo ad ogni momento … in quel momento anche il controllo
giurisdizionale della legittimità costituzionale delle leggi, quale esso è stato
organizzato in Italia, non potrà più essere considerato come un meccanismo,
un artificio, attraverso cui una legge, una determinata legge, cerca di imporre
la propria superiorità sulle altre leggi, ma assurgerà ad organo di tutela di
alcuni principi fondamentali di vita del popolo italiano»30. L’idea per cui il
controllo operato dalla Corte non sia finalizzato al rispetto del rapporto
gerarchico fra legge e Costituzione sembra evidente.
E’ pur vero che, nel delineare, le differenze tra il meccanismo previsto nell’art.
136 e quello previsto nella l. cost. del 1948, Esposito parla di «tradimento»
della volontà del Costituente, attraverso una «involontaria» definizione del
senso delle parole della disposizione costituzionale, ma è vero anche che,
escludendo un controllo astratto su leggi inefficaci e non in grado di attuarsi,
riafferma – implicitamente – il collegamento con il giudizio pendente e – può
C. ESPOSITO, Il controllo giurisdizionale sulla costituzionalità delle leggi in Italia, in ID.,
La Costituzione Italiana. Saggi, Padova, 1954, pp. 269 e ss.
28
E, infatti, gli stessi autori ammettono che l’affermazione non comporta nessuna
conseguenza rilevante nel pensiero di Esposito rispetto alla consolidata idea della questione
di legittimità costituzionale come questione del processo a quo, F. PIZZETTI – G.
ZAGREBELSKY, Non manifesta infondatezza» e «rilevanza»…, cit., p. 29 e ss.
29
C. ESPOSITO, Il controllo giurisdizionale…, cit. pp. 263 e ss.
30
C. ESPOSITO, ivi, pp. 263 e ss., spec. p. 266.
27
26
dirsi – con la posizione processuale delle parti. 31
L’efficacia
anche
solo
parzialmente
retroattiva
delle
decisioni
di
incostituzionalità prevista dalla legge del 1948, non può – anche nel pensiero
di Esposito – che far rinvenire la funzione delle questione di legittimità
costituzionale nella tutela delle posizioni delle parti del processo a quo. La
posizione di Esposito, poi, si fa più chiara.
Nel 1957 in un commento alla sentenza della Corte Costituzionale n. 10 del
195732, afferma che «il principio che impone alle leggi conformità alla
Costituzione esclude che l’interprete possa, nel dubbio, attribuire alle
proposizioni date significato in contrasto con la Costituzione»33. Il carattere
concreto del sindacato di legittimità costituzionale fa, infatti, dire all’Autore
che la Corte non può «giudicare della costituzionalità di norme ipotetiche,
arbitrariamente costruite o immaginate dall’interprete» e che «alle disposizioni
di legge deve darsi fin dove è possibile interpretazione e ricostruzione
rispondente a Costituzione»34. Che i giudici siano gravati del preventivo
obbligo di composizione ermeneutica è ribadito anche in una successiva breve
nota del 195835 in cui Esposito afferma «il potere ed anzi il dovere di ogni
giudice di procedere, fin dove è possibile, ad interpretazioni correttive delle
Sulle tipologie di vizi deducibili, amplius C. ESPOSITO, La validità delle leggi…, cit. pp.
212 e ss., e ID., Il controllo giurisdizionale…, cit., pp. 272 e ss., in cui esclude – per quanto
qui ci interessa – «un mero accertamento (erga omnes) della illegittimità di una legge».
32
C. ESPOSITO, Osservazioni…, cit., p. 72.
33
C. ESPOSITO, ivi, p. 73.
34
Ibidem.
35
C. ESPOSITO, Compatibilità delle disposizioni di legge…, cit., p. 571.
31
27
leggi ordinarie, armonizzanti le disposizioni di legge con il testo
costituzionale». Nella ricostruzione, «non è vero che alla Corte spetta in
modo esclusivo di risolvere le questioni relative alla compatibilità di una
disposizione legislativa con le norme costituzionali, ma bensì ad essa spetta in
modo esclusivo solo lo stabilire la incompatibilità di una disposizione di legge
con tali norme».36 La presa di posizione di Esposito sull’attività di
adeguamento preventivo della legge a Costituzione non può essere
compatibile con una ricostruzione del sindacato di legittimità costituzionale di
tipo obiettivo. La valorizzazione dell’attività di composizione ermeneutica,
infatti,
segna – implicitamente – l’esclusione di una astratta e obiettiva
attenzione alla coerenza gerarchica.
2.2. Le posizioni “ambivalenti”.
Rispetto alla nettezza con cui Esposito si pronuncia a favore
dell’interpretazione adeguatrice, si registrano, in dottrina, posizioni anfibie e
ambivalenti, come quella assunta da Pietro Calamandrei, quantomeno se si
adotta una prospettiva diacronica nell’esame dei suoi scritti 37.
C. ESPOSITO, Il controllo giurisdizionale…, cit., p. 266. E’ questa la ricostruzione del
pensiero di Esposito riportata anche da M. RUOTOLO, L’interpretazione conforme a
Costituzione nella più recente giurisprudenza costituzionale. Una lettura alla luce di alcuni
risalenti contributi apparsi nella rivista Giurisprudenza Costituzionale, in A. PACE (a cura
di), Corte costituzionale e processo costituzionale nell’esperienza della rivista
“Giurisprudenza costituzionale” per il cinquantesimo anniversario, Milano, 2006, pp. 903
ss.
37
In questo senso F. PIZZETTI, G. ZAGREBELSKY, Non «manifesta infondatezza» e
36
28
Il più noto contributo di Calamandrei agli studi di giustizia costituzionale
riguarda la definizione del giudice a quo come introduttore necessario della
questione di legittimità costituzionale38. La ben nota affermazione ci
porterebbe a credere che l’attenzione nei confronti del processo principale sia
stata costante e che da subito, anche prima del funzionamento della Corte, in
Calamandrei fosse salda la convinzione che la questione di legittimità
costituzionale
non
avesse
l’obiettivo
di
censurare
l’esercizio
costituzionalmente illegittimo della funzione legislativa, ma che perseguisse
gli interessi delle parti in causa.
E, invece, ne La illegittimità costituzionale delle leggi nel processo civile39
l’Autore manifesta tutte le perplessità in ordine alla compatibilità tra il sistema
previsto dalla l. cost. n. 1 del 1948 e quello previsto nell’art. 136 Cost. Il
primo, presuppone che nel processo via sia una parte titolare di un interesse
concreto alla risoluzione del dubbio di costituzionalità, il secondo, invece,
limitando a quello abrogativo l’effetto delle sentenze di accoglimento della
«rilevanza»…, cit., p. 30 e ss.
38
Parla di «sbarramento», «dogana», Piero Calamandrei, per il quale la Corte Costituzionale
e i giudici «in questa funzione così delicata appaiono come congegni complementari e
inseparabili in un unico meccanismo processuale (…). Bisogna, dunque, affinché il
meccanismo funzioni bene, che tra la Corte costituzione e l'Autorità giudiziaria si stabilisca
un'atmosfera di intesa e di reciproca comprensione: affinché la Costituzione possa essere
insieme tenuta ferma nelle sue premesse e promossa verso le sue mete (due frasi che nel
nostro sistema vogliono dire la stessa cosa), occorre che la Corte costituzionale e l'Autorità
giudiziaria siano egualmente sensibili allo spirito programmatico di essa e, che non sorgano
tra loro, sulla natura, sulla penetrazione e sugli orientamenti del sindacato di legittimità
costituzionale, dissonanze e conflitti», P. CALAMANDREI, Corte Costituzionale e autorità
giudiziaria, in Riv. Dir. Proc.,1, 1956, pp. 8 e ss.
39
P. CALAMANDREI, La illegittimità costituzionale delle leggi nel processo civile, Padova,
1950.
29
Corte, riduce il sistema di controllo incidentale al rapporto fra Giudice
Costituzionale e legislatore, come un rapporto fra controllore e controllato.
Nonostante la inequivocabilità dell’argomentazione esposta, la posizione di
Calamandrei non rimase questa. In un lavoro successivo alla legge n. 87 del
1953 e, quindi, all’entrata in funzione della Corte Costituzionale40, l’Autore
abbandona definitivamente la ricostruzione che attribuiva un effetto
abrogativo alle sentenze di accoglimento e sposta l’attenzione tutta nei
confronti dell’iniziativa di parte di cui all’art. 23 l. n. 87 del 1953. La
frammentazione nell’analisi dei modi di attivazione del sindacato di legittimità
costituzionale, a tutto vantaggio di quello su istanza privata, non poteva che
significare l’adozione di un modello di giudizio proteso alla tutela dei diritti
costituzionalmente garantiti.
2.3 La non manifesta infondatezza come “separazione”.
Ma la stessa prospettiva è implicitamente confermata da Crisafulli in
Questioni in tema di interpretazione della Corte Costituzionale nei rapporti
con l’interpretazione giudiziaria41 in cui si occupa del rapporto fra
interpretazione della Corte e interpretazione dei giudici comuni e –
ovviamente – del problema del vincolo che discende dalle sentenze
P. CALAMANDREI, Corte Costituzionale e autorità giudiziaria, cit., pp. 8 e ss.
V. CRISAFULLI, Questioni in tema di interpretazione della Corte Costituzionale nei
rapporti con l’interpretazione giudiziaria, in Giur. Cost, 1956, pp. 929 e ss.
40
41
30
interpretative di rigetto.
Il tema – pur connesso – trascende quello qui in oggetto42, pur tuttavia risulta
strumentale. Quando, infatti, Crisafulli esclude che quella del giudice
costituzionale sia una giurisdizione di interpretazione e che il suo sindacato sia
su norme e non su articoli di legge43, non fa che ammettere la strumentalità di
questo rispetto al giudizio principale. Dice, infatti, «anche riconoscendo… la
possibile, e d’altronde sempre parziale, autonomia del procedimento dinanzi
alla Corte, rispetto a quello rimasto sospeso, resta vero, comunque, che
quest’ultimo si configura come presupposto essenziale del giudizio di
Crisafulli, infatti, affronta il tema del vincolo che grava sui giudici comuni in seguito
all’interpretazione della legge operata della Corte. Esclude che le cd. sentenze interpretative
di rigetto possano avere efficacia erga omnes essendo questa – dice – prevista solo per le
sentenze di accoglimento ex art. 136 Cost. e art. 30 l. n. 87 del 1953. Prende, poi, le distanze
dalla sua precedente ricostruzione, ovvero quella che vedeva nelle sentenze di infondatezza
con un dispositivo “nei sensi in cui in motivazione” delle cd. doppie pronunce, una dotata di
efficacia inter partes, l’altra con efficacia erga omnes, perché implicitamente dichiarativa
dell’illegittimità costituzionale della norma ipoteticamente ricavabile. Il ripensamento viene
motivato in forza della considerazione per cui «non sembra dubbio che un giudicato con
effetti erga omnes, che determina addirittura la cessazione di efficacia di norme di legge,
debba necessariamente essere esplicito e formale». V. CRISAFULLI, Questioni in tema di
interpretazioni…, cit., p. 939. Di recente la ricostruzione di Crisafulli sulle sentenze
interpretative di rigetto come sentenze cd. illegittimità condizionata è stata ripresa da
Ruotolo, il quale sottolinea che la tipologia decisoria complessa descritta da Crisafulli
avrebbe l'effetto utile di contemperare le esigenze di certezza giuridica e di collaborazione
fra giudici e Corte Costituzionale. E, infatti, dice «la sentenza sarebbe di mero annullamento
soltanto laddove la formulazione della disposizione offra una resistenza insuperabile ad una
sua interpretazione conforme a Costituzione, mentre ove questa possibilità sia data dovrebbe
essere insieme di rigetto e di accoglimento, con riferimento, rispettivamente, alla norma
compatibile e alla norma o alle norme ritenute invece incostituzionali. Una “doppia
pronuncia formale” contenuta in un’unica sentenza, che sarebbe insieme propositiva (nei
confronti dei giudici e degli altri soggetti chiamati ad applicare la disposizione) del
significato conforme a Costituzione e demolitoria (con effetto erga omnes) rispetto alla
interpretazione della disposizione che si riveli sicuramente in contrasto con la Costituzione».
M. RUOTOLO, Interpretazione conforme a Costituzione e tecniche decisorie della Corte
costituzionale, in www.gruppodipisa.it, p. 17 del dattiloscritto.
43
V. CRISAFULLI, Questioni in tema di interpretazione…, cit., p. 937.
42
31
costituzionalità»44. Ancora una volta, quindi la questione di legittimità è
questione del processo45. Tuttavia, dalla valorizzazione del profilo di
concretezza del sindacato di legittimità costituzionale, non ne deriva una
decisa strumentalità dell’operato del giudice comune rispetto alla funzione di
garanzia costituzionale. Infatti, Crisafulli non accettava che al giudice potesse
spettare «un qualsiasi sindacato sulla costituzionalità delle norme legislative».
Per l’Autore, «al giudice spetta solo il «potere-dovere», in ogni caso di dubbio
sulla costituzionalità (che può anche conseguire ad un dubbio di
interpretazione), di sospendere il giudizio e provocare l’accertamento della
Corte». Al giudice spetta una «sommaria delibazione preventiva (circa la non
manifesta infondatezza della questione), non potendo egli considerare
“manifestamente infondata” una questione opinabile, dubbia, e perciò stesso
meritevole di giungere davanti alla Corte».46 La separazione dei due giudizi,
anche ad opera della particolare conformazione del giudizio sulla non
manifesta infondatezza, riduce lo spazio di una collaborazione fra giudici e
segna, quindi, la prevalenza della funzione oggettiva sottesa ad un controllo di
V. CRISAFULLI, ivi, p. 945.
Per una lettura delle recenti problematiche dell'interpretazione conforme alla luce di alcuni
risalenti contributi di Crisafulli, Esposito e Lavagna, cfr. M. RUOTOLO, L’interpretazione
conforme a Costituzione nella più recente giurisprudenza costituzionale. Una lettura alla
luce di alcuni risalenti contributi apparsi nella rivista «Giurisprudenza costituzionale», in A.
PACE (a cura di), Corte costituzionale e processo costituzionale nell’esperienza della Rivista
«Giurisprudenza costituzionale» per il cinquantesimo anniversario, Milano, 2006, pp. 903 e
ss., spec. 925 e ss.
46
V. CRISAFULLI, La Corte costituzionale tra magistratura e Parlamento, in Scritti
giuridici in memoria di Calamandrei, IV, Padova, 1958, pp. 289 e ss.
44
45
32
legittimità gerarchico sostanzialmente astratto47.
2.4 Recenti approdi sul problema del rapporto tra giudizio costituzionale e
giudizio a quo.
In merito al problema della separazione tra giudizio comune e giudizio
costituzionale, è molto interessante sondare la posizione assunta da Franco
Modugno. Nell’opera Riflessioni interlocutorie sulla autonomia del giudizio
costituzionale48, Modugno affronta il tema del rapporto fra giudizio comune e
giudizio costituzionale con il deliberato intento di dimostrarne la reciproca
autonomia, indipendenza e terzietà49.
Modugno si chiede, infatti, se il nesso che intercorre tra i due giudizi sia
«soltanto genetico e meramente occasionale, o addirittura, effettivamente
sussistente nei soli limiti rappresentati dall’utilità che la quaestio legitimitatis
sorga nel corso di un qualsivoglia processo, senza ulteriori implicazioni e
significazioni» o se «viceversa, il giudizio di legittimità costituzionale vada
considerato alla stregua di una derivazione, propaggine o fase dello stesso
Riporta la posizione di Crisafulli in questi termini e con segni critici rispetto alle
conclusioni M. RUOTOLO, L’interpretazione conforme a Costituzione…, cit., pp. 929 e ss.
48
F. MODUGNO, Riflessioni interlocutorie…, cit., pp. 5 e ss.
49
F. MODUGNO, ivi, pp. 5 e ss., spec. 46 e ss.
47
33
processo a quo»50. A favore della prima soluzione sta – dice Modugno – senza
dubbio la considerazione che l’oggetto del giudizio di legittimità
costituzionale è determinato dal giudice e, mediamente, dalla parti del
processo a quo (art. 23 e 27 della legge del 53). Nella stessa direzione
conducono le previsioni che circoscrivono l’ambito soggettivo per la
proposizione della questione di legittimità costituzionale (art. 1 l. cost. 1 del
1948 e art. 23 l. n. 87 del 1953) e che subordinano la rimessione degli atti alla
Corte alla delibazione di non manifesta infondatezze e rilevanza.
A favore, invece, della seconda soluzione Modugno adduce l’efficacia erga
omnes delle sentenze di accoglimento e, quindi, non limitate al giudizio in
corso (ex art. 136 Cost. e 30 l. n. 57 del 1953) e la regola posta dall’art. 22 N.I.
secondo la quale le vicende del giudizio di legittimità costituzionale sono
assolutamente indipendenti da quelle del processo a quo.
L’indagine, funzionale al già dichiarato obiettivo, prosegue con un
approfondimento processuale scarsamente rilevante ai nostri fini51. Mentre
ben più interessante, allo scopo di delineare i rapporti fra giudici comuni e
Corte Costituzionale e lo spazio lasciato libero all’attività di adeguamento
interpretativo dei contrasti gerarchici, risulta l’indagine compiuta dall’Autore
sui presupposti della questione di legittimità costituzionale. La disciplina delle
condizioni processuali di remissione degli atti alla Corte deve – per Modugno
50
51
F. MODUGNO, ivi, p. 46.
Cui si rimanda, F. MODUGNO, Riflessioni interlocutorie, cit., pp. 50 e ss.
34
– essere interpretata in maniera decisamente restrittiva tale da permettere «di
delineare un principio razionale opposto, volto per l’appunto a rendere
possibile la delineazione o la configurazione di tutte quelle questioni di
legittimità costituzionale che non sembrino, prima facie, non seriamente
ipotizzabili»52.
Nella prospettiva dell’Autore risulta, infatti, imprescindibile offrire la massima
garanzia di accesso alla Corte Costituzionale ed evitare che «i giudici, sotto
pretesto di ritenere infondate questioni di legittimità costituzionale, viceversa
fondatissime o che, più semplicemente potrebbero anche solo aspirare ad una
presa in considerazione da parte della Corte, esercitino, anch’essi, un
sindacato di costituzionalità sulle leggi, che sembra escluso, per altro verso,
dalla previsione del nostro ordinamento positivo e, viceversa, riservato
soltanto alla Corte»53.
Attraverso una svalutazione delle delibazioni preliminari cui è chiamato il
giudice a quo, Modugno attenua il legame tra giudizio costituzionale e
giudizio principale, accentuando la dimensione dell’interesse pubblico alla
costituzionalità delle leggi. E’ facile, quindi, desumere quale sia l’idea di
Modugno sulla funzione della questione di legittimità costituzionale. Se,
infatti, «una volta sorto un ragionevole sospetto o un dubbio non
manifestamente infondato, è necessario giungere alla sua risoluzione, anche
52
53
F. MODUGNO, ivi, p. 62.
F. MODUGNO, ivi, p. 63.
35
indipendentemente dalla immediata e concreta sua incidenza nella trama dei
rapporti giuridici»54, l’obiettivo perseguito con l’istanza di remissione non sarà
la tutela delle posizioni delle parti in causa, ma la garanzia del più ampio,
accentrato controllo sul rispetto del criterio ordinatore nei rapporti fra
Costituzione e legge.
Se – dice – l’ordinamento italiano riserva alla Corte il giudizio definitivo sulla
costituzionalità delle leggi, tale giudizio non può essere precluso dalla
presenza di un altro giudizio. La posizione accentratrice a favore della Corte
rileva la prevalenza dell’interesse pubblico alla conformità delle leggi a
Costituzione, rispetto all’interesse delle parti titolari di posizioni giuridiche
costituzionalmente rilevanti e annulla lo spazio per una risoluzione
interpretativa dei contrasti con le norme gerarchicamente sovraordinate55.
3. I due giudizi: i limiti della relazione tra Giudici comuni e Corte
costituzionale.
Le diverse posizioni sulla funzione della questione di legittimità
costituzionale, come già anticipato, finiscono per influenzarne la stessa
interpretazione dei presupposti positivi. L’indagine sulla dimensione
schiettamente processuale del sindacato di legittimità costituzionale risulta a
F. MODUGNO, ivi, p. 88.
Per una critica, F. PIZZETTI – G. ZAGREBELSKY, Non manifesta infondatezze e rilevanza
…cit., pp. 54 e ss.
54
55
36
questo punto preliminare alla delineazione dei rapporti fra giurisdizione
comune e giurisdizione costituzionale. Solo la chiara definizione della
rilevanza e non manifesta infondatezza ci permetterà di anticipare il tema in
oggetto e verificarne, in ipotesi, la capacità manipolativa rispetto al modello
che si tenterà di descrivere56.
L’interpretazione – più o meno restrittiva – dei requisiti richiesti per sollevare
la questione davanti alla Corte, infatti, segna con chiarezza i rapporti fra
giudici a quibus e Corte Costituzionale, il limite di estensione delle rispettive
competenze e, quindi – e per quanto qui interessa – lo spazio che residua
all’attività di adeguamento interpretativo dei contrasti fra legge e Costituzione.
La fissazione delle regole di accesso al Giudice delle leggi risulta, come già
detto, influenzata dall’idea che si accoglie della funzione della questione
di legittimità costituzionale. La laconicità del dato normativo potrà, infatti,
essere risolta solo presupponendo una data funzione della Corte nel rapporto
fra testo costituzionale, legge e diritti. L’indagine precedente, per questo,
risulta dirimente.
Il dibattito dottrinale sulla definizione del quomodo della questione di
legittimità costituzionale è risalente. L’evidente diversità di posizioni è
chiaramente influenzata dalla scarsa univocità del dettato legislativo.
Le critiche, infatti, all’uso del canone dell’interpretazione conforme sono – nella maggior
parte dei casi – motivate dal necessario rispetto del modello accentrato di giustizia
costituzionale. Su questo e sull’uso inappropriato del sintagma «sindacato diffuso» si rinvia a
quanto si dirà nel cap. II.
56
37
L’art. 1 della l. cost. n. 1 del 1948 dispone che la questione di legittimità
costituzionale di una legge o di un atto avente forza di legge della Repubblica
rilevata d’ufficio o sollevata da una delle parti nel corso di un giudizio e non
ritenuta dal giudice manifestamente infondata, è rimessa alla Corte
costituzionale per la sua decisione. Del pari, e ad integrazione, per l’art. 23
della l. n. 87 del 1953 l’autorità giurisdizionale, qualora il giudizio non possa
essere definito indipendentemente dalla risoluzione della questione di
legittimità costituzionale o non ritenga che la questione sollevata sia
manifestamente infondata, emette ordinanza con la quale, riferiti i termini ed i
motivi della istanza con cui fu sollevata la questione, dispone l’immediata
trasmissione degli atti alla Corte costituzionale e sospende il giudizio in corso.
L’ “apertura” del dato normativo appena citato ha fatto sì che sul concetto di
rilevanza e sull’intensità del giudizio sulla non manifesta infondatezza operato
dal giudice remittente, come si diceva, le posizioni dottrinali si
diversificassero.
4. L’accesso alla Corte e le sue condizioni “tradizionali”: rilevanza e non
manifesta infondatezza.
E’ possibile, tuttavia, operare una divisio all’interno del dibattito che risponde,
poi, ad una diversa ed opposta idea dei rapporti fra giudizio pendente e
giudizio costituzionale.
Per Crisafulli:
38
«non si tratta di stabilire se la questione sia prima facie fondata, ma, tutt’al
contrario, se non sia prima facie infondata: ciò che equivale a dire, con altre
parole, che spetta al giudice del processo principale accertare, in linea di
mera delibazione, se sussiste un dubbio sulla legittimità costituzionale della
legge o delle norme di legge, suscettibili di trovare applicazione nel
giudizio dinanzi ad esso pendente (nel qual caso, dovrebbe essere sospeso
e, la questione rimessa alla Corte).
Risulta da ciò quale sia la posizione del giudici nei confronti delle leggi (e
degli atti equiparati): ad essi non spetta di sindacarne la costituzionalità, ed
è, infatti, vietato disapplicarle, anche ove siano convinti della loro
incostituzionalità (a differenza di quanto avverrebbe in un sistema di
controllo di costituzionalità di tipo diffuso); ma è del pari vietato
applicarle, ove abbiano motivi anche semplicemente per dubitare della loro
costituzionalità, senza prima aver provocato al riguardo il giudizio della
Corte. In presenza di norme di legge di dubbia costituzionalità, i giudici
hanno dunque il solo potere – dovere di sospenderne l’applicazione,
proponendo con ordinanza alla Corte Costituzionale la questione della loro
legittimità costituzionale»57.
Crisafulli tenta, poi, di offrire dei parametri per la valutazione del giudice a
quo, per cui
«la circostanza che già in precedenza una data questione sia stata decisa
dalla Corte, con sentenza di non fondatezza, non è di per sé sufficiente a
farla ritenere manifestamente infondata, qualora, in un momento
successivo, venga risollevata nel corso di un diverso giudizio; non si
possono, tuttavia, enunciare sul punto delle regole fisse, molto dipendendo
dal vario intrecciarsi di diversi elementi suscettibili di concorrere a
determinare, nell’uno o nell’altro senso, il convincimento del giudice. Così,
V. CRISAFULLI, Lezioni di diritto costituzionale. Volume II. L’ordinamento costituzionale
italiano, Padova 1984, pp. 293 e ss.
57
39
se la precedente decisione di rigetto sia di molto tempo anteriore, più
facilmente potrà avvenire che la questione, ripresentatasi nella pratica, sia
considerata non manifestamente infondata e quindi rimessa alla Corte,
chiamata in tal modo a decidere nuovamente»58.
Molto vicina è l’impostazione di Calamandrei,
59
per il quale «affinché il
giudice possa respingere la questione di legittimità costituzionale
per
manifesta infondatezza occorre che «la legittimità costituzionale appaia al
giudice prima facie indiscutibile, senza bisogno di stare a pensarci su», ovvero
come specifica in Sulla nozione di manifesta infondatezza60, alla convinzione
soggettiva del giudice circa la non manifesta infondatezza deve essere
possibile pervenire «sine tergiversatione aliqua».
All’opposto, e nella prospettiva di una drastica riduzione del potere
deliberativo del giudice comune – a tutto favore dell’accentramento delle
competenze in capo alla Corte Costituzionale – si pone, invece, la posizione di
Modugno61. Si è già anticipata la dichiarata necessità per l’Autore di offrire
una determinazione precisa alle valutazioni preliminari compiute dal giudice
remittente, tale da permettere la massima garanzia di accesso alla Corte
Costituzionale.
Lo sforzo definitorio conduce, addirittura, a far coincidere la valutazione sulla
V. CRISAFULLI, ivi, p. 295.
P. CALAMANDREI, Corte costituzionale e autorità giudiziaria, cit. p. 621.
60
P. CALAMANDREI, Sulla nozione di manifesta infondatezza, in Riv. dir. proc. civ., 2, 1956,
pp. 164 e ss.
61
F. MODUGNO, Riflessioni interlocutorie…cit., pp. 62 e ss.
58
59
40
non manifesta infondatezza con quella sulla rilevanza. L’integrazione operata
dall’art. 23 della l. n. 87 del 195362 sembrerebbe aver accorpato le due distinte
delibazioni.
Il giudizio sulla non manifesta infondatezza coincide con una «immediata,
approssimativa e … superficiale ed istantanea presa di coscienza» sulla
possibilità che la disposizione indubbiata possa essere presa in considerazione
per la decisione della causa pendente»63. Addirittura il giudice può dichiararla
e non sollevare la questione davanti alla Corte solo «nel caso in cui tutta la
giurisprudenza, la concorde dottrina sine exceptione e l’assoluta impossibilità
di formulare il benché minimo dubbio sulla validità della legge univocamente
convincano in tale senso», il che praticamente, equivale a dire che mai il
giudice a quo potrà impedire, sotto questo profilo, l’instaurazione del giudizio
di costituzionalità64.
Offre, in un certo senso, una terza via tra il carattere aperto che la delibazione
conserva in Crisafulli e Calamandrei e quello chiuso della ricostruzione di
Modugno, Lavagna che, in Problemi di giustizia costituzionale sotto il profilo
della non manifesta infondatezza65, attribuisce alla non manifesta infondatezza
Mentre l’art. 1 della legge cost. n. 1 del 1948 parla solo della delibazione sulla non
manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale, l’art. 23 della l. del 1953
premette alla previsione di tale delibazione che «qualora il giudizio non possa essere definito
indipendentemente dalla risoluzione della questione di legittimità costituzionale» il giudice
rimette gli atti alla Corte.
63
F. MODUGNO, Riflessioni interlocutorie…, cit. p. 143.
64
Sulla riduzione della delibazione sulla non manifesta infondatezza alla delibazione sulla
rilevanza, F. MODUGNO, Riflessioni interlocutorie…, cit., pp. 139 e ss.
65
C. LAVAGNA, Problemi di giustizia costituzionale sotto il profilo della «manifesta
62
41
il compito di «realizzare un sistema misto di giurisdizione costituzionale o, più
esattamente, un sistema di accentramento corretto che, pur riservando il
giudizio di costituzionalità alla Corte, permetta agli altri Giudici di inserirsi in
tale giudizio e di collaborare, entro determinati limiti, sia al suo concreto
svolgimento,
sia
alla
elaborazione
lato
sensu
della
giurisprudenza
costituzionale». E aggiunge «ciò beninteso, in maniera da non eludere, e tanto
meno esautorare, la giurisprudenza della Corte; ma anche in maniera da non
vanificare il compito, sia pure preliminare e concorrente, delle singole
magistrature»66.
La posizione di Lavagna sulla non manifesta infondatezza è particolarmente
interessante perché risulta un tentativo compiuto – seppur datato – di una
rigorosa individuazione dei criteri che dovrebbero guidare il giudice nella fase
di remissione della questione alla Corte. La ricerca di parametri precisi risulta
all’Autore imprescindibile «per un’esatta delineazione del confine fra la
giurisdizione costituzionale diffusa e quella accentrata; fra quella preliminare e
quella definitiva»67.
infondatezza», Milano, 1957.
66
C. LAVAGNA, ivi, p. 2.
67
Per Lavagna, infatti, «ove, infatti, questi confini non fossero tratteggiati, si potrebbero
verificare due opposte aberrazioni: che cioè i giudici (e in specie le magistrature supreme)
per un inconscio spirito di corpo o eccessivo rispetto della «legge», o erroneo riguardo alla
Corte, o altre impalpabili ragioni psicologiche, diventino proclivi, non dico ad escludere in
ogni caso, ma a rendere del tutto eccezionali i rinvii al magistrato della Costituzionalità
sostituendosi in pratica ad esso … ; ovvero che essi (ed in particolare i giudici inferiori) per
una ipersensibilità delle questioni costituzionali, o (absit injuria) per pigrizia, o per una
specie di complesso di incompetenza, o per semplice perplessità, accedano ad ogni richiesta
di parte, moltiplicando gli incidenti, deformando il corso ordinario della Giustizia ed
aggravando inutilmente la Corte… ». C. LAVAGNA, ivi, p. 3.
42
Nel tentativo di sciogliere i nodi di una espressione linguistica non auto
evidente, Lavagna propone l’adozione di un criterio di interpretazione cd.
sistematico che permetta di inquadrare l’istituto e di individuarne la funzione.
Né l’interpretazione letterale, né quella analogica – a suo dire – conducono,
infatti, a risultati soddisfacenti. Non la prima perché «finché si indugia a
spiegare che cosa deve intendersi per manifesto o per fondato non si esce dal
significato proprio di queste espressioni; che pur non potendo essere trascurato
(…) si dimostra del tutto insufficiente a comprenderne la reale portata nel
sistema in cui si trovano usate»68. Non quella analogica perché implicherebbe
«un’analisi che, per la sua stessa ampiezza e varietà oggettiva, darebbe
risultati estremamente vaghi ed incerti»69. E’ sull’interpretazione sistematica
che occorrerebbe, dunque, far leva, il che è quanto dire di tener conto della
funzione che persegue la fase preliminare al giudizio costituzionale.
Sgomberato il campo dalle questioni preliminari diverse dalla non manifesta
infondatezza70, Lavagna propone un esame sostanziale del presupposto
processuale con l’utilizzo di criteri oggettivi e sussidiari.
Da un punto di vista oggettivo, implicando il contrasto insito in ogni questione
di legittimità costituzionale, un confronto fra norme, la sua eventuale
manifesta infondatezza potrà risultare in base a due distinte circostanze,
ovvero a seconda che gli argomenti a sostegno del vizio coinvolgano la norma
C. LAVAGNA, ivi, p. 5.
C. LAVAGNA, ivi, p. 6.
70
C. LAVAGNA, ivi p. 8 e ss.
68
69
43
di raffronto o quella raffrontata. La differenza non è di poco conto, se solo si
pensa che – nella ricostruzione di Lavagna – sta qui il discrimen fra un
giudizio meramente delibatorio e una valutazione piena del contrasto.
Le questioni del primo tipo sono, con tutta evidenza, quelle più complicate, in
quanto il giudice della causa nello stabilire la sussistenza o meno del dubbio di
illegittimità – dice Lavagna – deve fare i conti con la competenza accentrata
del
giudice
costituzionale
sull’interpretazione
delle
disposizioni
costituzionali71.
Quando il dubbio è motivato sulla base di argomenti che coinvolgono la
disposizione costituzionale, la delibazione è un obbligo, negli altri casi, una
facoltà. Più concretamente Lavagna chiarisce, per esempio, che «la manifesta
infondatezza non potrebbe essere dichiarata quando si debba uscire dalla pura
e semplice interpretazione lessicale delle norme predette»72.
Più ampio, invece, il potere dei giudici nella interpretazione delle norme
legislative anche se «ciò non giustifica una dichiarazione di manifesta
infondatezza con affermazioni apodittiche, non suffragate da argomenti atti ad
escludere ogni e qualsiasi dubbio sul contenuto della norma contestata.
Significa, al contrario, che i giudici possono e debbono affrontare
Dice Lavagna, infatti, «è indubbio che il giudice della causa, nel delibare questo ius, di cui
novit la Corte, abbia un potere meno ampio rispetto alla delibazione del «suo» ius, cioè delle
norme legislative; per cui i limiti alla delibazione della manifesta infondatezza, da parte dei
giudici a quo, riguardano in sostanza l’interpretazione delle sole norme costituzionali, non
delle norme legislative», C. LAVAGNA, ivi, p. 44.
72
C. LAVAGNA, ivi, p. 45.
71
44
integralmente l’interpretazione delle norme contestate (ed interposte); basando
sui risultati di questa piena interpretazione e sul loro raffronto coi risultati
della (più circoscritta) interpretazione delle norme costituzionali la
delibazione della manifesta infondatezza»73.
E a questo punto Lavagna aggiunge che
«delle norme contestate … deve essere dimostrato (contrariamente a quanto
è consentito per le norme di raffronto) il significato con ogni mezzo, anche
in ordine alla particolare discrezionalità del potere legislativo rispetto ad un
preciso limite costituzionale. Non solo, ma può essere… operata anche una
scelta fra le varie, possibili interpretazioni (…) Quando, infatti, la
disposizione si presti a più interpretazioni, di cui una sola conforme alla
norma di raffronto, egli dovrebbe optare per questa, assumendo la legge in
questo significato e respingendo l’incidente di costituzionalità. Soluzione in
sé e per sé esatta ed opportuna, in quanto, non solo ribadisce l’obbligo
generale della interpretazione sistematica (rafforzata, nella specie, dalla
maggiore efficacia delle norme di raffronto)74 ma offre, per di più, una via
per applicare la Costituzione, senza congestionare inutilmente la
giurisdizione della Corte»75.
Il passaggio – testualmente riportato – è significativo, in quanto, da un lato si
afferma chiaramente che l’obbligo di composizione ermeneutica dei contrasti
73
C. LAVAGNA, ivi, p. 46.
Che l'interpretazione conforme assuma nella pratica giudiziaria la forma
dell'interpretazione sistematica, anche nella sua versione dell'interpretazione evolutiva, lo
svela una recente giurisprudenza in tema di matrimonio omosessuale, per la cui analisi si
rimanda al cap. III
75
C. LAVAGNA, Problemi di giustizia costituzionale…, cit., p. 47.
74
45
fra legge e Costituzione rappresenta uno strumento per applicare la
Costituzione e, quindi, un modo di inveramento del testo costituzionale 76,
dall’altro perché sembra offrire un limite certo all’attività di adeguamento
interpretativo richiesta al giudice.
Infatti, Lavagna sottolinea che
«questo particolare criterio di scelta fra più interpretazioni, in tanto è
possibile, in quanto una di esse appaia senz’altro conforme a Costituzione
o, meglio, all’unica interpretazione che ictu oculi si debba dare alle
disposizioni di raffronto; non opera più quando sussista un dubbio sulla
interpretazione delle norme costituzionali, che il giudice, si è detto, non può
eliminare. Per cui, rispetto alla non manifesta infondatezza, esso
rappresenta,
non
un
criterio
risolutivo,
ma
solo
un
criterio
complementare… Se il predetto criterio fosse assoluto e assorbente, il
problema della m.i. non si porrebbe mai, in quanto anche la cognizione
sommaria delle norme costituzionali dovrebbe trasformarsi in cognizione
piena, facendo degradare la giurisdizione della Corte a mera attività di
controllo, dotata, sia pure, a volte di maggiore efficacia» 77.
Le considerazioni di Lavagna, pur efficacemente esemplificative di tutto il
Che l'interpretazione conforme a Costituzione sia uno strumento di attuazione della
Costituzione è affermazione ricorrente. Tra i tanti si veda M. DOGLIANI, Interpretazioni della
Costituzione, Milano, 1982, pp. 69 e ss., per il quale tra gli strumenti interpretativi
predisposti ai fini della realizzazione della Costituzione come atto normativo integralmente e
direttamente obbligante si annovera il vincolo, a carico sia della giurisdizione ordinaria che
amministrativa di interpretare la leggi in modo conforme ai principi (programmatici o meno)
della Costituzione. Si segnalano altresì R. BIN, L’applicazione diretta della Costituzione…,
cit., pp. 4 e ss.; O CHESSA, Drittwirkung…cit., p. 420; G. SORRENTI, L’interpretazione
conforme…, cit., pp. 5 e ss., per la quale essa costituisce il veicolo privilegiato attraverso il
quale i contenuti del dettato costituzionale vengono prontamente immessi nel circuito
dell’applicazione delle leggi.
77
C. LAVAGNA, Problemi di giustizia costituzionale…, cit. p. 48. Per Lavagna il criterio di
interpretazione conforme reagisce, così, sul presupposto della non manifesta infondatezza,
risultandone criterio oggettivo di valutazione.
76
46
dibattito intorno all’interpretazione conforme e alla sua – presunta – incisione
del modello di giustizia costituzionale accentrata, si mostrano anacronistiche
nella parte in cui separano nettamente l’interpretazione della legge da quella
delle disposizioni costituzionali, affermando una divisio tra ordine legale e
ordine
costituzionale
che
non sembra
più corrispondere
all’attuale
considerazione dei rapporti fra giudici, legge e Costituzione. Pur tuttavia, la
descrizione dettagliata di Lavagna sulla non manifesta infondatezza risulta
particolarmente utile perché conforta il convincimento per cui a nulla serve
affidarsi alle regole del metodo giuridico per tentare di fissare un discrimen fra
delibazione sommaria e cognizione piena e, di conseguenza, tra competenze
accentrate e competenze diffuse. E, infatti, l’Autore, pur insistendo
sull’esistenza di criteri oggettivi, è ben consapevole che spingersi oltre
nell’analisi per la valutazione della manifesta infondatezza significa affrontare
il tema – aggiungiamo – insoluto dell’intera teoria dell’interpretazione78.
L’esame della manifesta infondatezza è, poi, agevolata – per Lavagna –
dall’esistenza di criteri non solo oggettivi – come sopra definiti – ma anche
sussidiari. Per esempio, il carattere di novità della questione sembra sufficiente
ad escludere la manifesta infondatezza; viceversa, l’univocità di orientamenti
in dottrina e giurisprudenza bastano a respingere la questione perché
manifestamente infondata. Pur tuttavia, pare quest’ultimo un criterio lasciato
alla discrezionalità del giudice, chiamato a constatare il carattere pacifico o
78
C. LAVAGNA, Problemi di giustizia costituzionale…, cit., pp. 5 e ss.
47
meno degli orientamenti sottesi all’eccezione di incostituzionalità.
Come per il giudizio sulla non manifesta infondatezza, anche quello sulla
rilevanza è stato oggetto di differenti elaborazioni dottrinali, anche in questo
caso evidentemente influenzate dalla diversa ricostruzione del rapporto fra
giudizio principale e giudizio costituzionale.
Per Crisafulli79 la valutazione preliminare della rilevanza della questione
corrisponde alla più generale necessità che l’accesso alla Corte debba avvenire
attraverso un giudizio e che le questioni di legittimità costituzionale debbano
sorgere nell’atto di applicazione delle leggi. Il presupposto della rilevanza
sarebbe, dunque, diretta conseguenza del carattere incidentale del sindacato di
costituzionalità delle leggi, così come descritto dalla l. n. 87 del 1953 e l. cost.
n. 1 del 1948, nonché garanzia nei confronti di un uso “politico” della
questione di legittimità. Per Crisafulli, infatti, il filtro rappresentato
dall’esistenza di un processo in corso contrasta «un certo atteggiamento
politico, molto diffuso in una parte della magistratura, che tende a contestare
la costituzionalità di quante più leggi possibile: al fine, molto spesso, non tanto
di ottenere il giusto e necessario adeguamento del diritto vigente alle norme
costituzionali, quanto di realizzare – a colpi di sentenza, e cioè attraverso la
giurisprudenza della Corte, anziché per la via maestra delle riforme legislative,
di competenza del Parlamento – determinati risultati, considerati dagli uni o
79
V. CRISAFULLI, Lezioni…., cit., pp. 280 e ss.
48
dagli altri (a torto o a ragione) politicamente auspicabili»80.
La funzione selettiva della rilevanza, come quella della delibazione sulla non
manifesta infondatezza, garantisce, poi, le esigenze di speditezza dei giudici e,
quindi, gli interessi sostanziali delle parti in causa. Del resto – fa notare
Crisafulli – «negli ordinamenti in cui vige un sistema di impugnazione delle
leggi interamente accentrato ed azionabile in via diretta, si richiede per solito
che il ricorrente sia stato leso in un suo diritto o interesse giuridico da un atto
della pubblica autorità, fondantesi sulla legge che si assume incostituzionale
(si richiede, cioè, alla base del ricorso, la sussistenza di un concreto interesse).
Ove, per contro, nel nostro attuale sistema (che è, invece, di accesso alla Corte
in via incidentale) si fosse voluto prescindere dal requisito della rilevanza
delle questioni proponibili, si sarebbe, in realtà, trasformato ogni giudice, sol
perché tale e chiamato a decidere di una determinata controversia, in una sorta
di pubblico ministero legittimato a ricorrere contro le leggi ritenute di dubbia
costituzionalità, anche se non abbia a farne assolutamente applicazione nella
specie sottopostagli»81.
Per Crisafulli, la rilevanza della questione deve intendersi come rilevanza
della legge cui la questione si riferisce nel giudizio principale. La questione
deve, cioè, avere ad oggetto disposizioni o norme che troveranno applicazione
nel giudizio, siano essere norme di diritto sostanziale o processuale.
V. CRISAFULLI, Lezioni…, cit., p. 281.
Ibidem.
80
81
49
Il punto controverso riguarda l’aggettivizzazione del requisito, ovvero se
debba intendersi come «pregiudizialità» rigorosamente necessaria o come
semplice astratta possibilità applicativa. Coerentemente con le esigenze prime
esposte, Crisafulli opta per la ricostruzione che identifica la rilevanza con la
necessarietà di applicazione delle norme di cui si dubita della legittimità
costituzionale, pur riconoscendo – ma è dato comune a tutte le ricostruzioni –
il carattere non definitivo del giudizio anzidetto. Sembra solo questa l’unica
ricostruzione coerente con il dato normativo. L’inciso «il giudizio non possa
essere definito indipendentemente» non è, infatti, all’Autore compatibile con
un giudizio meramente ipotetico e soggettivo del giudice remittente.
E, invece, questa l’idea che Modugno espone in Riflessioni interlocutorie82.
Nella ricostruzione proposta la prevalenza dell’interesse pubblico al rispetto
dell’ordinazione gerarchica delle fonti si gioca attraverso una completa
svalutazione del rapporto fra giudizio costituzionale e giudizio a quo, per cui
una volta sorto un ragionevole sospetto o un dubbio non manifestamente
infondato, è necessario giungere alla sua risoluzione, anche indipendentemente
dalla immediata e concreta sua incidenza sulla trama dei rapporti giuridici.
In quest’ottica le valutazioni del giudice a quo coincidono risolvendosi in una
declinazione – si potrebbe dire – soggettiva di rilevanza. Per Modugno, infatti,
il giudice dovrà verificare se – da un punto di vista meramente intuitivo – la
82
F. MODUGNO, Riflessioni interlocutorie…, cit., pp. 124 e ss.
50
legge di cui si dubiti della legittimità costituzionale potrà ricevere una qualche
applicazione nel processo ad quem.
La rilevanza finisce, quindi, per coincidere con la valutazione sulla non
manifesta infondatezza che, a sua volta, non riguarda più la disposizione
ordinaria
nell’ipotizzato
rapporto
di
contrasto
con
la
disposizione
costituzionale, ma la incidenza o rilevanza di quella disposizione sulla
risoluzione del processo a quo. Per non incorrere nella sanzione
dell’inammissibilità è sufficiente – dice Modugno – riconoscere la possibilità
del dubbio di costituzionalità anche per una sola norma ricavabile dalla
formula scritta. Tale indagine non deve estendersi, quindi, ad altre possibilità
interpretative.
Quali siano le conseguenze di questa impostazione sul tema in oggetto sono
già di tutta evidenza. La riduzione dell’esame relativo alla non manifesta
infondatezza della questione di legittimità costituzionale a quello sulla
rilevanza conduce, infatti, alla negazione per il giudice comune di qualsiasi
sindacato sostanziale sulla legittimità costituzionale delle leggi e permette di
affermare la esclusiva competenza della Corte Costituzionale a conoscere della
validità delle leggi.
51
5. Una prima conclusione
La preannunciata e, poi, confermata diversità di posizioni, in realtà, svanisce
parzialmente alla prova dei fatti, tutte essendo – in vario modo – accomunate
da una carenza di sostanza definitoria. Quale sia, infatti, la differenza fra le
diverse posizioni non è sempre chiaro.
Nessuna delle tesi si mostra, poi, in grado di risolvere il problema pratico della
non manifesta infondatezza, nessuna fornisce criteri precisi per stabilire dove
finisce la delibazione prima facie e dove inizi una cognizione approfondita –
lesiva delle competenze della Corte – così come nessuna riesce a determinare
quando i dubbi prospettati siano forniti di consistenza e quando assolutamente
privi83. La residua possibilità di offrire un contenuto definitorio preciso alla
non manifesta infondatezza non può prescindere da quella che possiamo
definire una prospettiva funzionale.84
La modulazione dei presupposti processuali della questione di legittimità
costituzionale è, infatti, fortemente influenzata dalla funzione che si intende
svolgere la questione stessa. Le condizioni di accesso incidentale alla Corte
sono, infatti, inevitabilmente più o meno restrittive a seconda di quale fine si
In questo senso e critici rispetto alle elaborazioni appena presentate, F. PIZZETTI– G.
ZAGREBELSKY, Non manifesta infondatezza e rilevanza…, cit.,pp. 80 e ss.
84
In questo senso, F. PIZZETTI – G. ZAGREBELSKY, ivi, pp. 85 e ss., spec. p. 86.
83
52
intende perseguire con l’ordinanza di rimessione degli atti alla Corte85.
Le alternative – come precedentemente visto – sono due. La questione di
legittimità costituzionale può intendersi come strumento per offrire tutela alle
posizioni costituzionalmente rilevanti delle parti in causa86 o come strumento
per invalidare norme legislative incostituzionali87 . La distinzione non è di
poco conto, se solo si pensa che nel primo caso, l’attenzione sarà
inevitabilmente diretta alla posizione delle parti in causa del giudizio a quo,
con un conseguente rafforzamento del rapporto di pregiudizialità/rilevanza tra
di due giudizi. Nel secondo caso l’interesse perseguito sarà, invece, quello
obiettivo e generale alla conformità costituzionale dell’ordinamento, con
conseguente accentramento delle competenze interpretative/ applicative in
capo alla Corte. Ne consegue, quindi, non solo una diversa modulazione dei
rapporti fra giudizio ordinario e giudizio di costituzionalità – con tutte le
conseguenze sul tema oggetto di analisi – ma anche una diversa
configurazione del ruolo della Corte Costituzionale nel sistema stesso. In un
caso, infatti, verrà accentuato il ruolo della Corte come giudice dei diritti,
È di questo avviso anche G. SORRENTI, La “manifesta infondatezza” delle questioni di
legittimità costituzionale e l’applicazione diretta della Costituzione nella prassi giudiziaria.
Ovvero: una ricerca empirica su una risalente ipotesi, di rinnovata attualità, in Il giudizio
sulle leggi e la sua “diffusione”. Verso un controllo di costituzionalità di tipo diffuso? a cura
di E. MALFATTI, R. ROMBOLI, E. ROSSI, Atti del seminario di Pisa svoltosi il 25-26 maggio
2001 in ricordo di Giustinio D’Orazio, pag. 98 e ss, per la quale lo stesso problema
dell’adeguamento interpretativo delle leggi a Costituzione riceverà una diversa soluzione a
seconda di quale si intende essere la funzione della questione di legittimità costituzionale.
86
In questo senso C. ESPOSITO, Il controllo giurisdizionale…, cit. p. 266. P. CALAMANDREI,
Corte Costituzionale e autorità giudiziaria, cit., p. 621
87
F. MODUGNO, Riflessioni interlocutorie…, cit., pp. 79 e ss. V. CRISAFULLI, La Corte
costituzionale tra magistratura e Parlamento, cit. pp. 289 e ss.
85
53
nell’altro come giudice della legittimità costituzionale88.
Contrario alla qualificazione della Corte Costituzionale come giudice dei diritti, R. BIN,
L'applicazione diretta delle Costituzione…, cit., pp. 5 e ss., il quale sostiene «di poter
identificare un primo “cromosoma” del sistema di controllo di legittimità italiano nel fatto
che la Corte costituzionale non sia progettata come un “giudice dei diritti”». Nonostante,
infatti, anche per l'Autore sia chiaro il carattere eclettico della questione di legittimità
costituzionale così come delineato dalla disciplina positiva (sul punto e sulla differenza fra
questione sollevata d'ufficio e questione sollevata dalla parti, PIZZETTI - G. ZAGREBELSKY,
Rilevanza e non manifesta infondatezza…,cit., pp. 6 e ss. ) sostiene chiaramente che « Il
“giudice dei diritti” nel nostro sistema è il giudice ordinario (e, con i noti problemi di
distinzione, quello amministrativo); il principio dominante è che ogni posizione di diritto (e
di interesse) debba essere azionabile davanti alla giurisdizione. L’immagine che meglio
rappresenta la Corte costituzionale è invece quella del collegio arbitrale, chiamato a regolare
il conflitto latente e strutturante tra il potere legislativo e il potere giudiziario: conflitto
strutturante perché è proprio sul gioco di spinte e controspinte tra il circuito della politica e
della volontà legislativa, da un lato, e quello della tecnica interpretativa e dell’attività di
applicazione della legge al caso concreto, dall’altro, tra lex e jus, tra politica e diritto che si
regge l’edificio dello Stato di diritto». E', tuttavia, impossibile non rilevare un'accentuazione
del ruolo della Corte Costituzionale come giudice dei diritti dopo la riforma del Titolo V
della Costituzione, in questo senso, insiste sul profilo all’interno di una più ampio
ricostruzione di un sistema europeo di garanzia, G. ROLLA, Alcune considerazioni sui
possibili effetti delle codificazioni e della giurisprudenza sovranazionali in materia di diritti
sul cd “sistema europeo” di giustizia costituzionale, in ID. (a cura di), Il sistema europeo di
protezione dei diritti fondamentali e i rapporti fra le giurisdizioni, Milano, 2010, pp. 3 e ss.
Ma il profilo della tutela dei diritti è accentuato in tutte le indagini sul tema, tra i tanti, A.
RUGGERI, Rapporti fra Corte Costituzionale e Corti europee, bilanciamenti
interordinamentali e “controlimiti” mobili, a garanzia dei diritti fondamentali, Relazione
tenuta all’incontro di studio su “Corti nazionali, Corti sovranazionali e tutela multilivello
dei diritti”, presso la Scuola superiore di studi giuridici, Bologna 28 gennaio 2011; A.
RUGGERI, Corte e diritti, in tempo di crisi, Relazione tenuta al seminario su Sovranità
statale, costituzionalismo multilivello e dialogo tra le Corti, Scilla, 21 settembre 2012; T.E.
FROSINI, Il codice di procedura di una Corte moderna, in www.giurcost.org., per il quale «si
può riconoscere ormai un ruolo alla Corte di ultimo e inappellabile grado di giustizia. Non
più, quindi, “legislatore negativo”, “giudice delle leggi”, ma anche, e vorrei dire soprattutto,
Tribunale dei diritti e delle competenze costituzionali. Si è assistito a una progressiva e
ineludibile trasformazione del ruolo della Corte costituzionale, al pari delle altri Corti in giro
per il mondo, in una Corte Suprema al vertice del sistema giurisdizionale, dove l’oggetto del
giudizio è pur sempre una legge, ma la finalità giurisprudenziale è la garanzia e la tutela dei
diritti. Un carattere bifronte del processo costituzionale, teso alla ricerca della garanzia sia
degli iura che della lex, sia dei diritti soggettivi che del diritto obiettivo. La trasformazione
del ruolo della Corte è dovuta anche all’interpretazione della Costituzione come tavola dei
valori, da cui poter attingere per risolvere casi e questioni di impatto costituzionale
avvalendosi del principio di ragionevolezza, e quindi del bilanciamento fra diritti
costituzionali. E ciò benché alla Corte italiana sia negata, come invece avviene in Germania
e Spagna, la possibilità di giudicare sul ricorso del singolo cittadino, che ritiene di essere
stato leso dei suoi diritti fondamentali». Sul quest’ultimo aspetto e sul recurso de amparo nel
sistema di giustizia costituzionale spagnolo, M. DELLA MORTE, Il significato obiettivo del
giudizio di amparo tra difesa della costituzione e tutela dei diritti fondamentali, in E.
MALFATTI, R. ROMBOLI, E. ROSSI (a cura di), Il giudizio sulle leggi e la sua diffusione, cit.,
88
54
Le tesi opposte a quella appena riportata – non a caso – partendo da una
diversa indicazione della funzione della questione di legittimità costituzionale,
arrivano ad una definizione diversa di non manifesta infondatezza e ad una
ricostruzione opposta dei rapporti fra giudizi e del riparto competenziale fra
giudici comuni e giudice costituzionale.
p. 670 e ss.
55
CAPITOLO
SECONDO
L’INTERPRETAZIONE CONFORME
PRESUPPOSTI TEORICI E DIFFICOLTÀ RICOSTRUTTIVE
SOMMARIO: 1. L'interpretazione conforme: le difficoltà di inquadramento
teorico. 2. La rilevanza e non la non manifesta infondatezza di fronte
all'obbligo di composizione ermeneutica. Spunti per una ricostruzione. 3.Alla
ricerca di un fondamento logico. I limiti dell'interpretazione conforme. 4.
3.L’obbligo di interpretazione conforme nella giurisprudenza costituzionale
nel biennio 2011–2012 5.Interpretazione conforme e applicazione diretta della
Costituzione: la ricerca di una linea distintiva. 6. Una recente giurisprudenza
amministrativa in materia di pari opportunità: le ricadute sul piano
interpretativo.
1. L’interpretazione conforme: le difficoltà di inquadramento teorico.
L’indagine fin qui condotta è già sufficientemente in grado di dimostrare – o
quanto meno di suggerire – che l’interpretazione conforme, lungi dall’essere
un problema solo di teoria interpretativa89, ma rappresenta uno strumento
privilegiato per accertare il modo in cui la funzione della garanzia
costituzionale è esercitata nell’ordinamento italiano90. L’assunzione di un
Sembra, quindi, divergente la prospettiva di analisi di G. SORRENTI che, in
L’interpretazione conforme a Costituzione, passim, affronta il tema proprio dal punto di vista
del metodo interpretativo.
90
Per R. BIN, L'applicazione della Costituzione…, cit., p. 8, «la questione dell’applicazione
diretta della Costituzione e i suoi corollari possono essere utilmente riletti come questioni
relative all’attribuzione di poteri costituzionali e alla separazione delle competenze attribuite
alla legislazione e alla giurisdizione. Al centro è il potere di interpretare e applicare la
89
56
punto di vista sull’interpretazione costituzionalmente orientata presuppone,
quindi, non tanto – o comunque non solo – una risoluzione del rapporto fra
giudice e legge, ma una certa idea della funzione giurisdizionale, dei rapporti
fra autorità giudiziaria e giudice costituzionale e una precisa ricostruzione dei
presupposti processuali della remissione alla Corte.
Quanto detto dimostra – contrariamente a quanto sostenuto da alcuni91 – che
quello dell’interpretazione conforme non è affatto un problema di metodo
giuridico92 risolvibile attraverso l’assunzione di un metodo prescrittivo per
l’interpretazione della legge93. Del resto, ogni metodo sottende una diversa
Costituzione: in ultima analisi, il tema è la funzione stessa della Costituzione».
91
G. SORRENTI, L’interpretazione conforme…, cit., pp. 57 e ss., la quale presenta il problema
proprio dal punto di vista del metodo interpretativo, giungendo a conseguenze che non
potevano che essere critiche rispetto a quello che si dice l'accentuazione del carattere diffuso
del sindacato di costituzionalità in via incidentale.
92
Non è questa la sede per approfondire le tematiche legate alla ricerca di un metodo
giuridico, ma per la distinzione fra le varie teorie sull’interpretazione si rinvia alla
distinzione fra interpretazione meramente cognitiva, che si esaurisce in un mero atto di
conoscenza (G. TARELLO, L’interpretazione della legge, Milano, 1980, pp. 57 e ss., dove
l’interpretazione è rappresentata come «una attività intellettuale di conoscenza e non di
volontà, di carattere tecnico e non politico» nonché «un’operazione intellettuale (…) un
lavoro scientifico, inizio e fondamento della scienza del diritto»), interpretazione
riproduttiva o rappresentativa, che si caratterizza «per la presenza di un intermediario che,
ponendosi fra la manifestazione di pensiero di un autore e un pubblico interessato ad
intenderla, assume l’ufficio di sostituire a quella una forma rappresentativa equivalente,
dotata di un’efficacia comunicativa idonea a farne intenderne il senso» (E. BETTI, Teoria
generale dell’interpretazione, Milano, 1990, p. 347), e interpretazione normativa, che è
preordinata «al fine di regolare l’agire alla stregua di massime che si desumono da norme o
dogmi, da valutazioni morali o da situazioni psicologiche da tenere in conto» (E. BETTI, ivi
p. 790). Per un ulteriore approfondimento sulle altre dottrine dell’interpretazione, F.
MODUGNO, Interpretazione giuridica, Padova, 2009. F. VIOLA - G. ZACCARIA, Diritto e
interpretazione. Lineamenti di teoria ermeneutica del diritto, Roma-Bari, 2004.
93
E’ di questa idea anche, G. PISTORIO, Interpretazioni e giudici. Il caso dell’interpretazione
conforme al diritto dell’Unione Europea, Napoli, 2012, pp. 4 e ss., la quale sottolinea che
«l’ostacolo (…) che preclude tale ricognizione e che, in modo più o meno evidente, ha reso
insoddisfacenti le varie teorie sull’interpretazione, è rappresentato dalla consapevolezza che
l’interpretazione giuridica, intesa come attività preordinata alla risoluzione di un caso
concreto, è un’attività pratica “infinita”, compiuta quotidianamente da un cospicuo numero
di soggetti, ai quali compete scegliere gli argomenti, le tecniche, gli strumenti interpretativi
57
idea del diritto94, per cui un’analisi che solo a questo si riferisca non potrebbe
che risultare monca95.
Il quesito che riguarda l’interpretazione conforme non attiene, infatti, alla
scelta tra un’applicazione costituzionale ed una incostituzionale della legge. Se
così fosse, la decisione sarebbe ovvia. Il quesito riguarda la scelta tra
l’applicazione della legge nell’interpretazione secundum Constitutionem e
l’attivazione del sindacato di costituzionalità e chiama, quindi, in causa i
rapporti fra giurisdizione comune e giudici costituzionali, richiedendone una
definizione delle rispettive funzioni. E non potrebbe essere altrimenti.
La parzialità offerta dalla prospettiva della teoria dell’interpretazione, tuttavia,
è riconosciuta anche da chi assume quella teoria come punto di vista
privilegiato per l’esame se si afferma che «non sarebbe, infatti, sufficiente un
necessari per trarre norme dalle disposizioni».
94
E’ di questo avviso, G. ZAGREBELSKY, Il diritto mite…, cit., p.185 e ss., per il quale, ad
esempio, l’interpretazione secondo l’intenzione del legislatore rinvia «all’idea positivistica
del diritto come mera volontà di questo; l’interpretazione sistematica, all’idea di questo come
sistema; l’interpretazione storica, al diritto come fatto di normazione storica (…)».
95
La questione dell’interpretazione interseca l’oggetto dell’indagine, più che altro, da un
profilo diverso da quello della classificazione del metodo giuridico. Il significato del temine
«legge» nella previsione costituzionale di cui all’art. 101, primo comma, va, infatti,
interpretato e contestualizzato. Se l’avverbio «soltanto» garantisce l’autonomia e
l’indipendenza del giudice da altri poteri, per «legge» il Costituente voleva riferirsi al
fondamento e, allo stesso tempo, al limite delle funzione giurisdizionale. Per legge deve,
quindi, intendersi qualsiasi norma di diritto oggettivo, sul tema C. ESPOSITO, Eguaglianza e
giustizia nell’art. 3 Cost., in La Costituzione italiana, Saggi, Padova, 1954, p. 17; A. CERRI,
voce Uguaglianza (principio costituzionale di), in Enc. Giur., vol. XXXVI, Roma, 2005, p.
3. Non vi è dubbio, infatti, che l’entrata in vigore della Costituzione prima, l’adesione al
sistema di protezione previsto dalla Convenzione europea dei diritti dell’Uomo e il
riconoscimento dell’efficacia diretta delle fonti europee abbiamo modificato i rapporti fra
giudici e legislazione, in questo senso R. ROMBOLI, Modelli di giudice e complessità sociale:
bocca della legge, interprete, mediatore dei conflitti o difensore dei diritti?, Relazione al
Convegno “L’interpretazione giudiziale fra certezza del diritto ed effettività delle tutele”,
svoltosi ad Agrigento il 17 e 18 settembre 2010.
58
meta criterio ermeneutico, ma un criterio organizzativo che subordinasse
integralmente la funzione invalidante a quella interpretativa delle disposizioni
costituzionali».96 Pur tuttavia si sostiene che il discrimen – ovvero la regola
che dovrebbe guidare il giudice – resta nell’inciso “quando sia possibile”. Il
giudice dovrebbe sollevare la questione di legittimità costituzionale quando la
formulazione della legge non ne permette l’adeguamento a Costituzione. Il
problema è, quindi, osservato dal punto di vista del rapporto fra giudice e
legge. E, infatti, si sostiene che, «posto che lo Stato costituzionale reagisce
sulla teoria dell’interpretazione ampliando la sfera di legittimazione del
giudice a cercare risposte alle domande di giustizia, i confini che delimitano la
stessa «possibilità» dell’attività interpretativa si sono nel frattempo spostati in
avanti…» e conseguentemente «proprio i rischi che l’interpretazione
costituzionale comporta di una totale dissoluzione della base legislativa dello
Stato di diritto costituiscono, però, il nodo centrale»97. Nonostante la contraria
affermazione
si
continua,
quindi,
a
ritenere
che
il
problema
dell’interpretazione conforme risieda in quell’inciso «quando sia possibile», e
quindi nell’individuazione del limite posto dalla lettera della legge al
giudice98. In sostanza che il problema sia ancora di teoria dell’interpretazione,
L'affermazione non può che voler dire che non è sufficiente fissare un ulteriore criterio che
guidi il giudice nell'interpretazione della legge. Quello dell'interpretazione conforme è un
problema risolvibile solo definendo i rapporti fra Corte Costituzionale e i giudici. Per una
critica alla tripartizione delle funzioni delle disposizioni costituzionali, O. CHESSA,
Drittwirkung,… cit. pp. 420 e ss.
97
G. SORRENTI, L’interpretazione conforme…, cit., pp. 116 e ss.
98
Sostiene espressamente che la lettera della legge funga da limite esplicito all’attività di
adeguamento interpretativo a Costituzione, G. PISTORIO, Interpretazione e giudici…, cit., pp.
96
59
55 e ss., per la quale «l’interpretazione conforme dovrebbe realizzare infatti un adeguamento
della disposizione di legge interpretanda al diritto costituzionale che funge da parametro,
senza però superare il limite del testo. In altre parole, l’attività interpretativa non dovrebbe
condurre il giudice ad una vera e propria manipolazione del diritto, al fine di leggere nella
disposizione quello che non c’è, anche quando la Costituzione vorrebbe che vi fosse». Ma, in
questo senso, sono orientati più o meno unanimamente tutti i contributi in tema, G.
AMOROSO, I seguiti delle decisioni di interpretazione adeguatrice della Corte Costituzionale
nella giurisprudenza di legittimità della Corte di cassazione, in Rivista trimestrale di diritto
pubblico, 2008, pp. 769 e ss., per il quale «un limite all’interpretazione adeguatrice
certamente c’è per il giudice comune che è soggetto alla legge, suscettibile sì di
interpretazione, ma nell’ambito di un intervallo chiuso di significati plausibilmente espressi
da una disposizione polisensa. L’interpretazione adeguatrice va ricercata dal giudice comune
in questo ambito e quindi può ipotizzarsi che talvolta il testo della disposizione, quand’anche
piegato dall’esigenza di conformità a Costituzione, non esprima alcuna norma compatibile».
Anche nei confronti della Corte costituzionale sembra operare un limite all’interpretazione
adeguatrice: «una sorta di limite fisico conseguente alla potenzialità più o meno estesa, ma
pur sempre limitata, della disposizione indubbiata di esprimere norme diverse attraverso il
procedimento di interpretazione» Tale limite, per l’Autore, può attivare il cd meccanismo
della doppia pronuncia, ovvero l’adozione di una pronuncia di accoglimento condizionata al
mancato seguito dell’interpretazione offerta dalla Corte. Il necessario rispetto del confine
«tra esegesi e stravolgimento della lettera e del senso delle norme» è sottolineato da, M.
BIGNAMI, L’interpretazione del giudice comune nella «morsa» delle Corti sovranazionali, in
Giurisprudenza costituzionale, 2008, fasc. I, pp. 595 e ss. Si veda anche M. LUCIANI, Le
funzioni sistemiche della Corte Costituzionale, oggi, e l’interpretazione “conforme” a, in
www.federalismi.it, n. 16, 2007; G. P. DOLSO, Interpretazione adeguatrice: itinerari
giurisprudenziali e problemi aperti, in G. BRUNELLI, A. PUGIOTTO, P. VERONESI (a cura di),
Scritti in onore di Lorenza Carlassare. Il diritto costituzionale come regola e limite al potere,
IV, Dei giudici e della giustizia costituzionale, Napoli, 2009, pp. 1356 e ss.; G. U. RESCIGNO,
Del preteso principio secondo cui spetta ai giudici ricavare principi dalle sentenze della
Corte e manipolare essi stessi direttamente le disposizioni di legge per renderle conformi a
tali principi, in Giurisprudenza costituzionale, 2009, p. 2417, per il quale non è ammissibile
l’operazione interpretativa di stravolgimento del senso delle disposizioni «togliendo o
aggiungendo parole e frasi, in modo che il testo originario, con questa manipolazione, dica
quanto è conforme al principio individuato»; M. RUOTOLO, Oltre i limiti dell’interpretazione
costituzionalmente conforme? A proposito della pronuncia della Cassazione sulla
presunzione di adeguatezza della custodia cautelare in carcere per il delitto di violenza
sessuale di gruppo, in www.rivistaaic.it, 2012, p. 18; A. CELOTTO, “Limite di sagoma” o
limite di volumetria” nelle ristrutturazioni? Sui limiti dell’interpretazione costituzionalmente
conforme (in margine a TAR Lombardia, Milano, sez. II, 16 gennaio 2009, n. 153 e Tar
Lombardia Brescia, 13 maggio2008, n. 504), in www.giustamm.it 2009, p. 2 e ss., secondo
cui il giudice avrebbe finito per sostituirsi al giudice costituzionale, dando vita ad un sistema
di controllo di costituzionalità para-diffuso. Contra, F. MODUGNO, Sul problema
dell’interpretazione conforme a Costituzione, Un breve excursus, in Giur. it., 2010, p. 1968,
secondo il quale «il giudice comune non si sostituisce affatto al giudice costituzionale, ma
esercita il suo potere interpretativo che non può non comprendere l’interpretazione della
legge alla luce della Costituzione»; «l’incidentalità del giudizio costituzionale non è affatto
“cancellata”, per la semplice ragione che un giudizio costituzionale non è stato (ancora)
introdotto, trattandosi di verificare le condizioni della sua instaurazione, Né si è con ciò
introdotto un controllo para-diffuso di costituzionalità, perché il giudice comune,
nell’interpretare la legge in modo conforme a Costituzione, confronta i due rispettivi
60
prima che di altri99. A conferma, basti rilevare che la critica nei confronti
dell’interpretazione conforme – o che dir si voglia – del suo abuso, si
intreccia amplius con quella nei confronti dell’uso dei principi costituzionali
nella fase di interpretazione/ applicazione del diritto. Non bisognerebbe
trascurare – si dice – il fatto che possono esservi contemporaneamente più
soluzioni “conformi” alla Carta fondamentale100, proprio a causa dell’
“apertura” delle norme costituzionali. Ancora una volta, quindi, il problema
dell’interpretazione conforme intreccia quello – di teoria interpretativa –
dell’uso delle norme di principio nella fase – latu sensu – di applicazione del
diritto.
Non sembra, invece, questo il punto di vista utile da cui inquadrare il
problema dell’adeguamento interpretativo dei contrasti fra legge e
enunciati, prima ancora (e ai fini) di fissare (dedurre o proporre) la norma (di legge) sulla
quale soltanto può vertere il vero e proprio controllo (accentrato) di costituzionalità».
99
Non si disconosce qui la rilevanza del problema del rapporto fra giudice e legge né
dell'indagine sull'esistenza di un metodo giuridico prescrittivo che guidi il processo di
interpretazione/ applicazione del diritto, ma si ritiene che non apporti risultati pratici
all'indagine sul tema in oggetto. Il limite oltre il quale il giudice non deve spingersi
nell'attività di adeguamento della legge è più chiaramente tracciato dal riparto competenziale
fra giurisdizione comune e giudici costituzionali e dalla individuazione della funzione della
questione di legittimità costituzionale. Continuare a chiedersi se il risultato interpretativo
rispetti o meno l'intenzione del legislatore o il significato proprio delle parole come prescrive
l'art. 12 disp. Prel. Cod. civ., sarebbe quanto meno arduo, in questa sede e per via del
coinvolgimento del parametro costituzionale nel sillogismo giudiziale. Se, invece,
assumiamo una certa idea della funzione della questione di legittimità costituzionale,
individuiamo il destinatario privilegiato delle sentenze della Corte, presupponendo un alto
grado di normatività della Costituzione, ne escono facilmente definiti ruolo e limiti per
l'interpretazione conforme.
100
Ancora, G. SORRENTI, L’interpretazione conforme…, cit. pp. 82 e ss. in questo, prende le
distanze dalla tesi dworkiana della one right answer. L’idea per cui l’elaborazione della
norma nel processo di concretizzazione del diritto ai casi dissolva la plurivocità dei principi
costituzionali non convince l’autrice. Anzi, l’appiattimento sul caso concreto minaccerebbe
la certezza giuridica e la stabilità dei rapporti.
61
Costituzione, non fosse altro perché incapace di darci risposte sulla funzione e
sui limiti del canone in questione. L’individuazione del confine oltre il quale il
giudice/interprete non deve spingersi per rispettare il vincolo di cui la
Costituzione lo grava
ex
art. 101 sembra impresa ardua se si restringe
l’indagine alla ricerca del metodo giuridico. Mentre ben più funzionale allo
scopo dell’analisi è l’adozione della prospettiva prima indicata, ovvero quella
della funzione della questione di legittimità costituzionale e, amplius, del
modo di esercizio della funzione di garanzia costituzionale. Gli esiti
ricostruttivi, in tal caso, saranno inevitabilmente diversi a seconda del modo in
cui intenderemo protetta la rigidità delle disposizioni costituzionali. E’ a
questo punto che funzionalizzeremo le tesi prima esposte al fine di confortare
una certa idea sull’interpretazione conforme.
2. La rilevanza e non la non manifesta infondatezza di fronte all’obbligo
di composizione ermeneutica. Spunti per una ricostruzione
La digressione sui presupposti processuali compiuta in apertura ci permette,
del resto, di affrontare il tema dell’adeguamento interpretativo delle leggi a
Costituzione senza soluzione di continuità se solo si pensi che sia in dottrina
che in giurisprudenza – pur nelle diversità di opzioni – è pacificamente
considerato una condizione di ammissibilità della questione di legittimità
62
costituzionale.101
E’
consolidato
orientamento
l’affermazione
dell’inammissibilità della questione di legittimità costituzionale quando il
giudice a quo si sia sottratto al doveroso sforzo di adeguamento interpretativo
della legge a Costituzione – da ultimo, ex pluribus, ordinanza n. 175 del 2011,
con cui la Corte censura con la manifesta inammissibilità la questione di
legittimità costituzionale sollevata perché – dice – «viziata da una non
compiuta sperimentazione da parte del rimettente stesso del doveroso tentativo
di dare una interpretazione costituzionalmente conforme delle norme
impugnate (ordinanze n. 101, n. 103 e n. 212 del 2011) sembrando piuttosto
che egli cerchi di utilizzare in modo improprio e distorto l’incidente di
costituzionalità, nel tentativo di ottenere dalla Corte un avallo interpretativo
(ordinanza n. 139 del 2011)»102.
Sembra ora particolarmente utile stabilire in che modo l’onere di previa
composizione interpretativa si intreccia con il modello di giustizia
costituzionale italiano, ovvero se si limiti a reagire sui presupposti già previsti
dalla disciplina della remissione della questione alla Corte, o se rappresenti un
terzo requisito introdotto iure pretorio. In definitiva se e come risulti
Sul punto M. PERINI, L’interpretazione della legge alla luce della Costituzione fra Corte
Costituzionale ed autorità giudiziaria, in Il giudizio sulle leggi e la sua “ diffusione”, cit., p.
3 e ss. G. SORRENTI, La “manifesta infondatezza” delle questioni di legittimità
costituzionale e l’applicazione diretta della Costituzione nella prassi giudiziaria, in Il
giudizio sulle leggi e la sua “diffusione”, cit., pp. 7 e ss, ; O. CHESSA, Non manifesta
infondatezza vs interpretazione adeguatrice, in Interpretazione conforme e tecniche
argomentative, a cura di M. D’AMICO, B. RANDAZZO, cit., pp. 266 e ss. ; A.
RAUTI, L’interpretazione adeguatrice come metacriterio ermeneutico e l’inversione logica
dei criteri di rilevanza e non manifesta infondatezza, in Il giudizio sulle leggi e la sua
“diffusione”, cit., pp. 490 e ss.
101
63
compatibile con il modello descritto dalla l. cost. n. 1 del 1948 e dalla l. n. 87
del 1953. E a questo punto risulta preliminare l’analisi già compiuta delle
diverse posizioni che hanno caratterizzato – prevalentemente nei primi anni di
funzionamento della Corte – il dibattito sui presupposti processuali per la
remissione della questione. Il grado di compatibilità dell’attività di
adeguamento interpretativo compiuta dai giudici comuni con il carattere
accentrato del sindacato incidentale delle leggi103 sarà, infatti, influenzato dal
significato a sua volta attribuito alla non manifesta infondatezza e alla
rilevanza e – per la già evidenziata inferenza logica– dalla individuazione
della funzione della questione di legittimità costituzionale.
Possiamo semplificare operando una divisio tra le posizioni di chi ritiene che
l’interpretazione conforme insista sul giudizio di non manifesta infondatezza –
Sull’utilizzo della dicotomia sindacato accentrato-diffuso, in relazione ai rischi di
torsione apportati dalla pratica dell’interpretazione conforme, sottolinea l’equivoco, M.
PERINI, L’interpretazione della legge alla luce della Costituzione…, cit., pp. 73 e ss., il
quale la stessa idea di diffusione del sindacato in relazione all’interpretazione conforme è
frutto di un equivoco. E, infatti, dice «se stipuliamo che per controllo di costituzionalità si
intende la valutazione circa la validità (formale e materiale) di una norma (subordinata)
rispetto da quanto prescritto da altra norma (sovraordinata), allora l’interpretazione
adeguatrice non sembra avere nulla a vedere con il controllo di costituzionalità: l’uno si
fonda su una gerarchia formale che spetta unicamente alla Corte applicare e l’altra su una
gerarchia assiologica che tutti gli operatori giuridici sono chiamati a rispettare ed attuare.
Se, viceversa, per controllo di costituzionalità s’intende la conformazione del diritto
esistente alle superiori disposizioni costituzionali, allora non solo l’interpretazione
adeguatrice comporta tale controllo, ma qualunque attività (legislativa, amministrativa, di
governo) che abbia tale scopo si risolve in controllo di costituzionalità. Poiché nel
linguaggio comune, ancor prima che in quello giuridico, l’uso (la definizione lessicale) è
quello per primo indicato, sembra possibile affermare l’estraneità del tema (della dottrina)
dell’interpretazione adeguatrice al tema del controllo di costituzionalità e, dunque, anche
delle sue eventuali specificazioni (accentrato/diffuso, concreto/astratto). Ne segue che
nessuna “pretesa espropriazione ai danni della Corte costituzionale della sua competenza
esclusiva” potrebbe ravvisarsi nel ricorso, anche massiccio, da parte della magistratura
all’interpretazione adeguatrice».
103
64
specificandolo o modificandolo, di chi ritiene che – viceversa – rientri nel
giudizio sulla rilevanza e di chi, infine, ne discute come di un terzo
presupposto processuale – o solo logico – introdotto iure pretorio.
E’ dell’idea che la valorizzazione dell’uso del canone dell’interpretazione
conforme modifichi il giudizio sulla non manifesta infondatezza in maniera
evidentemente incompatibile con il riparto di competenze tra Giudice
costituzionale e giudici comuni Sorrenti che, in L’interpretazione conforme a
Costituzione104, afferma la necessità di una chiara delimitazione degli ambiti
del giudizio preliminare compiuto dal giudice a quo105 Riporta, infatti, con
accenni decisamente critici un orientamento della giurisprudenza della Corte
di Cassazione (sent. n. 2489/1984) in cui si afferma che la differenza tra il
giudizio preliminare alla remissione degli atti e quello definitivo del giudice
costituzionale è solo quantitativa, dovendo anche il giudice a quo convincersi
della certa incostituzionalità per sospendere il giudizio. La critica di Sorrenti si
appunta proprio sulle modalità individuate dalla Suprema Corte attraverso le
quali sarebbe compiuta la fase preliminare al giudizio di legittimità
costituzionale. Nella sentenza si legge, infatti, che la questione potrà dirsi
manifestamente infondata quando «è stato possibile rimuovere con sicurezza e
in maniera appagante, i dubbi di costituzionalità anche se, per giungere a tale
Ma già precedentemente, in G. SORRENTI, “La manifesta infondatezza”…, cit., p. 76 e
ss e ID., La Costituzione “sottintesa”, Relazione presentata al Seminario dal titolo “Corte
costituzionale, giudici comuni e interpretazioni adeguatrici”, Roma, Palazzo della
Consulta, 6 novembre 2009.
105
65
tranquillizzante certezza, ha dovuto svolgere un procedimento non agevole né
breve»
106
. Tra gli strumenti individuati per scogliere il dubbio rientra,
appunto, quello dell’interpretazione costituzionalmente compatibile. Ed è,
qui, che per Sorrenti si annida il rischio di una manipolazione del modello di
giustizia costituzionale accentrato, attraverso una rimodulazione del riparto di
competenze fra Giudice delle leggi e giudici ordinari. Il contenuto della riserva
costituzionale si risolverebbe, in questa prospettiva, nella sola dichiarazione di
illegittimità costituzionale. Ma, per Sorrenti, una simile ripartizione tra giudici
e Corte sarebbe viziata da un limite logico. «L’invalidità di una legge – dice –
può evidentemente emergere solo come esito finale di un giudizio, e non può
viceversa precedere quest’ultimo» (...) «peraltro, l’assegnazione al giudice del
potere di verificare la costituzionalità della legge attraverso tutta una serie di
“prove di resistenza” riduce la Corte al ruolo di mero “controllore” di un
giudizio di costituzionalità già emesso dal giudice e le sentenze di rigetto a
quello di meri rimedi ad altrettanti “errori” dei giudici a quibus». Il ricorso al
canone dell’interpretazione conforme, poi, da un lato «presenta il vantaggio di
realizzare immediatamente, in relazione al processo comune pendente, le
pretese
costituzionalmente
invocate»,
dall’altro
«non
promuovendo
l’emissione di una decisione con efficacia eventualmente generale, comporta
l’accettazione del rischio che di fatto permangano interpretazioni della stessa
106
Cass. Civ., sent. 2439/1984 (punto 4 mot. in dir).
66
disposizione difformi dalla Carta fondamentale»107. Ci sembra dire – ma è
deduzione legittima – che di fronte a qualsiasi dubbio interpretativo, debba
intendersi aperta una questione di legittimità costituzionale108.
L’Autrice
sottolinea, anche – ma il passaggio rimane non sufficientemente sviluppato –
che la scelta fra le due opposte esigenze dipende dall’adesione ad una delle
due concezioni alternative della questione di legittimità costituzionale109. La
circolarità del discorso che si va facendo è evidente. E’ indubbio, infatti, come
la ricostruzione appena presentata sia l’esito della scelta a favore della
questione di legittimità come strumento di garanzia della massima conformità
dell’ordinamento a Costituzione. E, infatti, corollari di questa opzione
preliminare sono, in primo luogo, la convinzione della necessità di garantire,
con la massima estensione possibile, l’accesso al giudice costituzionale
attraverso una interpretazione restrittiva dei presupposti processuali. In
secondo luogo, la quasi completa riduzione di campo operativo per la
risoluzione dei contrasti di gerarchia ad opera dei giudici comuni. Infatti,
rispetto al fine della massima conformità a Costituzione dell’ordinamento, una
decisione – seppur compositiva – resa in un singolo giudizio e con efficacia
G. SORRENTI, La manifesta infondatezza…, cit., p. 98. E' questa più o meno la stessa
critica che muove A. PACE, I limiti dell'interpretazione adeguatrice, cit., pp. 1070 e ss.
108
E' qui la distanza con la posizione, pur non particolarmente audace di Lavagna, cui pure
l'Autrice sostiene di aderire. Infatti, per Lavagna «tale soluzione … contrasterebbe con il
principio di delibazione e con l'implicita funzione collaborativa cui sono chiamate le varie
magistrature, urtando per di più con la tradizionale ed istituzionale competenza delle
giurisdizioni a dichiarare il diritto, sia pure in ordine ad una particolare fattispecie», C.
LAVAGNA, Considerazioni sulla inesistenza di questioni di legittimità costituzionale e sulla
interpretazione adeguatrice, (1959) in Ricerche sul sistema normativo, Milano, 1954, pp.
601 e ss.
109
G. SORRENTI, L’interpretazione conforme…, cit., p. 99.
107
67
ovviamente inter partes, non ha valore dirimente110. Se, infatti, il destinatario
delle sentenze della Corte Costituzionale è il legislatore e se la dichiarazione
di accoglimento funziona come una sanzione nei confronti dell’esercizio
costituzionalmente difforme del potere legislativo, perde di rilevanza la
decisione ricompositiva dell’equilibrio gerarchico resa nel singolo giudizio,
anzi questa si presenta come un ostacolo al più ampio disegno di coerenza
costituzionale dell’ordinamento111.
Della stessa idea, ovvero che il canone dell’interpretazione conforme reagisca
sul presupposto della non manifesta infondatezza è Lavagna che, in Problemi
di giustizia costituzionale sotto il profilo della «manifesta infondatezza» e,
amplius, in Considerazioni sulla inesistenza di questioni di legittimità
costituzionale
e
sulla
interpretazione
adeguatrice112
individua
E', esattamente, questa la stessa idea di F. MODUGNO, Riflessioni interlocutorie…, cit., pp.
62 e ss. Tuttavia, l'Autrice richiama ad adiuvandum la posizione di C. Lavagna e di A. Pace,
con queste ne vedremo le dovute differenze. L'opzione – seppur criticabile – rimane valido
sostegno teorico, ma la critica cade – a nostro avviso – nell'eccesso di escludere in toto il
ricorso al canone in questione nella parte in cui sostiene che «affermando che una certa
soluzione ermeneutica viene preferita in virtù del (solo) canone di interpretazione
adeguatrice, il giudice riconosce che la norma desunta dalle parti e fatta oggetto
dell'eccezione di incostituzionalità è difforme a Costituzione. Sembra, dunque, inevitabile
ammettere che, in tale, contesto il giudice provveda a disapplicare autonomamente norme
ritenute costituzionalmente illegittime, che rimangono, però, potenzialmente operanti, perché
non definitivamente annullate», G. SORRENTI, L’interpretazione conforme…, cit., p. 99.
111
Il tema tocca incidentalmente quello – più ampio – dei rapporti fra Corte
Costituzionale e Parlamento. La digressione sarebbe – in questa sede – ultronea, ma cfr. A.
RUGGERI, La Corte Costituzionale nel sistema costituzionale– 1. Corte Costituzionale e
Parlamento (in chiaroscuro) in Foro it. 2000 n. 2 pt. 5, p. 19 e ss., A. RUGGERI, G.
SILVESTRI (a cura di), Corte Costituzionale e Parlamento: profili problematici e ricostruttivi,
Milano, 2000, G. ZAGREBELSKY, La Corte Costituzionale e il legislatore in P. BARILE, E.
CHELI, S. GRASSI (a cura di), Corte Costituzionale e sviluppo della forma di governo in
Italia, cit. p. 103 e ss, F. MODUGNO, Corte Costituzionale e potere legislativo in (a cura di)
P. BARILE, E. CHELI, S. GRASSI, Corte Costituzionale e sviluppo della forma di governo in
Italia, Bologna 1982, pp. 19 e ss.
112
C. LAVAGNA, Problemi di giustizia costituzionale…, cit., p. 529 e ss.
110
68
nell’interpretazione conforme un criterio per la valutazione della non
manifesta infondatezza della questione. Le conclusioni cui arriva, però, sono
parzialmente diverse da quelle prima esposte. Nella ricostruzione di Lavagna
il criterio dell’adeguamento delle leggi a Costituzione è solo ausiliario e mai
risolutivo rispetto al giudizio di delibazione del giudice a quo e può trovare
applicazione solo in assenza di contrasti interpretativi sulla disposizione di
raffronto.
E, infatti, la scelta – tra le due – a favore della norma
costituzionalmente compatibile, pur rappresentando uno strumento di
applicazione della Costituzione, per Lavagna può essere preferita solo ove la
norma conforme a Costituzione sia l’unica norma ricavabile dalla disposizione
indubbiata attraverso un criterio interpretativo strettamente lessicale.
Il motivo della restrizione è evidente e risiede in una presunta separazione fra
ordine legale e ordine costituzionale che finisce per ridurre al minimo la
cognizione interpretativa del giudice comune sul parametro costituzionale113.
Lavagna accetta l’ormai consolidata idea per cui sui giudici gravi un obbligo
di delibazione meno sbrigativa di quella teorizzata nei primissimi commenti
alla l. cost. n. 1 del 1948 e alla l. n. 87 del 1953, ma insiste sulla necessità di
chiarire i criteri e i limiti della scelta e – più precisamente – il rapporto che
Sul rapporto tra legalità legale e legalità costituzionale, M. LUCIANI, Su legalità
costituzionale, legalità legale e unità dell’ordinamento, in AA. VV. Studi in onore di Gianni
Ferrara, Torino, 2005, pp. 501 e ss. Sulla separazione fra interpretazione della legge e della
Costituzione , G. ZAGREBELSKY, Il diritto mite…, cit., pp. 147 e ss., la cui tesi principale è
proprio quella dell'indistinguibilità, ai fini della individuazione della norma regolatrice del
caso concreto, fra diritto costituzionale per principi e diritto legislativo per regole. Contra,
sostiene che tra l’interpretazione delle legge e quella della Costituzione sussista un rapporto
di specialità, G. GUASTINI, L’interpretazione dei documenti normativi, Milano, 2004.
113
69
intercorre fra il criterio della cd concretezza storica e quello – appunto –
dell’adeguamento.
Infatti ­ dice­ «mentre si è detto e ridetto che, fra le varie possibili
interpretazioni della norma legislativa, il giudice deve assumere quella
storicamente operante ed altresì quella più conforme al precetto costituzionale,
per rimettere la questione alla Corte solo se non sia possibile tale autonomo
superamento dell’incidente; non si sono affatto precisati la priorità, più che
essenziale, fra i due criteri, né i loro (altrettanto essenziali) limiti. Qualora,
infatti, dovesse prevalere – come sembra nell’indirizzo più recente della Corte
– il criterio dell’adeguamento, non solo l’altro criterio (della concretezza
storica) non troverebbe quasi mai applicazione, ma diventerebbe sempre più
arbitrario ed ipotetico il ricorso alla Corte. Giacché sarebbe quasi sempre
possibile, attraverso i più audaci mezzi ermeneutici, ridurre una disposizione
incostituzionale a costituzionale, senza preoccuparsi di sapere se e fino a che
punto i risultati restino nell’ambito di una interpretazione storica concreta,
ovvero rappresentino una innovazione, magari stravagante. Qualora invece
dovesse prevalere il primo criterio, inutile sarebbe il secondo; trattandosi di
individuare il significato storicamente attribuito alla norma e di rimettere la
questione alla Corte, sol che affiori un qualsiasi dubbio di contrasto
costituzionale, ed anche se altre interpretazioni, astrattamente possibili,
possano apparire conformi alle norme di raffronto».
Lavagna auspica, quindi, un utilizzo alternativo dei due criteri, ma con
70
prevalenza di quello cd. di concretezza storica, per cui «o la norma legislativa
risulta suscettibile di una chiara, prevalente interpretazione (per essere quella
storicamente concreta, se c’è, o per altre ragioni, se manca una interpretazione
corrente ben definita) atta ad escluderne ogni altra, pur astrattamente
possibile» o «è suscettibile di varie interpretazioni, tutte dotate, più o meno, di
una qualche liceità logica e giuridica» e, in questo caso occorre innescare il
criterio dell’adeguamento come criterio sussidiario. Nel primo caso, quindi, il
giudice dovrà deliberare la costituzionalità della norma scegliendo
l’interpretazione che ritiene prevalente. Nel secondo caso, invece, dovrà
scegliere l’interpretazione più conforme alla disposizione costituzionale114.
La posizione appena presentata ha il merito di identificare nell’adeguamento
preventivo delle leggi a Costituzione uno strumento di attuazione costante
della norma fondamentale115, riconoscendo anche al potere giudiziario la
titolarità di quel processo di inveramento che la Costituzione affida al potere
politico116, ma tuttavia presenta aspetti anacronistici. Allargare, infatti, le
maglie del sindacato di non manifesta infondatezza per includervi l’obbligo di
interpretazione conforme solo quando il parametro costituzionale risulti
inequivoco, se da un lato sembra voler far fronte al rischio di una pratica
C. LAVAGNA, Problemi di giustizia costituzionale…,cit., pp. 601 e ss.
Su questo già, M. DOGLIANI, Interpretazioni…, cit. pp. 69 e ss.
116
Identifica nei partiti politici i soggetti privilegiati nella direzione del progetto di
attuazione della Carta Costituzionale, C. ESPOSITO, I partiti politici nella Costituzione
italiana, in La Costituzione Italiana, Padova, 1954, pp. 215 e ss.
114
115
71
giudiziaria per principi117, dall’altro presuppone una rigida separazione fra
legge e Costituzione e, di conseguenza, tra interpretazione legislativa e
interpretazione
costituzionale
che
non
sembra
accettabile
dopo
il
riconoscimento della piena normatività delle disposizioni costituzionali118. La
subordinazione, poi, del criterio di adeguamento a quello che Lavagna
definisce della concretezza storica, affermata nel tentativo di garantire
l’uniformità di soluzioni giudiziali, ci sembra vada oltre le intenzioni, perché
finisce per limitare eccessivamente l’autonomia interpretativa del singolo
giudice, anche sulla disposizione legislativa, dimenticando, tra l’altro, che il
rischio di un antiformalismo decisionale è arginato dalla natura diffusa del
potere stesso. La possibilità di ricorrere ad altro giudice, infatti, limita il
rischio di soluzioni difformi a Costituzione e garantisce sempre una
riespansione della giurisdizione costituzionale119. La circostanza, infatti, che
altro giudice risolva diversamente il giudizio deliberativo è una garanzia non
trascurabile che ridimensiona i rischi dell’uso del canone di interpretazione
A. PACE, Interpretazione costituzionale e interpretazione per valori, in G. AZZARITI (a
cura di), Interpretazione costituzionale, Torino, 2007, pp. 41 e ss, nel quale sostiene la
necessità di un superamento storico del giuspositivismo, oltre che la presa d’atto
dell’impossibilità di scindere fra morale, giustizia e diritto.
118
Sulla normatività delle disposizioni costituzionali, insuperabile l’insegnamento di V.
CRISAFULLI, Sull’efficacia normativa delle diposizioni di principio della Costituzione
(1948), in La Costituzione e le sue disposizioni di principio, Milano, 1952. Sull’idea di
fusione fra legge e Costituzione nell'individuazione della norma da applicare nel caso
concreto, O. CHESSA, Drittwirkung…, cit., pp. 420 e ss. Che l'affermazione del canone
dell'interpretazione conforme in giurisprudenza sia contestuale al progressivo
riconoscimento della precettività delle disposizioni costituzionali, lo sottolinea M. PERINI,
L'interpretazione della legge alla luce della Costituzione fra Corte Costituzionale ed
autorità giudiziaria…, cit., pp. 59 e ss., per il quale alla base della dottrina
dell'interpretazione adeguatrice sta l'affermazione della diretta precettività / obbligatorietà
della Costituzione nei confronti di qualunque operatore giuridico.
119
Proprio in questi termini e sulla garanzia del potere diffuso, O. CHESSA, ivi., pp. 420 e ss.
117
72
conforme in termini di certezza delle soluzioni giudiziali.
Ancora della stessa idea, ovvero che l’interpretazione conforme reagisca sul
presupposto della non manifesta infondatezza, è Chessa, il quale propone un
ripensamento del concetto di interpretazione adeguatrice o conforme a
Costituzione se non un abbandono definitivo, insieme alla discussa distinzione
fra funzione interpretativa, integrativa e parametrica delle disposizioni
costituzionali120. L’idea – dice l’autore – dell’interpretazione adeguatrice «si
regge sull’equivoco che la costituzione possa fungere da “criterio
interpretativo”. Criteri interpretativi sono quello “storico”, “letterale”,
“sistematico”, ecc.: la costituzione è invece un testo che va interpretato da cui
si ricavano norme diverse in relazione agli oggetti cui si applica e ai criteri in
base ai quali viene letta». Il nomen “interpretazione conforme”, quindi,
sarebbe – in questa prospettiva – esso stesso fuorviante. Il giudice, infatti, non
è chiamato a far altro che ricondurre a sistema le disposizioni di legge, o
meglio ricavare una norma applicabile al caso concreto sulla base del
materiale normativo di cui dispone – sia legislativo che costituzionale121. La
O. CHESSA, ivi, p. 424 e ss; nello stesso senso, R. ROMBOLI, Il riferimento al parametro
costituzionale da parte del giudice in ipotesi diverse dalla eccezione di costituzionalità
(l'interpretazione “adeguatrice” e l'applicazione diretta), in G. PITRUZZELLA – F. TERESI, G.
VERDE (a cura di), Il parametro nel giudizio di costituzionalità, Atti del seminario di
Palermo 28–29 maggio 1998, pp. 635 e ss.
121
Parla, infatti, di saldatura fra disposizione legislativa e disposizione costituzionale da cui
deriva una norma nuova applicabile al caso di specie, O. CHESSA, Drittwirkung…, cit., p.
425. Conferma la prospettiva di analisi in O. CHESSA, Non manifesta infondatezza vs
interpretazione adeguatrice? in Interpretazione conforme e tecniche argomentative,
Convegno del Gruppo di Pisa, cit., pp. 266 e ss., per cui « la regola del caso deve sempre
essere costruita sulla base di tutte quelle fonti vigenti non invalide (che siano ovviamente
pertinenti al caso), ivi comprese le fonti costituzionali, atteso che queste sono fonti del
120
73
ricomposizione sistematica ovviamente non sarà realizzabile nel caso in cui il
giudice accerti l’impossibilità di ricavare dalle disposizioni legislative e
costituzionali una norma che non sia con esse incompatibile. L’attività di
sistematizzazione, imposta al giudice comune dalla prescrittività della
Costituzione, reagisce sul presupposto della non manifesta infondatezza
trasformandolo nel suo contrario. La condizione dell’ordinanza di rimessione
non sarà, quindi, la valutazione dubitativa sull’esistenza del vizio di
costituzionalità, ma – al contrario – la più o meno argomentata affermazione
della sua manifesta fondatezza. Rispetto a questo, tutti gli altri casi diventano
residuali, essendo determinante solo stabilire quando il giudice ha l’obbligo di
remissione alla Corte.
L’idea è, poi, confermata da Chessa anche in altra sede, seppur con qualche
diversità122. La distinzione fra disposizione e norma123 porta, infatti, l’autore a
far retroagire lo sforzo ricompositivo del giudice comune ad un momento
temporalmente antecedente rispetto al giudizio deliberativo sulla non
manifesta infondatezza. Il punto richiede, però, un chiarimento. Se il giudice
deve raggiungere il convincimento sull’assenza del benché minimo dubbio
sulla costituzionalità della disposizione legislativa per evitare l’incidente di
diritto. Un'interpretazione conforme o è un'interpretazione scorretta, perché tradisce il dovere
deontologico del giudice espresso dal brocardo iura novit curia o è un'interpretazione che
muove … dalle premesse che la Costituzione e le altre leggi costituzionali non siano fonti del
diritto».
122
O. CHESSA, Non manifesta infondatezza…, cit., pp. 266 e ss.
123
Ovviamente cfr. V. CRISAFULLI, Disposizione e norma, in Enc. dir., XIII. E, per
un'ampia lettura della teoria dell'interpretazione in Crisafulli, in specie riguardo le
problematiche del cd diritto vivente, A. PUGIOTTO, Diritto vivente e sindacato di
costituzionalità…, cit., pp.103 e ss.
74
costituzionalità, è necessario stabilire – dice – se l’assenza del dubbio debba
riguardare la disposizione o la norma.
Nel primo caso, non ci sarebbe evidentemente nessuno spazio per l’utilizzo del
canone dell’interpretazione conforme in quanto, anche solo la possibilità di
ricavare un significato incostituzionale dalla disposizione da applicare al caso
concreto, fonderebbe l’obbligo di rimettere gli atti alla Corte e di sospendere il
giudizio in corso.
La tesi, però, non convince l’Autore in primo luogo perché logicamente
contrastante con l’orientamento– ormai consolidato– della giurisprudenza
costituzionale
la quale,
affermando che «le leggi non si dichiarano
costituzionalmente illegittime perché è possibile darne interpretazioni
incostituzionali, ma perché è impossibile darne interpretazioni costituzionali»
(sent. 356/1996), ammette la possibilità che vengano omessi significati
incostituzionali pur astrattamente possibili. In secondo luogo, perché verrebbe
assolutamente vanificato il presupposto della rilevanza della questione124. Il
rapporto di pregiudizialità fra giudizio a quo e giudizio costituzionale (ex art.
1 l. cost. 1 del 1948 e 23 l. n. 87 del 1953) chiede, infatti, al giudice di
considerare
la
costituzionalità
della
norma
che
incide
sui
diritti
costituzionalmente tutelati delle parti in causa, non di altre125. Si ha, quindi,
Si vedranno, in seguito, gli orientamenti per cui l’interpretazione conforme reagisce sul
requisito della rilevanza della questione.
125
Per un significato di rilevanza della questione come mera possibilità applicativa della
norma secondo il convincimento soggettivo del giudice a quo, F. MODUGNO, Riflessioni
interlocutorie…, cit., pp. 119 e ss., il quale non a caso escludeva la possibilità per il giudice
124
75
manifesta infondatezza quando è del tutto assente il benché minimo dubbio
circa la costituzionalità della norma – e non della disposizione– che il giudice
intende applicare. Da ciò si ricava una conclusione ulteriore. Per Chessa il
complesso delle operazioni che vanno sotto il nome di interpretazione
conforme non può che precedere la valutazione di non manifesta infondatezza
della questione di legittimità costituzionale, come se si trattasse non tanto di
un terzo requisito rispetto a quelli positivamente previsti, quanto di un
presupposto logico.
Anche per Romboli126 la richiesta, a pena di inammissibilità, di una adeguata
motivazione
sull’impossibilità
di
una
soluzione
interpretativa
costituzionalmente compatibile, incide sul presupposto processuale della non
manifesta infondatezza, trasformando quello che era un giudizio meramente
delibatorio sull’esistenza di un dubbio di compatibilità in una quasi certezza
sull’ esistenza del vizio. Anche qui, però, come in Chessa, la parziale incisione
del modello di giustizia costituzionale attraverso la modifica di uno dei suoi
presupposti non viene presentata con accenni critici. La soluzione del
problema – dice – «sembra allora doversi individuare nella realizzazione di
una proficua opera di collaborazione tra la Corte costituzionale e l’autorità
giudiziaria nell’attività di interpretazione della legge alla luce della
ordinario di comporre i contrasti fra legge e Costituzione, a garanzia della più ampia
estensione della giurisdizione costituzionale.
126
R. ROMBOLI, Qualcosa di nuovo … anzi d'antico: la contesa sull'interpretazione
conforme alla legge, Relazione presentata al Convegno “La giustizia costituzionale fra
memoria e prospettive (a cinquant’anni dalla pubblicazione della prima sentenza della
Corte costituzionale), Roma 14 e 15 giugno 2006, ora anche in www.archivio.rivistaaic.it.
76
Costituzione, che risulta del resto essere l’elemento cardine del nostro sistema
di controllo di costituzionalità delle leggi, imperniato essenzialmente sulla
nozione di pregiudizialità e quindi sulla via incidentale». E ciò vale sia nel
momento instaurativo del giudizio di legittimità costituzionale sia nella fase
successiva, quando si tratterà di dar seguito giudiziale all’interpretazione
conforme, questa volta proposta dal giudice costituzionale.127
L’Autore è ben consapevole, tuttavia, che la invocata attività di collaborazione
fra giudici e Corte richiede la fissazione del quomodo della collaborazione
stessa. Ma, pur ammettendo che sia fuori dubbio che «la Corte costituzionale
ed i giudici vengano a collocarsi diversamente – i secondi impegnati sul piano
applicativo e quindi più legati al caso concreto, la prima muovendosi su quello
più generale della costituzionalità della legge – e come ciò possa,
L'interpretazione conforme operata dalla Corte Costituzionale attraverso le sentenze
interpretative di rigetto rappresenta quello che Romboli definisce «qualcosa di antico» in
tema di interpretazione conforme. Ovviamente il tema dell'efficacia delle sentenze
interpretative di rigetto esula dall'indagine in corso, basti solo segnalarne il collegamento. La
riduzione dello spazio riservato all'attività di adeguamento della legge a Costituzione ad
opera dei giudici comuni e la sottovalutazione del necessario rapporto collaborativo fra
giudici comuni e Corte nel necessario processo di inveramento delle disposizioni
costituzionali, non può che ripercuotersi sugli effetti delle pronunce costituzionali. Abbiamo
già segnalato come nella prospettiva di chi riduce al minimo le valutazioni preliminari del
giudice a quo per garantire, al contrario, il più ampio accesso alla Corte Costituzionale, si
finisce poi per svalutare la capacità di incisione della stessa sull'interpretazione legislativa. E'
questo il paradosso della posizione “accentratrice” di Franco Modugno. Lo sottolineano, F.
PIZZETTI- G. ZAGREBELSKY, Rilevanza e non manifesta infondatezza…, cit., pp. 58 e ss. Sul
tema dell'efficacia delle sentenze interpretative di rigetto, V. CRISAFULLI, Questioni in tema
di interpretazione…, cit., pp. 939 e ss. L. ELIA, Sentenze “interpretative” di norme
costituzionali e vincolo dei giudici, in Giur. cost., 1966, pp. 1715 ss. A. PUGIOTTO, Le
metamorfosi delle sentenze interpretative di rigetto, in Corr. Giur., 2004, pp. 985 ss. A.
PUGIOTTO, Diritto vivente e sindacato di costituzionalità, cit., pp. 17 e ss. A. RUGGERI,
Storia di un «falso». L’efficacia inter partes delle sentenze di rigetto della Corte
Costituzionale, Milano, 1990. L. CARLASSARE, Perplessità che ritornano sulle sentenze
interpretative di rigetto, in Giur. cost., 2001, pp. 186 e ss.
127
77
conseguentemente, almeno in parte, incidere anche sui canoni interpretativi da
utilizzare», «deve però ritenersi che entrambi possano operare, nella loro
attività interpretativa, con gli stessi poteri e gli stessi limiti, specie con
riferimento ai vincoli derivanti dal testo normativo da interpretare». Il che è
come dire che quello dei limiti dell’interpretazione conforme è un falso
problema, essendo – quello del testo – un vincolo generale apposto ad ogni
attività interpretativa, sia condotta ai fini di un giudizio di costituzionalità, sia
ai fini della risoluzione di un caso concreto128.
Al contrario, altri ritengono che l’obbligo di interpretazione conforme insista
non tanto sul giudizio di non manifesta infondatezza, quanto su quello di
rilevanza129. Si fa, per esempio, il caso di una disposizione da cui è possibile
che il giudice tragga più significati, ma nessuno conforme a Costituzione. In
questo caso – si dice – il giudice non potrebbe fare altro che scegliere una
norma applicabile e su questa sollevare la questione di legittimità
costituzionale. L’apparente semplicità dell’operazione nasconderebbe – in
questa prospettiva – un iter logico complesso, rivelatore di uno stretto rapporto
di inferenza fra l’onere di composizione ermeneutica che grava sul giudice
comune e la preliminare e doverosa valutazione della rilevanza della
Da questa distinzione fra interpretazione della legge ai fini della valutazione della sua
costituzionalità e interpretazione delle legge ai fini della sua applicazione a giudiziale fa
derivare molteplici conseguenze, per esempio sul tema del vincolo al diritto vivente, per
questo, A. PUGIOTTO, Diritto vivente e sindacato di costituzionalità…., cit., pp. 67 e ss.
129
A. RAUTI, L'interpretazione adeguatrice come metacriterio ermeneutico e l'inversione
logica dei criteri di rilevanza e non manifesta infondatezza, in Il Giudizio sulle leggi e la sua
“diffusione”, cit., pp. 496 e ss.
128
78
questione130. In questo caso, infatti, si dovrebbe accertare che ogni norma – tra
quelle applicabili – sia prima facie di dubbia costituzionalità. Non sarebbe,
quindi, sufficiente riscontrare che un certo risultato interpretativo possa
supportare una questione di legittimità costituzionale rilevante e non
manifestamente infondata, ma occorrerebbe – per non incorrere nella censura
di inammissibilità per difetto di rilevanza – valutare la costituzionalità di ogni
altra norma, fino ad esaurimento degli strumenti interpretativi a disposizione
del giudice.
In caso contrario, il dubbio sull’unica norma ricavata e affetta dal vizio
sarebbe irrilevante perché, non esperito l’obbligo di composizione
interpretativa, il giudice non saprebbe ancora se essa avrà o meno un ruolo
nella risoluzione del giudizio principale131.
Lo stesso vale nel caso in cui la disposizione sia suscettibile di esprimere più
significati e almeno uno conforme a Costituzione. Il nesso tra il criterio di
In questo senso, A. RAUTI, L'interpretazione adeguatrice come metacriterio
ermeneutico…,cit. pp. 505 e ss.
131
Non è, in realtà, ben chiaro se nella tesi appena riportata l'obbligo di interpretazione
conforme modifichi o assorbi completamente il giudizio sulla rilevanza. Nel primo caso,
l'onere richiesto al giudice non farebbe che rafforzare il rapporto fra giudici e giudizi
all'insegna di un uso “collaborativo” della Carta Costituzionale (la norma sarebbe addirittura
irrilevante se convive con altre ipotesi interpretative costituzionalmente compatibili). Nel
secondo caso, essendo l'onere ricompositivo necessariamente antecedente al giudizio di non
manifesta infondatezza, i due presupposti finirebbero per coincidere. Se la norma è rilevante,
solo se è l'unica possibilità interpretativa, allora la non manifesta infondatezza è già insita nel
giudizio di rilevanza. Abbiamo già visto come anche in F. MODUGNO, Riflessioni
interlocutorie…, cit., pp. 139 e ss., i due presupposti processuali finivano per coincidere, ma
con esiti diametralmente opposti. Lì la rilevanza assorbiva la non manifesta infondatezza in
un giudizio meramente ipotetico e – per di più – soggettivo attraverso il quale il giudice a
quo verificava la mera possibilità applicativa della norma, lasciando sempre aperte le porte
del giudizio di costituzionalità.
130
79
adeguamento a Costituzione e il presupposto della rilevanza sarebbe
ugualmente evidente132. Ove, infatti, il giudice riuscisse a ricavare una norma
sicuramente compatibile a Costituzione e applicabile al caso di specie, tutte le
altre norme risulterebbero irrilevanti e, con esse, le relative questioni di
legittimità costituzionale astrattamente configurabili.
Il grado di incisione che l’obbligo di interpretazione conforme apporta al
sistema di giustizia costituzionale diventa chiaro. Se il giudice deve ritenere
non applicabili le norme incompatibili con la Costituzione, il requisito della
rilevanza finisce per assorbire le valutazioni preliminari cui è chiamato il
giudice a quo, ma in senso ben diverso da quello proposto da altri133. La
reductio ad unum non è, invero, funzionale ad una compressione della fase
preliminare a vantaggio dell’accentramento delle competenze in capo alla
Corte134 ma, al contrario, ad un suo approfondimento. In questa prospettiva,
infatti, l’obbligo di risoluzione interpretativa dei contrasti fra legge e
Costituzione modifica lo schema del giudizio preliminare, accorpa
logicamente i presupposti processuali della questione di legittimità e sanziona
con l’irrilevanza il dubbio incardinato sulla norma che non rappresenti l’unica
soluzione interpretativa.
Non sono poche, poi, le voci che ritengono l’obbligo di interpretazione
132
A. RAUTI, L'interpretazione adeguatrice come metacriterio ermeneutico…, cit. pp. 506 e
ss.
133
134
F. MODUGNO, Riflessioni interlocutorie…, cit., pp. 139 e ss.
Così è, come già detto, per F. MODUGNO, ivi, pp. 62 e ss.
80
conforme – più esplicitamente – un vero e proprio presupposto logico della
questione di legittimità costituzionale che precede sia la valutazione sulla
rilevanza che quella sulla non manifesta infondatezza. In questa prospettiva si
dice «se l’interpretazione precede logicamente il momento dell’applicazione
(che pure la condiziona), la ricerca della soluzione conforme a Costituzione
dovrebbe situarsi in una fase che necessariamente precede la stessa
valutazione circa la non manifesta infondatezza».135 Prima di sollevare la
questione di legittimità, quindi, il giudice deve dimostrare di aver praticato le
strade consentite dall’uso dei suoi poteri interpretativi. Ma, «se resta convinto,
motivandolo, che l’interpretazione plausibile sia quella che determina dubbi di
costituzionalità, non può che rimettere la questione alla Corte, la quale a quel
punto, ove la motivazione sia adeguata, dovrà pronunciarsi nel merito. Se così
è, l’«interpretazione conforme» non si atteggia né a «terzo requisito» né ad
elemento in grado di travolgere il senso della valutazione di «non manifesta
infondatezza». Diviene momento, nell’ordinario
esercizio dei poteri
interpretativi del giudice, che logicamente precede, potendo fungere da
presupposto, le valutazioni sulla rilevanza e non manifesta infondatezza della
questione. Si spiegherebbe, così, la ragione per la quale il mancato tentativo di
interpretazione conforme condizioni la stessa ammissibilità della prospettata
questione: se il presupposto interpretativo poteva essere un altro, la stessa
valutazione sulla non manifesta infondatezza e/o sulla rilevanza ne risulta
135
M. RUOTOLO, Interpretazione conforme a Costituzione…, cit., pp. 6 e ss.
81
manifestamente inficiata».136 In altri termini, con la remissione della questione
di legittimità su una disposizione legislativa di cui non si sono saggiate tutte le
possibilità interpretative il giudice rinuncia al suo dovere di applicare la legge
al caso concreto e viola il divieto – insito nel carattere incidentale – sollevare
questioni d’interpretazione davanti ai giudici costituzionali. 137
3. Alla ricerca di un fondamento logico. I limiti dell’interpretazione
conforme.
La ricostruzione del tema in oggetto non può prescindere dalla individuazione
di un fondamento giuridico – o anche solo logico – al canone
dell’interpretazione conforme. Le diverse risposte all’interrogativo sulla ratio
che sostiene l’attività di adeguamento della legge alla Costituzione segnano,
infatti, il motivo di più evidente differenziazione all’interno degli orientamenti
già esaminati. In effetti, che l’obbligo di adeguamento alla Costituzione incida
sulla rilevanza o sulla non manifesta infondatezza, che preceda logicamente
entrambe o solo una delle valutazioni riservate al giudice a quo, cambia poco i
termini della questione138 e non ci richiede nemmeno una chiara opzione. In
tutti i casi, infatti, la sanzione che la Corte riserva all’omissione è quella della
M. RUOTOLO, Interpretazione conforme…., cit., p. 7 per il quale, solo definendo l'obbligo
di interpretazione conforme un presupposto logico e non un criterio di giudizio che
approfondisca il giudizio meramente delibatorio della non manifesta infondatezza, non si
incorre in critiche di incompatibilità con il sistema di giustizia costituzionale.
137
M. PERINI, L'interpretazione della legge alla luce della Costituzione fra Corte
Costituzionale ed autorità giudiziaria… cit., p. 44.
138
Sulla scarsa rilevanza della questione, R. BIN. L'applicazione diretta…, cit., pp. 4 e ss.
136
82
inammissibilità semplice o manifesta della questione di legittimità. Mentre ben
più rilevante, ai fini di una chiara presa di posizione sul tema
dell’interpretazione conforme e dei suoi limiti, risulta l’individuazione del
principio prescrittivo ad essa sotteso.
La dottrina più critica individua a fondamento del dovere di composizione
ermeneutica il principio di conservazione degli atti giuridici di cui all’art. 1367
del codice civile per cui «nel dubbio, il contratto o le singole clausole devono
interpretarsi nel senso in cui possono avere qualche effetto, anziché in quello
secondo cui non ne avrebbero alcuno»139. Sarebbe, appunto, questo il
fondamento, ma allo stesso tempo il limite del canone in questione. Il
principio suddetto, infatti, funziona perfettamente per gli atti di autonomia
privata in quanto « il significato non invalidante (…) scelto dal giudice rimane
fissato nel mondo del diritto nei confronti di tutti gli interessati. In
conseguenza della pronuncia del giudice, uno solo dei significati – quello che
consente all’atto di produrre validamente effetti – si impone con la forza della
sentenza su tutti gli altri: d’ora in poi gli interessati non potranno che intendere
il negozio o il provvedimento amministrativo in quell’unico senso. Non così
per gli atti ad effetti generali come, in genere, le leggi e gli atti aventi forza di
legge»140. In questa prospettiva, il fondamento coincide – come detto – con il
limite all’attività stessa.
139
140
E' questa l'idea di A. PACE, I limiti dell'interpretazione adeguatrice, cit., pp. 1070 e ss.
A. PACE, ivi, p. 1071.
83
La possibilità di orientare il processo interpretativo a Costituzione sarebbe
possibile, infatti, solo ove la decisione – della Corte così come del giudice
comune
–
avesse
efficacia
erga
omnes.
I
limiti
che
il
canone
dell’interpretazione conforme incontra sarebbero, quindi, intrinseci perché
corrispondono agli stessi confini tracciati per l’applicabilità del principio che
lo sostiene, ma non solo, riguarderebbero indifferentemente sia le decisioni
della Corte Costituzionale che quelle dei giudici comuni. La critica risulta,
quindi, radicale e risolutiva se si afferma «a meno che non possa essere data
una interpretazione vincolante in senso conforme a Costituzione – gli atti
devono, nell’effettivo dubbio sulla loro legittimità, essere dichiarati
incostituzionali»141. In assenza di un’estensione erga omnes degli effetti della
decisione ricompositiva, «l’interpretazione della conformità delle leggi a
Costituzione va condotta tanto dal Giudice del processo principale che dalla
Corte Costituzionale non al fine di adeguare la disposizione alla Costituzione,
ma al fine di rilevarne l’incompatibilità»142.
La stessa idea, suggerita da esigenze di certezza del diritto e di uniformità
delle soluzioni giudiziali, è sostenuta da altra dottrina, ma con effetti meno
A. PACE, ivi, p. 1073, per il quale «i criteri interpretativi della Corte e del giudice del
processo principale si parificano in pieno e l'obbligo di sollevare la questione di
costituzionalità non appena essa si palesi non manifestamente infondata, più che intendere un
espediente per restringere la competenza interpretativa del Giudice a quo a vantaggio di
quella della Corte , viene a esternare l'esistenza di una più generale e immanente regola di
giudizio … ».
142
Ibidem. La durezza della critica di Alessandro Pace è rinvenibile, tuttavia, in altri lavori
più recenti. Ci si riferisce al contributo di M. LUCIANI, Le funzioni sistemiche della Corte
Costituzionale, oggi, e l'interpretazione “conforme a”, in www.federalismi.it, 2007 in cui
l'Autore sostiene l'incompatibilità dell' attività di adeguamento interpretativo della legge a
Costituzione con il carattere accentrato di giustizia costituzionale italiano.
141
84
restrittivi di quelli appena esposti143. L’aggancio al principio di matrice
civilistica
risulterebbe,
infatti,
l’unico
fondamento
possibile,
stante
l’inesistenza di una regola organizzativa che imponga di preferire la funzione
interpretativa delle norme costituzionali a quella invalidante. La via della
prevenzione del conflitto di gerarchia fra legge e Costituzione sulla base di un
principio di conservazione degli effetti rimarrebbe, tuttavia, percorribile solo
nel caso in cui il significato della norma–parametro fosse univoco e vi fosse
un orientamento giurisprudenziale uniforme sulla disposizione impugnata144.
Per altri ancora, invece, il fondamento dell’interpretazione conforme risiede in
un principio di presunzione di legittimità costituzionale delle leggi145. Sono
queste le posizioni più propense all’accentuazione del rapporto di
collaborazione fra giudici e Corte Costituzionale e all’utilizzo giudiziale delle
disposizioni costituzionali146. La validità della legge fino a prova contraria
sottende, infatti, l’idea che «la dichiarazione di incostituzionalità pura e
semplice non può che essere una extrema ratio, ove non sia possibile
G. SORRENTI, L'interpretazione conforme a Costituzione, cit., p. 143.
Ibidem, la quale sostiene di far propria la terza via indicata da C. LAVAGNA in Problemi di
giustizia costituzionale, cit., p. 530 e ss., ma finisce per muovere una critica ben più solida al
canone di interpretazione conforme, intrecciando il tema con quello dell'uso giudiziale dei
principi costituzionali la cui “apertura” impedisce soluzioni univoche. Denuncia, infatti, la
possibilità di "più" interpretazioni conformi alla stregua di una stessa disposizione
costituzionale e il pericolo di una compressione delle istanze di certezza giuridica e di
uniformità giurisprudenziale.
145
M. RUOTOLO, Interpretazione conforme e tecniche decisorie…, cit., pp. 14 e ss.
146
M. RUOTOLO, ivi, p. 5, che rileva l'opportunità di una valorizzazione della prassi
dell'interpretazione conforme «nella misura in cui a ciò equivalga una maggiore
consapevolezza da parte dei giudici circa la possibilità di applicare direttamente la
Costituzione, quando ciò sia tecnicamente possibile, sia per colmare le lacune
dell’ordinamento – come accaduto, ad esempio, in occasione del recente caso Englaro – sia
per interpretare le leggi secondo i dettami da essa desumibili.
143
144
85
“salvaguardare la legge” per il tramite di interpretazioni o “manipolazioni”
perché non lo consente la giurisprudenza “vivente” o la “lettera” della
disposizione pur riguardata sistematicamente, alla luce della ratio che l’ha
ispirata»147.
Nella stessa direzione e, per la definizione di un modello di giudizio
costituzionale collaborativo148, si collocano poi quelle posizioni che escludono
– in questa fase – l’operatività del criterio gerarchico e che ricostruiscono
l’obbligo di interpretazione conforme come una species del genus
dell’interpretazione sistematica149, fondando lo stesso su un principio di
M. RUOTOLO, ivi, p. 15. Ma in questo senso, anche G. ZAGREBELSKY , La legge e la sua
giustizia…, cit., pp. 257 e ss., per il quale «il “fallimento dell’interpretazione” si ha quando
non è possibile trovare nell’ordinamento, così com’è, una norma idonea a rispondere alle
aspettative costituzionali di regolazione del caso». In questo senso, «l’incostituzionalità è il
fallimento dell’interpretazione e la dichiarazione di incostituzionalità è in funzione del
successo dell’interpretazione. La giurisdizione costituzionale sulle leggi appare così nella sua
luce essenzialmente interpretativa, come funzione di soccorso all’interpretazione, quando
essa sia impigliata in norme inadeguate, dalle quali occorre liberarla».
148
Parla di modello accentrato–collaborativo, E. LAMARQUE, Corte Costituzionale e giudici
nell'Italia repubblicana, Laterza, 2012, ma già precedentemente E. LAMARQUE, Prove
generali di un sindacato di costituzionalità accentrato–collaborativo, in Scritti in onore di F.
Modugno, vol. III, Napoli, 2011, pp. 1843 e ss.
149
Per interpretazione sistematica si intende, invero, non una singola tecnica ermeneutica,
bensì «un’intera famiglia di tecniche diverse» (G. GUASTINI, L’interpretazione dei
documenti normativi, cit., p. 167, anche P. CHIASSONI, La giurisprudenza civile. Metodi
d’interpretazione e tecniche argomentative, Milano, 1999, pp. 597 e ss.) che fanno
riferimento al contesto, al principio di coerenza e quello di congruenza. L’interpretazione
sistematica permette, quindi, di attribuire ad una disposizione in significato alla luce della
sua collocazione nel sistema. Nonostante sembri un argomento interpretativo antitetico a
quello cd letterale, si condivide l’idea di una piena compatibilità, se non strumentalità, in
questo senso, E. DICIOTTI, Interpretazione della legge e discorso razionale, Torino, 1999, p.
303, per cui «in un documento, il significato letterale di ogni singolo enunciato dipende dal
significato degli altri enunciati che lo precedono e che lo seguono. Tenendo conto di questo
aspetto, si può affermare che questo principio legittima anche alcune operazioni che vengono
comunemente fatte rientrare nel metodo sistematico dell’interpretazione». Detto in altri
termini, l’interpretazione letterale e quella sistematica si caratterizzano per differenti, ma non
contrapposte, peculiarità del medesimo procedimento di significazione: «con la locuzione
“interpretazione letterale” s’insiste maggiormente sul requisito (metodologico) della
testualità (del ricorso cioè a soli elementi testuali) del processo di significazione, nonché
147
86
coerenza ordinamentale150. L’orientamento si differenzia, però, al suo interno.
Per alcuni, l’interpretazione conforme a Costituzione non sarebbe applicazione
di un criterio di gerarchia formale, ma solo assiologica151. Il giudice sarebbe,
infatti, gravato di un onere di delibazione preliminare più ampio, non in
quanto imposto da una relazione di validità/invalidità fra le norme in
contrasto, ma solo da una relazione di valore. Cosa, però, voglia dire
esattamente questa relazione assiologica, non è ben chiaro e, soprattutto, è
suscettibile di facili fraintendimenti152. Del resto, se l’obiettivo è quello di
assicurare unità e coerenza153 dell’ordinamento, sembra più logico – oltre che
agevole – riferirsi all’interpretazione conforme come ad uno strumento
della primaria e (pregiudiziale) insistenza di quest’ultimo su uno specifico enunciato
normativo; con l’espressione “interpretazione sistematica”, invece, si sottolinea il requisito
(metodologico) di un’adeguata considerazione del contesto (documentale ed ordinamentale),
nelle rispettive misure e nel medesimo procedimento» (A. VIGNUDELLI, Interpretazione e
Costituzione, Torino, 2011, p. 246).
150
R. BIN, L’applicazione diretta della Costituzione…,cit., pp. 4 e ss.; O. CHESSA, Non
manifesta infondatezza vs interpretazione conforme…, cit., pp. 266 e ss.; A. RUGGERI, Alla
ricerca del fondamento dell’interpretazione conforme…cit., pp. 398 e ss.; A. LONGO, Spunti
di riflessione sul problema teorico dell’interpretazione, in www.giurcost.org.
151
In questo senso, G. PISTORIO, Interpretazioni e giudici…, cit., pp. 17 e ss., la quale
esclude che l’attività di interpretazione conforme chiami in una causa la relazione gerarchica
cd formale «che produce l’illegittimità o l’invalidità delle norme inferiori qualora contrastino
con le norme superiori». Anche Guastini sostiene come sia « diverso, invece, il concetto di
gerarchia sotteso all’interpretazione adeguatrice, dal momento che gli operatori giuridici –
siano essi giudici, funzionari della pubblica amministrazione – ricorrono ad essa non per
constatare la validità o l’invalidità delle norme– non rientrando, di regola, tale potere
nell’esercizio delle proprie competenze– quanto piuttosto ad escludere tale alternativa nel
senso della validità». R. GUASTINI, L’illegittimità delle disposizioni e delle norme, in P.
COMANDUCCI, R. GUASTINI (a cura di), Analisi e diritto 1992. Ricerche di giurisprudenza
analitica, Torino, 1992. p. 19 .
152
Infatti, per G. PISTORIO, Interpretazioni e giudici…,cit., p. 25 «l’interpretazione conforme
consente di sanare, attraverso una vera e propria finzione, un atto invalido», laddove è
escluso – questo sì – che della categoria della validità/invalidità possa disporne il giudice
comune.
153
Per una relazione tra composizione ermeneutica e coerenza dell’ordinamento, ex
plurimis, G. ZAGREBELSKY, Manuale di diritto costituzionale. I. Il sistema delle fonti del
diritto, Torino, 1991, pp. 75 e ss.
87
funzionale alla realizzazione di un sistema normativo ampio che comprenda –
trasversalmente – più livelli gerarchici154. Interpretare una disposizione sulla
base di un’altra – si dice – «significa eseguire un’interpretazione sistematica,
cioè costruire una norma che sia compatibile con entrambe: non c’è gerarchia
nel momento della “saldatura”».155 L’estromissione del concetto di validità – e
addirittura di quello di conformità156– nell’attività di composizione condotta
dal giudice ordinario permette, poi, di escludere che «vi sia unidirezionalità e
gerarchia nel momento in cui si combinano le disposizioni, rectius: gli
elementi normativi delle disposizioni per dare vita ad una nuova norma157».
Ancora: «L’adeguamento della legge alla costituzione, e quindi la dimensione
propriamente gerarchica, non si realizza nel momento interpretativo della
“saldatura” (perché qui c’è piuttosto un reciproco adeguarsi), ma nel momento
in cui si deve stabilire che cosa rimuovere per rendere nuovamente possibile
una “saldatura interrotta”. La gerarchia si affaccia, dunque, quando il giudice
rileva la non manifesta infondatezza della questione di legittimità
Il ricorso al criterio cd sistematico ha il merito di avvalorare la tesi per cui «la teoria
dell'interpretazione conforme opera nel senso di integrare la Costituzione nel tessuto
normativo che il giudice di merito deve organizzare per accreditare la “regola del caso”» e di conseguenza - una certa idea dei rapporti fra legge e fonte superiore, in questo senso, R.
BIN, L'applicazione diretta della Costituzione…, cit., pp. 4 e ss.
155
In questi termini, O. CHESSA, Drittwirkung…, cit., p. 425.
156
Come già visto, Chessa suggerisce di abbandonare la stessa dizione “interpretazione
conforme”, insieme alla contestata tripartizione delle funzioni delle disposizioni
costituzionali e, infatti, dice «in questi casi, il ragionamento decisorio del giudice non
consiste tanto nell'interpretare disposizioni legislative in senso conforme a costituzione,
quanto nell'elaborare una “nuova” norma – nuova cioè rispetto a quelle che si ricavano dai
distinti elenchi di interpretazioni possibili delle due disposizioni A e B – che si ponga come
punto di confluenza tra le due disposizioni e come condizione della loro reciproca
compatibilità». Ibidem.
157
Ibidem.
154
88
costituzionale»158. Ma la ricostruzione si ritiene sostenibile prima ancora che
l’obbligo fosse impresso dalla giurisprudenza costituzionale. Si dice, infatti,
che può ben farsi rientrare nelle regole deontologiche la doverosa attività di
composizione ad unità del sistema delle fonti e, quindi, affermare che «nel
lavoro di interpretazione i testi vengono sottoposti ad analisi prima di
verificare se essi stiano su – cioè siano posti da atti appartenenti a – piani
gerarchici diversi: il criterio gerarchico può trovare applicazione solo in
seguito, quando ci si trovi a non poter conciliare il significato che quei testi
esprimono e quindi bisognerà disporre di un criterio con il quale selezionare la
norma da preferire».159 Ovviamente, il presupposto logico è che le disposizioni
costituzionali entrino a far parte di quel sistema, pur mantenendone la formale
prevalenza160.
Non vi è, poi, dubbio che la declinazione del canone di interpretazione
conforme come canone di interpretazione sistematica possa finire per avallare
Ibidem.
R. BIN, L'applicazione diretta della Costituzione…, cit., p. 4 e ss., per il quale «va
riconosciuto che il testo costituzionale è pienamente “atto normativo” che si affianca al resto
del “materiale” da interpretare, pur mantenendo la potenziale caratteristica della prevalenza
in caso di accertato e ineliminabile conflitto. Le conseguenze sono importanti: non solo si
giustifica così che il giudice proceda all'interpretazione sistematica e adeguatrice della legge,
rinunciando a sollevare un’eccezione che sarebbe altrimenti priva dei requisiti, al tempo
stesso, della rilevanza e della non manifesta infondatezza, ma si spiega anche perché il
giudice non deve trascurare i precedenti giurisprudenziali e debba tener conto invece del
“diritto vivente”».
160
Che la coerenza dell'ordinamento debba essere ricercata anche sul piano costituzionale, in
questo senso, L. PALADIN, Le fonti del diritto italiano, Bologna, 1996, p. 105 ss. Per un
concetto ampio di “sistema”, che ricomprende anche le fonti internazionali e per la suggerita
applicazione del criterio sistematico, da ultimo, A. RUGGERI, Costituzione e CEDU, alla
sofferta ricerca dei modi con cui comporsi in “sistema”, in www.giurcost.org, 2012, il quale
propone una ricostruzione assiologica–sostanziale dei rapporti fra Costituzione e Carte sui
diritti che si rifà ad una nozione di sistema costituzionale evidentemente allargato, e nella sua
declinazione di criterio sistematico–evolutivo.
158
159
89
soluzioni più lontane dalla lettera della legge161, ma questo è un falso
problema, ovvero
riguarda l’interpretazione conforme non più di altre
operazioni interpretative162. Del resto c’è uniformità nel ritenere che «che il
significato di una disposizione non può essere ampliato senza riscontri nel
contesto normativo»163. Il criterio di interpretazione conforme o sistematico
può contribuire, infatti, «a selezionare il significato da attribuire in preferenza
alla disposizione, anche determinando una “torsione” di quello che si
presumeva essere il senso più immediato o meglio il suo “significato iniziale”.
Ma quel “nuovo” significato, quella soluzione ermeneutica, deve pur reggere
alla prova della “lettera”, alla quale si deve tornare per verificare che
l’allontanamento dalla stessa (dal “significato iniziale”) non si sia tradotto in
un suo travalicamento (come accadrebbe ove il “nuovo significato” non trovi
Per l'individuazione di alcuni casi di eccesso di interpretazione conforme, M. R UOTOLO,
Oltre i confini dell’interpretazione costituzionalmente conforme? A proposito della
pronuncia della Cassazione sulla presunzione di adeguatezza della custodia cautelare in
carcere per il delitto di violenza sessuale di gruppo, in www.rivistaaic.it, n. 2, 2012.
162
In questo senso si ritiene non adottabile l’angolo visuale di G. SORRENTI,
L'interpretazione conforme…, cit. pp. 57 e ss.. Non che quello dell'interpretazione conforme
non sia anche un problema di interpretazione, ma che non lo sia più di altri. L'inquadramento
del tema da quel punto di vista non può che viziare l'indagine, altrimenti risolvibile
assumendo una certa posizione sulla funzione della Costituzione e sulla funzione della
questione di legittimità costituzionale. L'argomento usato dalla dottrina più critica, per
esempio Sorrenti, è un argomento che, come si dice, prova troppo. Se il giudice deve ridurre
al minimo la sua attività di ricomposizione ermeneutica perché l'utilizzo di parametri
costituzionali dilata eccessivamente la discrezionalità nella risoluzione della controversia,
allora si deve desumere che il giudice comune non possa, del pari, condurre operazioni di
bilanciamento nel caso concreto, né usare parametri di ragionevolezza e di uguaglianza
nell'esercizio della sua funzione di giustizia. Sul bilanciamento in concreto operato dal
giudice ordinario, cfr. R. BIN, Diritti e argomenti. Il bilanciamento degli interessi nella
giurisprudenza costituzionale. Milano, 1992, pp. 120 e ss. Sulla piena disponibilità del
canone della ragionevolezza da parte dei giudici comuni, A. D'ANDREA, Ragionevolezza e
legittimazione del sistema, Milano, 2005. Contra, A. MORRONE, Il custode della
ragionevolezza, Milano, 2001.
163
M. RUOTOLO, Oltre i confini dell’interpretazione…, cit., p. 17.
161
90
fondamento alcuno nell’enunciato oggetto di interpretazione)»164 e, in tali casi,
non vi è dubbio sull’obbligo di sollevare la questione di legittimità da parte del
giudice165.
4. L’obbligo
di
interpretazione
conforme
nella
giurisprudenza
costituzionale nel biennio 2011–2012
L’inquadramento teorico dell’interpretazione conforme, il suo rapporto con i
presupposti processuali della questione di legittimità costituzionale e,
ovviamente, la ricostruzione del suo fondamento logico, non può che trovare
conforto nell’analisi giurisprudenziale. Il modo in cui la Corte censura il
mancato sforzo ricompositivo, lo strumento processuale prescelto e la relativa
motivazione rappresenta, infatti, un banco di prova particolarmente utile per
verificare la resistenza delle tesi esposte in dottrina.
L’analisi delle risposte che il giudice costituzionale offre al mancato rispetto
dell’obbligo di interpretazione conforme permette, poi, di approntare un
manuale pratico esaustivo a disposizione dei giudici ordinari.
M. RUOTOLO, ivi p. 18.
Il punto incontra consenso unanime, in questo senso, infatti, pur nella diversità di
posizioni, R. BIN, L’applicazione diretta…, cit., pp. 215 e ss., G. SORRENTI,
L’interpretazione conforme…, cit., pp. 118 e ss., spec. pp. 172 e ss., e 286 e ss., M.
LUCIANI, Le funzioni sistemiche…, cit. par. 5.1.
164
165
91
Nel 2011, la Corte pronuncia 13 ordinanze di inammissibilità per omessa
interpretazione conforme ( ord. nn. 15, 101, 103, 137, 139, 167, 173, 212, 222,
266, 270, 287), 2 ordinanze di manifesta infondatezza rispettivamente per
erroneo presupposto interpretativo e per omessa interpretazione conforme (
ord. mn. 270 e 173), 3 sentenze di non fondatezza della questione nei sensi di
cui in motivazione ( sentt. nn. 49, 83, 248).
Con l’ordinanza n. 15 del 2011 la Corte dichiara la manifesta inammissibilità
della questione di legittimità costituzionale per aver «il giudice a quo,
analogamente ai precedenti remittenti(…) omesso di esplorare altre possibilità
interpretative e, dopo aver effettuato la propria opzione ermeneutica, ha
ipotizzato diverse letture della norma (… ) le quali però trascurano del tutto la
sussistenza di un non irragionevole, diverso, dato giurisprudenziale, per
affermare la unicità della interpretazione sottoposta al giudizio di questa
Corte».
Con l’ordinanza n. 101 dichiara la manifesta inammissibilità della questione di
legittimità costituzionale in quanto «il rimettente si sottrae al dovere di
sperimentare la praticabilità di diverse interpretazioni idonee a sottrarre la
norma censurata dai sollevati dubbi di costituzionalità, omettendo altresì di
motivare adeguatamente in ordine al motivo della ritenuta impossibilità di dare
della norma medesima una lettura idonea a superare tali dubbi, pur in presenza
di altra opzione ermeneutica su cui viene fondata l’applicabilità della
disposizione stessa nel senso da lui auspicato». Con l’ordinanza n. 103
92
dichiara
la
manifesta
inammissibilità della questione di legittimità
costituzionale, in quanto il giudice avrebbe mancato di «tentare di
sperimentare diverse interpretazioni idonee a preservare la norma stessa dai
sollevati profili di denunciata incostituzionalità, omettendo di motivare
adeguatamente in ordine alla impossibilità di dare di essa una lettura idonea a
superare tali dubbi (ordinanze n. 15 del 2011 e n. 322 del 2010)».
Con l’ordinanza n. 137, dichiara la manifesta inammissibilità della questione
di legittimità a causa della «omessa motivazione sulla rilevanza della
questione (ordinanze n. 201 del 2009; n. 441 del 2008), essendosi limitato il
rimettente ad affermarla apoditticamente». Con l’ordinanza n. 309 dichiara la
manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale a causa
della «mancata sperimentazione da parte del rimettente di una (pur doverosa)
interpretazione della norma impugnata che la ponga al riparo dai prospettati
dubbi di legittimità costituzionale». Così facendo, la Corte rileva che
«attraverso il richiesto vaglio di costituzionalità, il giudizio incidentale venga
nella specie utilizzato in modo assolutamente distorto (ordinanze n. 363 e n.
322 del 2010), in quanto diretto del tutto impropriamente ad ottenere dalla
Corte un avallo della interpretazione già ritenuta dal rimettente come
preferibile e costituzionalmente adeguata, nonché già applicata anche dal
medesimo Tribunale (e dal medesimo giudice)».
Con l’ordinanza n. 212 dichiara la manifesta inammissibilità della questione di
legittimità costituzionale in quanto « la Commissione tributaria regionale
93
rimettente (…) non s’è fatta carico d’individuare, alla luce delle statuizioni
della giurisprudenza costituzionale e di legittimità(…) un’interpretazione della
norma censurata idonea a superare i dubbi di costituzionalità, in ossequio al
principio secondo cui una disposizione di legge può essere dichiarata
costituzionalmente illegittima solo quando non sia possibile attribuirle un
significato che la renda conforme a Costituzione».
Con l’ordinanza n. 222 dichiara la manifesta inammissibilità della questione di
legittimità costituzionale «in quanto il remittente non ha preso in
considerazione altro orientamento della stessa giurisprudenza amministrativa,
a prescindere dal costituire o meno lo stesso diritto vivente, così omettendo di
esplorare la possibilità di pervenire, in via interpretativa, alla soluzione che
egli ritiene conforme a Costituzione». Con l’ordinanza n. 287, dichiara la
manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale per «la
mancata verifica preliminare – da parte del giudice a quo, nell’esercizio del
potere ermeneutico riconosciutogli dalla legge – della praticabilità di una
soluzione interpretativa diversa da quella posta a base del dubbio di
costituzionalità prospettato, e tale da renderlo irrilevante nella specie,
comporta – in conformità alla costante giurisprudenza di questa Corte –
l’inammissibilità della questione sollevata».
Con l’ordinanza n.167 dichiara la manifesta infondatezza della questione di
legittimità costituzionale «in quanto le censure prospettate, in relazione a tutti i
parametri costituzionali evocati, muovono, per le ragioni esposte, da un
94
presupposto
interpretativo
manifestamente
infondata
erroneo».
la
Con
questione
di
ordinanza
legittimità
266
dichiara
costituzionale
«esclusivamente sulla base di tale palese erronea prospettiva ermeneutica».
Con l’ordinanza n. 270 dichiara la manifesta infondatezza della questione di
legittimità costituzionale in quanto «a prescindere dall’omessa formulazione di
un petitum specifico e dall’erronea valutazione sulla rilevanza, formulata con
riguardo ad una norma ipotetica (…) il rimettente prende le mosse da un
presupposto interpretativo erroneo». Con l’ordinanza n. 173 dichiara la
manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale, in
quanto nonostante «il giudice a quo contesta l’interpretazione adeguatrice
fornita dal giudice di prima istanza», perché contrastante con il «senso
letterale» della disposizione impugnata. Per la Corte, « la motivazione addotta
dal giudice rimettente in ordine alla rilevanza della questione risulta fondata su
una interpretazione della norma censurata diversa da quella fornita dalla
prevalente giurisprudenza ordinaria e amministrativa».
Con l’ordinanza n. 172 dichiara la manifesta inammissibilità delle questioni di
legittimità costituzionale in quanto il rimettente ha «omesso di ricercare
un’interpretazione
costituzionalmente
orientata
della
disposizione
denunciata», nonostante- dicono i giudici- interpretazione confortata da
disposizioni legislative.
Con la sentenza n. 49, la Corte preliminarmente rigetta l’eccezione di
95
inammissibilità della questione sollevata «sulla base dell’assunto secondo il
quale il giudice rimettente più che esporre un reale dubbio di costituzionalità
ricerca, da parte di questa Corte, un improprio avallo alla interpretazione da lui
in passato seguita e, ora, sconfessata dal giudice del gravame». Per la Corte,
«il TAR del Lazio, pur avendo riferito i profili della propria precedente
posizione, si dà carico del fatto che essa è stata motivatamente disattesa sia dal
Consiglio di giustizia amministrativa della Regione siciliana (sentenza n. 1048
del 2007), sia dallo stesso Consiglio di Stato (sentenza n. 5782 del 2008), il
quale, pur ritenendola l’unica possibile, si pone peraltro in termini
problematici
rispetto
alla
compatibilità
costituzionale
della
propria
interpretazione. Pertanto, di fronte alla opposta tesi, argomentatamente
sostenuta dal giudice del gravame, che è, riguardo al caso, anche giudice di
ultima istanza di merito (la cui decisione non è più scalfibile neppure a seguito
di ricorso ex ultimo comma dell’art. 111 Cost. ove ricorra un’ipotesi di carenza
assoluta di giurisdizione), non restava al rimettente, proprio in quanto aderiva
all’interpretazione del Consiglio di Stato, che sollevare il presente dubbio di
costituzionalità, in tal senso portando a compimento l’iter esegetico
lumeggiato dallo stesso Consiglio di Stato». Nel merito, dichiara non fondata
la questione nei sensi di cui in motivazione.
Con la sentenza n. 83 del 2011, dichiara preliminarmente infondata
l’eccezione di inammissibilità della questione in quanto « la rimettente ha
richiamato un orientamento della giurisprudenza di legittimità, ritenuto
96
consolidato» … «Così argomentando la Corte di appello, in modo implicito,
ma chiaro, ha ritenuto non praticabile una interpretazione conforme a
Costituzione e, quindi, è giunta alla conclusione che fosse necessario sollevare
la presente questione di legittimità costituzionale». Nel merito, la questione è
dichiarata non fondata nei sensi di cui in motivazione.
Con la sentenza n. 248 la Corte dichiara «come sia possibile, nella specie,
pervenire ad un’interpretazione sistematica della disposizione censurata» …
«diversamente, infatti, da quanto ipotizza il giudice a quo, nulla osta a tale
interpretazione: non la formulazione letterale della disposizione censurata
(…), né la sua collocazione sistematica (…).Così ricostruito il contenuto della
norma in esame, la censura non è fondata166.
Nel 2012 la Corte pronuncia dieci ordinanze di inammissibilità per omessa
interpretazione conforme (ord. nn. 26, 44, 102, 125, 146, 181, 194, 254, 255,
304), un’ordinanza di restituzione degli atti (ord. n. 150) e una sentenza di non
fondatezza nei sensi di cui in motivazione (sent. n. 109), una sentenza di
inammissibilità ( sent. n. 58). Con l’ordinanza n. 26 la Corte dichiara la
Per un commento alla sentenza, S. PARISI, Se la legge statale è il fondamento positivo dei
provvedimenti regionali... e un atto di Soft law ne preorienta i contenuti, in
www.forumcostituzionale.it, p. 7 la quale rileva che «La Corte censura la “cattiva”
interpretazione sistematica del giudice a quo. Questo punto non sembra controvertibile:
infatti, nell’ordinanza di rimessione, il giudice è molto esplicito nel negare la possibilità,
nella specie, di un’interpretazione sistematica tale da individuare negli accordi la fonte in
grado di preorientare i contenuti del potere autorizzatorio regionale, mentre la Corte
smentisce puntualmente una simile ricostruzione. Sotto questo versante, la pronuncia è
un’interpretativa di rigetto che si muove contro il trend consolidato di questi anni, in
prevalenza guidato da un self restraint della Corte. Proprio perché si tratta di una “cattiva” e
non un’ “omessa” interpretazione conforme a Costituzione (sub specie di interpretazione
sistematica), la Corte rispolvera la tecnica decisoria dell’interpretativa di rigetto, scegliendo
di non tenere una condotta interpretativa “minimale”».
166
97
manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale in
quanto «la prospettata questione risulta viziata da una non compiuta
sperimentazione da parte del rimettente stesso del doveroso tentativo di dare
una interpretazione costituzionalmente conforme delle norme impugnate
(ordinanze n. 101, n. 103 e n. 212 del 2011), sembrando piuttosto che egli
cerchi di utilizzare in modo improprio e distorto l’incidente di costituzionalità,
nel tentativo di ottenere dalla Corte un avallo interpretativo (ordinanza n. 139
del 2011)».
Con l’ordinanza n. 44 dichiara la manifesta inammissibilità in quanto «il
rimettente ha omesso, tuttavia, di verificare la praticabilità di una diversa
interpretazione della norma censurata, atta a superare il dubbio di
costituzionalità prospettato».
Con l’ordinanza n. 102 dichiara la manifesta inammissibilità della questione di
legittimità costituzionale a causa del
«mancato esperimento da parte del
collegio del doveroso tentativo di attribuire alle norme una interpretazione
conforme a Costituzione (ordinanze n. 212, n. 103 e n. 101 del 2011)». Con
l’ordinanza n. 146 dichiara la manifesta inammissibilità «per omessa
sperimentazione di un’interpretazione costituzionalmente orientata della
norma censurata». Con l’ordinanza n. 125 dichiara non fondata l’eccezione di
inammissibilità formulata dall’Avvocatura generale dello Stato, sostenendo
che il giudice a quo non avrebbe verificato la «possibilità di pervenire a
un’interpretazione delle norme impugnate conforme a Costituzione», poiché il
98
TAR ha implicitamente, ma chiaramente indicato gli argomenti che
impedirebbero di offrire un’interpretazione del citato art. 1-ter, comma 13,
lettera c), in grado di renderlo immune dalle censure proposte.
Con l’ordinanza n. 150 la Corte dispone la restituzione degli atti al giudice
remittente nei giudizi di legittimità costituzionale degli articoli 4, comma 3, 9,
commi 1 e 3, e 12, comma 1, della legge 19 febbraio 2004, n. 40 (Norme in
materia di procreazione medicalmente assistita), promossi dal Tribunale
ordinario di Firenze con ordinanza del 6 settembre 2010, dal Tribunale
ordinario di Catania con ordinanza del 21 ottobre 2010 e dal Tribunale
ordinario di Milano con ordinanza del 2 febbraio 2011. L’ordinanza merita
specifica attenzione, non solo perché coinvolge un tema di particolare
interesse167, ma perché mette in campo l’intreccio tra interpretazione conforme
a Costituzione e interpretazione conforme alla Convenzione europea dei diritti
dell’uomo168. L’ ordinanza di restituzione degli atti al giudice, in luogo della
Sulla procreazione medicalmente assistita, A. D’ALOIA, Norme, giustizia, diritti nel
tempo delle biotecnologie: note introduttive, in AA.VV., Biotecnologie e valori
costituzionali. Il contributo della giustizia costituzionale, Atti del seminario di Parma
svoltosi il 19 marzo 2004, a cura di A. D’ALOIA, Torino, 2005. Per un approccio
comparativo, AA.VV. La fecondazione assistita nel diritto comparato, a cura di C.
CASONATO, T. E. FROSINI, Torino, 2006.
168
Sui rapporti fra Costituzione e Cedu, L. CAPPUCCIO, La Corte costituzionale interviene
sui rapporti tra convenzione europea dei diritti dell’uomo e Costituzione, in Foro it. 2008,
p.47 e, più di recente, Luces y sombras en la relación entre la corte constitucional italiana y
el tribunal europeo de derechos humanos, in www.federalismi.it. n. 22/2012; T. E. FROSINI,
Sui rapporti fra Corte EDU e Costituzione italiana, in Scritti in onore di Alessandro Pace,
Editoriale Scientifica, Napoli, 2012, III, pp. 2063 ss. Espressamente sul profilo
dell’interpretazione convenzionalmente compatibile, P. GAETA, Dell’interpretazione
conforme alla C.e.d.u.: ovvero, la ricombinazione genica del processo penale, in
www.penalecontemporaneo.it; A. GUAZZAROTTI, Interpretazione conforme alla Cedu e
proporzionalità e adeguatezza: il diritto di proprietà in AA. V.V, Interpretazione conforme e
tecniche argomentative, cit. p. 161 e ss. e nello stesso volume si vedano i contributi di E.
167
99
consueta ordinanza di inammissibilità semplice o manifesta, è motivata dalla
Corte in considerazione al fatto che «successivamente a tutte le ordinanze di
rimessione, la Grande Camera della Corte di Strasburgo – alla quale, ai sensi
dell’art. 43 della CEDU, è stato deferito il caso deciso dalla Prima Sezione –
con la sentenza del 3 novembre 2011, S.H. e altri c. Austria, si è pronunciata
diversamente sul principio enunciato con la sentenza richiamata dai rimettenti
per identificare il contenuto delle norme della CEDU ritenute lese dalle
disposizioni censurate». La pronuncia con cui la Grande Camera interviene
sulla legislazione austriaca impone, per i giudici costituzionali, una
riconsiderazione dei termini della questio legittimitatis, in quanto non rileva
una violazione del margine di apprezzamento statale né per quanto riguarda il
divieto di donazione di ovuli ai fini della procreazione artificiale né per quanto
riguarda il divieto di donazione di sperma per la fecondazione in vitro ed in
quanto - a differenza della sentenza della prima Sezione - esclude la
denunciata violazione della tutela della vita familiare e privata ex art. 8 Cedu
(sentenza Corte Edu 3 novembre 2011 - Grande Camera - Ricorso 57813/00 S.H.e altri c. Austria)169.
La Corte ricorda che «la questione dell’eventuale contrasto della disposizione
interna con la norme della CEDU va risolta (…) in base al principio in virtù
MALFATTI, Attorno al modello di «interpretazione convenzionalmente conforme» e di
«verifica di costituzionalità della Cedu»; L. MONTANARI, Interpretazione conforme a
Convenzione europea dei diritti dell’uomo e canoni di proporzionalità e adeguatezza.
169
Per un commento, C. DI COSTANZO, Ancora sul margine di apprezzamento: frontiera
costituzionale o crinale giuridicamente indefinibile, in www.forumcostituzionale.it.
100
del quale il giudice comune, al fine di verificarne la sussistenza, deve avere
riguardo alle «norme della CEDU, come interpretate dalla Corte di
Strasburgo» (tra le molte, sentenza n. 236 del 2011, richiamando le sentenze n.
348 e n. 349 del 2007 e tutte le successive pronunce che hanno ribadito detto
orientamento), «specificamente istituita per dare ad esse interpretazione e
applicazione» (da ultimo, sentenza n. 78 del 2012), poiché il «contenuto della
Convenzione (e degli obblighi che da essa derivano) è essenzialmente quello
che si trae dalla giurisprudenza che nel corso degli anni essa ha elaborato»
(per tutte, sentenze n. 311 del 2009 e n. 236 del 2011), occorrendo rispettare
«la sostanza» di tale giurisprudenza, «con un margine di apprezzamento e di
adeguamento che le consenta di tener conto delle peculiarità dell’ordinamento
giuridico in cui la norma convenzionale è destinata a inserirsi» (ex plurimis,
sentenze n. 236 del 2011 e n. 317 del 2009), ferma la verifica, spettante a
questa Corte, della «compatibilità della norma alla CEDU, nell’interpretazione
del giudice cui tale compito è stato espressamente attribuito dagli Stati
membri, con le pertinenti norme della Costituzione» (sentenza n. 349 del
2007; analogamente, tra le più recenti, sentenze n. 113 e n. 303 del 2011)».
La restituzione degli atti al giudice a quo, affinché questi proceda ad un
rinnovato esame dei termini della questione, è
quindi dovuta «qualora
all’ordinanza di rimessione sopravvenga una modificazione della norma
costituzionale invocata come parametro di giudizio (tra le tante, ordinanze n.
14, n. 76, n. 96, n. 117, n. 165, n. 230 e n. 386 del 2002), ovvero della
101
disposizione che integra il parametro costituzionale (per tutte, ordinanze n.
516 del 2002 e n. 216 del 2003), oppure qualora il quadro normativo subisca
considerevoli modifiche, pur restando immutata la disposizione censurata (tra
le tante, ordinanza n. 378 del 2008)».
La diversa pronuncia della Grande Camera in ordine all’interpretazione
accolta dalla sentenza della Prima Sezione, espressamente richiamata dai
rimettenti – operata all’interno dello stesso giudizio nel quale è stata resa
quest’ultima pronuncia – incide sul significato delle norme convenzionali
considerate dai giudici a quibus e costituisce un novum che influisce
direttamente sulla questione di legittimità costituzionale così come proposta.
Con l’ordinanza n. 181 dichiara la manifesta inammissibilità della questione di
legittimità
costituzionale
in
quanto
il
giudice
avrebbe
disatteso
un’interpretazione conforme giù fatta propria dalla stessa Corte e dalla Corte
di Cassazione. Con l’ordinanza n. 194 dichiara la manifesta inammissibilità
della questione di legittimità costituzionale in quanto manca «nell’ordinanza
di rimessione ogni cenno al tentativo di ricercare un’interpretazione conforme
alla Costituzione, prima di sollevare la questione di legittimità (ex plurimis,
sentenze n. 301 del 2003 e n. 356 del 1996), essendosi limitato il giudice a quo
a richiamare una precedente affermazione di questa Corte», senza del resto
suffragare l’interpretazione sottesa al dubbio di legittimità con il riferimento
ad un indirizzo giurisprudenziale consolidato. Con l’ordinanza n. 254 dichiara
la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale in
102
quanto «risulta superata dalla successiva evoluzione della giurisprudenza, che
ha individuato un’interpretazione della norma censurata compatibile con i
principi evocati». Con l’ordinanza n. 255 dichiara la manifesta inammissibilità
della questione di legittimità costituzionale in quanto « il rimettente ha omesso
di prendere in considerazione – anche al solo fine di escluderne eventualmente
la praticabilità – la soluzione interpretativa da più parti prospettata proprio allo
scopo di superare i dubbi di legittimità costituzionale sollevati».
Con l’ordinanza n. 304 dichiara la manifesta inammissibilità della questione di
legittimità
costituzionale
in
quanto
l’argomentazione
del
rimettente
peccherebbe di apoditticità e «non appare idonea a sottrarre il rimettente dal
dovere di sperimentare la possibilità (…) di dare alla norma impugnata un
significato diverso, tale da renderla compatibile con gli evocati parametri
costituzionali (…), in ossequio al principio secondo cui una disposizione di
legge può essere dichiarata costituzionalmente illegittima solo quando non sia
possibile attribuirle un significato che la renda conforme a Costituzione
(ordinanza n. 212 del 2011)».
Con la sentenza n. 109, la Corte dichiara questione non fondata « perché la
disposizione impugnata può essere interpretata in modo da superare i
prospettati dubbi di legittimità costituzionale». Per la Corte « la lettera della
disposizione impugnata consente un’interpretazione diversa da quella accolta
dal rimettente», confortata da un precedente orientamento della stessa, oltre
che
della
Corte
di
Cassazione.
Dalla
riscontrata
possibilità
di
103
un’interpretazione conforme a Costituzione della disposizione denunciata
discende, dunque, la non fondatezza della questione.
Con la sentenza n. 58, la Corte dichiara inammissibile la questione di
legittimità costituzionale «perché il giudice rimettente non ha preso in
considerazione
la
possibilità
di
dare
alla
disposizione
censurata
un’interpretazione idonea a superare i prospettati dubbi di costituzionalità».
5. Interpretazione conforme e applicazione diretta della Costituzione: la
ricerca di una linea distintiva.
Spesso le posizioni critiche sostenute nei confronti dell’interpretazione
conforme sono sorrette dall’ansia definitoria rispetto all’uso diretto delle
disposizioni costituzionali,
rectius
rispetto all’uso delle disposizioni
costituzionali in assenza di previsioni legislative. I pericoli che parte della
dottrina denuncia in relazione all’interpretazione costituzionalmente orientata
della legge, vengono infatti percepiti come inaccettabili in assenza di una
mediazione legislativa tra il caso concreto e la disposizione costituzionale. Di
qui, la necessità di definire un ambito limitato e circoscritto di ipotesi in cui il
giudice può costruire la premessa maggiore del suo sillogismo giudiziale
104
attraverso il ricorso non mediato alla disposizione costituzionale170.
Se il giudice può ricavare direttamente dalla disposizione costituzionale la
regola del caso concreto – si dice – «si tratta, evidentemente, di una soluzione
limite, che presenta per di più un certo carattere patologico, in quanto
presuppone un’omissione del legislatore con la correlativa espansione del
potere giudiziario»171. Pur, tuttavia, si afferma che le deroghe al principio
della separazione fra giurisdizione e legislazione sono ammissibili in quanto
funzionali alla realizzazione del principio di legalità costituzionale172, ma solo
a determinate condizioni. La disposizione costituzionale può, in questa
prospettiva, diventare regola del caso solo in via sussidiaria e solo ove abbia
una struttura sufficientemente dettagliata173.
Il giudice, infatti, dovrebbe prima ricorrere al criterio di interpretazione
estensiva174, analogica175 e al ricorso ai principi generali176 e solo dopo – e
In questo senso G. SORRENTI, La manifesta infondatezza…, cit., p. 101 e ss, di cui si è già
riferito la posizione critica nel confronti del canone dell'interpretazione conforme a
Costituzione.
171
Idibem.
172
Sul principio di legalità costituzionale e sulla specificità rispetto al principio di legalità cd
legale, M. LUCIANI, Su legalità costituzionale…, cit., pp. 501 e ss.
173
G. SORRENTI, La manifesta infondatezza…, cit., pp. 101 e ss.
174
Sulla differenza, assai sottile, che intercorre tra interpretazione analogica e interpretazione
estensiva, il riferimento obbligato è a N. BOBBIO, L’analogia nella logica del diritto, Milano,
2008.
175
Com’è noto, l’interpretazione analogica è espressamente prevista dal secondo comma
dell’art. 12 delle Disposizioni Preliminari al Codice Civile, il quale dispone che «Se una
controversia non può essere decisa con una precisa disposizione, si ha riguardo alle
disposizioni che regolano casi simili o materie analoghe». Detto argomento consente di
ricavare un principio da una norma espressa, per applicarlo ad un caso simile, privo di
disciplina. L’esito derivante dal ricorso a tale criterio coincide con il risultato di una
interpretazione correttiva o estensiva, dal momento che esso consente di applicare la norma
in esame a fattispecie che, secondo una mera ricostruzione letterale, non vi rientrerebbero.
Secondo Bobbio, il rapporto di somiglianza che collega i due termini posti a confronto è una
170
105
solo se la Costituzione fosse in grado di enucleare regole per il caso concreto –
procedere all’applicazione diretta. La schematizzazione – elaborata con il
palesato intento di ridurre la discrezionalità del giudice – sembra fondarsi,
tuttavia, su due equivoci. Il primo riguarda l’avalutatività del giudizio
sull’esistenza o meno di una lacuna, come se non rientrasse nella
discrezionalità del giudice assolvere – anche con esiti negativi– al suo iura
«relazione fra due o più oggetti che si dicono simili; e due oggetti si dicono simili quando
hanno qualcosa “in comune”»; dunque «è evidente che il rapporto di somiglianza S è simile
a Q, si può risolvere nei due rapporti di identità S é M, e Q è M, in cui M sta ad indicare “il
qualcosa in comune”»; pertanto la formula del ragionamento per analogia, risolta nei suoi
rapporti semplici, è riducibile a quest’altra formula: Q è P; Q è M; S è M; S è P, dove non
appare più la relazione di somiglianza». N. BOBBIO, L’analogia nella logica del diritto, cit.,
p. 112 e ss., Per evitare, dunque eccessi logici, come quelli sottolineati da F. MODUGNO,
L’analogia nella logica del diritto, in www.associazioneitalianadeicostituzionalisti.it,
«bisogna fissare i limiti e l’estensione del rapporto di somiglianza, e ciò non si può fare se
non attribuendo al ragionamento stesso o un valore deduttivo, o un valore induttivo,
sottintendendo un nesso fisico di causalità, a cui il secondo termine non possa sottrarsi» (N.
BOBBIO, L’analogia nella logica del diritto, cit. p. 118). Per G. CARCATERRA, Analogia, I
Teoria generale, in Enc. Giur., II, 1988, pp. 3 e ss., il principio del ragionamento analogico
consiste nell’ «inferenza mediante la quale il giurista, al fine di risolvere il quid iuris di un
dato caso, conclude che esso è disciplinato in un certo modo in quanto a quel modo è
disciplinato un altro caso ad esso simile».
176
L’art. 12 delle Preleggi prosegue attribuendo al giudice la facoltà di decidere,
qualora il caso sia ancora dubbio, secondo i «principi generali dell’ordinamento giuridico
dello Stato». La disposizione de qua – nata nell’intenzione del legislatore col fine di fornire
un’ultima sponda al principio iura novit curia – ha dato l’avvio ad un fervido dibattito
all’indomani dell’entrata in vigore della Costituzione, relativo alla possibile identificazione
di questi con i principi costituzionali – e in ogni caso alla loro formalizzazione –, nonché al
rapporto di questi con l’attività interpretativa del giudice. Quanto alla prima questione,
sovvengono le parole di Vassalli, padre del Codice Civile, il quale affermava che i principi
«se sono davvero generali, non hanno da essere scritti in un ordinamento particolare e se,
invece, sono particolari di un dato ordinamento (…) o sono superflui poiché è dell’interprete
estrarli o sono inammissibili poiché, se sovraordinati in autorità, fermerebbero il moto del
diritto». F. VASSALLI, Motivi e caratteri della codificazione civile, in Studi giuridici, vol. II,
Milano, 1960, p. 613. Sul contributo di Vassalli alla codificazione si veda A. PUNZI, La
missione del giureconsulto: Filippo Vassalli, in RIFD. Rivista Internazionale di Filosofia del
Diritto, 4, 2005, pp. 623-636, nonché Id., Una giurisprudenza in cerca di princìpi, in
Dialogica del diritto. Studi per una filosofia della giurisprudenza, Torino, 2009, pp. 65 e ss.
Così anche Modugno, con delle attenuazioni, per il quale i principi generali sono «per loro
natura, inespressi o taciti, anche se nulla vieta che siano esplicitati in enunciati normativi». F.
MODUGNO, voce Principi generali dell'ordinamento, in Enc. Giur. Treccani, XXIV, Roma,
1991.
106
novit curia. Nello schema proposto, poi e di conseguenza, sembra possibile
una netta distinzione tra l’uso solo integrativo della Costituzione e dei suoi
principi generali e quello– invece– eccezionale e risolutivo177.
Il secondo equivoco riguarda, invece, la distinzione tra regole e principi, come
se questa coincidesse – anche solo tendenzialmente – con la distinzione tra il
livello costituzionale e quello legislativo178. Laddove, invece, è facilmente
dimostrabile che la distinzione fra principi e regole non dipende – o non solo
– dalla struttura nomologica o dalla sede cui questi sono collocati, ma dalla
costruzione del giudice rispetto al caso concreto179.
La qualificazione di una norma come regola o come principio non può che
dipendere, infatti, dalle scelte interpretative e argomentative del giudice–
interprete, dal modo in cui questo intende usare quella norma rispetto al caso
concreto180 e – si potrebbe aggiungere – dalla situazione normativa che è a
Nel senso di una possibile distinzione, G. PISTORIO, Interpretazioni e giudici…., cit., pp.
35 e ss., per cui «occorre distinguere la vis interpretativa da quella applicativa, vale a dire
quando il testo costituzionale può o deve essere applicato in modo diretto o quando invece ne
viene utilizzata la sola forza interpretativa. Tale precisazione consentirà di non confondere
l’applicazione diretta della Costituzione dall’interpretazione ad essa conforme»
178
In questo senso, cioè di far coincidere tendenzialmente la distinzione fra regole e principi
con quella fra Costituzione e legge, G. ZAGREBELSKY, Il diritto mite…, cit., pp. 147 e ss. per
il quale «se il diritto attuale è composto di regole e di principi, si può notare che le norme
legislative sono prevalentemente regole, mentre le norme costituzionali sui diritti e sulla
giustizia sono prevalentemente principi (…). Distinguere i principi dalle regole significa
perciò, a grandi linee, distinguere la Costituzione dalla legge».
179
In questo senso L. GIANFORMAGGIO, L'interpretazione della Costituzione tra
applicazione di regole e argomentazione basata su principi, in Rivista internazionale di
filosofia del diritto, 1985, p. 178.
180
In questo senso anche G. PINO, Diritti e interpretazione…, cit., pp. 62 e ss. per il quale
«una norma frutto di interpretazione estensiva potrà tendenzialmente assomigliare ad un
principio, mentre una norma frutto di interpretazione restrittiva o a contrario potrà
tendenzialmente assomigliare ad una regola. E, una volta qualificata la norma come regola o
come principio, sarà poi utilizzata nell'argomentazione rispettivamente come regola (ad
177
107
esso sottesa. Senza che questo voglia dire che la qualificazione del precetto
normativo sia lasciata alla completa e incontrollabile discrezionalità del
giudice. Come per tutte le operazioni interpretative, anche questa incontra,
infatti, il limite dell’elaborazione dommatica e quello dei precedenti
orientamenti giurisprudenziali, risultando statisticamente recessivo il caso il
cui il giudice proceda in spregio ai criteri di accettabilità esistenti nella cultura
giuridica di riferimento.181
Nel dibattito teorico sul tema si possono, tuttavia, isolare le posizioni di chi
sostiene una distinzione rigida tra regole e principi182 e, viceversa, chi una
esempio, «proteggendola» contro eccezioni non previste), o come principio (ad esempio
bilanciandola con altri principi)».
181
Parla di criteri di applicabilità o ideologia delle fonti, G. PINO, ivi, pp. 36 e ss., riferendosi
con questi a metacriteri che regolano il funzionamento dei criteri– positivamente tracciati–
per l'applicazione del diritto e che non possono che essere originati all'interno della cultura
giuridica di riferimento. Così dice « un giurista che aderisce, consapevolmente o meno, ad
una ideologia delle fonti del diritto e ad una cultura giuridica di tipo formalista e legalista,
individuerà come primariamente applicabili le disposizioni legislative, e privilegerà le
tecniche argomentative idonee ad assicurare quanto più possibile il rispetto della supremazia
della legge lettera: quindi privilegerà, in particolare, l'argomento letterale e quello
dell'intenzione del legislatore. Di contro, un giurista che aderisce, consapevolmente o meno,
ad una ideologia delle fonti del diritto e ad una cultura giuridica di tipo sostanzialista–
giusnaturalista tenderà ad impiegare le tecniche argomentative idonee ad assicurare la
realizzazione di certi valori sostanziali anche al di là della lettera della legge, quali ad
esempio l'argomento equitativo e l'argomento della natura delle cose, la cd interpretazione
«per valori», l'interpretazione restrittiva e la defettibilità di norme contrastanti con precetti
morali. Infine, un giurista che aderisce, consapevolmente o meno, ad una ideologia delle
fonti del diritto e ad una cultura giuridica di stampo (neo–) costituzionalista, tenderà ad
impiegare le tecniche argomentative idonee ad assicurare l'ideale della supremazia della
costituzione, e della maggiore penetrazione possibile dei valori e principi costituzionali in
tutto l'ordinamento giuridico, quali ad esempio l'interpretazione adeguatrice ( della legge alla
costituzione), l'applicazione diretta dei principi costituzionali, la defettibilità delle norme
infra–costituzionali nella misura in cui contrastino con norme e principi costituzionali, il
bilanciamento di principi costituzionali affidato anche al giudice comune ecc.». Si riferisce,
invece, alla dommatica e al vincolo del precedente come vincoli e strumenti di
razionalizzazione della scientia iuris, R. ALEXY, Teoria dell'interpretazione e
dell'argomentazione giuridica, Milano, 1998, pp. 182 e ss.
182
Tra questi, G. ZAGREBELSKY, Il diritto mite…, cit. cap. IV; ID., La legge e la sua
giustizia…, cit., cap. VI; R. DWORKIN, Taking rights seriously, Taking right seriously,
108
debole183. Per i primi sarebbe possibile tracciare una linea distintiva precisa e
costante, perché discendente da caratteristiche intrinseche della norma presa in
considerazione. E, infatti, si dice «i principi sono norme particolarmente
importanti, sono i valori fondanti e costitutivi dell’ordinamento; e pertanto ad
essi «si aderisce» (si presta una qualche forma di adesione etico–politica),
mentre alle regole
«ciecamente»);
hanno
«si ubbidisce» (le regole possono essere seguite
un
notevole
grado
di
generalità,
vaghezza,
indeterminatezza (sono norme con fattispecie «apertissima», o addirittura
«norme senza fattispecie»)», al contrario delle regole che
descrivono la
relazione di causa ed effetto rispetto al caso concreto. E, ancora, «la loro
applicazione è condizionata da considerazioni di «peso» e importanza (se in
un medesimo caso concreto sono applicabili più principi, al fine della
decisione si dovrà individuare il più importante)», laddove la regola è
applicabile nella logica del tutto o niente, secondo la formula dworkiniana;
sono, poi, «norme categoriche, mentre le regole sono norme ipotetiche». 184 La
differenziazione più importante– ma anche la più facilmente confutabile–
rimane, però, quella attinente al trattamento pratico loro riservato dalla
giurisprudenza. Come anticipato, infatti, nelle argomentazioni che sostengono
la tesi della distinzione cd forte, solo le regole avrebbero una esplicita
funzione risolutiva dei casi sottoposti all’attenzione degli operatori del diritto,
Harvard, 1977, trad. it. I diritti presi sul serio, Bologna, 1972.
183
G. PINO, Diritti e interpretazione…, cit., p. 52 e ss.
184
E' questa la semplificazione riportata da G. PINO, Diritti e interpretazione…, cit. pp. 54 e
ss., ma più o meno negli stessi termini, G. ZAGREBESLKY, Il diritto mite… , cit., pp. 148 e ss.
109
avendo i principi – viceversa– una naturale attitudine a veicolare solo valori e
ideali di giustizia.
La confutazione, però, è agevolmente rintracciabile nella pratica giudiziaria.
La reazione del materiale normativo con il caso concreto, infatti, assottiglia le
differenze, potendo una norma valere alternativamente come regola o come
principio. E del resto, anche nell’idea di una precisa dicotomia, si sostiene che
«i principi di diritto svolgono un’importante funzione suppletiva, integrativa o
correttiva delle regole giuridiche. Essi opererebbero per il «perfezionamento»
dell’ordinamento e entrerebbero in gioco quando le altre norme non sono in
condizione di svolgere pienamente o soddisfacentemente il compito regolativo
che ci si attende da loro». Se quanto detto è vero, se « per superare dubbi
interpretativi, colmare lacune e risolvere contraddizioni altrimenti insanabili–
dovrebbero entrare in azione i principi di diritto, con la loro forza direttiva
tanto più vincolante in quanto espressi dalla Costituzione»185, allora anche
questi possono contribuire a offrire risposte alle domande di giustizia186, in
modo non molto differente dalle regole in senso stretto.
Che il principio possa, poi, valere come regola del caso concreto risulta del
pari chiaro se solo si ha a mente lo schema attraverso il quale la Corte e i
giudici comuni risolvono i conflitti fra le affermazioni costituzionali sui diritti,
G. ZAGREBELSKY, Il diritto mite…, cit., p. 159.
Non è condivisibile la sostenuta distinzione fra regole e principi sul presupposto che per
questi ultimi « il (loro) significato non è determinabile in astratto, ma solo in concreto»,
come sostiene G. ZAGREBELSKY, ivi, p. 149, come se per le regole il significato preesista –
cristallizzato – alla pratica giudiziaria. Vale sul punto l'insuperato insegnamento di V.
CRISAFULLI, voce Disposizione (e norma), in Encicl. Dir., XIII, Milano, 1964, pp. 195 e ss.
185
186
110
comunemente noto come giudizio di bilanciamento187. La composizione fra
disposizioni declinate
in senso assoluto
avviene,
infatti, attraverso
l’elaborazione di una regola di prelavenza, che diventa la regola per la
risoluzione del caso concreto, se elaborata dallo stesso giudice adito. In questo
caso «la situazione concreta, che consente di affermare la prevalenza di un
diritto sull’altro, svolge il doppio ruolo di condizione nella formula che
esprime la prevalenza di un principio, e di presupposto di fatto di una regola
(… ): dire che, se ricorrono determinate circostanze, un certo principio prevale
su un altro, equivale a dire che, se ricorrono quelle stesse circostanze, si
devono produrre le conseguenze previste dal principio prevalente»188. Il che è
come dire che il principio costituzionale, tramite l’elaborazione di una regola,
trova diretta applicazione nella fattispecie concreta.
La relativizzazione della distinzione fra regole e principi nella pratica
giurisprudenziale travolge, poi, l’altro presupposto della tesi che vuole
l’applicazione diretta della Costituzione come soluzione eccezionale, se non
patologica dell’ordinamento189. Porre, infatti, come condizione dell’utilizzo
diretto delle disposizioni costituzionali la presenza di una chiara lacuna
legislativa, richiede– allo stesso tempo– che sia evidente la distinzione fra una
funzione solo integrativa/interpretativa e una più propriamente risolutiva della
Sullo schema del giudizio di bilanciamento operato dalla Corte e dai giudici comuni e
sull'elaborazione di tests, R. BIN, Diritti e argomenti…, cit., pp. 62 e ss.
188
R. BIN, Diritti e argomenti, … cit., pp. 40 e ss.
189
G. SORRENTI, La “manifesta infondatezza”…, cit. pp. 101 e ss.
187
111
norma fondamentale190. Anche in questo caso è la pratica giudiziaria a
Sulla distinzione insiste, G. PISTORIO, Interpretazioni e giudici…, cit., pp. 39 e ss. la
quale si riferisce al noto caso Englaro come una chiara ipotesi di applicazione diretta della
Costituzione in presenza di una lacuna legislativa. Nella decisione con cui il Tribunale di
Lecco, con decreto 2 febbraio 2006, ha dichiarato inammissibile il ricorso presentato dal
tutore al fine di ottenere l’emanazione di un ordine di interruzione dell’alimentazione forzata
mediante sondino nasogastrico che teneva in vita la donna, in stato di come vegetativo dal
1992 e manifestamente infondati i profili di illegittimità costituzionale prospettati dal
ricorrente. Secondo il giudice «ai sensi degli artt. 2 e 32 Cost., un trattamento terapeutico o
di alimentazione, anche invasivo, indispensabile a tenere in vita una persona non capace di
prestarvi consenso non solo è lecito, ma dovuto, in quanto espressione del dovere di
solidarietà posto a carico dei consociati, tanto più pregnante quando, come nel caso di specie,
il soggetto interessato non sia in grado di manifestare la sua volontà». Aggiungono i giudici
«in base agli artt. 13 e 32 Cost. (…)se la persona non è capace di intendere e di volere il
conflitto tra il diritto di libertà e di autodeterminazione e il diritto alla vita è solo ipotetico e
deve risolversi a favore di quest’ultimo, in quanto non potendo la persona esprimere alcuna
volontà, non vi è alcun profilo di autodeterminazione o di libertà da tutelare». Dello stesso
tenore la decisione con cui la Corte di Appello di Milano, dinanzi alla quale era stato
proposto reclamo avverso il decreto del Tribunale di Lecco. Nella decisione del 16 dicembre
del 2006, infatti, i giudici, sostengono che «non vi sarebbe alcuna possibilità di accedere a
distinzioni fra vite degne e non degne di essere vissute, dovendosi fare riferimento
unicamente al bene vita costituzionalmente garantito, indipendentemente dalla qualità della
vita stessa e dalle percezioni soggettive che di detta qualità si possono avere (…), tanto più
che, alla luce delle disposizioni interne e convenzionali, la vita è un bene supremo, non
essendo confutabile l’esistenza di un diritto a morire». Su un versante diametralmente
opposto, come sottolinea G. PISTORIO, ivi, p. 40, non senza piglio critico, la sentenza
pronunciata dalla Corte di Cassazione, dinanzi alla quale era stato proposto ricorso avverso
la sentenza della Corte di Appello. Con la sentenza 16 ottobre 2007, n. 2148, i giudici della
Suprema Corte sostengono che il consenso informato sul trattamento sanitario « rappresenta
una forma di rispetto per la libertà dell’individuo e un mezzo per il perseguimento dei suoi
migliori interessi», senza il quale l’attività del medico è indubbiamente illegittima. L’Autrice
sottolinea come, in questo caso, gli stessi principi costituzionali fanno sostenere ai giudici un
risultato diametralmente opposto e, infatti, discendono dallo stesso art. 2, 13 e 32 Cost.,
nonché dalle Convenzioni internazionali, il diritto all’autodeterminazione in tema di
trattamenti sanitari. «A fronte di una lacuna legislativa di così evidente portata si è
ineluttabilmente registrata una libertà interpretativa sì ampia da trasformare il vuoto
legislativo in antinomia tra i diversi principi costituzionali coinvolti (diritto alla vita, diritto
all’autodeterminazione terapeutica, consenso informato). In altre parole, l’assoluta incertezza
normativa, derivante dall’assenza di una precisa disposizione che potesse regolare il caso, ha
spinto i giudici dei diversi gradi a rilevare (o creare?) una norma dalla combinata
interpretazione di più disposizioni costituzionali. Ora, se da un lato è vero che il giudice è
impossibilitato a denegare giustizia in forza del divieto di non liquet e deve, quindi, trovare
una norma per risolvere la controversia dinanzi a lui sollevata, è altrettanto indiscusso che
egli debba esercitare le sue funzioni entro i confini che delimitano l’esercizio dell’attività
giurisprudenziale», ivi, pp. 41 e ss. Per una ricostruzione contraria della vicenda
giurisprudenziale sul cd caso Englaro, R. ROMBOLI, Il caso Englaro: la Costituzione come
fonte immediatamente applicabile dal giudice, in Quad. Cost., 2009, p. 95, per cui dietro la
dichiarazione di inammissibilità del conflitto, si cela, sia pur implicitamente, il concetto già
affermato dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 347 del 1998, in base al quale, a fronte
190
112
suggerire
l’abbandono
di
dell’argomento costituzionale
una
rigida
schematizzazione.
L’utilizzo
(se di argomento in senso stretto si può
parlare191) da parte dei giudici ordinari assolve– indistinguibilmente– alla
costruzione della norma per il caso concreto e diviene impossibile– oltre che
dogmaticamente inopportuno– distinguere i casi in cui esso si limiti ad
orientare il processo interpretativo, da quello in cui integra o offre ex nihil la
regula iuris192.
6. Una recente giurisprudenza amministrativa in materia di pari
opportunità: le ricadute sul piano interpretativo.
L’elaborazione dottrinale sul punto è – come visto – significativa, tuttavia si
ritiene un punto di vista privilegiato per verificare la reale consistenza del
problema in questione e un argomento utile per confortare la tesi di una
relativizzazione della distinzione fra regole e principi, una recente
giurisprudenza amministrativa che congegna meccanismi di tutela immediata
per posizioni giuridiche sfornite di disciplina legislativa o coperte da
previsioni normative esclusivamente di principio, non corredate da regole
di una carenza legislativa «spetta al giudice ricercare nel complessivo sistema normativo,
l’interpretazione idonea ad assicurare la protezione degli anzidetti beni costituzionali». Per
una ricostruzione esaustiva di tutta la vicenda, anche sul seguito legislativo, A. D’ALOIA, Il
diritto di rifiutare le cure e la fine della vita. Un punto di vista costituzionale sul caso
Englaro, in Diritti Umani e diritto internazionale, 2, 2009, pp. 370 e ss. M. VILLONE, Il
diritto di morire, Napoli, 2011.
191
Che non si possa parlare di criterio interpretativo lo sottolinea A. RAUTI,
L’interpretazione adeguatrice come metacriterio…, cit., pp. 496 e ss.
192
In questo senso di ribadisce la tesi di O. CHESSA, Drittwirkung…, cit., pp. 420 e ss.
113
precise e auto applicative.
In un numero significativo di pronunce – tale da far pensare ormai al
consolidarsi di un orientamento costante – i giudici amministrativi annullano i
decreti di nomina all’interno di Giunte comunali e regionali per via della loro
composizione interamente maschile, denunciando, in alcuni casi, la violazione
di norme di rango legislativo (il più delle volte, però, declinate come
normative di principio), in altri, la violazione di prescrizioni costituzionali.
Dapprima è stato il TAR Puglia, sez. III, ord. n. 680 del 6 luglio 2005, ad
annullare il decreto con cui il Sindaco del Comune di Veglie aveva nominato
la Giunta, nella parte in cui escludeva dall’organo di governo la
rappresentanza femminile193. Qui è la normativa statutaria (art. 32) a fungere
da parametro. E, ancora, si veda quanto deciso da TAR Puglia, sez. III, sent. n.
2913 del 18 dicembre 2008: i giudici amministrativi, ritenendo che l’art. 37
Il T.A.R. motiva l’annullamento ritenendo che « i rimedi giurisdizionali sembrano
doppiare, in questi casi, quelli politico amministrativi, per un verso presupponendo, come
questi ultimi, la medesima funzione di controllo, tipica del Consiglio Comunale, e tuttavia,
per altro verso, dagli stessi distinguendosi per il fatto di riguardare i casi di vera e propria
illegittimità degli atti e non di mera inopportunità politica latamente intesa »; « che l’accesso
alla tutela da parte del giudice completi il ruolo centrale che i componenti del Consiglio
rivestono nella vita dell’ente locale, consentendo loro di agire a tutela di interessi che,
altrimenti, sarebbero in concreto privi di protezione in sede processuale »; « che la disciplina
costituzionale ( art. 51), primaria (art. 6 t.u. 267/2000) e secondaria ( art. 32 statuto
comunale: « nella composizione della Giunta è garantita la presenza dei rappresentanti di
entrambi i sessi » ) di riferimento favorisce e/o garantisce una rappresentanza femminile in
seno all’organo predetto; » … « che tale previsione vada contemperata, secondo canoni di
ragionevolezza con le prerogative riservate al Sindaco nella scelta dei componenti della
Giunta »; e in definitiva « che il Sindaco debba procedere, nel corretto esercizio delle
proprie attribuzioni, ad una nuova formazione della Giunta Comunale, adoperandosi per
assicurarvi una rappresentanza femminile o, nel caso in cui ciò non sia, per ragioni tecnico–
politiche, possibile, illustrando con motivazione puntuale, esaustiva e concreta le ragioni che
impediscono l’attuazione del c.d. principio delle pari opportunità ».
193
114
dello Statuto del Comune di Molfetta «faccia carico al Sindaco di adoperarsi al
fine di favorire la rappresentanza di entrambi i sessi all’interno del predetto
organo» e «che l’effettiva esplicazione di tale attività del Sindaco, ove non si
concretizzi nella nomina di persone di sesso diverso in seno alla Giunta
municipale, deve trovare almeno un riscontro effettivo nella motivazione dei
provvedimenti di nomina dei vari assessori, la quale deve illustrare le ragioni
che impediscono l’attuazione del principio delle pari opportunità»,
concedevano la misura cautelare richiesta e ordinavano al Sindaco di
procedere a nuove nomine194. Nel 2010 anche il TAR Molise, sez. I con ord. n.
51 del 24 febbraio, offre tutela alle istanze di partecipazione femminile
servendosi di parametri statutari conferenti195.
Più recente è, invece, l’annullamento da parte del TAR Lazio (sent. n. 6673 del
2011) delle nomine assessorili nella Giunta della città di Roma. Anche qui i
giudici amministrativi dispongono che si proceda al rinnovo delle nomine nel
senso orientato ad una maggiore garanzia della rappresentanza femminile. La
Per i giudici « il citato articolo 37 deve essere interpretato nel senso che esso impone al
Sindaco di porre in essere tutte le attività utili e necessarie affinché l’organo esecutivo del
Comune – cioè la Giunta – risulti composto da persone appartenenti ad ambo i sessi, nonché
di dare conto, nel provvedimento con il quale designa gli assessori, dell’espletamento delle
attività svolte e delle ragioni per le quali esse, eventualmente, non hanno sortito il risultato
utile, e cioè di avere la disponibilità di persone di ambo i sessi per la formazione della
Giunta. In tal senso è evidente che l’art. 37 dello Statuto indubbiamente limita la
discrezionalità di cui il Sindaco gode nella scelta dei propri assessori, scelta che, per tale
ragione, non deve necessariamente privilegiare il dato politico».
195
In species, l’art. 26, comma 5 «per la composizione della Giunta il Presidente assicura la
pari opportunità uomo-donna»; l’art. 38 «è garantita la presenza di entrambi sessi negli
organi collegiali della Provincia, nonché negli enti, aziende ed istituzioni dipendenti dalla
Provincia stessa»; oltre alla più generale previsione di cui all’art. 4, comma 1 «l’attività
amministrativa della Provincia è informata ai principi della partecipazione democratica, delle
pari opportunità, dell’imparzialità e della trasparenza delle decisioni e degli atti, della
semplicità delle procedure».
194
115
violazione censurata riguarda ancora una volta una disposizione dello Statuto
comunale, precisamente la previsione contenuta nell’art. 5 per il quale «nei
casi in cui il Sindaco o il Consiglio Comunale debbano nominare o designare,
ciascuno secondo le proprie competenze, rappresentanti in enti, istituzioni,
ovvero in altri organismi gestori di servizi pubblici, fra i nominati è garantita
la equilibrata presenza di uomini e donne»; la disposizione, al comma terzo,
precisa, invece, l’esistenza di un obbligo di motivazione – evidentemente
diversa dalla motivazione schiettamente politica – per scelte di segno
contrario. Sorretta da analoga motivazione è la sentenza del TAR Campania,
sezione prima (sent. n. 5167 del 2011) che impone il rispetto del principio di
pari opportunità per la composizione della Giunta del Comune di Agerola.
Anche qui i giudici affermano l’esistenza di un parametro di legittimità –
dicono – esterno dell’attività di nomina del Sindaco. L’orientamento è, poi,
riconfermato nel 2012. Il TAR Puglia (sent. n. 79 del 2012) annulla gli atti di
nomina in seno alla Giunta del Comune di San Marco in Lamis, argomentando
la violazione degli artt. 3 e 51 Cost., dell’art. 6, comma 3, del d.lgs. n. 267 del
18 agosto 2000, e dell’art. 14, comma 3, dello Statuto comunale. Ordina il
rinnovo della composizione della Giunta del Comune di Viterbo anche il TAR
Lazio (sent. n. 679 del 2012).
I medesimi principi, salvo una rilevante eccezione196, vengono riconfermati
L’eccezione è rappresentata dalla sent. n. 354 del 2011 del TAR Lombardia, sez. I; qui i
ricorrenti impugnavano i decreti di nomina del Presidente della Giunta lombarda deducendo
196
116
riguardo alla composizione delle giunte regionali. Valga l’esempio della
recente pronuncia del TAR Campania, sez. Napoli197, che decide della
violazione del principio della parità di genere, sancito dagli artt. 1 e 5 dello
la violazione dell’art. 51 Cost., degli artt. 11 e 25 dello Statuto della Regione Lombardia,
approvato con legge regionale n. 1 del 30 agosto 2008, dell’art. 1 del d.lgs. n. 198 dell’11
aprile 2006, così come modificato dal d.lgs. n. 5 del 25 gennaio 2010. Assumevano la
violazione dei principi di democrazia paritaria fra uomini e donne nella vita sociale,
culturale, economica e politica e dunque anche nell’accesso agli uffici pubblici e alla cariche
elettive, nonché delle disposizioni normative poste a garanzia dell’equilibrio tra i sessi tra i
componenti degli organi di governo della Regione. Ad adjuvandum si deduceva la violazione
degli artt. 3, 51 e 117, comma 7, Cost. sotto il profilo della violazione dell’uguaglianza
sostanziale ed in particolare del principio di uguaglianza tra i sessi nel conseguimento degli
uffici pubblici; si censurava esplicitamente la carenza di motivazione in ordine ai motivi
oggettivi che avrebbero impedito nomine equilibrate e non discriminatorie; e, infine, la
violazione del principio di parità di trattamento tra uomini e donne derivanti da diritto
europeo, direttamente applicabile ai sensi dell’art. 117 Cost. I giudici amministrativi, dopo
aver passato in rassegna la giurisprudenza costituzionale sul principio di pari opportunità e
quella, controversa, che condanna alla «inefficacia giuridica» le disposizioni
programmatiche contenute negli statuti regionali, rigettavano la domanda di annullamento
escludendo che le norme costituzionali invocate (artt. 3, 51 e 117), le disposizioni statutarie
della Regione Lombardia e l’art. 1 del d.lgs. n. 198 dell’11 aprile 2006, autorizzassero una
dichiarazione di illegittimità dei provvedimenti oggetto dell’impugnazione, anche in
considerazione dell’indiscutibile natura fiduciaria delle nomine in questione.
197
TAR Campania, sez. Napoli, sent. n. 1985 del 7 aprile 2011. La sentenza è stata appellata
e il Consiglio di Stato, con decreto datato 22 aprile 2011 n. 1805, ha accolto la domanda
cautelare proposta dalla Regione Campania sospendendone l’efficacia dato che «nelle more
della decisione di merito e fino alla pronuncia collegiale sulla domanda cautelare, sussiste
per l’appellante una situazione di estrema gravità ed urgenza, in relazione all’interesse al
proficuo funzionamento della Giunta regionale, tale da giustificare una misura cautelare
provvisoria». Il Consiglio di Stato, sezione V, con sent. n. 4502 del 2011 conferma la
sentenza di primo grado, sottolineando il carattere di limite precettivo dell’art. 46 dello
Statuto regionale: «la norma si riferisce esplicitamente ed inequivocabilmente all’atto della
nomina degli assessori e pone, dunque, un vincolo, sia pur elastico, ad un determinato potere
spettante al Presidente della Regione». Con ricorso della Regione Campania, n. 11 del 23
settembre– 7 ottobre 2011 (pubblicato in G.U., 1a SS, n. 43 del 2011) la Giunta ha sollevato
conflitto di attribuzione, chiedendo alla Corte costituzionale l’annullamento della decisione,
sul presupposto che non spettasse allo Stato, attraverso il giudice amministrativo d’appello,
«sindacare la legittimità dell’atto di nomina di un assessore regionale da parte del Presidente
della Giunta della Regione Campania». Nel ricorso si contestava, infatti, la giurisdizione del
giudice amministrativo, essendo l’atto di nomina un atto politico e, come tale insindacabile,
e si disconosceva all’art. 46 dello Statuto regionale il carattere di norma capace di esprimere
un «contenuto giuridico di carattere vincolato». La Regione proponeva, poi, una istanza di
sospensione della decisione già respinta dalla Corte Cost. con ordinanza 302 del 2011. Il
ricorso è stato, poi, respinto con sent. n. 81 del 2012, perché inammissibile.
117
Statuto regionale198 e del corollario della equilibrata presenza di donne e
uomini nella formazione degli organi ed uffici regionali, di cui agli artt. 22 (sul
Consiglio delle Autonomie Locali), 35 (sulla composizione dell’Ufficio di
Presidenza del Consiglio Regionale), 46 (sulla nomina e composizione della
Giunta)199 e 47 (sulle nomine di competenza della Giunta) del medesimo
Statuto. Ritagliato lo spazio a favore della giurisdizione, anche qui i giudici
amministrativi si servono di previsioni statutarie e impongono «una equilibrata
presenza» del sesso femminile all’interno dell’organo esecutivo regionale200. Il
principio costituzionale delle pari opportunità diventa nella ricostruzione
giurisprudenziale – in maniera non equivoca – parametro di esercizio del
potere di nomina di Sindaci e Presidenti di Giunta, ma – sembra – solo in
funzione integrativa o rafforzativa di previsioni legislative sufficientemente
regolative.
Art. 1, comma 2: «La Regione Campania ispira la propria azione ai principi della
democrazia, dello Stato di diritto e della centralità della persona umana, favorendo e
garantendo i principi di uguaglianza, solidarietà, libertà, giustizia sociale e pari opportunità
tra donne e uomini, salvaguardando la dignità personale e i diritti umani ed esercitando un
sostegno operoso alla pace nel mondo. La Regione contribuisce al mantenimento di tali
valori comuni nel rispetto e con il contributo delle diversità e delle minoranze»; art. 5,
comma 1: «La Regione riconosce e garantisce i diritti di libertà e di uguaglianza sanciti dalla
Costituzione e dalle convenzioni comunitarie ed internazionali ponendoli a fondamento e
limite di tutte le proprie attività».
199
Art. 50 lett. e): «Il Presidente della Giunta regionale effettua le nomine di competenza
della Giunta, previa deliberazione della stessa e acquisito il parere del Consiglio regionale
ove richiesto, e provvede alle nomine, nel pieno rispetto del principio di una equilibrata
presenza di donne e uomini, e alla designazioni che la legge gli attribuisce».
200
In quell’occasione i giudici amministrativi negano la natura di atto politico alle nomine ex
art 122, comma ult., Cost., al fine evidente di ridurre l’area del non giustiziabile e garantire
un’applicazione estesa dei principi di difesa e di tutela giurisdizionale ex art. 113 Cost. Gli
atti di nomina assumono, così, le prevedibili sembianze di un atto amministrativo vincolato
al rispetto di parametri di legittimità sostanziale e procedimentale, fra cui la previsione di
programma di cui all’art. 51 Cost.
198
118
Al contrario, la previsione costituzionale sembra avere una funzione
direttamente risolutiva del caso sottoposto al giudice amministrativo, in
un’altra pronuncia.
Nella sent. n. 1427 del 2011 il TAR Campania, sez.
Napoli, annulla il decreto del Sindaco di Ercolano avente ad oggetto la nomina
degli assessori e del vicesindaco, per diretta violazione dell’art. 51 Cost. La
ricorrente si rivolgeva al TAR per chiedere l’annullamento del decreto
sindacale di nomina dei componenti della Giunta lamentandone l’illegittimità
a causa della composizione interamente maschile dell’esecutivo comunale.
Nel ricorso veniva denunciata una presunta violazione della disciplina
costituzionale, legislativa e statutaria in materia di pari opportunità tra uomo e
donna, oltre che una violazione del dovere motivazionale gravante sul
Sindaco. I giudici amministrativi accolgono la domanda di annullamento
costituendo in capo al Sindaco l’obbligo giuridico di dare conto dello sforzo
profuso per assicurare la rappresentanza femminile in seno all’organo
esecutivo comunale, pena una richiesta di integrazione della giunta auctoritate
iudicis. In questa, come nelle altre decisioni già citate, i giudici amministrativi
hanno ritenuto sussistente in capo al titolare della funzione esecutiva locale
l’obbligo di far fede al programma iscritto in Costituzione nell’art. 51 e di
garantire il riequilibrio di genere all’interno degli uffici pubblici e degli organi
elettivi. Ma la distonia rispetto ai precedenti è dovuta alla mancanza di una
disposizione ad hoc nello Statuto comunale201. Qui i giudici annullano i
201
Nel senso, invece, di una omogeneità degli orientamenti giurisprudenziali A. ADAMO, La
119
decreti di nomina del Sindaco non già per violazione di una disciplina
statutaria o legislativa (che, nella specie, difetta), ma per applicazione diretta
del principio di pari opportunità di cui all’art. 51 Cost.
Le categorizzazioni dottrinali ci suggeriscono di descrivere
l’iter
argomentativo dei giudici campani come un’ ipotesi di uso diretto della Carta
Costituzionale, in assenza di previsioni primarie o sub primarie interponibili.
Tuttavia un’analisi complessiva della motivazione ci impone di relativizzare le
conclusioni cui si è giunti e, con esse, anche la distinzione tra regole e principi
e tra usi – diretti e non– delle disposizioni costituzionali.
Il TAR accoglie il ricorso per l’annullamento delle nomine sindacali
confermando un orientamento consolidato in occasione di una pronuncia,
quasi coeva, riguardante questa volta la Giunta del Comune di Benevento
(TAR Campania, sent. n. 12668 del 2010) di cui riporta testualmente i
passaggi argomentativi essenziali. Come in quell’occasione, il principio di pari
opportunità è considerato specificazione del più generale principio di
uguaglianza sostanziale di cui all’art. 3, comma secondo, Cost. e, per questa
via, in grado di imporre interventi «positivi» volti alla rimozione delle
situazioni discriminatorie. Ma – ed è questa la questione di maggiore rilevanza
– accanto alla natura di diritto fondamentale riconosciuta alla previsione
«promozione» del principio di pari opportunità nella composizione delle giunte negli enti
territoriali alla luce della più recente giurisprudenza amministrativa. Nota a TAR Campania,
sez. I, sentenza del 10 marzo 2011, n. 1427, in www.rivistaaic.it, 2, 2011, il quale non rileva
la eccentricità della pronuncia, dovuta all’utilizzo diretto della disposizione costituzionale, in
assenza di altra fonte normativa applicabile.
120
contenuta nell’art. 51 Cost., il TAR afferma la immediata applicabilità del
principio, inteso «quale parametro di legittimità sostanziale di attività
amministrative discrezionali rispetto alle quali si pone come limite
conformativo»202. Il giudice campano costruisce, così, il suo sillogismo
adoperando come premessa maggiore la disposizione costituzionale invece
delle fonti legislative, di cui pure compie una dettagliata ricognizione203. Una
ricognizione che non soddisfa le esigenze del caso, mancando una prescrizione
concludente, e in qualche modo direttamente precettiva, sia nella disciplina
legislativa, che in quella dello Statuto del Comune204. Difatti, il giudice si
trova di fronte a disposizioni sub costituzionali che si articolano in una sorta di
catena normativa di principi, ma che non enucleano una regola applicabile
Sul rapporto tra attività della Pubblica Amministrazione e Costituzione, M. MAGRI, La
legalità costituzionale della Pubblica Amministrazione: ipotesi dottrinali e casistica
giurisprudenziale, Milano, 2002, pp. 55 ss.
203
Anzitutto la l. n. 125 del 1991 rubricata «azioni positive per la realizzazione della parità
uomo-donna nel lavoro», poi, confluita nel d.lgs. n. 198 dell’11 aprile 2006, il cd. codice
delle pari opportunità tra uomo e donna, da ultimo modificato dal d.lgs. n. 5 del 2010, il cui
articolo 1 dispone che «le disposizioni del presente decreto hanno ad oggetto le misure volte
ad eliminare ogni distinzione, esclusione o limitazione basata sul sesso, che abbia come
conseguenza, o come scopo, di compromettere o di impedire il riconoscimento, il godimento
o l’esercizio dei diritti umani e delle libertà fondamentali in campo politico, economico,
sociale, culturale e civile o in ogni altro campo». A queste previsioni segue il d.lgs. n. 267
del 18 agosto 2000 il cui articolo 6 dispone che gli statuti comunali e provinciali
«stabiliscono norme per assicurare condizioni di pari opportunità tra uomo e donna ai sensi
della l. n. 125 del 10 aprile 1991 e per promuovere la presenza di entrambi i sessi nelle
Giunte e negli organi collegiali del Comune e della Provincia, nonché degli enti, aziende ed
istituzioni da essi dipendenti». Il principio costituzionale dovrebbe ricevere, così,
specificazione anche ad opera delle norme statutarie le quali divengono, nell’argomentazione
dei giudici, «nodo di raccordo tra livello costituzionale e fonte subordinata»; affermazione
questa che solleva non pochi interrogativi riguardo l’effettiva collocazione degli statuti nel
sistema gerarchico delle fonti italiane; sul punto S. PARISI, Il «posto» delle fonti locali nel
sistema, in Le Regioni, 2, 2008, pp. 152 e ss.; e, ma con un orientamento opposto, E.
CACACE, Lo Statuto e il regolamento degli Enti Locali nel sistema delle fonti, in Scritti in
onore di Michele Scudiero, I, pp. 281 e ss.
204
Lo statuto del Comune di Ercolano all'art. 4, secondo comma lett. a) si limita ad
affermare che l'Ente «garantisce, in armonia con le leggi dello Stato e anche per mezzo di
interventi amministrativi, la parità giuridica, sociale ed economica tra uomo e donna».
202
121
nella logica dell’ all or nothing fashion205. La legge alla quale l’art. 51 Cost.
rinvia contiene semplici affermazioni di principio. E il TUEL, all’art. 6206,
rinvia alle fonti statutarie per la realizzazione dell’equilibrio di genere: ma lo
Statuto del Comune si limita a enunciare un principio e, dunque, a riprodurre il
dettato costituzionale. A fronte di tale quadro normativo il giudice
amministrativo decide l’annullamento dei decreti di nomina applicando
direttamente
la
previsione
costituzionale,
nella
considerazione
dell’insufficienza delle prescrizioni legislative e statutarie207. Costruisce,
quindi, la lacuna legislativa, non ritenendo dirimente le previsioni contenute
nel TUEL e nello statuto e usa l’art. 51 Cost. come parametro di legittimità
dell’azione amministrativa. L’applicazione dei criteri distintivi elaborati in
dottrina ci porta– come già detto– ad affermare che nelle ultime due
pronunce– e solo in queste– siamo di fronte ad ipotesi di applicazione diretta
di parametri costituzionali da parte del giudice amministrativo.
Ricorrono, infatti, i presupposti richiamati, ovvero l’esistenza di una lacuna
legislativa e l’applicazione diretta di una disposizione costituzionale
R. DWORKIN, Taking right seriously, Harvard, 1977, pp. 24 e ss.
«Gli statuti comunali e provinciali stabiliscono norme per assicurare condizioni di pari
opportunità tra uomo e donna ai sensi della l. n. 125 del 10 aprile 1991, e per promuovere la
presenza di entrambi i sessi nelle Giunte e negli organi collegiali del Comune e della
Provincia, nonché degli enti, aziende ed istituzioni da essi dipendenti».
207
Non dissimile, quanto a strumenti argomentativi impiegati, è la sent. n. 864 del 2011 del
TAR Sardegna, sezione II. I decreti di nomina dei componenti della Giunta regionale,
vengono annullati anche qui in forza della immediata applicabilità del principio
costituzionale di pari opportunità. Ed, infatti – dice il TAR – che il principio opera
direttamente anche in assenza di una legge regionale di attuazione. Per i giudici, infatti, «non
può certamente ritenersi condivisibile che l’inerzia del potere legislativo regionale possa
costituire, come preteso dalle difese regionali, legittima causa di giustificazione di una sua
sostanziale disapplicazione a tempo indeterminato».
205
206
122
sufficientemente dettagliata. Non sembra, infatti, che in materia ci sia un
pieno regolativo dal momento che le disposizioni legislative richiamate e
quelle dello statuto del Comune non offrono molto di più di una mera
dichiarazione di principio. E, difatti, il giudice amministrativo passa in
rassegna il materiale normativo non costituzionale di cui dispone ritenendolo
praticamente inadeguato per offrire risposta alla domanda di giustizia.
Ma la semplificazione non regge ad una successiva analisi. Infatti, è evidente
che è lo stesso giudice a costruire la regola per il caso concreto attraverso
un’operazione che può definirsi di fusione fra il materiale costituzionale e
quello legislativo, pur esistente, ma declinato in modo da lasciare ampia
discrezionalità nella fase di interpretazione/ applicazione.
L’operazione non sembra, però, così diversa da quella compiuta negli altri
casi giurisprudenziali. La distonia di cui si parlava, e che sembrava
caratterizzare, per emblematicità, il «caso di Ercolano» sbiadisce se si
considera che anche gli altri giudici amministrativi si trovano di fronte a
norme legislative e statutarie che poco hanno in comune con le regole.
In tutte le sentenze che si sono richiamato, infatti, il principio costituzionale
sorregge le argomentazioni dei giudici. La difficoltà di qualificare con certezza
un caso, anziché un altro, con l’etichetta dell’applicazione diretta della
Costituzione corrisponde alla difficoltà di definire la funzione di una norma
costituzionale di principio all’interno del procedimento di interpretazione e
123
applicazione della legge. La complessità della distinzione tra funzione
integrativa, suppletiva e invalidante delle norme costituzionali ce ne
suggerisce, infatti, l’abbandono a favore di una prospettiva di reciproca
integrazione tra i due piani gerarchici.
Quanto, poi, al grado di vincolatività dell’art. 51 Cost., nonostante questo non
sia tra quelle norme pacificamente qualificate come regole costituzionali, nella
parte in cui impone il rispetto del principio di pari opportunità nella
composizione degli organi collegiali, sembra fare qualcosa in più di una
semplice dichiarazione di principio, vincolando non solo il legislatore, ma tutti
i soggetti chiamati all’applicazione del diritto. In tal modo anche l’equivoco
per cui la distinzione tra principi e regole coincida– strutturalmente– con
quella tra Costituzione e legge non può che essere risolto208.
Le perplessità che affiorano dalle sentenze esaminate sono collegate alla complessità del
parametro utilizzato. Le norme di principio, che siano costituzionali come nel caso di
Ercolano, o legislative come negli altri, delegano al giudice una valutazione caso per caso.
Ciò risulta chiaro quando i giudici campani scrivono che «il sindaco può opporre ragioni
politiche alla presenza di una donna nella formazione dell’organo di governo, ma deve
trattarsi di una condizione di assoluta impossibilità di attuazione del principio, nel caso di
specie in alcun modo dimostrata». Il passaggio argomentativo citato rileva, infatti, un ampio
spazio di valutazione sulla ragionevolezza della scelta sindacale riservata al giudice. Ma la
stessa evidenza è offerta dalle motivazioni degli altri giudici. Siamo evidentemente di fronte
ad uno schema di giudizio complesso che applica il principio di ragionevolezza nella sua
declinazione più classica, ovvero quella del principio di uguaglianza ex art. 3, comma primo
Cost. Che questo parametro sia nella piena disponibilità del giudice comune e, in
species, del giudice amministrativo, non ha da discutersi. Ma il suo utilizzo, accompagnato
ad una disciplina normativa legislativa o costituzionale – scarsamente regolativa, assume un
significato più pregnante. Il test di ragionevolezza, in una delle sue possibili articolazioni,
rappresenta, infatti, un ulteriore strumento di quella che alcuni definiscono
«pancostituzionalizzazione» dell’ordinamento ad indicare la crescente possibilità di fare
appello ai principi costituzionali in ogni possibile contesto della vita sociale, in ogni
possibile conflitto di interessi, riducendo o forse eliminando gli spazi costituzionalmente
«vuoti». E dunque, ove venga usato, come nei casi esaminati, congiuntamente a prescrizioni
normative dotate di scarsa cogenza, finisce per accentuare il ruolo, già di per sé di prima
208
124
CAPITOLO TERZO
UN CASE STUDY: INTERPRETAZIONE CONFORME ED EVOLUZIONE DELLA NOZIONE
COSTITUZIONALE DI “FAMIGLIA”
SOMMARIO: 1. L’ausilio dell’interpretazione conforme alla connotazione della
famiglia come nozione costituzionale “dinamica”. 2. Le sue declinazioni
giurisprudenziali: il matrimonio 2.1 L’affidamento dei figli 2.2 La previdenza
2.3 L’immigrazione
1. L’ausilio dell’interpretazione conforme alla connotazione della
famiglia come nozione costituzionale “dinamica”.
L’esposizione fin qui condotta può essere utilmente integrata con l’analisi
della giurisprudenza comune e di legittimità che usa– nella sue varie
linea, della giurisprudenza ordinaria nella «gestione» dei diritti fondamentali. Ma gli incerti
strumenti argomentativi usati e le insufficienti motivazioni circa la scelta del parametro non
possono, però, essere occasione di censura dei risultati raggiunti. I giudici non fanno altro
che usare il materiale normativo di cui dispongono per fondare posizioni giuridiche rilevanti
e rispondere alla domanda di giustizia, evitando il non liquet.
125
declinazioni– il canone dell’interpretazione conforme. L’adozione di un punto
di vista empirico permette, infatti, di cogliere la fisionomia che
l’interpretazione
costituzionalmente orientata a Costituzione assume nella
pratica giudiziaria. Le modalità di utilizzo da parte dei giudici ordinari e di
legittimità svelano, infatti, le diverse declinazioni che questa assume– quella
dell’interpretazione sistematica e/o evolutiva– e i limiti che naturalmente
incontra nell’ esercizio della funzione giurisprudenziale.
La limitazione tematica scelta– quella della famiglia e in species della famiglia
omosessuale– permette, poi, di passare da una analisi più schiettamente
formalistica ad una di sostanza. L’esito delle sentenze, infatti, definisce il
rapporto fra giudici e diritti come un rapporto di collaborazione che usa il
canone di interpretazione conforme come strumento privilegiato per la tutela
di posizioni soggettive costituzionalmente rilevanti 209.
L’attenzione giurisprudenziale nei confronti del matrimonio omosessuale e del
suo regime giuridico, sopita dopo la sentenza della Corte Costituzionale n. 138
del 2010, è stata riaccesa da una pronuncia della Corte di Cassazione ( Sez. I
Civ. n. 4184 del 2012) che ha, poi, a sua volta stimolato una ricca
giurisprudenza di merito sul tema210. Con la decisione appena citata i giudici
Su rapporto fra giudici e diritti– ridefinito attraverso l'uso dell'interpretazione conforme o,
amplius, attraverso l'uso del materiale costituzionale, F. MANNELLA , Giudici comuni e
applicazione della Costituzione, Napoli, 2011.
210
Sulla sentenza in commento, I. MASSA PINTO, Fiat matrimonio. L’unione omosessuale
all’incrocio del dialogo tra Corte Costituzionale, Corte Europea dei diritti dell’uomo e
Corte di Cassazione: può una sentenza della Corte di Cassazione attribuire a (un inciso di)
una sentenza della Corte europea il potere di scardinare una consolidata e ultramillenaria
tradizione (superando anche il giudicato costituzionale)?, in www.rivistaaic.it, 2, 2012; M.
209
126
di legittimità riaffrontano la questione della trascrivibilità di un matrimonio
omosessuale contratto all’estero secondo le leggi vigenti in materia,
cambiando il consolidato indirizzo che riservava a questo la sanzione
dell’inesistenza, in difetto dell’eterosessualità del coniugio.
Per i giudici della Suprema Corte il matrimonio contratto fra persone dello
stesso sesso rimane intrascrivibile nell’ordinamento italiano, ma non più
perché inesistente, bensì perché inidoneo a produrre effetti giuridici.
Nonostante l’esito negativo, la sentenza si rivela interessante perché inaugura
un orientamento interpretativo, già seguito da una ampia giurisprudenza di
merito. Nella motivazione, infatti, i giudici allargano le potenzialità
interpretative dell’art. 29 Cost. ed elaborano un principio suscettibile di
applicazione giudiziale diretta.
La Corte di Cassazione dà avvio al lungo iter argomentativo della pronuncia
ponendosi la preliminare domanda se «la Repubblica italiana riconosca e
garantisca a persone dello stesso sesso, al pari di quelle di sesso diverso – con
le parole della Corte Costituzionale (sent. n. 245 del 2011) – il diritto
fondamentale di contrarre matrimonio, discendente dagli articoli 2 e 29 della
Costituzione, ed espressamente enunciato nell’articolo 16 della Dichiarazione
universale dei diritti dell’uomo del 1948 e nell’articolo 12 della Convenzione
europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali».
DI BARI, Considerazioni a margine della sentenza 4184/2012 della Corte di Cassazione: la
Corte prende atto di un trend europeo consolidato nel contesto delle coppie same sex anche
alla luce della sentenza 138/2010 della Corte Costituzionale, in www.rivistaaic.it, 1, 2012.
127
L’accertamento dell’esistenza del diritto risulta, infatti, il presupposto per
l’accoglimento
delle
istanze
giurisprudenziale prende
attoree.
La
ricognizione
normativa
e
le mosse dalla già citata sentenza della Corte
Costituzionale n. 138 del 2010211 che aveva dichiarato la questione di
legittimità costituzionale degli artt. 93, 96, 98, 107, 108, 143, 143 bis, 156 bis
cod. civ. non fondata in riferimento agli artt. 3 e 29 Cost. e inammissibile in
riferimento agli art. 2 e 117 Cost. (quest’ultimo in relazione all’art. 12 Cedu e
art. 9 della Carta di Nizza)212. I giudici costituzionali offrono dell’art. 29 Cost.
Su cui R. BIN, La famiglia: alla radice di un ossimoro in Studium Iuris, 2000, pp. 1066 e
ss.; R. BIN, Per una lettura non svalutativa dell’art. 29, in R. BIN, G. BRUNELLI, A.
GUAZZAROTTI, A. PUGIOTTO, P. VERONESI (a cura di) La «società naturale» e i suoi
“nemici”. Sul paradigma eterosessuale del matrimonio, Ferrara 26 febbraio 2010, Torino,
2010, pp. 41 e ss; A. PUGIOTTO, Una lettura non reticente della sent. n. 138/2010: il
monopolio eterosessuale del matrimonio, in www.forumcostituzionale.it; A. PUGIOTTO, Alla
radice costituzionale dei “casi”: la famiglia come «società naturale fondata sul
matrimonio», in www.forumcostituzionale.it; A. RUGGERI, Le unioni tra soggetti dello stesso
sesso e la loro (innaturale …) pretesa a connotarsi come “famiglie” in R. BIN, G. BRUNELLI,
A. GUAZZAROTTI, A. PUGIOTTO, P. VERONESI (a cura di), La «società naturale» e i suoi
“nemici”. Sul paradigma eterosessuale del matrimonio, Ferrara 26 febbraio 2010, Torino,
2010, pp. 307 e ss.; A. RUGGERI, Idee sulla famiglia e teoria (e strategia) della Costituzione,
in www.forumcostituzionale.it; P. VERONESI, Costituzione, «strane famiglie» e «nuovi
matrimoni», in Quaderni costituzionali, 3, 2008, pp. 577 e ss. A. D’ALOIA , Le coppie
omosessuali e lo “schema” costituzionale della famiglia e del matrimonio. Note sulla
sentenza della Corte Costituzionale n. 138 del 2010, in AA. VV. Amore che vieni, amore che
vai … Unioni omosessuali e giurisprudenza costituzionale, a cura di S. PRISCO, Napoli,
2012, pp. 3 e ss.
212
Come nota A. PUGIOTTO, Una lettura non reticente della sent. n. 138/2010: il monopolio
eterosessuale del matrimonio, cit. p. 4 e ss, nella motivazione la Corte affronta singolarmente
le censure di illegittimità sollevate dai giudici a quibus, ma rovescia completamente i termini
della quaestio legitimitatis. I giudici remittenti avevano, infatti, fondato il loro dubbio di
legittimità prevalentemente sulla violazione degli artt. 2 e 3 Cost. per chiedere alla Corte il
riconoscimento giudiziale di un diritto attinente alla sfera delle libertà individuali. Ma i
giudici costituzionali decidono di disattendere l’impostazione personalista offerta e
soffermarsi sulla lettura dell’art. 29 Cost., sul concetto giuridico di matrimonio.
L’interpretazione della disposizione costituzionale appena richiamata ha suscitato un ampio e
noto dibattito. L’affermazione ossimorica per cui la famiglia è allo stesso tempo una società
naturale, ma fondata su un istituto regolato dal diritto, ha diviso la dottrina nella definizione
dell’attributo di derivazione giusnaturalista. Procedendo per semplificazioni, la prima
impostazione è quella che argomenta la “naturalità” come sinonimo di tradizione culturale,
211
128
un’interpretazione originalista, per via della considerazione
per cui «la
questione delle unioni omosessuali rimase del tutto estranea al dibattito
svoltosi in sede di Assemblea, benché la condizione omosessuale non fosse
certo sconosciuta» … «essi tennero presente la nozione di matrimonio definita
dal codice civile entrato in vigore nel 1942, che (…) stabiliva (e tuttora
stabilisce) che i coniugi dovessero essere persone di sesso diverso». Una tale
interpretazione dell’art. 29 Cost. ha, poi, l’effetto di fugare facilmente ogni
dubbio su una possibile violazione del principio di uguaglianza ex art. 3 Cost.
Sul punto la Corte è sorprendentemente rapida.
in questo senso, A. RUGGERI, Idee sulla famiglia e teoria (e strategia) della Costituzione, in
www.forumcostituzionale.it . La tesi lega indissolubilmente il matrimonio alla famiglia in un
rapporto di reciproco riconoscimento e, per consequentia rerum, ne impedisce una
riconformazione legislativa. La modifica, infatti, di anche uno solo degli elementi costitutivi
dell’istituto matrimoniale –nel nostro caso, l’eterosessualità dei coniugi– minerebbe
l’intangibilità dell’istituto stesso e incrinerebbe quell’insieme di regole e dettami della
tradizione su cui esso si fonda, in questo senso anche L. VIOLINI, Il riconoscimento delle
coppie di fatto: praeter o contra constitutionem?, in www.forumcostituzionale.it. La seconda
interpretazione ravvisa, invece, nella disposizione costituzionale un chiaro riferimento “ai
bisogni umani fondamentali, legati alla dimensione sociale dell’uomo, alla sua riproduzione,
alla sua affettività, al suo bisogno di riservatezza” , è di questa idea , R. BIN, Per una lettura
non svalutativa dell’art. 29, cit., p. 41 e ss. Per questa via la clausola contenuta nell’art. 29
Cost. non può che fare riferimento alla sfera dei diritti inviolabili che garantiscono il pieno
sviluppo della persona. Per questa ricostruzione, anche P. VERONESI, Costituzione, «strane
famiglie» e «nuovi matrimoni», cit. p. 577 e ss., A. PUGIOTTO, Alla radice costituzionale dei
“casi”: la famiglia come «società naturale fondata sul matrimonio», in
www.forumcostituzionale.it. Tuttavia la Corte non dà –scientemente– conto del dibattito
appena accennato. Se, infatti, avesse argomentato il paradigma eterosessuale del matrimonio
attraverso il richiamo a quella «consolidata ed ultramillenaria nozione» cui fanno riferimento
gli stessi giudici a quibus, non avrebbe vinto l’obiezione per cui anche la tradizione
nell’ambito familiare è soggetta ad un inevitabile processo di storicizzazione e di evoluzione,
tale da rendere inaccettabili caratteri un tempo ritenuti imprescindibili, così A. PUGIOTTO,
Una lettura non reticente della sent. n. 138/2010, cit. E allo stesso modo non avrebbe potuto
far dire alla disposizione costituzionale ciò che i Costituenti non vollero significare, senza
cadere in un falso storico. Nessun richiamo a concezioni metagiuridiche o religiose, infatti,
ispirò la scrittura dell’art. 29 Cost. L’intenzione evidente era quella di limitare l’esercizio del
potere legislativo e circoscrivere un ambito di autonomia immune dalla regolamentazione del
potere pubblico, così anche, P. VERONESI, Costituzione, «strane famiglie» e «nuovi
matrimoni», cit., pp. 577 e ss.
129
Se le unioni omosessuali non possono essere ritenute omogenee al
matrimonio, stante il disposto costituzionale, allora la disciplina codicistica
non dà luogo a nessuna irragionevole discriminazione, anzi– sembra dire–
applica la regola per cui «situazioni uguali devono essere trattate in modo
uguale, situazioni diverse in modo diverso».
Ma –aggiunge la Corte– se le unioni same sex non rientrano nella cornice di
significati tracciati dall’art. 29 Cost., trovano pur sempre copertura nella
generale previsione dell’art. 2 Cost. che, tutelando le formazioni sociali come
strumento di svolgimento della personalità, tutela anche l’unione omosessuale
intesa «come stabile convivenza tra due persone dello stesso sesso, cui spetta
il diritto fondamentale di vivere liberamente una condizione di coppia,
ottenendone– nei tempi, nei modi e nei limiti stabiliti dalla legge– il
riconoscimento giuridico con i connessi diritti e doveri».
Nonostante le premesse inclusive, la Corte completa sul punto in maniera
decisamente preclusiva rispetto a qualsiasi intervento legislativo di
equiparazione fra coppie etero e omosessuali213. Dice, infatti, che «nell’ambito
applicativo dell’art. 2 Cost. (corsivo aggiunto), spetta al Parlamento,
nell’esercizio della sua piena discrezionalità, individuare le forme di garanzia
e di riconoscimento per le unioni suddette, restando riservata alla Corte
costituzionale la possibilità d’intervenire a tutela di specifiche situazioni
Rimane dubitativo sul punto, A. D’ALOIA, Le coppie omosessuali e lo schema
costituzionale della famiglia e del matrimonio, cit. p. 14 e ss., per il quale non sono ben
chiari gli spazi di intervento lasciati al legislatore dal riconoscimento alle coppie omosessuali
della tutela costituzionale ex art. 2.
213
130
(come è avvenuto per le convivenze more uxorio: sentenze n. 559 del 1989 e
n. 404 del 1988)».
Il non detto della pronuncia è che dalla Carta, non solo non deriva nessun
obbligo positivo di intervento per il legislatore, essendo la scelta rimessa alla
sua discrezionalità, in quanto non costituzionalmente vincolata, ma piuttosto
ne
deriva
un
vincolo
negativo.
L’unico
intervento
legislativo
costituzionalmente compatibile– sembra dire la Corte– è quello che si muove
solo entro, e non oltre, l’ambito applicativo dell’art. 2 Cost.214. Il legislatore
non solo non è obbligato a colmare un’omissione legislativa discriminante, ma
potrà farlo solo evitando illegittime equiparazioni.
Le argomentazioni della Corte Costituzionale sembrano perfettamente
sovrapponibili con quelle dei giudici di legittimità. Anche la Suprema Corte
con la sentenza in commento pare condividere l’interpretazione dell’art. 29
Cost. ed escludere la possibilità di far discendere direttamente dai principi
costituzionali il diritto al matrimonio gay. E, infatti, non usa direttamente la
disposizione costituzionale per colmare il vuoto di tutela legislativa.
Ma, è sulla persistenza nell’ordinamento italiano del vincolo negativo di cui si
è detto che la Corte di Cassazione si allontana dal disposto della sent. n. 138,
accogliendo la nozione estensiva di famiglia proposta dal giudice europeo. I
In questo senso R. ROMBOLI, Il diritto “consentito” al matrimonio ed il diritto
“garantito” alla vita familiare per le coppie omosessuali in una pronuncia in cui la Corte
dice “troppo” e “troppo poco”, in www.rivistaaic.it, 2010.
214
131
giudici di legittimità utilizzano, infatti, l’interpretazione offerta, pochi mesi
dopo il pronunciamento della Corte Costituzionale, dalla Corte Edu nella
sentenza sul caso Schalk e Kopf contro Austria215 per sostenere che quel non
detto della sent. n. 138 cede di fronte ad una interpretazione sistematica
dell’art. 12 Cedu con l’art. 9 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione
Europea.
Il caso che ha consentito alla Corte Edu di pronunciarsi per la prima volta sul
tema del diritto a contrarre matrimonio per le coppie omosessuali, è originato
dal ricorso presentato da due cittadini austriaci che avevano visto respinta la
loro richiesta di matrimonio dalle autorità nazionali, perché in contrasto con la
disciplina civilistica che riserva l’istituto matrimoniale esclusivamente a
unioni eterosessuali. Il ricorso presentato ai giudici di Strasburgo denunciava
la violazione degli artt. 8, 12, 14 della Convenzione. Per i ricorrenti il tenore
testuale della disposizione, e il chiaro riferimento a coniugi di sesso diverso,
non osta ad una interpretazione evolutiva che permetta alla Convenzione di
esercitare quella funzione di– affermano– «living instrument» che le è propria
e di adeguarsi alle mutate condizioni storico–culturali. Chiedono, quindi, ai
E. CRIVELLI, D. KRETZMER, Il caso Schalk e Koptf c. Austria in tema di unioni
omosessuali, in (a cura di) M. CARTABIA., Dieci casi sui diritti in Europa, p. 59 e ss; M. DI
BARI, Considerazioni a margine della sentenza 4184/2012 della Corte di Cassazione: la
Cassazione prende atto di un trend europeo consolidato nel contesto delle coppie same sex
anche alla luce della sentenza n. 138 del 2010 della Corte Costituzionale, in
www.rivistaaic.it, 1, 2012; G. REPETTO, Il matrimonio omosessuale al vaglio della Corte di
Strasburgo, ovvero: la negazione “virtuosa” di un diritto, in www.archivio.rivistaaic.it,
2012.
215
132
giudici di interpretare l’art. 12 «come concedente alle coppie omosessuali
l’accesso al matrimonio o, in altre parole, come facente obbligo agli Stati
membri di prevedere tale accesso nelle loro legislazioni nazionali».
Le argomentazioni delle parti, però, non risultano così decisive da permettere
alla Corte di fugare i dubbi derivanti dalla accertata mancanza di un “european
ground” riguardo ai matrimoni gay. Il dato per cui non più di 6 Stati aderenti
su 47 abbiano superato il monopolio eterosessuale dell’istituto matrimoniale,
suggerisce, infatti, alla Corte di non forzare la lettera della disposizione
convenzionale. Per di più la Corte Edu sottolinea di aver ben chiaro che «il
matrimonio è un istituto profondamente radicato nei caratteri culturali e sociali
di un ordinamento, i quali possono essere anche molto differenti da una società
all’altra». La Corte ribadisce che «non può sostituire il suo giudizio a quello
dei singoli Stati, che rimangono nella posizione migliore per comprendere e
rispondere ai bisogni delle loro società».
Fin qui la posizione dei giudici di Strasburgo non sembra molto diversa da
quella della Corte Costituzionale: come l’art. 29 Cost., anche l’art. 12 Cedu
incardina il matrimonio nelle regole della tradizione culturale. I giudici
europei, però, aggiungono che, vista la formulazione sessualmente neutra
dell’art. 9 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, («Il diritto
di sposarsi e il diritto di costituire una famiglia sono garantiti secondo le leggi
nazionali che ne disciplinano l’esercizio») «la Corte non può più considerare
133
che il diritto al matrimonio di cui all’articolo 12 debba essere limitato in tutti i
casi al matrimonio tra persone di sesso opposto. Conseguentemente non si può
affermare che l’articolo 12 sia inapplicabile alla doglianza dei ricorrenti».
Esclude, però, che la disposizione fondi un obbligo positivo in capo agli Stati,
essendo «allo stato delle cose» ancora ampio il margine di apprezzamento
nazionale. Non c’è violazione dell’art. 12 perché lo Stato, per la Corte Edu,
può, ma non è obbligato a introdurre una disciplina dei matrimoni same sex. E
non c’è violazione dell’art. 8 e 14, perché, pur essendo le coppie gay
perfettamente riconducibili alla dimensione di “vita familiare”– ed è qui il
novum– per i giudici di Strasburgo saranno i legislatori statali a decidere i
tempi e i modi per approntare interventi normativi.
L’estensione della tutela alla vita familiare per le coppie omosessuali (ex art. 8
Cedu) operata dalla Corte di Strasburgo viene, quindi, utilizzata dalla Corte di
Cassazione a sostegno di un’interpretazione sistematica ed evolutiva delle
disposizioni costituzionali sul punto.
L’elaborazione del principio, con il conforto della giurisprudenza europea, ha
trovato, poi, seguito presso la giurisprudenza ordinaria. Ed è questo il profilo
interessante ai fini della ricerca. In un numero significativo di pronunce,
infatti, i giudici ordinari riconoscono strumenti di tutela giudiziale a coppie
omosessuali, proprio in applicazione del principio costituzionale elaborato
dalla Corte di Cassazione. Che si tratti di interpretazione conforme degli
134
istituti di volta in volta interessati dalle richieste giudiziali o di applicazione
diretta della Costituzione è– come già detto– poco rilevante, essendo
evanescente la differenza tra le due forme di utilizzo delle disposizioni
costituzionali.
Mentre ben più significativo ai fini della definizione
dell’attività di adeguamento interpretativo a Costituzione, dell’individuazione
del suo fondamento logico e dei suoi limiti, risulta la descrizione delle forme
argomentative attraverso cui i giudici procedono alla estensione delle tutele.
Tutte le operazioni interpretative, condotte ai fini di estendere tutele puntuali
alle unioni omosessuali si caratterizzano, infatti, per un duplice livello di
manipolazione/creazione delle norme. Da un lato, i giudici- in forza del
principio elaborato dalla Corte di Cassazione con il conforto della
giurisprudenza
europea-
operano
sull’oggetto
dell’interpretazione
(normalmente con operazioni che prendono la forma di operazioni estensive
e/o sistematiche), dall’altro incidono sullo stesso parametro prescelto.
L’interpretazione conforme o- come può altrimenti dirsi- sistematica
coinvolge, così, due piani, accentuando la portata dell’operazione di
significazione condotta216 . I dati che necessitano di attenzione sono, quindi,
due. Da un lato, l’interpretazione conforme delle disposizione di legge, sia
quella operata dai giudici ordinari, che dalla Corte di Cassazione, assumeLa complessità dell’operazione di raccordo interpretativo, dovuta alla accennata bifasicità
dell’operazione, non può che- indipendentemente dal risultato raggiunto- sollevare alcuni
interrogativi sul ruolo della giurisdizione. Il tema trascende quello qui in oggetto, da ultimo e
con accenni critici sulla attuazione della costituzione per via giurisdizionale, M. LUCIANI,
Dottrina del moto delle costituzioni e vicende della costituzione repubblicana in
www.rivistaaic.it, 1, 2013.
216
135
indiscutibilmente- la forma dell’interpretazione sistematica/ evolutiva. Il
sistema cui, però, i giudici fanno riferimento non si risolve nel sistema
costituzionale italiano, ma- con tutta evidenza- accoglie quello integrato dalle
disposizioni delle Carte internazionali217 .
Insiste sulla necessità di ricostruire i rapporti fra fonti interne e quelle sovranazionali
come sistema, A. RUGGERI, Costituzione e Cedu, alla sofferta ricerca dei modi in cui
ricomporsi in “sistema”, cit. il quale propone una ricostruzione dei rapporti fra fonti interne
e fonti internazionali assiologica che ne garantisca, sul piano interpretazione, una paritaria
composizione e reciproca integrazione. Ma, per quanto qui interessa, il disegno ricostruttivo
coinvolge una l’assunzione di una certa idea della Costituzione e, infatti, dice l’Autore «a
base dell’inquadramento complessivo dei rapporti con la CEDU (ma, in generale, col diritto
di origine esterna) sta l’idea, inesplicitata ma chiaramente visibile, che la Costituzione sia
una fonte perfetta in sé e per sé, autosufficiente (e però pure autoreferenziale): parametro di
ogni altra fonte, quale che ne sia l’origine, interna o esterna, siccome la sola norma normans
ma non normata dell’ordinamento. Una dottrina, questa, che poi affonda le sue radici nel
mito di settecentesca memoria dell’onnipotenza del potere costituente, capace di creare ex
nihilo un nuovo ordine costituzionale a sua volta perfetto, armonioso in ogni sua parte,
scevro da contraddizione o lacuna alcuna (una tesi però che, a tacer d’altro, si confuta da sé,
già per il fatto che la Carta prefigura la eventualità della propria innovazione, all’evidente
scopo di colmare originarie lacune ed imperfezioni). Se ne ha l’immagine di una sorta di
Costituzione -“totale”, che praticamente dice tutto su tutto e che è perciò in grado di offrire
garanzia a qualsiasi diritto o, più in genere, bene della vita, nominato e non». Laddove
sarebbe, invece, più opportuno- dice- mettere a nudo i limiti delle tutele che la Costituzione è
in grado di offrire e riconoscerne la necessaria integrazione con il sistema costituzionale
apprestato dalle Carte sui diritti. La conseguenza della necessaria reciproca integrazione
delle fonti, in vista di un continuo aumento del livello di tutela, è senza dubbio la
valorizzazione della funzione giurisdizionale. E, infatti, dice l’Autore « l’ordine
“intercostituzionale” qui vagheggiato richiede lo sforzo congiunto da parte di tutti i giudici
(comuni e non), tutti dovendo giocare fino in fondo la propria parte nell’intento di dare
risposte persuasive e complessivamente appaganti a coloro che avanzano domande di
giustizia. Un ordine che ha, dunque, proprio in relazioni “intergiurisprudenziali”
internamente armoniche, al di fuori di ogni schema gerarchico precostituito, uno dei suoi
punti di forza (non il solo naturalmente) e che al fine di potersi affermare e preservare
richiede che siano costantemente tenute ferme due condizioni indispensabili per la sua
realizzazione, con la cui enunciazione chiudo questa mia succinta riflessione. La prima –
come si è sopra fatto notare – si riporta al carattere paritario delle relazioni tra le Carte; la
seconda, corollario della precedente, è il bisogno vitale di preservare l’equilibrio
complessivo del sistema, anche nelle sue proiezioni quale “sistema di sistemi”, facendo
appello al principium cooperations tra i giudici, tutti davvero considerati “orizzontali”,
siccome distinti tra di loro unicamente per le funzioni esercitate o, se si preferisce, per la
tipicità dei ruoli, comunque bisognosi essere espressi al massimo rendimento possibile ad
ogni livello istituzionale, senza dunque alcuna assiomatica, forzosa “graduatoria” tra di loro:
siano giudici comuni e siano pure giudici materialmente costituzionali». La prospettiva di
integrazione sistemica, non solo porta alla valorizzazione degli elementi definitivi di
217
136
Dall’altro, la tecnica della ricomposizione interpretativa coinvolge lo stesso
parametro costituzionale. L’art. 29 Cost. è, infatti, interpretato come se
comprendesse una nozione di famiglia più ampia. Salta, quindi, nella
ricostruzione dei giudici quella distinzione fra Costituzione e legge e, quindi,
fra interpretazioni che potrebbe fungere da limite all’interpretazione conforme
stessa218. I giudici si mostrano, invece, pienamente titolari del potere di
interpretazione/applicazione della Carta Costituzionale, ridisegnando il
rapporto fra giudici, Corte e legge in tema di diritti219.
diffusione del sindacato costituzionale, ma propone una certa idea di revisione costituzionale
in melius ispirata al principio della dignità umana, per questo si veda A. RUGGERI,
Prospettive di aggiornamento del catalogo costituzionale dei diritti fondamentali, in
www.associazionedeicostituzionalisti.it. Ma l’idea era già in A. RUGGERI, La CEDU alla
ricerca di una nuova identità, tra prospettiva formale-astratta e prospettiva assiologicosostanziale d’inquadramento sistematico (a prima lettura di Corte cost. nn. 348 e 349 del
2007, in www.forumcostituzionale.it. A RUGGERI, Ancora in tema di rapporti tra CEDU e
Costituzione: profili teorici e questioni pratiche, in www.associazionedeicostituzionalisti.it
218
Era questa l’impostazione di C. LAVAGNA, Problemi di giustizia costituzionale sotto il
profilo della non manifesta infondatezza, cit. p. 573 e ss, il quale ammetteva l’interpretazione
conforme solo quando del parametro costituzionale venisse offerta un’interpretazione cd
letterale, nel rispetto di competenze fra giudici ordinari e giudice costituzionale.
219
Sul rapporto fra giurisdizione e legislazione, attraverso la lente della nozione
dell’autoapplicabilità normativa, G. GUAZZAROTTI, L’autoapplicabilità delle norme. Un
percorso costituzionale, Napoli, 2011, per il quale «all’autoapplicabilità delle norme
corrisponde un diritto di matrice giurisprudenziale volto ad implementare norme di principio
al posto del potere politico», p. 211. Per l’Autore la diretta applicabilità delle norme non
corrisponde, tuttavia, necessariamente ad un aumento della discrezionalità giudiziale ai danni
di quella legislativa. La mitigazione delle critiche nei confronti dell’uso giudiziale di norme
di principio avviene attraverso l’adozione di una particolare tecnica dell’autoapplicabilità,
quella della cd tutela minima dei diritti fondamentali. Essa, infatti, bene si presta «a
salvaguardare più che a erodere la discrezionalità del potere politico-legislativo» … «se si
ricostruisce la tutela minima come tecnica di alleggerimento della responsabilità del giudice
(Corte costituzionale e giudice comune)». L’autoapplibalità, in questa prospettiva,
consisterebbe null’altro che nell’onere di bilanciamento che in concreto grava sul giudice.
Un esempio addotto è quello del risarcimento del danno non patrimoniale ex art. 2059 cc. In
quel caso l’interpretazione conforme della disposizione legislativa sarebbe stata null’altro
che applicazione della suddetta dottrina e, quindi, selezione in concreto degli interessi
costituzionalmente tutelati.
137
2. Le sue declinazioni giurisprudenziali: il matrimonio.
2.1 L’affidamento dei figli.
E’ del gennaio 2013 la sentenza con cui la Corte di Cassazione sez. I civ., ha
respinto il ricorso presentato avverso la sentenza con cui la Corte di Brescia
aveva rigettato l’appello proposto avverso il decreto del Tribunale per i
Minorenni che aveva disposto, tra l’altro, l’affidamento esclusivo del figlio
naturale dell’appellante e della sig.ra B.I. a quest’ultima, con incarico ai
servizi sociali territorialmente competenti di regolamentare gli incontri del
minore con il padre220. La Corte aveva ritenuto– tra gli altri– che «il motivo di
gravame con cui l’appellante insisteva per l’affidamento condiviso non avendo
il Tribunale valutato il contesto familiare in cui vive il minore e le
ripercussioni sul piano educativo e della crescita del medesimo derivanti dal
fatto che la madre, ex tossicodipendente, aveva una relazione sentimentale e
conviveva con una ex educatrice della comunità di recupero in cui era stata
Occorre subito rilevare che in tema di affidamento di figli a coppie omosessuali è
intervenuta di recente la Corte Europea dei diritti dell’uomo con la sentenza che ha deciso il
caso X. e altri contro Austria (GC, n° 19010/07, 19 febbraio 2013). La grande Camera ha
stabilito, con una maggioranza di dieci voti su diciassette, che l’Austria ha violato, nei
confronti delle ricorrenti, l’art. 14 in combinato disposto con l’articolo 8 della Convenzione,
a causa della propria legislazione che esclude a priori le sole coppie omosessuali dall’accesso
all’adozione, ammettendovi invece le coppie eterosessuali, ancorché non sposate. In assenza
«di argomenti puntuali, di studi scientifici o di altri elementi di prova in grado di dimostrare
che le famiglie omoparentali non possono in alcun caso occuparsi di un figlio», ha osservato
la Corte, la supposta inidoneità delle coppie omosessuali a crescere un figlio non può essere
legittimamente addotta come giustificazione ad una disparità di trattamento tra coppie
eterosessuali e omosessuali nell’accesso all’adozione. Per un primo commento, A. M. LECIS
COCCO–ORTU, La Corte europea pone un altro mattone nella costruzione dello statuto delle
unioni omosessuali: le coppie di persone dello stesso sesso non possono essere ritenute
inidonee a crescere un figlio, in www.forumcostituzionale.it.
220
138
ospitata, era inammissibile per genericità, non essendo specificato quali
fossero le paventate ripercussioni negative per il bambino». Il padre aveva,
quindi, proposto ricorso per cassazione articolando tre motivi di censura.
E’, però, solo il secondo motivo di censura a richiedere attenzione. Infatti, il
ricorrente denuncia «l’insufficienza della medesima motivazione quanto al
diniego dell’affidamento condiviso, che per legge costituisce la regola, onde la
Corte d’appello avrebbe dovuto motivare (...) la ritenuta idoneità della madre
all’affidamento esclusivo, a fronte del mancato espletamento dell’indagine
chiesta dal Servizio Sociale diretta a verificare se il nucleo familiare della
madre composto da due donne, tra di loro legate da relazione omosessuale,
fosse idoneo, sotto il profilo educativo, ad assicurare l’equilibrato sviluppo del
minore in relazione al suo diritto ad essere educato nell’ambito di una famiglia
quale società naturale fondata sul matrimonio». Per la Corte, il motivo è
inammissibile, non solo «perché il ricorrente si limita a fornire una sintesi del
motivo di gravame in questione, dalla quale, invero, non risulta alcuna
specificazione delle ripercussioni negative, sul piano educativo e della crescita
del bambino, dell’ambiente familiare in cui questi viveva presso la madre:
specificazione la cui mancanza era stata appunto, stigmatizzata dai giudici di
appello». Ma anche perché «alla base della doglianza del ricorrente non sono
poste certezze scientifiche o dati di esperienza, bensì il mero pregiudizio che
sia dannoso per l’equilibrato sviluppo del bambino il fatto di vivere in una
famiglia incentrata su una coppia omosessuale. In tal modo si da per scontato
139
ciò che invece è da dimostrare, ossia la dannosità di quel contesto familiare
per il bambino, che dunque correttamente la Corte d’appello ha preteso fosse
specificamente argomentata». L’argomentazione dei giudici di legittimità è, in
realtà, minimale. Il ricorso è, infatti, respinto per genericità della motivazione
e non c’è nessun passaggio che, nella sostanza, si appunti sull’equiparazione
delle tutele tra coppie etero e coppie omosessuali. Tuttavia, la decisione si
mostra applicativa del principio costituzionale elaborato dalla Corte di
Cassazione nella sentenza n. 4184 del 2012, nella parte in cui si riferisce– più
volte– alla relazione omosessuale della madre affidataria con il sintagma di
relazione familiare. L’uso della nozione di famiglia con riferimento ad un
legame omosessuale è – evidentemente– conseguenza di una operazione
interpretativa/applicativa che si può con facilità definire costituzionalmente
orientata ad un principio costituzionale, così come interpretato dalla
giurisprudenza di legittimità221.
La considerazione per cui l'operazione di interpretazione/ applicazione si ha riguardo ad
un principio costituzionale, ma così come definito– ed esteso rispetto al suo originario
significato– dalla giurisprudenza di legittimità, riduce le distanze fra l'interpretazione
conforme a Costituzione e a Cedu. Che le due forme di interpretazioni siano legate e si
intreccino nella pratica giurisprudenziale è conseguenza della nuova formulazione dell'art.
117, primo comma, Cost, così come modificato dalla l. cost. n. 3 del 2001.
Sull'interpretazione conforme a Costituzione e sulle sue specificità, dovuta alla
conformazione tipicamente giurisprudenziale del parametro la letteratura è densissima, ma
sul punto specifico, E. LAMARQUE, Il vincolo alle leggi statali e regionali derivante dagli
obblighi internazionali nella giurisprudenza comune, in Aa.V.v. Corte Costituzionale, giudici
comuni e interpretazioni adeguatrici, cit. p. 97 e ss. M. MASSA, La «sostanza» della
giurisprudenza europea sulle leggi retroattive in Giur. Cost. 2009, pp. 4679 e ss.; A.
GUAZZAROTTI, Uso e valore del predente Cedu nella giurisprudenza costituzionale e
comune posteriore alla svolta del 2007, Relazione al seminario di studi “La Cedu, tra
effettività delle garanzie e integrazione degli ordinamenti”, Università degli studi di Perugia,
Facoltà di Giurisprudenza, 17 novembre, 2011 , consultabile in www.diritti–cedu.unipg.it
221
140
2.2 La previdenza.
In materia assistenziale e previdenziale è degna di particolare segnalazione,
perché esplicitamente applicativa dei principi affermati dalla giurisprudenza di
legittimità e dalla giurisprudenza europea, la sentenza della Corte di Appello
di Milano, Sezione Lavoro, n. 407 del 31 agosto 2012 che respinge l’appello
proposto dalla Cassa mutua Nazionale per il personale delle Banca di credito
cooperativo avverso la sentenza del Tribunale che accoglieva la domanda
relativa all’iscrizione alla cassa del convivente omosessuale del ricorrente
richiamando, quale criterio ermeneutico, l’art. 1369 c.c., e rilevando che il
riferimento al “matrimonio”, come concepito dalla legislazione nazionale,
fosse solo uno dei possibili significati dell’espressione “more uxorio” in
contestazione tra le parti, con la conseguenza che doveva privilegiarsi una
interpretazione atta a garantire il raggiungimento dello scopo della previsione
statutaria (ossia l’assistenza sanitaria dei destinatari e dei loro familiari aventi
diritto, ad integrazione o sostituzione delle prestazioni del servizio sanitario
nazionale) e ad evitare una discriminazione per motivi di orientamento
sessuale. (così, Tribunale di Milano sent. n. 5267 del 2009). Avverso la
predetta decisione ha proposto appello la Cassa Mutua Nazionale per il
Personale delle Banche di Credito Cooperativo .
141
Secondo l’appellante la previsione dell’art. 4 dello Statuto nella parte in cui
individua come destinatari del beneficio dell’assistenza sanitaria anche il
“convivente more uxorio” dovrebbe intendersi limitata all’estensione dei
benefici alle sole coppie composte da un uomo e una donna che, pur non
essendo sposati, convivono: l’espressione usata nello Statuto sarebbe quindi
riferibile esclusivamente all’unione di due persone di sesso diverso, dovendosi
escludere l’estensione dei benefici alle coppie omosessuali.
Secondo la prospettazione dell’appellante questa sarebbe, non solo l’unica
interpretazione conforme alla volontà delle parti, ma altresì l’unica coerente
con il significato generalmente attribuito all’espressione “more uxorio”,
secondo le definizioni rinvenibili nei numerosi dizionari della lingua italiana
allegati per estratto agli atti di causa. Ha, poi, evidenziato che in Italia non era,
e non è, ad oggi, riconosciuta la convivenza omosessuale, per cui non è
riconducibile alla comune intenzione delle parti la possibilità di comprendere
tra i beneficiari delle prestazioni sanitarie le coppie omosessuali, anche a
prescindere dal fatto che risultino conviventi dallo stato di famiglia.
L’appellato ha resistito, rinunciando espressamente alla domanda di
risarcimento danni proposta in prime cure e chiedendo la conferma della
gravata sentenza. La pronuncia si concentra, quindi, sulla questione di natura
esclusivamente interpretativa, in particolare dell’art. 4 dello Statuto, rubricato
“beneficiari delle prestazioni”.
Per la Corte, «anche secondo i più recenti orientamenti giurisprudenziali si
142
deve ritenere che il canone della buona fede rappresenti l’anello di
congiunzione tra la ricerca della reale volontà delle parti (che costituisce di
norma il passaggio primo del processo ermeneutico) e il persistere di un
dubbio sul contenuto della volontà contrattuale, ovvero l’esigenza di tutelare
l’affidamento che un terzo abbia maturato il significato obiettivo della
dichiarazione frutto della volontà dei contraenti originari». Per la Corte, «nel
caso di specie, non può revocarsi in dubbio che l’appellato, quale beneficiario
della Cassa Mutua Nazionale, sia soggetto terzo titolare di uno specifico
affidamento circa il significato oggettivo delle previsioni dello Statuto e
istruzioni operative della Cassa».
Osserva, quindi, la Corte che l’art. 4 dello Statuto stabilisce espressamente che
«hanno diritto alle prestazioni della Cassa di Destinatari, i loro famigliari
fisicamente a carico e il convivente more uxorio, risultante dallo stato di
famiglia e con reddito non superiore a quello previsto per essere considerato
famigliare fiscalmente a carico».
L’applicazione del principio di buona fede porta a escludere che
all’espressione “convivenza more uxorio” possa essere riconosciuto il
significato attribuitole in un’epoca ormai risalente, dovendo la stessa essere
interpretata in considerazione dell’attuale realtà economico–sociale, degli
schemi oggi socialmente riconosciuti. Ed è, a questo punto, che la Corte
richiama
l’evoluzione
giurisprudenziale
in
materia
di
matrimonio
omosessuale. Infatti dice «al riguardo, giova rammentare come la Corte
143
Costituzionale, con sentenza del 23 marzo 2010, n. 138, abbia affermato che
“l’art. 2 Cost. dispone che la Repubblica riconosce e garantisce i diritti
inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si
svolge la sua personalità e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di
solidarietà politica, economica e sociale. Orbene, per formazione sociale deve
intendersi ogni forma di comunità, semplice o complessa, idonea a consentire
e favorire il libero sviluppo della persona nella vita di relazione, nel contesto
di una valorizzazione del modello pluralistico. In tale nozione è da annoverare
anche l’unione omosessuale , intesa come stabile convivenza tra due persone
dello stesso sesso, cui spetta il diritto fondamentale di vivere liberamente una
condizione di coppia, ottenendone – nei tempi, nei modi e nei limiti stabiliti
dalla legge – il riconoscimento giuridico con i connessi diritti e doveri».
Richiama, poi, espressamente la giurisprudenza europea e di legittimità che
offre la già anticipata nozione estensiva di famiglia. I giudici di legittimità
sottolineano, infatti, che «la pronuncia in commento segue quella della Corte
Europea dei Diritti dell’Uomo nella quale si è affermato che il diritto al
rispetto della vita privata e familiare garantito dalla Convenzione europea per
la salvaguardia dei diritti umani e delle libertà fondamentali impone la
qualifica di famiglia anche alle unioni formate da persone dello stesso sesso
(cfr. Prima Sezione, 24 giugno 2010, Schalk and Kopf contro Austria)». Il
riferimento, poi, si estende alla sentenza n. 4184 del 2012 con cui- nella
ricostruzione-
la Suprema Corte ha osservato come , già da tempo ed
144
attualmente, «la realtà sociale e giuridica Europea ed extraeuropea mostra, sul
piano sociale, il diffuso fenomeno di persone dello stesso sesso stabilmente
conviventi e, sul piano giuridico, sia il riconoscimento a tali persone, da parte
di alcuni Paesi Europei (anche membri dell’Unione Europea, come nella
specie) ed extraeuropei, del diritto al matrimonio , ovvero del più limitato
diritto alla formalizzazione giuridica di tali stabili convivenze e di alcuni diritti
a queste connessi, sia
(…) un’interpretazione profondamente “evolutiva”
dell’art. 12 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle
libertà fondamentali e dell’art. 9 della Carta dei diritti fondamentali
dell’Unione Europea».
I giudici, poi, concludono in maniera interessante, sostenendo che i
«componenti della coppia omosessuale, conviventi in stabile relazione di fatto,
se – secondo la legislazione italiana – non possono far valere né il diritto a
contrarre matrimonio né il diritto alla trascrizione del matrimonio contratto
all’estero, tuttavia – a prescindere dall’intervento del legislatore in materia –
quali titolari del diritto alla “vita familiare” e nell’esercizio del diritto
inviolabile di vivere liberamente una condizione di coppia e del diritto alla
tutela giurisdizionale di specifiche situazioni, segnatamente alla tutela di altri
diritti fondamentali, possono adire i giudici comuni per far valere, in presenza
appunto di “specifiche situazioni”, il diritto ad un trattamento omogeneo a
quello assicurato dalla legge alla coppia coniugata e, in tale sede,
eventualmente sollevare le conferenti eccezioni di illegittimità costituzionale
145
delle disposizioni delle leggi vigenti, applicabili nelle singole fattispecie, in
quanto ovvero nella parte in cui non assicurino detto trattamento, per assunta
violazione delle pertinenti norme costituzionali e/o del principio di
ragionevolezza».
Le sentenze richiamate nella parte motiva, fanno dire alla Corte adita «che
nell’attuale realtà politico–sociale la convivenza more uxorio, intesa quale
comunione di vita caratterizzata da stabilità e dall’assenza del vincolo
del matrimonio, nucleo familiare portatore di valori di solidarietà e sostegno
reciproco, non è soltanto quella caratterizzata dall’unione di persone di sesso
diverso, ma è altresì quella propria delle unioni omosessuali alle quali il
sentimento socialmente diffuso riconosce il diritto alla vita familiare
propriamente intesa. Le previsioni dello Statuto già sopra richiamate
depongono a favore di un’interpretazione utile a garantire l’estensione dei
benefici ivi previsti alle unioni di fatto equiparabili a quelle scaturenti dal
matrimonio in quanto rientranti nella nozione comune di convivenza more
uxorio. È questa è una condizione che deve essere riconosciuta, nella società
attuale, anche alle convivenze omosessuali222».
Anche qui, come nella sentenza in tema di affidamento dei figli, i giudici si
Alle stesse conclusione arrivava già nel 2009 il Tribunale di Milano, con sentenza 15
dicembre 2009, il quale sempre in relazione ad una richiesta di inscrizione del convivente
more uxorio alla Cassa mutua di Previdenza riconosceva che
«La
convivenza omosessuale non modifica il concetto di convivenza "more uxorio", poiché tale
locuzione, che sta ad esprimere un modo di vivere come conviventi, è conforme sia alla
convivenza omosessuale che a quella eterosessuale».
222
146
trovano a operare una interpretazione estensiva, diretta da un principio
costituzionale, così come inteso dalla giurisprudenza interna ed europea.
2.3 L’immigrazione.
In materia di immigrazione, offre una interpretazione conforme, ma
all’interpretazione offerta dalla Corte Edu nel già citato caso Shalk and Kopft,
il Tribunale di Reggio Emilia, sez. I con la sentenza del 13 febbraio 2012. Il
ricorrente, cittadino uruguayano, presentava ricorso avverso il provvedimento
emesso in data 2.2.2011 dalla Questura di Reggio Emilia di diniego di carta di
soggiorno esponendo d’essere coniuge di un cittadino italiano. Rilevava,
anche, di aver contratto matrimonio con quest’ultimo in Spagna, in conformità
alla normativa nazionale.
La questione che impegna il Tribunale riguarda, quindi, l’interpretazione del
d.lgs. n. 30 del 2007, il quale all’art. 7, I comma lett. d) in collegamento con
l’art. 2 lett b n. 1, riconosce il diritto a soggiornare in Italia per un periodo
anche superiore a tre mesi a qualsiasi cittadino dell’Unione che si rechi o
soggiorni in uno Stato membro diverso da quello di cui ha la cittadinanza,
nonché al coniuge che lo accompagni o lo raggiunga. Per Il Tribunale «si
evidenzia la necessità di verificare il significato del termine “coniuge” ai sensi
della medesima; si tratta, invero, di comprendere se con tale termine il
147
Legislatore europeo, e quindi quello nazionale che ha dato applicazione alla
Direttiva223, abbia fatto implicito rimando alla normativa interna del Paese
ospitante; se abbia presupposto una nozione di coniuge che comprenda
soltanto i membri di coppie sposate di diverso genere (e che ruolo giochi il
rimando alle normative nazionali contenuto nell’art. 9 della Carta di Nizza); se
abbia inteso riferirsi alla nozione di “coniuge” secondo le normative nazionali
del Paese di origine (legge nazionale dei coniugi) o, ancora, del Paese di
provenienza».
Per i giudici alla prima opzione ermeneutica appare «ostativa la scelta del
Legislatore di distinguere, nell’ambito dell’art 2 lettera b) del D. Lgs. n. 30 del
2007, l’ipotesi prevista al n. 1 dall’ipotesi di cui al n. 2; mentre al n. 1 la
disposizione recita “coniuge” senza alcuna ulteriore specificazione, al n. 2
della stessa lettera del medesimo articolo, la disposizione indica “il partner che
abbia contratto con il cittadino dell’Unione un’unione registrata sulla base
della legislazione di uno Stato membro”, specificando che il diritto è
riconosciuto soltanto “qualora la legislazione dello Stato membro ospitante
equipari l’unione registrata al matrimonio e nel rispetto delle condizioni
previste dalla pertinente legislazione dello Stato membro ospitante”».
La soluzione interpretativa escludente per le coppie omosessuali non è -dicono
La disciplina contenuta nel D.Lgs. n. 30 del 2007 è diretta applicazione della Direttiva
2004/38/CE avente come finalità precipua la tutela della libera circolazione in ambito U.E.,
in particolare il "diritto dei cittadini dell'Unione e dei loro familiari di circolare e di
soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri"
223
148
i giudici- suggerita nemmeno dalla normativa europea. Al contrario l’art. 9
della Carta di Nizza, ormai in vigore dal 1° dicembre 2009 in quanto recepita
dal Trattato di Lisbona, modificativo del Trattato sull’Unione europea e del
Trattato che istituisce la Comunità europea, ha individuato in capo ad ogni
persona “il diritto di sposarsi e di costituire una famiglia”, senza alcuna
limitazione alle sole coppie di diverso genere, optando per un’espressione
diversa da quella contenuta nell’art. 12 della Convenzione europea sui diritti
dell’uomo e le libertà fondamentali (il quale, rubricato “il diritto al
matrimonio” recita che «a partire dall’età minima per contrarre matrimonio,
l’uomo e la donna hanno il diritto di sposarsi e di fondare una famiglia
secondo le leggi nazionali che regolano l’esercizio di tale diritto»).
A sostegno, poi, dell’interpretazione della nozione di coniugio, come
includente anche quello omosessuale ai fini dell’applicazione del d. lgs. del
2007, i giudici richiamano la sentenza della Corte Europea sul caso Shalk and
Kopft. E dunque, sostengono che «anche a norma della Convenzione europea
sui diritti dell’uomo e le libertà fondamentali, secondo l’interpretazione datane
dalla fonte più autorevole, i termini “matrimonio” e “coniuge” devono essere
intesi in senso inclusivo delle coppie, sposate in un Paese aderente alla
Convenzione, formate da persone dello stesso genere».
Il ricorso viene, quindi, accolto e il conseguente annullamento del
provvedimento di diniego motivato dall’esigenza di «dare attuazione al
“diritto fondamentale di vivere liberamente una condizione di coppia”
149
riconosciuto all’unione affettiva tra due persone dello stesso sesso dall’art. 2
Cost. (in questo senso, Corte Costituzionale sent. n. 138/2010), che sarebbe
certamente impedito in radice in ipotesi di negazione del diritto a proseguire la
relazione affettiva dopo il trasferimento in Italia».
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