UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI NAPOLI FEDERICO II DOTTORATO DI RICERCA IN DIRITTO PUBBLICO E COSTITUZIONALE XXV CICLO L’interpretazione conforme a Costituzione. Aspetti teorici e applicazioni pratiche. Tutor: Ch.mo Prof. Vincenzo Cocozza Candidato: Dott.ssa Maria Antonella Gliatta Coordinatore: Ch.mo Prof. Agatino Cariola ANNO ACCADEMICO 2012- 2013 1 2 INDICE Considerazioni introduttive………………………………………………………..6 CAPITOLO PRIMO GIUDICI COMUNI E GIUDIZIO COSTITUZIONALE 1. La funzione della questione di legittimità come discrimen nei rapporti tra giudici comuni e giudice costituzionale…………………………………………………...p.12 2. Le principali posizioni emerse in dottrina: 2.1 L’accentuazione del profilo soggettivo: la questione di legittimità costituzionale come strumento di garanzia dei diritti costituzionali………………………………………………………………………p.24 2.2 Le posizioni ambivalenti……………………………………............................p.29 2.3 La non manifesta infondatezza come “separazione”……………………………………………………………………...p.30 2.4 Recenti approdi sul problema del rapporto tra giudizio costituzionale e giudizio a quo …………………………………………………………….p.36 3. I due giudizi: i limiti della relazione tra Giudici comuni e Corte 3 costituzionale……………………………………………………………………..p.39 4. L’accesso alla Corte e le sue condizioni “tradizionali”: rilevanza e non manifesta infondatezza……………………………………………………………………….p.39 5. Una prima conclusione………............................................................................p.50 CAPITOLO SECONDO L’INTERPRETAZIONE CONFORME PRESUPPOSTI TEORICI E DIFFICOLTÀ RICOSTRUTTIVE 1. L’interpretazione conforme: le difficoltà di inquadramento teorico…………………………………………………………………………p.56 2. La rilevanza e non la non manifesta infondatezza di fronte all’obbligo di composizione ermeneutica. Spunti per una ricostruzione…………………….p.62 3.Alla ricerca di un fondamento logico. I limiti dell’interpretazione conforme………………………………………………………………………p.82 4. L’obbligo di interpretazione conforme nella giurisprudenza costituzionale del biennio 2011-2012……………………………………………………………p. 92 5.Interpretazione conforme e applicazione diretta della Costituzione: la ricerca di una linea distintiva…………………………………………………………...p.105 6. Una recente giurisprudenza amministrativa in materia di pari opportunità: le ricadute sul piano interpretativo……………………………………………...p.115 4 CAPITOLO TERZO UN CASE STUDY: INTERPRETAZIONE CONFORME ED EVOLUZIONE DELLA NOZIONE COSTITUZIONALE DI “FAMIGLIA” 1. L’ausilio dell’interpretazione conforme alla connotazione della famiglia come nozione costituzionale “dinamica”………………………………………p.125 2. Le sue declinazioni giurisprudenziali: il matrimonio 2.1 L’affidamento dei figli…………………………………......p138 2.2 La previdenza……………………………………..............p.141 2.3 L’immigrazione……………………………………………..p.147 Bibliografia consultata………………………………………………………p.152 5 Considerazioni introduttive Il tema dell’adeguamento interpretativo delle leggi a Costituzione ad opera della giurisprudenza comune soffre – potrebbe dirsi – di una consistente problematizzazione dovuta ad una contrapposizione fra orientamenti giurisprudenziali e ricostruzioni dottrinali. A fronte, infatti, di un costante orientamento della Corte costituzionale, indiscutibilmente favorevole alla valorizzazione dell’attività di prevenzione del contrasto gerarchico fra legge e Costituzione, le voci in dottrina sono spesso polarizzate su posizioni di netta opposizione. Ciò ha reso quello dell’interpretazione conforme un problema all’interno del sistema di giustizia costituzionale italiano. Già sul finire degli anni ’80 la Corte comincia a configurare l’obbligo di interpretazione conforme come un requisito processuale della questione di legittimità costituzionale, in difetto del quale dichiara la questione inammissibile. Gli strumenti prescelti per sanzionare il mancato tentativo di adeguamento a Costituzione si differenziano nel tempo, alternandosi fra dispositivi di infondatezza “nei sensi di cui in motivazione”, di rigetto cd. occulti e ordinanze di inammissibilità, semplice o manifesta1. Per una ricostruzione delle tipologie decisionali adottate dalla Corte per sanzionare il mancato rispetto dell’obbligo di interpretazione conforme, G. SORRENTI, L’interpretazione conforme a Costituzione, Milano 2006, pp. 209 e ss. 1 6 La formula con cui la Corte esemplifica il ruolo sussidiario che riserva alla dichiarazione di illegittimità ex art. 136 Cost. all’interno del sindacato incidentale delle leggi ha trovato, poi, una chiara cristallizzazione nella sentenza n. 356 del 1996. In quell’occasione la Corte dichiarò la questione inammissibile perché – disse – «in linea di principio, le leggi non si dichiarano costituzionalmente illegittime perché è possibile darne interpretazioni incostituzionali (e qualche giudice ritenga di darne), ma perché è impossibile darne interpretazioni costituzionali». L’anno successivo, con la sentenza 224, precisò che «la risoluzione dell'eventuale dubbio interpretativo in ordine alla norma impugnata è lasciata alla preliminare valutazione del rimettente, vuoi ai fini della richiesta motivazione sulla rilevanza della questione di legittimità costituzionale nel giudizio a quo vuoi in ossequio all’obbligo, pure posto a carico dello stesso giudice, della interpretazione adeguatrice, ove possibile, alla Costituzione». L’orientamento è andato, poi, consolidandosi. Valga come dato esemplificativo il riferimento all’ultimo biennio. Nel 2011, la Corte pronuncia tredici ordinanze di inammissibilità per omessa interpretazione conforme (ord. nn. 15, 101, 103, 137, 139, 167, 173, 212, 222, 266, 270, 287), due ordinanze di manifesta infondatezza rispettivamente per erroneo presupposto interpretativo e per omessa interpretazione conforme (ord. nn. 270 e 173), tre sentenze di non fondatezza della questione nei sensi di cui in motivazione (sentt. nn. 49, 83, 248). Nel 2012 la Corte pronuncia dieci ordinanze di 7 inammissibilità per omessa interpretazione conforme (ord. nn. 26, 44, 102, 125, 146, 181, 194, 254, 255, 304), un’ordinanza di restituzione degli atti (ord. n. 150) e una sentenza di non fondatezza nei sensi di cui in motivazione (sent. n. 109), una sentenza di inammissibilità (sent. n. 58). A fronte di un quadro giurisprudenziale univoco, quanto meno sulla affermazione del carattere sussidiario del giudizio di legittimità rispetto allo sforzo preventivo del giudice comune, gli orientamenti dottrinali sono spesso assestati su posizioni critiche. Gli ostacoli che impedirebbero una piena valorizzazione dell’attività di interpretazione conforme ad opera dei giudici o – quanto meno – che richiederebbero una più decisa definizione dei suoi limiti sono, nella maggior parte dei casi, coincidenti con i rischi di alterazione del sistema di giustizia costituzionale accentrato e con la relativa espromissione delle competenze della Corte costituzionale2. Ma la critica, poi, intreccia, anche il rischio di un affievolimento del vincolo di soggezione del giudice alla legge che discenderebbe da una pratica giudiziale sostanzialmente per principi3. L’analisi delle posizioni critiche e la verifica della loro consistenza rivela, tuttavia, la necessità di una opzione preliminare di fondo. In questo senso, A. PACE, I limiti dell’interpretazione adeguatrice, in Giurisprudenza costituzionale, 1963, pp. 1070 e ss. M. LUCIANI, Le funzioni sistemiche della Corte Costituzionale, oggi, e l’interpretazione “conforme a”, Relazione tenuta il 18 maggio 2007 al Convegno “Il ruolo del giudice: le magistrature supreme”, Università di Roma Tre; G. SORRENTI, L’interpretazione conforme…, cit., pp. 140 e ss. 2 3 G. SORRENTI, ivi, pp. 124 e ss. 8 Il problema dell’interpretazione conforme diventa, così, sostanzialmente un problema di prospettiva. L’inquadramento del metodo interpretativo in esame richiede, infatti, la definizione della funzione della questione di legittimità costituzionale. E’ questo, un profilo trascurato dalle indagini sul tema. La maggior parte delle ricostruzioni assume, infatti, come angolo visuale quello della teoria dell’interpretazione e, per questa via, insiste sulla ricerca di un limite attraverso una più generale definizione del rapporto fra giudice e legge nella fase di interpretazione/applicazione del diritto4. Nonostante se ne riconosca la strumentalità, la prospettiva che parte dalla ricerca di un metodo giuridico prescrittivo risulta monca, in assenza di una assunzione preliminare. Il grado di accettabilità del canone dell’interpretazione conforme e il ruolo da questa esercitato nel complesso sistema di garanzia costituzionale non può, infatti, essere definito senza che si prenda posizione sul destinatario della dichiarazione di illegittimità costituzionale. L’analisi, quindi, prenderà avvio dalla costruzione del modello di giustizia costituzionale sull’alternativa fra l’opzione cd. oggettiva/astratta e quella soggettiva/concreta. Individuata la funzione prevalente della questione di legittimità costituzionale, si passerà, poi, alla definizione dei presupposti processuali della rilevanza e della non manifesta infondatezza. Alla delineazione delle linee essenziali del sindacato di legittimità costituzionale seguirà, senza soluzione di continuità, l’inquadramento teorico 4 Fra tutti, G. SORRENTI, ivi, pp. 57 e ss. 9 del canone dell’interpretazione conforme. Le diverse declinazioni dei significati della rilevanza e della non manifesta infondatezza, influenzate dall’opzione preliminare, permetteranno di fissare il grado di compatibilità dell’attività di adeguamento preventivo al modello di controllo, così come originariamente delineato dalla Costituzione e dalle leggi attuative. L’opzione iniziale, poi, ne condizionerà la stessa individuazione del fondamento logico e del limite che il giudice incontra nella scelta tra la dichiarazione della non manifesta infondatezza e/o irrilevanza della questione e la remissione degli atti ex art. 23 l. 87 del 1953. L’assunzione di un punto di vista schiettamente empirico, permetterà invece, di prendere in considerazione il secondo dei profili problematici, ovvero la presunta frizione con il vincolo di soggezione alla legge. Il rapporto fra giudici, legge e Costituzione, risulta, infatti, messo alla prova da tecniche interpretative che manipolano il testo legislativo, attraverso operazioni di significazione estensive e/o evolutive. La complessità del tema, suggerisce, tuttavia, di preferire un’analisi giurisprudenziale a quella esclusivamente teorica che offra un panorama sui modi di esercizio della funzione giurisdizionale, prevalentemente in caso di assenza di tutele legislative. Il “caso” della rappresentanza femminile e quello del matrimonio omosessuale saranno, infatti, le aree tematiche a partire dalla quali si snoderà un’analisi giurisprudenziale che tenterà di descrivere i rapporti fra decisione giudiziaria e “argomenti” costituzionali. 10 11 CAPITOLO PRIMO GIUDICI COMUNI E GIUDIZIO COSTITUZIONALE SOMMARIO: 1. La funzione della questione di legittimità come discrimen nei rapporti tra giudici comuni e giudice costituzionale. 2. Le principali posizioni emerse in dottrina. 2.1. L’accentuazione del profilo soggettivo: la questione di legittimità costituzionale come strumento di garanzia dei diritti costituzionali. 2.2. Le posizioni “ambivalenti”. 2.3. La non manifesta infondatezza come “separazione”. 2.4. Recenti approdi sul problema del rapporto tra giudizio costituzionale e giudizio a quo. 3. I due giudizi: i limiti della relazione tra Giudici comuni e Corte costituzionale 4. L’accesso alla Corte e le sue condizioni “tradizionali”: rilevanza e non manifesta infondatezza. 5. Una prima conclusione. 1. La funzione della questione di legittimità come discrimen nei rapporti tra giudici comuni e giudice costituzionale. Quello che suole definirsi come il “problema” dell’interpretazione conforme richiede la soluzione di svariate questioni preliminari e l’adozione di numerose opzioni teoriche di fondo. Innanzitutto, sembra indispensabile individuare quale funzione assolva, nel nostro ordinamento, la questione di legittimità costituzionale. L’obiettivo che 12 si segue con l’ordinanza di remissione – d’ufficio o su istanza di parte – contribuisce, infatti, inevitabilmente a segnare il riparto competenziale fra giudici e Corte Costituzionale in tema di contrasti gerarchici fra norme 5 e a definire lo statuto giuridico dell’interpretazione conforme. Nonostante risulti dirimente, è questo un profilo trascurato nelle indagini sul tema – o meglio – non ne è sufficientemente sottolineato il collegamento funzionale con il profilo dell’interpretazione in conformità alla Costituzione6. Eppure sembra particolarmente chiaro che dalla definizione dell’interesse che sottende la remissione degli atti alla Corte, ne risulti anche tracciato lo spazio che residua all’attività di composizione preventiva dei contrasti fra legge e Costituzione. I limiti posti alle decisioni secundum Constitutionem rese nei giudizi ordinari – o addirittura il loro grado di omogeneità con il sistema di giustizia costituzionale cd accentrato – variano a seconda di quale scopo si intenda perseguire con la proposizione della questione di legittimità costituzionale. Le Sulla gerarchia delle fonti del diritto, tra gli altri, V. CRISAFULLI, voce Fonti del diritto (diritto costituzionale), in Enc. Dir., XVII; A. RUGGERI, Gerarchia, competenza e qualità nel sistema costituzionale delle fonti normative, Milano,1977; G. ZAGREBELSKY, Manuale di diritto costituzionale, I. Il sistema delle fonti del diritto, Torino, 1987; A. PIZZORUSSO, Fonti (Sistema costituzionale delle), in D. disc. pubbl., VI, Torino, 1991; F. MODUGNO, La teoria delle fonti nel pensiero di Vezio Crisafulli, in Dir. soc., 1993; A. RUGGERI, Fonti e norme nell'ordinamento e nell'esperienza costituzionale, Torino, 1993; F. SORRENTINO, Le fonti del diritto, rist., Genova, 1994; L. PALADIN, Diritto costituzionale, Padova, 1995; F. MODUGNO, voce Fonti del diritto (gerarchia delle), in Enc. dir., Agg. I, Milano, 1997; G.U. RESCIGNO, Gerarchia e competenza, tra atti normativi, tra norme, in Diritto pubblico, 1–2, 2010; S. PARISI, La gerarchia delle fonti. Ascesa, declino e mutazioni, Napoli, 2012. 6 Ne fa accenno Giusi Sorrenti, senza tuttavia sviluppare le conseguenze sul tema in oggetto. G. SORRENTI, La “manifesta infondatezza” delle questioni di legittimità costituzionale e l’applicazione diretta della Costituzione nella prassi giudiziaria. Ovvero: una ricerca empirica su una risalente ipotesi, di rinnovata attualità, in E. MALFATTI, R. ROMBOLI, E. ROSSI (a cura di) Il giudizio sulle leggi e la sua “diffusione”. Verso un controllo di costituzionalità di tipo diffuso? Atti del seminario di Pisa svoltosi il 25 – 26 maggio 2001 in ricordo di Giustinio D’Orazio, p. 100. 5 13 posizioni si polarizzano su due alternative; da un lato, c’è chi ritiene che nel controllo di legittimità costituzionale prevalga l’interesse oggettivo e astratto alla coerenza costituzionale dell’ordinamento, dall’altro chi sottolinea l’incidenza della decisione del giudice costituzionale sulla posizione giuridica delle parti del processo a quo. Prima, però, di esporre le tesi sul punto e, di assumerne una come valido angolo visuale per l’indagine, è necessaria una precisazione. L’alternativa appena posta soffre di una eccessiva radicalizzazione. Non può, infatti, non tenersi conto che la remissione degli atti alla Corte persegue entrambi gli obiettivi appena enunciati, per via del carattere eclettico del giudizio di legittimità costituzionale7. La previsione di una duplice legittimazione a dare impulso al processo costituzionale – ovvero quella di parte e quella d’ufficio – dimostra, infatti, la contemporanea coesistenza di interessi eterogenei che contribuiscono a conformare la complessità del sistema di controllo incidentale delle leggi8. Se sollevata d’ufficio, l’ordinanza Distinguono nettamente le due ipotesi – di remissione d'ufficio e su istanza di parte – anche quanto a disciplina e presupposti, F. PIZZETTI – G. ZAGREBELSKY, «Non manifesta infondatezza» e «rilevanza» nella instaurazione incidentale del giudizio sulle leggi, Milano, 1972, p 6 e ss. 8 In questo senso, G. ZAGREBELSKY, Il diritto mite. Legge, diritti. Giustizia, Torino, 1992, pp. 78 e ss., il quale sottolinea le differenze – queste sì radicali – fra il sistema di controllo di costituzionalità cd di diritto obbiettivo in Francia e quello cd di diritto soggettivo statunitense. L'Autore rileva che, nel primo caso «il procedimento di controllo a priori si svolge come raffronto tra testi normativi, indipendentemente dalla loro concreta applicazione a casi concreti e, per quanto si siano avute aperture all'esigenza di un contraddittorio, non contempla la rappresentazione delle ragioni dei titolari dei diritti, di fronte alle ragioni dei “padroni” della legge». Al contrario, il sistema nord americano di giustizia costituzionale è incentrato sulla protezione delle posizioni giuridiche soggettive. «La tutela di questi diritti e non altro è la ragione essenziale di quel sistema di giustizia costituzionale, nel quale il 7 14 segnerà la prevalenza dell’interesse oggettivo al rispetto del criterio gerarchico, viceversa di quello soggettivo alla tutela dei diritti costituzionalmente rilevanti. Solo, quindi, una descrizione semplicistica potrebbe portare ad affermare l’assoluta prevalenza di un obiettivo su un altro. Pur tuttavia, è possibile rilevare l’accentuazione – anche solo contingente o temporanea – di un profilo rispetto all’altro. E’ indiscutibile che la composizione della Corte Costituzionale veicoli la figura dell’organo arbitrale «chiamato a regolare il conflitto latente e strutturante tra il potere legislativo e il potere giudiziario»9, come è evidente – controllo sulla legge, almeno da un punto di vista concettuale, avviene per incidens in procedimenti giudiziari su controversie che coinvolgono concretamente i diritti delle parti e nei quali le ragioni del legislatore non trovano alcuno spazio di autonoma rappresentazione». Tra i due modelli, si colloca, in posizione mediana il controllo di costituzionalità nei sistemi europei, diversi da quello francese, e quindi, anche quello italiano. Dice, infatti, l'Autore «a parte la Francia che su questo punto fa caso a sé, il controllo di costituzionalità sulle leggi in Europa è organizzato in modo tale da garantire un equilibrio fra le esigenze del legislatore e le esigenze dei diritti. Escludendo il judicial review of legislation americano, svolto in modo «diffuso» da tutti i giudici nell'ambito della loro normale giurisdizione sui diritti individuali, si è voluto creare un sistema speciale che evitasse di sfociare nella judicial supremacy, il che equivale a dire la supremazia, per il tramite della giurisdizione, dei diritti sulla legge. Il controllo di costituzionalità riservato ad organi ad hoc, distinti dal potere giudiziario ordinario, cioè la cosiddetta Verfassungsrichtsbarkeit o giurisdizione costituzionale, è rivolto a riconoscere, accanto a quelle dei titolari dei diritti costituzionali, le esigenze della legge e del legislatore». Come ogni schematizzazione, tuttavia, anche quella presentata dall'Autore vale fino a prova contraria e, infatti, è lui stesso a rilevare che «malgrado le differenze di principio tra i diversi sistemi di controllo di costituzionalità sulle leggi vi sono stati – come è noto – notevoli passi di avvicinamento. La Corte suprema degli Stati Uniti è ormai il giudice speciale delle grandi questioni di costituzionalità, analogo alle Corti costituzionali europee e, d'altra parte, la possibilità di innestare il controllo delle leggi, attraverso questioni pregiudiziali di costituzionalità, ha inserito le Corti costituzionali europee nel circuito giudiziario comune, con esiti sotto molti aspetti assimilabili a quelli del sistema statunitense. D'altra parte, lo stesso sistema francese ha subito una spettacolare evoluzione, tuttora in corso, verso una concezione «comune» della giustizia costituzionale». 9 R. BIN, L'applicazione diretta della Costituzione, le sentenze interpretative, l'interpretazione conforme a Costituzione della legge, in www.astridonline.it. pp. 7 e ss., il quale ha ragione a ritenere che «per scongiurare il rischio di un conflitto tra chi è investito del potere democratico di legiferare e chi è chiamato al ruolo sacerdotale di difendere il diritto (e la legalità costituzionale in primis), è stata introdotta quella “giurisdizione 15 viceversa – che il “giudice dei diritti” nel nostro sistema è il giudice ordinario (e, con i noti problemi di distinzione, quello amministrativo); il principio dominante è che ogni posizione di diritto (e di interesse) debba essere azionabile davanti alla giurisdizione»10. Ma, del pari, ha ragione chi rileva come la Corte «si è fatta nel corso del tempo “giudice tra i giudici”, preoccupandosi maggiormente dell’esito non incostituzionale delle controversie all’esame della magistratura che dell’impatto ordinamentale, sul diritto oggettivo, delle proprie pronunce»11. Lo scarso utilizzo della pronuncia di illegittimità tout court12, a tutto favore di particolarissima” rappresentata dalla Corte costituzionale: particolarissima essenzialmente per questo, perché è chiamata a svolgere un ruolo arbitrale tra il mondo della legislazione e quello dell’‟interpretazione-applicazione” della legge». 10 R. BIN, ivi, p. 8 11 In questo senso, E. LAMARQUE, La fabbrica delle interpretazioni conformi a Costituzione tra Corte Costituzionale e giudici comuni, in www.astridonline.it, p. 2 e ss. 12 Per un'indagine statistica sull’uso di dispositivi di accoglimento tout court R. ROMBOLI (a cura di), Aggiornamenti in tema di processo costituzionale (2008–2010). Nel 2004 sono state pronunciate ventitré sentenze che contengono una o più declaratorie di illegittimità costituzionale. Di queste, sono soltanto cinque quelle che si pronunciano in senso caducatorio di una intera disposizione (sentenze numeri 24, 114, 204, 282 e 315). Per quanto peculiare appare sostanzialmente riconducibile al genus dell'accoglimento tout court anche la sentenza n. 147, la quale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 30 bis, primo comma, del codice di procedura civile, «ad eccezione della parte relativa alle azioni civili concernenti le restituzioni e il risarcimento del danno da reato, di cui sia parte un magistrato, nei termini di cui all'art. 11 del codice di procedura penale». Nel 2005, sono state pronunciate 32 dispositivi di accoglimento. Soltanto in 6 occasioni si è avuta una dichiarazione di illegittimità costituzionale di una intera disposizione ( sentenze numeri 191, 220, 221, 278, 437 e 466). Tra queste, fra l'altro, può considerarsi come la sentenza 466, avendo ad oggetto una disposizione nel testo anteriore a modifiche apportate dal legislatore, ma non applicabili nel giudizio a quo, ha dichiarato l'incostituzionalità precisando, in motivazione, che essa colpisce «la disposizione censurata nel testo vigente prima delle modifiche introdotte». Nel 2006 sono state pronunciate ventinove sentenze che contengono una o più declaratorie di illegittimità costituzionale, per un totale di trenta dispositivi di annullamento. In quattordici occasioni si è avuta una dichiarazione di illegittimità costituzionale di una intera disposizione (sentenze numeri 39, 50, 58, 137, 232, 254, 308, 310, 341, 394, 411, 441 e 448). Nel 2007, sono state pronunciate trentasei sentenze che contengono una o più declaratorie di illegittimità costituzionale, per un totale di quarantotto dispositivi di annullamento. In sole otto occasioni si è avuta una dichiarazione di illegittimità 16 pronunce cd manipolative, mostrerebbe come la Corte decida sempre più spesso «di risolvere il problema pratico che avevano il giudice a quo e le parti del suo processo: quello di affermare la Costituzione in un rapporto giuridico controverso nonostante la presenza di un testo di legge incostituzionale perché lacunoso o sovrabbondante, o comunque bisognoso di essere corretto, più che cancellato del tutto»13. La prevalenza dell’interesse obiettivo richiederebbe – senza dubbio e al contrario – una pronuncia da cui non residui nessuna possibilità interpretativa incostituzionale e, quindi, la caducazione della disposizione viziata. L’affermarsi dell’uso di pronunce interpretative, invece, «è la conseguenza dello spostamento di prospettiva che si è determinato, uno spostamento le cui conseguenze non sempre sono state avvertite con chiarezza: lo spostamento del controllo di costituzionalità delle leggi dal terreno delle fonti a quello dell’interpretazione; dalla cura dell’astratta costituzionale di una intera disposizione (sentenze numeri 25, 116, 156, 171, 267, 348, 349, 364). Nel 2008 sono state pronunciate quarantaquattro sentenze che contengono una o più declaratorie di illegittimità costituzionale. In quattordici decisioni si è avuta una dichiarazione di illegittimità costituzionale di una intera disposizione (sentenze numeri 128, 179, 213, 214, 231, 271, 296, 350, 351, 361, 369, 370, 390, 399). Nel 2009 sono state pronunciate trentuno sentenze che contengono una o più declaratorie di illegittimità costituzionale. In otto occasioni si è avuta una dichiarazione di illegittimità costituzionale di un'intera disposizione (sentenze nn. 10, 24, 121, 137, 166, 214, 227 e 262). Nel 2010, sono state pronunciate quarantadue sentenze che contengono una o più declaratorie di illegittimità costituzionale, tra queste in 11 decisioni si è registrata una declaratoria di illegittimità costituzionale di una intera disposizione (sentenze nn. 44, 69, 108, 209, 214, 224, 249, 272, 293, 354, 366). Nel 2011, trentacinque sentenze contengono dispositivi di accoglimento, ma solo quindici dichiarano l'illegittimità costituzionale di intere disposizioni legislative (sentenze nn. 23, 41, 42, 181, 184, 188, 242, 243, 271, 280, 293, 309, 228, 238). 13 E. LAMARQUE, La fabbrica delle interpretazioni conformi a Costituzione..., cit., p. 3. Appunta la sua attenzione sugli aspetti processuali, tra cui l'uso delle sentenze interpretative per avvalorare la tesi della funzione soggettiva della questione di legittimità costituzionale, anche G. ROLLA, Giudizio di legittimità costituzionale in via incidentale e tutela dei diritti fondamentali, Testo della relazione tenuta il luglio 2004 in San José Costa Rica, consultabile in www.crdc.unige.it, pp. 10 e ss. 17 coerenza del sistema giuridico alla garanzia di successo dell’interpretazione. Tale spostamento, funzionale a ogni concezione della Costituzione come norma di applicazione giudiziaria, cioè come norma che entra in rapporto con la legge ai fini della risoluzione dei casi controversi, getta una luce del tutto diversa su quei contestati tipi di decisioni. Il compito della giustizia costituzionale, in questa luce, si rivela come quello della garanzia che il punto di vista della legge e quello della Costituzione, sul caso da decidere, non si contraddicano ma si fondino armonicamente»14. G. ZAGREBELSKY, La legge e la sua giustizia. Tre capitoli di giustizia costituzionale. Bologna, 2008, p. 261 e ss. A confortare, poi, la presunta torsione “soggettiva” della funzione della questione di legittimità costituzionale, non vi è solo l'utilizzo di pronunce più strumentali alla risoluzione della controversia pendente davanti al giudice a quo che alla garanzia del rispetto del criterio gerarchico, ma anche un dato emergente da una modifica costituzionale. La legge cost. n. 3 del 2001 e il nuovo art. 117, primo comma Cost., sottoponendo la legislazione statale e regionale al rispetto degli obblighi internazionali e comunitari, ha introdotto le Carte internazionali di protezione dei diritti umani nel sistema costituzionale italiano e aperto la strada del giudizio di legittimità costituzionale per la violazione “mediata” delle stesse. L’adeguamento dell'ordinamento italiano alle fonti internazionali e, in particolar modo alle Carte sui diritti, è tema che interseca quello qui in oggetto, ma che lo trascende per il punto di vista esclusivamente interno scelto. È, tuttavia, rilevante nella misura in cui conferma l'accentuazione del ruolo di giudice dei diritti per la Corte Costituzionale Tra i tanti e dopo le sentenze Corte Cost. n. 348–349 del 2007, E. LAMARQUE, Il vincolo alle leggi statali e regionali derivanti dagli obblighi internazionali nella giurisprudenza comune, in A.A V.V “Corte costituzionale, giudici comuni e interpretazioni adeguatrici”, Roma, Palazzo della Consulta, 6 novembre 2009; I. CARLOTTO, I giudici comuni e gli obblighi internazionali dopo le sentenze n. 348 e n. 349 del 2007 della Corte costituzionale: un’analisi sul seguito giurisprudenziale, in www.associazionedeicostituzionalisti.it; A. RUGGERI, La CEDU alla ricerca di una nuova identità, tra prospettiva formale–astratta e prospettiva assiologico–sostanziale d’inquadramento sistematico, in www.forumcostituzionale.it; A. RUGGERI, Ancora in tema di rapporti tra CEDU e Costituzione: profili teorici e questioni pratiche, in www.archivio.rivistaaic.it, 2008; M. CARTABIA, La Cedu e l’ordinamento italiano: rapporti tra fonti, rapporti tra giurisdizioni, in All’incrocio tra Costituzione e Cedu. Il rango delle norme della Convenzione e l’efficacia interna delle sentenze di Strasburgo, a cura di R. BIN – G. BRUNELLI – A. PUGIOTTO – P. VERONESI, Torino, 2007; D. TEGA, Le sentenze della Corte costituzionale nn. 348 e 349 del 2007: la Cedu da fonte ordinaria a fonte “sub– costituzionale” del diritto, in www.forumcostituzionale.it; F. DONATI, La Cedu nel sistema delle fonti del diritto alla luce delle sentenze della Corte Costituzionale del 24 ottobre 2007, in www.osservatoriosullefonti.it; S. CICCONETTI, Creazione indiretta del diritto e norme 14 18 Se quanto detto è vero, se si consolida l’idea dell’esercizio della funzione di garanzia costituzionale come strumento di tutela di posizioni soggettive rilevanti15, allora la singola decisione secundum Constitutionem resa nel giudizio ordinario, non solo è compatibile con il sistema di giustizia costituzionale accentrato, ma ne permette il corretto funzionamento in quanto parte di un meccanismo di tutela più ampio. All’irrilevanza cui sarebbe condannata ove si accentrasse in capo alla Corte solo l’astratto e obiettivo interposte, in www.associazioneitalianadeicostituzionalisti.it; T.F. GIUPPONI, Corte Costituzionale, obblighi internazionali e “controlimiti allargati”: che tutto cambi perchè tutti rimanga uguale?, in www.forumcostituzionale.it; R. DICKMANN, Corte Costituzionale e diritto internazionale nel sindacato delle leggi per contrasto con l'art. 117, primo comma, della Costituzione. Nota a Corte Cost., 22 ottobre 2007, n. 348 e 24 ottobre 2007, n. 349, in www.federalismi.it, 2007; T.E. FROSINI, Corte europea dei diritti dell’uomo e Costituzione italiana, in V. PARISIO (a cura di), Diritti interni, diritto comunitario e principi sovranazionali. Profili amministrativistici, Milano, 2009, pp. 177 e ss. 15 Che la funzione delle Corti costituzionali sia prevalentemente quella della tutela delle posizioni soggettive e dei diritti riconosciuti dalla Costituzione nei confronti dei pubblici poteri, M. CAPPELLETTI, La giurisdizione costituzionale delle libertà, Milano, 1950; L. PALADIN, La tutela delle libertà fondamentali offerta dalle Corti costituzionali europee: spunti comparatistici, in L. CARLASSARE (a cura di), Le garanzie giurisdizionali dei diritti fondamentali, Padova, 1988, pp. 11 e ss.; V. ONIDA, La corte e i diritti: tutela dei diritti fondamentali e accesso alla giustizia costituzionale, Studi in onore di Leopoldo Elia, II, Milano, 1999, pp. 1097 e ss. Sostiene, poi, che il giudizio di costituzionalità in via incidentale segni la prevalenza dell'interesse concreto alla tutela delle posizioni processuali delle parti del giudizio principale, G. ROLLA, Giudizio di legittimità costituzionale in via incidentale…, cit., p. 8 e ss., per cui lo stesso obbligo di interpretazione conforme che grava sul giudice comune evidenzia la strumentalità della questione di legittimità costituzionale rispetto alle posizioni delle parti del processo principale. Sull’evoluzione della funzione della Corte Costituzionale, insiste S. GAMBINO, La giurisdizione costituzionale delle leggi. L’esperienza italiana nell’ottica comparata (con particolare riguardo al giudizio in via incidentale) e in quella eurounitaria, in ID. (a cura di), Diritti fondamentali e giustizia costituzionale. Esperienze europee e nord-americana, Milano, 2012, il quale sottolinea che l’evoluzione del sistema di giustizia costituzionale corrisponde ad una accentuazione del ruolo di garante dei diritti, ma non solo in senso negativo e difensivo, ma anche suppletivo e integrativo, pp. 20 e ss. Si riferiscono al ruolo della Corte come quello di legislatore cd. positivo per intenderne l’evoluzione, G. ZAGREBLESKY, La Corte Costituzionale e il legislatore, in P. BARILE, E. CHELI, S. GRASSI (a cura di), Corte Costituzionale e sviluppo della forma di governo in Italia, Bologna, 1982, pp. 103 e ss.; G. SILVESTRI, Le sentenze normative della Corte Costituzionale, in AA. VV., Scritti su la giustizia costituzionale in onore di V. Crisafulli, I, Padova, 1985, pp. 755 e ss. A. PIZZORNO, R. ROMBOLI, E. ROSSI, Il contributo della giurisprudenza costituzionale alla determinazione della forma di governo italiana, Bologna, 1982. 19 controllo del rispetto del criterio di gerarchia, si sostituisce la necessaria valorizzazione dell’attività di prevenzione interpretativa del conflitto. Ma, nonostante posizioni contrarie, l’idea sembra confermata anche dalla disciplina normativa o – detto altrimenti – la prospettiva assunta ci permette di cogliere quegli aspetti che, poi, hanno permesso l’evoluzione cui si è fatto cenno. La regolamentazione positiva, in realtà, soffre di una complessità intrinseca a causa del carattere progressivo della normazione in materia. Alle previsioni contenute negli artt. 134 e ss. Cost. segue, infatti, prima la legge cost. n. 1 del 1948 e poi la l. n. 87 del 1953. L’arco temporale che intercorre tra gli interventi legislativi non poteva che causarne una diversità – ideologica – riguardo al ruolo sia della Corte che dei giudici. L’attivazione, prima timida, poi costante del controllo di legittimità costituzionale16 ha finito, infatti, per influenzare, da un lato la lettura dei dati normativi preesistenti, dall’altro gli stessi interventi successivi. L’indagine che segue mostrerà, infatti, quanto sia cambiato il rapporto fra giudici e giudizi fra la previsione dell’effetto abrogativo delle sentenze di annullamento di cui all’art. 136 Cost. e l’accentuazione del profilo di concretezza del giudizio costituzionale operata con l’art. 23 della legge del 1953. Nonostante si ritenga di condividere l’idea di chi ricostruisce la funzione della Sull'attivazione del sindacato di legittimità costituzionale italiano: G. ZAGREBELSKY, La giustizia costituzionale, Bologna, 1988; A. CERRI, Corso di giustizia costituzionale, Milano, 2008; E. MALFATTI, S. PANIZZA, R. ROMBOLI, Giustizia costituzionale, Torino, 2011. 16 20 questione di legittimità costituzionale in senso unitario17, indipendentemente cioè dal soggetto legittimato ad “adire” la Corte – il giudice o le parti – non può non tenersi conto della differenziazione operata sia dall’art. 1 della l. cost. n. 1 del 1948, sia dall’art. 23 della legge n. 87 del 1953 e di opinioni contrastanti in dottrina18. Sulla ratio della questione di legittimità sollevata dalle parti del processo a quo, in realtà, le posizioni in dottrina sono sostanzialmente omologate dalla univocità dell’intenzione del Costituente. In Commissione l’on. Leone affermava che «bisogna allargare la sfera di iniziativa, attribuendo tale potere anche al cittadino. Ciò sia per obbedire ad un’esigenza di attuazione larga del principio democratico, sia per svincolare la tutela del diritto del cittadino dal giudizio di un organo, che può in buona o in mala fede sacrificarlo mediante il mancato esercizio del potere di iniziativa»19. Il passo, testualmente riportato, veicola con immediatezza l’idea per cui la funzione della questione di legittimità costituzionale sollevata dalle parti del giudizio a quo sia quella di tutelare le posizioni soggettive di cui si controverte e che trovano tutela costituzionale. Ma l’idea per cui la remissione degli atti alla Corte su iniziativa delle parti in causa non abbia altro scopo che evitare la compressione di diritti Tra gli altri, P. CALAMANDREI, Corte Costituzionale ed Autorità giudiziaria, in Opere giuridiche, III, Napoli, 1968, pp. 621 e ss. 18 Sono, infatti, dell’idea che la funzione della questione di legittimità costituzionale non possa essere ricostruita in senso unitario, F. PIZZETTI – G. ZAGREBELSKY, «Non manifesta infondatezza» e «rilevanza»…, cit., pp. 14 e ss. 19 Il resoconto dei lavori in Assemblea Costituente è consultabile in www.legislature.camera.it, seduta del 13 gennaio 1947. 17 21 costituzionali non necessita di trovare conforto nel dibattito in Costituente, se solo si ha riguardo al carattere inequivocabilmente concreto del modello di sindacato incidentale quale emerge dai già citati art. 1 l. cost. n. 1 del 1948 e art. 23 della l. n. 87 del 1953. L’art. 1 della l. cost. n. 1 del 1948 dispone che la questione di legittimità costituzionale di una legge o di un atto avente forza di legge della Repubblica rilevata d’ufficio o sollevata da una delle parti nel corso di un giudizio e non ritenuta dal giudice manifestamente infondata, è rimessa alla Corte costituzionale per la sua decisione. Del pari, e ad integrazione, per l’art. 23 della l. n. 87 del 1953 l’autorità giurisdizionale, qualora il giudizio non possa essere definito indipendentemente dalla risoluzione della questione di legittimità costituzionale o non ritenga che la questione sollevata sia manifestamente infondata, emette ordinanza con la quale, riferiti i termini ed i motivi della istanza con cui fu sollevata la questione, dispone l’immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale e sospende il giudizio in corso. Il rapporto di pregiudizialità – o come si dice di pertinenza – tra il giudizio costituzionale e il giudizio a quo non può che significare l’esclusione di un controllo astratto sulla conformità della legislazione ordinaria alle disposizioni costituzionali20. Per una opinione contraria, F. MODUGNO, Riflessioni interlocutorie sulla autonomia del giudizio incidentale, estratto dalla Rassegna di diritto pubblico, XX, 1965, pp. 62 e ss., il quale sottolinea la competenza accentrata della Corte Costituzionale a garanzia del rispetto del criterio gerarchico nei rapporti fra legge e fonte superiore. 20 22 La stessa omogeneità di cui si diceva non si rinviene, però, rispetto alla funzione della questione sollevata d’ufficio e al ruolo del giudice a quo nel sistema di controllo incidentale delle leggi. L’indecisione sullo scopo perseguito dal secondo dei modi di attivazione del giudizio costituzionale è, probabilmente, dovuta ad una formulazione legislativa che estende i presupposti e la disciplina dell’ipotesi di giudizio su istanza di parte a quello d’ufficio con un mero richiamo testuale che lascerebbe indiziare, in realtà, una diversità di regolamentazione.21 Nonostante posizioni contrarie, tuttavia – come detto – la tendenza è nel senso di unificare la fase introduttiva del giudizio, senza alcuna differenza tra l’ipotesi in cui l’iniziativa sia presa dalla parte e l’ipotesi in cui sia presa dal giudice. Attraverso la valorizzazione del rapporto di pregiudizialità che lega i due giudizi si afferma che la questione di legittimità costituzionale è questione del processo a quo ed ha come obiettivo la tutela delle posizioni giuridiche delle parti 22 . La cd rilevanza della questione diventa, così, elemento caratterizzante della questione di legittimità costituzionale su cui, del resto, il legislatore del 1953 appunta la sua attenzione e che ci conferma che quella “torsione soggettiva” cui si faceva riferimento era già in nuce e passibile di ulteriori sviluppi. Sulla eterogeneità di funzione e di disciplina per i due modi di attivazione del sindacato, F. PIZZETTI – G. ZAGREBELSKY, «Non manifesta infondatezza» e «rilevanza»…, cit., p. 20, per i quali in questo caso la funzione della questione di legittimità costituzionale «mira essenzialmente a consentire che tutte le disposizioni legislative prese in considerazione nel corso di un processo e su cui si manifesti un dubbio di costituzionalità siano sottoposte al vaglio della Corte Costituzionale». 22 In questo senso, fra tutti CALAMANDREI, Corte Costituzionale ed autorità giudiziaria, cit., p. 621. 21 23 Assunta la prospettiva unitaria che non differenzia l’analisi sulla base del soggetto che chiede il pronunciamento della Corte, risulta – tuttavia – imprescindibile sondare le posizioni dottrinarie che offrono una diversa lettura al modello di controllo incidentale. Dall’esame saranno, infatti, da subito evidenti le conseguenze sul tema oggetto del lavoro. Solo sciogliendo l’alternativa sarà, poi, possibile prendere posizione sull’interpretazione conforme a Costituzione. 2. Le principali posizioni emerse in dottrina: 2.1. L’accentuazione del profilo soggettivo: la questione di legittimità costituzionale come strumento di garanzia dei diritti costituzionali Tra le posizioni di chi sottolinea la prevalenza della funzione soggettiva della questione di legittimità costituzionale si annovera quella di Carlo Esposito. Nel suo La validità delle leggi23 sgombera il campo da tutte quelle tesi che, in un modo o in un altro, sostenevano che la validità o invalidità delle leggi non potesse essere oggetto di un giudizio da parte dei giudici, né delle autorità o di altri organi sottoposti, annientando, così, il pregiudizio sull’insindacabilità della funzione normativa.24 C. ESPOSITO, La validità delle leggi. Studio sui limiti della potestà legislativa, i vizi degli atti legislativi e il controllo giurisdizionale, Milano, 1934, rist. 1964. 24 Esposito affronta partitamente le tesi che negavano la possibilità stessa di concepire un sindacato di validità sulla legge, rectius sugli atti normativi, perché la pubblicazione p. 29 e 23 24 Se la tesi principale del lavoro di Esposito è che gli atti legislativi (non solo le leggi in senso stretto, ma anche altri atti come ad es. i regolamenti) possono dunque essere sottoposti a limiti e vincoli alla stessa guisa di ogni altro atto dello Stato, «qualunque sia l’oggetto regolato, qualunque sia il regime costituzionale in cui gli atti sono emanati, qualunque sia la sottospecie di atto legislativo»25 , sulla funzione della questione di legittimità costituzionale la ricostruzione non è – a primo vista – di immediata percezione. La posizione di Esposito sul punto è richiamata, infatti, in dottrina26 come una posizione dissidente rispetto all’idea della centralità del processo a quo nel sistema di giustizia costituzionale italiano. Invero, l’autore non manca di sottolineare la differenza tra l’idea del Costituente, cristallizzata nella previsione dell’effetto meramente abrogativo delle sentenze di accoglimento previsto nell’art. 136 ss. e la promulgazione p. 34 e ss. si ritenevano rappresentassero un accertamento definitivo ed incontrollabile della validità delle leggi. L’analisi, pur imprescindibile, degli argomenti contrari al sindacato sulla validità delle leggi risulta qui ultronea. Per una ricostruzione sintetica, ma efficace dell’opera, cfr. G.U. RESCIGNO, Su libro “La validità delle leggi” di Carlo Esposito, Relazione al convegno tenutosi il 12 ottobre 2007 presso l'Università di Camerino, su “Gli scritti camerti di Carlo Esposito”, ora in www.rivistaaic.it, dicembre 2007. 25 In questo senso, C. ESPOSITO, ivi, pp. 231 e ss. Dell’idea di Esposito sulla nozione ampia di atto legislativo se ne ha parziale contezza in A. PUGIOTTO, Sindacato di costituzionalità e «Diritto Vivente». Genesi, uso e implicazioni, Milano, 1994, pp. 116 e ss. L’Autore non manca di sottolineare che nella riflessione di Esposito intorno all’attività interpretativa della Corte Costituzionale vi è un evidente evoluzione in ordine al ruolo dell’applicazione del testo legislativo impugnato: dall’iniziale convincimento che la dichiarazione d’illegittimità si giustifichi solo quando sia impossibile una lettura della legge conforme a Costituzione, l’Autore successivamente matura l’idea che, almeno in talune ipotesi, la certezza dell’incostituzionalità della disposizione «può essere raggiunta solo in via concreta o storica», per approdare infine all’elaborazione della tesi di un diritto vivente di matrice regolamentare. Il riferimento è prima a C. ESPOSITO, Osservazione a Corte Costituzionale n. 10 del 1957, in Giur. Cost., 1957, pp. 72 e ss., poi ID., Della prudenza nelle dichiarazioni di illegittimità costituzionale, in Giur. Cost. 1961, pp. 9 e ss. 26 F. PIZZETTI – G. ZAGREBELSKY, Non manifesta infondatezza» e «rilevanza»…, cit., pp. 29 e ss. 25 Cost.27, e quella espressa nella l. cost. 1 del 1948, ma senza pigli polemici28. L’incertezza è, infatti, facilmente fugata29 quando Esposito auspica che se «la Costituzione malgrado i suoi difetti sarà conservata, e non si continueranno a vagheggiare, ad ogni difficoltà di applicazione, mutamenti radicali del testo, sconsacrandolo ad ogni momento … in quel momento anche il controllo giurisdizionale della legittimità costituzionale delle leggi, quale esso è stato organizzato in Italia, non potrà più essere considerato come un meccanismo, un artificio, attraverso cui una legge, una determinata legge, cerca di imporre la propria superiorità sulle altre leggi, ma assurgerà ad organo di tutela di alcuni principi fondamentali di vita del popolo italiano»30. L’idea per cui il controllo operato dalla Corte non sia finalizzato al rispetto del rapporto gerarchico fra legge e Costituzione sembra evidente. E’ pur vero che, nel delineare, le differenze tra il meccanismo previsto nell’art. 136 e quello previsto nella l. cost. del 1948, Esposito parla di «tradimento» della volontà del Costituente, attraverso una «involontaria» definizione del senso delle parole della disposizione costituzionale, ma è vero anche che, escludendo un controllo astratto su leggi inefficaci e non in grado di attuarsi, riafferma – implicitamente – il collegamento con il giudizio pendente e – può C. ESPOSITO, Il controllo giurisdizionale sulla costituzionalità delle leggi in Italia, in ID., La Costituzione Italiana. Saggi, Padova, 1954, pp. 269 e ss. 28 E, infatti, gli stessi autori ammettono che l’affermazione non comporta nessuna conseguenza rilevante nel pensiero di Esposito rispetto alla consolidata idea della questione di legittimità costituzionale come questione del processo a quo, F. PIZZETTI – G. ZAGREBELSKY, Non manifesta infondatezza» e «rilevanza»…, cit., p. 29 e ss. 29 C. ESPOSITO, Il controllo giurisdizionale…, cit. pp. 263 e ss. 30 C. ESPOSITO, ivi, pp. 263 e ss., spec. p. 266. 27 26 dirsi – con la posizione processuale delle parti. 31 L’efficacia anche solo parzialmente retroattiva delle decisioni di incostituzionalità prevista dalla legge del 1948, non può – anche nel pensiero di Esposito – che far rinvenire la funzione delle questione di legittimità costituzionale nella tutela delle posizioni delle parti del processo a quo. La posizione di Esposito, poi, si fa più chiara. Nel 1957 in un commento alla sentenza della Corte Costituzionale n. 10 del 195732, afferma che «il principio che impone alle leggi conformità alla Costituzione esclude che l’interprete possa, nel dubbio, attribuire alle proposizioni date significato in contrasto con la Costituzione»33. Il carattere concreto del sindacato di legittimità costituzionale fa, infatti, dire all’Autore che la Corte non può «giudicare della costituzionalità di norme ipotetiche, arbitrariamente costruite o immaginate dall’interprete» e che «alle disposizioni di legge deve darsi fin dove è possibile interpretazione e ricostruzione rispondente a Costituzione»34. Che i giudici siano gravati del preventivo obbligo di composizione ermeneutica è ribadito anche in una successiva breve nota del 195835 in cui Esposito afferma «il potere ed anzi il dovere di ogni giudice di procedere, fin dove è possibile, ad interpretazioni correttive delle Sulle tipologie di vizi deducibili, amplius C. ESPOSITO, La validità delle leggi…, cit. pp. 212 e ss., e ID., Il controllo giurisdizionale…, cit., pp. 272 e ss., in cui esclude – per quanto qui ci interessa – «un mero accertamento (erga omnes) della illegittimità di una legge». 32 C. ESPOSITO, Osservazioni…, cit., p. 72. 33 C. ESPOSITO, ivi, p. 73. 34 Ibidem. 35 C. ESPOSITO, Compatibilità delle disposizioni di legge…, cit., p. 571. 31 27 leggi ordinarie, armonizzanti le disposizioni di legge con il testo costituzionale». Nella ricostruzione, «non è vero che alla Corte spetta in modo esclusivo di risolvere le questioni relative alla compatibilità di una disposizione legislativa con le norme costituzionali, ma bensì ad essa spetta in modo esclusivo solo lo stabilire la incompatibilità di una disposizione di legge con tali norme».36 La presa di posizione di Esposito sull’attività di adeguamento preventivo della legge a Costituzione non può essere compatibile con una ricostruzione del sindacato di legittimità costituzionale di tipo obiettivo. La valorizzazione dell’attività di composizione ermeneutica, infatti, segna – implicitamente – l’esclusione di una astratta e obiettiva attenzione alla coerenza gerarchica. 2.2. Le posizioni “ambivalenti”. Rispetto alla nettezza con cui Esposito si pronuncia a favore dell’interpretazione adeguatrice, si registrano, in dottrina, posizioni anfibie e ambivalenti, come quella assunta da Pietro Calamandrei, quantomeno se si adotta una prospettiva diacronica nell’esame dei suoi scritti 37. C. ESPOSITO, Il controllo giurisdizionale…, cit., p. 266. E’ questa la ricostruzione del pensiero di Esposito riportata anche da M. RUOTOLO, L’interpretazione conforme a Costituzione nella più recente giurisprudenza costituzionale. Una lettura alla luce di alcuni risalenti contributi apparsi nella rivista Giurisprudenza Costituzionale, in A. PACE (a cura di), Corte costituzionale e processo costituzionale nell’esperienza della rivista “Giurisprudenza costituzionale” per il cinquantesimo anniversario, Milano, 2006, pp. 903 ss. 37 In questo senso F. PIZZETTI, G. ZAGREBELSKY, Non «manifesta infondatezza» e 36 28 Il più noto contributo di Calamandrei agli studi di giustizia costituzionale riguarda la definizione del giudice a quo come introduttore necessario della questione di legittimità costituzionale38. La ben nota affermazione ci porterebbe a credere che l’attenzione nei confronti del processo principale sia stata costante e che da subito, anche prima del funzionamento della Corte, in Calamandrei fosse salda la convinzione che la questione di legittimità costituzionale non avesse l’obiettivo di censurare l’esercizio costituzionalmente illegittimo della funzione legislativa, ma che perseguisse gli interessi delle parti in causa. E, invece, ne La illegittimità costituzionale delle leggi nel processo civile39 l’Autore manifesta tutte le perplessità in ordine alla compatibilità tra il sistema previsto dalla l. cost. n. 1 del 1948 e quello previsto nell’art. 136 Cost. Il primo, presuppone che nel processo via sia una parte titolare di un interesse concreto alla risoluzione del dubbio di costituzionalità, il secondo, invece, limitando a quello abrogativo l’effetto delle sentenze di accoglimento della «rilevanza»…, cit., p. 30 e ss. 38 Parla di «sbarramento», «dogana», Piero Calamandrei, per il quale la Corte Costituzionale e i giudici «in questa funzione così delicata appaiono come congegni complementari e inseparabili in un unico meccanismo processuale (…). Bisogna, dunque, affinché il meccanismo funzioni bene, che tra la Corte costituzione e l'Autorità giudiziaria si stabilisca un'atmosfera di intesa e di reciproca comprensione: affinché la Costituzione possa essere insieme tenuta ferma nelle sue premesse e promossa verso le sue mete (due frasi che nel nostro sistema vogliono dire la stessa cosa), occorre che la Corte costituzionale e l'Autorità giudiziaria siano egualmente sensibili allo spirito programmatico di essa e, che non sorgano tra loro, sulla natura, sulla penetrazione e sugli orientamenti del sindacato di legittimità costituzionale, dissonanze e conflitti», P. CALAMANDREI, Corte Costituzionale e autorità giudiziaria, in Riv. Dir. Proc.,1, 1956, pp. 8 e ss. 39 P. CALAMANDREI, La illegittimità costituzionale delle leggi nel processo civile, Padova, 1950. 29 Corte, riduce il sistema di controllo incidentale al rapporto fra Giudice Costituzionale e legislatore, come un rapporto fra controllore e controllato. Nonostante la inequivocabilità dell’argomentazione esposta, la posizione di Calamandrei non rimase questa. In un lavoro successivo alla legge n. 87 del 1953 e, quindi, all’entrata in funzione della Corte Costituzionale40, l’Autore abbandona definitivamente la ricostruzione che attribuiva un effetto abrogativo alle sentenze di accoglimento e sposta l’attenzione tutta nei confronti dell’iniziativa di parte di cui all’art. 23 l. n. 87 del 1953. La frammentazione nell’analisi dei modi di attivazione del sindacato di legittimità costituzionale, a tutto vantaggio di quello su istanza privata, non poteva che significare l’adozione di un modello di giudizio proteso alla tutela dei diritti costituzionalmente garantiti. 2.3 La non manifesta infondatezza come “separazione”. Ma la stessa prospettiva è implicitamente confermata da Crisafulli in Questioni in tema di interpretazione della Corte Costituzionale nei rapporti con l’interpretazione giudiziaria41 in cui si occupa del rapporto fra interpretazione della Corte e interpretazione dei giudici comuni e – ovviamente – del problema del vincolo che discende dalle sentenze P. CALAMANDREI, Corte Costituzionale e autorità giudiziaria, cit., pp. 8 e ss. V. CRISAFULLI, Questioni in tema di interpretazione della Corte Costituzionale nei rapporti con l’interpretazione giudiziaria, in Giur. Cost, 1956, pp. 929 e ss. 40 41 30 interpretative di rigetto. Il tema – pur connesso – trascende quello qui in oggetto42, pur tuttavia risulta strumentale. Quando, infatti, Crisafulli esclude che quella del giudice costituzionale sia una giurisdizione di interpretazione e che il suo sindacato sia su norme e non su articoli di legge43, non fa che ammettere la strumentalità di questo rispetto al giudizio principale. Dice, infatti, «anche riconoscendo… la possibile, e d’altronde sempre parziale, autonomia del procedimento dinanzi alla Corte, rispetto a quello rimasto sospeso, resta vero, comunque, che quest’ultimo si configura come presupposto essenziale del giudizio di Crisafulli, infatti, affronta il tema del vincolo che grava sui giudici comuni in seguito all’interpretazione della legge operata della Corte. Esclude che le cd. sentenze interpretative di rigetto possano avere efficacia erga omnes essendo questa – dice – prevista solo per le sentenze di accoglimento ex art. 136 Cost. e art. 30 l. n. 87 del 1953. Prende, poi, le distanze dalla sua precedente ricostruzione, ovvero quella che vedeva nelle sentenze di infondatezza con un dispositivo “nei sensi in cui in motivazione” delle cd. doppie pronunce, una dotata di efficacia inter partes, l’altra con efficacia erga omnes, perché implicitamente dichiarativa dell’illegittimità costituzionale della norma ipoteticamente ricavabile. Il ripensamento viene motivato in forza della considerazione per cui «non sembra dubbio che un giudicato con effetti erga omnes, che determina addirittura la cessazione di efficacia di norme di legge, debba necessariamente essere esplicito e formale». V. CRISAFULLI, Questioni in tema di interpretazioni…, cit., p. 939. Di recente la ricostruzione di Crisafulli sulle sentenze interpretative di rigetto come sentenze cd. illegittimità condizionata è stata ripresa da Ruotolo, il quale sottolinea che la tipologia decisoria complessa descritta da Crisafulli avrebbe l'effetto utile di contemperare le esigenze di certezza giuridica e di collaborazione fra giudici e Corte Costituzionale. E, infatti, dice «la sentenza sarebbe di mero annullamento soltanto laddove la formulazione della disposizione offra una resistenza insuperabile ad una sua interpretazione conforme a Costituzione, mentre ove questa possibilità sia data dovrebbe essere insieme di rigetto e di accoglimento, con riferimento, rispettivamente, alla norma compatibile e alla norma o alle norme ritenute invece incostituzionali. Una “doppia pronuncia formale” contenuta in un’unica sentenza, che sarebbe insieme propositiva (nei confronti dei giudici e degli altri soggetti chiamati ad applicare la disposizione) del significato conforme a Costituzione e demolitoria (con effetto erga omnes) rispetto alla interpretazione della disposizione che si riveli sicuramente in contrasto con la Costituzione». M. RUOTOLO, Interpretazione conforme a Costituzione e tecniche decisorie della Corte costituzionale, in www.gruppodipisa.it, p. 17 del dattiloscritto. 43 V. CRISAFULLI, Questioni in tema di interpretazione…, cit., p. 937. 42 31 costituzionalità»44. Ancora una volta, quindi la questione di legittimità è questione del processo45. Tuttavia, dalla valorizzazione del profilo di concretezza del sindacato di legittimità costituzionale, non ne deriva una decisa strumentalità dell’operato del giudice comune rispetto alla funzione di garanzia costituzionale. Infatti, Crisafulli non accettava che al giudice potesse spettare «un qualsiasi sindacato sulla costituzionalità delle norme legislative». Per l’Autore, «al giudice spetta solo il «potere-dovere», in ogni caso di dubbio sulla costituzionalità (che può anche conseguire ad un dubbio di interpretazione), di sospendere il giudizio e provocare l’accertamento della Corte». Al giudice spetta una «sommaria delibazione preventiva (circa la non manifesta infondatezza della questione), non potendo egli considerare “manifestamente infondata” una questione opinabile, dubbia, e perciò stesso meritevole di giungere davanti alla Corte».46 La separazione dei due giudizi, anche ad opera della particolare conformazione del giudizio sulla non manifesta infondatezza, riduce lo spazio di una collaborazione fra giudici e segna, quindi, la prevalenza della funzione oggettiva sottesa ad un controllo di V. CRISAFULLI, ivi, p. 945. Per una lettura delle recenti problematiche dell'interpretazione conforme alla luce di alcuni risalenti contributi di Crisafulli, Esposito e Lavagna, cfr. M. RUOTOLO, L’interpretazione conforme a Costituzione nella più recente giurisprudenza costituzionale. Una lettura alla luce di alcuni risalenti contributi apparsi nella rivista «Giurisprudenza costituzionale», in A. PACE (a cura di), Corte costituzionale e processo costituzionale nell’esperienza della Rivista «Giurisprudenza costituzionale» per il cinquantesimo anniversario, Milano, 2006, pp. 903 e ss., spec. 925 e ss. 46 V. CRISAFULLI, La Corte costituzionale tra magistratura e Parlamento, in Scritti giuridici in memoria di Calamandrei, IV, Padova, 1958, pp. 289 e ss. 44 45 32 legittimità gerarchico sostanzialmente astratto47. 2.4 Recenti approdi sul problema del rapporto tra giudizio costituzionale e giudizio a quo. In merito al problema della separazione tra giudizio comune e giudizio costituzionale, è molto interessante sondare la posizione assunta da Franco Modugno. Nell’opera Riflessioni interlocutorie sulla autonomia del giudizio costituzionale48, Modugno affronta il tema del rapporto fra giudizio comune e giudizio costituzionale con il deliberato intento di dimostrarne la reciproca autonomia, indipendenza e terzietà49. Modugno si chiede, infatti, se il nesso che intercorre tra i due giudizi sia «soltanto genetico e meramente occasionale, o addirittura, effettivamente sussistente nei soli limiti rappresentati dall’utilità che la quaestio legitimitatis sorga nel corso di un qualsivoglia processo, senza ulteriori implicazioni e significazioni» o se «viceversa, il giudizio di legittimità costituzionale vada considerato alla stregua di una derivazione, propaggine o fase dello stesso Riporta la posizione di Crisafulli in questi termini e con segni critici rispetto alle conclusioni M. RUOTOLO, L’interpretazione conforme a Costituzione…, cit., pp. 929 e ss. 48 F. MODUGNO, Riflessioni interlocutorie…, cit., pp. 5 e ss. 49 F. MODUGNO, ivi, pp. 5 e ss., spec. 46 e ss. 47 33 processo a quo»50. A favore della prima soluzione sta – dice Modugno – senza dubbio la considerazione che l’oggetto del giudizio di legittimità costituzionale è determinato dal giudice e, mediamente, dalla parti del processo a quo (art. 23 e 27 della legge del 53). Nella stessa direzione conducono le previsioni che circoscrivono l’ambito soggettivo per la proposizione della questione di legittimità costituzionale (art. 1 l. cost. 1 del 1948 e art. 23 l. n. 87 del 1953) e che subordinano la rimessione degli atti alla Corte alla delibazione di non manifesta infondatezze e rilevanza. A favore, invece, della seconda soluzione Modugno adduce l’efficacia erga omnes delle sentenze di accoglimento e, quindi, non limitate al giudizio in corso (ex art. 136 Cost. e 30 l. n. 57 del 1953) e la regola posta dall’art. 22 N.I. secondo la quale le vicende del giudizio di legittimità costituzionale sono assolutamente indipendenti da quelle del processo a quo. L’indagine, funzionale al già dichiarato obiettivo, prosegue con un approfondimento processuale scarsamente rilevante ai nostri fini51. Mentre ben più interessante, allo scopo di delineare i rapporti fra giudici comuni e Corte Costituzionale e lo spazio lasciato libero all’attività di adeguamento interpretativo dei contrasti gerarchici, risulta l’indagine compiuta dall’Autore sui presupposti della questione di legittimità costituzionale. La disciplina delle condizioni processuali di remissione degli atti alla Corte deve – per Modugno 50 51 F. MODUGNO, ivi, p. 46. Cui si rimanda, F. MODUGNO, Riflessioni interlocutorie, cit., pp. 50 e ss. 34 – essere interpretata in maniera decisamente restrittiva tale da permettere «di delineare un principio razionale opposto, volto per l’appunto a rendere possibile la delineazione o la configurazione di tutte quelle questioni di legittimità costituzionale che non sembrino, prima facie, non seriamente ipotizzabili»52. Nella prospettiva dell’Autore risulta, infatti, imprescindibile offrire la massima garanzia di accesso alla Corte Costituzionale ed evitare che «i giudici, sotto pretesto di ritenere infondate questioni di legittimità costituzionale, viceversa fondatissime o che, più semplicemente potrebbero anche solo aspirare ad una presa in considerazione da parte della Corte, esercitino, anch’essi, un sindacato di costituzionalità sulle leggi, che sembra escluso, per altro verso, dalla previsione del nostro ordinamento positivo e, viceversa, riservato soltanto alla Corte»53. Attraverso una svalutazione delle delibazioni preliminari cui è chiamato il giudice a quo, Modugno attenua il legame tra giudizio costituzionale e giudizio principale, accentuando la dimensione dell’interesse pubblico alla costituzionalità delle leggi. E’ facile, quindi, desumere quale sia l’idea di Modugno sulla funzione della questione di legittimità costituzionale. Se, infatti, «una volta sorto un ragionevole sospetto o un dubbio non manifestamente infondato, è necessario giungere alla sua risoluzione, anche 52 53 F. MODUGNO, ivi, p. 62. F. MODUGNO, ivi, p. 63. 35 indipendentemente dalla immediata e concreta sua incidenza nella trama dei rapporti giuridici»54, l’obiettivo perseguito con l’istanza di remissione non sarà la tutela delle posizioni delle parti in causa, ma la garanzia del più ampio, accentrato controllo sul rispetto del criterio ordinatore nei rapporti fra Costituzione e legge. Se – dice – l’ordinamento italiano riserva alla Corte il giudizio definitivo sulla costituzionalità delle leggi, tale giudizio non può essere precluso dalla presenza di un altro giudizio. La posizione accentratrice a favore della Corte rileva la prevalenza dell’interesse pubblico alla conformità delle leggi a Costituzione, rispetto all’interesse delle parti titolari di posizioni giuridiche costituzionalmente rilevanti e annulla lo spazio per una risoluzione interpretativa dei contrasti con le norme gerarchicamente sovraordinate55. 3. I due giudizi: i limiti della relazione tra Giudici comuni e Corte costituzionale. Le diverse posizioni sulla funzione della questione di legittimità costituzionale, come già anticipato, finiscono per influenzarne la stessa interpretazione dei presupposti positivi. L’indagine sulla dimensione schiettamente processuale del sindacato di legittimità costituzionale risulta a F. MODUGNO, ivi, p. 88. Per una critica, F. PIZZETTI – G. ZAGREBELSKY, Non manifesta infondatezze e rilevanza …cit., pp. 54 e ss. 54 55 36 questo punto preliminare alla delineazione dei rapporti fra giurisdizione comune e giurisdizione costituzionale. Solo la chiara definizione della rilevanza e non manifesta infondatezza ci permetterà di anticipare il tema in oggetto e verificarne, in ipotesi, la capacità manipolativa rispetto al modello che si tenterà di descrivere56. L’interpretazione – più o meno restrittiva – dei requisiti richiesti per sollevare la questione davanti alla Corte, infatti, segna con chiarezza i rapporti fra giudici a quibus e Corte Costituzionale, il limite di estensione delle rispettive competenze e, quindi – e per quanto qui interessa – lo spazio che residua all’attività di adeguamento interpretativo dei contrasti fra legge e Costituzione. La fissazione delle regole di accesso al Giudice delle leggi risulta, come già detto, influenzata dall’idea che si accoglie della funzione della questione di legittimità costituzionale. La laconicità del dato normativo potrà, infatti, essere risolta solo presupponendo una data funzione della Corte nel rapporto fra testo costituzionale, legge e diritti. L’indagine precedente, per questo, risulta dirimente. Il dibattito dottrinale sulla definizione del quomodo della questione di legittimità costituzionale è risalente. L’evidente diversità di posizioni è chiaramente influenzata dalla scarsa univocità del dettato legislativo. Le critiche, infatti, all’uso del canone dell’interpretazione conforme sono – nella maggior parte dei casi – motivate dal necessario rispetto del modello accentrato di giustizia costituzionale. Su questo e sull’uso inappropriato del sintagma «sindacato diffuso» si rinvia a quanto si dirà nel cap. II. 56 37 L’art. 1 della l. cost. n. 1 del 1948 dispone che la questione di legittimità costituzionale di una legge o di un atto avente forza di legge della Repubblica rilevata d’ufficio o sollevata da una delle parti nel corso di un giudizio e non ritenuta dal giudice manifestamente infondata, è rimessa alla Corte costituzionale per la sua decisione. Del pari, e ad integrazione, per l’art. 23 della l. n. 87 del 1953 l’autorità giurisdizionale, qualora il giudizio non possa essere definito indipendentemente dalla risoluzione della questione di legittimità costituzionale o non ritenga che la questione sollevata sia manifestamente infondata, emette ordinanza con la quale, riferiti i termini ed i motivi della istanza con cui fu sollevata la questione, dispone l’immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale e sospende il giudizio in corso. L’ “apertura” del dato normativo appena citato ha fatto sì che sul concetto di rilevanza e sull’intensità del giudizio sulla non manifesta infondatezza operato dal giudice remittente, come si diceva, le posizioni dottrinali si diversificassero. 4. L’accesso alla Corte e le sue condizioni “tradizionali”: rilevanza e non manifesta infondatezza. E’ possibile, tuttavia, operare una divisio all’interno del dibattito che risponde, poi, ad una diversa ed opposta idea dei rapporti fra giudizio pendente e giudizio costituzionale. Per Crisafulli: 38 «non si tratta di stabilire se la questione sia prima facie fondata, ma, tutt’al contrario, se non sia prima facie infondata: ciò che equivale a dire, con altre parole, che spetta al giudice del processo principale accertare, in linea di mera delibazione, se sussiste un dubbio sulla legittimità costituzionale della legge o delle norme di legge, suscettibili di trovare applicazione nel giudizio dinanzi ad esso pendente (nel qual caso, dovrebbe essere sospeso e, la questione rimessa alla Corte). Risulta da ciò quale sia la posizione del giudici nei confronti delle leggi (e degli atti equiparati): ad essi non spetta di sindacarne la costituzionalità, ed è, infatti, vietato disapplicarle, anche ove siano convinti della loro incostituzionalità (a differenza di quanto avverrebbe in un sistema di controllo di costituzionalità di tipo diffuso); ma è del pari vietato applicarle, ove abbiano motivi anche semplicemente per dubitare della loro costituzionalità, senza prima aver provocato al riguardo il giudizio della Corte. In presenza di norme di legge di dubbia costituzionalità, i giudici hanno dunque il solo potere – dovere di sospenderne l’applicazione, proponendo con ordinanza alla Corte Costituzionale la questione della loro legittimità costituzionale»57. Crisafulli tenta, poi, di offrire dei parametri per la valutazione del giudice a quo, per cui «la circostanza che già in precedenza una data questione sia stata decisa dalla Corte, con sentenza di non fondatezza, non è di per sé sufficiente a farla ritenere manifestamente infondata, qualora, in un momento successivo, venga risollevata nel corso di un diverso giudizio; non si possono, tuttavia, enunciare sul punto delle regole fisse, molto dipendendo dal vario intrecciarsi di diversi elementi suscettibili di concorrere a determinare, nell’uno o nell’altro senso, il convincimento del giudice. Così, V. CRISAFULLI, Lezioni di diritto costituzionale. Volume II. L’ordinamento costituzionale italiano, Padova 1984, pp. 293 e ss. 57 39 se la precedente decisione di rigetto sia di molto tempo anteriore, più facilmente potrà avvenire che la questione, ripresentatasi nella pratica, sia considerata non manifestamente infondata e quindi rimessa alla Corte, chiamata in tal modo a decidere nuovamente»58. Molto vicina è l’impostazione di Calamandrei, 59 per il quale «affinché il giudice possa respingere la questione di legittimità costituzionale per manifesta infondatezza occorre che «la legittimità costituzionale appaia al giudice prima facie indiscutibile, senza bisogno di stare a pensarci su», ovvero come specifica in Sulla nozione di manifesta infondatezza60, alla convinzione soggettiva del giudice circa la non manifesta infondatezza deve essere possibile pervenire «sine tergiversatione aliqua». All’opposto, e nella prospettiva di una drastica riduzione del potere deliberativo del giudice comune – a tutto favore dell’accentramento delle competenze in capo alla Corte Costituzionale – si pone, invece, la posizione di Modugno61. Si è già anticipata la dichiarata necessità per l’Autore di offrire una determinazione precisa alle valutazioni preliminari compiute dal giudice remittente, tale da permettere la massima garanzia di accesso alla Corte Costituzionale. Lo sforzo definitorio conduce, addirittura, a far coincidere la valutazione sulla V. CRISAFULLI, ivi, p. 295. P. CALAMANDREI, Corte costituzionale e autorità giudiziaria, cit. p. 621. 60 P. CALAMANDREI, Sulla nozione di manifesta infondatezza, in Riv. dir. proc. civ., 2, 1956, pp. 164 e ss. 61 F. MODUGNO, Riflessioni interlocutorie…cit., pp. 62 e ss. 58 59 40 non manifesta infondatezza con quella sulla rilevanza. L’integrazione operata dall’art. 23 della l. n. 87 del 195362 sembrerebbe aver accorpato le due distinte delibazioni. Il giudizio sulla non manifesta infondatezza coincide con una «immediata, approssimativa e … superficiale ed istantanea presa di coscienza» sulla possibilità che la disposizione indubbiata possa essere presa in considerazione per la decisione della causa pendente»63. Addirittura il giudice può dichiararla e non sollevare la questione davanti alla Corte solo «nel caso in cui tutta la giurisprudenza, la concorde dottrina sine exceptione e l’assoluta impossibilità di formulare il benché minimo dubbio sulla validità della legge univocamente convincano in tale senso», il che praticamente, equivale a dire che mai il giudice a quo potrà impedire, sotto questo profilo, l’instaurazione del giudizio di costituzionalità64. Offre, in un certo senso, una terza via tra il carattere aperto che la delibazione conserva in Crisafulli e Calamandrei e quello chiuso della ricostruzione di Modugno, Lavagna che, in Problemi di giustizia costituzionale sotto il profilo della non manifesta infondatezza65, attribuisce alla non manifesta infondatezza Mentre l’art. 1 della legge cost. n. 1 del 1948 parla solo della delibazione sulla non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale, l’art. 23 della l. del 1953 premette alla previsione di tale delibazione che «qualora il giudizio non possa essere definito indipendentemente dalla risoluzione della questione di legittimità costituzionale» il giudice rimette gli atti alla Corte. 63 F. MODUGNO, Riflessioni interlocutorie…, cit. p. 143. 64 Sulla riduzione della delibazione sulla non manifesta infondatezza alla delibazione sulla rilevanza, F. MODUGNO, Riflessioni interlocutorie…, cit., pp. 139 e ss. 65 C. LAVAGNA, Problemi di giustizia costituzionale sotto il profilo della «manifesta 62 41 il compito di «realizzare un sistema misto di giurisdizione costituzionale o, più esattamente, un sistema di accentramento corretto che, pur riservando il giudizio di costituzionalità alla Corte, permetta agli altri Giudici di inserirsi in tale giudizio e di collaborare, entro determinati limiti, sia al suo concreto svolgimento, sia alla elaborazione lato sensu della giurisprudenza costituzionale». E aggiunge «ciò beninteso, in maniera da non eludere, e tanto meno esautorare, la giurisprudenza della Corte; ma anche in maniera da non vanificare il compito, sia pure preliminare e concorrente, delle singole magistrature»66. La posizione di Lavagna sulla non manifesta infondatezza è particolarmente interessante perché risulta un tentativo compiuto – seppur datato – di una rigorosa individuazione dei criteri che dovrebbero guidare il giudice nella fase di remissione della questione alla Corte. La ricerca di parametri precisi risulta all’Autore imprescindibile «per un’esatta delineazione del confine fra la giurisdizione costituzionale diffusa e quella accentrata; fra quella preliminare e quella definitiva»67. infondatezza», Milano, 1957. 66 C. LAVAGNA, ivi, p. 2. 67 Per Lavagna, infatti, «ove, infatti, questi confini non fossero tratteggiati, si potrebbero verificare due opposte aberrazioni: che cioè i giudici (e in specie le magistrature supreme) per un inconscio spirito di corpo o eccessivo rispetto della «legge», o erroneo riguardo alla Corte, o altre impalpabili ragioni psicologiche, diventino proclivi, non dico ad escludere in ogni caso, ma a rendere del tutto eccezionali i rinvii al magistrato della Costituzionalità sostituendosi in pratica ad esso … ; ovvero che essi (ed in particolare i giudici inferiori) per una ipersensibilità delle questioni costituzionali, o (absit injuria) per pigrizia, o per una specie di complesso di incompetenza, o per semplice perplessità, accedano ad ogni richiesta di parte, moltiplicando gli incidenti, deformando il corso ordinario della Giustizia ed aggravando inutilmente la Corte… ». C. LAVAGNA, ivi, p. 3. 42 Nel tentativo di sciogliere i nodi di una espressione linguistica non auto evidente, Lavagna propone l’adozione di un criterio di interpretazione cd. sistematico che permetta di inquadrare l’istituto e di individuarne la funzione. Né l’interpretazione letterale, né quella analogica – a suo dire – conducono, infatti, a risultati soddisfacenti. Non la prima perché «finché si indugia a spiegare che cosa deve intendersi per manifesto o per fondato non si esce dal significato proprio di queste espressioni; che pur non potendo essere trascurato (…) si dimostra del tutto insufficiente a comprenderne la reale portata nel sistema in cui si trovano usate»68. Non quella analogica perché implicherebbe «un’analisi che, per la sua stessa ampiezza e varietà oggettiva, darebbe risultati estremamente vaghi ed incerti»69. E’ sull’interpretazione sistematica che occorrerebbe, dunque, far leva, il che è quanto dire di tener conto della funzione che persegue la fase preliminare al giudizio costituzionale. Sgomberato il campo dalle questioni preliminari diverse dalla non manifesta infondatezza70, Lavagna propone un esame sostanziale del presupposto processuale con l’utilizzo di criteri oggettivi e sussidiari. Da un punto di vista oggettivo, implicando il contrasto insito in ogni questione di legittimità costituzionale, un confronto fra norme, la sua eventuale manifesta infondatezza potrà risultare in base a due distinte circostanze, ovvero a seconda che gli argomenti a sostegno del vizio coinvolgano la norma C. LAVAGNA, ivi, p. 5. C. LAVAGNA, ivi, p. 6. 70 C. LAVAGNA, ivi p. 8 e ss. 68 69 43 di raffronto o quella raffrontata. La differenza non è di poco conto, se solo si pensa che – nella ricostruzione di Lavagna – sta qui il discrimen fra un giudizio meramente delibatorio e una valutazione piena del contrasto. Le questioni del primo tipo sono, con tutta evidenza, quelle più complicate, in quanto il giudice della causa nello stabilire la sussistenza o meno del dubbio di illegittimità – dice Lavagna – deve fare i conti con la competenza accentrata del giudice costituzionale sull’interpretazione delle disposizioni costituzionali71. Quando il dubbio è motivato sulla base di argomenti che coinvolgono la disposizione costituzionale, la delibazione è un obbligo, negli altri casi, una facoltà. Più concretamente Lavagna chiarisce, per esempio, che «la manifesta infondatezza non potrebbe essere dichiarata quando si debba uscire dalla pura e semplice interpretazione lessicale delle norme predette»72. Più ampio, invece, il potere dei giudici nella interpretazione delle norme legislative anche se «ciò non giustifica una dichiarazione di manifesta infondatezza con affermazioni apodittiche, non suffragate da argomenti atti ad escludere ogni e qualsiasi dubbio sul contenuto della norma contestata. Significa, al contrario, che i giudici possono e debbono affrontare Dice Lavagna, infatti, «è indubbio che il giudice della causa, nel delibare questo ius, di cui novit la Corte, abbia un potere meno ampio rispetto alla delibazione del «suo» ius, cioè delle norme legislative; per cui i limiti alla delibazione della manifesta infondatezza, da parte dei giudici a quo, riguardano in sostanza l’interpretazione delle sole norme costituzionali, non delle norme legislative», C. LAVAGNA, ivi, p. 44. 72 C. LAVAGNA, ivi, p. 45. 71 44 integralmente l’interpretazione delle norme contestate (ed interposte); basando sui risultati di questa piena interpretazione e sul loro raffronto coi risultati della (più circoscritta) interpretazione delle norme costituzionali la delibazione della manifesta infondatezza»73. E a questo punto Lavagna aggiunge che «delle norme contestate … deve essere dimostrato (contrariamente a quanto è consentito per le norme di raffronto) il significato con ogni mezzo, anche in ordine alla particolare discrezionalità del potere legislativo rispetto ad un preciso limite costituzionale. Non solo, ma può essere… operata anche una scelta fra le varie, possibili interpretazioni (…) Quando, infatti, la disposizione si presti a più interpretazioni, di cui una sola conforme alla norma di raffronto, egli dovrebbe optare per questa, assumendo la legge in questo significato e respingendo l’incidente di costituzionalità. Soluzione in sé e per sé esatta ed opportuna, in quanto, non solo ribadisce l’obbligo generale della interpretazione sistematica (rafforzata, nella specie, dalla maggiore efficacia delle norme di raffronto)74 ma offre, per di più, una via per applicare la Costituzione, senza congestionare inutilmente la giurisdizione della Corte»75. Il passaggio – testualmente riportato – è significativo, in quanto, da un lato si afferma chiaramente che l’obbligo di composizione ermeneutica dei contrasti 73 C. LAVAGNA, ivi, p. 46. Che l'interpretazione conforme assuma nella pratica giudiziaria la forma dell'interpretazione sistematica, anche nella sua versione dell'interpretazione evolutiva, lo svela una recente giurisprudenza in tema di matrimonio omosessuale, per la cui analisi si rimanda al cap. III 75 C. LAVAGNA, Problemi di giustizia costituzionale…, cit., p. 47. 74 45 fra legge e Costituzione rappresenta uno strumento per applicare la Costituzione e, quindi, un modo di inveramento del testo costituzionale 76, dall’altro perché sembra offrire un limite certo all’attività di adeguamento interpretativo richiesta al giudice. Infatti, Lavagna sottolinea che «questo particolare criterio di scelta fra più interpretazioni, in tanto è possibile, in quanto una di esse appaia senz’altro conforme a Costituzione o, meglio, all’unica interpretazione che ictu oculi si debba dare alle disposizioni di raffronto; non opera più quando sussista un dubbio sulla interpretazione delle norme costituzionali, che il giudice, si è detto, non può eliminare. Per cui, rispetto alla non manifesta infondatezza, esso rappresenta, non un criterio risolutivo, ma solo un criterio complementare… Se il predetto criterio fosse assoluto e assorbente, il problema della m.i. non si porrebbe mai, in quanto anche la cognizione sommaria delle norme costituzionali dovrebbe trasformarsi in cognizione piena, facendo degradare la giurisdizione della Corte a mera attività di controllo, dotata, sia pure, a volte di maggiore efficacia» 77. Le considerazioni di Lavagna, pur efficacemente esemplificative di tutto il Che l'interpretazione conforme a Costituzione sia uno strumento di attuazione della Costituzione è affermazione ricorrente. Tra i tanti si veda M. DOGLIANI, Interpretazioni della Costituzione, Milano, 1982, pp. 69 e ss., per il quale tra gli strumenti interpretativi predisposti ai fini della realizzazione della Costituzione come atto normativo integralmente e direttamente obbligante si annovera il vincolo, a carico sia della giurisdizione ordinaria che amministrativa di interpretare la leggi in modo conforme ai principi (programmatici o meno) della Costituzione. Si segnalano altresì R. BIN, L’applicazione diretta della Costituzione…, cit., pp. 4 e ss.; O CHESSA, Drittwirkung…cit., p. 420; G. SORRENTI, L’interpretazione conforme…, cit., pp. 5 e ss., per la quale essa costituisce il veicolo privilegiato attraverso il quale i contenuti del dettato costituzionale vengono prontamente immessi nel circuito dell’applicazione delle leggi. 77 C. LAVAGNA, Problemi di giustizia costituzionale…, cit. p. 48. Per Lavagna il criterio di interpretazione conforme reagisce, così, sul presupposto della non manifesta infondatezza, risultandone criterio oggettivo di valutazione. 76 46 dibattito intorno all’interpretazione conforme e alla sua – presunta – incisione del modello di giustizia costituzionale accentrata, si mostrano anacronistiche nella parte in cui separano nettamente l’interpretazione della legge da quella delle disposizioni costituzionali, affermando una divisio tra ordine legale e ordine costituzionale che non sembra più corrispondere all’attuale considerazione dei rapporti fra giudici, legge e Costituzione. Pur tuttavia, la descrizione dettagliata di Lavagna sulla non manifesta infondatezza risulta particolarmente utile perché conforta il convincimento per cui a nulla serve affidarsi alle regole del metodo giuridico per tentare di fissare un discrimen fra delibazione sommaria e cognizione piena e, di conseguenza, tra competenze accentrate e competenze diffuse. E, infatti, l’Autore, pur insistendo sull’esistenza di criteri oggettivi, è ben consapevole che spingersi oltre nell’analisi per la valutazione della manifesta infondatezza significa affrontare il tema – aggiungiamo – insoluto dell’intera teoria dell’interpretazione78. L’esame della manifesta infondatezza è, poi, agevolata – per Lavagna – dall’esistenza di criteri non solo oggettivi – come sopra definiti – ma anche sussidiari. Per esempio, il carattere di novità della questione sembra sufficiente ad escludere la manifesta infondatezza; viceversa, l’univocità di orientamenti in dottrina e giurisprudenza bastano a respingere la questione perché manifestamente infondata. Pur tuttavia, pare quest’ultimo un criterio lasciato alla discrezionalità del giudice, chiamato a constatare il carattere pacifico o 78 C. LAVAGNA, Problemi di giustizia costituzionale…, cit., pp. 5 e ss. 47 meno degli orientamenti sottesi all’eccezione di incostituzionalità. Come per il giudizio sulla non manifesta infondatezza, anche quello sulla rilevanza è stato oggetto di differenti elaborazioni dottrinali, anche in questo caso evidentemente influenzate dalla diversa ricostruzione del rapporto fra giudizio principale e giudizio costituzionale. Per Crisafulli79 la valutazione preliminare della rilevanza della questione corrisponde alla più generale necessità che l’accesso alla Corte debba avvenire attraverso un giudizio e che le questioni di legittimità costituzionale debbano sorgere nell’atto di applicazione delle leggi. Il presupposto della rilevanza sarebbe, dunque, diretta conseguenza del carattere incidentale del sindacato di costituzionalità delle leggi, così come descritto dalla l. n. 87 del 1953 e l. cost. n. 1 del 1948, nonché garanzia nei confronti di un uso “politico” della questione di legittimità. Per Crisafulli, infatti, il filtro rappresentato dall’esistenza di un processo in corso contrasta «un certo atteggiamento politico, molto diffuso in una parte della magistratura, che tende a contestare la costituzionalità di quante più leggi possibile: al fine, molto spesso, non tanto di ottenere il giusto e necessario adeguamento del diritto vigente alle norme costituzionali, quanto di realizzare – a colpi di sentenza, e cioè attraverso la giurisprudenza della Corte, anziché per la via maestra delle riforme legislative, di competenza del Parlamento – determinati risultati, considerati dagli uni o 79 V. CRISAFULLI, Lezioni…., cit., pp. 280 e ss. 48 dagli altri (a torto o a ragione) politicamente auspicabili»80. La funzione selettiva della rilevanza, come quella della delibazione sulla non manifesta infondatezza, garantisce, poi, le esigenze di speditezza dei giudici e, quindi, gli interessi sostanziali delle parti in causa. Del resto – fa notare Crisafulli – «negli ordinamenti in cui vige un sistema di impugnazione delle leggi interamente accentrato ed azionabile in via diretta, si richiede per solito che il ricorrente sia stato leso in un suo diritto o interesse giuridico da un atto della pubblica autorità, fondantesi sulla legge che si assume incostituzionale (si richiede, cioè, alla base del ricorso, la sussistenza di un concreto interesse). Ove, per contro, nel nostro attuale sistema (che è, invece, di accesso alla Corte in via incidentale) si fosse voluto prescindere dal requisito della rilevanza delle questioni proponibili, si sarebbe, in realtà, trasformato ogni giudice, sol perché tale e chiamato a decidere di una determinata controversia, in una sorta di pubblico ministero legittimato a ricorrere contro le leggi ritenute di dubbia costituzionalità, anche se non abbia a farne assolutamente applicazione nella specie sottopostagli»81. Per Crisafulli, la rilevanza della questione deve intendersi come rilevanza della legge cui la questione si riferisce nel giudizio principale. La questione deve, cioè, avere ad oggetto disposizioni o norme che troveranno applicazione nel giudizio, siano essere norme di diritto sostanziale o processuale. V. CRISAFULLI, Lezioni…, cit., p. 281. Ibidem. 80 81 49 Il punto controverso riguarda l’aggettivizzazione del requisito, ovvero se debba intendersi come «pregiudizialità» rigorosamente necessaria o come semplice astratta possibilità applicativa. Coerentemente con le esigenze prime esposte, Crisafulli opta per la ricostruzione che identifica la rilevanza con la necessarietà di applicazione delle norme di cui si dubita della legittimità costituzionale, pur riconoscendo – ma è dato comune a tutte le ricostruzioni – il carattere non definitivo del giudizio anzidetto. Sembra solo questa l’unica ricostruzione coerente con il dato normativo. L’inciso «il giudizio non possa essere definito indipendentemente» non è, infatti, all’Autore compatibile con un giudizio meramente ipotetico e soggettivo del giudice remittente. E, invece, questa l’idea che Modugno espone in Riflessioni interlocutorie82. Nella ricostruzione proposta la prevalenza dell’interesse pubblico al rispetto dell’ordinazione gerarchica delle fonti si gioca attraverso una completa svalutazione del rapporto fra giudizio costituzionale e giudizio a quo, per cui una volta sorto un ragionevole sospetto o un dubbio non manifestamente infondato, è necessario giungere alla sua risoluzione, anche indipendentemente dalla immediata e concreta sua incidenza sulla trama dei rapporti giuridici. In quest’ottica le valutazioni del giudice a quo coincidono risolvendosi in una declinazione – si potrebbe dire – soggettiva di rilevanza. Per Modugno, infatti, il giudice dovrà verificare se – da un punto di vista meramente intuitivo – la 82 F. MODUGNO, Riflessioni interlocutorie…, cit., pp. 124 e ss. 50 legge di cui si dubiti della legittimità costituzionale potrà ricevere una qualche applicazione nel processo ad quem. La rilevanza finisce, quindi, per coincidere con la valutazione sulla non manifesta infondatezza che, a sua volta, non riguarda più la disposizione ordinaria nell’ipotizzato rapporto di contrasto con la disposizione costituzionale, ma la incidenza o rilevanza di quella disposizione sulla risoluzione del processo a quo. Per non incorrere nella sanzione dell’inammissibilità è sufficiente – dice Modugno – riconoscere la possibilità del dubbio di costituzionalità anche per una sola norma ricavabile dalla formula scritta. Tale indagine non deve estendersi, quindi, ad altre possibilità interpretative. Quali siano le conseguenze di questa impostazione sul tema in oggetto sono già di tutta evidenza. La riduzione dell’esame relativo alla non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale a quello sulla rilevanza conduce, infatti, alla negazione per il giudice comune di qualsiasi sindacato sostanziale sulla legittimità costituzionale delle leggi e permette di affermare la esclusiva competenza della Corte Costituzionale a conoscere della validità delle leggi. 51 5. Una prima conclusione La preannunciata e, poi, confermata diversità di posizioni, in realtà, svanisce parzialmente alla prova dei fatti, tutte essendo – in vario modo – accomunate da una carenza di sostanza definitoria. Quale sia, infatti, la differenza fra le diverse posizioni non è sempre chiaro. Nessuna delle tesi si mostra, poi, in grado di risolvere il problema pratico della non manifesta infondatezza, nessuna fornisce criteri precisi per stabilire dove finisce la delibazione prima facie e dove inizi una cognizione approfondita – lesiva delle competenze della Corte – così come nessuna riesce a determinare quando i dubbi prospettati siano forniti di consistenza e quando assolutamente privi83. La residua possibilità di offrire un contenuto definitorio preciso alla non manifesta infondatezza non può prescindere da quella che possiamo definire una prospettiva funzionale.84 La modulazione dei presupposti processuali della questione di legittimità costituzionale è, infatti, fortemente influenzata dalla funzione che si intende svolgere la questione stessa. Le condizioni di accesso incidentale alla Corte sono, infatti, inevitabilmente più o meno restrittive a seconda di quale fine si In questo senso e critici rispetto alle elaborazioni appena presentate, F. PIZZETTI– G. ZAGREBELSKY, Non manifesta infondatezza e rilevanza…, cit.,pp. 80 e ss. 84 In questo senso, F. PIZZETTI – G. ZAGREBELSKY, ivi, pp. 85 e ss., spec. p. 86. 83 52 intende perseguire con l’ordinanza di rimessione degli atti alla Corte85. Le alternative – come precedentemente visto – sono due. La questione di legittimità costituzionale può intendersi come strumento per offrire tutela alle posizioni costituzionalmente rilevanti delle parti in causa86 o come strumento per invalidare norme legislative incostituzionali87 . La distinzione non è di poco conto, se solo si pensa che nel primo caso, l’attenzione sarà inevitabilmente diretta alla posizione delle parti in causa del giudizio a quo, con un conseguente rafforzamento del rapporto di pregiudizialità/rilevanza tra di due giudizi. Nel secondo caso l’interesse perseguito sarà, invece, quello obiettivo e generale alla conformità costituzionale dell’ordinamento, con conseguente accentramento delle competenze interpretative/ applicative in capo alla Corte. Ne consegue, quindi, non solo una diversa modulazione dei rapporti fra giudizio ordinario e giudizio di costituzionalità – con tutte le conseguenze sul tema oggetto di analisi – ma anche una diversa configurazione del ruolo della Corte Costituzionale nel sistema stesso. In un caso, infatti, verrà accentuato il ruolo della Corte come giudice dei diritti, È di questo avviso anche G. SORRENTI, La “manifesta infondatezza” delle questioni di legittimità costituzionale e l’applicazione diretta della Costituzione nella prassi giudiziaria. Ovvero: una ricerca empirica su una risalente ipotesi, di rinnovata attualità, in Il giudizio sulle leggi e la sua “diffusione”. Verso un controllo di costituzionalità di tipo diffuso? a cura di E. MALFATTI, R. ROMBOLI, E. ROSSI, Atti del seminario di Pisa svoltosi il 25-26 maggio 2001 in ricordo di Giustinio D’Orazio, pag. 98 e ss, per la quale lo stesso problema dell’adeguamento interpretativo delle leggi a Costituzione riceverà una diversa soluzione a seconda di quale si intende essere la funzione della questione di legittimità costituzionale. 86 In questo senso C. ESPOSITO, Il controllo giurisdizionale…, cit. p. 266. P. CALAMANDREI, Corte Costituzionale e autorità giudiziaria, cit., p. 621 87 F. MODUGNO, Riflessioni interlocutorie…, cit., pp. 79 e ss. V. CRISAFULLI, La Corte costituzionale tra magistratura e Parlamento, cit. pp. 289 e ss. 85 53 nell’altro come giudice della legittimità costituzionale88. Contrario alla qualificazione della Corte Costituzionale come giudice dei diritti, R. BIN, L'applicazione diretta delle Costituzione…, cit., pp. 5 e ss., il quale sostiene «di poter identificare un primo “cromosoma” del sistema di controllo di legittimità italiano nel fatto che la Corte costituzionale non sia progettata come un “giudice dei diritti”». Nonostante, infatti, anche per l'Autore sia chiaro il carattere eclettico della questione di legittimità costituzionale così come delineato dalla disciplina positiva (sul punto e sulla differenza fra questione sollevata d'ufficio e questione sollevata dalla parti, PIZZETTI - G. ZAGREBELSKY, Rilevanza e non manifesta infondatezza…,cit., pp. 6 e ss. ) sostiene chiaramente che « Il “giudice dei diritti” nel nostro sistema è il giudice ordinario (e, con i noti problemi di distinzione, quello amministrativo); il principio dominante è che ogni posizione di diritto (e di interesse) debba essere azionabile davanti alla giurisdizione. L’immagine che meglio rappresenta la Corte costituzionale è invece quella del collegio arbitrale, chiamato a regolare il conflitto latente e strutturante tra il potere legislativo e il potere giudiziario: conflitto strutturante perché è proprio sul gioco di spinte e controspinte tra il circuito della politica e della volontà legislativa, da un lato, e quello della tecnica interpretativa e dell’attività di applicazione della legge al caso concreto, dall’altro, tra lex e jus, tra politica e diritto che si regge l’edificio dello Stato di diritto». E', tuttavia, impossibile non rilevare un'accentuazione del ruolo della Corte Costituzionale come giudice dei diritti dopo la riforma del Titolo V della Costituzione, in questo senso, insiste sul profilo all’interno di una più ampio ricostruzione di un sistema europeo di garanzia, G. ROLLA, Alcune considerazioni sui possibili effetti delle codificazioni e della giurisprudenza sovranazionali in materia di diritti sul cd “sistema europeo” di giustizia costituzionale, in ID. (a cura di), Il sistema europeo di protezione dei diritti fondamentali e i rapporti fra le giurisdizioni, Milano, 2010, pp. 3 e ss. Ma il profilo della tutela dei diritti è accentuato in tutte le indagini sul tema, tra i tanti, A. RUGGERI, Rapporti fra Corte Costituzionale e Corti europee, bilanciamenti interordinamentali e “controlimiti” mobili, a garanzia dei diritti fondamentali, Relazione tenuta all’incontro di studio su “Corti nazionali, Corti sovranazionali e tutela multilivello dei diritti”, presso la Scuola superiore di studi giuridici, Bologna 28 gennaio 2011; A. RUGGERI, Corte e diritti, in tempo di crisi, Relazione tenuta al seminario su Sovranità statale, costituzionalismo multilivello e dialogo tra le Corti, Scilla, 21 settembre 2012; T.E. FROSINI, Il codice di procedura di una Corte moderna, in www.giurcost.org., per il quale «si può riconoscere ormai un ruolo alla Corte di ultimo e inappellabile grado di giustizia. Non più, quindi, “legislatore negativo”, “giudice delle leggi”, ma anche, e vorrei dire soprattutto, Tribunale dei diritti e delle competenze costituzionali. Si è assistito a una progressiva e ineludibile trasformazione del ruolo della Corte costituzionale, al pari delle altri Corti in giro per il mondo, in una Corte Suprema al vertice del sistema giurisdizionale, dove l’oggetto del giudizio è pur sempre una legge, ma la finalità giurisprudenziale è la garanzia e la tutela dei diritti. Un carattere bifronte del processo costituzionale, teso alla ricerca della garanzia sia degli iura che della lex, sia dei diritti soggettivi che del diritto obiettivo. La trasformazione del ruolo della Corte è dovuta anche all’interpretazione della Costituzione come tavola dei valori, da cui poter attingere per risolvere casi e questioni di impatto costituzionale avvalendosi del principio di ragionevolezza, e quindi del bilanciamento fra diritti costituzionali. E ciò benché alla Corte italiana sia negata, come invece avviene in Germania e Spagna, la possibilità di giudicare sul ricorso del singolo cittadino, che ritiene di essere stato leso dei suoi diritti fondamentali». Sul quest’ultimo aspetto e sul recurso de amparo nel sistema di giustizia costituzionale spagnolo, M. DELLA MORTE, Il significato obiettivo del giudizio di amparo tra difesa della costituzione e tutela dei diritti fondamentali, in E. MALFATTI, R. ROMBOLI, E. ROSSI (a cura di), Il giudizio sulle leggi e la sua diffusione, cit., 88 54 Le tesi opposte a quella appena riportata – non a caso – partendo da una diversa indicazione della funzione della questione di legittimità costituzionale, arrivano ad una definizione diversa di non manifesta infondatezza e ad una ricostruzione opposta dei rapporti fra giudizi e del riparto competenziale fra giudici comuni e giudice costituzionale. p. 670 e ss. 55 CAPITOLO SECONDO L’INTERPRETAZIONE CONFORME PRESUPPOSTI TEORICI E DIFFICOLTÀ RICOSTRUTTIVE SOMMARIO: 1. L'interpretazione conforme: le difficoltà di inquadramento teorico. 2. La rilevanza e non la non manifesta infondatezza di fronte all'obbligo di composizione ermeneutica. Spunti per una ricostruzione. 3.Alla ricerca di un fondamento logico. I limiti dell'interpretazione conforme. 4. 3.L’obbligo di interpretazione conforme nella giurisprudenza costituzionale nel biennio 2011–2012 5.Interpretazione conforme e applicazione diretta della Costituzione: la ricerca di una linea distintiva. 6. Una recente giurisprudenza amministrativa in materia di pari opportunità: le ricadute sul piano interpretativo. 1. L’interpretazione conforme: le difficoltà di inquadramento teorico. L’indagine fin qui condotta è già sufficientemente in grado di dimostrare – o quanto meno di suggerire – che l’interpretazione conforme, lungi dall’essere un problema solo di teoria interpretativa89, ma rappresenta uno strumento privilegiato per accertare il modo in cui la funzione della garanzia costituzionale è esercitata nell’ordinamento italiano90. L’assunzione di un Sembra, quindi, divergente la prospettiva di analisi di G. SORRENTI che, in L’interpretazione conforme a Costituzione, passim, affronta il tema proprio dal punto di vista del metodo interpretativo. 90 Per R. BIN, L'applicazione della Costituzione…, cit., p. 8, «la questione dell’applicazione diretta della Costituzione e i suoi corollari possono essere utilmente riletti come questioni relative all’attribuzione di poteri costituzionali e alla separazione delle competenze attribuite alla legislazione e alla giurisdizione. Al centro è il potere di interpretare e applicare la 89 56 punto di vista sull’interpretazione costituzionalmente orientata presuppone, quindi, non tanto – o comunque non solo – una risoluzione del rapporto fra giudice e legge, ma una certa idea della funzione giurisdizionale, dei rapporti fra autorità giudiziaria e giudice costituzionale e una precisa ricostruzione dei presupposti processuali della remissione alla Corte. Quanto detto dimostra – contrariamente a quanto sostenuto da alcuni91 – che quello dell’interpretazione conforme non è affatto un problema di metodo giuridico92 risolvibile attraverso l’assunzione di un metodo prescrittivo per l’interpretazione della legge93. Del resto, ogni metodo sottende una diversa Costituzione: in ultima analisi, il tema è la funzione stessa della Costituzione». 91 G. SORRENTI, L’interpretazione conforme…, cit., pp. 57 e ss., la quale presenta il problema proprio dal punto di vista del metodo interpretativo, giungendo a conseguenze che non potevano che essere critiche rispetto a quello che si dice l'accentuazione del carattere diffuso del sindacato di costituzionalità in via incidentale. 92 Non è questa la sede per approfondire le tematiche legate alla ricerca di un metodo giuridico, ma per la distinzione fra le varie teorie sull’interpretazione si rinvia alla distinzione fra interpretazione meramente cognitiva, che si esaurisce in un mero atto di conoscenza (G. TARELLO, L’interpretazione della legge, Milano, 1980, pp. 57 e ss., dove l’interpretazione è rappresentata come «una attività intellettuale di conoscenza e non di volontà, di carattere tecnico e non politico» nonché «un’operazione intellettuale (…) un lavoro scientifico, inizio e fondamento della scienza del diritto»), interpretazione riproduttiva o rappresentativa, che si caratterizza «per la presenza di un intermediario che, ponendosi fra la manifestazione di pensiero di un autore e un pubblico interessato ad intenderla, assume l’ufficio di sostituire a quella una forma rappresentativa equivalente, dotata di un’efficacia comunicativa idonea a farne intenderne il senso» (E. BETTI, Teoria generale dell’interpretazione, Milano, 1990, p. 347), e interpretazione normativa, che è preordinata «al fine di regolare l’agire alla stregua di massime che si desumono da norme o dogmi, da valutazioni morali o da situazioni psicologiche da tenere in conto» (E. BETTI, ivi p. 790). Per un ulteriore approfondimento sulle altre dottrine dell’interpretazione, F. MODUGNO, Interpretazione giuridica, Padova, 2009. F. VIOLA - G. ZACCARIA, Diritto e interpretazione. Lineamenti di teoria ermeneutica del diritto, Roma-Bari, 2004. 93 E’ di questa idea anche, G. PISTORIO, Interpretazioni e giudici. Il caso dell’interpretazione conforme al diritto dell’Unione Europea, Napoli, 2012, pp. 4 e ss., la quale sottolinea che «l’ostacolo (…) che preclude tale ricognizione e che, in modo più o meno evidente, ha reso insoddisfacenti le varie teorie sull’interpretazione, è rappresentato dalla consapevolezza che l’interpretazione giuridica, intesa come attività preordinata alla risoluzione di un caso concreto, è un’attività pratica “infinita”, compiuta quotidianamente da un cospicuo numero di soggetti, ai quali compete scegliere gli argomenti, le tecniche, gli strumenti interpretativi 57 idea del diritto94, per cui un’analisi che solo a questo si riferisca non potrebbe che risultare monca95. Il quesito che riguarda l’interpretazione conforme non attiene, infatti, alla scelta tra un’applicazione costituzionale ed una incostituzionale della legge. Se così fosse, la decisione sarebbe ovvia. Il quesito riguarda la scelta tra l’applicazione della legge nell’interpretazione secundum Constitutionem e l’attivazione del sindacato di costituzionalità e chiama, quindi, in causa i rapporti fra giurisdizione comune e giudici costituzionali, richiedendone una definizione delle rispettive funzioni. E non potrebbe essere altrimenti. La parzialità offerta dalla prospettiva della teoria dell’interpretazione, tuttavia, è riconosciuta anche da chi assume quella teoria come punto di vista privilegiato per l’esame se si afferma che «non sarebbe, infatti, sufficiente un necessari per trarre norme dalle disposizioni». 94 E’ di questo avviso, G. ZAGREBELSKY, Il diritto mite…, cit., p.185 e ss., per il quale, ad esempio, l’interpretazione secondo l’intenzione del legislatore rinvia «all’idea positivistica del diritto come mera volontà di questo; l’interpretazione sistematica, all’idea di questo come sistema; l’interpretazione storica, al diritto come fatto di normazione storica (…)». 95 La questione dell’interpretazione interseca l’oggetto dell’indagine, più che altro, da un profilo diverso da quello della classificazione del metodo giuridico. Il significato del temine «legge» nella previsione costituzionale di cui all’art. 101, primo comma, va, infatti, interpretato e contestualizzato. Se l’avverbio «soltanto» garantisce l’autonomia e l’indipendenza del giudice da altri poteri, per «legge» il Costituente voleva riferirsi al fondamento e, allo stesso tempo, al limite delle funzione giurisdizionale. Per legge deve, quindi, intendersi qualsiasi norma di diritto oggettivo, sul tema C. ESPOSITO, Eguaglianza e giustizia nell’art. 3 Cost., in La Costituzione italiana, Saggi, Padova, 1954, p. 17; A. CERRI, voce Uguaglianza (principio costituzionale di), in Enc. Giur., vol. XXXVI, Roma, 2005, p. 3. Non vi è dubbio, infatti, che l’entrata in vigore della Costituzione prima, l’adesione al sistema di protezione previsto dalla Convenzione europea dei diritti dell’Uomo e il riconoscimento dell’efficacia diretta delle fonti europee abbiamo modificato i rapporti fra giudici e legislazione, in questo senso R. ROMBOLI, Modelli di giudice e complessità sociale: bocca della legge, interprete, mediatore dei conflitti o difensore dei diritti?, Relazione al Convegno “L’interpretazione giudiziale fra certezza del diritto ed effettività delle tutele”, svoltosi ad Agrigento il 17 e 18 settembre 2010. 58 meta criterio ermeneutico, ma un criterio organizzativo che subordinasse integralmente la funzione invalidante a quella interpretativa delle disposizioni costituzionali».96 Pur tuttavia si sostiene che il discrimen – ovvero la regola che dovrebbe guidare il giudice – resta nell’inciso “quando sia possibile”. Il giudice dovrebbe sollevare la questione di legittimità costituzionale quando la formulazione della legge non ne permette l’adeguamento a Costituzione. Il problema è, quindi, osservato dal punto di vista del rapporto fra giudice e legge. E, infatti, si sostiene che, «posto che lo Stato costituzionale reagisce sulla teoria dell’interpretazione ampliando la sfera di legittimazione del giudice a cercare risposte alle domande di giustizia, i confini che delimitano la stessa «possibilità» dell’attività interpretativa si sono nel frattempo spostati in avanti…» e conseguentemente «proprio i rischi che l’interpretazione costituzionale comporta di una totale dissoluzione della base legislativa dello Stato di diritto costituiscono, però, il nodo centrale»97. Nonostante la contraria affermazione si continua, quindi, a ritenere che il problema dell’interpretazione conforme risieda in quell’inciso «quando sia possibile», e quindi nell’individuazione del limite posto dalla lettera della legge al giudice98. In sostanza che il problema sia ancora di teoria dell’interpretazione, L'affermazione non può che voler dire che non è sufficiente fissare un ulteriore criterio che guidi il giudice nell'interpretazione della legge. Quello dell'interpretazione conforme è un problema risolvibile solo definendo i rapporti fra Corte Costituzionale e i giudici. Per una critica alla tripartizione delle funzioni delle disposizioni costituzionali, O. CHESSA, Drittwirkung,… cit. pp. 420 e ss. 97 G. SORRENTI, L’interpretazione conforme…, cit., pp. 116 e ss. 98 Sostiene espressamente che la lettera della legge funga da limite esplicito all’attività di adeguamento interpretativo a Costituzione, G. PISTORIO, Interpretazione e giudici…, cit., pp. 96 59 55 e ss., per la quale «l’interpretazione conforme dovrebbe realizzare infatti un adeguamento della disposizione di legge interpretanda al diritto costituzionale che funge da parametro, senza però superare il limite del testo. In altre parole, l’attività interpretativa non dovrebbe condurre il giudice ad una vera e propria manipolazione del diritto, al fine di leggere nella disposizione quello che non c’è, anche quando la Costituzione vorrebbe che vi fosse». Ma, in questo senso, sono orientati più o meno unanimamente tutti i contributi in tema, G. AMOROSO, I seguiti delle decisioni di interpretazione adeguatrice della Corte Costituzionale nella giurisprudenza di legittimità della Corte di cassazione, in Rivista trimestrale di diritto pubblico, 2008, pp. 769 e ss., per il quale «un limite all’interpretazione adeguatrice certamente c’è per il giudice comune che è soggetto alla legge, suscettibile sì di interpretazione, ma nell’ambito di un intervallo chiuso di significati plausibilmente espressi da una disposizione polisensa. L’interpretazione adeguatrice va ricercata dal giudice comune in questo ambito e quindi può ipotizzarsi che talvolta il testo della disposizione, quand’anche piegato dall’esigenza di conformità a Costituzione, non esprima alcuna norma compatibile». Anche nei confronti della Corte costituzionale sembra operare un limite all’interpretazione adeguatrice: «una sorta di limite fisico conseguente alla potenzialità più o meno estesa, ma pur sempre limitata, della disposizione indubbiata di esprimere norme diverse attraverso il procedimento di interpretazione» Tale limite, per l’Autore, può attivare il cd meccanismo della doppia pronuncia, ovvero l’adozione di una pronuncia di accoglimento condizionata al mancato seguito dell’interpretazione offerta dalla Corte. Il necessario rispetto del confine «tra esegesi e stravolgimento della lettera e del senso delle norme» è sottolineato da, M. BIGNAMI, L’interpretazione del giudice comune nella «morsa» delle Corti sovranazionali, in Giurisprudenza costituzionale, 2008, fasc. I, pp. 595 e ss. Si veda anche M. LUCIANI, Le funzioni sistemiche della Corte Costituzionale, oggi, e l’interpretazione “conforme” a, in www.federalismi.it, n. 16, 2007; G. P. DOLSO, Interpretazione adeguatrice: itinerari giurisprudenziali e problemi aperti, in G. BRUNELLI, A. PUGIOTTO, P. VERONESI (a cura di), Scritti in onore di Lorenza Carlassare. Il diritto costituzionale come regola e limite al potere, IV, Dei giudici e della giustizia costituzionale, Napoli, 2009, pp. 1356 e ss.; G. U. RESCIGNO, Del preteso principio secondo cui spetta ai giudici ricavare principi dalle sentenze della Corte e manipolare essi stessi direttamente le disposizioni di legge per renderle conformi a tali principi, in Giurisprudenza costituzionale, 2009, p. 2417, per il quale non è ammissibile l’operazione interpretativa di stravolgimento del senso delle disposizioni «togliendo o aggiungendo parole e frasi, in modo che il testo originario, con questa manipolazione, dica quanto è conforme al principio individuato»; M. RUOTOLO, Oltre i limiti dell’interpretazione costituzionalmente conforme? A proposito della pronuncia della Cassazione sulla presunzione di adeguatezza della custodia cautelare in carcere per il delitto di violenza sessuale di gruppo, in www.rivistaaic.it, 2012, p. 18; A. CELOTTO, “Limite di sagoma” o limite di volumetria” nelle ristrutturazioni? Sui limiti dell’interpretazione costituzionalmente conforme (in margine a TAR Lombardia, Milano, sez. II, 16 gennaio 2009, n. 153 e Tar Lombardia Brescia, 13 maggio2008, n. 504), in www.giustamm.it 2009, p. 2 e ss., secondo cui il giudice avrebbe finito per sostituirsi al giudice costituzionale, dando vita ad un sistema di controllo di costituzionalità para-diffuso. Contra, F. MODUGNO, Sul problema dell’interpretazione conforme a Costituzione, Un breve excursus, in Giur. it., 2010, p. 1968, secondo il quale «il giudice comune non si sostituisce affatto al giudice costituzionale, ma esercita il suo potere interpretativo che non può non comprendere l’interpretazione della legge alla luce della Costituzione»; «l’incidentalità del giudizio costituzionale non è affatto “cancellata”, per la semplice ragione che un giudizio costituzionale non è stato (ancora) introdotto, trattandosi di verificare le condizioni della sua instaurazione, Né si è con ciò introdotto un controllo para-diffuso di costituzionalità, perché il giudice comune, nell’interpretare la legge in modo conforme a Costituzione, confronta i due rispettivi 60 prima che di altri99. A conferma, basti rilevare che la critica nei confronti dell’interpretazione conforme – o che dir si voglia – del suo abuso, si intreccia amplius con quella nei confronti dell’uso dei principi costituzionali nella fase di interpretazione/ applicazione del diritto. Non bisognerebbe trascurare – si dice – il fatto che possono esservi contemporaneamente più soluzioni “conformi” alla Carta fondamentale100, proprio a causa dell’ “apertura” delle norme costituzionali. Ancora una volta, quindi, il problema dell’interpretazione conforme intreccia quello – di teoria interpretativa – dell’uso delle norme di principio nella fase – latu sensu – di applicazione del diritto. Non sembra, invece, questo il punto di vista utile da cui inquadrare il problema dell’adeguamento interpretativo dei contrasti fra legge e enunciati, prima ancora (e ai fini) di fissare (dedurre o proporre) la norma (di legge) sulla quale soltanto può vertere il vero e proprio controllo (accentrato) di costituzionalità». 99 Non si disconosce qui la rilevanza del problema del rapporto fra giudice e legge né dell'indagine sull'esistenza di un metodo giuridico prescrittivo che guidi il processo di interpretazione/ applicazione del diritto, ma si ritiene che non apporti risultati pratici all'indagine sul tema in oggetto. Il limite oltre il quale il giudice non deve spingersi nell'attività di adeguamento della legge è più chiaramente tracciato dal riparto competenziale fra giurisdizione comune e giudici costituzionali e dalla individuazione della funzione della questione di legittimità costituzionale. Continuare a chiedersi se il risultato interpretativo rispetti o meno l'intenzione del legislatore o il significato proprio delle parole come prescrive l'art. 12 disp. Prel. Cod. civ., sarebbe quanto meno arduo, in questa sede e per via del coinvolgimento del parametro costituzionale nel sillogismo giudiziale. Se, invece, assumiamo una certa idea della funzione della questione di legittimità costituzionale, individuiamo il destinatario privilegiato delle sentenze della Corte, presupponendo un alto grado di normatività della Costituzione, ne escono facilmente definiti ruolo e limiti per l'interpretazione conforme. 100 Ancora, G. SORRENTI, L’interpretazione conforme…, cit. pp. 82 e ss. in questo, prende le distanze dalla tesi dworkiana della one right answer. L’idea per cui l’elaborazione della norma nel processo di concretizzazione del diritto ai casi dissolva la plurivocità dei principi costituzionali non convince l’autrice. Anzi, l’appiattimento sul caso concreto minaccerebbe la certezza giuridica e la stabilità dei rapporti. 61 Costituzione, non fosse altro perché incapace di darci risposte sulla funzione e sui limiti del canone in questione. L’individuazione del confine oltre il quale il giudice/interprete non deve spingersi per rispettare il vincolo di cui la Costituzione lo grava ex art. 101 sembra impresa ardua se si restringe l’indagine alla ricerca del metodo giuridico. Mentre ben più funzionale allo scopo dell’analisi è l’adozione della prospettiva prima indicata, ovvero quella della funzione della questione di legittimità costituzionale e, amplius, del modo di esercizio della funzione di garanzia costituzionale. Gli esiti ricostruttivi, in tal caso, saranno inevitabilmente diversi a seconda del modo in cui intenderemo protetta la rigidità delle disposizioni costituzionali. E’ a questo punto che funzionalizzeremo le tesi prima esposte al fine di confortare una certa idea sull’interpretazione conforme. 2. La rilevanza e non la non manifesta infondatezza di fronte all’obbligo di composizione ermeneutica. Spunti per una ricostruzione La digressione sui presupposti processuali compiuta in apertura ci permette, del resto, di affrontare il tema dell’adeguamento interpretativo delle leggi a Costituzione senza soluzione di continuità se solo si pensi che sia in dottrina che in giurisprudenza – pur nelle diversità di opzioni – è pacificamente considerato una condizione di ammissibilità della questione di legittimità 62 costituzionale.101 E’ consolidato orientamento l’affermazione dell’inammissibilità della questione di legittimità costituzionale quando il giudice a quo si sia sottratto al doveroso sforzo di adeguamento interpretativo della legge a Costituzione – da ultimo, ex pluribus, ordinanza n. 175 del 2011, con cui la Corte censura con la manifesta inammissibilità la questione di legittimità costituzionale sollevata perché – dice – «viziata da una non compiuta sperimentazione da parte del rimettente stesso del doveroso tentativo di dare una interpretazione costituzionalmente conforme delle norme impugnate (ordinanze n. 101, n. 103 e n. 212 del 2011) sembrando piuttosto che egli cerchi di utilizzare in modo improprio e distorto l’incidente di costituzionalità, nel tentativo di ottenere dalla Corte un avallo interpretativo (ordinanza n. 139 del 2011)»102. Sembra ora particolarmente utile stabilire in che modo l’onere di previa composizione interpretativa si intreccia con il modello di giustizia costituzionale italiano, ovvero se si limiti a reagire sui presupposti già previsti dalla disciplina della remissione della questione alla Corte, o se rappresenti un terzo requisito introdotto iure pretorio. In definitiva se e come risulti Sul punto M. PERINI, L’interpretazione della legge alla luce della Costituzione fra Corte Costituzionale ed autorità giudiziaria, in Il giudizio sulle leggi e la sua “ diffusione”, cit., p. 3 e ss. G. SORRENTI, La “manifesta infondatezza” delle questioni di legittimità costituzionale e l’applicazione diretta della Costituzione nella prassi giudiziaria, in Il giudizio sulle leggi e la sua “diffusione”, cit., pp. 7 e ss, ; O. CHESSA, Non manifesta infondatezza vs interpretazione adeguatrice, in Interpretazione conforme e tecniche argomentative, a cura di M. D’AMICO, B. RANDAZZO, cit., pp. 266 e ss. ; A. RAUTI, L’interpretazione adeguatrice come metacriterio ermeneutico e l’inversione logica dei criteri di rilevanza e non manifesta infondatezza, in Il giudizio sulle leggi e la sua “diffusione”, cit., pp. 490 e ss. 101 63 compatibile con il modello descritto dalla l. cost. n. 1 del 1948 e dalla l. n. 87 del 1953. E a questo punto risulta preliminare l’analisi già compiuta delle diverse posizioni che hanno caratterizzato – prevalentemente nei primi anni di funzionamento della Corte – il dibattito sui presupposti processuali per la remissione della questione. Il grado di compatibilità dell’attività di adeguamento interpretativo compiuta dai giudici comuni con il carattere accentrato del sindacato incidentale delle leggi103 sarà, infatti, influenzato dal significato a sua volta attribuito alla non manifesta infondatezza e alla rilevanza e – per la già evidenziata inferenza logica– dalla individuazione della funzione della questione di legittimità costituzionale. Possiamo semplificare operando una divisio tra le posizioni di chi ritiene che l’interpretazione conforme insista sul giudizio di non manifesta infondatezza – Sull’utilizzo della dicotomia sindacato accentrato-diffuso, in relazione ai rischi di torsione apportati dalla pratica dell’interpretazione conforme, sottolinea l’equivoco, M. PERINI, L’interpretazione della legge alla luce della Costituzione…, cit., pp. 73 e ss., il quale la stessa idea di diffusione del sindacato in relazione all’interpretazione conforme è frutto di un equivoco. E, infatti, dice «se stipuliamo che per controllo di costituzionalità si intende la valutazione circa la validità (formale e materiale) di una norma (subordinata) rispetto da quanto prescritto da altra norma (sovraordinata), allora l’interpretazione adeguatrice non sembra avere nulla a vedere con il controllo di costituzionalità: l’uno si fonda su una gerarchia formale che spetta unicamente alla Corte applicare e l’altra su una gerarchia assiologica che tutti gli operatori giuridici sono chiamati a rispettare ed attuare. Se, viceversa, per controllo di costituzionalità s’intende la conformazione del diritto esistente alle superiori disposizioni costituzionali, allora non solo l’interpretazione adeguatrice comporta tale controllo, ma qualunque attività (legislativa, amministrativa, di governo) che abbia tale scopo si risolve in controllo di costituzionalità. Poiché nel linguaggio comune, ancor prima che in quello giuridico, l’uso (la definizione lessicale) è quello per primo indicato, sembra possibile affermare l’estraneità del tema (della dottrina) dell’interpretazione adeguatrice al tema del controllo di costituzionalità e, dunque, anche delle sue eventuali specificazioni (accentrato/diffuso, concreto/astratto). Ne segue che nessuna “pretesa espropriazione ai danni della Corte costituzionale della sua competenza esclusiva” potrebbe ravvisarsi nel ricorso, anche massiccio, da parte della magistratura all’interpretazione adeguatrice». 103 64 specificandolo o modificandolo, di chi ritiene che – viceversa – rientri nel giudizio sulla rilevanza e di chi, infine, ne discute come di un terzo presupposto processuale – o solo logico – introdotto iure pretorio. E’ dell’idea che la valorizzazione dell’uso del canone dell’interpretazione conforme modifichi il giudizio sulla non manifesta infondatezza in maniera evidentemente incompatibile con il riparto di competenze tra Giudice costituzionale e giudici comuni Sorrenti che, in L’interpretazione conforme a Costituzione104, afferma la necessità di una chiara delimitazione degli ambiti del giudizio preliminare compiuto dal giudice a quo105 Riporta, infatti, con accenni decisamente critici un orientamento della giurisprudenza della Corte di Cassazione (sent. n. 2489/1984) in cui si afferma che la differenza tra il giudizio preliminare alla remissione degli atti e quello definitivo del giudice costituzionale è solo quantitativa, dovendo anche il giudice a quo convincersi della certa incostituzionalità per sospendere il giudizio. La critica di Sorrenti si appunta proprio sulle modalità individuate dalla Suprema Corte attraverso le quali sarebbe compiuta la fase preliminare al giudizio di legittimità costituzionale. Nella sentenza si legge, infatti, che la questione potrà dirsi manifestamente infondata quando «è stato possibile rimuovere con sicurezza e in maniera appagante, i dubbi di costituzionalità anche se, per giungere a tale Ma già precedentemente, in G. SORRENTI, “La manifesta infondatezza”…, cit., p. 76 e ss e ID., La Costituzione “sottintesa”, Relazione presentata al Seminario dal titolo “Corte costituzionale, giudici comuni e interpretazioni adeguatrici”, Roma, Palazzo della Consulta, 6 novembre 2009. 105 65 tranquillizzante certezza, ha dovuto svolgere un procedimento non agevole né breve» 106 . Tra gli strumenti individuati per scogliere il dubbio rientra, appunto, quello dell’interpretazione costituzionalmente compatibile. Ed è, qui, che per Sorrenti si annida il rischio di una manipolazione del modello di giustizia costituzionale accentrato, attraverso una rimodulazione del riparto di competenze fra Giudice delle leggi e giudici ordinari. Il contenuto della riserva costituzionale si risolverebbe, in questa prospettiva, nella sola dichiarazione di illegittimità costituzionale. Ma, per Sorrenti, una simile ripartizione tra giudici e Corte sarebbe viziata da un limite logico. «L’invalidità di una legge – dice – può evidentemente emergere solo come esito finale di un giudizio, e non può viceversa precedere quest’ultimo» (...) «peraltro, l’assegnazione al giudice del potere di verificare la costituzionalità della legge attraverso tutta una serie di “prove di resistenza” riduce la Corte al ruolo di mero “controllore” di un giudizio di costituzionalità già emesso dal giudice e le sentenze di rigetto a quello di meri rimedi ad altrettanti “errori” dei giudici a quibus». Il ricorso al canone dell’interpretazione conforme, poi, da un lato «presenta il vantaggio di realizzare immediatamente, in relazione al processo comune pendente, le pretese costituzionalmente invocate», dall’altro «non promuovendo l’emissione di una decisione con efficacia eventualmente generale, comporta l’accettazione del rischio che di fatto permangano interpretazioni della stessa 106 Cass. Civ., sent. 2439/1984 (punto 4 mot. in dir). 66 disposizione difformi dalla Carta fondamentale»107. Ci sembra dire – ma è deduzione legittima – che di fronte a qualsiasi dubbio interpretativo, debba intendersi aperta una questione di legittimità costituzionale108. L’Autrice sottolinea, anche – ma il passaggio rimane non sufficientemente sviluppato – che la scelta fra le due opposte esigenze dipende dall’adesione ad una delle due concezioni alternative della questione di legittimità costituzionale109. La circolarità del discorso che si va facendo è evidente. E’ indubbio, infatti, come la ricostruzione appena presentata sia l’esito della scelta a favore della questione di legittimità come strumento di garanzia della massima conformità dell’ordinamento a Costituzione. E, infatti, corollari di questa opzione preliminare sono, in primo luogo, la convinzione della necessità di garantire, con la massima estensione possibile, l’accesso al giudice costituzionale attraverso una interpretazione restrittiva dei presupposti processuali. In secondo luogo, la quasi completa riduzione di campo operativo per la risoluzione dei contrasti di gerarchia ad opera dei giudici comuni. Infatti, rispetto al fine della massima conformità a Costituzione dell’ordinamento, una decisione – seppur compositiva – resa in un singolo giudizio e con efficacia G. SORRENTI, La manifesta infondatezza…, cit., p. 98. E' questa più o meno la stessa critica che muove A. PACE, I limiti dell'interpretazione adeguatrice, cit., pp. 1070 e ss. 108 E' qui la distanza con la posizione, pur non particolarmente audace di Lavagna, cui pure l'Autrice sostiene di aderire. Infatti, per Lavagna «tale soluzione … contrasterebbe con il principio di delibazione e con l'implicita funzione collaborativa cui sono chiamate le varie magistrature, urtando per di più con la tradizionale ed istituzionale competenza delle giurisdizioni a dichiarare il diritto, sia pure in ordine ad una particolare fattispecie», C. LAVAGNA, Considerazioni sulla inesistenza di questioni di legittimità costituzionale e sulla interpretazione adeguatrice, (1959) in Ricerche sul sistema normativo, Milano, 1954, pp. 601 e ss. 109 G. SORRENTI, L’interpretazione conforme…, cit., p. 99. 107 67 ovviamente inter partes, non ha valore dirimente110. Se, infatti, il destinatario delle sentenze della Corte Costituzionale è il legislatore e se la dichiarazione di accoglimento funziona come una sanzione nei confronti dell’esercizio costituzionalmente difforme del potere legislativo, perde di rilevanza la decisione ricompositiva dell’equilibrio gerarchico resa nel singolo giudizio, anzi questa si presenta come un ostacolo al più ampio disegno di coerenza costituzionale dell’ordinamento111. Della stessa idea, ovvero che il canone dell’interpretazione conforme reagisca sul presupposto della non manifesta infondatezza è Lavagna che, in Problemi di giustizia costituzionale sotto il profilo della «manifesta infondatezza» e, amplius, in Considerazioni sulla inesistenza di questioni di legittimità costituzionale e sulla interpretazione adeguatrice112 individua E', esattamente, questa la stessa idea di F. MODUGNO, Riflessioni interlocutorie…, cit., pp. 62 e ss. Tuttavia, l'Autrice richiama ad adiuvandum la posizione di C. Lavagna e di A. Pace, con queste ne vedremo le dovute differenze. L'opzione – seppur criticabile – rimane valido sostegno teorico, ma la critica cade – a nostro avviso – nell'eccesso di escludere in toto il ricorso al canone in questione nella parte in cui sostiene che «affermando che una certa soluzione ermeneutica viene preferita in virtù del (solo) canone di interpretazione adeguatrice, il giudice riconosce che la norma desunta dalle parti e fatta oggetto dell'eccezione di incostituzionalità è difforme a Costituzione. Sembra, dunque, inevitabile ammettere che, in tale, contesto il giudice provveda a disapplicare autonomamente norme ritenute costituzionalmente illegittime, che rimangono, però, potenzialmente operanti, perché non definitivamente annullate», G. SORRENTI, L’interpretazione conforme…, cit., p. 99. 111 Il tema tocca incidentalmente quello – più ampio – dei rapporti fra Corte Costituzionale e Parlamento. La digressione sarebbe – in questa sede – ultronea, ma cfr. A. RUGGERI, La Corte Costituzionale nel sistema costituzionale– 1. Corte Costituzionale e Parlamento (in chiaroscuro) in Foro it. 2000 n. 2 pt. 5, p. 19 e ss., A. RUGGERI, G. SILVESTRI (a cura di), Corte Costituzionale e Parlamento: profili problematici e ricostruttivi, Milano, 2000, G. ZAGREBELSKY, La Corte Costituzionale e il legislatore in P. BARILE, E. CHELI, S. GRASSI (a cura di), Corte Costituzionale e sviluppo della forma di governo in Italia, cit. p. 103 e ss, F. MODUGNO, Corte Costituzionale e potere legislativo in (a cura di) P. BARILE, E. CHELI, S. GRASSI, Corte Costituzionale e sviluppo della forma di governo in Italia, Bologna 1982, pp. 19 e ss. 112 C. LAVAGNA, Problemi di giustizia costituzionale…, cit., p. 529 e ss. 110 68 nell’interpretazione conforme un criterio per la valutazione della non manifesta infondatezza della questione. Le conclusioni cui arriva, però, sono parzialmente diverse da quelle prima esposte. Nella ricostruzione di Lavagna il criterio dell’adeguamento delle leggi a Costituzione è solo ausiliario e mai risolutivo rispetto al giudizio di delibazione del giudice a quo e può trovare applicazione solo in assenza di contrasti interpretativi sulla disposizione di raffronto. E, infatti, la scelta – tra le due – a favore della norma costituzionalmente compatibile, pur rappresentando uno strumento di applicazione della Costituzione, per Lavagna può essere preferita solo ove la norma conforme a Costituzione sia l’unica norma ricavabile dalla disposizione indubbiata attraverso un criterio interpretativo strettamente lessicale. Il motivo della restrizione è evidente e risiede in una presunta separazione fra ordine legale e ordine costituzionale che finisce per ridurre al minimo la cognizione interpretativa del giudice comune sul parametro costituzionale113. Lavagna accetta l’ormai consolidata idea per cui sui giudici gravi un obbligo di delibazione meno sbrigativa di quella teorizzata nei primissimi commenti alla l. cost. n. 1 del 1948 e alla l. n. 87 del 1953, ma insiste sulla necessità di chiarire i criteri e i limiti della scelta e – più precisamente – il rapporto che Sul rapporto tra legalità legale e legalità costituzionale, M. LUCIANI, Su legalità costituzionale, legalità legale e unità dell’ordinamento, in AA. VV. Studi in onore di Gianni Ferrara, Torino, 2005, pp. 501 e ss. Sulla separazione fra interpretazione della legge e della Costituzione , G. ZAGREBELSKY, Il diritto mite…, cit., pp. 147 e ss., la cui tesi principale è proprio quella dell'indistinguibilità, ai fini della individuazione della norma regolatrice del caso concreto, fra diritto costituzionale per principi e diritto legislativo per regole. Contra, sostiene che tra l’interpretazione delle legge e quella della Costituzione sussista un rapporto di specialità, G. GUASTINI, L’interpretazione dei documenti normativi, Milano, 2004. 113 69 intercorre fra il criterio della cd concretezza storica e quello – appunto – dell’adeguamento. Infatti ­ dice­ «mentre si è detto e ridetto che, fra le varie possibili interpretazioni della norma legislativa, il giudice deve assumere quella storicamente operante ed altresì quella più conforme al precetto costituzionale, per rimettere la questione alla Corte solo se non sia possibile tale autonomo superamento dell’incidente; non si sono affatto precisati la priorità, più che essenziale, fra i due criteri, né i loro (altrettanto essenziali) limiti. Qualora, infatti, dovesse prevalere – come sembra nell’indirizzo più recente della Corte – il criterio dell’adeguamento, non solo l’altro criterio (della concretezza storica) non troverebbe quasi mai applicazione, ma diventerebbe sempre più arbitrario ed ipotetico il ricorso alla Corte. Giacché sarebbe quasi sempre possibile, attraverso i più audaci mezzi ermeneutici, ridurre una disposizione incostituzionale a costituzionale, senza preoccuparsi di sapere se e fino a che punto i risultati restino nell’ambito di una interpretazione storica concreta, ovvero rappresentino una innovazione, magari stravagante. Qualora invece dovesse prevalere il primo criterio, inutile sarebbe il secondo; trattandosi di individuare il significato storicamente attribuito alla norma e di rimettere la questione alla Corte, sol che affiori un qualsiasi dubbio di contrasto costituzionale, ed anche se altre interpretazioni, astrattamente possibili, possano apparire conformi alle norme di raffronto». Lavagna auspica, quindi, un utilizzo alternativo dei due criteri, ma con 70 prevalenza di quello cd. di concretezza storica, per cui «o la norma legislativa risulta suscettibile di una chiara, prevalente interpretazione (per essere quella storicamente concreta, se c’è, o per altre ragioni, se manca una interpretazione corrente ben definita) atta ad escluderne ogni altra, pur astrattamente possibile» o «è suscettibile di varie interpretazioni, tutte dotate, più o meno, di una qualche liceità logica e giuridica» e, in questo caso occorre innescare il criterio dell’adeguamento come criterio sussidiario. Nel primo caso, quindi, il giudice dovrà deliberare la costituzionalità della norma scegliendo l’interpretazione che ritiene prevalente. Nel secondo caso, invece, dovrà scegliere l’interpretazione più conforme alla disposizione costituzionale114. La posizione appena presentata ha il merito di identificare nell’adeguamento preventivo delle leggi a Costituzione uno strumento di attuazione costante della norma fondamentale115, riconoscendo anche al potere giudiziario la titolarità di quel processo di inveramento che la Costituzione affida al potere politico116, ma tuttavia presenta aspetti anacronistici. Allargare, infatti, le maglie del sindacato di non manifesta infondatezza per includervi l’obbligo di interpretazione conforme solo quando il parametro costituzionale risulti inequivoco, se da un lato sembra voler far fronte al rischio di una pratica C. LAVAGNA, Problemi di giustizia costituzionale…,cit., pp. 601 e ss. Su questo già, M. DOGLIANI, Interpretazioni…, cit. pp. 69 e ss. 116 Identifica nei partiti politici i soggetti privilegiati nella direzione del progetto di attuazione della Carta Costituzionale, C. ESPOSITO, I partiti politici nella Costituzione italiana, in La Costituzione Italiana, Padova, 1954, pp. 215 e ss. 114 115 71 giudiziaria per principi117, dall’altro presuppone una rigida separazione fra legge e Costituzione e, di conseguenza, tra interpretazione legislativa e interpretazione costituzionale che non sembra accettabile dopo il riconoscimento della piena normatività delle disposizioni costituzionali118. La subordinazione, poi, del criterio di adeguamento a quello che Lavagna definisce della concretezza storica, affermata nel tentativo di garantire l’uniformità di soluzioni giudiziali, ci sembra vada oltre le intenzioni, perché finisce per limitare eccessivamente l’autonomia interpretativa del singolo giudice, anche sulla disposizione legislativa, dimenticando, tra l’altro, che il rischio di un antiformalismo decisionale è arginato dalla natura diffusa del potere stesso. La possibilità di ricorrere ad altro giudice, infatti, limita il rischio di soluzioni difformi a Costituzione e garantisce sempre una riespansione della giurisdizione costituzionale119. La circostanza, infatti, che altro giudice risolva diversamente il giudizio deliberativo è una garanzia non trascurabile che ridimensiona i rischi dell’uso del canone di interpretazione A. PACE, Interpretazione costituzionale e interpretazione per valori, in G. AZZARITI (a cura di), Interpretazione costituzionale, Torino, 2007, pp. 41 e ss, nel quale sostiene la necessità di un superamento storico del giuspositivismo, oltre che la presa d’atto dell’impossibilità di scindere fra morale, giustizia e diritto. 118 Sulla normatività delle disposizioni costituzionali, insuperabile l’insegnamento di V. CRISAFULLI, Sull’efficacia normativa delle diposizioni di principio della Costituzione (1948), in La Costituzione e le sue disposizioni di principio, Milano, 1952. Sull’idea di fusione fra legge e Costituzione nell'individuazione della norma da applicare nel caso concreto, O. CHESSA, Drittwirkung…, cit., pp. 420 e ss. Che l'affermazione del canone dell'interpretazione conforme in giurisprudenza sia contestuale al progressivo riconoscimento della precettività delle disposizioni costituzionali, lo sottolinea M. PERINI, L'interpretazione della legge alla luce della Costituzione fra Corte Costituzionale ed autorità giudiziaria…, cit., pp. 59 e ss., per il quale alla base della dottrina dell'interpretazione adeguatrice sta l'affermazione della diretta precettività / obbligatorietà della Costituzione nei confronti di qualunque operatore giuridico. 119 Proprio in questi termini e sulla garanzia del potere diffuso, O. CHESSA, ivi., pp. 420 e ss. 117 72 conforme in termini di certezza delle soluzioni giudiziali. Ancora della stessa idea, ovvero che l’interpretazione conforme reagisca sul presupposto della non manifesta infondatezza, è Chessa, il quale propone un ripensamento del concetto di interpretazione adeguatrice o conforme a Costituzione se non un abbandono definitivo, insieme alla discussa distinzione fra funzione interpretativa, integrativa e parametrica delle disposizioni costituzionali120. L’idea – dice l’autore – dell’interpretazione adeguatrice «si regge sull’equivoco che la costituzione possa fungere da “criterio interpretativo”. Criteri interpretativi sono quello “storico”, “letterale”, “sistematico”, ecc.: la costituzione è invece un testo che va interpretato da cui si ricavano norme diverse in relazione agli oggetti cui si applica e ai criteri in base ai quali viene letta». Il nomen “interpretazione conforme”, quindi, sarebbe – in questa prospettiva – esso stesso fuorviante. Il giudice, infatti, non è chiamato a far altro che ricondurre a sistema le disposizioni di legge, o meglio ricavare una norma applicabile al caso concreto sulla base del materiale normativo di cui dispone – sia legislativo che costituzionale121. La O. CHESSA, ivi, p. 424 e ss; nello stesso senso, R. ROMBOLI, Il riferimento al parametro costituzionale da parte del giudice in ipotesi diverse dalla eccezione di costituzionalità (l'interpretazione “adeguatrice” e l'applicazione diretta), in G. PITRUZZELLA – F. TERESI, G. VERDE (a cura di), Il parametro nel giudizio di costituzionalità, Atti del seminario di Palermo 28–29 maggio 1998, pp. 635 e ss. 121 Parla, infatti, di saldatura fra disposizione legislativa e disposizione costituzionale da cui deriva una norma nuova applicabile al caso di specie, O. CHESSA, Drittwirkung…, cit., p. 425. Conferma la prospettiva di analisi in O. CHESSA, Non manifesta infondatezza vs interpretazione adeguatrice? in Interpretazione conforme e tecniche argomentative, Convegno del Gruppo di Pisa, cit., pp. 266 e ss., per cui « la regola del caso deve sempre essere costruita sulla base di tutte quelle fonti vigenti non invalide (che siano ovviamente pertinenti al caso), ivi comprese le fonti costituzionali, atteso che queste sono fonti del 120 73 ricomposizione sistematica ovviamente non sarà realizzabile nel caso in cui il giudice accerti l’impossibilità di ricavare dalle disposizioni legislative e costituzionali una norma che non sia con esse incompatibile. L’attività di sistematizzazione, imposta al giudice comune dalla prescrittività della Costituzione, reagisce sul presupposto della non manifesta infondatezza trasformandolo nel suo contrario. La condizione dell’ordinanza di rimessione non sarà, quindi, la valutazione dubitativa sull’esistenza del vizio di costituzionalità, ma – al contrario – la più o meno argomentata affermazione della sua manifesta fondatezza. Rispetto a questo, tutti gli altri casi diventano residuali, essendo determinante solo stabilire quando il giudice ha l’obbligo di remissione alla Corte. L’idea è, poi, confermata da Chessa anche in altra sede, seppur con qualche diversità122. La distinzione fra disposizione e norma123 porta, infatti, l’autore a far retroagire lo sforzo ricompositivo del giudice comune ad un momento temporalmente antecedente rispetto al giudizio deliberativo sulla non manifesta infondatezza. Il punto richiede, però, un chiarimento. Se il giudice deve raggiungere il convincimento sull’assenza del benché minimo dubbio sulla costituzionalità della disposizione legislativa per evitare l’incidente di diritto. Un'interpretazione conforme o è un'interpretazione scorretta, perché tradisce il dovere deontologico del giudice espresso dal brocardo iura novit curia o è un'interpretazione che muove … dalle premesse che la Costituzione e le altre leggi costituzionali non siano fonti del diritto». 122 O. CHESSA, Non manifesta infondatezza…, cit., pp. 266 e ss. 123 Ovviamente cfr. V. CRISAFULLI, Disposizione e norma, in Enc. dir., XIII. E, per un'ampia lettura della teoria dell'interpretazione in Crisafulli, in specie riguardo le problematiche del cd diritto vivente, A. PUGIOTTO, Diritto vivente e sindacato di costituzionalità…, cit., pp.103 e ss. 74 costituzionalità, è necessario stabilire – dice – se l’assenza del dubbio debba riguardare la disposizione o la norma. Nel primo caso, non ci sarebbe evidentemente nessuno spazio per l’utilizzo del canone dell’interpretazione conforme in quanto, anche solo la possibilità di ricavare un significato incostituzionale dalla disposizione da applicare al caso concreto, fonderebbe l’obbligo di rimettere gli atti alla Corte e di sospendere il giudizio in corso. La tesi, però, non convince l’Autore in primo luogo perché logicamente contrastante con l’orientamento– ormai consolidato– della giurisprudenza costituzionale la quale, affermando che «le leggi non si dichiarano costituzionalmente illegittime perché è possibile darne interpretazioni incostituzionali, ma perché è impossibile darne interpretazioni costituzionali» (sent. 356/1996), ammette la possibilità che vengano omessi significati incostituzionali pur astrattamente possibili. In secondo luogo, perché verrebbe assolutamente vanificato il presupposto della rilevanza della questione124. Il rapporto di pregiudizialità fra giudizio a quo e giudizio costituzionale (ex art. 1 l. cost. 1 del 1948 e 23 l. n. 87 del 1953) chiede, infatti, al giudice di considerare la costituzionalità della norma che incide sui diritti costituzionalmente tutelati delle parti in causa, non di altre125. Si ha, quindi, Si vedranno, in seguito, gli orientamenti per cui l’interpretazione conforme reagisce sul requisito della rilevanza della questione. 125 Per un significato di rilevanza della questione come mera possibilità applicativa della norma secondo il convincimento soggettivo del giudice a quo, F. MODUGNO, Riflessioni interlocutorie…, cit., pp. 119 e ss., il quale non a caso escludeva la possibilità per il giudice 124 75 manifesta infondatezza quando è del tutto assente il benché minimo dubbio circa la costituzionalità della norma – e non della disposizione– che il giudice intende applicare. Da ciò si ricava una conclusione ulteriore. Per Chessa il complesso delle operazioni che vanno sotto il nome di interpretazione conforme non può che precedere la valutazione di non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale, come se si trattasse non tanto di un terzo requisito rispetto a quelli positivamente previsti, quanto di un presupposto logico. Anche per Romboli126 la richiesta, a pena di inammissibilità, di una adeguata motivazione sull’impossibilità di una soluzione interpretativa costituzionalmente compatibile, incide sul presupposto processuale della non manifesta infondatezza, trasformando quello che era un giudizio meramente delibatorio sull’esistenza di un dubbio di compatibilità in una quasi certezza sull’ esistenza del vizio. Anche qui, però, come in Chessa, la parziale incisione del modello di giustizia costituzionale attraverso la modifica di uno dei suoi presupposti non viene presentata con accenni critici. La soluzione del problema – dice – «sembra allora doversi individuare nella realizzazione di una proficua opera di collaborazione tra la Corte costituzionale e l’autorità giudiziaria nell’attività di interpretazione della legge alla luce della ordinario di comporre i contrasti fra legge e Costituzione, a garanzia della più ampia estensione della giurisdizione costituzionale. 126 R. ROMBOLI, Qualcosa di nuovo … anzi d'antico: la contesa sull'interpretazione conforme alla legge, Relazione presentata al Convegno “La giustizia costituzionale fra memoria e prospettive (a cinquant’anni dalla pubblicazione della prima sentenza della Corte costituzionale), Roma 14 e 15 giugno 2006, ora anche in www.archivio.rivistaaic.it. 76 Costituzione, che risulta del resto essere l’elemento cardine del nostro sistema di controllo di costituzionalità delle leggi, imperniato essenzialmente sulla nozione di pregiudizialità e quindi sulla via incidentale». E ciò vale sia nel momento instaurativo del giudizio di legittimità costituzionale sia nella fase successiva, quando si tratterà di dar seguito giudiziale all’interpretazione conforme, questa volta proposta dal giudice costituzionale.127 L’Autore è ben consapevole, tuttavia, che la invocata attività di collaborazione fra giudici e Corte richiede la fissazione del quomodo della collaborazione stessa. Ma, pur ammettendo che sia fuori dubbio che «la Corte costituzionale ed i giudici vengano a collocarsi diversamente – i secondi impegnati sul piano applicativo e quindi più legati al caso concreto, la prima muovendosi su quello più generale della costituzionalità della legge – e come ciò possa, L'interpretazione conforme operata dalla Corte Costituzionale attraverso le sentenze interpretative di rigetto rappresenta quello che Romboli definisce «qualcosa di antico» in tema di interpretazione conforme. Ovviamente il tema dell'efficacia delle sentenze interpretative di rigetto esula dall'indagine in corso, basti solo segnalarne il collegamento. La riduzione dello spazio riservato all'attività di adeguamento della legge a Costituzione ad opera dei giudici comuni e la sottovalutazione del necessario rapporto collaborativo fra giudici comuni e Corte nel necessario processo di inveramento delle disposizioni costituzionali, non può che ripercuotersi sugli effetti delle pronunce costituzionali. Abbiamo già segnalato come nella prospettiva di chi riduce al minimo le valutazioni preliminari del giudice a quo per garantire, al contrario, il più ampio accesso alla Corte Costituzionale, si finisce poi per svalutare la capacità di incisione della stessa sull'interpretazione legislativa. E' questo il paradosso della posizione “accentratrice” di Franco Modugno. Lo sottolineano, F. PIZZETTI- G. ZAGREBELSKY, Rilevanza e non manifesta infondatezza…, cit., pp. 58 e ss. Sul tema dell'efficacia delle sentenze interpretative di rigetto, V. CRISAFULLI, Questioni in tema di interpretazione…, cit., pp. 939 e ss. L. ELIA, Sentenze “interpretative” di norme costituzionali e vincolo dei giudici, in Giur. cost., 1966, pp. 1715 ss. A. PUGIOTTO, Le metamorfosi delle sentenze interpretative di rigetto, in Corr. Giur., 2004, pp. 985 ss. A. PUGIOTTO, Diritto vivente e sindacato di costituzionalità, cit., pp. 17 e ss. A. RUGGERI, Storia di un «falso». L’efficacia inter partes delle sentenze di rigetto della Corte Costituzionale, Milano, 1990. L. CARLASSARE, Perplessità che ritornano sulle sentenze interpretative di rigetto, in Giur. cost., 2001, pp. 186 e ss. 127 77 conseguentemente, almeno in parte, incidere anche sui canoni interpretativi da utilizzare», «deve però ritenersi che entrambi possano operare, nella loro attività interpretativa, con gli stessi poteri e gli stessi limiti, specie con riferimento ai vincoli derivanti dal testo normativo da interpretare». Il che è come dire che quello dei limiti dell’interpretazione conforme è un falso problema, essendo – quello del testo – un vincolo generale apposto ad ogni attività interpretativa, sia condotta ai fini di un giudizio di costituzionalità, sia ai fini della risoluzione di un caso concreto128. Al contrario, altri ritengono che l’obbligo di interpretazione conforme insista non tanto sul giudizio di non manifesta infondatezza, quanto su quello di rilevanza129. Si fa, per esempio, il caso di una disposizione da cui è possibile che il giudice tragga più significati, ma nessuno conforme a Costituzione. In questo caso – si dice – il giudice non potrebbe fare altro che scegliere una norma applicabile e su questa sollevare la questione di legittimità costituzionale. L’apparente semplicità dell’operazione nasconderebbe – in questa prospettiva – un iter logico complesso, rivelatore di uno stretto rapporto di inferenza fra l’onere di composizione ermeneutica che grava sul giudice comune e la preliminare e doverosa valutazione della rilevanza della Da questa distinzione fra interpretazione della legge ai fini della valutazione della sua costituzionalità e interpretazione delle legge ai fini della sua applicazione a giudiziale fa derivare molteplici conseguenze, per esempio sul tema del vincolo al diritto vivente, per questo, A. PUGIOTTO, Diritto vivente e sindacato di costituzionalità…., cit., pp. 67 e ss. 129 A. RAUTI, L'interpretazione adeguatrice come metacriterio ermeneutico e l'inversione logica dei criteri di rilevanza e non manifesta infondatezza, in Il Giudizio sulle leggi e la sua “diffusione”, cit., pp. 496 e ss. 128 78 questione130. In questo caso, infatti, si dovrebbe accertare che ogni norma – tra quelle applicabili – sia prima facie di dubbia costituzionalità. Non sarebbe, quindi, sufficiente riscontrare che un certo risultato interpretativo possa supportare una questione di legittimità costituzionale rilevante e non manifestamente infondata, ma occorrerebbe – per non incorrere nella censura di inammissibilità per difetto di rilevanza – valutare la costituzionalità di ogni altra norma, fino ad esaurimento degli strumenti interpretativi a disposizione del giudice. In caso contrario, il dubbio sull’unica norma ricavata e affetta dal vizio sarebbe irrilevante perché, non esperito l’obbligo di composizione interpretativa, il giudice non saprebbe ancora se essa avrà o meno un ruolo nella risoluzione del giudizio principale131. Lo stesso vale nel caso in cui la disposizione sia suscettibile di esprimere più significati e almeno uno conforme a Costituzione. Il nesso tra il criterio di In questo senso, A. RAUTI, L'interpretazione adeguatrice come metacriterio ermeneutico…,cit. pp. 505 e ss. 131 Non è, in realtà, ben chiaro se nella tesi appena riportata l'obbligo di interpretazione conforme modifichi o assorbi completamente il giudizio sulla rilevanza. Nel primo caso, l'onere richiesto al giudice non farebbe che rafforzare il rapporto fra giudici e giudizi all'insegna di un uso “collaborativo” della Carta Costituzionale (la norma sarebbe addirittura irrilevante se convive con altre ipotesi interpretative costituzionalmente compatibili). Nel secondo caso, essendo l'onere ricompositivo necessariamente antecedente al giudizio di non manifesta infondatezza, i due presupposti finirebbero per coincidere. Se la norma è rilevante, solo se è l'unica possibilità interpretativa, allora la non manifesta infondatezza è già insita nel giudizio di rilevanza. Abbiamo già visto come anche in F. MODUGNO, Riflessioni interlocutorie…, cit., pp. 139 e ss., i due presupposti processuali finivano per coincidere, ma con esiti diametralmente opposti. Lì la rilevanza assorbiva la non manifesta infondatezza in un giudizio meramente ipotetico e – per di più – soggettivo attraverso il quale il giudice a quo verificava la mera possibilità applicativa della norma, lasciando sempre aperte le porte del giudizio di costituzionalità. 130 79 adeguamento a Costituzione e il presupposto della rilevanza sarebbe ugualmente evidente132. Ove, infatti, il giudice riuscisse a ricavare una norma sicuramente compatibile a Costituzione e applicabile al caso di specie, tutte le altre norme risulterebbero irrilevanti e, con esse, le relative questioni di legittimità costituzionale astrattamente configurabili. Il grado di incisione che l’obbligo di interpretazione conforme apporta al sistema di giustizia costituzionale diventa chiaro. Se il giudice deve ritenere non applicabili le norme incompatibili con la Costituzione, il requisito della rilevanza finisce per assorbire le valutazioni preliminari cui è chiamato il giudice a quo, ma in senso ben diverso da quello proposto da altri133. La reductio ad unum non è, invero, funzionale ad una compressione della fase preliminare a vantaggio dell’accentramento delle competenze in capo alla Corte134 ma, al contrario, ad un suo approfondimento. In questa prospettiva, infatti, l’obbligo di risoluzione interpretativa dei contrasti fra legge e Costituzione modifica lo schema del giudizio preliminare, accorpa logicamente i presupposti processuali della questione di legittimità e sanziona con l’irrilevanza il dubbio incardinato sulla norma che non rappresenti l’unica soluzione interpretativa. Non sono poche, poi, le voci che ritengono l’obbligo di interpretazione 132 A. RAUTI, L'interpretazione adeguatrice come metacriterio ermeneutico…, cit. pp. 506 e ss. 133 134 F. MODUGNO, Riflessioni interlocutorie…, cit., pp. 139 e ss. Così è, come già detto, per F. MODUGNO, ivi, pp. 62 e ss. 80 conforme – più esplicitamente – un vero e proprio presupposto logico della questione di legittimità costituzionale che precede sia la valutazione sulla rilevanza che quella sulla non manifesta infondatezza. In questa prospettiva si dice «se l’interpretazione precede logicamente il momento dell’applicazione (che pure la condiziona), la ricerca della soluzione conforme a Costituzione dovrebbe situarsi in una fase che necessariamente precede la stessa valutazione circa la non manifesta infondatezza».135 Prima di sollevare la questione di legittimità, quindi, il giudice deve dimostrare di aver praticato le strade consentite dall’uso dei suoi poteri interpretativi. Ma, «se resta convinto, motivandolo, che l’interpretazione plausibile sia quella che determina dubbi di costituzionalità, non può che rimettere la questione alla Corte, la quale a quel punto, ove la motivazione sia adeguata, dovrà pronunciarsi nel merito. Se così è, l’«interpretazione conforme» non si atteggia né a «terzo requisito» né ad elemento in grado di travolgere il senso della valutazione di «non manifesta infondatezza». Diviene momento, nell’ordinario esercizio dei poteri interpretativi del giudice, che logicamente precede, potendo fungere da presupposto, le valutazioni sulla rilevanza e non manifesta infondatezza della questione. Si spiegherebbe, così, la ragione per la quale il mancato tentativo di interpretazione conforme condizioni la stessa ammissibilità della prospettata questione: se il presupposto interpretativo poteva essere un altro, la stessa valutazione sulla non manifesta infondatezza e/o sulla rilevanza ne risulta 135 M. RUOTOLO, Interpretazione conforme a Costituzione…, cit., pp. 6 e ss. 81 manifestamente inficiata».136 In altri termini, con la remissione della questione di legittimità su una disposizione legislativa di cui non si sono saggiate tutte le possibilità interpretative il giudice rinuncia al suo dovere di applicare la legge al caso concreto e viola il divieto – insito nel carattere incidentale – sollevare questioni d’interpretazione davanti ai giudici costituzionali. 137 3. Alla ricerca di un fondamento logico. I limiti dell’interpretazione conforme. La ricostruzione del tema in oggetto non può prescindere dalla individuazione di un fondamento giuridico – o anche solo logico – al canone dell’interpretazione conforme. Le diverse risposte all’interrogativo sulla ratio che sostiene l’attività di adeguamento della legge alla Costituzione segnano, infatti, il motivo di più evidente differenziazione all’interno degli orientamenti già esaminati. In effetti, che l’obbligo di adeguamento alla Costituzione incida sulla rilevanza o sulla non manifesta infondatezza, che preceda logicamente entrambe o solo una delle valutazioni riservate al giudice a quo, cambia poco i termini della questione138 e non ci richiede nemmeno una chiara opzione. In tutti i casi, infatti, la sanzione che la Corte riserva all’omissione è quella della M. RUOTOLO, Interpretazione conforme…., cit., p. 7 per il quale, solo definendo l'obbligo di interpretazione conforme un presupposto logico e non un criterio di giudizio che approfondisca il giudizio meramente delibatorio della non manifesta infondatezza, non si incorre in critiche di incompatibilità con il sistema di giustizia costituzionale. 137 M. PERINI, L'interpretazione della legge alla luce della Costituzione fra Corte Costituzionale ed autorità giudiziaria… cit., p. 44. 138 Sulla scarsa rilevanza della questione, R. BIN. L'applicazione diretta…, cit., pp. 4 e ss. 136 82 inammissibilità semplice o manifesta della questione di legittimità. Mentre ben più rilevante, ai fini di una chiara presa di posizione sul tema dell’interpretazione conforme e dei suoi limiti, risulta l’individuazione del principio prescrittivo ad essa sotteso. La dottrina più critica individua a fondamento del dovere di composizione ermeneutica il principio di conservazione degli atti giuridici di cui all’art. 1367 del codice civile per cui «nel dubbio, il contratto o le singole clausole devono interpretarsi nel senso in cui possono avere qualche effetto, anziché in quello secondo cui non ne avrebbero alcuno»139. Sarebbe, appunto, questo il fondamento, ma allo stesso tempo il limite del canone in questione. Il principio suddetto, infatti, funziona perfettamente per gli atti di autonomia privata in quanto « il significato non invalidante (…) scelto dal giudice rimane fissato nel mondo del diritto nei confronti di tutti gli interessati. In conseguenza della pronuncia del giudice, uno solo dei significati – quello che consente all’atto di produrre validamente effetti – si impone con la forza della sentenza su tutti gli altri: d’ora in poi gli interessati non potranno che intendere il negozio o il provvedimento amministrativo in quell’unico senso. Non così per gli atti ad effetti generali come, in genere, le leggi e gli atti aventi forza di legge»140. In questa prospettiva, il fondamento coincide – come detto – con il limite all’attività stessa. 139 140 E' questa l'idea di A. PACE, I limiti dell'interpretazione adeguatrice, cit., pp. 1070 e ss. A. PACE, ivi, p. 1071. 83 La possibilità di orientare il processo interpretativo a Costituzione sarebbe possibile, infatti, solo ove la decisione – della Corte così come del giudice comune – avesse efficacia erga omnes. I limiti che il canone dell’interpretazione conforme incontra sarebbero, quindi, intrinseci perché corrispondono agli stessi confini tracciati per l’applicabilità del principio che lo sostiene, ma non solo, riguarderebbero indifferentemente sia le decisioni della Corte Costituzionale che quelle dei giudici comuni. La critica risulta, quindi, radicale e risolutiva se si afferma «a meno che non possa essere data una interpretazione vincolante in senso conforme a Costituzione – gli atti devono, nell’effettivo dubbio sulla loro legittimità, essere dichiarati incostituzionali»141. In assenza di un’estensione erga omnes degli effetti della decisione ricompositiva, «l’interpretazione della conformità delle leggi a Costituzione va condotta tanto dal Giudice del processo principale che dalla Corte Costituzionale non al fine di adeguare la disposizione alla Costituzione, ma al fine di rilevarne l’incompatibilità»142. La stessa idea, suggerita da esigenze di certezza del diritto e di uniformità delle soluzioni giudiziali, è sostenuta da altra dottrina, ma con effetti meno A. PACE, ivi, p. 1073, per il quale «i criteri interpretativi della Corte e del giudice del processo principale si parificano in pieno e l'obbligo di sollevare la questione di costituzionalità non appena essa si palesi non manifestamente infondata, più che intendere un espediente per restringere la competenza interpretativa del Giudice a quo a vantaggio di quella della Corte , viene a esternare l'esistenza di una più generale e immanente regola di giudizio … ». 142 Ibidem. La durezza della critica di Alessandro Pace è rinvenibile, tuttavia, in altri lavori più recenti. Ci si riferisce al contributo di M. LUCIANI, Le funzioni sistemiche della Corte Costituzionale, oggi, e l'interpretazione “conforme a”, in www.federalismi.it, 2007 in cui l'Autore sostiene l'incompatibilità dell' attività di adeguamento interpretativo della legge a Costituzione con il carattere accentrato di giustizia costituzionale italiano. 141 84 restrittivi di quelli appena esposti143. L’aggancio al principio di matrice civilistica risulterebbe, infatti, l’unico fondamento possibile, stante l’inesistenza di una regola organizzativa che imponga di preferire la funzione interpretativa delle norme costituzionali a quella invalidante. La via della prevenzione del conflitto di gerarchia fra legge e Costituzione sulla base di un principio di conservazione degli effetti rimarrebbe, tuttavia, percorribile solo nel caso in cui il significato della norma–parametro fosse univoco e vi fosse un orientamento giurisprudenziale uniforme sulla disposizione impugnata144. Per altri ancora, invece, il fondamento dell’interpretazione conforme risiede in un principio di presunzione di legittimità costituzionale delle leggi145. Sono queste le posizioni più propense all’accentuazione del rapporto di collaborazione fra giudici e Corte Costituzionale e all’utilizzo giudiziale delle disposizioni costituzionali146. La validità della legge fino a prova contraria sottende, infatti, l’idea che «la dichiarazione di incostituzionalità pura e semplice non può che essere una extrema ratio, ove non sia possibile G. SORRENTI, L'interpretazione conforme a Costituzione, cit., p. 143. Ibidem, la quale sostiene di far propria la terza via indicata da C. LAVAGNA in Problemi di giustizia costituzionale, cit., p. 530 e ss., ma finisce per muovere una critica ben più solida al canone di interpretazione conforme, intrecciando il tema con quello dell'uso giudiziale dei principi costituzionali la cui “apertura” impedisce soluzioni univoche. Denuncia, infatti, la possibilità di "più" interpretazioni conformi alla stregua di una stessa disposizione costituzionale e il pericolo di una compressione delle istanze di certezza giuridica e di uniformità giurisprudenziale. 145 M. RUOTOLO, Interpretazione conforme e tecniche decisorie…, cit., pp. 14 e ss. 146 M. RUOTOLO, ivi, p. 5, che rileva l'opportunità di una valorizzazione della prassi dell'interpretazione conforme «nella misura in cui a ciò equivalga una maggiore consapevolezza da parte dei giudici circa la possibilità di applicare direttamente la Costituzione, quando ciò sia tecnicamente possibile, sia per colmare le lacune dell’ordinamento – come accaduto, ad esempio, in occasione del recente caso Englaro – sia per interpretare le leggi secondo i dettami da essa desumibili. 143 144 85 “salvaguardare la legge” per il tramite di interpretazioni o “manipolazioni” perché non lo consente la giurisprudenza “vivente” o la “lettera” della disposizione pur riguardata sistematicamente, alla luce della ratio che l’ha ispirata»147. Nella stessa direzione e, per la definizione di un modello di giudizio costituzionale collaborativo148, si collocano poi quelle posizioni che escludono – in questa fase – l’operatività del criterio gerarchico e che ricostruiscono l’obbligo di interpretazione conforme come una species del genus dell’interpretazione sistematica149, fondando lo stesso su un principio di M. RUOTOLO, ivi, p. 15. Ma in questo senso, anche G. ZAGREBELSKY , La legge e la sua giustizia…, cit., pp. 257 e ss., per il quale «il “fallimento dell’interpretazione” si ha quando non è possibile trovare nell’ordinamento, così com’è, una norma idonea a rispondere alle aspettative costituzionali di regolazione del caso». In questo senso, «l’incostituzionalità è il fallimento dell’interpretazione e la dichiarazione di incostituzionalità è in funzione del successo dell’interpretazione. La giurisdizione costituzionale sulle leggi appare così nella sua luce essenzialmente interpretativa, come funzione di soccorso all’interpretazione, quando essa sia impigliata in norme inadeguate, dalle quali occorre liberarla». 148 Parla di modello accentrato–collaborativo, E. LAMARQUE, Corte Costituzionale e giudici nell'Italia repubblicana, Laterza, 2012, ma già precedentemente E. LAMARQUE, Prove generali di un sindacato di costituzionalità accentrato–collaborativo, in Scritti in onore di F. Modugno, vol. III, Napoli, 2011, pp. 1843 e ss. 149 Per interpretazione sistematica si intende, invero, non una singola tecnica ermeneutica, bensì «un’intera famiglia di tecniche diverse» (G. GUASTINI, L’interpretazione dei documenti normativi, cit., p. 167, anche P. CHIASSONI, La giurisprudenza civile. Metodi d’interpretazione e tecniche argomentative, Milano, 1999, pp. 597 e ss.) che fanno riferimento al contesto, al principio di coerenza e quello di congruenza. L’interpretazione sistematica permette, quindi, di attribuire ad una disposizione in significato alla luce della sua collocazione nel sistema. Nonostante sembri un argomento interpretativo antitetico a quello cd letterale, si condivide l’idea di una piena compatibilità, se non strumentalità, in questo senso, E. DICIOTTI, Interpretazione della legge e discorso razionale, Torino, 1999, p. 303, per cui «in un documento, il significato letterale di ogni singolo enunciato dipende dal significato degli altri enunciati che lo precedono e che lo seguono. Tenendo conto di questo aspetto, si può affermare che questo principio legittima anche alcune operazioni che vengono comunemente fatte rientrare nel metodo sistematico dell’interpretazione». Detto in altri termini, l’interpretazione letterale e quella sistematica si caratterizzano per differenti, ma non contrapposte, peculiarità del medesimo procedimento di significazione: «con la locuzione “interpretazione letterale” s’insiste maggiormente sul requisito (metodologico) della testualità (del ricorso cioè a soli elementi testuali) del processo di significazione, nonché 147 86 coerenza ordinamentale150. L’orientamento si differenzia, però, al suo interno. Per alcuni, l’interpretazione conforme a Costituzione non sarebbe applicazione di un criterio di gerarchia formale, ma solo assiologica151. Il giudice sarebbe, infatti, gravato di un onere di delibazione preliminare più ampio, non in quanto imposto da una relazione di validità/invalidità fra le norme in contrasto, ma solo da una relazione di valore. Cosa, però, voglia dire esattamente questa relazione assiologica, non è ben chiaro e, soprattutto, è suscettibile di facili fraintendimenti152. Del resto, se l’obiettivo è quello di assicurare unità e coerenza153 dell’ordinamento, sembra più logico – oltre che agevole – riferirsi all’interpretazione conforme come ad uno strumento della primaria e (pregiudiziale) insistenza di quest’ultimo su uno specifico enunciato normativo; con l’espressione “interpretazione sistematica”, invece, si sottolinea il requisito (metodologico) di un’adeguata considerazione del contesto (documentale ed ordinamentale), nelle rispettive misure e nel medesimo procedimento» (A. VIGNUDELLI, Interpretazione e Costituzione, Torino, 2011, p. 246). 150 R. BIN, L’applicazione diretta della Costituzione…,cit., pp. 4 e ss.; O. CHESSA, Non manifesta infondatezza vs interpretazione conforme…, cit., pp. 266 e ss.; A. RUGGERI, Alla ricerca del fondamento dell’interpretazione conforme…cit., pp. 398 e ss.; A. LONGO, Spunti di riflessione sul problema teorico dell’interpretazione, in www.giurcost.org. 151 In questo senso, G. PISTORIO, Interpretazioni e giudici…, cit., pp. 17 e ss., la quale esclude che l’attività di interpretazione conforme chiami in una causa la relazione gerarchica cd formale «che produce l’illegittimità o l’invalidità delle norme inferiori qualora contrastino con le norme superiori». Anche Guastini sostiene come sia « diverso, invece, il concetto di gerarchia sotteso all’interpretazione adeguatrice, dal momento che gli operatori giuridici – siano essi giudici, funzionari della pubblica amministrazione – ricorrono ad essa non per constatare la validità o l’invalidità delle norme– non rientrando, di regola, tale potere nell’esercizio delle proprie competenze– quanto piuttosto ad escludere tale alternativa nel senso della validità». R. GUASTINI, L’illegittimità delle disposizioni e delle norme, in P. COMANDUCCI, R. GUASTINI (a cura di), Analisi e diritto 1992. Ricerche di giurisprudenza analitica, Torino, 1992. p. 19 . 152 Infatti, per G. PISTORIO, Interpretazioni e giudici…,cit., p. 25 «l’interpretazione conforme consente di sanare, attraverso una vera e propria finzione, un atto invalido», laddove è escluso – questo sì – che della categoria della validità/invalidità possa disporne il giudice comune. 153 Per una relazione tra composizione ermeneutica e coerenza dell’ordinamento, ex plurimis, G. ZAGREBELSKY, Manuale di diritto costituzionale. I. Il sistema delle fonti del diritto, Torino, 1991, pp. 75 e ss. 87 funzionale alla realizzazione di un sistema normativo ampio che comprenda – trasversalmente – più livelli gerarchici154. Interpretare una disposizione sulla base di un’altra – si dice – «significa eseguire un’interpretazione sistematica, cioè costruire una norma che sia compatibile con entrambe: non c’è gerarchia nel momento della “saldatura”».155 L’estromissione del concetto di validità – e addirittura di quello di conformità156– nell’attività di composizione condotta dal giudice ordinario permette, poi, di escludere che «vi sia unidirezionalità e gerarchia nel momento in cui si combinano le disposizioni, rectius: gli elementi normativi delle disposizioni per dare vita ad una nuova norma157». Ancora: «L’adeguamento della legge alla costituzione, e quindi la dimensione propriamente gerarchica, non si realizza nel momento interpretativo della “saldatura” (perché qui c’è piuttosto un reciproco adeguarsi), ma nel momento in cui si deve stabilire che cosa rimuovere per rendere nuovamente possibile una “saldatura interrotta”. La gerarchia si affaccia, dunque, quando il giudice rileva la non manifesta infondatezza della questione di legittimità Il ricorso al criterio cd sistematico ha il merito di avvalorare la tesi per cui «la teoria dell'interpretazione conforme opera nel senso di integrare la Costituzione nel tessuto normativo che il giudice di merito deve organizzare per accreditare la “regola del caso”» e di conseguenza - una certa idea dei rapporti fra legge e fonte superiore, in questo senso, R. BIN, L'applicazione diretta della Costituzione…, cit., pp. 4 e ss. 155 In questi termini, O. CHESSA, Drittwirkung…, cit., p. 425. 156 Come già visto, Chessa suggerisce di abbandonare la stessa dizione “interpretazione conforme”, insieme alla contestata tripartizione delle funzioni delle disposizioni costituzionali e, infatti, dice «in questi casi, il ragionamento decisorio del giudice non consiste tanto nell'interpretare disposizioni legislative in senso conforme a costituzione, quanto nell'elaborare una “nuova” norma – nuova cioè rispetto a quelle che si ricavano dai distinti elenchi di interpretazioni possibili delle due disposizioni A e B – che si ponga come punto di confluenza tra le due disposizioni e come condizione della loro reciproca compatibilità». Ibidem. 157 Ibidem. 154 88 costituzionale»158. Ma la ricostruzione si ritiene sostenibile prima ancora che l’obbligo fosse impresso dalla giurisprudenza costituzionale. Si dice, infatti, che può ben farsi rientrare nelle regole deontologiche la doverosa attività di composizione ad unità del sistema delle fonti e, quindi, affermare che «nel lavoro di interpretazione i testi vengono sottoposti ad analisi prima di verificare se essi stiano su – cioè siano posti da atti appartenenti a – piani gerarchici diversi: il criterio gerarchico può trovare applicazione solo in seguito, quando ci si trovi a non poter conciliare il significato che quei testi esprimono e quindi bisognerà disporre di un criterio con il quale selezionare la norma da preferire».159 Ovviamente, il presupposto logico è che le disposizioni costituzionali entrino a far parte di quel sistema, pur mantenendone la formale prevalenza160. Non vi è, poi, dubbio che la declinazione del canone di interpretazione conforme come canone di interpretazione sistematica possa finire per avallare Ibidem. R. BIN, L'applicazione diretta della Costituzione…, cit., p. 4 e ss., per il quale «va riconosciuto che il testo costituzionale è pienamente “atto normativo” che si affianca al resto del “materiale” da interpretare, pur mantenendo la potenziale caratteristica della prevalenza in caso di accertato e ineliminabile conflitto. Le conseguenze sono importanti: non solo si giustifica così che il giudice proceda all'interpretazione sistematica e adeguatrice della legge, rinunciando a sollevare un’eccezione che sarebbe altrimenti priva dei requisiti, al tempo stesso, della rilevanza e della non manifesta infondatezza, ma si spiega anche perché il giudice non deve trascurare i precedenti giurisprudenziali e debba tener conto invece del “diritto vivente”». 160 Che la coerenza dell'ordinamento debba essere ricercata anche sul piano costituzionale, in questo senso, L. PALADIN, Le fonti del diritto italiano, Bologna, 1996, p. 105 ss. Per un concetto ampio di “sistema”, che ricomprende anche le fonti internazionali e per la suggerita applicazione del criterio sistematico, da ultimo, A. RUGGERI, Costituzione e CEDU, alla sofferta ricerca dei modi con cui comporsi in “sistema”, in www.giurcost.org, 2012, il quale propone una ricostruzione assiologica–sostanziale dei rapporti fra Costituzione e Carte sui diritti che si rifà ad una nozione di sistema costituzionale evidentemente allargato, e nella sua declinazione di criterio sistematico–evolutivo. 158 159 89 soluzioni più lontane dalla lettera della legge161, ma questo è un falso problema, ovvero riguarda l’interpretazione conforme non più di altre operazioni interpretative162. Del resto c’è uniformità nel ritenere che «che il significato di una disposizione non può essere ampliato senza riscontri nel contesto normativo»163. Il criterio di interpretazione conforme o sistematico può contribuire, infatti, «a selezionare il significato da attribuire in preferenza alla disposizione, anche determinando una “torsione” di quello che si presumeva essere il senso più immediato o meglio il suo “significato iniziale”. Ma quel “nuovo” significato, quella soluzione ermeneutica, deve pur reggere alla prova della “lettera”, alla quale si deve tornare per verificare che l’allontanamento dalla stessa (dal “significato iniziale”) non si sia tradotto in un suo travalicamento (come accadrebbe ove il “nuovo significato” non trovi Per l'individuazione di alcuni casi di eccesso di interpretazione conforme, M. R UOTOLO, Oltre i confini dell’interpretazione costituzionalmente conforme? A proposito della pronuncia della Cassazione sulla presunzione di adeguatezza della custodia cautelare in carcere per il delitto di violenza sessuale di gruppo, in www.rivistaaic.it, n. 2, 2012. 162 In questo senso si ritiene non adottabile l’angolo visuale di G. SORRENTI, L'interpretazione conforme…, cit. pp. 57 e ss.. Non che quello dell'interpretazione conforme non sia anche un problema di interpretazione, ma che non lo sia più di altri. L'inquadramento del tema da quel punto di vista non può che viziare l'indagine, altrimenti risolvibile assumendo una certa posizione sulla funzione della Costituzione e sulla funzione della questione di legittimità costituzionale. L'argomento usato dalla dottrina più critica, per esempio Sorrenti, è un argomento che, come si dice, prova troppo. Se il giudice deve ridurre al minimo la sua attività di ricomposizione ermeneutica perché l'utilizzo di parametri costituzionali dilata eccessivamente la discrezionalità nella risoluzione della controversia, allora si deve desumere che il giudice comune non possa, del pari, condurre operazioni di bilanciamento nel caso concreto, né usare parametri di ragionevolezza e di uguaglianza nell'esercizio della sua funzione di giustizia. Sul bilanciamento in concreto operato dal giudice ordinario, cfr. R. BIN, Diritti e argomenti. Il bilanciamento degli interessi nella giurisprudenza costituzionale. Milano, 1992, pp. 120 e ss. Sulla piena disponibilità del canone della ragionevolezza da parte dei giudici comuni, A. D'ANDREA, Ragionevolezza e legittimazione del sistema, Milano, 2005. Contra, A. MORRONE, Il custode della ragionevolezza, Milano, 2001. 163 M. RUOTOLO, Oltre i confini dell’interpretazione…, cit., p. 17. 161 90 fondamento alcuno nell’enunciato oggetto di interpretazione)»164 e, in tali casi, non vi è dubbio sull’obbligo di sollevare la questione di legittimità da parte del giudice165. 4. L’obbligo di interpretazione conforme nella giurisprudenza costituzionale nel biennio 2011–2012 L’inquadramento teorico dell’interpretazione conforme, il suo rapporto con i presupposti processuali della questione di legittimità costituzionale e, ovviamente, la ricostruzione del suo fondamento logico, non può che trovare conforto nell’analisi giurisprudenziale. Il modo in cui la Corte censura il mancato sforzo ricompositivo, lo strumento processuale prescelto e la relativa motivazione rappresenta, infatti, un banco di prova particolarmente utile per verificare la resistenza delle tesi esposte in dottrina. L’analisi delle risposte che il giudice costituzionale offre al mancato rispetto dell’obbligo di interpretazione conforme permette, poi, di approntare un manuale pratico esaustivo a disposizione dei giudici ordinari. M. RUOTOLO, ivi p. 18. Il punto incontra consenso unanime, in questo senso, infatti, pur nella diversità di posizioni, R. BIN, L’applicazione diretta…, cit., pp. 215 e ss., G. SORRENTI, L’interpretazione conforme…, cit., pp. 118 e ss., spec. pp. 172 e ss., e 286 e ss., M. LUCIANI, Le funzioni sistemiche…, cit. par. 5.1. 164 165 91 Nel 2011, la Corte pronuncia 13 ordinanze di inammissibilità per omessa interpretazione conforme ( ord. nn. 15, 101, 103, 137, 139, 167, 173, 212, 222, 266, 270, 287), 2 ordinanze di manifesta infondatezza rispettivamente per erroneo presupposto interpretativo e per omessa interpretazione conforme ( ord. mn. 270 e 173), 3 sentenze di non fondatezza della questione nei sensi di cui in motivazione ( sentt. nn. 49, 83, 248). Con l’ordinanza n. 15 del 2011 la Corte dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale per aver «il giudice a quo, analogamente ai precedenti remittenti(…) omesso di esplorare altre possibilità interpretative e, dopo aver effettuato la propria opzione ermeneutica, ha ipotizzato diverse letture della norma (… ) le quali però trascurano del tutto la sussistenza di un non irragionevole, diverso, dato giurisprudenziale, per affermare la unicità della interpretazione sottoposta al giudizio di questa Corte». Con l’ordinanza n. 101 dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale in quanto «il rimettente si sottrae al dovere di sperimentare la praticabilità di diverse interpretazioni idonee a sottrarre la norma censurata dai sollevati dubbi di costituzionalità, omettendo altresì di motivare adeguatamente in ordine al motivo della ritenuta impossibilità di dare della norma medesima una lettura idonea a superare tali dubbi, pur in presenza di altra opzione ermeneutica su cui viene fondata l’applicabilità della disposizione stessa nel senso da lui auspicato». Con l’ordinanza n. 103 92 dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale, in quanto il giudice avrebbe mancato di «tentare di sperimentare diverse interpretazioni idonee a preservare la norma stessa dai sollevati profili di denunciata incostituzionalità, omettendo di motivare adeguatamente in ordine alla impossibilità di dare di essa una lettura idonea a superare tali dubbi (ordinanze n. 15 del 2011 e n. 322 del 2010)». Con l’ordinanza n. 137, dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità a causa della «omessa motivazione sulla rilevanza della questione (ordinanze n. 201 del 2009; n. 441 del 2008), essendosi limitato il rimettente ad affermarla apoditticamente». Con l’ordinanza n. 309 dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale a causa della «mancata sperimentazione da parte del rimettente di una (pur doverosa) interpretazione della norma impugnata che la ponga al riparo dai prospettati dubbi di legittimità costituzionale». Così facendo, la Corte rileva che «attraverso il richiesto vaglio di costituzionalità, il giudizio incidentale venga nella specie utilizzato in modo assolutamente distorto (ordinanze n. 363 e n. 322 del 2010), in quanto diretto del tutto impropriamente ad ottenere dalla Corte un avallo della interpretazione già ritenuta dal rimettente come preferibile e costituzionalmente adeguata, nonché già applicata anche dal medesimo Tribunale (e dal medesimo giudice)». Con l’ordinanza n. 212 dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale in quanto « la Commissione tributaria regionale 93 rimettente (…) non s’è fatta carico d’individuare, alla luce delle statuizioni della giurisprudenza costituzionale e di legittimità(…) un’interpretazione della norma censurata idonea a superare i dubbi di costituzionalità, in ossequio al principio secondo cui una disposizione di legge può essere dichiarata costituzionalmente illegittima solo quando non sia possibile attribuirle un significato che la renda conforme a Costituzione». Con l’ordinanza n. 222 dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale «in quanto il remittente non ha preso in considerazione altro orientamento della stessa giurisprudenza amministrativa, a prescindere dal costituire o meno lo stesso diritto vivente, così omettendo di esplorare la possibilità di pervenire, in via interpretativa, alla soluzione che egli ritiene conforme a Costituzione». Con l’ordinanza n. 287, dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale per «la mancata verifica preliminare – da parte del giudice a quo, nell’esercizio del potere ermeneutico riconosciutogli dalla legge – della praticabilità di una soluzione interpretativa diversa da quella posta a base del dubbio di costituzionalità prospettato, e tale da renderlo irrilevante nella specie, comporta – in conformità alla costante giurisprudenza di questa Corte – l’inammissibilità della questione sollevata». Con l’ordinanza n.167 dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale «in quanto le censure prospettate, in relazione a tutti i parametri costituzionali evocati, muovono, per le ragioni esposte, da un 94 presupposto interpretativo manifestamente infondata erroneo». la Con questione di ordinanza legittimità 266 dichiara costituzionale «esclusivamente sulla base di tale palese erronea prospettiva ermeneutica». Con l’ordinanza n. 270 dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale in quanto «a prescindere dall’omessa formulazione di un petitum specifico e dall’erronea valutazione sulla rilevanza, formulata con riguardo ad una norma ipotetica (…) il rimettente prende le mosse da un presupposto interpretativo erroneo». Con l’ordinanza n. 173 dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale, in quanto nonostante «il giudice a quo contesta l’interpretazione adeguatrice fornita dal giudice di prima istanza», perché contrastante con il «senso letterale» della disposizione impugnata. Per la Corte, « la motivazione addotta dal giudice rimettente in ordine alla rilevanza della questione risulta fondata su una interpretazione della norma censurata diversa da quella fornita dalla prevalente giurisprudenza ordinaria e amministrativa». Con l’ordinanza n. 172 dichiara la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale in quanto il rimettente ha «omesso di ricercare un’interpretazione costituzionalmente orientata della disposizione denunciata», nonostante- dicono i giudici- interpretazione confortata da disposizioni legislative. Con la sentenza n. 49, la Corte preliminarmente rigetta l’eccezione di 95 inammissibilità della questione sollevata «sulla base dell’assunto secondo il quale il giudice rimettente più che esporre un reale dubbio di costituzionalità ricerca, da parte di questa Corte, un improprio avallo alla interpretazione da lui in passato seguita e, ora, sconfessata dal giudice del gravame». Per la Corte, «il TAR del Lazio, pur avendo riferito i profili della propria precedente posizione, si dà carico del fatto che essa è stata motivatamente disattesa sia dal Consiglio di giustizia amministrativa della Regione siciliana (sentenza n. 1048 del 2007), sia dallo stesso Consiglio di Stato (sentenza n. 5782 del 2008), il quale, pur ritenendola l’unica possibile, si pone peraltro in termini problematici rispetto alla compatibilità costituzionale della propria interpretazione. Pertanto, di fronte alla opposta tesi, argomentatamente sostenuta dal giudice del gravame, che è, riguardo al caso, anche giudice di ultima istanza di merito (la cui decisione non è più scalfibile neppure a seguito di ricorso ex ultimo comma dell’art. 111 Cost. ove ricorra un’ipotesi di carenza assoluta di giurisdizione), non restava al rimettente, proprio in quanto aderiva all’interpretazione del Consiglio di Stato, che sollevare il presente dubbio di costituzionalità, in tal senso portando a compimento l’iter esegetico lumeggiato dallo stesso Consiglio di Stato». Nel merito, dichiara non fondata la questione nei sensi di cui in motivazione. Con la sentenza n. 83 del 2011, dichiara preliminarmente infondata l’eccezione di inammissibilità della questione in quanto « la rimettente ha richiamato un orientamento della giurisprudenza di legittimità, ritenuto 96 consolidato» … «Così argomentando la Corte di appello, in modo implicito, ma chiaro, ha ritenuto non praticabile una interpretazione conforme a Costituzione e, quindi, è giunta alla conclusione che fosse necessario sollevare la presente questione di legittimità costituzionale». Nel merito, la questione è dichiarata non fondata nei sensi di cui in motivazione. Con la sentenza n. 248 la Corte dichiara «come sia possibile, nella specie, pervenire ad un’interpretazione sistematica della disposizione censurata» … «diversamente, infatti, da quanto ipotizza il giudice a quo, nulla osta a tale interpretazione: non la formulazione letterale della disposizione censurata (…), né la sua collocazione sistematica (…).Così ricostruito il contenuto della norma in esame, la censura non è fondata166. Nel 2012 la Corte pronuncia dieci ordinanze di inammissibilità per omessa interpretazione conforme (ord. nn. 26, 44, 102, 125, 146, 181, 194, 254, 255, 304), un’ordinanza di restituzione degli atti (ord. n. 150) e una sentenza di non fondatezza nei sensi di cui in motivazione (sent. n. 109), una sentenza di inammissibilità ( sent. n. 58). Con l’ordinanza n. 26 la Corte dichiara la Per un commento alla sentenza, S. PARISI, Se la legge statale è il fondamento positivo dei provvedimenti regionali... e un atto di Soft law ne preorienta i contenuti, in www.forumcostituzionale.it, p. 7 la quale rileva che «La Corte censura la “cattiva” interpretazione sistematica del giudice a quo. Questo punto non sembra controvertibile: infatti, nell’ordinanza di rimessione, il giudice è molto esplicito nel negare la possibilità, nella specie, di un’interpretazione sistematica tale da individuare negli accordi la fonte in grado di preorientare i contenuti del potere autorizzatorio regionale, mentre la Corte smentisce puntualmente una simile ricostruzione. Sotto questo versante, la pronuncia è un’interpretativa di rigetto che si muove contro il trend consolidato di questi anni, in prevalenza guidato da un self restraint della Corte. Proprio perché si tratta di una “cattiva” e non un’ “omessa” interpretazione conforme a Costituzione (sub specie di interpretazione sistematica), la Corte rispolvera la tecnica decisoria dell’interpretativa di rigetto, scegliendo di non tenere una condotta interpretativa “minimale”». 166 97 manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale in quanto «la prospettata questione risulta viziata da una non compiuta sperimentazione da parte del rimettente stesso del doveroso tentativo di dare una interpretazione costituzionalmente conforme delle norme impugnate (ordinanze n. 101, n. 103 e n. 212 del 2011), sembrando piuttosto che egli cerchi di utilizzare in modo improprio e distorto l’incidente di costituzionalità, nel tentativo di ottenere dalla Corte un avallo interpretativo (ordinanza n. 139 del 2011)». Con l’ordinanza n. 44 dichiara la manifesta inammissibilità in quanto «il rimettente ha omesso, tuttavia, di verificare la praticabilità di una diversa interpretazione della norma censurata, atta a superare il dubbio di costituzionalità prospettato». Con l’ordinanza n. 102 dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale a causa del «mancato esperimento da parte del collegio del doveroso tentativo di attribuire alle norme una interpretazione conforme a Costituzione (ordinanze n. 212, n. 103 e n. 101 del 2011)». Con l’ordinanza n. 146 dichiara la manifesta inammissibilità «per omessa sperimentazione di un’interpretazione costituzionalmente orientata della norma censurata». Con l’ordinanza n. 125 dichiara non fondata l’eccezione di inammissibilità formulata dall’Avvocatura generale dello Stato, sostenendo che il giudice a quo non avrebbe verificato la «possibilità di pervenire a un’interpretazione delle norme impugnate conforme a Costituzione», poiché il 98 TAR ha implicitamente, ma chiaramente indicato gli argomenti che impedirebbero di offrire un’interpretazione del citato art. 1-ter, comma 13, lettera c), in grado di renderlo immune dalle censure proposte. Con l’ordinanza n. 150 la Corte dispone la restituzione degli atti al giudice remittente nei giudizi di legittimità costituzionale degli articoli 4, comma 3, 9, commi 1 e 3, e 12, comma 1, della legge 19 febbraio 2004, n. 40 (Norme in materia di procreazione medicalmente assistita), promossi dal Tribunale ordinario di Firenze con ordinanza del 6 settembre 2010, dal Tribunale ordinario di Catania con ordinanza del 21 ottobre 2010 e dal Tribunale ordinario di Milano con ordinanza del 2 febbraio 2011. L’ordinanza merita specifica attenzione, non solo perché coinvolge un tema di particolare interesse167, ma perché mette in campo l’intreccio tra interpretazione conforme a Costituzione e interpretazione conforme alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo168. L’ ordinanza di restituzione degli atti al giudice, in luogo della Sulla procreazione medicalmente assistita, A. D’ALOIA, Norme, giustizia, diritti nel tempo delle biotecnologie: note introduttive, in AA.VV., Biotecnologie e valori costituzionali. Il contributo della giustizia costituzionale, Atti del seminario di Parma svoltosi il 19 marzo 2004, a cura di A. D’ALOIA, Torino, 2005. Per un approccio comparativo, AA.VV. La fecondazione assistita nel diritto comparato, a cura di C. CASONATO, T. E. FROSINI, Torino, 2006. 168 Sui rapporti fra Costituzione e Cedu, L. CAPPUCCIO, La Corte costituzionale interviene sui rapporti tra convenzione europea dei diritti dell’uomo e Costituzione, in Foro it. 2008, p.47 e, più di recente, Luces y sombras en la relación entre la corte constitucional italiana y el tribunal europeo de derechos humanos, in www.federalismi.it. n. 22/2012; T. E. FROSINI, Sui rapporti fra Corte EDU e Costituzione italiana, in Scritti in onore di Alessandro Pace, Editoriale Scientifica, Napoli, 2012, III, pp. 2063 ss. Espressamente sul profilo dell’interpretazione convenzionalmente compatibile, P. GAETA, Dell’interpretazione conforme alla C.e.d.u.: ovvero, la ricombinazione genica del processo penale, in www.penalecontemporaneo.it; A. GUAZZAROTTI, Interpretazione conforme alla Cedu e proporzionalità e adeguatezza: il diritto di proprietà in AA. V.V, Interpretazione conforme e tecniche argomentative, cit. p. 161 e ss. e nello stesso volume si vedano i contributi di E. 167 99 consueta ordinanza di inammissibilità semplice o manifesta, è motivata dalla Corte in considerazione al fatto che «successivamente a tutte le ordinanze di rimessione, la Grande Camera della Corte di Strasburgo – alla quale, ai sensi dell’art. 43 della CEDU, è stato deferito il caso deciso dalla Prima Sezione – con la sentenza del 3 novembre 2011, S.H. e altri c. Austria, si è pronunciata diversamente sul principio enunciato con la sentenza richiamata dai rimettenti per identificare il contenuto delle norme della CEDU ritenute lese dalle disposizioni censurate». La pronuncia con cui la Grande Camera interviene sulla legislazione austriaca impone, per i giudici costituzionali, una riconsiderazione dei termini della questio legittimitatis, in quanto non rileva una violazione del margine di apprezzamento statale né per quanto riguarda il divieto di donazione di ovuli ai fini della procreazione artificiale né per quanto riguarda il divieto di donazione di sperma per la fecondazione in vitro ed in quanto - a differenza della sentenza della prima Sezione - esclude la denunciata violazione della tutela della vita familiare e privata ex art. 8 Cedu (sentenza Corte Edu 3 novembre 2011 - Grande Camera - Ricorso 57813/00 S.H.e altri c. Austria)169. La Corte ricorda che «la questione dell’eventuale contrasto della disposizione interna con la norme della CEDU va risolta (…) in base al principio in virtù MALFATTI, Attorno al modello di «interpretazione convenzionalmente conforme» e di «verifica di costituzionalità della Cedu»; L. MONTANARI, Interpretazione conforme a Convenzione europea dei diritti dell’uomo e canoni di proporzionalità e adeguatezza. 169 Per un commento, C. DI COSTANZO, Ancora sul margine di apprezzamento: frontiera costituzionale o crinale giuridicamente indefinibile, in www.forumcostituzionale.it. 100 del quale il giudice comune, al fine di verificarne la sussistenza, deve avere riguardo alle «norme della CEDU, come interpretate dalla Corte di Strasburgo» (tra le molte, sentenza n. 236 del 2011, richiamando le sentenze n. 348 e n. 349 del 2007 e tutte le successive pronunce che hanno ribadito detto orientamento), «specificamente istituita per dare ad esse interpretazione e applicazione» (da ultimo, sentenza n. 78 del 2012), poiché il «contenuto della Convenzione (e degli obblighi che da essa derivano) è essenzialmente quello che si trae dalla giurisprudenza che nel corso degli anni essa ha elaborato» (per tutte, sentenze n. 311 del 2009 e n. 236 del 2011), occorrendo rispettare «la sostanza» di tale giurisprudenza, «con un margine di apprezzamento e di adeguamento che le consenta di tener conto delle peculiarità dell’ordinamento giuridico in cui la norma convenzionale è destinata a inserirsi» (ex plurimis, sentenze n. 236 del 2011 e n. 317 del 2009), ferma la verifica, spettante a questa Corte, della «compatibilità della norma alla CEDU, nell’interpretazione del giudice cui tale compito è stato espressamente attribuito dagli Stati membri, con le pertinenti norme della Costituzione» (sentenza n. 349 del 2007; analogamente, tra le più recenti, sentenze n. 113 e n. 303 del 2011)». La restituzione degli atti al giudice a quo, affinché questi proceda ad un rinnovato esame dei termini della questione, è quindi dovuta «qualora all’ordinanza di rimessione sopravvenga una modificazione della norma costituzionale invocata come parametro di giudizio (tra le tante, ordinanze n. 14, n. 76, n. 96, n. 117, n. 165, n. 230 e n. 386 del 2002), ovvero della 101 disposizione che integra il parametro costituzionale (per tutte, ordinanze n. 516 del 2002 e n. 216 del 2003), oppure qualora il quadro normativo subisca considerevoli modifiche, pur restando immutata la disposizione censurata (tra le tante, ordinanza n. 378 del 2008)». La diversa pronuncia della Grande Camera in ordine all’interpretazione accolta dalla sentenza della Prima Sezione, espressamente richiamata dai rimettenti – operata all’interno dello stesso giudizio nel quale è stata resa quest’ultima pronuncia – incide sul significato delle norme convenzionali considerate dai giudici a quibus e costituisce un novum che influisce direttamente sulla questione di legittimità costituzionale così come proposta. Con l’ordinanza n. 181 dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale in quanto il giudice avrebbe disatteso un’interpretazione conforme giù fatta propria dalla stessa Corte e dalla Corte di Cassazione. Con l’ordinanza n. 194 dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale in quanto manca «nell’ordinanza di rimessione ogni cenno al tentativo di ricercare un’interpretazione conforme alla Costituzione, prima di sollevare la questione di legittimità (ex plurimis, sentenze n. 301 del 2003 e n. 356 del 1996), essendosi limitato il giudice a quo a richiamare una precedente affermazione di questa Corte», senza del resto suffragare l’interpretazione sottesa al dubbio di legittimità con il riferimento ad un indirizzo giurisprudenziale consolidato. Con l’ordinanza n. 254 dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale in 102 quanto «risulta superata dalla successiva evoluzione della giurisprudenza, che ha individuato un’interpretazione della norma censurata compatibile con i principi evocati». Con l’ordinanza n. 255 dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale in quanto « il rimettente ha omesso di prendere in considerazione – anche al solo fine di escluderne eventualmente la praticabilità – la soluzione interpretativa da più parti prospettata proprio allo scopo di superare i dubbi di legittimità costituzionale sollevati». Con l’ordinanza n. 304 dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale in quanto l’argomentazione del rimettente peccherebbe di apoditticità e «non appare idonea a sottrarre il rimettente dal dovere di sperimentare la possibilità (…) di dare alla norma impugnata un significato diverso, tale da renderla compatibile con gli evocati parametri costituzionali (…), in ossequio al principio secondo cui una disposizione di legge può essere dichiarata costituzionalmente illegittima solo quando non sia possibile attribuirle un significato che la renda conforme a Costituzione (ordinanza n. 212 del 2011)». Con la sentenza n. 109, la Corte dichiara questione non fondata « perché la disposizione impugnata può essere interpretata in modo da superare i prospettati dubbi di legittimità costituzionale». Per la Corte « la lettera della disposizione impugnata consente un’interpretazione diversa da quella accolta dal rimettente», confortata da un precedente orientamento della stessa, oltre che della Corte di Cassazione. Dalla riscontrata possibilità di 103 un’interpretazione conforme a Costituzione della disposizione denunciata discende, dunque, la non fondatezza della questione. Con la sentenza n. 58, la Corte dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale «perché il giudice rimettente non ha preso in considerazione la possibilità di dare alla disposizione censurata un’interpretazione idonea a superare i prospettati dubbi di costituzionalità». 5. Interpretazione conforme e applicazione diretta della Costituzione: la ricerca di una linea distintiva. Spesso le posizioni critiche sostenute nei confronti dell’interpretazione conforme sono sorrette dall’ansia definitoria rispetto all’uso diretto delle disposizioni costituzionali, rectius rispetto all’uso delle disposizioni costituzionali in assenza di previsioni legislative. I pericoli che parte della dottrina denuncia in relazione all’interpretazione costituzionalmente orientata della legge, vengono infatti percepiti come inaccettabili in assenza di una mediazione legislativa tra il caso concreto e la disposizione costituzionale. Di qui, la necessità di definire un ambito limitato e circoscritto di ipotesi in cui il giudice può costruire la premessa maggiore del suo sillogismo giudiziale 104 attraverso il ricorso non mediato alla disposizione costituzionale170. Se il giudice può ricavare direttamente dalla disposizione costituzionale la regola del caso concreto – si dice – «si tratta, evidentemente, di una soluzione limite, che presenta per di più un certo carattere patologico, in quanto presuppone un’omissione del legislatore con la correlativa espansione del potere giudiziario»171. Pur, tuttavia, si afferma che le deroghe al principio della separazione fra giurisdizione e legislazione sono ammissibili in quanto funzionali alla realizzazione del principio di legalità costituzionale172, ma solo a determinate condizioni. La disposizione costituzionale può, in questa prospettiva, diventare regola del caso solo in via sussidiaria e solo ove abbia una struttura sufficientemente dettagliata173. Il giudice, infatti, dovrebbe prima ricorrere al criterio di interpretazione estensiva174, analogica175 e al ricorso ai principi generali176 e solo dopo – e In questo senso G. SORRENTI, La manifesta infondatezza…, cit., p. 101 e ss, di cui si è già riferito la posizione critica nel confronti del canone dell'interpretazione conforme a Costituzione. 171 Idibem. 172 Sul principio di legalità costituzionale e sulla specificità rispetto al principio di legalità cd legale, M. LUCIANI, Su legalità costituzionale…, cit., pp. 501 e ss. 173 G. SORRENTI, La manifesta infondatezza…, cit., pp. 101 e ss. 174 Sulla differenza, assai sottile, che intercorre tra interpretazione analogica e interpretazione estensiva, il riferimento obbligato è a N. BOBBIO, L’analogia nella logica del diritto, Milano, 2008. 175 Com’è noto, l’interpretazione analogica è espressamente prevista dal secondo comma dell’art. 12 delle Disposizioni Preliminari al Codice Civile, il quale dispone che «Se una controversia non può essere decisa con una precisa disposizione, si ha riguardo alle disposizioni che regolano casi simili o materie analoghe». Detto argomento consente di ricavare un principio da una norma espressa, per applicarlo ad un caso simile, privo di disciplina. L’esito derivante dal ricorso a tale criterio coincide con il risultato di una interpretazione correttiva o estensiva, dal momento che esso consente di applicare la norma in esame a fattispecie che, secondo una mera ricostruzione letterale, non vi rientrerebbero. Secondo Bobbio, il rapporto di somiglianza che collega i due termini posti a confronto è una 170 105 solo se la Costituzione fosse in grado di enucleare regole per il caso concreto – procedere all’applicazione diretta. La schematizzazione – elaborata con il palesato intento di ridurre la discrezionalità del giudice – sembra fondarsi, tuttavia, su due equivoci. Il primo riguarda l’avalutatività del giudizio sull’esistenza o meno di una lacuna, come se non rientrasse nella discrezionalità del giudice assolvere – anche con esiti negativi– al suo iura «relazione fra due o più oggetti che si dicono simili; e due oggetti si dicono simili quando hanno qualcosa “in comune”»; dunque «è evidente che il rapporto di somiglianza S è simile a Q, si può risolvere nei due rapporti di identità S é M, e Q è M, in cui M sta ad indicare “il qualcosa in comune”»; pertanto la formula del ragionamento per analogia, risolta nei suoi rapporti semplici, è riducibile a quest’altra formula: Q è P; Q è M; S è M; S è P, dove non appare più la relazione di somiglianza». N. BOBBIO, L’analogia nella logica del diritto, cit., p. 112 e ss., Per evitare, dunque eccessi logici, come quelli sottolineati da F. MODUGNO, L’analogia nella logica del diritto, in www.associazioneitalianadeicostituzionalisti.it, «bisogna fissare i limiti e l’estensione del rapporto di somiglianza, e ciò non si può fare se non attribuendo al ragionamento stesso o un valore deduttivo, o un valore induttivo, sottintendendo un nesso fisico di causalità, a cui il secondo termine non possa sottrarsi» (N. BOBBIO, L’analogia nella logica del diritto, cit. p. 118). Per G. CARCATERRA, Analogia, I Teoria generale, in Enc. Giur., II, 1988, pp. 3 e ss., il principio del ragionamento analogico consiste nell’ «inferenza mediante la quale il giurista, al fine di risolvere il quid iuris di un dato caso, conclude che esso è disciplinato in un certo modo in quanto a quel modo è disciplinato un altro caso ad esso simile». 176 L’art. 12 delle Preleggi prosegue attribuendo al giudice la facoltà di decidere, qualora il caso sia ancora dubbio, secondo i «principi generali dell’ordinamento giuridico dello Stato». La disposizione de qua – nata nell’intenzione del legislatore col fine di fornire un’ultima sponda al principio iura novit curia – ha dato l’avvio ad un fervido dibattito all’indomani dell’entrata in vigore della Costituzione, relativo alla possibile identificazione di questi con i principi costituzionali – e in ogni caso alla loro formalizzazione –, nonché al rapporto di questi con l’attività interpretativa del giudice. Quanto alla prima questione, sovvengono le parole di Vassalli, padre del Codice Civile, il quale affermava che i principi «se sono davvero generali, non hanno da essere scritti in un ordinamento particolare e se, invece, sono particolari di un dato ordinamento (…) o sono superflui poiché è dell’interprete estrarli o sono inammissibili poiché, se sovraordinati in autorità, fermerebbero il moto del diritto». F. VASSALLI, Motivi e caratteri della codificazione civile, in Studi giuridici, vol. II, Milano, 1960, p. 613. Sul contributo di Vassalli alla codificazione si veda A. PUNZI, La missione del giureconsulto: Filippo Vassalli, in RIFD. Rivista Internazionale di Filosofia del Diritto, 4, 2005, pp. 623-636, nonché Id., Una giurisprudenza in cerca di princìpi, in Dialogica del diritto. Studi per una filosofia della giurisprudenza, Torino, 2009, pp. 65 e ss. Così anche Modugno, con delle attenuazioni, per il quale i principi generali sono «per loro natura, inespressi o taciti, anche se nulla vieta che siano esplicitati in enunciati normativi». F. MODUGNO, voce Principi generali dell'ordinamento, in Enc. Giur. Treccani, XXIV, Roma, 1991. 106 novit curia. Nello schema proposto, poi e di conseguenza, sembra possibile una netta distinzione tra l’uso solo integrativo della Costituzione e dei suoi principi generali e quello– invece– eccezionale e risolutivo177. Il secondo equivoco riguarda, invece, la distinzione tra regole e principi, come se questa coincidesse – anche solo tendenzialmente – con la distinzione tra il livello costituzionale e quello legislativo178. Laddove, invece, è facilmente dimostrabile che la distinzione fra principi e regole non dipende – o non solo – dalla struttura nomologica o dalla sede cui questi sono collocati, ma dalla costruzione del giudice rispetto al caso concreto179. La qualificazione di una norma come regola o come principio non può che dipendere, infatti, dalle scelte interpretative e argomentative del giudice– interprete, dal modo in cui questo intende usare quella norma rispetto al caso concreto180 e – si potrebbe aggiungere – dalla situazione normativa che è a Nel senso di una possibile distinzione, G. PISTORIO, Interpretazioni e giudici…., cit., pp. 35 e ss., per cui «occorre distinguere la vis interpretativa da quella applicativa, vale a dire quando il testo costituzionale può o deve essere applicato in modo diretto o quando invece ne viene utilizzata la sola forza interpretativa. Tale precisazione consentirà di non confondere l’applicazione diretta della Costituzione dall’interpretazione ad essa conforme» 178 In questo senso, cioè di far coincidere tendenzialmente la distinzione fra regole e principi con quella fra Costituzione e legge, G. ZAGREBELSKY, Il diritto mite…, cit., pp. 147 e ss. per il quale «se il diritto attuale è composto di regole e di principi, si può notare che le norme legislative sono prevalentemente regole, mentre le norme costituzionali sui diritti e sulla giustizia sono prevalentemente principi (…). Distinguere i principi dalle regole significa perciò, a grandi linee, distinguere la Costituzione dalla legge». 179 In questo senso L. GIANFORMAGGIO, L'interpretazione della Costituzione tra applicazione di regole e argomentazione basata su principi, in Rivista internazionale di filosofia del diritto, 1985, p. 178. 180 In questo senso anche G. PINO, Diritti e interpretazione…, cit., pp. 62 e ss. per il quale «una norma frutto di interpretazione estensiva potrà tendenzialmente assomigliare ad un principio, mentre una norma frutto di interpretazione restrittiva o a contrario potrà tendenzialmente assomigliare ad una regola. E, una volta qualificata la norma come regola o come principio, sarà poi utilizzata nell'argomentazione rispettivamente come regola (ad 177 107 esso sottesa. Senza che questo voglia dire che la qualificazione del precetto normativo sia lasciata alla completa e incontrollabile discrezionalità del giudice. Come per tutte le operazioni interpretative, anche questa incontra, infatti, il limite dell’elaborazione dommatica e quello dei precedenti orientamenti giurisprudenziali, risultando statisticamente recessivo il caso il cui il giudice proceda in spregio ai criteri di accettabilità esistenti nella cultura giuridica di riferimento.181 Nel dibattito teorico sul tema si possono, tuttavia, isolare le posizioni di chi sostiene una distinzione rigida tra regole e principi182 e, viceversa, chi una esempio, «proteggendola» contro eccezioni non previste), o come principio (ad esempio bilanciandola con altri principi)». 181 Parla di criteri di applicabilità o ideologia delle fonti, G. PINO, ivi, pp. 36 e ss., riferendosi con questi a metacriteri che regolano il funzionamento dei criteri– positivamente tracciati– per l'applicazione del diritto e che non possono che essere originati all'interno della cultura giuridica di riferimento. Così dice « un giurista che aderisce, consapevolmente o meno, ad una ideologia delle fonti del diritto e ad una cultura giuridica di tipo formalista e legalista, individuerà come primariamente applicabili le disposizioni legislative, e privilegerà le tecniche argomentative idonee ad assicurare quanto più possibile il rispetto della supremazia della legge lettera: quindi privilegerà, in particolare, l'argomento letterale e quello dell'intenzione del legislatore. Di contro, un giurista che aderisce, consapevolmente o meno, ad una ideologia delle fonti del diritto e ad una cultura giuridica di tipo sostanzialista– giusnaturalista tenderà ad impiegare le tecniche argomentative idonee ad assicurare la realizzazione di certi valori sostanziali anche al di là della lettera della legge, quali ad esempio l'argomento equitativo e l'argomento della natura delle cose, la cd interpretazione «per valori», l'interpretazione restrittiva e la defettibilità di norme contrastanti con precetti morali. Infine, un giurista che aderisce, consapevolmente o meno, ad una ideologia delle fonti del diritto e ad una cultura giuridica di stampo (neo–) costituzionalista, tenderà ad impiegare le tecniche argomentative idonee ad assicurare l'ideale della supremazia della costituzione, e della maggiore penetrazione possibile dei valori e principi costituzionali in tutto l'ordinamento giuridico, quali ad esempio l'interpretazione adeguatrice ( della legge alla costituzione), l'applicazione diretta dei principi costituzionali, la defettibilità delle norme infra–costituzionali nella misura in cui contrastino con norme e principi costituzionali, il bilanciamento di principi costituzionali affidato anche al giudice comune ecc.». Si riferisce, invece, alla dommatica e al vincolo del precedente come vincoli e strumenti di razionalizzazione della scientia iuris, R. ALEXY, Teoria dell'interpretazione e dell'argomentazione giuridica, Milano, 1998, pp. 182 e ss. 182 Tra questi, G. ZAGREBELSKY, Il diritto mite…, cit. cap. IV; ID., La legge e la sua giustizia…, cit., cap. VI; R. DWORKIN, Taking rights seriously, Taking right seriously, 108 debole183. Per i primi sarebbe possibile tracciare una linea distintiva precisa e costante, perché discendente da caratteristiche intrinseche della norma presa in considerazione. E, infatti, si dice «i principi sono norme particolarmente importanti, sono i valori fondanti e costitutivi dell’ordinamento; e pertanto ad essi «si aderisce» (si presta una qualche forma di adesione etico–politica), mentre alle regole «ciecamente»); hanno «si ubbidisce» (le regole possono essere seguite un notevole grado di generalità, vaghezza, indeterminatezza (sono norme con fattispecie «apertissima», o addirittura «norme senza fattispecie»)», al contrario delle regole che descrivono la relazione di causa ed effetto rispetto al caso concreto. E, ancora, «la loro applicazione è condizionata da considerazioni di «peso» e importanza (se in un medesimo caso concreto sono applicabili più principi, al fine della decisione si dovrà individuare il più importante)», laddove la regola è applicabile nella logica del tutto o niente, secondo la formula dworkiniana; sono, poi, «norme categoriche, mentre le regole sono norme ipotetiche». 184 La differenziazione più importante– ma anche la più facilmente confutabile– rimane, però, quella attinente al trattamento pratico loro riservato dalla giurisprudenza. Come anticipato, infatti, nelle argomentazioni che sostengono la tesi della distinzione cd forte, solo le regole avrebbero una esplicita funzione risolutiva dei casi sottoposti all’attenzione degli operatori del diritto, Harvard, 1977, trad. it. I diritti presi sul serio, Bologna, 1972. 183 G. PINO, Diritti e interpretazione…, cit., p. 52 e ss. 184 E' questa la semplificazione riportata da G. PINO, Diritti e interpretazione…, cit. pp. 54 e ss., ma più o meno negli stessi termini, G. ZAGREBESLKY, Il diritto mite… , cit., pp. 148 e ss. 109 avendo i principi – viceversa– una naturale attitudine a veicolare solo valori e ideali di giustizia. La confutazione, però, è agevolmente rintracciabile nella pratica giudiziaria. La reazione del materiale normativo con il caso concreto, infatti, assottiglia le differenze, potendo una norma valere alternativamente come regola o come principio. E del resto, anche nell’idea di una precisa dicotomia, si sostiene che «i principi di diritto svolgono un’importante funzione suppletiva, integrativa o correttiva delle regole giuridiche. Essi opererebbero per il «perfezionamento» dell’ordinamento e entrerebbero in gioco quando le altre norme non sono in condizione di svolgere pienamente o soddisfacentemente il compito regolativo che ci si attende da loro». Se quanto detto è vero, se « per superare dubbi interpretativi, colmare lacune e risolvere contraddizioni altrimenti insanabili– dovrebbero entrare in azione i principi di diritto, con la loro forza direttiva tanto più vincolante in quanto espressi dalla Costituzione»185, allora anche questi possono contribuire a offrire risposte alle domande di giustizia186, in modo non molto differente dalle regole in senso stretto. Che il principio possa, poi, valere come regola del caso concreto risulta del pari chiaro se solo si ha a mente lo schema attraverso il quale la Corte e i giudici comuni risolvono i conflitti fra le affermazioni costituzionali sui diritti, G. ZAGREBELSKY, Il diritto mite…, cit., p. 159. Non è condivisibile la sostenuta distinzione fra regole e principi sul presupposto che per questi ultimi « il (loro) significato non è determinabile in astratto, ma solo in concreto», come sostiene G. ZAGREBELSKY, ivi, p. 149, come se per le regole il significato preesista – cristallizzato – alla pratica giudiziaria. Vale sul punto l'insuperato insegnamento di V. CRISAFULLI, voce Disposizione (e norma), in Encicl. Dir., XIII, Milano, 1964, pp. 195 e ss. 185 186 110 comunemente noto come giudizio di bilanciamento187. La composizione fra disposizioni declinate in senso assoluto avviene, infatti, attraverso l’elaborazione di una regola di prelavenza, che diventa la regola per la risoluzione del caso concreto, se elaborata dallo stesso giudice adito. In questo caso «la situazione concreta, che consente di affermare la prevalenza di un diritto sull’altro, svolge il doppio ruolo di condizione nella formula che esprime la prevalenza di un principio, e di presupposto di fatto di una regola (… ): dire che, se ricorrono determinate circostanze, un certo principio prevale su un altro, equivale a dire che, se ricorrono quelle stesse circostanze, si devono produrre le conseguenze previste dal principio prevalente»188. Il che è come dire che il principio costituzionale, tramite l’elaborazione di una regola, trova diretta applicazione nella fattispecie concreta. La relativizzazione della distinzione fra regole e principi nella pratica giurisprudenziale travolge, poi, l’altro presupposto della tesi che vuole l’applicazione diretta della Costituzione come soluzione eccezionale, se non patologica dell’ordinamento189. Porre, infatti, come condizione dell’utilizzo diretto delle disposizioni costituzionali la presenza di una chiara lacuna legislativa, richiede– allo stesso tempo– che sia evidente la distinzione fra una funzione solo integrativa/interpretativa e una più propriamente risolutiva della Sullo schema del giudizio di bilanciamento operato dalla Corte e dai giudici comuni e sull'elaborazione di tests, R. BIN, Diritti e argomenti…, cit., pp. 62 e ss. 188 R. BIN, Diritti e argomenti, … cit., pp. 40 e ss. 189 G. SORRENTI, La “manifesta infondatezza”…, cit. pp. 101 e ss. 187 111 norma fondamentale190. Anche in questo caso è la pratica giudiziaria a Sulla distinzione insiste, G. PISTORIO, Interpretazioni e giudici…, cit., pp. 39 e ss. la quale si riferisce al noto caso Englaro come una chiara ipotesi di applicazione diretta della Costituzione in presenza di una lacuna legislativa. Nella decisione con cui il Tribunale di Lecco, con decreto 2 febbraio 2006, ha dichiarato inammissibile il ricorso presentato dal tutore al fine di ottenere l’emanazione di un ordine di interruzione dell’alimentazione forzata mediante sondino nasogastrico che teneva in vita la donna, in stato di come vegetativo dal 1992 e manifestamente infondati i profili di illegittimità costituzionale prospettati dal ricorrente. Secondo il giudice «ai sensi degli artt. 2 e 32 Cost., un trattamento terapeutico o di alimentazione, anche invasivo, indispensabile a tenere in vita una persona non capace di prestarvi consenso non solo è lecito, ma dovuto, in quanto espressione del dovere di solidarietà posto a carico dei consociati, tanto più pregnante quando, come nel caso di specie, il soggetto interessato non sia in grado di manifestare la sua volontà». Aggiungono i giudici «in base agli artt. 13 e 32 Cost. (…)se la persona non è capace di intendere e di volere il conflitto tra il diritto di libertà e di autodeterminazione e il diritto alla vita è solo ipotetico e deve risolversi a favore di quest’ultimo, in quanto non potendo la persona esprimere alcuna volontà, non vi è alcun profilo di autodeterminazione o di libertà da tutelare». Dello stesso tenore la decisione con cui la Corte di Appello di Milano, dinanzi alla quale era stato proposto reclamo avverso il decreto del Tribunale di Lecco. Nella decisione del 16 dicembre del 2006, infatti, i giudici, sostengono che «non vi sarebbe alcuna possibilità di accedere a distinzioni fra vite degne e non degne di essere vissute, dovendosi fare riferimento unicamente al bene vita costituzionalmente garantito, indipendentemente dalla qualità della vita stessa e dalle percezioni soggettive che di detta qualità si possono avere (…), tanto più che, alla luce delle disposizioni interne e convenzionali, la vita è un bene supremo, non essendo confutabile l’esistenza di un diritto a morire». Su un versante diametralmente opposto, come sottolinea G. PISTORIO, ivi, p. 40, non senza piglio critico, la sentenza pronunciata dalla Corte di Cassazione, dinanzi alla quale era stato proposto ricorso avverso la sentenza della Corte di Appello. Con la sentenza 16 ottobre 2007, n. 2148, i giudici della Suprema Corte sostengono che il consenso informato sul trattamento sanitario « rappresenta una forma di rispetto per la libertà dell’individuo e un mezzo per il perseguimento dei suoi migliori interessi», senza il quale l’attività del medico è indubbiamente illegittima. L’Autrice sottolinea come, in questo caso, gli stessi principi costituzionali fanno sostenere ai giudici un risultato diametralmente opposto e, infatti, discendono dallo stesso art. 2, 13 e 32 Cost., nonché dalle Convenzioni internazionali, il diritto all’autodeterminazione in tema di trattamenti sanitari. «A fronte di una lacuna legislativa di così evidente portata si è ineluttabilmente registrata una libertà interpretativa sì ampia da trasformare il vuoto legislativo in antinomia tra i diversi principi costituzionali coinvolti (diritto alla vita, diritto all’autodeterminazione terapeutica, consenso informato). In altre parole, l’assoluta incertezza normativa, derivante dall’assenza di una precisa disposizione che potesse regolare il caso, ha spinto i giudici dei diversi gradi a rilevare (o creare?) una norma dalla combinata interpretazione di più disposizioni costituzionali. Ora, se da un lato è vero che il giudice è impossibilitato a denegare giustizia in forza del divieto di non liquet e deve, quindi, trovare una norma per risolvere la controversia dinanzi a lui sollevata, è altrettanto indiscusso che egli debba esercitare le sue funzioni entro i confini che delimitano l’esercizio dell’attività giurisprudenziale», ivi, pp. 41 e ss. Per una ricostruzione contraria della vicenda giurisprudenziale sul cd caso Englaro, R. ROMBOLI, Il caso Englaro: la Costituzione come fonte immediatamente applicabile dal giudice, in Quad. Cost., 2009, p. 95, per cui dietro la dichiarazione di inammissibilità del conflitto, si cela, sia pur implicitamente, il concetto già affermato dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 347 del 1998, in base al quale, a fronte 190 112 suggerire l’abbandono di dell’argomento costituzionale una rigida schematizzazione. L’utilizzo (se di argomento in senso stretto si può parlare191) da parte dei giudici ordinari assolve– indistinguibilmente– alla costruzione della norma per il caso concreto e diviene impossibile– oltre che dogmaticamente inopportuno– distinguere i casi in cui esso si limiti ad orientare il processo interpretativo, da quello in cui integra o offre ex nihil la regula iuris192. 6. Una recente giurisprudenza amministrativa in materia di pari opportunità: le ricadute sul piano interpretativo. L’elaborazione dottrinale sul punto è – come visto – significativa, tuttavia si ritiene un punto di vista privilegiato per verificare la reale consistenza del problema in questione e un argomento utile per confortare la tesi di una relativizzazione della distinzione fra regole e principi, una recente giurisprudenza amministrativa che congegna meccanismi di tutela immediata per posizioni giuridiche sfornite di disciplina legislativa o coperte da previsioni normative esclusivamente di principio, non corredate da regole di una carenza legislativa «spetta al giudice ricercare nel complessivo sistema normativo, l’interpretazione idonea ad assicurare la protezione degli anzidetti beni costituzionali». Per una ricostruzione esaustiva di tutta la vicenda, anche sul seguito legislativo, A. D’ALOIA, Il diritto di rifiutare le cure e la fine della vita. Un punto di vista costituzionale sul caso Englaro, in Diritti Umani e diritto internazionale, 2, 2009, pp. 370 e ss. M. VILLONE, Il diritto di morire, Napoli, 2011. 191 Che non si possa parlare di criterio interpretativo lo sottolinea A. RAUTI, L’interpretazione adeguatrice come metacriterio…, cit., pp. 496 e ss. 192 In questo senso di ribadisce la tesi di O. CHESSA, Drittwirkung…, cit., pp. 420 e ss. 113 precise e auto applicative. In un numero significativo di pronunce – tale da far pensare ormai al consolidarsi di un orientamento costante – i giudici amministrativi annullano i decreti di nomina all’interno di Giunte comunali e regionali per via della loro composizione interamente maschile, denunciando, in alcuni casi, la violazione di norme di rango legislativo (il più delle volte, però, declinate come normative di principio), in altri, la violazione di prescrizioni costituzionali. Dapprima è stato il TAR Puglia, sez. III, ord. n. 680 del 6 luglio 2005, ad annullare il decreto con cui il Sindaco del Comune di Veglie aveva nominato la Giunta, nella parte in cui escludeva dall’organo di governo la rappresentanza femminile193. Qui è la normativa statutaria (art. 32) a fungere da parametro. E, ancora, si veda quanto deciso da TAR Puglia, sez. III, sent. n. 2913 del 18 dicembre 2008: i giudici amministrativi, ritenendo che l’art. 37 Il T.A.R. motiva l’annullamento ritenendo che « i rimedi giurisdizionali sembrano doppiare, in questi casi, quelli politico amministrativi, per un verso presupponendo, come questi ultimi, la medesima funzione di controllo, tipica del Consiglio Comunale, e tuttavia, per altro verso, dagli stessi distinguendosi per il fatto di riguardare i casi di vera e propria illegittimità degli atti e non di mera inopportunità politica latamente intesa »; « che l’accesso alla tutela da parte del giudice completi il ruolo centrale che i componenti del Consiglio rivestono nella vita dell’ente locale, consentendo loro di agire a tutela di interessi che, altrimenti, sarebbero in concreto privi di protezione in sede processuale »; « che la disciplina costituzionale ( art. 51), primaria (art. 6 t.u. 267/2000) e secondaria ( art. 32 statuto comunale: « nella composizione della Giunta è garantita la presenza dei rappresentanti di entrambi i sessi » ) di riferimento favorisce e/o garantisce una rappresentanza femminile in seno all’organo predetto; » … « che tale previsione vada contemperata, secondo canoni di ragionevolezza con le prerogative riservate al Sindaco nella scelta dei componenti della Giunta »; e in definitiva « che il Sindaco debba procedere, nel corretto esercizio delle proprie attribuzioni, ad una nuova formazione della Giunta Comunale, adoperandosi per assicurarvi una rappresentanza femminile o, nel caso in cui ciò non sia, per ragioni tecnico– politiche, possibile, illustrando con motivazione puntuale, esaustiva e concreta le ragioni che impediscono l’attuazione del c.d. principio delle pari opportunità ». 193 114 dello Statuto del Comune di Molfetta «faccia carico al Sindaco di adoperarsi al fine di favorire la rappresentanza di entrambi i sessi all’interno del predetto organo» e «che l’effettiva esplicazione di tale attività del Sindaco, ove non si concretizzi nella nomina di persone di sesso diverso in seno alla Giunta municipale, deve trovare almeno un riscontro effettivo nella motivazione dei provvedimenti di nomina dei vari assessori, la quale deve illustrare le ragioni che impediscono l’attuazione del principio delle pari opportunità», concedevano la misura cautelare richiesta e ordinavano al Sindaco di procedere a nuove nomine194. Nel 2010 anche il TAR Molise, sez. I con ord. n. 51 del 24 febbraio, offre tutela alle istanze di partecipazione femminile servendosi di parametri statutari conferenti195. Più recente è, invece, l’annullamento da parte del TAR Lazio (sent. n. 6673 del 2011) delle nomine assessorili nella Giunta della città di Roma. Anche qui i giudici amministrativi dispongono che si proceda al rinnovo delle nomine nel senso orientato ad una maggiore garanzia della rappresentanza femminile. La Per i giudici « il citato articolo 37 deve essere interpretato nel senso che esso impone al Sindaco di porre in essere tutte le attività utili e necessarie affinché l’organo esecutivo del Comune – cioè la Giunta – risulti composto da persone appartenenti ad ambo i sessi, nonché di dare conto, nel provvedimento con il quale designa gli assessori, dell’espletamento delle attività svolte e delle ragioni per le quali esse, eventualmente, non hanno sortito il risultato utile, e cioè di avere la disponibilità di persone di ambo i sessi per la formazione della Giunta. In tal senso è evidente che l’art. 37 dello Statuto indubbiamente limita la discrezionalità di cui il Sindaco gode nella scelta dei propri assessori, scelta che, per tale ragione, non deve necessariamente privilegiare il dato politico». 195 In species, l’art. 26, comma 5 «per la composizione della Giunta il Presidente assicura la pari opportunità uomo-donna»; l’art. 38 «è garantita la presenza di entrambi sessi negli organi collegiali della Provincia, nonché negli enti, aziende ed istituzioni dipendenti dalla Provincia stessa»; oltre alla più generale previsione di cui all’art. 4, comma 1 «l’attività amministrativa della Provincia è informata ai principi della partecipazione democratica, delle pari opportunità, dell’imparzialità e della trasparenza delle decisioni e degli atti, della semplicità delle procedure». 194 115 violazione censurata riguarda ancora una volta una disposizione dello Statuto comunale, precisamente la previsione contenuta nell’art. 5 per il quale «nei casi in cui il Sindaco o il Consiglio Comunale debbano nominare o designare, ciascuno secondo le proprie competenze, rappresentanti in enti, istituzioni, ovvero in altri organismi gestori di servizi pubblici, fra i nominati è garantita la equilibrata presenza di uomini e donne»; la disposizione, al comma terzo, precisa, invece, l’esistenza di un obbligo di motivazione – evidentemente diversa dalla motivazione schiettamente politica – per scelte di segno contrario. Sorretta da analoga motivazione è la sentenza del TAR Campania, sezione prima (sent. n. 5167 del 2011) che impone il rispetto del principio di pari opportunità per la composizione della Giunta del Comune di Agerola. Anche qui i giudici affermano l’esistenza di un parametro di legittimità – dicono – esterno dell’attività di nomina del Sindaco. L’orientamento è, poi, riconfermato nel 2012. Il TAR Puglia (sent. n. 79 del 2012) annulla gli atti di nomina in seno alla Giunta del Comune di San Marco in Lamis, argomentando la violazione degli artt. 3 e 51 Cost., dell’art. 6, comma 3, del d.lgs. n. 267 del 18 agosto 2000, e dell’art. 14, comma 3, dello Statuto comunale. Ordina il rinnovo della composizione della Giunta del Comune di Viterbo anche il TAR Lazio (sent. n. 679 del 2012). I medesimi principi, salvo una rilevante eccezione196, vengono riconfermati L’eccezione è rappresentata dalla sent. n. 354 del 2011 del TAR Lombardia, sez. I; qui i ricorrenti impugnavano i decreti di nomina del Presidente della Giunta lombarda deducendo 196 116 riguardo alla composizione delle giunte regionali. Valga l’esempio della recente pronuncia del TAR Campania, sez. Napoli197, che decide della violazione del principio della parità di genere, sancito dagli artt. 1 e 5 dello la violazione dell’art. 51 Cost., degli artt. 11 e 25 dello Statuto della Regione Lombardia, approvato con legge regionale n. 1 del 30 agosto 2008, dell’art. 1 del d.lgs. n. 198 dell’11 aprile 2006, così come modificato dal d.lgs. n. 5 del 25 gennaio 2010. Assumevano la violazione dei principi di democrazia paritaria fra uomini e donne nella vita sociale, culturale, economica e politica e dunque anche nell’accesso agli uffici pubblici e alla cariche elettive, nonché delle disposizioni normative poste a garanzia dell’equilibrio tra i sessi tra i componenti degli organi di governo della Regione. Ad adjuvandum si deduceva la violazione degli artt. 3, 51 e 117, comma 7, Cost. sotto il profilo della violazione dell’uguaglianza sostanziale ed in particolare del principio di uguaglianza tra i sessi nel conseguimento degli uffici pubblici; si censurava esplicitamente la carenza di motivazione in ordine ai motivi oggettivi che avrebbero impedito nomine equilibrate e non discriminatorie; e, infine, la violazione del principio di parità di trattamento tra uomini e donne derivanti da diritto europeo, direttamente applicabile ai sensi dell’art. 117 Cost. I giudici amministrativi, dopo aver passato in rassegna la giurisprudenza costituzionale sul principio di pari opportunità e quella, controversa, che condanna alla «inefficacia giuridica» le disposizioni programmatiche contenute negli statuti regionali, rigettavano la domanda di annullamento escludendo che le norme costituzionali invocate (artt. 3, 51 e 117), le disposizioni statutarie della Regione Lombardia e l’art. 1 del d.lgs. n. 198 dell’11 aprile 2006, autorizzassero una dichiarazione di illegittimità dei provvedimenti oggetto dell’impugnazione, anche in considerazione dell’indiscutibile natura fiduciaria delle nomine in questione. 197 TAR Campania, sez. Napoli, sent. n. 1985 del 7 aprile 2011. La sentenza è stata appellata e il Consiglio di Stato, con decreto datato 22 aprile 2011 n. 1805, ha accolto la domanda cautelare proposta dalla Regione Campania sospendendone l’efficacia dato che «nelle more della decisione di merito e fino alla pronuncia collegiale sulla domanda cautelare, sussiste per l’appellante una situazione di estrema gravità ed urgenza, in relazione all’interesse al proficuo funzionamento della Giunta regionale, tale da giustificare una misura cautelare provvisoria». Il Consiglio di Stato, sezione V, con sent. n. 4502 del 2011 conferma la sentenza di primo grado, sottolineando il carattere di limite precettivo dell’art. 46 dello Statuto regionale: «la norma si riferisce esplicitamente ed inequivocabilmente all’atto della nomina degli assessori e pone, dunque, un vincolo, sia pur elastico, ad un determinato potere spettante al Presidente della Regione». Con ricorso della Regione Campania, n. 11 del 23 settembre– 7 ottobre 2011 (pubblicato in G.U., 1a SS, n. 43 del 2011) la Giunta ha sollevato conflitto di attribuzione, chiedendo alla Corte costituzionale l’annullamento della decisione, sul presupposto che non spettasse allo Stato, attraverso il giudice amministrativo d’appello, «sindacare la legittimità dell’atto di nomina di un assessore regionale da parte del Presidente della Giunta della Regione Campania». Nel ricorso si contestava, infatti, la giurisdizione del giudice amministrativo, essendo l’atto di nomina un atto politico e, come tale insindacabile, e si disconosceva all’art. 46 dello Statuto regionale il carattere di norma capace di esprimere un «contenuto giuridico di carattere vincolato». La Regione proponeva, poi, una istanza di sospensione della decisione già respinta dalla Corte Cost. con ordinanza 302 del 2011. Il ricorso è stato, poi, respinto con sent. n. 81 del 2012, perché inammissibile. 117 Statuto regionale198 e del corollario della equilibrata presenza di donne e uomini nella formazione degli organi ed uffici regionali, di cui agli artt. 22 (sul Consiglio delle Autonomie Locali), 35 (sulla composizione dell’Ufficio di Presidenza del Consiglio Regionale), 46 (sulla nomina e composizione della Giunta)199 e 47 (sulle nomine di competenza della Giunta) del medesimo Statuto. Ritagliato lo spazio a favore della giurisdizione, anche qui i giudici amministrativi si servono di previsioni statutarie e impongono «una equilibrata presenza» del sesso femminile all’interno dell’organo esecutivo regionale200. Il principio costituzionale delle pari opportunità diventa nella ricostruzione giurisprudenziale – in maniera non equivoca – parametro di esercizio del potere di nomina di Sindaci e Presidenti di Giunta, ma – sembra – solo in funzione integrativa o rafforzativa di previsioni legislative sufficientemente regolative. Art. 1, comma 2: «La Regione Campania ispira la propria azione ai principi della democrazia, dello Stato di diritto e della centralità della persona umana, favorendo e garantendo i principi di uguaglianza, solidarietà, libertà, giustizia sociale e pari opportunità tra donne e uomini, salvaguardando la dignità personale e i diritti umani ed esercitando un sostegno operoso alla pace nel mondo. La Regione contribuisce al mantenimento di tali valori comuni nel rispetto e con il contributo delle diversità e delle minoranze»; art. 5, comma 1: «La Regione riconosce e garantisce i diritti di libertà e di uguaglianza sanciti dalla Costituzione e dalle convenzioni comunitarie ed internazionali ponendoli a fondamento e limite di tutte le proprie attività». 199 Art. 50 lett. e): «Il Presidente della Giunta regionale effettua le nomine di competenza della Giunta, previa deliberazione della stessa e acquisito il parere del Consiglio regionale ove richiesto, e provvede alle nomine, nel pieno rispetto del principio di una equilibrata presenza di donne e uomini, e alla designazioni che la legge gli attribuisce». 200 In quell’occasione i giudici amministrativi negano la natura di atto politico alle nomine ex art 122, comma ult., Cost., al fine evidente di ridurre l’area del non giustiziabile e garantire un’applicazione estesa dei principi di difesa e di tutela giurisdizionale ex art. 113 Cost. Gli atti di nomina assumono, così, le prevedibili sembianze di un atto amministrativo vincolato al rispetto di parametri di legittimità sostanziale e procedimentale, fra cui la previsione di programma di cui all’art. 51 Cost. 198 118 Al contrario, la previsione costituzionale sembra avere una funzione direttamente risolutiva del caso sottoposto al giudice amministrativo, in un’altra pronuncia. Nella sent. n. 1427 del 2011 il TAR Campania, sez. Napoli, annulla il decreto del Sindaco di Ercolano avente ad oggetto la nomina degli assessori e del vicesindaco, per diretta violazione dell’art. 51 Cost. La ricorrente si rivolgeva al TAR per chiedere l’annullamento del decreto sindacale di nomina dei componenti della Giunta lamentandone l’illegittimità a causa della composizione interamente maschile dell’esecutivo comunale. Nel ricorso veniva denunciata una presunta violazione della disciplina costituzionale, legislativa e statutaria in materia di pari opportunità tra uomo e donna, oltre che una violazione del dovere motivazionale gravante sul Sindaco. I giudici amministrativi accolgono la domanda di annullamento costituendo in capo al Sindaco l’obbligo giuridico di dare conto dello sforzo profuso per assicurare la rappresentanza femminile in seno all’organo esecutivo comunale, pena una richiesta di integrazione della giunta auctoritate iudicis. In questa, come nelle altre decisioni già citate, i giudici amministrativi hanno ritenuto sussistente in capo al titolare della funzione esecutiva locale l’obbligo di far fede al programma iscritto in Costituzione nell’art. 51 e di garantire il riequilibrio di genere all’interno degli uffici pubblici e degli organi elettivi. Ma la distonia rispetto ai precedenti è dovuta alla mancanza di una disposizione ad hoc nello Statuto comunale201. Qui i giudici annullano i 201 Nel senso, invece, di una omogeneità degli orientamenti giurisprudenziali A. ADAMO, La 119 decreti di nomina del Sindaco non già per violazione di una disciplina statutaria o legislativa (che, nella specie, difetta), ma per applicazione diretta del principio di pari opportunità di cui all’art. 51 Cost. Le categorizzazioni dottrinali ci suggeriscono di descrivere l’iter argomentativo dei giudici campani come un’ ipotesi di uso diretto della Carta Costituzionale, in assenza di previsioni primarie o sub primarie interponibili. Tuttavia un’analisi complessiva della motivazione ci impone di relativizzare le conclusioni cui si è giunti e, con esse, anche la distinzione tra regole e principi e tra usi – diretti e non– delle disposizioni costituzionali. Il TAR accoglie il ricorso per l’annullamento delle nomine sindacali confermando un orientamento consolidato in occasione di una pronuncia, quasi coeva, riguardante questa volta la Giunta del Comune di Benevento (TAR Campania, sent. n. 12668 del 2010) di cui riporta testualmente i passaggi argomentativi essenziali. Come in quell’occasione, il principio di pari opportunità è considerato specificazione del più generale principio di uguaglianza sostanziale di cui all’art. 3, comma secondo, Cost. e, per questa via, in grado di imporre interventi «positivi» volti alla rimozione delle situazioni discriminatorie. Ma – ed è questa la questione di maggiore rilevanza – accanto alla natura di diritto fondamentale riconosciuta alla previsione «promozione» del principio di pari opportunità nella composizione delle giunte negli enti territoriali alla luce della più recente giurisprudenza amministrativa. Nota a TAR Campania, sez. I, sentenza del 10 marzo 2011, n. 1427, in www.rivistaaic.it, 2, 2011, il quale non rileva la eccentricità della pronuncia, dovuta all’utilizzo diretto della disposizione costituzionale, in assenza di altra fonte normativa applicabile. 120 contenuta nell’art. 51 Cost., il TAR afferma la immediata applicabilità del principio, inteso «quale parametro di legittimità sostanziale di attività amministrative discrezionali rispetto alle quali si pone come limite conformativo»202. Il giudice campano costruisce, così, il suo sillogismo adoperando come premessa maggiore la disposizione costituzionale invece delle fonti legislative, di cui pure compie una dettagliata ricognizione203. Una ricognizione che non soddisfa le esigenze del caso, mancando una prescrizione concludente, e in qualche modo direttamente precettiva, sia nella disciplina legislativa, che in quella dello Statuto del Comune204. Difatti, il giudice si trova di fronte a disposizioni sub costituzionali che si articolano in una sorta di catena normativa di principi, ma che non enucleano una regola applicabile Sul rapporto tra attività della Pubblica Amministrazione e Costituzione, M. MAGRI, La legalità costituzionale della Pubblica Amministrazione: ipotesi dottrinali e casistica giurisprudenziale, Milano, 2002, pp. 55 ss. 203 Anzitutto la l. n. 125 del 1991 rubricata «azioni positive per la realizzazione della parità uomo-donna nel lavoro», poi, confluita nel d.lgs. n. 198 dell’11 aprile 2006, il cd. codice delle pari opportunità tra uomo e donna, da ultimo modificato dal d.lgs. n. 5 del 2010, il cui articolo 1 dispone che «le disposizioni del presente decreto hanno ad oggetto le misure volte ad eliminare ogni distinzione, esclusione o limitazione basata sul sesso, che abbia come conseguenza, o come scopo, di compromettere o di impedire il riconoscimento, il godimento o l’esercizio dei diritti umani e delle libertà fondamentali in campo politico, economico, sociale, culturale e civile o in ogni altro campo». A queste previsioni segue il d.lgs. n. 267 del 18 agosto 2000 il cui articolo 6 dispone che gli statuti comunali e provinciali «stabiliscono norme per assicurare condizioni di pari opportunità tra uomo e donna ai sensi della l. n. 125 del 10 aprile 1991 e per promuovere la presenza di entrambi i sessi nelle Giunte e negli organi collegiali del Comune e della Provincia, nonché degli enti, aziende ed istituzioni da essi dipendenti». Il principio costituzionale dovrebbe ricevere, così, specificazione anche ad opera delle norme statutarie le quali divengono, nell’argomentazione dei giudici, «nodo di raccordo tra livello costituzionale e fonte subordinata»; affermazione questa che solleva non pochi interrogativi riguardo l’effettiva collocazione degli statuti nel sistema gerarchico delle fonti italiane; sul punto S. PARISI, Il «posto» delle fonti locali nel sistema, in Le Regioni, 2, 2008, pp. 152 e ss.; e, ma con un orientamento opposto, E. CACACE, Lo Statuto e il regolamento degli Enti Locali nel sistema delle fonti, in Scritti in onore di Michele Scudiero, I, pp. 281 e ss. 204 Lo statuto del Comune di Ercolano all'art. 4, secondo comma lett. a) si limita ad affermare che l'Ente «garantisce, in armonia con le leggi dello Stato e anche per mezzo di interventi amministrativi, la parità giuridica, sociale ed economica tra uomo e donna». 202 121 nella logica dell’ all or nothing fashion205. La legge alla quale l’art. 51 Cost. rinvia contiene semplici affermazioni di principio. E il TUEL, all’art. 6206, rinvia alle fonti statutarie per la realizzazione dell’equilibrio di genere: ma lo Statuto del Comune si limita a enunciare un principio e, dunque, a riprodurre il dettato costituzionale. A fronte di tale quadro normativo il giudice amministrativo decide l’annullamento dei decreti di nomina applicando direttamente la previsione costituzionale, nella considerazione dell’insufficienza delle prescrizioni legislative e statutarie207. Costruisce, quindi, la lacuna legislativa, non ritenendo dirimente le previsioni contenute nel TUEL e nello statuto e usa l’art. 51 Cost. come parametro di legittimità dell’azione amministrativa. L’applicazione dei criteri distintivi elaborati in dottrina ci porta– come già detto– ad affermare che nelle ultime due pronunce– e solo in queste– siamo di fronte ad ipotesi di applicazione diretta di parametri costituzionali da parte del giudice amministrativo. Ricorrono, infatti, i presupposti richiamati, ovvero l’esistenza di una lacuna legislativa e l’applicazione diretta di una disposizione costituzionale R. DWORKIN, Taking right seriously, Harvard, 1977, pp. 24 e ss. «Gli statuti comunali e provinciali stabiliscono norme per assicurare condizioni di pari opportunità tra uomo e donna ai sensi della l. n. 125 del 10 aprile 1991, e per promuovere la presenza di entrambi i sessi nelle Giunte e negli organi collegiali del Comune e della Provincia, nonché degli enti, aziende ed istituzioni da essi dipendenti». 207 Non dissimile, quanto a strumenti argomentativi impiegati, è la sent. n. 864 del 2011 del TAR Sardegna, sezione II. I decreti di nomina dei componenti della Giunta regionale, vengono annullati anche qui in forza della immediata applicabilità del principio costituzionale di pari opportunità. Ed, infatti – dice il TAR – che il principio opera direttamente anche in assenza di una legge regionale di attuazione. Per i giudici, infatti, «non può certamente ritenersi condivisibile che l’inerzia del potere legislativo regionale possa costituire, come preteso dalle difese regionali, legittima causa di giustificazione di una sua sostanziale disapplicazione a tempo indeterminato». 205 206 122 sufficientemente dettagliata. Non sembra, infatti, che in materia ci sia un pieno regolativo dal momento che le disposizioni legislative richiamate e quelle dello statuto del Comune non offrono molto di più di una mera dichiarazione di principio. E, difatti, il giudice amministrativo passa in rassegna il materiale normativo non costituzionale di cui dispone ritenendolo praticamente inadeguato per offrire risposta alla domanda di giustizia. Ma la semplificazione non regge ad una successiva analisi. Infatti, è evidente che è lo stesso giudice a costruire la regola per il caso concreto attraverso un’operazione che può definirsi di fusione fra il materiale costituzionale e quello legislativo, pur esistente, ma declinato in modo da lasciare ampia discrezionalità nella fase di interpretazione/ applicazione. L’operazione non sembra, però, così diversa da quella compiuta negli altri casi giurisprudenziali. La distonia di cui si parlava, e che sembrava caratterizzare, per emblematicità, il «caso di Ercolano» sbiadisce se si considera che anche gli altri giudici amministrativi si trovano di fronte a norme legislative e statutarie che poco hanno in comune con le regole. In tutte le sentenze che si sono richiamato, infatti, il principio costituzionale sorregge le argomentazioni dei giudici. La difficoltà di qualificare con certezza un caso, anziché un altro, con l’etichetta dell’applicazione diretta della Costituzione corrisponde alla difficoltà di definire la funzione di una norma costituzionale di principio all’interno del procedimento di interpretazione e 123 applicazione della legge. La complessità della distinzione tra funzione integrativa, suppletiva e invalidante delle norme costituzionali ce ne suggerisce, infatti, l’abbandono a favore di una prospettiva di reciproca integrazione tra i due piani gerarchici. Quanto, poi, al grado di vincolatività dell’art. 51 Cost., nonostante questo non sia tra quelle norme pacificamente qualificate come regole costituzionali, nella parte in cui impone il rispetto del principio di pari opportunità nella composizione degli organi collegiali, sembra fare qualcosa in più di una semplice dichiarazione di principio, vincolando non solo il legislatore, ma tutti i soggetti chiamati all’applicazione del diritto. In tal modo anche l’equivoco per cui la distinzione tra principi e regole coincida– strutturalmente– con quella tra Costituzione e legge non può che essere risolto208. Le perplessità che affiorano dalle sentenze esaminate sono collegate alla complessità del parametro utilizzato. Le norme di principio, che siano costituzionali come nel caso di Ercolano, o legislative come negli altri, delegano al giudice una valutazione caso per caso. Ciò risulta chiaro quando i giudici campani scrivono che «il sindaco può opporre ragioni politiche alla presenza di una donna nella formazione dell’organo di governo, ma deve trattarsi di una condizione di assoluta impossibilità di attuazione del principio, nel caso di specie in alcun modo dimostrata». Il passaggio argomentativo citato rileva, infatti, un ampio spazio di valutazione sulla ragionevolezza della scelta sindacale riservata al giudice. Ma la stessa evidenza è offerta dalle motivazioni degli altri giudici. Siamo evidentemente di fronte ad uno schema di giudizio complesso che applica il principio di ragionevolezza nella sua declinazione più classica, ovvero quella del principio di uguaglianza ex art. 3, comma primo Cost. Che questo parametro sia nella piena disponibilità del giudice comune e, in species, del giudice amministrativo, non ha da discutersi. Ma il suo utilizzo, accompagnato ad una disciplina normativa legislativa o costituzionale – scarsamente regolativa, assume un significato più pregnante. Il test di ragionevolezza, in una delle sue possibili articolazioni, rappresenta, infatti, un ulteriore strumento di quella che alcuni definiscono «pancostituzionalizzazione» dell’ordinamento ad indicare la crescente possibilità di fare appello ai principi costituzionali in ogni possibile contesto della vita sociale, in ogni possibile conflitto di interessi, riducendo o forse eliminando gli spazi costituzionalmente «vuoti». E dunque, ove venga usato, come nei casi esaminati, congiuntamente a prescrizioni normative dotate di scarsa cogenza, finisce per accentuare il ruolo, già di per sé di prima 208 124 CAPITOLO TERZO UN CASE STUDY: INTERPRETAZIONE CONFORME ED EVOLUZIONE DELLA NOZIONE COSTITUZIONALE DI “FAMIGLIA” SOMMARIO: 1. L’ausilio dell’interpretazione conforme alla connotazione della famiglia come nozione costituzionale “dinamica”. 2. Le sue declinazioni giurisprudenziali: il matrimonio 2.1 L’affidamento dei figli 2.2 La previdenza 2.3 L’immigrazione 1. L’ausilio dell’interpretazione conforme alla connotazione della famiglia come nozione costituzionale “dinamica”. L’esposizione fin qui condotta può essere utilmente integrata con l’analisi della giurisprudenza comune e di legittimità che usa– nella sue varie linea, della giurisprudenza ordinaria nella «gestione» dei diritti fondamentali. Ma gli incerti strumenti argomentativi usati e le insufficienti motivazioni circa la scelta del parametro non possono, però, essere occasione di censura dei risultati raggiunti. I giudici non fanno altro che usare il materiale normativo di cui dispongono per fondare posizioni giuridiche rilevanti e rispondere alla domanda di giustizia, evitando il non liquet. 125 declinazioni– il canone dell’interpretazione conforme. L’adozione di un punto di vista empirico permette, infatti, di cogliere la fisionomia che l’interpretazione costituzionalmente orientata a Costituzione assume nella pratica giudiziaria. Le modalità di utilizzo da parte dei giudici ordinari e di legittimità svelano, infatti, le diverse declinazioni che questa assume– quella dell’interpretazione sistematica e/o evolutiva– e i limiti che naturalmente incontra nell’ esercizio della funzione giurisprudenziale. La limitazione tematica scelta– quella della famiglia e in species della famiglia omosessuale– permette, poi, di passare da una analisi più schiettamente formalistica ad una di sostanza. L’esito delle sentenze, infatti, definisce il rapporto fra giudici e diritti come un rapporto di collaborazione che usa il canone di interpretazione conforme come strumento privilegiato per la tutela di posizioni soggettive costituzionalmente rilevanti 209. L’attenzione giurisprudenziale nei confronti del matrimonio omosessuale e del suo regime giuridico, sopita dopo la sentenza della Corte Costituzionale n. 138 del 2010, è stata riaccesa da una pronuncia della Corte di Cassazione ( Sez. I Civ. n. 4184 del 2012) che ha, poi, a sua volta stimolato una ricca giurisprudenza di merito sul tema210. Con la decisione appena citata i giudici Su rapporto fra giudici e diritti– ridefinito attraverso l'uso dell'interpretazione conforme o, amplius, attraverso l'uso del materiale costituzionale, F. MANNELLA , Giudici comuni e applicazione della Costituzione, Napoli, 2011. 210 Sulla sentenza in commento, I. MASSA PINTO, Fiat matrimonio. L’unione omosessuale all’incrocio del dialogo tra Corte Costituzionale, Corte Europea dei diritti dell’uomo e Corte di Cassazione: può una sentenza della Corte di Cassazione attribuire a (un inciso di) una sentenza della Corte europea il potere di scardinare una consolidata e ultramillenaria tradizione (superando anche il giudicato costituzionale)?, in www.rivistaaic.it, 2, 2012; M. 209 126 di legittimità riaffrontano la questione della trascrivibilità di un matrimonio omosessuale contratto all’estero secondo le leggi vigenti in materia, cambiando il consolidato indirizzo che riservava a questo la sanzione dell’inesistenza, in difetto dell’eterosessualità del coniugio. Per i giudici della Suprema Corte il matrimonio contratto fra persone dello stesso sesso rimane intrascrivibile nell’ordinamento italiano, ma non più perché inesistente, bensì perché inidoneo a produrre effetti giuridici. Nonostante l’esito negativo, la sentenza si rivela interessante perché inaugura un orientamento interpretativo, già seguito da una ampia giurisprudenza di merito. Nella motivazione, infatti, i giudici allargano le potenzialità interpretative dell’art. 29 Cost. ed elaborano un principio suscettibile di applicazione giudiziale diretta. La Corte di Cassazione dà avvio al lungo iter argomentativo della pronuncia ponendosi la preliminare domanda se «la Repubblica italiana riconosca e garantisca a persone dello stesso sesso, al pari di quelle di sesso diverso – con le parole della Corte Costituzionale (sent. n. 245 del 2011) – il diritto fondamentale di contrarre matrimonio, discendente dagli articoli 2 e 29 della Costituzione, ed espressamente enunciato nell’articolo 16 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948 e nell’articolo 12 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali». DI BARI, Considerazioni a margine della sentenza 4184/2012 della Corte di Cassazione: la Corte prende atto di un trend europeo consolidato nel contesto delle coppie same sex anche alla luce della sentenza 138/2010 della Corte Costituzionale, in www.rivistaaic.it, 1, 2012. 127 L’accertamento dell’esistenza del diritto risulta, infatti, il presupposto per l’accoglimento delle istanze giurisprudenziale prende attoree. La ricognizione normativa e le mosse dalla già citata sentenza della Corte Costituzionale n. 138 del 2010211 che aveva dichiarato la questione di legittimità costituzionale degli artt. 93, 96, 98, 107, 108, 143, 143 bis, 156 bis cod. civ. non fondata in riferimento agli artt. 3 e 29 Cost. e inammissibile in riferimento agli art. 2 e 117 Cost. (quest’ultimo in relazione all’art. 12 Cedu e art. 9 della Carta di Nizza)212. I giudici costituzionali offrono dell’art. 29 Cost. Su cui R. BIN, La famiglia: alla radice di un ossimoro in Studium Iuris, 2000, pp. 1066 e ss.; R. BIN, Per una lettura non svalutativa dell’art. 29, in R. BIN, G. BRUNELLI, A. GUAZZAROTTI, A. PUGIOTTO, P. VERONESI (a cura di) La «società naturale» e i suoi “nemici”. Sul paradigma eterosessuale del matrimonio, Ferrara 26 febbraio 2010, Torino, 2010, pp. 41 e ss; A. PUGIOTTO, Una lettura non reticente della sent. n. 138/2010: il monopolio eterosessuale del matrimonio, in www.forumcostituzionale.it; A. PUGIOTTO, Alla radice costituzionale dei “casi”: la famiglia come «società naturale fondata sul matrimonio», in www.forumcostituzionale.it; A. RUGGERI, Le unioni tra soggetti dello stesso sesso e la loro (innaturale …) pretesa a connotarsi come “famiglie” in R. BIN, G. BRUNELLI, A. GUAZZAROTTI, A. PUGIOTTO, P. VERONESI (a cura di), La «società naturale» e i suoi “nemici”. Sul paradigma eterosessuale del matrimonio, Ferrara 26 febbraio 2010, Torino, 2010, pp. 307 e ss.; A. RUGGERI, Idee sulla famiglia e teoria (e strategia) della Costituzione, in www.forumcostituzionale.it; P. VERONESI, Costituzione, «strane famiglie» e «nuovi matrimoni», in Quaderni costituzionali, 3, 2008, pp. 577 e ss. A. D’ALOIA , Le coppie omosessuali e lo “schema” costituzionale della famiglia e del matrimonio. Note sulla sentenza della Corte Costituzionale n. 138 del 2010, in AA. VV. Amore che vieni, amore che vai … Unioni omosessuali e giurisprudenza costituzionale, a cura di S. PRISCO, Napoli, 2012, pp. 3 e ss. 212 Come nota A. PUGIOTTO, Una lettura non reticente della sent. n. 138/2010: il monopolio eterosessuale del matrimonio, cit. p. 4 e ss, nella motivazione la Corte affronta singolarmente le censure di illegittimità sollevate dai giudici a quibus, ma rovescia completamente i termini della quaestio legitimitatis. I giudici remittenti avevano, infatti, fondato il loro dubbio di legittimità prevalentemente sulla violazione degli artt. 2 e 3 Cost. per chiedere alla Corte il riconoscimento giudiziale di un diritto attinente alla sfera delle libertà individuali. Ma i giudici costituzionali decidono di disattendere l’impostazione personalista offerta e soffermarsi sulla lettura dell’art. 29 Cost., sul concetto giuridico di matrimonio. L’interpretazione della disposizione costituzionale appena richiamata ha suscitato un ampio e noto dibattito. L’affermazione ossimorica per cui la famiglia è allo stesso tempo una società naturale, ma fondata su un istituto regolato dal diritto, ha diviso la dottrina nella definizione dell’attributo di derivazione giusnaturalista. Procedendo per semplificazioni, la prima impostazione è quella che argomenta la “naturalità” come sinonimo di tradizione culturale, 211 128 un’interpretazione originalista, per via della considerazione per cui «la questione delle unioni omosessuali rimase del tutto estranea al dibattito svoltosi in sede di Assemblea, benché la condizione omosessuale non fosse certo sconosciuta» … «essi tennero presente la nozione di matrimonio definita dal codice civile entrato in vigore nel 1942, che (…) stabiliva (e tuttora stabilisce) che i coniugi dovessero essere persone di sesso diverso». Una tale interpretazione dell’art. 29 Cost. ha, poi, l’effetto di fugare facilmente ogni dubbio su una possibile violazione del principio di uguaglianza ex art. 3 Cost. Sul punto la Corte è sorprendentemente rapida. in questo senso, A. RUGGERI, Idee sulla famiglia e teoria (e strategia) della Costituzione, in www.forumcostituzionale.it . La tesi lega indissolubilmente il matrimonio alla famiglia in un rapporto di reciproco riconoscimento e, per consequentia rerum, ne impedisce una riconformazione legislativa. La modifica, infatti, di anche uno solo degli elementi costitutivi dell’istituto matrimoniale –nel nostro caso, l’eterosessualità dei coniugi– minerebbe l’intangibilità dell’istituto stesso e incrinerebbe quell’insieme di regole e dettami della tradizione su cui esso si fonda, in questo senso anche L. VIOLINI, Il riconoscimento delle coppie di fatto: praeter o contra constitutionem?, in www.forumcostituzionale.it. La seconda interpretazione ravvisa, invece, nella disposizione costituzionale un chiaro riferimento “ai bisogni umani fondamentali, legati alla dimensione sociale dell’uomo, alla sua riproduzione, alla sua affettività, al suo bisogno di riservatezza” , è di questa idea , R. BIN, Per una lettura non svalutativa dell’art. 29, cit., p. 41 e ss. Per questa via la clausola contenuta nell’art. 29 Cost. non può che fare riferimento alla sfera dei diritti inviolabili che garantiscono il pieno sviluppo della persona. Per questa ricostruzione, anche P. VERONESI, Costituzione, «strane famiglie» e «nuovi matrimoni», cit. p. 577 e ss., A. PUGIOTTO, Alla radice costituzionale dei “casi”: la famiglia come «società naturale fondata sul matrimonio», in www.forumcostituzionale.it. Tuttavia la Corte non dà –scientemente– conto del dibattito appena accennato. Se, infatti, avesse argomentato il paradigma eterosessuale del matrimonio attraverso il richiamo a quella «consolidata ed ultramillenaria nozione» cui fanno riferimento gli stessi giudici a quibus, non avrebbe vinto l’obiezione per cui anche la tradizione nell’ambito familiare è soggetta ad un inevitabile processo di storicizzazione e di evoluzione, tale da rendere inaccettabili caratteri un tempo ritenuti imprescindibili, così A. PUGIOTTO, Una lettura non reticente della sent. n. 138/2010, cit. E allo stesso modo non avrebbe potuto far dire alla disposizione costituzionale ciò che i Costituenti non vollero significare, senza cadere in un falso storico. Nessun richiamo a concezioni metagiuridiche o religiose, infatti, ispirò la scrittura dell’art. 29 Cost. L’intenzione evidente era quella di limitare l’esercizio del potere legislativo e circoscrivere un ambito di autonomia immune dalla regolamentazione del potere pubblico, così anche, P. VERONESI, Costituzione, «strane famiglie» e «nuovi matrimoni», cit., pp. 577 e ss. 129 Se le unioni omosessuali non possono essere ritenute omogenee al matrimonio, stante il disposto costituzionale, allora la disciplina codicistica non dà luogo a nessuna irragionevole discriminazione, anzi– sembra dire– applica la regola per cui «situazioni uguali devono essere trattate in modo uguale, situazioni diverse in modo diverso». Ma –aggiunge la Corte– se le unioni same sex non rientrano nella cornice di significati tracciati dall’art. 29 Cost., trovano pur sempre copertura nella generale previsione dell’art. 2 Cost. che, tutelando le formazioni sociali come strumento di svolgimento della personalità, tutela anche l’unione omosessuale intesa «come stabile convivenza tra due persone dello stesso sesso, cui spetta il diritto fondamentale di vivere liberamente una condizione di coppia, ottenendone– nei tempi, nei modi e nei limiti stabiliti dalla legge– il riconoscimento giuridico con i connessi diritti e doveri». Nonostante le premesse inclusive, la Corte completa sul punto in maniera decisamente preclusiva rispetto a qualsiasi intervento legislativo di equiparazione fra coppie etero e omosessuali213. Dice, infatti, che «nell’ambito applicativo dell’art. 2 Cost. (corsivo aggiunto), spetta al Parlamento, nell’esercizio della sua piena discrezionalità, individuare le forme di garanzia e di riconoscimento per le unioni suddette, restando riservata alla Corte costituzionale la possibilità d’intervenire a tutela di specifiche situazioni Rimane dubitativo sul punto, A. D’ALOIA, Le coppie omosessuali e lo schema costituzionale della famiglia e del matrimonio, cit. p. 14 e ss., per il quale non sono ben chiari gli spazi di intervento lasciati al legislatore dal riconoscimento alle coppie omosessuali della tutela costituzionale ex art. 2. 213 130 (come è avvenuto per le convivenze more uxorio: sentenze n. 559 del 1989 e n. 404 del 1988)». Il non detto della pronuncia è che dalla Carta, non solo non deriva nessun obbligo positivo di intervento per il legislatore, essendo la scelta rimessa alla sua discrezionalità, in quanto non costituzionalmente vincolata, ma piuttosto ne deriva un vincolo negativo. L’unico intervento legislativo costituzionalmente compatibile– sembra dire la Corte– è quello che si muove solo entro, e non oltre, l’ambito applicativo dell’art. 2 Cost.214. Il legislatore non solo non è obbligato a colmare un’omissione legislativa discriminante, ma potrà farlo solo evitando illegittime equiparazioni. Le argomentazioni della Corte Costituzionale sembrano perfettamente sovrapponibili con quelle dei giudici di legittimità. Anche la Suprema Corte con la sentenza in commento pare condividere l’interpretazione dell’art. 29 Cost. ed escludere la possibilità di far discendere direttamente dai principi costituzionali il diritto al matrimonio gay. E, infatti, non usa direttamente la disposizione costituzionale per colmare il vuoto di tutela legislativa. Ma, è sulla persistenza nell’ordinamento italiano del vincolo negativo di cui si è detto che la Corte di Cassazione si allontana dal disposto della sent. n. 138, accogliendo la nozione estensiva di famiglia proposta dal giudice europeo. I In questo senso R. ROMBOLI, Il diritto “consentito” al matrimonio ed il diritto “garantito” alla vita familiare per le coppie omosessuali in una pronuncia in cui la Corte dice “troppo” e “troppo poco”, in www.rivistaaic.it, 2010. 214 131 giudici di legittimità utilizzano, infatti, l’interpretazione offerta, pochi mesi dopo il pronunciamento della Corte Costituzionale, dalla Corte Edu nella sentenza sul caso Schalk e Kopf contro Austria215 per sostenere che quel non detto della sent. n. 138 cede di fronte ad una interpretazione sistematica dell’art. 12 Cedu con l’art. 9 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea. Il caso che ha consentito alla Corte Edu di pronunciarsi per la prima volta sul tema del diritto a contrarre matrimonio per le coppie omosessuali, è originato dal ricorso presentato da due cittadini austriaci che avevano visto respinta la loro richiesta di matrimonio dalle autorità nazionali, perché in contrasto con la disciplina civilistica che riserva l’istituto matrimoniale esclusivamente a unioni eterosessuali. Il ricorso presentato ai giudici di Strasburgo denunciava la violazione degli artt. 8, 12, 14 della Convenzione. Per i ricorrenti il tenore testuale della disposizione, e il chiaro riferimento a coniugi di sesso diverso, non osta ad una interpretazione evolutiva che permetta alla Convenzione di esercitare quella funzione di– affermano– «living instrument» che le è propria e di adeguarsi alle mutate condizioni storico–culturali. Chiedono, quindi, ai E. CRIVELLI, D. KRETZMER, Il caso Schalk e Koptf c. Austria in tema di unioni omosessuali, in (a cura di) M. CARTABIA., Dieci casi sui diritti in Europa, p. 59 e ss; M. DI BARI, Considerazioni a margine della sentenza 4184/2012 della Corte di Cassazione: la Cassazione prende atto di un trend europeo consolidato nel contesto delle coppie same sex anche alla luce della sentenza n. 138 del 2010 della Corte Costituzionale, in www.rivistaaic.it, 1, 2012; G. REPETTO, Il matrimonio omosessuale al vaglio della Corte di Strasburgo, ovvero: la negazione “virtuosa” di un diritto, in www.archivio.rivistaaic.it, 2012. 215 132 giudici di interpretare l’art. 12 «come concedente alle coppie omosessuali l’accesso al matrimonio o, in altre parole, come facente obbligo agli Stati membri di prevedere tale accesso nelle loro legislazioni nazionali». Le argomentazioni delle parti, però, non risultano così decisive da permettere alla Corte di fugare i dubbi derivanti dalla accertata mancanza di un “european ground” riguardo ai matrimoni gay. Il dato per cui non più di 6 Stati aderenti su 47 abbiano superato il monopolio eterosessuale dell’istituto matrimoniale, suggerisce, infatti, alla Corte di non forzare la lettera della disposizione convenzionale. Per di più la Corte Edu sottolinea di aver ben chiaro che «il matrimonio è un istituto profondamente radicato nei caratteri culturali e sociali di un ordinamento, i quali possono essere anche molto differenti da una società all’altra». La Corte ribadisce che «non può sostituire il suo giudizio a quello dei singoli Stati, che rimangono nella posizione migliore per comprendere e rispondere ai bisogni delle loro società». Fin qui la posizione dei giudici di Strasburgo non sembra molto diversa da quella della Corte Costituzionale: come l’art. 29 Cost., anche l’art. 12 Cedu incardina il matrimonio nelle regole della tradizione culturale. I giudici europei, però, aggiungono che, vista la formulazione sessualmente neutra dell’art. 9 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, («Il diritto di sposarsi e il diritto di costituire una famiglia sono garantiti secondo le leggi nazionali che ne disciplinano l’esercizio») «la Corte non può più considerare 133 che il diritto al matrimonio di cui all’articolo 12 debba essere limitato in tutti i casi al matrimonio tra persone di sesso opposto. Conseguentemente non si può affermare che l’articolo 12 sia inapplicabile alla doglianza dei ricorrenti». Esclude, però, che la disposizione fondi un obbligo positivo in capo agli Stati, essendo «allo stato delle cose» ancora ampio il margine di apprezzamento nazionale. Non c’è violazione dell’art. 12 perché lo Stato, per la Corte Edu, può, ma non è obbligato a introdurre una disciplina dei matrimoni same sex. E non c’è violazione dell’art. 8 e 14, perché, pur essendo le coppie gay perfettamente riconducibili alla dimensione di “vita familiare”– ed è qui il novum– per i giudici di Strasburgo saranno i legislatori statali a decidere i tempi e i modi per approntare interventi normativi. L’estensione della tutela alla vita familiare per le coppie omosessuali (ex art. 8 Cedu) operata dalla Corte di Strasburgo viene, quindi, utilizzata dalla Corte di Cassazione a sostegno di un’interpretazione sistematica ed evolutiva delle disposizioni costituzionali sul punto. L’elaborazione del principio, con il conforto della giurisprudenza europea, ha trovato, poi, seguito presso la giurisprudenza ordinaria. Ed è questo il profilo interessante ai fini della ricerca. In un numero significativo di pronunce, infatti, i giudici ordinari riconoscono strumenti di tutela giudiziale a coppie omosessuali, proprio in applicazione del principio costituzionale elaborato dalla Corte di Cassazione. Che si tratti di interpretazione conforme degli 134 istituti di volta in volta interessati dalle richieste giudiziali o di applicazione diretta della Costituzione è– come già detto– poco rilevante, essendo evanescente la differenza tra le due forme di utilizzo delle disposizioni costituzionali. Mentre ben più significativo ai fini della definizione dell’attività di adeguamento interpretativo a Costituzione, dell’individuazione del suo fondamento logico e dei suoi limiti, risulta la descrizione delle forme argomentative attraverso cui i giudici procedono alla estensione delle tutele. Tutte le operazioni interpretative, condotte ai fini di estendere tutele puntuali alle unioni omosessuali si caratterizzano, infatti, per un duplice livello di manipolazione/creazione delle norme. Da un lato, i giudici- in forza del principio elaborato dalla Corte di Cassazione con il conforto della giurisprudenza europea- operano sull’oggetto dell’interpretazione (normalmente con operazioni che prendono la forma di operazioni estensive e/o sistematiche), dall’altro incidono sullo stesso parametro prescelto. L’interpretazione conforme o- come può altrimenti dirsi- sistematica coinvolge, così, due piani, accentuando la portata dell’operazione di significazione condotta216 . I dati che necessitano di attenzione sono, quindi, due. Da un lato, l’interpretazione conforme delle disposizione di legge, sia quella operata dai giudici ordinari, che dalla Corte di Cassazione, assumeLa complessità dell’operazione di raccordo interpretativo, dovuta alla accennata bifasicità dell’operazione, non può che- indipendentemente dal risultato raggiunto- sollevare alcuni interrogativi sul ruolo della giurisdizione. Il tema trascende quello qui in oggetto, da ultimo e con accenni critici sulla attuazione della costituzione per via giurisdizionale, M. LUCIANI, Dottrina del moto delle costituzioni e vicende della costituzione repubblicana in www.rivistaaic.it, 1, 2013. 216 135 indiscutibilmente- la forma dell’interpretazione sistematica/ evolutiva. Il sistema cui, però, i giudici fanno riferimento non si risolve nel sistema costituzionale italiano, ma- con tutta evidenza- accoglie quello integrato dalle disposizioni delle Carte internazionali217 . Insiste sulla necessità di ricostruire i rapporti fra fonti interne e quelle sovranazionali come sistema, A. RUGGERI, Costituzione e Cedu, alla sofferta ricerca dei modi in cui ricomporsi in “sistema”, cit. il quale propone una ricostruzione dei rapporti fra fonti interne e fonti internazionali assiologica che ne garantisca, sul piano interpretazione, una paritaria composizione e reciproca integrazione. Ma, per quanto qui interessa, il disegno ricostruttivo coinvolge una l’assunzione di una certa idea della Costituzione e, infatti, dice l’Autore «a base dell’inquadramento complessivo dei rapporti con la CEDU (ma, in generale, col diritto di origine esterna) sta l’idea, inesplicitata ma chiaramente visibile, che la Costituzione sia una fonte perfetta in sé e per sé, autosufficiente (e però pure autoreferenziale): parametro di ogni altra fonte, quale che ne sia l’origine, interna o esterna, siccome la sola norma normans ma non normata dell’ordinamento. Una dottrina, questa, che poi affonda le sue radici nel mito di settecentesca memoria dell’onnipotenza del potere costituente, capace di creare ex nihilo un nuovo ordine costituzionale a sua volta perfetto, armonioso in ogni sua parte, scevro da contraddizione o lacuna alcuna (una tesi però che, a tacer d’altro, si confuta da sé, già per il fatto che la Carta prefigura la eventualità della propria innovazione, all’evidente scopo di colmare originarie lacune ed imperfezioni). Se ne ha l’immagine di una sorta di Costituzione -“totale”, che praticamente dice tutto su tutto e che è perciò in grado di offrire garanzia a qualsiasi diritto o, più in genere, bene della vita, nominato e non». Laddove sarebbe, invece, più opportuno- dice- mettere a nudo i limiti delle tutele che la Costituzione è in grado di offrire e riconoscerne la necessaria integrazione con il sistema costituzionale apprestato dalle Carte sui diritti. La conseguenza della necessaria reciproca integrazione delle fonti, in vista di un continuo aumento del livello di tutela, è senza dubbio la valorizzazione della funzione giurisdizionale. E, infatti, dice l’Autore « l’ordine “intercostituzionale” qui vagheggiato richiede lo sforzo congiunto da parte di tutti i giudici (comuni e non), tutti dovendo giocare fino in fondo la propria parte nell’intento di dare risposte persuasive e complessivamente appaganti a coloro che avanzano domande di giustizia. Un ordine che ha, dunque, proprio in relazioni “intergiurisprudenziali” internamente armoniche, al di fuori di ogni schema gerarchico precostituito, uno dei suoi punti di forza (non il solo naturalmente) e che al fine di potersi affermare e preservare richiede che siano costantemente tenute ferme due condizioni indispensabili per la sua realizzazione, con la cui enunciazione chiudo questa mia succinta riflessione. La prima – come si è sopra fatto notare – si riporta al carattere paritario delle relazioni tra le Carte; la seconda, corollario della precedente, è il bisogno vitale di preservare l’equilibrio complessivo del sistema, anche nelle sue proiezioni quale “sistema di sistemi”, facendo appello al principium cooperations tra i giudici, tutti davvero considerati “orizzontali”, siccome distinti tra di loro unicamente per le funzioni esercitate o, se si preferisce, per la tipicità dei ruoli, comunque bisognosi essere espressi al massimo rendimento possibile ad ogni livello istituzionale, senza dunque alcuna assiomatica, forzosa “graduatoria” tra di loro: siano giudici comuni e siano pure giudici materialmente costituzionali». La prospettiva di integrazione sistemica, non solo porta alla valorizzazione degli elementi definitivi di 217 136 Dall’altro, la tecnica della ricomposizione interpretativa coinvolge lo stesso parametro costituzionale. L’art. 29 Cost. è, infatti, interpretato come se comprendesse una nozione di famiglia più ampia. Salta, quindi, nella ricostruzione dei giudici quella distinzione fra Costituzione e legge e, quindi, fra interpretazioni che potrebbe fungere da limite all’interpretazione conforme stessa218. I giudici si mostrano, invece, pienamente titolari del potere di interpretazione/applicazione della Carta Costituzionale, ridisegnando il rapporto fra giudici, Corte e legge in tema di diritti219. diffusione del sindacato costituzionale, ma propone una certa idea di revisione costituzionale in melius ispirata al principio della dignità umana, per questo si veda A. RUGGERI, Prospettive di aggiornamento del catalogo costituzionale dei diritti fondamentali, in www.associazionedeicostituzionalisti.it. Ma l’idea era già in A. RUGGERI, La CEDU alla ricerca di una nuova identità, tra prospettiva formale-astratta e prospettiva assiologicosostanziale d’inquadramento sistematico (a prima lettura di Corte cost. nn. 348 e 349 del 2007, in www.forumcostituzionale.it. A RUGGERI, Ancora in tema di rapporti tra CEDU e Costituzione: profili teorici e questioni pratiche, in www.associazionedeicostituzionalisti.it 218 Era questa l’impostazione di C. LAVAGNA, Problemi di giustizia costituzionale sotto il profilo della non manifesta infondatezza, cit. p. 573 e ss, il quale ammetteva l’interpretazione conforme solo quando del parametro costituzionale venisse offerta un’interpretazione cd letterale, nel rispetto di competenze fra giudici ordinari e giudice costituzionale. 219 Sul rapporto fra giurisdizione e legislazione, attraverso la lente della nozione dell’autoapplicabilità normativa, G. GUAZZAROTTI, L’autoapplicabilità delle norme. Un percorso costituzionale, Napoli, 2011, per il quale «all’autoapplicabilità delle norme corrisponde un diritto di matrice giurisprudenziale volto ad implementare norme di principio al posto del potere politico», p. 211. Per l’Autore la diretta applicabilità delle norme non corrisponde, tuttavia, necessariamente ad un aumento della discrezionalità giudiziale ai danni di quella legislativa. La mitigazione delle critiche nei confronti dell’uso giudiziale di norme di principio avviene attraverso l’adozione di una particolare tecnica dell’autoapplicabilità, quella della cd tutela minima dei diritti fondamentali. Essa, infatti, bene si presta «a salvaguardare più che a erodere la discrezionalità del potere politico-legislativo» … «se si ricostruisce la tutela minima come tecnica di alleggerimento della responsabilità del giudice (Corte costituzionale e giudice comune)». L’autoapplibalità, in questa prospettiva, consisterebbe null’altro che nell’onere di bilanciamento che in concreto grava sul giudice. Un esempio addotto è quello del risarcimento del danno non patrimoniale ex art. 2059 cc. In quel caso l’interpretazione conforme della disposizione legislativa sarebbe stata null’altro che applicazione della suddetta dottrina e, quindi, selezione in concreto degli interessi costituzionalmente tutelati. 137 2. Le sue declinazioni giurisprudenziali: il matrimonio. 2.1 L’affidamento dei figli. E’ del gennaio 2013 la sentenza con cui la Corte di Cassazione sez. I civ., ha respinto il ricorso presentato avverso la sentenza con cui la Corte di Brescia aveva rigettato l’appello proposto avverso il decreto del Tribunale per i Minorenni che aveva disposto, tra l’altro, l’affidamento esclusivo del figlio naturale dell’appellante e della sig.ra B.I. a quest’ultima, con incarico ai servizi sociali territorialmente competenti di regolamentare gli incontri del minore con il padre220. La Corte aveva ritenuto– tra gli altri– che «il motivo di gravame con cui l’appellante insisteva per l’affidamento condiviso non avendo il Tribunale valutato il contesto familiare in cui vive il minore e le ripercussioni sul piano educativo e della crescita del medesimo derivanti dal fatto che la madre, ex tossicodipendente, aveva una relazione sentimentale e conviveva con una ex educatrice della comunità di recupero in cui era stata Occorre subito rilevare che in tema di affidamento di figli a coppie omosessuali è intervenuta di recente la Corte Europea dei diritti dell’uomo con la sentenza che ha deciso il caso X. e altri contro Austria (GC, n° 19010/07, 19 febbraio 2013). La grande Camera ha stabilito, con una maggioranza di dieci voti su diciassette, che l’Austria ha violato, nei confronti delle ricorrenti, l’art. 14 in combinato disposto con l’articolo 8 della Convenzione, a causa della propria legislazione che esclude a priori le sole coppie omosessuali dall’accesso all’adozione, ammettendovi invece le coppie eterosessuali, ancorché non sposate. In assenza «di argomenti puntuali, di studi scientifici o di altri elementi di prova in grado di dimostrare che le famiglie omoparentali non possono in alcun caso occuparsi di un figlio», ha osservato la Corte, la supposta inidoneità delle coppie omosessuali a crescere un figlio non può essere legittimamente addotta come giustificazione ad una disparità di trattamento tra coppie eterosessuali e omosessuali nell’accesso all’adozione. Per un primo commento, A. M. LECIS COCCO–ORTU, La Corte europea pone un altro mattone nella costruzione dello statuto delle unioni omosessuali: le coppie di persone dello stesso sesso non possono essere ritenute inidonee a crescere un figlio, in www.forumcostituzionale.it. 220 138 ospitata, era inammissibile per genericità, non essendo specificato quali fossero le paventate ripercussioni negative per il bambino». Il padre aveva, quindi, proposto ricorso per cassazione articolando tre motivi di censura. E’, però, solo il secondo motivo di censura a richiedere attenzione. Infatti, il ricorrente denuncia «l’insufficienza della medesima motivazione quanto al diniego dell’affidamento condiviso, che per legge costituisce la regola, onde la Corte d’appello avrebbe dovuto motivare (...) la ritenuta idoneità della madre all’affidamento esclusivo, a fronte del mancato espletamento dell’indagine chiesta dal Servizio Sociale diretta a verificare se il nucleo familiare della madre composto da due donne, tra di loro legate da relazione omosessuale, fosse idoneo, sotto il profilo educativo, ad assicurare l’equilibrato sviluppo del minore in relazione al suo diritto ad essere educato nell’ambito di una famiglia quale società naturale fondata sul matrimonio». Per la Corte, il motivo è inammissibile, non solo «perché il ricorrente si limita a fornire una sintesi del motivo di gravame in questione, dalla quale, invero, non risulta alcuna specificazione delle ripercussioni negative, sul piano educativo e della crescita del bambino, dell’ambiente familiare in cui questi viveva presso la madre: specificazione la cui mancanza era stata appunto, stigmatizzata dai giudici di appello». Ma anche perché «alla base della doglianza del ricorrente non sono poste certezze scientifiche o dati di esperienza, bensì il mero pregiudizio che sia dannoso per l’equilibrato sviluppo del bambino il fatto di vivere in una famiglia incentrata su una coppia omosessuale. In tal modo si da per scontato 139 ciò che invece è da dimostrare, ossia la dannosità di quel contesto familiare per il bambino, che dunque correttamente la Corte d’appello ha preteso fosse specificamente argomentata». L’argomentazione dei giudici di legittimità è, in realtà, minimale. Il ricorso è, infatti, respinto per genericità della motivazione e non c’è nessun passaggio che, nella sostanza, si appunti sull’equiparazione delle tutele tra coppie etero e coppie omosessuali. Tuttavia, la decisione si mostra applicativa del principio costituzionale elaborato dalla Corte di Cassazione nella sentenza n. 4184 del 2012, nella parte in cui si riferisce– più volte– alla relazione omosessuale della madre affidataria con il sintagma di relazione familiare. L’uso della nozione di famiglia con riferimento ad un legame omosessuale è – evidentemente– conseguenza di una operazione interpretativa/applicativa che si può con facilità definire costituzionalmente orientata ad un principio costituzionale, così come interpretato dalla giurisprudenza di legittimità221. La considerazione per cui l'operazione di interpretazione/ applicazione si ha riguardo ad un principio costituzionale, ma così come definito– ed esteso rispetto al suo originario significato– dalla giurisprudenza di legittimità, riduce le distanze fra l'interpretazione conforme a Costituzione e a Cedu. Che le due forme di interpretazioni siano legate e si intreccino nella pratica giurisprudenziale è conseguenza della nuova formulazione dell'art. 117, primo comma, Cost, così come modificato dalla l. cost. n. 3 del 2001. Sull'interpretazione conforme a Costituzione e sulle sue specificità, dovuta alla conformazione tipicamente giurisprudenziale del parametro la letteratura è densissima, ma sul punto specifico, E. LAMARQUE, Il vincolo alle leggi statali e regionali derivante dagli obblighi internazionali nella giurisprudenza comune, in Aa.V.v. Corte Costituzionale, giudici comuni e interpretazioni adeguatrici, cit. p. 97 e ss. M. MASSA, La «sostanza» della giurisprudenza europea sulle leggi retroattive in Giur. Cost. 2009, pp. 4679 e ss.; A. GUAZZAROTTI, Uso e valore del predente Cedu nella giurisprudenza costituzionale e comune posteriore alla svolta del 2007, Relazione al seminario di studi “La Cedu, tra effettività delle garanzie e integrazione degli ordinamenti”, Università degli studi di Perugia, Facoltà di Giurisprudenza, 17 novembre, 2011 , consultabile in www.diritti–cedu.unipg.it 221 140 2.2 La previdenza. In materia assistenziale e previdenziale è degna di particolare segnalazione, perché esplicitamente applicativa dei principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità e dalla giurisprudenza europea, la sentenza della Corte di Appello di Milano, Sezione Lavoro, n. 407 del 31 agosto 2012 che respinge l’appello proposto dalla Cassa mutua Nazionale per il personale delle Banca di credito cooperativo avverso la sentenza del Tribunale che accoglieva la domanda relativa all’iscrizione alla cassa del convivente omosessuale del ricorrente richiamando, quale criterio ermeneutico, l’art. 1369 c.c., e rilevando che il riferimento al “matrimonio”, come concepito dalla legislazione nazionale, fosse solo uno dei possibili significati dell’espressione “more uxorio” in contestazione tra le parti, con la conseguenza che doveva privilegiarsi una interpretazione atta a garantire il raggiungimento dello scopo della previsione statutaria (ossia l’assistenza sanitaria dei destinatari e dei loro familiari aventi diritto, ad integrazione o sostituzione delle prestazioni del servizio sanitario nazionale) e ad evitare una discriminazione per motivi di orientamento sessuale. (così, Tribunale di Milano sent. n. 5267 del 2009). Avverso la predetta decisione ha proposto appello la Cassa Mutua Nazionale per il Personale delle Banche di Credito Cooperativo . 141 Secondo l’appellante la previsione dell’art. 4 dello Statuto nella parte in cui individua come destinatari del beneficio dell’assistenza sanitaria anche il “convivente more uxorio” dovrebbe intendersi limitata all’estensione dei benefici alle sole coppie composte da un uomo e una donna che, pur non essendo sposati, convivono: l’espressione usata nello Statuto sarebbe quindi riferibile esclusivamente all’unione di due persone di sesso diverso, dovendosi escludere l’estensione dei benefici alle coppie omosessuali. Secondo la prospettazione dell’appellante questa sarebbe, non solo l’unica interpretazione conforme alla volontà delle parti, ma altresì l’unica coerente con il significato generalmente attribuito all’espressione “more uxorio”, secondo le definizioni rinvenibili nei numerosi dizionari della lingua italiana allegati per estratto agli atti di causa. Ha, poi, evidenziato che in Italia non era, e non è, ad oggi, riconosciuta la convivenza omosessuale, per cui non è riconducibile alla comune intenzione delle parti la possibilità di comprendere tra i beneficiari delle prestazioni sanitarie le coppie omosessuali, anche a prescindere dal fatto che risultino conviventi dallo stato di famiglia. L’appellato ha resistito, rinunciando espressamente alla domanda di risarcimento danni proposta in prime cure e chiedendo la conferma della gravata sentenza. La pronuncia si concentra, quindi, sulla questione di natura esclusivamente interpretativa, in particolare dell’art. 4 dello Statuto, rubricato “beneficiari delle prestazioni”. Per la Corte, «anche secondo i più recenti orientamenti giurisprudenziali si 142 deve ritenere che il canone della buona fede rappresenti l’anello di congiunzione tra la ricerca della reale volontà delle parti (che costituisce di norma il passaggio primo del processo ermeneutico) e il persistere di un dubbio sul contenuto della volontà contrattuale, ovvero l’esigenza di tutelare l’affidamento che un terzo abbia maturato il significato obiettivo della dichiarazione frutto della volontà dei contraenti originari». Per la Corte, «nel caso di specie, non può revocarsi in dubbio che l’appellato, quale beneficiario della Cassa Mutua Nazionale, sia soggetto terzo titolare di uno specifico affidamento circa il significato oggettivo delle previsioni dello Statuto e istruzioni operative della Cassa». Osserva, quindi, la Corte che l’art. 4 dello Statuto stabilisce espressamente che «hanno diritto alle prestazioni della Cassa di Destinatari, i loro famigliari fisicamente a carico e il convivente more uxorio, risultante dallo stato di famiglia e con reddito non superiore a quello previsto per essere considerato famigliare fiscalmente a carico». L’applicazione del principio di buona fede porta a escludere che all’espressione “convivenza more uxorio” possa essere riconosciuto il significato attribuitole in un’epoca ormai risalente, dovendo la stessa essere interpretata in considerazione dell’attuale realtà economico–sociale, degli schemi oggi socialmente riconosciuti. Ed è, a questo punto, che la Corte richiama l’evoluzione giurisprudenziale in materia di matrimonio omosessuale. Infatti dice «al riguardo, giova rammentare come la Corte 143 Costituzionale, con sentenza del 23 marzo 2010, n. 138, abbia affermato che “l’art. 2 Cost. dispone che la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale. Orbene, per formazione sociale deve intendersi ogni forma di comunità, semplice o complessa, idonea a consentire e favorire il libero sviluppo della persona nella vita di relazione, nel contesto di una valorizzazione del modello pluralistico. In tale nozione è da annoverare anche l’unione omosessuale , intesa come stabile convivenza tra due persone dello stesso sesso, cui spetta il diritto fondamentale di vivere liberamente una condizione di coppia, ottenendone – nei tempi, nei modi e nei limiti stabiliti dalla legge – il riconoscimento giuridico con i connessi diritti e doveri». Richiama, poi, espressamente la giurisprudenza europea e di legittimità che offre la già anticipata nozione estensiva di famiglia. I giudici di legittimità sottolineano, infatti, che «la pronuncia in commento segue quella della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo nella quale si è affermato che il diritto al rispetto della vita privata e familiare garantito dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti umani e delle libertà fondamentali impone la qualifica di famiglia anche alle unioni formate da persone dello stesso sesso (cfr. Prima Sezione, 24 giugno 2010, Schalk and Kopf contro Austria)». Il riferimento, poi, si estende alla sentenza n. 4184 del 2012 con cui- nella ricostruzione- la Suprema Corte ha osservato come , già da tempo ed 144 attualmente, «la realtà sociale e giuridica Europea ed extraeuropea mostra, sul piano sociale, il diffuso fenomeno di persone dello stesso sesso stabilmente conviventi e, sul piano giuridico, sia il riconoscimento a tali persone, da parte di alcuni Paesi Europei (anche membri dell’Unione Europea, come nella specie) ed extraeuropei, del diritto al matrimonio , ovvero del più limitato diritto alla formalizzazione giuridica di tali stabili convivenze e di alcuni diritti a queste connessi, sia (…) un’interpretazione profondamente “evolutiva” dell’art. 12 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e dell’art. 9 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea». I giudici, poi, concludono in maniera interessante, sostenendo che i «componenti della coppia omosessuale, conviventi in stabile relazione di fatto, se – secondo la legislazione italiana – non possono far valere né il diritto a contrarre matrimonio né il diritto alla trascrizione del matrimonio contratto all’estero, tuttavia – a prescindere dall’intervento del legislatore in materia – quali titolari del diritto alla “vita familiare” e nell’esercizio del diritto inviolabile di vivere liberamente una condizione di coppia e del diritto alla tutela giurisdizionale di specifiche situazioni, segnatamente alla tutela di altri diritti fondamentali, possono adire i giudici comuni per far valere, in presenza appunto di “specifiche situazioni”, il diritto ad un trattamento omogeneo a quello assicurato dalla legge alla coppia coniugata e, in tale sede, eventualmente sollevare le conferenti eccezioni di illegittimità costituzionale 145 delle disposizioni delle leggi vigenti, applicabili nelle singole fattispecie, in quanto ovvero nella parte in cui non assicurino detto trattamento, per assunta violazione delle pertinenti norme costituzionali e/o del principio di ragionevolezza». Le sentenze richiamate nella parte motiva, fanno dire alla Corte adita «che nell’attuale realtà politico–sociale la convivenza more uxorio, intesa quale comunione di vita caratterizzata da stabilità e dall’assenza del vincolo del matrimonio, nucleo familiare portatore di valori di solidarietà e sostegno reciproco, non è soltanto quella caratterizzata dall’unione di persone di sesso diverso, ma è altresì quella propria delle unioni omosessuali alle quali il sentimento socialmente diffuso riconosce il diritto alla vita familiare propriamente intesa. Le previsioni dello Statuto già sopra richiamate depongono a favore di un’interpretazione utile a garantire l’estensione dei benefici ivi previsti alle unioni di fatto equiparabili a quelle scaturenti dal matrimonio in quanto rientranti nella nozione comune di convivenza more uxorio. È questa è una condizione che deve essere riconosciuta, nella società attuale, anche alle convivenze omosessuali222». Anche qui, come nella sentenza in tema di affidamento dei figli, i giudici si Alle stesse conclusione arrivava già nel 2009 il Tribunale di Milano, con sentenza 15 dicembre 2009, il quale sempre in relazione ad una richiesta di inscrizione del convivente more uxorio alla Cassa mutua di Previdenza riconosceva che «La convivenza omosessuale non modifica il concetto di convivenza "more uxorio", poiché tale locuzione, che sta ad esprimere un modo di vivere come conviventi, è conforme sia alla convivenza omosessuale che a quella eterosessuale». 222 146 trovano a operare una interpretazione estensiva, diretta da un principio costituzionale, così come inteso dalla giurisprudenza interna ed europea. 2.3 L’immigrazione. In materia di immigrazione, offre una interpretazione conforme, ma all’interpretazione offerta dalla Corte Edu nel già citato caso Shalk and Kopft, il Tribunale di Reggio Emilia, sez. I con la sentenza del 13 febbraio 2012. Il ricorrente, cittadino uruguayano, presentava ricorso avverso il provvedimento emesso in data 2.2.2011 dalla Questura di Reggio Emilia di diniego di carta di soggiorno esponendo d’essere coniuge di un cittadino italiano. Rilevava, anche, di aver contratto matrimonio con quest’ultimo in Spagna, in conformità alla normativa nazionale. La questione che impegna il Tribunale riguarda, quindi, l’interpretazione del d.lgs. n. 30 del 2007, il quale all’art. 7, I comma lett. d) in collegamento con l’art. 2 lett b n. 1, riconosce il diritto a soggiornare in Italia per un periodo anche superiore a tre mesi a qualsiasi cittadino dell’Unione che si rechi o soggiorni in uno Stato membro diverso da quello di cui ha la cittadinanza, nonché al coniuge che lo accompagni o lo raggiunga. Per Il Tribunale «si evidenzia la necessità di verificare il significato del termine “coniuge” ai sensi della medesima; si tratta, invero, di comprendere se con tale termine il 147 Legislatore europeo, e quindi quello nazionale che ha dato applicazione alla Direttiva223, abbia fatto implicito rimando alla normativa interna del Paese ospitante; se abbia presupposto una nozione di coniuge che comprenda soltanto i membri di coppie sposate di diverso genere (e che ruolo giochi il rimando alle normative nazionali contenuto nell’art. 9 della Carta di Nizza); se abbia inteso riferirsi alla nozione di “coniuge” secondo le normative nazionali del Paese di origine (legge nazionale dei coniugi) o, ancora, del Paese di provenienza». Per i giudici alla prima opzione ermeneutica appare «ostativa la scelta del Legislatore di distinguere, nell’ambito dell’art 2 lettera b) del D. Lgs. n. 30 del 2007, l’ipotesi prevista al n. 1 dall’ipotesi di cui al n. 2; mentre al n. 1 la disposizione recita “coniuge” senza alcuna ulteriore specificazione, al n. 2 della stessa lettera del medesimo articolo, la disposizione indica “il partner che abbia contratto con il cittadino dell’Unione un’unione registrata sulla base della legislazione di uno Stato membro”, specificando che il diritto è riconosciuto soltanto “qualora la legislazione dello Stato membro ospitante equipari l’unione registrata al matrimonio e nel rispetto delle condizioni previste dalla pertinente legislazione dello Stato membro ospitante”». La soluzione interpretativa escludente per le coppie omosessuali non è -dicono La disciplina contenuta nel D.Lgs. n. 30 del 2007 è diretta applicazione della Direttiva 2004/38/CE avente come finalità precipua la tutela della libera circolazione in ambito U.E., in particolare il "diritto dei cittadini dell'Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri" 223 148 i giudici- suggerita nemmeno dalla normativa europea. Al contrario l’art. 9 della Carta di Nizza, ormai in vigore dal 1° dicembre 2009 in quanto recepita dal Trattato di Lisbona, modificativo del Trattato sull’Unione europea e del Trattato che istituisce la Comunità europea, ha individuato in capo ad ogni persona “il diritto di sposarsi e di costituire una famiglia”, senza alcuna limitazione alle sole coppie di diverso genere, optando per un’espressione diversa da quella contenuta nell’art. 12 della Convenzione europea sui diritti dell’uomo e le libertà fondamentali (il quale, rubricato “il diritto al matrimonio” recita che «a partire dall’età minima per contrarre matrimonio, l’uomo e la donna hanno il diritto di sposarsi e di fondare una famiglia secondo le leggi nazionali che regolano l’esercizio di tale diritto»). A sostegno, poi, dell’interpretazione della nozione di coniugio, come includente anche quello omosessuale ai fini dell’applicazione del d. lgs. del 2007, i giudici richiamano la sentenza della Corte Europea sul caso Shalk and Kopft. E dunque, sostengono che «anche a norma della Convenzione europea sui diritti dell’uomo e le libertà fondamentali, secondo l’interpretazione datane dalla fonte più autorevole, i termini “matrimonio” e “coniuge” devono essere intesi in senso inclusivo delle coppie, sposate in un Paese aderente alla Convenzione, formate da persone dello stesso genere». Il ricorso viene, quindi, accolto e il conseguente annullamento del provvedimento di diniego motivato dall’esigenza di «dare attuazione al “diritto fondamentale di vivere liberamente una condizione di coppia” 149 riconosciuto all’unione affettiva tra due persone dello stesso sesso dall’art. 2 Cost. (in questo senso, Corte Costituzionale sent. n. 138/2010), che sarebbe certamente impedito in radice in ipotesi di negazione del diritto a proseguire la relazione affettiva dopo il trasferimento in Italia». 150 BIBLIOGRAFIA AA. VV. Studi in onore di Gianni Ferrara, Torino, 2005. AA.V.V., Interpretazione conforme e tecniche argomentative. Atti del Convegno di Milano, svoltosi il 6-7 giugno 2008, a cura di M. D’AMICO- B. RANDAZZO, Torino, 2009. AA.VV. La fecondazione assistita nel diritto comparato, a cura di C. CASONATO, T. E FROSINI, Torino, 2006. AA.VV., All’incrocio tra Costituzione e Cedu. Il rango delle norme della Convenzione e l’efficacia interna delle sentenze di Strasburgo, a cura di R. BIN – G. BRUNELLI – A. PUGIOTTO – P. VERONESI, Torino, 2007. AA.VV., Corte costituzionale e processo costituzionale nell’esperienza della rivista “Giurisprudenza costituzionale” per il cinquantesimo anniversario, a cura di A. PACE, Milano, 2006. 151 AA.VV., Corte Costituzionale e processo costituzionale nell’esperienza delle rivista “Giurisprudenza Costitutzionale” per il cinquantesimo anniversario, a cura di A. PACE, Milano, 2006. AA.VV., Corte Costituzionale e sviluppo della forma di governo in Italia, a cura di BARILE P., CHELI E., GRASSI S., Bologna, 1982. AA.VV., Corte Costituzionale, giudici comuni e interpretazioni adeguatrici. Atti del seminario svoltosi in Roma, Palazzo della Consulta, 6 novembre 2009, Milano, 2010. AA.VV., Il contributo della giurisprudenza costituzionale alla determinazione della forma di governo italiana, a cura di A. PIZZORNO – R. ROMBOLI – E. ROSSI, Bologna, 1982. AA.VV., Il giudizio sulle leggi e la sua “diffusione”. Verso un controllo di costituzionalità di tipo diffuso?, Atti del seminario di Pisa svoltosi il 25- 26 maggio 2001 in ricordo di Giustino D’Orazio, a cura di E. MALFATTI, R. ROMBOLI, E. ROSSI, Torino, 2002. AA.VV., Interpretazione conforme e tecniche argomentative, Atti del convegno di Milano svoltosi il 6-7 giugno 2008, a cura di M. D’AMICO, B. RANDAZZO, Milano, 2009. AA.VV., Interpretazione costituzionale, a cura di G. AZZARITI, Torino, 2007. AA.VV., La «società naturale» e i suoi “nemici”. Sul paradigma eterosessuale del matrimonio. Atti del seminario, Ferrara 26 febbraio 2010, Torino, 2010. AA.VV., La Cedu, tra effettività delle garanzie e integrazione degli ordinamenti, Seminario di studi, Università degli studi di Perugia, Facoltà di Giurisprudenza, 17 novembre 2011, consultabile in www.diritti-cedu,unipg.it. AA.VV., Le garanzie giurisdizionali dei diritti fondamentali, a cura di L. CARLASSARE, Padova, 1988. AA.VV., Scritti giuridici in memoria di Calamandrei, IV, Padova, 1958. AA.VV., Scritti in memoria di Aldo Piras, Milano, 1996. ADAMO A., La «promozione» del principio di pari opportunità nella composizione delle giunte negli enti territoriali alla luce della più recente giurisprudenza amministrativa. Nota a TAR Campania, sez. I, sentenza del 10 marzo 2011, n. 1427, in www.rivistaaic.it. 152 ALEXY R., Teoria dell’interpretazione e dell’argomentazione giuridica, Milano, 1998. AMOROSO G., I seguiti delle decisioni di interpretazione adeguatrice della Corte Costituzionale nella giurisprudenza di legittimità della Corte di Cassazione in Rivista trimestrale di diritto pubblico, 2008. BETTI E., Interpretazione della legge e degli atti giuridici: Teoria generale e dommatica, Milano, 1971. BETTI E., Teoria generale dell’interpretazione, Milano, 1990. BIGNAMI M., L’interpretazione del giudice comune nella “morsa” delle Corti sovranazionali, in Giurisprudenza Costituzionale, 1, 2008. BIN R., Diritti e argomenti. Il bilanciamento degli interessi nella giurisprudenza costituzionale, Milano, 1992. BIN R., La famiglia: alla radice di un ossimoro, in Studium Iuris, 2000. BIN R., L'applicazione diretta della Costituzione, le sentenze interpretative, l'interpretazione conforme a Costituzione della legge, in www.astridonline.it. BIN R., Per una lettura non svalutativa dell’art. 29, in AA. VV. La «società naturale» e i suoi “nemici”. Sul paradigma eterosessuale del matrimonio. Atti del seminario, Ferrara 26 febbraio 2010, a cura di R. BIN, G. BRUNELLI, A. GUAZZAROTTI, A. PUGIOTTO, P. VERONESI, Torino, 2010. BOBBIO N., L’analogia nella logica del diritto, a cura di P. Di Lucia, Milano, 2006. CACACE E., Lo Statuto e il regolamento degli Enti Locali nel sistema delle fonti, in Scritti in onore di Michele Scudiero, I, Napoli, 2008. CALAMANDREI P., Corte Costituzionale ed autorità giudiziaria, in Opere giuridiche, III, Napoli, 1968. CALAMANDREI P., La illegittimità costituzionale delle leggi nel processo civile, Padova, 1950. CALAMANDREI P., Sulla nozione di manifesta infondatezza, in Rivista di diritto processuale civile, 2, 1956. CAPPELLETTI M., La giurisdizione costituzionale delle libertà, Milano,1950. 153 CAPPUCCIO L., La Corte costituzionale interviene sui rapporti tra convenzione europea dei diritti dell’uomo e Costituzione, in Foro Italiano, 2008. CAPPUCCIO L., Luces y sombras en la relación entre la corte constitucional italiana y el tribunal europeo de derechos humanos, in www.federalismi.it. n. 22, 2012. CARCATERRA G., Analogia, I Teoria generale, in Enciclopedia Giuridica, II, 1988. CARLASSARE L., Perplessità che ritornano sulle sentenze interpretative di rigetto, in Giurisprudenza Costituzionale, 2001. CARLOTTO I., I giudici comuni e gli obblighi internazionali dopo le sentenze n. 348 e n. 349 del 2007 della Corte costituzionale: un’analisi sul seguito giurisprudenziale, in www.associazionedeicostituzionalisti.it CARTABIA M. (a cura di), Dieci casi sui diritti in Europa, Bologna, 2011. CARTABIA M., La Cedu e l’ordinamento italiano: rapporti tra fonti, rapporti tra giurisdizioni, in R. BIN – G. BRUNELLI – A. PUGIOTTO – P. VERONESI (a cura di), All’incrocio tra Costituzione e Cedu. Il rango delle norme della Convenzione e l’efficacia interna delle sentenze di Strasburgo, Torino, 2007. CELOTTO A., “Limite di sagoma” o limite di volumetria” nelle ristrutturazioni? Sui limiti dell’interpretazione costituzionalmente conforme (in margine a TAR Lombardia, Milano, sez. II, 16 gennaio 2009, n. 153 e Tar Lombardia Brescia, 13 maggio2008, n. 504), in www.giustamm.it 2009. CERRI A., Corso di giustizia costituzionale, Milano, 2008. CERRI A., voce Uguaglianza (principio costituzionale di), Enciclopedia Giuridica, XXXVI, Roma, 2005. CHESSA O., Drittwirkung e interpretazione: brevi osservazioni su un caso emblematico CHESSA O., Non manifesta infondatezza vs interpretazione adeguatrice, in Interpretazione conforme e tecniche argomentative, Atti del convegno di Milano svoltosi il 6-7 giugno 2008, a cura di M. D’AMICO, B. RANDAZZO, Milano, 2009. CHIASSONI P., La giurisprudenza civile. Metodi di interpretazione e tecniche argomentative, Milano, 1999. 154 CICCONETTI S., Creazione indiretta del diritto e norme interposte, in www.associazioneitalianadeicostituzionalisti.it. COCOZZA V., La delegificazione. Modello legislativo e attuazione, Napoli, 1996. CRISAFULLI V., La Corte costituzionale tra magistratura e Parlamento, in Scritti giuridici in memoria di Calamandrei, IV, Padova, 1958. CRISAFULLI V., Lezioni di diritto costituzionale. Volume II. L’ordinamento costituzionale italiano, Padova, 1984. CRISAFULLI V., Questioni in tema di interpretazione della Corte Costituzionale nei rapporti con l’interpretazione giudiziaria, in Giurisprudenza Costituzionale, 1956. CRISAFULLI V., Sull’efficacia normativa delle disposizioni di principio della Costituzione (1948), in La Costituzione e le sue disposizioni di principio, Milano, 1952. CRISAFULLI V., voce Disposizione e norma, in Enciclopedia del Diritto, XIII. CRISAFULLI V., Fonti del diritto (diritto costituzionale), in Enciclopedia del Diritto, XVII. CRIVELLI E., KRETZMER D., Il caso Schalk e Koptf c. Austria in tema di unioni omosessuali, in CARTABIA M. (a cura di), Dieci casi sui diritti in Europa, Bologna, 2011. D’ALOIA A., IL diritto di rifiutare le cure e la fine della vita. Un punto di vista costituzionale sul caso Englaro, in Diritti umani e diritto internazionale, 2, 2009. D’ALOIA A., Le coppie omosessuali e lo “schema” costituzionale della famiglia e del matrimonio. Note sulla sentenza della Corte Costituzionale n. 138 del 2010, in AA. VV. Amore che vieni, amore che vai … Unioni omosessuali e giurisprudenza costituzionale, a cura di S. PRISCO, Napoli, 2012. D’ALOIA A., Norme, giustizia, diritti nel tempo delle biotecnologie: note introduttive, in AA.VV., Biotecnologie e valori costituzionali. Il contributo della giustizia costituzionale, Atti del seminario di Parma svoltosi il 19 marzo 2004, a cura di A. D’ALOIA, Torino, 2005. 155 D’ANDREA A., Ragionevolezza e legittimazione del sistema, Milano, 2005. DELLA MORTE M., Il significato obiettivo del giudizio di amparo tra difesa della Costituzione e tutela dei diritti fondamentali, in AA. VV., Il giudizio sulle leggi e la sua “diffusione”. Verso un controllo di costituzionalità di tipo diffuso?, Atti del seminario di Pisa svoltosi il 25- 26 maggio 2001 in ricordo di GIUSTINIO D’ORAZIO, a cura di E. MALFATTI, R. ROMBOLI, E. ROSSI, Torino, 2002. DI BARI M., Considerazioni a margine della sentenza 4184/2012 della Corte di Cassazione: la Corte prende atto di un trend europeo consolidato nel contesto delle coppie same sex anche alla luce della sentenza 138/2010 della Corte Costituzionale, in www.rivistaaic.it. DI COSTANZO, Ancora sul margine di apprezzamento: frontiera costituzionale o crinale giuridicamente indefinibile, in www.forucostituzionale.it. DICIOTTI E., Interpretazione della legge e discorso razionale, Torino, 1999. DICKMANN R., Corte Costituzionale e diritto internazionale nel sindacato delle leggi per contrasto con l'art. 117, primo comma, della Costituzione, in www.federalismi.it, 2007. DOGLIANI M., Interpretazioni della Costituzione, Milano, 1982. DOLSO G.P., Interpretazione adeguatrice: itinerari giurisprudenziali e problemi aperti, in G. Brunelli – A. Pugiotto – P. Veronesi (a cura di), Scritti in onore di Lorenza Carlassare. Il diritto costituzionale come regola e limite al potere, IV, Dei giudici e della giustizia costituzionale, Napoli, 2009. DONATI F., La Cedu nel sistema delle fonti del diritto alla luce delle sentenze della Corte Costituzionale del 24 ottobre 2007, in www.osservatoriosullefonti.it. DWORKIN R., Taking right seriously, Harvard, 1977, trad. it. I diritti presi sul serio, Bologna, 1972. ELIA L., Sentenze “interpretative” di norme costituzionali e vincolo dei giudici, in Giurisprudenza Costituzionale, 1966. ESPOSITO C., Compatibilità delle disposizioni di legge con la Costituzione e interpretazione della legge, in Giurisprudenza Costituzionale, 1958. ESPOSITO C., Della prudenza nelle dichiarazioni di illegittimità costituzionale, 156 in Giurisprudenza Costituzionale, 1961. ESPOSITO C., Eguaglianza e giustizia nell’art. 3 Cost., in La Costituzione Italiana, Saggi, Padova, 1954. ESPOSITO C., I partiti politici nella Costituzione italiana, in La Costituzione Italiana, Padova, 1954. ESPOSITO C., Il controllo giurisdizionale sulla costituzionalità delle leggi in Italia, in La Costituzione Italiana, Saggi, Padova, 1954. ESPOSITO C., La Costituzione Italiana, Saggi, Padova, 1954. ESPOSITO C., La validità delle leggi. Studio sui limiti della potestà legislativa, i vizi degli atti legislativi e il controllo giurisdizionale, Milano, 1934, rist. 1964. ESPOSITO C., Osservazione a Corte Costituzionale n. 10 del 1957, in Giurisprudenza Costituzionale, 1957. FROSINI T.E., Corte europea dei diritti dell’uomo e Costituzione Italiana, in V. PARISIO (a cura di), Diritti interni, diritto comunitario e principi sovranazionali. Profili amministrativistici, Milano, 2009. FROSINI T.E., Il codice di procedura di una Corte moderna, in www.giurcost.org. FROSINI T.E., Sui rapporti fra Corte EDU e Costituzione italiana, in Scritti in onore di Alessandro Pace, Editoriale Scientifica, Napoli, 2012. GAETA P., Dell’interpretazione conforme alla c.e.d.u.: ovvero, la ricombinazione genica del processo penale, in www.penalecontemporaneo.it. GAMBINO S., La giurisdizione costituzionale delle leggi. L’esperienza italiana nell’ottica comparata (con particolare riguardo al giudizio in via incidentale) e in quella eurounitaria, in ID. (a cura di), Diritti fondamentali e giustizia costituzionale. Esperienze europee e nord-americana, Milano, 2012. GIANFORMAGGIO L., L'interpretazione della Costituzione tra applicazione di regole e argomentazione basata su principi, in Rivista internazionale di filosofia del diritto, 1985 GIUPPONI T.F., Corte Costituzionale, obblighi internazionali e “controlimiti allargati”: che tutto cambi perché tutti rimanga uguale?, in 157 www.forumcostituzionale.it. GUASTINI R., L’illegittimità delle disposizioni e delle norme, in P. COMANDUCCI, R. GUASTINI (a cura di), Analisi e diritto 1992. Ricerche di giurisprudenza analitica, Torino, 1992. GUASTINI R., L’interpretazione dei documenti normativi, Milano, 2004. GUAZZAROTTI A., Interpretazione conforme alla Cedu e proporzionalità e adeguatezza:il diritto di proprietà, in AA. V.V., Interpretazione conforme e tecniche argomentative, Atti del Convegno di Milano, 6-7 giugno 2008, a cura di M. D’AMICO - B. RANDAZZO, Torino, 2009. GUAZZAROTTI A., L’autoapplicabilità costituzionale, Napoli, 2011. delle norme. Un percorso GUAZZAROTTI A., Uso e valore del predente Cedu nella giurisprudenza costituzionale e comune posteriore alla svolta del 2007, Relazione al seminario di studi La Cedu, tra effettività delle garanzie e integrazione degli ordinamenti, Università degli studi di Perugia, Facoltà di Giurisprudenza, 17 novembre, 2011, consultabile in www.diritti-cedu, unipg.it. LAMARQUE E., Corte Costituzionale e giudici nell'Italia repubblicana, Laterza, 2012. LAMARQUE E., Il vincolo alle leggi statali e regionali derivanti dagli obblighi internazionali nella giurisprudenza comune, in AA.VV., Corte costituzionale, giudici comuni e interpretazioni adeguatrici, Roma, Palazzo della Consulta, 6 novembre 2009, Milano, 2010. LAMARQUE E., La fabbrica delle interpretazioni conformi a Costituzione tra Corte Costituzionale e giudici comuni, in www.astridonline.it LAMARQUE E., Prove generali di un sindacato di costituzionalità accentratocollaborativo, in Scritti in onore di F. Modugno, III, Napoli, 2011. LAVAGNA C., Considerazioni sulla inesistenza di questioni di legittimità costituzionale e sulla interpretazione adeguatrice, in Ricerche sul sistema normativo, Milano, 1984 LAVAGNA C., Considerazioni sulla inesistenza di questioni di legittimità costituzionale e sulla interpretazione adeguatrice (1959), in ID., Ricerche sul sistema normativo, Milano, 1984. 158 LAVAGNA C., Problemi di giustizia costituzionale sotto il profilo della non manifesta infondatezza, Milano, 1957. LAVAGNA C., Ricerche sul sistema normativo, Milano, 1984. LECIS COCCO ORTU A.M., La Corte europea pone un altro mattone nella costruzione dello statuto delle unioni omosessuali: le coppie di persone dello stesso sesso non possono essere ritenute inidonee a crescere un figlio, in www.forumcostituzionale.it. LUCIANI M., Dottrina del moto delle costituzioni e vicende della Costituzione Repubblicana, in www.rivistaaic.it, 1, 2013. LUCIANI M., Le funzioni sistemiche della Corte Costituzionale, oggi, e l'interpretazione “conforme a”, relazione tenuta il 18 maggio 2007 al convegno “Il ruolo del giudice: le magistrature supreme”, Università di Roma Tre, ora in www.federalismi.it, 2007. LUCIANI M., Su legalità costituzionale, legalità legale e unità dell’ordinamento, in AA. VV. Studi in onore di Gianni Ferrara, Torino, 2005. MAGRI M., La legalità costituzionale della Pubblica Amministrazione: ipotesi dottrinali e casistica giurisprudenziale, Milano, 2002. MALFATTI E. – PANIZZA S. – ROMBOLI R., Giustizia costituzionale, Torino, 2011. MALFATTI E., Attorno al modello di «interpretazione convenzionalmente conforme» e di «verifica di costituzionalità della Cedu», in AA. V.V., Interpretazione conforme e tecniche argomentative, Atti del Convegno di Milano, 6-7 giugno 2008, a cura di M. D’AMICO - B. RANDAZZO, Torino, 2009. MANNELLA F., Giudici comuni e applicazione della Costituzione, Napoli, 2011. MASSA M., La «sostanza» della giurisprudenza europea sulle leggi retroattive in Giurisprudenza Costituzionale, 6, 2009, pp. 4657 e ss. MASSA PINTO I., Fiat matrimonio. L’unione omosessuale all’incrocio del dialogo tra Corte Costituzionale, Corte Europea dei diritti dell’uomo e Corte di Cassazione¡ puo’ una sentenza della Corte di Cassazione attribuire a (un inciso di) una sentenza della Corte europea il potere di scardinare una consolidata e ultramillenaria tradizione (superando anche il giudicato 159 costituzionale)? in www.rivistaaic.it. MODUGNO F., Corte Costituzionale e potere legislativo, in Corte Costituzionale e sviluppo della forma di governo in Italia, in AA. VV., Corte Costituzionale e sviluppo della forma di governo in Italia, Bologna, 1982. MODUGNO F., Fonti del diritto (gerarchia delle), in Enciclopedia del Diritto, Agg. I, Milano, 1997. MODUGNO F., Interpretazione giuridica, Padova, 2009. MODUGNO F., L’analogia nella logica www.associazioneitalianadeicostituzionalisti.it. del diritto, in MODUGNO F., Lineamenti di teoria del diritto oggettivo, Torino, 2009. MODUGNO F., Riflessioni interlocutorie sulle conseguenze della trasformazione del decreto-legge, in Scritti in memoria di Aldo Piras, Milano, 1996, pp. 453-473. MODUGNO F., Sul problema dell’interpretazione conforme a Costituzione: un breve excursus, in Giurisprudenza Italiana, 2010. MODUGNO F., voce Principi generali dell'ordinamento, in Enciclopedia Giuridica Treccani, XXIV, Roma, 1991. MODUGNO F., La teoria delle fonti del diritto nel pensiero di Vezio Crisafulli, in Giurisprudenza costituzionale, 1994, pp. 487 e ss. MONTANARI L., Interpretazione conforme a Convenzione europea dei diritti dell’uomo e canoni di proporzionalità e adeguatezza, in AA. V.V., Interpretazione conforme e tecniche argomentative. Atti del Convegno di Milano, svoltosi il 6-7 giugno 2008, a cura di M. D’Amico- B. Randazzo, Torino, 2009. MORRONE A., Il custode della ragionevolezza, Milano, 2001. ONIDA V., La corte e i diritti: tutela dei diritti fondamentali e accesso alla giustizia costituzionale, in Studi in onore di Leopoldo Elia, II, Milano,1999. PACE A., I limiti dell'interpretazione adeguatrice, in Giurisprudenza Costituzionale, 1963. PACE A., Interpretazione costituzionale e interpretazione per valori, in G. 160 AZZARITI (a cura di), Interpretazione costituzionale, Torino 2007. PALADIN L., La tutela delle libertà fondamentali offerta dalle Corti costituzionali europee: spunti comparatistici, in L. CARLASSARE (a cura di), Le garanzie giurisdizionali dei diritti fondamentali, Padova, 1988. PALADIN L., Le fonti del diritto italiano, il Mulino, Bologna, 1996. PALADIN L., Diritto costituzionale, Padova, 1995. PARISI S., Il posto delle fonti locali nel sistema, in Le Regioni, 2, 2008. PARISI S., La gerarchia delle fonti. Acesa, declino e mutazioni, Napoli, 2012. PARISI S., Se la legge statale è il fondamento positivo dei provvedimenti regionali…e una atto di soft law ne preorienta i contenuti, in www.forumcostituzionale.it, 2011. PERINI M., L’interpretazione della legge alla luce della Costituzione fra Corte Costituzionale ed autorità giudiziaria, in AA. VV., Il giudizio sulle leggi e la sua “diffusione”. Verso un controllo di costituzionalità di tipo diffuso?, Atti del seminario di Pisa svoltosi il 25- 26 maggio 2001 in ricordo di GIUSTINIO D’ORAZIO, a cura di E. MALFATTI, R. ROMBOLI, E. ROSSI, Torino, 2002. PINO G., Diritti e interpretazione. Il ragionamento giuridico nello stato costituzionale, Bologna, 2010. PISTORIO G., Interpretazioni e giudici. Il caso dell’interpretazione conforme al diritto dell’Unione Europea, Napoli, 2012. PIZZETTI F. - ZAGREBELSKY G., «Non manifesta infondatezza» e «rilevanza» nella instaurazione incidentale del giudizio sulle leggi, Milano, 1972. PIZZORUSSO A., Fonti (Sistema costituzionale discipline pubblicistiche, VI, Torino, 1991. delle), in Digesto delle PRISCO S., Amore che vieni, amore che vai … Unioni omosessuali e giurisprudenza costituzionale, Napoli, 2012. PUGIOTTO A., Alla radice costituzionale dei “casi”: la famiglia come «società naturale fondata sul matrimonio», in www.forumcostituzionale.it. PUGIOTTO A., Le metamorfosi delle sentenze interpretative di rigetto, in Corriere giuridico, 2004. 161 PUGIOTTO A., Sindacato di costituzionalità e “diritto vivente”. Genesi, uso, implicazioni, Milano, 1984. PUGIOTTO A., Una lettura non reticente della sent. n. 138/2010: il monopolio eterosessuale del matrimonio, in www.forumquadernicostituzionali.it. PUNZI A., La missione del giureconsulto: Filippo Vassalli, in RIFD. Rivista Internaziona di Filosofia del Diritto, 4, 2005. PUNZI A., Una giurisprudenza in cerca di princìpi, in Dialogica del diritto. Studi per una filosofia della giurisprudenza, Torino, 2009. RAUTI A., L’interpretazione adeguatrice come metacriterio ermeneutico e l’inversione logica dei criteri di rilevanza e non manifesta infondatezza, in AA. VV., Il giudizio sulle leggi e la sua “diffusione”. Verso un controllo di costituzionalità di tipo diffuso?, Atti del seminario di Pisa svoltosi il 25- 26 maggio 2001 in ricordo di GIUSTINIO D’ORAZIO, a cura di E. MALFATTI, R. ROMBOLI, E. ROSSI, Torino, 2002. REPETTO G., Il matrimonio omosessuale al vaglio della Corte di Strasburgo, ovvero: la negazione “virtuosa” di un diritto, in www.associazionaitalianadeicostituzionalisti.it. RESCIGNO G.U., Del preteso principio secondo cui spetta ai giudici ricavare principi dalle sentenze della Corte e manipolare essi stessi direttamente le disposizioni di legge per renderle conformi a tali principi, in Giurisprudenza costituzionale, 2009. RESCIGNO G.U., Gerarchia e competenza, tra atti normativi, tra norme, in Diritto pubblico, 1-2, 2010. RESCIGNO G.U., Su libro “La validità delle leggi” di Carlo Esposito, Relazione al convegno tenutosi il 12 ottobre 2007 presso l'Università di Camerino, su “Gli scritti camerti di Carlo Esposito”, ora in www.rivistaaic.it, dicembre 2007. ROLLA G., Alcune considerazioni sui possibili effetti delle codificazioni e della giurisprudenza sovranazionali in materia di diritti sul cosiddetto “sistema europeo” di giustizia costituzionale, in ID. (a cura di), Il sistema europeo di protezione dei diritti fondamentali e i rapporti tra le giurisdizioni, Milano, 2010. ROLLA G., Giudizio di legittimità costituzionale in via incidentale e tutela dei diritti fondamentali, testo della relazione tenuta il luglio 2004 in San José 162 Costa Rica, consultabile in www.crdc.unige.it. ROMBOLI R. (a cura di), Aggiornamenti in tema di processo costituzionale (2008-2010), Torino, 2011. ROMBOLI R., Il caso Englaro: la Costituzione come fonte immediatamente applicabile dal giudice, in Quaderni Costituzionali, 2009. ROMBOLI R., Il diritto “consentito” al matrimonio ed il diritto “garantito” alla vita familiare per le coppie omosessuali in una pronuncia in cui la Corte dice “troppo” e “troppo poco”, in www.rivistaaic.it, 2010. ROMBOLI R., Il riferimento al parametro costituzionale da parte del giudice in ipotesi diverse dalla eccezione di costituzionalità (l'interpretazione “adeguatrice” e l'applicazione diretta), in G. PITRUZZELLA – F. TERESI - G. VERDE (a cura di), Il parametro nel giudizio di costituzionalità, Atti del seminario di Palermo, 28–29 maggio 1998. ROMBOLI R., Modelli di giudici e complessità sociale: bocca della legge, interprete, mediatore dei conflitti o difensore dei diritti?, relazione al convegno “L’interpretazione giudiziale tra certezza del diritto ed effettività delle tutele”, 17-18 settembre 2010, Agrigento. ROMBOLI R., Qualcosa di nuovo … anzi d'antico: la contesa sull'interpretazione conforme alla legge, Relazione presentata al Convegno “La giustizia costituzionale fra memoria e prospettive (a cinquant’anni dalla pubblicazione della prima sentenza della Corte costituzionale), Roma 14 e 15 giugno 2006, ora anche in www.archivio.rivistaaic.it. RUGGERI A., Alla ricerca del fondamento dell’interpretazione conforme, in Interpretazione conforme e tecniche argomentative, Atti del convegno di Milano, 6-7 giugno 2008. RUGGERI A., Ancora in tema di rapporti tra CEDU e Costituzione: profili teorici e questioni pratiche, in Politica del Diritto, 3, 2008, pp. 443-460. RUGGERI A., Corte e diritti, in tempo di crisi, relazione tenuta al seminario su “Sovranità statale, costituzionalismo multilivello e dialogo tra le Corti”, 21 settembre 2012, Scilla. RUGGERI A., Costituzione e CEDU, alla sofferta ricerca dei modi con cui comporsi in “sistema”, in www.giurcost.org, 2012. RUGGERI A., G. SILVESTRI (a cura di), Corte Costituzionale e Parlamento: 163 profili problematici e ricostruttivi, Milano, 2000. RUGGERI A., Gerarchia, competenza e qualità nel sistema costituzionale delle fonti normative, Milano, 1977. RUGGERI A., Idee sulla famiglia e teoria (e strategia) della Costituzione, in www.forumcostituzionale.it. RUGGERI A., La CEDU alla ricerca di una nuova identità, tra prospettiva formale-astratta e prospettiva assiologico-sostanziale d’inquadramento sistematico (nota a C. Cost. 22 ottobre 2007, 348, e C. Cost 22 ottobre 2007, 349), in Diritto Pubblico Comparato ed Europeo, 2008, pp. 215 e ss. RUGGERI A., La Corte Costituzionale nel sistema costituzionale- 1. Corte Costituzionale e Parlamento (in chiaroscuro) in Foro Italiano, 2, 2000. RUGGERI A., Le unioni tra soggetti dello stesso sesso e la loro (innaturale …) pretesa a connotarsi come “famiglie” in La «società naturale» e i suoi “nemici”. Sul paradigma eterosessuale del matrimonio, Ferrara 26 febbraio 2010, a cura di R. BIN, G. BRUNELLI, A. GUAZZAROTTI, A. PUGIOTTO, P. VERONESI, Torino, 2010. RUGGERI A., Prospettive di aggiornamento del catalogo dei diritti fondamentali, in www.associazionedeicostituzionalisti.it. RUGGERI A., Rapporti tra Corte Costituzionale e Corti Europee, bilanciamenti interordinamentali e “controlimiti” mobili, a garanzia dei diritti fondamentali, relazione tenuta all’incontro di studio su “Corti nazionali, corti sovranazionali e tutela multilivello dei diritti”, presso la Scuola Superiore di Studi Giuridici, 28 gennaio 2011, Bologna. RUGGERI A., Storia di un «falso». L’efficacia inter partes delle sentenze di rigetto della Corte Costituzionale, Milano, 1990. RUGGERI A., Fonti e norme costituzionale, Torino, 1993. nell'ordinamento e nell'esperienza RUOTOLO M., Interpretazione conforme a Costituzione e tecniche decisorie della Corte costituzionale, in www.gruppodipisa.it RUOTOLO M., Interpretazione conforme e tecniche decisorie della Corte Costituzionale, in www.gruppodipisa.it, 2009. RUOTOLO M., L’interpretazione conforme a Costituzione nella più recente 164 giurisprudenza costituzionale. Una lettura alla luce di alcuni risalenti contributi apparsi nelae rivista Giurisprudenza Costituzionale, in A. PACE (a cura di), Corte Costituzionale e processo costituzionale nell’esperienza delle rivista “Giurisprudenza Costituzionale” per il cinquantesimo anniversario, Milano, 2006. RUOTOLO M., L’interpretazione conforme a Costituzione nella più recente giurisprudenza costituzionale. Una lettura alla luce di alcuni risalenti contributi apparsi nella rivista Giurisprudenza Costituzionale, in A. PACE (a cura di), Corte costituzionale e processo costituzionale nell’esperienza della rivista “Giurisprudenza costituzionale” per il cinquantesimo anniversario, Milano, 2006. RUOTOLO M., Oltre i limiti dell’interpretazione conforme? A proposito della pronuncia della Cassazione sulla presunzione di adeguatezza della custodia cautelare in carcere per il delitto della violenza sessuale di gruppo, in www.rivistaaic.it , 2012 SILVESTRI G., Le sentenze normative della Corte Costituzionale, in AA. VV. Scritti sulla giustizia costituzionale in onore di V. Crisafulli, I, Padova, 1985. SORRENTI G., L’interpretazione conforme a Costituzione, Milano, 2006. SORRENTI G., La “manifesta infondatezza” delle questioni di legittimità costituzionale e l’applicazione diretta della Costituzione nella prassi giudiziaria. Ovvero: una ricerca empirica su una risalente ipotesi, di rinnovata attualità, in E. MALFATTI, R. ROMBOLI, E. ROSSI (a cura di), Il giudizio sulle leggi e la sua “diffusione”. Verso un controllo di costituzionalità di tipo diffuso?, Atti del seminario di Pisa svoltosi il 25- 26 maggio 2001 in ricordo di GIUSTINIO D’ORAZIO. SORRENTI G., La Costituzione sottintesa, relazione presentata al seminario “Corte Costituzionale, giudici comuni e interpretazioni adeguatrici”, 6 novembre 2009, Roma, Palazzo della Consulta. SORRENTINO F., Le fonti del diritto, Genova, 1994. TARELLO G., Gerarchie normative e interpretazione dei documenti normativi, in politica del Diritto, 1977. TARELLO G., L’interpretazione della legge, Milano, 1980. TEGA D., Le sentenze della Corte costituzionale nn. 348 e 349 del 2007: la Cedu da fonte ordinaria a fonte “sub-costituzionale” del diritto, in 165 www.forumcostituzionale.it VASSALLI F., Motivi e caratteri della codificazione civile, in Studi giuridici, vol. II, Milano, 1960. VERONESI P., Costituzione, «strane famiglie» e «nuovi matrimoni», in Quaderni costituzionali n. 3, 2008. VERONESI P., Costituzione, «strane famiglie» e «nuovi matrimoni», in Quaderni costituzionali, 3, 2008. VIGNUDELLI A., Interpretazione e Costituzione, Torino, 2011. VILLONE M., Il diritto di morire, Napoli, 2011. VIOLA F. – ZACCARIA G., Diritto e interpretazione. Lineamenti di teoria ermeneutica del diritto, Roma-Bari, 2004. VIOLINI L., IL riconoscimento delle coppie di fatto: praeter o contra constitutionem?, in www.forumcostituzionale.it. ZAGREBELSKY G., Il diritto mite. Leggi diritti giustizia, Torino, 1992. ZAGREBELSKY G., La Corte Costituzionale e il legislatore, in AA. VV., Corte Costituzionale e sviluppo della forma di governo in Italia, Bologna, 1982. ZAGREBELSKY G., La giustizia costituzionale, Bologna, 1988. ZAGREBELSKY G., La legge e la sua giustizia. Tre capitoli di giustizia costituzionale, Bologna, 2008. ZAGREBELSKY G., Manuale di diritto costituzionale, I. Il sistema delle fonti del diritto, Torino, 1991. 166