vaccinazioni e idoneita` al lavoro degli operatori sanitari

VACCINAZIONI E IDONEITA’ AL LAVORO
DEGLI OPERATORI SANITARI
Articolo scritto da Buselli.R., Gattini G., Guglielmi G., Coli P., Cristaudo A.
Il tema dell’idoneità al lavoro è per tradizione culturale e legislativa argomento che occupa un
ruolo preminente nell’attività del medico del lavoro.
Nella sorveglianza sanitaria del m.c. ci sono aspetti ben chiariti e zone d'ombra. Il tema di cui si
parla questo mese (lo spunto viene dato da un articolo tratto da un Convegno svoltosi a Pisa) è
sicuramente uno di quelli che sta in una zona d'ombra!
Il D.P.R. 303/56 non parlava in maniera esplicita del giudizio di idoneità specifica alla mansione
come atto conclusivo delle visite periodiche, ma la giurispudenza che negli anni a venire ha avuto
come oggetto del giudicato l’attività del medico d’azienda, ancora prima della recente normativa, ha
stabilito i limiti e il contenuto di tale atto medico-legale.
Il D.Lgs 626/94 ha stabilito in maniera conclusiva e per tutti i rischi professionali l’obbligo da parte
del medico competente di informare il datore di lavoro e il lavoratore interessato ogni volta che si
presentasse la necessità di formulare un giudizio di non idoneità o di idoneità con prescrizione.
Se quindi attualmente è chiaro l’obbligo di legge di doversi confrontare con questa valutazione,
purtroppo poche indicazioni sui criteri da utilizzare per la formulazione di tale giudizio possono
essere attinte sia da normative sull’argomento che dalla letteratura di medicina del lavoro.
L’attività del medico competente in ambito sanitario è ancora esperienza relativamente recente e
non sufficiente a dare direttive precise sull’argomento. In questo contributo ci proponiamo di
riportare alcune considerazioni scientifiche mutuate da specifici studi sull’argomento che speriamo
possano essere di qualche ausilio a questa fase così critica dell’attività, ben consci del fatto che
comunque questo atto rimane di pertinenza della cultura, dell’esperienza e dell’ambiente di lavoro
del singolo professionista.
Il decreto 626/94 introduce la tutela degli operatori esposti a rischio biologico e indica come
strumento della sorveglianza sanitaria, laddove ne sia stata dimostrata l’efficacia, la vaccinazione
del lavoratore. Il comma 2 dell’art.86 di detto decreto stabilisce infatti che : “ il datore di lavoro, su
conforme parere del medico competente, adotta misure protettive particolari per quei lavoratori per i
quali , anche per motivi sanitari individuali, si richiedono misure speciali di protezione fra le quali:
a)la messa a disposizione di vaccini efficaci per quei lavoratori che non sono già immuni all’agente
biologico presente nella lavorazione, da somministrare a cura del medico competente;
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b) l’allontanamento temporaneo del lavoratore secondo le procedure dell’art. 8 del decreto
legislativo 15 agosto 1991, n.277” (1).
L’eventualità quindi che il lavoratore rifiuti di sottoporsi a vaccinazione efficace, in quei casi in cui
rivesta il ruolo di misura speciale di protezione, presenta al medico competente la necessità di
valutare l’idoneità del lavoratore a quella mansione specifica.
Valutazioni di tipo epidemiologico non dovrebbero avere un significato decisivo per giudicare se
una determinata vaccinazione sia presupposto inderogabile alla formula- zione del giudizio di
idoneità alla mansione senza nessun tipo di limitazione: infatti l’epidemiologia fornisce indicazioni
sulla prevalenza o l’incidenza di una determinata malattia in una popolazione, mentre l’operato del
medico competente rimane legato a responsabilità penali sul singolo lavoratore che il professionista
si assume nell’eser- cizio della sua attività.
Nella sorveglianza sanitaria per il rischio biologico è difficile definire una linea preci- sa di confine
fra la tutela della salute dell’operatore sanitario e quella del paziente da lui assistito. Questo tipo di
valutazione deve essere applicata anche per quanto riguar da le vaccinazioni e il giudizio di idoneità
alla mansione specifica.
Gli agenti patogeni di tipo biologico che un operatore sanitario più frequentemente incontra nella
sua attività lavorativa quotidiana sono sostanzialmente rappresentati da tre patogeni a trasmissione
ematica (HBV, HCV, HIV) e da un patogeno a trasmissio ne aerea (Mycobatterium Tubercolosis).
Per i patogeni a trasmissione ematica l’unico a che ha a disposizione un’ efficace profilassi
vaccinale è il virus dell’Epatite B, ma anche gli altri possono creare situazioni da esaminare.
Le linee guida realizzate dalla Commissione Nazionale per il Ministero della Sanità nell’Ottobre del
1994 per “ prevenire la trasmissione del virus dell’immunodeficienza umana e del virus dell’epatite
B degli operatori infetti ai pazienti durante le procedure invasive che determinano un rischio di
esposizione” definiscono quelle che devono essere considerate procedure invasive e procedure
invasive che determinano rischio di esposizione per il paziente.(*) Nelle raccomandazioni generali
delle stesse linee guida viene precisato che “ tutti gli operatori sanitari , anche in formazione, che
eseguono procedure invasive debbono essere sottoposti a vaccinazione contro l’epatite B quanto
prima possibile e comunque all’assunzione”. Nelle raccomandazioni specifiche sono indicate due
condizioni dello stato sierologico dell’operatore sanitario che esegue procedure invasive:
-Operatore HbsAg positivo-HbeAg negativo-HBV DNA positivo- in via cautelativa è suggerita una
limitazione delle procedure invasive che determinano un rischio di esposizione per il paziente.
-Operatore HbsAg positivo- HbeAg positivo: limitazione di tutte le procedure invasive (3,4).
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Sulla base di queste indicazioni riteniamo che debba essere espresso un giudizio di non idoneità alla
mansione specifica per quegli operatori sanitari che devono eseguire procedure invasive che
determinano rischio per il paziente e che non vogliono vaccinarsi contro l’epatite B .
Quegli operatori che sono renitenti alla vaccinazione che eseguono procedure invasive senza rischio
di esposizione per il paziente riteniamo che debba essere espresso un giudizio di idonetà con
prescrizione che obblighi per esempio all’uso di doppi guanti.
Le stesse linee guida indicano che un operatore sanitario HIV positivo non deve eseguire procedure
invasive e che per le non invasive sia necessario una valutazione differenziata da caso a caso.
L’ACIP fornisce delle raccomandazioni sull’immunizzazione di operatori sanitari con particolari
condizioni. Per l’operatore sanitario HIV positivo tale associazione raccomanda alcune vaccinazioni
che rivestono un ruolo determinante nella validazione dell’idoneità del lavoratore stesso.La stessa
organizzazione raccoglie alcune condizioni di immunocompromissione o particolare suscettibilità
alle infezioni con le relative vaccinazioni raccomandate elencate nella tabella 1.
Una severa immunodepressione può essere il risultato di immunodeficienza congenita, infezione da
virus dell’immunodeficienza umana (HIV), leucemia, linfoma, terapia con agenti alchilanti,
antimetaboliti, o abbondante uso di corticosteroidi. Per alcune di queste condizioni, tutte le persone
affette saranno severamente immunocompromesse; per altre, come quelle con infezione da HIV, ci
sarà uno spettro di gravità appartenente a una particolare malattia o stadio di trattamento che
determinerà il grado di immunosoppressione (5).
Le indicazioni presenti in letteratura (es raccomandazioni dell’ACIP sull’immunizzazione degli
operatori sanitari con speciali condizioni (da “Hospital Infections” Bennet J.V., Brachman P.S.
1998) devono certamente essere adattate all’ ambiente e alle procedure di lavoro del singolo
operatore, ma in ogni caso rappresentano a nostro avviso importanti elementi di valutazione.
La raccomandazione della vaccinazione antitubercolare per gli operatori sanitari è stato argomento
di ampia discussione sul quale a livello internazionale non è stato possibile raggiungere una
posizione definitiva per le divergenze dei diversi esperti dell’argomento in funzione degli studi
condotti su popolazioni diverse; per essere onesti nemmeno l’obbligo di legge tuttora vigente in
Italia di vaccinare tutti i dipendenti ospedalieri anche se non praticanti attività sanitaria ha reso più
chiara questa situazione. Secondo studi recenti il vaccino BCG presenterebbe un’ efficacia pari
almeno al 50% sia per la tubercolosi “standard” che la tubercolosi resistente ai farmaci.
Quest’ultima è di difficile trattamento e i tassi di mortalità possono raggiungere il 50%.
Queste notizie hanno portato alcuni gruppi di operatori sanitari che svolgevano attività in centri
dove il problema della tubercolosi resistente ai farmaci antitubercolari è particolarmente diffuso a
richiedere la vaccinazione con BCG.
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L’utilizzazione di routine del vaccino BCG elimina peraltro la più utile fonte di informazione nel
determinare se il paziente ha presentato un’infezione tubercolare, perchè la maggior parte dei
pazienti sottoposti a vaccinazione presenta una risposta positiva al test cutaneo(2).
La gestione di pazienti affetti da tubercolosi resistente ai farmaci, più frequente in soggetti HIV
positivi, configura un rischio più elevato nei medici che svolgono broncoscopie ed ispezione del
faringe e degli occhi e in personale che esegue irrigazione di ascessi tubercolari o assiste a esami
autoptici di pazienti deceduti per una forma tubercolare.
Queste considerazioni forniscono due importanti elementi di valutazione nella formulazione del
giudizio di idoneità: l’obbligo normativo e l’alto rischio nella gestione di pazienti con TBC
resistente ai farmaci. Il medico competente con l’atto medico legale del giudizio di idoneità si
assume una responsabilità penale sulla salute del singolo lavoratore e quindi non può prescindere
dal valutare un presidio, seppur di media efficacia, laddove il rischio dell’operatore sia un rischio di
mortalità mediamente elevato.
Diversa considerazione devono avere, almeno da un punto di vista meramente scientifico, situazioni
di esposizione a tubercolosi “standard” dove il rischio di malattia attiva nel corso della vita, quando
l’infezione si sviluppa, è pari al 10%. In questo caso il rispetto di procedure corrette, l’uso adeguato
di dispositivi di protezione individuale e un eventuale tempestivo trattamento preventivo rappresen tano forse il miglior approccio.
[Le recenti disposizioni legislative chiariscono finalmente il comportamento da tenere nei confronti
del rischio TBC N.d.R.]
La disamina di questi casi particolari non ha la pretesa di esaurire la materia di un’ attività che
rimane e rimarrà sempre di stretta pertinenza del singolo medico competente, al quale spetta
comunque la decisione finale.
Riteniamo quindi, sulla base di quanto esposto, che la vaccinazione del lavoratore debba costituire
elemento di valutazione nella formulazione del giudizio di idoneità.
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